Lo sviluppo del pensiero scientifico nel ‘600 Itinerario fisico-epistemologico attraverso le opere di Galilei, Kepler, Descartes, Newton Galileo Galilei Appunti a cura di Enzo Bassetto Johannes Kepler Anno scolastico 2011-2012 Renè Descartes Liceo Classico “Eugenio Montale” San Donà di Piave Isaac Newton 1 - La fisica in Aristotele 1.1 Indagine della natura Prima di entrare nel vivo del pensiero cosmologico copernicano e della rivoluzione scientifica del ‘600, con particolare riferimento alla figura e all’opera di Galileo (1564-1642) che, di fatto, sanciscono l’atto di nascita della scienza moderna, soffermiamo brevemente la nostra attenzione su alcuni punti del pensiero fisico aristotelico: ciò perchè nei secoli XVI e XVII la concezione del mondo e l’indagine della natura sono ancora legati alle assunzioni di Aristotele (Stagira 384 – Calcide 322 a.C.). Nel campo della fisica l’intento generale del filosofo greco poggia sul tentativo di spiegare perché il mondo sia proprio così e non altrimenti, avanzando risposte su un piano meramente qualitativo. Per Aristotele la ricerca nel campo della natura deve possedere caratteristiche di sistematicità e di organicità avendo come obiettivo precipuo quello di Incisione da Raffaello - Scuola di Atene. cogliere l'essenza delle cose: “Noi affermiamo di "Il trionfo della filosofia con un verso dantesco" conoscere un oggetto solo quando reputiamo di conoscerne la prima causa” (Metafisica, I). 1.2 Il movimento Il movimento è l’aspetto peculiare dei fenomeni di natura come si ricava da un passo della Fisica: “Poiché la natura è principio del movimento e del cambiamento e noi stiamo studiando metodicamente la natura, non ci deve rimaner nascosto che cosa sia il movimento.” (Fisica, III) Va, poi, inteso come passaggio dalla potenza all’atto: “L'atto di ciò che è in potenza, in quanto tale, è il movimento”(Fisica, III) Ma il movimento, in quanto tensione verso un’altra condizione, o altro luogo, ha in sé il connotato dell’imperfezione, - “Io chiamo movimento l'atto di ciò che è in potenza in quanto tale… Il movimento sembra essere un certo atto, ma un atto imperfetto” (Metafisica, XI) - non rappresentando lo stato naturale dei corpi, che, al contrario, è definito dalla quiete. Il movimento, poi, per essere tale, ha bisogno di una causa, di un motore (omne quod movetur ab alio movetur) e non si realizza se non in uno spazio pieno (horror vacui) dove i corpi hanno la possibilità di muoversi tramite artificiosi meccanismi di spinta. L’affermazione dell’impossibilità del vuoto scaturisce dall’assunzione che il movimento di caduta di un corpo è uniforme, risultando la velocità finita e inversamente proporzionale alla densità del mezzo in cui avviene il moto. Ne consegue che in uno spazio vuoto la velocità di un corpo dovrebbe essere infinita, affermazione che contrasta con l’osservazione. Per quanto concerne i tipi di movimento, per Aristotele, in natura ne esistono di due specie, quello rettilineo che caratterizza il cambiamento, il divenire come avviene sulla Terra e quello circolare ed uniforme caratteristico del cielo, regno della perfezione, dell’immutabilità, dell’eternità. 1 1.3 Fisica terrestre e fisica celeste Per Aristotele esistono due mondi, il mondo sub-lunare e quello celeste: il primo è costituito dai quattro elementi terra, aria, acqua, fuoco che muovendosi verso l’alto o verso il basso danno luogo ad esseri imperfetti e corruttibili, destinati alla morte; il secondo rappresenta il mondo della perfezione dove i corpi si muovono di moto circolare ed uniforme. Nel mondo sub-lunare il moto può essere naturale o violento (un sasso scagliato verso l’alto) e i corpi, costantemente spinti da una forza, tendono verso la loro sfera naturale (il sasso verso il basso, la fiamma verso l’alto), il tutto all’interno di uno spazio non vuoto. I corpi cadono secondo il loro peso per cui quelli più pesanti cadono più velocemente di quelli leggeri: con linguaggio moderno diremo che esiste una proporzionalità diretta tra forza applicata ad un corpo e la velocità acquisita. Aristotele riprende e perfeziona il modello di Eudosso di Cnido (408-355 a.C.) delle sfere omocentriche portandone a cinquantacinque il numero, sfere che si muovono di moto circolare ed uniforme trascinando con sé, incastonati, i corpi celesti, immobili. Ma quali sono le cause che producono il movimento? All’interno del pensiero aristotelico si possono evidenziare due atteggiamenti diversi. il primo prevede l’esistenza di una sorta di sistema meccanico per cui ogni sfera agganciata a quella superiore sarebbe trascinata da questa nel suo movimento fino a giungere al cielo delle stelle fisse Il sistema delle 8 sfere celesti su cui sono che costituisce il limite estremo del cosmo al di incastonati i corpi celesti Luna, Mercurio, fuori del quale non può esserci alcunché di fisico. Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, stelle fisse. “Al di fuori del cielo non c'è, né è ammissibile che venga ad essere, alcuna mole corporea… Cosicché né ora vi sono più cieli, né vi furono, né è ammissibile che abbiano mai a sorgere: questo cielo è uno, e solo, e perfetto" (De caelo, I). Il secondo prevede l’esistenza di una realtà superiore al cielo delle stelle fisse, un motore trascendente incorporeo che assicuri l’immutabilità e l’eternità del moto: “Poiché tutto ciò che si muove vien mosso da un motore … incorporeo (De caelo, II). La realtà più metafisica che fisica del “perpetuum mobile” pone fine alla successione dei moti prodotti da una causa che teoricamente si protrarebbe all’infinito: “ Ma, poiché è necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da qualcosa, se una cosa è mossa di movimento locale da un’altra che a sua volta sia mossa, e il motore a sua volta è mosso da un altro anch’esso mosso e questo da un altro, e cosí di seguito, è necessario che vi sia un primo motore e che non si proceda all’infinito” (Fisica, VIII). Nel sistema aristotelico la Terra, immobile, è al centro di un universo finito. Va rilevato come per Aristotele il modello delle sfere omocentriche, a differenza di quello di Eudosso concepito, secondo l’ideale platonico, “per salvare le apparenze”, abbia un significato fisico, quindi 2 reale. Le sfere non sono artifici matematici: sono, al contrario, costitutite di un materiale etereo che, in epoca medievale, verrà denominato quintessenza. La concezione aristotelica del moto, così come quella del mondo, pur con qualche tentativo di critica e di revisione in epoca medievale da parte di Buridano (1290-1358) con la teoria dell’impetus o da parte di N. Cusano (1401-1464) che avanza l’ipotesi di un universo infinito non dotato di alcun centro, conserveranno tutta la loro validità fino all’epoca rinascimentale. Traiettoria di una palla di cannone secondo la teoria dell’impetus di Buridano 3 2 - Il rinnovamento culturale del '500: la cosmologia copernicana Non si può dire che i filosofi dell’antichità, primo tra tutti Aristotele, nell’indagine della natura non si fossero confrontati con l’osservazione e l’esperienza, solo che il loro approccio metodologico, come detto in precedenza, si poteva classificare come meramente qualitativo, finalizzato alla ricerca delle cause dei fenomeni. Negli autori medievali, poi, fatta salva qualche eccezione, si afferma l’idea che si raggiunge la conoscenza attraverso la lettura e il commento dei testi antichi (principio di autorità). E’solo nel Cinquecento che si produce nella società un profondo rinnovamento culturale in cui, tra l’altro, vengono ridefiniti il ruolo e la posizione dell’uomo nei confronti della natura e della religione, all’interno di una nuova visione ed interpretazione dell' universo. Il cambiamento radicale, che investe un po’tutti i campi del sapere, non solo quello cosmologico, passa attraverso la figura e l'opera di N. Copernico (1473-1543) Niklas Koppernigk, (italianizzato, Copernico) Il sistema eliocentrico copernicano nasce nella cittadina polacca di Torùn. Avviato alla carriera ecclesiastica, nel 1491 si iscrive all’Università di Cracovia dove apprende i fondamenti teorici dell’astronomia che approfondisce nelle università italiane di Bologna, Padova e Ferrara, tra il 1496 e il 1503. Tornato in Polonia, non tralascia le ricerche astronomiche che culmineranno nella sua opera maggiore, “De revolutionibus orbium coelestium” in cui avanza l'ipotesi della centralità del Sole rispetto a tutti gli altri corpi celesti, ricollegandosi in tal modo al pensiero di Pitagora di Samo (VI secolo a.C.) ed Aristarco di Samo (310-230 a.C.). L'astronomo polacco osserva, inoltre, che il secolare problema delle anomalie giornaliere relative alla posizione reciproca dei vari pianeti, può trovare soluzione se pensiamo che questi ultimi e la Terra si muovano di moto circolare ed uniforme attorno al Sole. Il De revolutionibus circola in estratto tra gli intellettuali dell’epoca, già nel 1530 e l’opera viene completata nel 1532 ma, per timore della censura ecclesiastica, avrà dall’autore l’avallo alla pubblicazione solo nel 1543 che è anche l’anno di morte di Copernico. Risulta, perciò, difficile chiarire fino in fondo la sua posizione rispetto a quanto sostenuto da Andreas Osiander, teologo protestante che, incaricato della pubblicazione, aveva premesso al testo copernicano una prefazione anonima nella quale sosteneva un’interpretazione solo di tipo strumentale della teoria contenuta: si tratterebbe, in sostanza, di un’ipotesi matematica capace di mostrare la coerenza tra astratti calcoli matematici e l'osservazione, senza pretendere che tali calcoli siano significativi della struttura fisica del cosmo. Nella lettera di dedica del De revolutionibus a Papa Paolo III”, Copernico afferma che sono state le incertezze degli altri matematici e i disaccordi fra loro a spingerlo sulla strada della ricerca: “Forse la Santità Vostra non si stupirà del fatto che io abbia osato dare alla luce i frutti del mio lavoro - dopo aver speso tanto fatica nell’elaborarli - e decidere di far stampare i miei pensieri sul moto della Terra; quanto piuttosto si aspetterà di udire da me come mi sia venuto in mente di osare di immaginarmi un movimento della Terra, che è contrario all’opinione ormai accettata dai matematici e che contrasta con il comune modo di considerare le cose. Non voglio nascondere alla Santità Vostra che nient’altro mi ha spinto a pensare ad un nuovo modo di considerare i moti delle 4 sfere del mondo, se non il fatto che giunsi a comprendere che i matematici stessi non si trovano d’accordo nelle loro indagini.”