Focus di pratica professionale Enti non commerciali: nuova

Focus di pratica professionale
di Luca Caramaschi e Carla De Luca
Enti non commerciali: nuova pronuncia in tema di commercialità
dei bar gestiti da circoli ricreativi
Corte di Cassazione sentenza n.25462 del 20 ottobre 2008
Con la recente sentenza n.25462/08, la Suprema Corte si è nuovamente pronunciata sul
delicato tema del corretto inquadramento, ai fini fiscali, delle attività di somministrazione
di alimenti e bevande svolte nei circoli ricreativi. Attesa la larghissima diffusione della
fattispecie in questione (la gestione del bar da parte delle realtà no profit è infatti
fenomeno frequentissimo), è opportuno fare il punto della situazione alla luce:
€ della normativa in vigore,
€ della posizione dell’amministrazione finanziaria
€ delle recenti posizioni espresse dalla giurisprudenza.
Tra disciplina del Tuir e pensiero dell’amministrazione finanziaria
L’art.143 del Tuir (che ha sostituito senza alcuna modifica il vecchio art.108), stabilisce i
principi fondamentali per la determinazione del reddito complessivo degli enti non
commerciali, individuando genericamente talune prestazioni che non costituiscono attività
commerciali e due specifiche ipotesi di proventi “decommercializzati” che in tale sede non
rilevano.
L’ultima parte del co.1 dell’art.143, riproponendo le medesime difficoltà contenute
nell’art.55, co.2, lett.a) in ordine all’individuazione delle attività estranee alla previsione
dell’art.2195 del c.c. esclude, al verificarsi di determinate condizioni, tali prestazioni di
servizi dall’insieme delle attività commerciali.
Come affermato dall’amministrazione finanziaria con la R.M. n.112/E/02, la previsione
normativa dispone la non commercialità in presenza di tutte le condizioni menzionate.
Pertanto l'attività svolta dall’ente non commerciale – per essere considerata non rilevante
ai fini fiscali - deve necessariamente possedere, congiuntamente, i seguenti quattro
requisiti:
1. l'attività non deve rientrare tra quelle elencate nell'art.2195 del c.c.; diversamente,
infatti, essa verrebbe a configurare esercizio di attività commerciale, in conformità a
quanto previsto dall'art.55 del Tuir;
2. la prestazione di servizio deve essere conforme alle finalità istituzionali,
intendendosi con tale locuzione, che essa deve perseguire comunque le finalità
indicate nel provvedimento istitutivo dell'ente non commerciale;
3. l'attività deve essere svolta senza un'organizzazione predisposta appositamente per
la sua gestione, vale a dire senza impiego di fattori produttivi organizzati in funzione
dell'attività svolta;
4. i corrispettivi non devono eccedere i costi di diretta imputazione, nel senso che i
compensi corrisposti per la prestazione resa possono remunerare solo le spese
sostenute e non devono rappresentare un utile per l'ente.
Il secondo periodo del co.1 dell’art.143 del Tuir
“Per i medesimi enti non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi
non rientranti nell' art.2195 del c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell'ente
senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i
costi di diretta imputazione”
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L’agevolazione fiscale, quindi, consiste nel rivedere le attività di prestazione di servizi,
diverse da quelle considerate civilisticamente come commerciali e non organizzate in
forma imprenditoriale, non idonee a generare ricavi imponibili, a condizione però che i
corrispettivi percepiti a fronte della loro erogazione servano solamente alla copertura dei
costi sostenuti per l’esecuzione della prestazione e direttamente imputabili alla stessa.
Tali attività devono essere conformi agli scopi istituzionali che l’ente si prefigge di
conseguire.
È importante osservare che, in ordine all’effettiva portata di tale disposizione - da molti
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autori ritenuta una norma “in bianco” - si riscontra nella pratica una difficile ed alquanto
rara applicazione, poiché la sussistenza congiunta delle condizioni richiamate in
precedenza non trova, specie nelle organizzazioni più complesse, frequente riscontro.
9
In particolare, secondo autorevole dottrina , la previsione che i corrispettivi non debbano
eccedere i costi di diretta imputazione rende praticamente inapplicabile la norma.
