Circuiti termici
La gran parte delle esigenze di scambio termico in un impianto chimico si riescono a soddisfare
utilizzando acqua, per raffreddare, o vapore d’acqua, per riscaldare. Tuttavia, quando la temperatura
del fluido di processo scende al di sotto di quella ambiente, o supera quella raggiungibile con
vapore d’acqua ad alta pressione (circa 220°C), occorre utilizzare fluidi termici: questi scambiano
calore con il fluido di processo e, quindi, cambiano la loro temperatura o il proprio stato fisico: per
poterli riutilizzare occorre riportarli alla temperatura (o stato fisico) originario, e questo richiede di
mettere a punto un ciclo con cui sia possibile, in modo sufficientemente economico, riportare i
fluidi termici nelle condizioni originarie. In pratica si utilizzano dei cicli che prevedono l’utilizzo di
un forno per i fluidi termici che lavorano ad alta temperatura e cicli frigoriferi per quelli che
lavorano a bassa temperatura.
Alla temperatura di utilizzo, i fluidi termici devono presentare alcune caratteristiche, molte delle
quali sono le medesime per i fluidi che lavorano ad alta e a bassa temperatura:
- elevato valore del calore specifico e della conducibilità termica;
- bassa viscosità;
- assenza di aggressività (o limitata aggressività);
- bassa tendenza a formare incrostazioni;
- buona stabilità termica (per i fuidi termici che lavorano ad alta temperatura)
- bassa pericolosità, ossia assenza di tossicità (o bassa tossicità), assenza di infiammabilità (o
bassa infiammabilità);
- basso costo.
In alcuni casi, può essere desiderabile che il fluido termico cambi di stato alla temperatura di
utilizzo, ossia condensi (se è un fluido riscaldante) o evapori (se è un fluido raffreddante), a
pressioni non troppo lontane da quella ambiente.
Circuiti termici a olio caldo (hot oil)
I più comuni fluidi termici che si utilizzano ad elevate temperature sono riportati in tabella.
Intervallo di tem- Stato fisico alla tem- Temperatura di
peratura di utilizzo peratura di utilizzo ebollizione (°C)
Olio termico
Composizione
Dowtherm E
O-diclorobenzene
0 / + 260 °C
Vapore (a T > 180°C)
180
Dowtherm H
Olio aromatico
-10 / +290 °C
Liquido
368
Dowtherm J
Aromatico alchilato
-70 / + 300 °C
Vapore (a T > 180°C)
181
Dowtherm G
Di e triariletere
-10 / +340 °C
Liquido
302
Dowtherm A
Eutettico
difenileossido di difenile
+16 / + 400 °C
Liquido o vapore (a
T> 260°C)
262
Mobiltherm 600
Aromatico alchilato
-20 / + 315 °C
Liquido
Therminol 44
Estere modificato
-50 / + 220 °C
Liquido
Therminol 55
Aromatico alchilato
-20 / + 315 °C
Liquido
Therminol 60
Aromatico
-50 / +315 °C
Liquido
315
Therminol 66
Terfenile modificato
-6 / +340 °C
Liquido
357
Therminol 88
Terfenile misto
+150 / +430 °C
Liquido
371
338
L’utilizzo di un circuito ad olio termico consente di servire un certo numero di utenze che
richiedono di ricevere calore ad alta temperatura, utilizzando il numero necessario di scambiatori di
calore a fascio tubiero, ma un unico forno, in cui l’olio termico viene riportato in temperatura:
questa soluzione risulta più economica rispetto all’utilizzo di un forno per ogni utenza, posto che le
singole duty richieste non siano eccessive. Il circuito deve prevedere un serbatoio di accumulo, con
la funzione di vaso di espansione: infatti, l’olio viene caricato nel circuito a temperatura ambiente e,
portandosi alla temperatura operativa, la sua densità diminuisce, ossia il volume occupato aumenta.
Il serbatoio di accumulo viene quindi riempito fino a un livello minimo con l’olio freddo; noto il
volume geometrico complessivo delle tubazioni del circuito, e la massima temperatura raggiunta
dall’olio, si può calcolare il volume che occupa l’olio caldo. La differenza tra il volume occupato
dall’olio caldo e dall’olio freddo deve trovare posto nel recipiente di accumulo, determinando
l’innalzamento del livello dal valore minimo a quello massimo. Il serbatoio di accumulo può
lavorare a pressione atmosferica, se il liquido è poco volatile, oppure in pressione, se necessario;
può essere anche prevista una immissione di inerti, nel caso di oli termici infiammabili. L’olio caldo
proveniente da forno alimenta le utenze in parallelo: occorre prevedere un ramo di bypass che
consenta di mantenere l’olio in circolazione anche qualora le utenze non lo richiedessero, o ne
richiedessero una portata ridotta. Infatti, è necessario che una certa portata di olio circoli in ogni
caso in modo da mantenere bassa la temperatura della parete dei tubi nel forno. Se fosse necessario
arrestare la circolazione dell’olio occorrerà anche interrompere il funzionamento del forno.