(1). Dopo aver evidenziato gli errori commessi dai matematici nel valutare i moti del Sole e della Luna così da non poter stabilire “la durata costante dell’anno stagionale”, nonché quelli legati ai sostenitori delle sfere omocentriche o degli epicicli, Copernico passa in rassegna quanti, fra gli antichi, hanno avanzato l’ipotesi che la Terra potesse muoversi, sostenendo la legittimità di una ricerca in tal senso anche da parte sua. Sempre nella lettera a Paolo III afferma: “Quindi, incontrata l’occasione, presi anch’io a pensare alla mobilità della Terra. E per quanto l’opinione sembrasse assurda, tuttavia poiché sapevo che ad altri prima di me era stata concessa la libertà di immaginare circoli per dimostrare i fenomeni degli astri, ritenni che anche a me si potesse facilmente concedere di ricercare se, supposto un certo movimento della Terra, potessero essere trovate nelle rivoluzioni degli orbi celesti, dimostrazioni piú ferme di quelle degli antichi. E cosí io, dopo aver considerato che la Terra si muovesse secondo i movimenti che piú avanti le assegno nel testo, trovai infine, dopo una lunga e attenta indagine, che se si rapportano al circuito della Terra i movimenti degli altri astri erranti calcolati secondo la rivoluzione di ciascuna stella, non solo ne conseguono i loro movimenti e fasi, ma anche l’ordine e la grandezza delle stelle e di tutti gli orbi e lo stesso cielo diventa un tutto cosí collegato che in nessuna parte di esso si può spostare qualcosa senza crear confusione delle restanti parti e di tutto l’insieme.”(2) Dalla lettura di questi passi si potrebbe anche ricavare una concezione antitetica rispetto alle indicazioni di Osiander se si tiene conto che l’ispirazione platonica che sottende l’opera dell’astronomo polacco, giustificherebbe una simile lettura: per Platone infatti la matematica non è solo un utile strumento di comprensione dell’Universo ma rappresenta, in modo essenziale, le strutture ordinate e semplici dello stesso. Non a caso uno dei meriti principali dell’ipotesi eliocentrica di Copernico sta nel tentativo di semplificare la complessa architettura di ipotesi che l’astronomia tradizionale aveva costruito per mantenere la posizione centrale della Terra e dell’uomo nell’universo. L'ipotesi eliocentrica di Copernico capovolge, comunque, in modo radicale la prospettiva del mondo, con conseguenze non solo cosmologiche ma anche filosofiche, antropologiche e teologiche. Spostando la Terra dal centro del cosmo, muta infatti anche il posto e il ruolo dell’uomo sia rispetto al mondo che a Dio, in quanto la "rivoluzione copernicana" libera l’uomo dall’illusione di costituire il centro ed il fine di tutto il creato. Ispirandosi al pensiero dei Pitagorici e di Aristarco, Copernico trasforma la Terra in un pianeta al pari di tutti gli altri, teorizzando per essa un moto di rotazione intorno al proprio asse ed uno di rivoluzione annua intorno al Sole, rompendo, così, la divisione aristotelica del cosmo tra regioni lunari e sub-lunari. Tornando ancora alle motivazioni che hanno indotto Copernico alla formulazione dell'ipotesi eliocentrica, riportiamo un passo del “De revolutionibus” in cui lo scienziato polacco molto prudentemente sembra avallare la tesi che il suo modello non ha niente di fisico, di reale ma è solo uno strumento per calcolare, in modo più semplice che in passato, le posizioni dei pianeti. Copernico così si esprime: "Io non dubito affatto che alcuni uomini eruditi, essendosi ormai diffusa la notizia della novità delle ipotesi di quest'opera che rende la Terra mobile e pone immobile il Sole al centro dell'Universo, siano fortemente indignati e pensino che non si debbano turbare le discipline liberali, ben fondate ormai da lungo tempo. (1)- P. Rossi (a cura di), La rivoluzione scientifica: da Copernico a Newton, Loescher, Torino, 1973, pagg. 146-151 (2) – Ibidem, pagg. 146-151 5 Se tuttavia essi volessero esaminare in modo accurato la cosa, essi troverebbero che l'autore di quest'opera non ha fatto niente che meriti biasimo. …infatti non è necessario che queste ipotesi siano vere e neppure verosimili, ma basta questo soltanto: che esse offrano dei calcoli conformi all'osservazione." (3) Al di là delle posizioni degli studiosi sul pensiero di