A conferma di ciò, si osserva che l’amministrazione finanziaria, nella maxi circolare
n.124/E/98, al par.5.2.2, aggancia il concetto di “costo di diretta imputazione” al concetto
di “costo specifico”, come definito nell’ambito della C.M. n.40/E/81 relativa alla contabilità
di magazzino.
Analizzando i contenuti di tale ultimo provvedimento di prassi – che affermano la
sostanziale assimilazione tra costo di diretta imputazione e costo specifico – si giunge
alla conclusione che:
in ben pochi casi le attività di prestazioni di servizi svolte dagli enti non commerciali,
ancorché non rientranti nella previsione dell’art.2195 del c.c., non organizzate e
conformi alla finalità istituzionali, possono soddisfare l’ultimo dei quattro requisiti
elencati in precedenza.
Enti di tipo associativo
Con riferimento alla tipologia degli enti di tipo associativo – fattispecie nella quale
rientrano la maggior parte dei circoli ricreativi - il Legislatore ha previsto, al verificarsi
di talune condizioni, un trattamento di maggior favore rispetto a quello previsto per la
generalità degli enti non commerciali. Tale disciplina è contemplata dall’art.148
(vecchio art.111) del Tuir.
L’art.148 del Tuir reca la disciplina degli enti non commerciali di tipo associativo, i quali
sono destinatari di uno speciale regime tributario di favore sia ai fini delle imposte sui
redditi, che ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. In quanto costituenti una specie del più
ampio genere degli enti non commerciali, essi sono assoggettati in via generale alla
disciplina propria degli enti non commerciali. Tuttavia, relativamente alle attività rese
all'interno della vita associativa, fruiscono di un trattamento agevolato in presenza delle
condizioni espressamente indicate a tale fine dalla legge.
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Per tutti si veda Leo, Monacchi, Schiavo, “Le imposte sui redditi nel testo unico”, Giuffrè editore, Milano, 1999, pag.1462, Tomo II.
G.M. Colombo, “Note critiche alla riforma fiscale del mondo del no profit”, in Corriere Tributario n.39/00, pag.2860.
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Art.148 del Tuir
Introduce una regola generale che sancisce l'esclusione dall'ambito
della commercialità dell'attività svolta da:
co.1, art.148
• associazioni;
• consorzi;
• altri enti associativi
nei confronti degli
associati o
partecipanti
sempre che la stessa sia esercitata
in conformità alle
finalità istituzionali
co.2, art.148
co.3, art.148
e
in assenza di una
specifica corrispettività
Conferma, invece, la natura commerciale delle cessioni di beni e delle
prestazioni di servizi rese, ancorché in conformità alle finalità
istituzionali, agli associati o partecipanti verso pagamento di
corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari
determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali
danno diritto.
Introduce, in parziale deroga alla disposizione contenuta nel
precedente
secondo
comma,
delle
ipotesi
di
attività
decommercializzate con riferimento a particolari tipologie di enti
associativi. Si tratta, in particolare, di:
− associazioni politiche;
− associazioni sindacali;
− associazioni di categoria;
− associazioni religiose;
− associazioni assistenziali;
− associazioni culturali;
− associazioni sportive dilettantistiche;
− associazioni di promozione sociale;
− associazioni di formazione extra-scolastica della persona.
Le attività poste in essere dai predetti soggetti non rivestono carattere
commerciale qualora siano svolte in diretta attuazione degli scopi
istituzionali e nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti,
ancorché verso pagamento di corrispettivi specifici. Tale regime
agevolato, quindi, si rende applicabile qualora sussistano
congiuntamente i seguenti tre presupposti:
1. le attività agevolate devono essere effettuate da ben definite
tipologie di associazioni;
2. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi devono essere rese
agli associati;
3. le stesse attività devono essere effettuate "in diretta attuazione
degli scopi istituzionali".
L’ultimo requisito richiesto per poter godere dei benefici fiscali prevede
che le attività devono essere svolte "in diretta attuazione degli scopi
istituzionali". Tale verifica deve essere compiuta, sempre secondo la
citata C.M. n.124/98, seguendo le indicazioni fornite dalla sentenza
n.467/92 della Corte Costituzionale e, quindi, alla stregua di criteri
obiettivamente riscontrabili e non sulla base di un'auto qualificazione
risultante dalle sole indicazioni statutarie.