Circuiti frigoriferi
Per assicurare la refrigerazione di un fluido di processo a temperature inferiori a quella ambiente
occorre individuare un opportuno fluido frigorifero, caratterizzato da una temperatura di ebollizione
inferiore a quella del fluido di processo, che viene raffreddato per effetto della vaporizzazione del
fluido frigorifero. Se possibile, si cerca di utilizzare come fluido frigorifero qualche prodotto già
presente nell’impianto: tra i più comuni fluidi frigoriferi ci sono l’ammoniaca, il propano, il
propilene e, più raramente, butano, etilene o metano. La vaporizzazione del fluido frigorifero viene
in genere realizzata a bassa pressione (se possibile atmosferica), oppure sotto vuoto. Affinché il
fluido frigorifero possa essere riutilizzato va riportato allo stato liquido: ovviamente, questa
operazione non può essere fatta, semplicemente, facendogli scambiare calore con un fluido più
freddo, altrimenti il problema si riproporrebbe per quest’ultimo. Per riportare il fluido frigorifero
allo stato liquido occorre quindi aumentare la sua pressione, fino a rendere possibile la sua
condensazione utilizzando un refrigerante comune (acqua industriale o aria), ovvero assorbirlo in un
liquido ad alta pressione. I più comuni cicli frigoriferi sono quindi quelli a compressione e ad
assorbimento.
La tabella riporta la tensione di vapore di ammoniaca, propilene e propano a varie temperature.
Temperatura (°C)
Tensione di vapore
dell’ammoniaca (atm)
Tensione di vapore
del propilene (atm)
Tensione di vapore
del propano (atm)
-62.2
-
0.490
0.378
-51.1
0.378
0.850
0.665
-40.0
0.707
1.408
1.102
-28.9
1.245
2.184
1.735
-17.8
2.068
3.265
2.592
-6.7
3.265
4.762
3.810
4.4
4.966
6.531
5.442
15.6
7.313
8.912
7.483
35.0
13.401
14.422
12.041
51.7
20.612
21.361
17.687
Cicli frigoriferi a compressione
Nella sua versione base, un ciclo frigorifero a compressione prevede che il fluido di processo sia
inviato di uno scambiatore di calore in cui si raffredda a spese del calore di evaporazione del fluido
frigorifero: come apparecchio si può utilizzare un “chiller” (sostanzialmente un kettle privo di
stramazzo e in cui la vaporizzazione avviene a bassa temperatura) o un altro ribollitore. La
pressione operativa, per quanto riguarda il lato in cui vaporizza il fluido frigorifero, è fissata in
modo da avere un salto termico soddisfacente con il fluido di processo. Il vapore uscente dal chiller,
o quello uscente dal recipiente di separazione liquido-vapore posto a valle del ribollitore parziale,
viene compresso, utilizzando un compressore centrifugo o volumetrico, fino ad una pressione tale
da poterlo condensare refrigerando con acqua industriale (o, eventualmente, con aria) e passa nel
condensatore. La temperatura di condensazione del fluido frigorifero deve essere superiore a 40°C
(condensazione con acqua) o 50-55°C (condensazione con aria), per cui la pressione risulta elevata.
Il liquido uscente viene inviato ad un serbatoio di accumulo, da cui si preleva il liquido da avviare
nuovamente al ribollitore: prima dell’ingresso nel ribollitore, il liquido, che si trova a pressione
elevata e a temperatura superiore a quella ambiente, subisce un’espansione in valvola, che riporta la
sua pressione al valore (basso) del ribollitore. L’espansione è isoentalpica e comporta la
vaporizzazione di parte del liquido refrigerante, mentre la parte che rimane liquida si raffredda fino
alla temperatura corrispondente alla tensione di vapore del liquido alla pressione dell’evaporatore.
Nell’espansione si ha quindi la formazione di una non trascurabile frazione di vapore che, di fatto,
passa nel ribollitore senza poter essere utilizzata per refrigerare il fluido di processo, ma richiede,
comunque di essere compressa e condensata, con i costi conseguenti. Si potrebbe dire che questo è
il “prezzo” da pagare per condensare il fluido frigorifero con un refrigerante che si trova a
temperatura maggiore di quella ambiente.