Copernico circa la realtà fisica o meno del suo modello, le ipotesi copernicane si possono così riassumere: a) l'universo è sferico e finito b) la Terra ha forma sferica (convinzione questa che gli deriva dal fatto che durante le eclissi di Luna la Terra proietta sulla Luna stessa un' ombra circolare) c) i pianeti, Terra inclusa, e tutti i corpi celesti si muovono di moto circolare uniforme attorno ad un punto fisso dello spazio occupato dal Sole. Lo stesso Copernico nel De revolutionibus illustra così il suo modello del mondo: " La prima e piú alta di tutte le sfere è la sfera delle stelle fisse, che contiene le altre compreso se stessa e che perciò è immobile, in quanto luogo dell'Universo cui si rapportano il moto e la posizione di tutti gli altri corpi celesti. Alcuni pensano che anch'essa si muova in qualche modo, ma noi, nel corso della dimostrazione del moto della Terra, assegneremo un'altra causa a questa apparenza. Segue quindi Saturno, primo dei pianeti, che compie la sua rivoluzione in trent'anni. Dopo Saturno viene Giove che compie la propria rivoluzione in dodici anni. Poi Marte che compie il suo moto circolare in due anni. Al quarto posto viene la rivoluzione annua [della sfera] in cui è contenuta la Terra con la sfera della Luna, come un epiciclo. Al quinto posto viene Venere che riduce a nove mesi la durata della sua rivoluzione. Al sesto posto infine c'è Mercurio che gira con un periodo di ottanta giorni. Al centro di tutti risiede il Sole”.(4) Il sistema del mondo descritto da Copernico Il modello copernicano, portando con sè la grande novità dell'eliocentrismo, consente: a) di giustificare in modo semplice il moto retrogrado dei pianeti. b) di calcolare, per la prima volta, in modo abbastanza preciso le distanze tra Sole e pianeti. c) di eliminare la centralità e l’immobilità della Terra d) di superare la distinzione tra fisica terrestre e fisica celeste riafferma nel contempo: a) il tema aristotelico della finitezza del cosmo. b) l'ideale platonico della perfezione riguardo alla forma delle orbite (circolari) e al moto dei corpi (circolare ed uniforme) (3) - Ibidem, pagg. 186-188 (4) – Ibidem, pagg. 152-153 6 Le ipotesi suddette creano una rivoluzione di pensiero che non potrà non avere, nel seguito, pesanti conseguenze creando le premesse per uno scontro a livello teologico: accettare, infatti, l'ipotesi della non centralità della Terra equivale a porre in discussione la centralità dell'uomo come creatura privilegiata dell'universo. L'opera di Copernico, pubblicata, come si è detto, nello stesso anno della sua morte, nel 1543, viene accolta senza grande risonanza nelle maggiori università europee, vista più come un lavoro di carattere matematico piuttosto che come un serio tentativo di descrivere in modo corretto la realtà fisica del sistema solare. Distanze dei pianeti dal Sole secondo i calcoli di Copernico Pianeta Valori ottenuti da Copernico Valori attuali espressi in U.A. (distanza TerraSole) Mercurio 0.376 0.387 Venere 0.719 0.723 Terra 1 1 Marte 1.520 1.523 Giove 5.219 5.202 Saturno 9.174 9.540 7 3 - Lo sviluppo del pensiero fisico di Galileo 3.1 Galileo Galilei (1564-1642) Galileo nasce a Pisa e nella città natale segue studi di matematica. Dal 1592 al 1610, il periodo più importante della sua vita come egli stesso afferma, è lettore di Matematica presso l'Università di Padova. Con l'ausilio del cannocchiale ha la possibilità di osservare il cielo come mai nessuno, prima di allora, aveva fatto. I risultati memorabili della sua indagine astronomica sono raccolti nel Sidereus nuncius, opera pubblicata nel 1610. Nello stesso anno ottiene dal Granduca di Toscana Cosimo II la nomina a professore di matematica nell'università di Pisa. Si stabilisce a Firenze, dove, tra l'altro, scrive il Discorso sul flusso e riflusso del Maree con l'intento di dimostrare il moto della Terra e, quindi, la validità della teoria copernicana. Denunciato al S. Uffizio da alcuni domenicani, perchè l'opera è ritenuta in contrasto con le Sacre Scritture, Galileo si difende affermando in alcune lettere che la Bibbia tratta questioni inerenti alla fede e non alla scienza. Nel 1616 il S.Uffizio dichiara falsa ed eretica la teoria copernicana e ammonisce Galileo a non "sostenere e difendere" le tesi di Copernico. Nel 1623 pubblica il Saggiatore, un trattato in cui riafferma l’autonomia della ricerca scientifica rispetto a qualunque condizionamento filosofico e teologico. Nel 1632 pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. Accusato di parteggiare per la tesi copernicana, Galileo, nel 1633, deve sopportare un processo da parte del Tribunale dell’ Inquisizione, nel quale è costretto all'abiura e da cui esce con una pesante condanna. La pena, tramutata, poi, negli arresti domiciliari, permette a Galileo di trascorrere gli ultimi anni della sua vita ad Arcetri, vicino a Firenze, dove scrive Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze, considerati sul piano teorico il suo capolavoro e pubblicati nel 1638. Nella villa di Arcetri, Galileo, muore nel 1642. 