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co.4, art.148
co.5, art.148
Introduce una presunzione assoluta di commercialità per talune
prestazioni, ancorché le stesse siano rese dall’ente di tipo associativo
nei confronti dei propri associati. Si tratta, per quanto attiene alla
problematica in esame, delle:
− somministrazioni di pasti;
− gestione di spacci aziendali e di mense.
È opportuno segnalare che tali attività, qualificate commerciali per
presunzione a prescindere dal soggetto che le pone in essere,
ancorché presentino caratteristiche diverse dall’attività di
somministrazione di alimenti e bevande tipica dei bar, vengono –
in talune pronunce giurisprudenziali – assimilate con conseguenze
non condivisibili in termini di qualificazione fiscale delle stesse.
Vale, infine, la pena accennare che il comma 5 introduce un’ulteriore
deroga rispetto a quanto previsto nei commi precedenti con
riferimento, però, solo ad alcune specifiche tipologie di associazioni:
“Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui
all'art.3, co.6, lett.e), della L. n.287/91, le cui finalità assistenziali siano
riconosciute dal Ministero dell'interno, non si considerano commerciali,
anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la
somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui
viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e
l'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché le predette
attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta
attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli
stessi soggetti indicati nel co.3”.
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In particolare, per le associazioni di promozione sociale , viene sancita
la non commercialità dell’attività di somministrazione di alimenti e
bevande al verificarsi delle seguenti tre condizioni:
1. l'attività deve essere effettuata da bar ed esercizi similari presso le
sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale;
2. l'attività deve essere svolta nei confronti degli iscritti, associati o
partecipanti anche di altre associazioni che svolgono la medesima
attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto
fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale e dei
tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;
3. deve trattarsi di attività strettamente complementare a quelle svolte
in diretta attuazione degli scopi istituzionali.
Secondo l’amministrazione finanziaria - R.M. n.217/E/95 - l’espressa previsione di
non commercialità per le somministrazione di alimenti e bevande effettuata da bar o
servizi similari interni all'associazione, con riferimento alle sole associazioni di
promozione sociale, fa ritenere che nei confronti di tutti gli altri enti di tipo associativo
l'attività di somministrazione di alimenti o bevande nei bar interni ai circoli ricreativi,
anche se svolta nei confronti dei propri associati, abbia carattere commerciale.
10
Con la circolare n.124/E/98 l’amministrazione finanziaria ha chiarito l’ambito di applicazione di tale norma definendo le associazioni
di promozione sociale come quelle associazioni che promuovono la solidarietà e il volontariato nonché l’aggregazione sociale
attraverso lo svolgimento di attività culturali e sportive, al fine di innalzare la qualità della vita, come per esempio ACLI ed ARCI
(soggetti che hanno ottenuto il riconoscimento del ministero dell’interno). Con riferimento alla corretta individuazione delle
associazioni di promozione sociale menzionate dal co.5 dell’art.148 del Tuir, va segnalato che per effetto dell’emanazione della
legge-quadro n.383/00 – che ha tra l’altro comportato l’istituzione del registro nazionale delle associazioni di promozione sociale –
oggi sono presenti due distinte tipologie di associazioni di promozione sociale (quelle “vecchie” e quelle “nuove”) per cui non è
chiaro se le agevolazioni in commento siano applicabili ad entrambe le categorie di associazioni di promozione sociale.
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Imponibilità Iva
Analoghe considerazioni a quelle effettuate in materia di imposte dirette possono
evidenziarsi in ambito Iva. Gli indirizzi maggiormente favorevoli al contribuente
stabiliscono l’esclusione dal campo di applicazione dell’Iva dei proventi derivanti dalla
gestione di bar presso circoli, riconducendo la somministrazione nella fattispecie
individuata dall’art.4, co.4) del DPR n.633/72.
Di conseguenza, l’attività di gestione di un bar presso un sodalizio sportivo è assimilata
ad una prestazione di servizi nei confronti di associati e partecipanti, in conformità alle
finalità istituzionali, ed esclusa dal campo di applicazione dell’Iva.
Pertanto, secondo la tesi giurisprudenziale minoritaria favorevole al contribuente, si può
affermare che i proventi derivanti dalla gestione di bar si configurano come esclusi,
quando sono contestualmente soddisfatte determinate condizioni.
