AA_003817_resource1_orig

annuncio pubblicitario
Il Magistrato di Sorveglianza.
La figura del Giudice di Sorveglianza era già prevista dal codice penale
(art.144, abrogato), dal codice di procedura penale del 1930 (art. 635) e dal
regolamento penitenziario del 1931 (art. 4 R.D. 18.6.31, n. 787).
Si trattava, tuttavia, di un giudice dalle competenze assai limitate,
concernenti perlopiù attribuzioni di carattere amministrativo (a es. applicazione
e gestione delle misure di sicurezza, vigilanza sull’esecuzione delle pene
detentive), tento che si parlò - non a caso - di un’ipotesi eccezionale di
attribuzione di competenze amministrative ad un organo appartenente al
potere giudiziario.
Del resto, essendo quella figura “promiscua” di giudice anche e
soprattutto impegnato in altre funzioni di tipo giurisdizionale, esercitava le
funzioni di “sorveglianza” in termini e modi del tutto episodici e frammentari ed
in forme ancillari rispetto alle competenze giurisdizionali ritenute di maggior
importanza e peso.
Pesava, infine, sulla figura del giudice di sorveglianza, la scarsità dei
poteri attribuitigli per incidere in maniera efficace ed effettiva sulla gestione
dell’esecuzione della pena in carcere, il cui controllo rimaneva al contrario
saldamente nelle mani dell’Amministrazione penitenziaria.
La situazione delle carceri italiane divenne progressivamente sempre più
difficile da gestire con i vecchi strumenti normativi, soprattutto sullo scorcio
degli anni ’70, quando una serie di gravi disordini e proteste dei detenuti pose
all’attenzione dell’opinione pubblica e del legislatore il problema di configurare
il termini nuovi e diversi l’esecuzione penitenziaria, certamente con riferimento
all’espiazione della pena in carcere, ma con una doverosa attenzione a quelle
possibili forme di esecuzione penale esterna che prescindessero, in tutto o in
parte, dal contatto del condannato con la struttura penitenziaria.
Peraltro, in quegli stessi anni la Corte Costituzionale, con una storica
decisione (sentenza n. 204/74, cit.) affermò per la prima volta il diritto del
condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto
sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venisse
riesaminata, al fine di accertare se la quantità di pena già espiata avesse o
meno assolto al suo fine rieducativo.
Tale diritto, precisò inoltre la Corte, “deve trovare nella legge una valida
e ragionevole garanzia giurisdizionale”.
Con la promulgazione della L. 26.7.75, n. 354 (meglio conosciuta come
“Ordinamento Penitenziario”) si attua nel nostro ordinamento una “rivoluzione
copernicana” per effetto della quale il “fuoco” del problema non si individua più
nelle esigenze meramente espiative o retributive della condanna, bensì sulla
persona del condannato, visto come soggetto non più soltanto da contenere e
punire, ma come entità da rieducare e recuperare alla civile convivenza.
In tale ambito vennero costituiti gli Uffici e i Tribunale di Sorveglianza,
organi
giudiziari
cui
vennero
attribuiti
effettivi
poteri
di
controllo
e
connotazione giurisdizionale dell’esecuzione penitenziaria.
In particolare, agli Uffici di Sorveglianza furono preposti uno o più
magistrati
cui
vennero
attribuiti
compiti
di
carattere
giurisdizionale
e
amministrativo su un’articolata serie di materie e ambiti che sono venuti via
via aumentando nel corso degli anni.
Merita senz’altro ricordare che fin dalla sua nascita quale figura
giudiziaria autonoma rispetto agli altri Giudici, l’ufficio del Magistrato di
sorveglianza fu ritenuto – per la delicatezza e impegno delle attribuzioni
commessegli - opportuno che fosse sottratto a qualsiasi possibilità di impiego
in altri compiti o uffici giudiziari, attraverso l’espressa disposizione secondo la
quale il Magistrato di Sorveglianza “non deve essere adibito ad altre funzioni
giudiziarie” (art. 68, comma 4, L. 354/75).
Tale “privilegio” nelle intenzioni del legislatore del 1975 mirava ad
assicurare la completa dedizione della nuova figura di giudice alla vigilanza
sugli istituti di pena e più in generale al controllo di legalità nella fase
dell’esecuzione penale penitenziaria.