3.2 Considerazioni sul moto dei corpi Lo studio del moto dei corpi impegna Galileo fin dall'inizio della sua attività di scienziato e si protrae per buona parte della sua vita. Relativamente al problema del moto, la cultura ufficiale dell’epoca si appoggia su convincimenti che di fatto sembrano inattaccabili nella misura in cui si accordano con il senso comune, con l’osservazione e con il principio di autorità di tradizione aristotelica. Si ritiene che quiete e movimento siano aspetti qualitativamente differenti della realtà fisica, rappresentando la quiete lo stato naturale dei corpi, e che le velocità siano proporzionali alle forze che le producono. Si presuppone che in natura i moti possano essere naturali o violenti e che si realizzino solo in uno spazio non vuoto. Nell' opera giovanile De motu locali Galileo avvia studi relativi alla presunta dicotomia, di tradizione aristotelica, tra moti naturali e moti violenti; per lo scienziato pisano tutti i corpi, anche quelli che apparentemente sembrano tendere verso l'alto, sono sottoposti alla medesima forza che li spinge verso l'unico luogo naturale: il centro della Terra. In questo stesso lavoro sono presenti le prime riflessioni sul moto dei corpi lungo piani inclinati in condizioni ideali, cioè in assenza di attrito, studio che contribuirà notevolmente all’intuizione del principio di inerzia e all’indagine sul moto uniformemente accelerato. Le conclusioni cui giunge Galileo, fin da queste prime fasi di indagine dei fenomeni meccanici, sono in netto contrasto con gli schemi conoscitivi dell'epoca: si va facendo strada l'idea che solo rompendo in via 8 definitiva con tutta l'impalcatura della fisica aristotelica sia possibile costruire una teoria del moto coerente e soddisfacente. Nel periodo padovano, dal 1592 al 1610, Galileo continua gli studi sul moto dei corpi in caduta libera e prende consistenza scientifica l'indagine sul moto dei proiettili, nonché quella che segna la nascita della nuova meccanica, fondata su "sensate esperienze" e "matematiche dimostrazioni", elementi che sono a fondamento del metodo sperimentale nell’indagine della natura. 3.3 Il metodo sperimentale Con Galileo la Fisica diventa scienza: questa affermazione trova la sua legittimità nel fatto che l'indagine scientifica non si esaurisce su un mero piano descrittivo dei fenomeni naturali, ma di questi cerca di dare anche una descrizione quantitativa e lo strumento che permette alla fisica di raggiungere questo scopo è la matematica. Il ruolo che la matematica assume nell'indagine dei fenomeni naturali è descritto mirabilmente in un passo del Saggiatore " La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non si impara ad intender la lingua e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto". Servirsi della matematica per indagare la natura significa osservare ciò che ci circonda con uno spirito nuovo, essere profondamente attivi nella ricerca, procedere alla costruzione di teorie che trovano una loro sintesi in leggi matematiche. All'interno di questo nuovo modo di pensare si colloca quello che solitamente viene chiamato metodo sperimentale galileiano. La fisica, per Galileo, come la geometria, deve essere fondata su principi primi, solo che questi devono essere derivati dall'esperienza piuttosto che dalla mente. Non si deve commettere lo stesso errore di chi prima costruisce dei principi per, poi, inventare spiegazioni per affermarne la validità. Questi uomini, dice Galileo, all'inizio della terza giornata del Dialogo "decidevano prima come far funzionare il mondo e adattavano, poi, ciò che vedevano ai loro preconcetti". A chi continua a ripetere Aristotele, poco oltre, Galileo ribatte: "Quando si hanno le deliberazioni della natura, l'autorità non conta nulla..." Il punto di partenza per una indagine scientifica deve essere, quindi, legato all'esperienza, alle "sensate esperienze" per dirla con lo scienziato pisano. Partire dall'esperienza non significa che l'osservazione della natura debba coincidere con la registrazione di più dati possibile: la realtà è troppo complessa per essere capita fino in fondo. Dobbiamo invece idealizzarla, procedere per astrazione, individuando nel fenomeno fisico quegli aspetti che fanno parte del nostro interrogativo ed eliminando tutti gli altri. Ad esempio se si vuol studiare la caduta di un sasso non interessa prestare attenzione al materiale di cui è composto, alle sue dimensioni, alla sua forma o al suo colore: sono tutti dettagli rispetto al problema che ci siamo posti. Ma la forma del sasso risulterebbe importantissima se volessimo affrontare il problema in un quadro di carattere idrodinamico. Si intuisce come sia sempre molto difficile discernere ciò che è fondamentale da ciò che è accessorio. Per Galileo sono quindi necessarie "sensate esperienze", attente