Diversamente, e secondo le tesi dell’amministrazione finanziaria e giurisprudenziale
prevalenti, la gestione di un esercizio di bar non può ritenersi coerente e farsi rientrare tra
le finalità di circolo sportivo.
La gestione di bar ha intrinseca e incontestabile natura commerciale e, come tale, non
può ricondursi fra le finalità proprie delle associazioni. Il beneficio dell’esclusione da Iva,
pertanto, è da attribuire solo a quelle somministrazioni poste in essere dalle associazioni
di promozione sociale, che soddisfino le condizioni evidenziate dal co.6, art.4, DPR Iva
(disposizione che in campo Iva “doppia” quanto già affermato nel settore delle imposte
dirette dal quinto comma dell’art.148 del Tuir)
Le posizioni della giurisprudenza di Cassazione
Alla luce di quanto esaminato in precedenza, appare ora più chiaro come non sia corretto
parlare semplicemente di attività di somministrazione di alimenti e bevande (gestione del
bar) da parte di un generico ente non commerciale. Occorre, infatti:
€ da un lato verificare la natura del soggetto operante nel settore del no profit che
pone in essere tale attività;
€ dall’altro verificare il rispetto delle precise condizioni (non sempre, tuttavia, agevoli
da interpretare) che la normativa fiscale prevede ai fini della loro
decommercializzazione.
In questo senso, l’esame delle diverse pronunce giurisprudenziali emanate
sull’argomento deve necessariamente avvenire conducendo un’attenta analisi del caso
concreto oggetto della decisione, evitando, peraltro, di giungere a conclusioni
generalizzate. Il mancato rispetto o la diversa interpretazione di una sola condizione
prevista dalla norma fiscale, infatti, può far giungere a conclusioni esattamente opposte.
Sentenza n.25462 del 20 ottobre 2008
“Il circolo che distribuisce bevande dietro il pagamento di un corrispettivo e che rilascia
immediatamente le tessere a chi si presenta all’ingresso è di fatto aperto al pubblico e,
pertanto, ai fini fiscali, esercita un’attività commerciale”.
È quanto stabilito, in tema di Iva, dalla summenzionata sentenza, con la quale i giudici
della Suprema Corte hanno osservato come l’argomentazione sostenuta dal club in
questione si ponesse irrimediabilmente “in contrasto” con l’orientamento di legittimità, dal
momento che più volte è stato affermato che
l’attività di bar con somministrazione di bevande dietro pagamento di corrispettivi
specifici svolta da un circolo sportivo, culturale o ricreativo, “anche se effettuata ai
propri associati”, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali dell’associazione,
ma è da ritenere, ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale.
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La Corte ha confermato il proprio orientamento in materia, se si osserva che la prova
dell’apertura concreta al pubblico dei locali di un circolo vale a imprimere l’impronta di
commercialità all’attività ivi esercitata. Lo snodo decisivo della natura lucrativa dell’attività
svolta non è rappresentato tanto dalle prestazioni effettuate nei confronti dei clienti “non
soci”, quanto - a prescindere dal requisito associazionistico - “dalla somministrazione di
bevande dietro pagamento di corrispettivi specifici”.
Ciò vuol dire che, per i giudici di legittimità, l’attività di bar rientra di per sé nella nozione
civilistica di attività commerciale, prescindendo sia dalla tipologia dei destinatari delle
prestazioni sia dalla conformità alle finalità istituzionali perseguite dall’ente.
Va da sé che, su tali presupposti, l’attività rientra nel campo impositivo. L’argomentazione
della Corte è, del resto, perfettamente in linea con la normativa tributaria di settore
(artt.148 del Tuir, per le imposte sui redditi, e 4 del DPR n.633/72, per l’Iva).
È da rilevare, comunque, come tale orientamento evidenzi un particolare rigore
nell’esclusione di qualsiasi possibile relazione di conformità tra la gestione dell’attività di
bar e le finalità istituzionali perseguite, in presenza delle quali le norme Iva e Ires
accorderebbero la non imponibilità delle relative prestazioni; finalità che devono
riguardare, peraltro, la cultura, lo sport, l’assistenza ecc..