Il codice di procedura penale del 1988 ha disciplinato compiutamente la
competenza del Magistrato di Sorveglianza tanto sotto il profilo funzionale
quanto per ciò che riguarda la competenza territoriale.
Più specificamente, l’art. 678 c.p.p. disciplina il procedimento di
sorveglianza
nelle
materie
attribuite
rispettivamente
al
Tribunale
e
al
Magistrato di Sorveglianza1, mentre l’art. 677 c.p.p. disciplina il riparto di
competenza territoriale fra i vari Uffici del Magistrato di Sorveglianza.
E’ stabilita in particolare la prevalenza, quale criterio attributivo della
competenza, il quello del locus detentionis (quello cioè corrispondente al luogo
ove
l’interessato
è
detenuto
all’atto
della
domanda
o
dell’avvio
del
procedimento) e, in subordine, quello della residenza o domicilio ed infine,
qualora risulti impossibile determinare la competenza con i suddetti criteri, si
farà riferimento al Giudice di Sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la
sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere.
Davanti al Magistrato di Sorveglianza le funzioni di pubblico ministero
sono esercitate dal Procuratore della repubblica presso il Tribunale della sede
dell’Ufficio di Sorveglianza (art. 678 comma 3 c.p.p.).
L’evoluzione normativa – che ha attribuito al Magistrato di sorveglianza
sempre maggiori competenze di carattere squisitamente giurisdizionale – e
l’esperienza
maturata
successivamente
alla
riforma
penitenziaria
hanno
tuttavia progressivamente allontanato il Magistrato di Sorveglianza dai primitivi
compiti (quasi esclusivi) di vigilanza e controllo sulla vita all’interno degli
istituti di pena per focalizzarne l’attività soprattutto in materia di applicazione e
gestione delle forme di esecuzione penitenziaria esterna al carcere in
particolare nel settore delle misure alternative alla detenzione.
Tale progressivo distacco del Magistrato di Sorveglianza dalla realtà
penitenziaria è stato oggetto, tra l’altro, di attento esame in seno alla speciale
commissione mista istituita in seno al CSM per valutare le problematiche della
Magistratura di Sorveglianza .
In seno a tale assise si è rilevata la sempre crescente difficoltà
di
evidenziare eventuali disfunzioni o situazioni di illegittimità all’interno del
carcere da parte della Magistratura di Sorveglianza, sempre più costretta – a
causa dell’esiguo numero di magistrati e delle sempre maggiori attribuzioni e
competenze di carattere giurisdizionale che il legislatore assegna a tale
1
Sul procedimento di sorveglianza vedi infra, par. 7.
magistratura – a diradare la propria presenza all’interno degli istituti di pena,
limitando così le occasioni nelle quali i detenuti possono formulare eventuali
reclami
o
denunce
nei
confronti
di
ipotizzate
manchevolezze
dell’Amministrazione penitenziaria.
Ad aggravare la situazione sta inoltre la persistente inerzia del legislatore
che – pur sollecitato in tal senso da autorevoli pronunce della Corte
Costituzionale – non ha ancora provveduto a disciplinare normativamente la
procedura per il reclamo avanti al Magistrato di Sorveglianza contro atti e
provvedimenti dell’Amministrazione, con il risultato che spesso l’intervento del
Magistrato non può incidere concretamente – per mancanza di coattività –
sull’operato dell’Amministrazione penitenziaria impugnato dal detenuto.
Allo stato attuale, le competenze del Magistrato di Sorveglianza si
articolano tanto nel campo della vigilanza e controllo degli istituti di pena,
quanto nel settore amministrativo quanto sempre più in quello propriamente
giurisdizionale.