ipotesi di lavoro come elementi che, all'interno di un fenomeno fisico, permettono di discriminare l'importante dal superfluo. Una volta che sono state scelte accuratamente le ipotesi di partenza ed una volta che è stato completato il "progresso matematico" che conduce alla formulazione matematica di una legge fisica, tale legge deve essere sottoposta al "cimento sperimentale" (controllo sperimentale). Tale 9 controllo, però, non coincide sempre con ciò che oggi chiamiamo esperimento. Spesso, per Galileo, l'esperimento è un fatto ideale, una conclusione a cui saremmo necessariamente giunti se l'esperimento fosse stato effettivamente eseguito. Quando nel Dialogo sopra i due massimi sistemi Salviati (Galileo stesso) descrive il moto di una pietra lanciata dall'albero di una nave in movimento e Simplicio gli chiede se ha sperimentato il fatto, Salviati risponde: "Io senza esperienza sono sicuro che l'effetto seguirà come vi dico, perchè così è necessario che segua" (prima giornata.) La sua convinzione che la natura sia scritta in termini matematici e segua leggi semplici lo porta a credere più nelle conclusioni della matematica che non in quelle della mera sperimentazione, principio che si può giustificare tenendo conto anche della strumentazione dell'epoca che non poteva di sicuro garantire risultati con un elevato grado di precisione. Va però ribadito con forza come per Galileo ogni legge fisica, per potersi chiamare tale, deve possedere il carattere della sperimentabilità. 3.4 Principi di inerzia e di relatività Galileo, primo grande osservatore del cielo dell'età moderna, è di fatto anche il fondatore della meccanica terrestre. A lui si devono attribuire una serie di risultati fondamentali quali la scoperta, anche se priva di una formulazione generale, del principio di inerzia o primo principio della dinamica, e il principio di relatività. Con linguaggio moderno il primo principio si può enunciare nel modo seguente: “In assenza di forze esterne un corpo in quiete rimane in quiete e nel caso in cui sia in moto continua a muoversi di moto rettilineo ed uniforme” L’intuizione del principio di inerzia da parte di Galileo lo troviamo già nell’opera giovanile De motu e successivamente nelle grandi opere della maturità. Ecco come si esprime Salviati in un passo del Dialogo: "...nel piano inclinato il mobile grave spontaneamente discende e va continuamente accelerandosi ..., ma sul piano ascendente... il moto impressogli va continuamente scemando, si che finalmente si annichila...Ora ditemi quel che accadrebbe del medesimo mobile sopra una superficie che non fusse nè acclive, nè declive." Una sferetta scendendo da una certa altezza lungo un piano inclinato acquista una velocità che le consentirà di riportarsi alla stessa altezza risalendo lungo piani diversamente inclinati. Nei Discorsi Galileo riafferma tale principio e così si esprime: "Il mio intelletto concepisce un mobile spinto su un piano orizzontale senza nessun ostacolo al moto: è evidente che questo si manterrà costante e non cesserà se il piano si estende all'infinito..." Queste argomentazioni potrebbero indurci a pensare che Galileo avesse chiara l'idea che un corpo in movimento non sottoposto a forze esterne continuasse a muoversi di moto rettilineo ed uniforme. 10 La cosa però non è certa, quello che possiamo dire è che lo scienziato pisano è consapevole del fatto che un corpo in assenza di forze può rimanere in quiete, oppure perseverare nel suo movimento. Un sostenitore della tesi che Galilei non sia mai giunto a formulare il principio di inerzia con la completezza e l’enunciato attuali, è A. Koyrè che, nell’ opera Studi galileiani, afferma che ” la via che conduce al principio di inerzia era, per Galileo, sbarrata dall’esperienza astronomica del moto circolare dei pianeti”** Secondo l’ autore sopra citato, Galileo prevede l’uniformità del moto in assenza di forze solo quando questo è circolare, non rendendosi conto che una tale situazione fisica prevede invece l’esistenza di una forza denominata centripeta ed inoltre, sempre a giudizio di Koyrè, lo scienziato pisano, costantemente condizionato dalla pesantezza dei corpi, concepisce il moto rettilineo in relazione ad un grave in caduta libera, ma tale moto non è uniforme, per cui mai avrebbe potuto formulare correttamente il principio di inerzia. Un risultato su cui non ci sono dubbi di paternità, strettamente legato al principio di inerzia, è il principio di relatività. Galileo afferma l'inconsistenza dello stato di quiete o di moto assoluti. Quiete e moto di un sistema fisico hanno significato solo se rapportati ad altri sistemi. Così, tutti gli oggetti che, all'interno di uno stesso sistema di riferimento, sono animati dallo stesso stato di moto rispetto ad un sistema di riferimento pensato in quiete, risultano reciprocamente fermi. Tale concetto viene affermato da Galileo in un passo della seconda giornata del Dialogo dove si