In tal modo la Cassazione, dando peso risolutivo alla somministrazione di bevande che
avviene verso la corresponsione di corrispettivi specifici, “anche se effettuata ai propri
associati”, ha drasticamente mostrato, nella sentenza in commento, di non salvare
neppure quelle prestazioni eseguite “esclusivamente” nei confronti di propri associati (in
genere in numero limitato) nell’ambito delle quote associative versate periodicamente dai
medesimi, circostanza che merita sicuramente un distinguo e una maggiore
ponderazione, senza – naturalmente – che si arrivi ad ammettere che l’associazione “sia
arbitra della propria tassabilità” (Corte Costituzionale, sentenza n.467/92).
Cassazione sez. V, sent. n.22533 del 26.10.07, - Natura commerciale dell’esercizio bar
nell’ambito di un circolo culturale ricreativo
In tema di imposte sui redditi, la gestione di esercizio bar con somministrazione di
bevande ed alimenti all’interno dei locali di un circolo culturale ricreativo, effettuata verso
pagamento di corrispettivi specifici ai soli associati, non rientra in alcun modo tra le
finalità istituzionali di un club sportivo, culturale, ricreativo e deve, quindi, ritenersi attività
di natura commerciale, i cui proventi sono soggetti ad imposizione fiscale.
La Suprema Corte ribadisce il principio consolidato, con riferimento al sistema vigente
anteriormente all’entrata in vigore della L. n.383/00 (che ha poi consentito ai circoli di
finanziarsi con attività commerciali consistenti nella cessione di beni e servizi ai soci ed a
terzi).
Cassazione sez. V, sent. n.14223 del 19.06.07 – Iva: negata esenzione per i circoli
privati
La Cassazione afferma che la gestione di esercizi di bar-caffè, per la mescita di bevande
ai propri associati, effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, non rientra in
alcun modo tra le finalità istituzionali di un club sportivo, culturale, ricreativo e, quindi,
devesi ritenere attività di natura commerciale, i cui proventi sono soggetti ad imposizione
fiscale.
Cassazione, sent. n.7953 del 30.03.07
Anche questa sentenza si muove nel solco della giurisprudenza prevalente, non
lasciando spazio ad indagini di tipo soggettivo per rinvenire una possibile relazione
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IL CASO
qualitativa con il fine istituzionale dell’ente che esoneri l’esercizio dell’attività di bar dalla
sua naturale caratteristica commerciale e, dunque, dalla rilevanza tributaria.
La Cassazione non lascia, quindi, spazio ad alcuna indagine di tipo soggettivo tesa ad
approfondire e ad individuare una possibile relazione funzionale, cioè qualitativa, che
salvi ed esoneri l’esercizio dell’attività di bar dalla sua naturale caratteristica commerciale
e, dunque,dalla rilevanza tributaria (ai fini Ires, Irap e Iva).
Con riferimento alla sentenza n.612/06, la Corte di Cassazione ha affrontato il
caso di un circolo dotato di un bar per la somministrazione di alimenti e bevande,
la cui entrata era situata su una pubblica via con tanto di cartelli pubblicitari dei
prodotti smerciati. In relazione a tale fattispecie, la Suprema Corte ha affermato –
sulla scorta dei principi generali contenuti nell’art.143 del Tuir – che in presenza di
una specifica organizzazione e, soprattutto, in presenza di prezzi praticati che
eccedono i costi di diretta imputazione l’attività di bar del circolo ricreativo, lo
stesso assume carattere commerciale.
Con due pronunce (sentenze n.19843/05 e n.19840/05), la stessa Corte ha
riconosciuto quali commerciali le attività di bar gestite da un circolo, affermando
che le finalità istituzionali prese in considerazione dalla normativa al fine di
sottrarre alla tassazione le attività relative - oggettivamente commerciali - non
possono essere considerate in senso così ampio da ricomprendere anche le
somministrazioni tipiche del bar, ancorché svolte nei locali dell’associazione e nei
confronti dei soli soci o associati. La gestione nell’ambito delle strutture
associative di un esercizio di bar non può, secondo la Corte, ritenersi coerente, e
farsi rientrare tra le finalità istituzionali di un’associazione culturale, assistenziale o
sportiva.
Nel caso concreto, peraltro, la Corte ha rilevato che l’esistenza di un reddito
derivante dalla gestione di un bar e dalla commercializzazione di beni, a prezzi
quasi identici a quelli praticati negli esercizi pubblici, costituiva prova della natura
commerciale dell’attività, stante, peraltro, che il Circolo non aveva tenuto una
regolare contabilità dalla quale potersi desumere che i corrispettivi non
eccedevano i costi di diretta imputazione.