La frazione di liquido che evapora nell’espansione si può calcolare dalla:
=
∙
−
λ
Fvap = frazione in massa della corrente, inizialmente liquida, che vaporizza
cpL = calore specifico del liquido (J/kg°C)
Tiniz = temperatura del liquido a monte della valvola di espansione (°C);
Tfin = temperatura del liquido a valle della valvola di espansione (°C);
λvap = calore latente di vaporizzazione del liquido (J/kg).
La versione di base di un ciclo frigorifero a compressione è mostrata nella figura seguente.
La frazione di vapore che si forma aumenta considerevolmente all’aumentare della differenza di
temperatura tra la sezione a monte e quella a valle della valvola. A titolo di esempio, se si utilizza
come fluido frigorifero propano, che viene condensato con acqua industriale a Tin = 40°C e viene
vaporizzato nel chiller a pressione atmosferica (Tfin = -42°C), noti i valori di cpL = 2.45 kJ/kg°C e
λvap(-42°C)= 429 kJ/kg, si ricava Fvap = 0.468.
L’espansione può essere anche realizzata in due stadi: il vapore che si sviluppa dopo la prima
espansione viene separato dal liquido in un recipiente a pressione intermedia (economizer) e inviato
al secondo stadio di compressione. Il liquido procede attraverso il secondo stadio di espansione, in
cui si ha una più ridotta formazione di vapore, e passa nel chiller in cui vaporizza completamente; il
vapore uscente viene avviato al primo stadio di compressione, come mostra la figura seguente, che
si riferisce ad un ciclo ad ammoniaca.
Quando si devono raggiungere temperature molto basse si possono utilizzare cicli frigoriferi in
cascata: i vapori del fluido frigorifero che provvede a refrigerare il fluido di processo vaporizzando
a temperatura molto bassa viene compresso e condensato utilizzando come refrigerante un secondo
fluido frigorifero, che vaporizza a temperatura un po’ più alta; questo, a sua volta, può essere
condensato utilizzando un terzo fluido frigorifero, a temperatura ancora un po’ più alta; l’ultimo
fluido frigorifero viene condensato con acqua industriale. Ad esempio, si può utilizzare metano, che
vaporizza a – 125°C e, una volta compresso, condensa a – 96°C, poi etilene, che vaporizza a -101°C
e condensa a -43°C, quindi propilene, che vaporizza a -48°C e condensa a 39°C, per scambio
termico con acqua industriale.
La figura seguente mostra un ciclo frigorifero a cascata che utilizza etilene e propilene.
Cicli frigoriferi ad assorbimento
Nel ciclo frigorifero ad assorbimento il fluido frigorifero, vaporizzato nello scambiatore di calore in
cui viene refrigerato il fluido di processo, viene inviato in una colonna di assorbimento, dove viene
assorbito da una soluzione. La soluzione viene quindi pompata e inviata ad una colonna di stripping
(che lavora a pressione maggior di quella di assorbimento): dall’alto si recuperano i vapori del
fluido frigorifero, che sono condensati utilizzando acqua industriale (o, eventualmente, un
refrigerante ad aria) e dal basso la soluzione. Il liquido ottenuto dalla condensazione passa in una
valvola di espansione (in cui vaporizza parzialmente) che riporta la pressione, e la temperatura, al
valore necessario per soddisfare le esigenze del fluido di processo e viene inviato al ribollitore. La
soluzione recuperata dal fondo della colonna di stripping viene invece inviata alla colonna di
assorbimento. La fase gassosa necessaria allo stripping viene prodotta inviando al ribollitore parte
della soluzione uscente dal fondo; la soluzione proveniente dall’assorbimento può essere alimentata
in posizione intermedia, trasformando la colonna di stripping in una distillazione vera e propria.
Nell’impianto si effettuano dei recuperi termici, facendo in modo che la soluzione uscente dal fondo
della colonna di stripping e diretta alla testa della colonna di assorbimento scambi calore con quella
proveniente dal fondo della colonna di assorbimento prima del suo ingresso nella colonna di
stripping.
La figura seguente mostra lo schema di un impianto frigorifero ad assorbimento che utilizza una
soluzione acquosa di ammoniaca, che è la tipologia maggiormente utilizzata:
L’impianto reale è abbastanza complesso e può essere realizzato in due stadi, come mostra la figura:
Il ciclo frigorifero ad assorbimento risulta più complicato rispetto a quello a compressione: il costo
di esercizio è legato principalmente al calore da fornire al ribollitore della colonna di stripping, per
cui questo ciclo risulta più conveniente se a tale scopo si può utilizzare qualche altra corrente calda
dell’impianto; per il ciclo a compressione, invece, il costo maggiore è associato all’utilizzo del
compressore.