parla di una nave che trasporta merci da Venezia in Siria: "...così le mercanzie delle quali è carica la nave, in tanto si muovono, in quanto, lasciando Venezia, passano per Corfù, per Cipro, e vanno in Aleppo, li quali Venezia, Corfù, etc. restano, né si muovono con la nave; ma per le balle, casse ed altri colli, de quali è carica e stivata la nave, e rispetto alla nave medesima, il moto da Venezia in Sorìa è come nullo, e niente altera la relazione che è tra di loro, e questo, perchè è comune a tutti ed egualmente da tutti è partecipato...". In un altro passo celebre della seconda giornata del Dialogo, Galileo va oltre le considerazioni precedenti. La relatività sopra affermata del moto o della quiete non investe solo aspetti di tipo cinematico; nel ragionamento galileiano intervengono in modo decisivo considerazioni di tipo dinamico: "... Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; [...] le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; [...] e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti [...] [ successivamente ] fate muover la nave con quanta si voglia velocità; chè (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, nè da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina oppure sta ferma: [...] le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benchè, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi;[...]". Il fatto che gli oggetti della nave si comportino nello stesso modo quando questa è ferma oppure in moto rettilineo ed uniforme rispetto ad un sistema di riferimento solidale con la terraferma, implica l'invarianza delle leggi della meccanica in sistemi di riferimento in moto rettilineo ed uniforme uno rispetto all'altro. ** A. Koyrè, Studi galileiani (1976), pag.263 11 Tali sistemi, detti inerziali, sono, quindi, del tutto equivalenti ed indistinguibili l'uno dall'altro. In generale si può affermare che: “sistemi di riferimento in moto rettilineo ed uniforme uno rispetto all'altro sono equivalenti rispetto alla formulazione delle leggi della dinamica”. E' questo essenzialmente il contenuto del principio di relatività galileiano. A partire dal sistema di riferimento in figura si possono trovare le relazioni che intercorrono tra le coordinate di y y' uno stesso punto P in due sistemi di riferimento S ed S' in moto rettilineo ed uniforme uno rispetto all'altro con velocità v. vt x' Si hanno immediatamente le P relazioni: x' O x O' x = x' + v y = y' (1) che assieme a: t = t' (2) costituiscono le trasformazioni di Galileo. Le (1) garantiscono la reciprocità del moto, affermano cioè l'equivalenza dei due sistemi S ed S' rispetto ai concetti di quiete o di moto. La (2) stabilisce l'esistenza di un tempo assoluto, lo stesso per tutti gli osservatori, indipendente dal sistema di riferimento. Una conseguenza immediata delle (1) è espressa dalla relazione: (3) va vr vt che prende il nome di principio di composizione delle velocità. Come esempio consideriamo un sistema di riferimento assoluto S associato ad una stazione ferroviaria e un sistema relativo S' associato ad un treno che si muova a 100 km/h rispetto alla stazione ferroviaria; se un passeggero si sposta, rispetto al treno, nello stesso senso di marcia, a 2 km/h, il principio di composizione delle velocità ci dice che la velocità va del passeggero rispetto alla stazione ferroviaria (velocità assoluta) è uguale alla velocità vr del passeggero rispetto al treno (velocità relativa) più la velocità vt del treno rispetto alla stazione ferroviaria (velocità di trascinamento). Come conseguenza della (3) si ha: a = a' (4) essendo a e a' le accelerazioni di un determinato corpo misurate nei due sistemi di riferimento, relazione che sintetizza il fatto che la legge fondamentale della dinamica assume la stessa forma in sistemi di riferimento inerziali. 12 3.5 Moto uniformemente accelerato Uno dei risultati fondamentali della fisica galileiana è legato alla formulazione della legge del moto uniformemente accelerato, la cui corretta scrittura richiese a Galileo un notevole sforzo, sia perchè ancora marcati erano, alla sua epoca, i preconcetti sul moto dei corpi in caduta libera, sia per la mancanza di strumenti fisici e matematici adeguati. Va a merito dello scienziato di Pisa aver saputo affrontare e risolvere un problema di notevole difficoltà, partendo da "sensate esperienze" e utilizzando al meglio le sue conoscenze nel campo della geometria euclidea. I primi tentativi di risolvere il problema della caduta libera di un grave, iniziati all'università di Padova, non sono coronati da successo. Galileo commette l'errore di pensare che esista proporzionalità diretta tra la velocità raggiunta dal corpo in discesa lungo un piano inclinato e lo spazio percorso. In una lettera del 1604 a P. Sarpi, Galileo, così, si esprime: "...Questo principio mi par molto naturale e che risponde a tutte le esperienze che veggiamo negli strumenti e machine che operano percotendo