In tale contesto - secondo la Corte - è irrilevante l’ulteriore circostanza relativa ai
soggetti (soci od estranei), cui la somministrazione veniva effettuata, dovendo
riconoscersi rilevanza impositiva anche alle cessioni fatte ai soci ove, come nel
caso, l’attività non rientri tra i fini istituzionali.
Detto in altri termini, come la stessa Cassazione ha affermato con la sentenza
n.18704/05, l’attività di somministrazione può essere considerata irrilevante ai fini
tributari solo se svolta in conformità alle finalità istituzionali dell’ente. Tuttavia,
quanto appena citato è un assunto giuridicamente troppo fragile per un’attività - la
gestione di un bar - che, se stabile ed organizzata professionalmente, assume
nell’ordinamento, salva la deroga specifica riferita alle associazioni di promozione
sociale, carattere commerciale. Tant’è che secondo altra, ormai prevalente,
giurisprudenza della stessa Cassazione, l’assunto che vi possa essere
compatibilità tra la gestione di un vero e proprio bar e l’attuazione di una
qualsivoglia ideale finalità associativa è poco credibile.
Accanto all’estrema rigidità delle sentenze richiamate in precedenza – le cui conclusioni
peraltro, con specifico riferimento ai casi esaminati dalla Corte, sono da chi scrive
pienamente condivise – si rinvengono altre pronunce nelle quali il collegamento tra
l’attività di somministrazione di alimenti e bevande e le finalità istituzionali dell’ente viene
opportunamente valorizzato.
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In tale contesto la Cassazione, con la sentenza n.280/04, ha introdotto aperture
significative, proprio nel senso della necessità di tener conto della pluralità di scopi che
un’associazione culturale, sportiva o comunque di assistenza sociale può avere.
Inoltre, la Cassazione, con la sentenza n.18560/05, ammette alla non imponibilità le
somministrazioni del bar, sul presupposto che ne sia scontata la strumentalità e
l’accessorietà alle finalità istituzionali, e che tale nesso ne giustifichi l’attrazione.
Riassumendo:
I recenti interventi della Cassazione
Sentenza
Cassazione, sent. n.25462/08
Cassazione, sent. n.22533/07
Cassazione, sent. n.14223/07
Cassazione, sent. n.7953/07
Cassazione, sent. n.612/06
Cassazione, sent. n.19843/05
Cassazione, sent. n.19840/05
Cassazione, sent. n.18560/05
Cassazione, sent. n.280/04
Cassazione, sent. n.6340/02
Cassazione, sent. n.310/99
Tributo
Iva
Ires
Iva
Iva
Ires
Ires
Iva
Iva
Iva
Iva
Iva
Favorevole al contribuente
No
No
No
No
No
No
No
Si
Si
No
No
La Corte ha, dunque, confermato il proprio orientamento in materia. Ciò vuol dire che, per
i giudici di legittimità, l’attività di bar rientra di per sé nella nozione civilistica di attività
commerciale, prescindendo sia dalla tipologia dei destinatari delle prestazioni, sia dalla
conformità alle finalità istituzionali perseguite dall’ente.
Lo spazio di dubbio, o di incertezza, che attualmente resta aperto è infatti solo quello
lasciato da una corrente giurisprudenziale minoritaria della Suprema Corte.
In altre parole, se compito delle associazioni è fondamentalmente l’aggregazione, lo
“stare insieme” magari attorno ad un progetto di divulgazione di valori culturali o anche
sportivi, e se in tali finalità può riconoscersi di volta in volta assistenza sociale o culturale,
è però abbastanza certo escludere da tale contesto la funzionalità della attività di
somministrazione di alimenti e bevande.
L’unico tacito e sommesso consenso si ha sul fatto che solo in un caso specifico, quello
delle associazioni di promozione sociale (con una distinzione non troppo agevole tra
associazioni di promozione sociale “vecchie” e “nuove”, come già ricordato in
precedenza), tale attività non assume mai - ma solo per una espressa deroga normativa il carattere della commercialità che ad essa fisiologicamente competerebbe.
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