In particolare il Magistrato di Sorveglianza:
1) esercita la vigilanza sugli istituti di prevenzione e pena, con potere di
relazionare al Ministro della giustizia in ordine ad eventuali carenze o
abusi riscontrati;
2) esercita un controllo di legalità in ordine alla corretta esecuzione delle
pene, impartendo disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni
dei diritti dei detenuti;
3) sovraintende all’esecuzione delle misure di sicurezza personali;
4) esamina le istanze e i reclami dei detenuti ed internati in ordine
all’operato dell’Amministrazione penitenziaria;
5) approva con decreto il programma di trattamento dei condannati e
internati;
6) concede le licenze agli internati e ai detenuti in regime di semilibertà;
7) provvede con decreto sui permessi ai detenuti;
8) presiede alla gestione delle misure alternative dell’affidamento in
prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare;
9) dispone il trasferimento dei detenuti condannati, internati e imputati
presso luoghi esterni di cura;
10)
autorizza la sottoposizione al visto di controllo della corrispondenza
nei confronti di condannati, imputati e internati;
11)
autorizza l’ingresso in carcere dei soggetti di cui all’art. 17 O.P. ed
è organo di impulso in materia di autorizzazione agli assistenti
volontari (art. 78 O.P.);
12)
assume gli atti istruttori in relazione alle istanze di grazia,
formulando il proprio motivato parere in merito alle stesse;
13)
provvede alla dichiarazione di abitualità., professionalità nel reato
o di tendenza a delinquere ed all’applicazione della conseguenziale
misura di sicurezza;
14)
accerta la pericolosità sociale ai fini dell’applicazione, proroga o
revoca delle misure di sicurezza;
15)
decide sulla remissione del debito dei condannati verso lo Stato per
ragioni di giustizia (spese processuali e di mantenimento in carcere);
16)
provvede al ricovero in O.P.G. dei condannati in esecuzione di pena
cui sopravvenga un’infermità psichica;
17)
dispone la prosecuzione provvisoria o la sospensione delle misure
alternative alla detenzione nei casi previsti dagli artt. 51-bis e 51-ter
della L. 354/75;
18)
decide sui reclami formulati dai detenuti nei casi previsti dall’art. 69
L. 354/75;
19)
dispone la non computabilità del tempo trascorso dal condannato o
internato in permesso o licenza ai fini della durata della pena in
espiazione nel caso di mancato rientro in istituto o di altri gravi
comportamenti;
20)
determina le prescrizioni e modalità esecutive delle sanzioni
sostitutive della libertà controllata e della semidetenzione, e ne
presiede la gestione;
21)
provvede
all’audizione
del detenuto
o
internato
nei casi di
procedimento in camera di consiglio nei casi di cui all’art. 127 e 666
c.p.p. e art. 101 disp. att. c.p.p.;
22)
provvede all’accertamento dell’insolvibilità del condannato a pene
pecuniarie ed alla loro conseguente conversione in libertà controllata;
23)
provvede alla sospensione provvisoria dell’esecuzione della pena
nei casi dell’art. 47 co.4 L. 354/75, all’applicazione provvisoria della
misura della detenzione domiciliare nei casi di cui all’art. 47 ter della
L. 354/75;ovvero della sospensione della pena (art.90, d.p.r. 309/90)
o dell’affidamento in prova in casi particolari (art.94, d.p.r. 309/90);
24)
provvede al differimento dell’esecuzione della pena nei casi di cui
all’art. 684 c.p.p.;
25)
applica il c.d. “indultino” (L.207/03);
26)
applica la riduzione di pena a titolo di liberazione anticipata (art.54,
L.354/75);
27)
applica l’espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione
(L. 189/02).
Si è ritenuto opportuno offrire una puntuale elencazione dei compiti
ed attribuzioni del Magistrato di Sorveglianza per sottolinearne ancora una
volta da un lato l’eterogeneità e la consistenza quantitativa e, dall’altro, la
prevalenza
sempre
giurisdizionale
maggiore
rispetto
agli
dei
compiti
aspetti
più
di
carattere
propriamente
squisitamente
amministrativi
caratteristici della figura al momento della sua nascita nel 1930.
Soprattutto a partire dalla ricordata riforma del 1975, il Giudice di
Sorveglianza è stato investito di funzioni giurisdizionali di tipo monocratico e
collegiale (quale componente del Tribunale di Sorveglianza) che ne hanno
progressivamente mutato la sostanza da organo sostanzialmente di vigilanza
carceraria a giudice che sovraintende all’esecuzione delle pene qualsiasi forma
esse
assumano2,
garantendone
costituzionalmente prefigurato.
2
Così si esprime Canepa-Merlo, op.cit., p.52.
la
legalità
e
il
fine
rieducativo
Ulteriori interventi di riforma hanno interessato – nel campo che qui
interessa- i procedimenti riguardanti condannati minorenni, con l’istituzione del
Giudice di Sorveglianza per i minorenni (art. 3 DPR 22.9.88 n. 448) e
dell’Ufficio
e
Tribunale
militare
di
Sorveglianza
con
sede
in
Roma
e
giurisdizione su tutto il territorio nazionale (L. 23.12.86, n. 897).
Fabio Fiorentin
Scarica