dove il percuziente fa tanto maggiore effetto, quanto da più grande altezza casca: e supposto questo principio dimostrerò il resto...". Questo principio che egli ritiene del tutto naturale gli è, forse, suggerito dall'osservazione dei battipalo della laguna, che producono effetti tanto maggiori, quanto più elevata è l'altezza da cui sono lasciati cadere. Negli anni seguenti Galileo arriva a comprendere l'errore presente nella precedente formulazione e rivede radicalmente la propria posizione. Le tappe che conducono alla risoluzione corretta del problema sono esposte nella terza giornata dei Discorsi. Le ipotesi iniziali vengono assunte a partire dall'osservazione e l'elemento fondamentale cui si fa costantemente riferimento è la semplicità che caratterizza le leggi di natura. Così scrive Galileo:" Quando osservo che una pietra che discende dall'alto a partire dalla quiete, acquista via, via nuovi incrementi di velocità, perchè non dovrei credere che tali aumenti avvengano secondo la più semplice e più ovvia proporzione?" L'ovvia proporzione porta Galileo alla formulazione del seguente assioma: " Come chiamiamo equabile (uniforme) il moto allorchè in tempi uguali vengono percorsi spazi uguali..., stabiliamo in astratto che risulti uniformemente accelerato quel moto che in tempi uguali, comunque presi, acquista eguali aumenti di velocità". Usando terminologia e formalismo moderni diremo che la velocità cresce proporzionalmente al tempo e, quindi, soddisfa ad una legge del tipo v = kt. Al postulato sopra enunciato ne segue immediatamente un altro: "Assumo che i gradi di velocità acquistati da un medesimo mobile su piani diversamente inclinati, siano eguali allorchè sono eguali le elevazioni di quei piani medesimi". Il significato di questa proposizione è duplice: il piano inclinato può sostituire quello verticale per lo studio della caduta di un grave e la velocità finale raggiunta dal corpo è la stessa indipendentemente dal cammino seguito. Una conseguenza immediata di ciò è che le forze non sono proporzionali alle velocità. Se così non fosse, visto che sulle tre sfere agiscono forze diverse, anche le velocità finali dovrebbero essere diverse. Galilei, rivedendo la posizione precedente in cui pensava che le forze fossero proporzionali agli spazi percorsi, intuisce che le 13 stesse sono proporzionali alle accelerazioni, indicando in tal modo a Newton la strada per la formulazione del secondo principio della dinamica Dopo l'enunciazione dei due postulati, ecco la formulazione del primo teorema con cui lo scienziato pisano introduce il concetto di velocità media immaginando, cioè, che in un determinato intervallo di tempo un corpo che si muove di moto uniformemente accelerato viaggi, di fatto, con velocità costante, valore medio tra quella iniziale e quella finale. "..Il tempo in cui uno spazio dato è percorso da un mobile con moto uniformemente accelerato a partire dalla quiete, è eguale al tempo in cui quel medesimo spazio sarebbe percorso dal medesimo mobile mosso di moto equabile, il cui grado di velocità sia sudduplo (la metà) del grado di velocità ultimo e massimo raggiunto dal mobile nel precedente moto uniformemente accelerato". Al teorema appena enunciato e brillantemente dimostrato attraverso procedimenti geometrici ne fa seguire un altro, dimostrato sempre facendo riferimento alla geometria euclidea, che definisce la legge di caduta di un grave. Il teorema afferma: "Se un mobile scende, a partire dalla quiete, con moto uniformemente accelerato, gli spazi percorsi da esso in tempi qualsiasi stanno tra di loro in duplicata proporzione dei tempi", cioè gli spazi percorsi stanno tra loro come i quadrati dei tempi. E' questa la legge che oggi scriviamo nella forma: 1 (5) s at 2 2 La legge sulla caduta dei gravi, frutto di anni di ricerche, di errori e di revisioni totali rispetto alle posizioni iniziali, è ottenuta a partire da osservazioni ragionate, applicando ad esse un elegante procedimento matematico; ma la bellezza estetica di una legge matematica non è elemento sufficiente per garantirne la validità, è necessaria una sua conferma sperimentale. La difficoltà insuperabile per verificare la legge di cui sopra sta nella misura del tempo se il grave scende lungo la verticale. Per ovviare in parte alle difficoltà Galileo pensa di utilizzare un piano inclinato, sufficientemente lungo (10m), apparato strumentale che gli permette di rallentare il moto del corpo senza alterarne le caratteristiche. Si serve, poi, di un orologio ad acqua, strumento che gli consente la misura del tempo a partire dalla quantità d’acqua che uscendo da un recipiente forato nel fondo, attraverso un tubicino, veniva Apparato sperimentale utilizzato da Galilei per la conferma raccolta in un bicchiere. della legge del moto uniformemente accelerato L’esperimento, ingegnoso, anche se con un limitato grado di precisione può essere così sintetizzato: su un piano inclinato, perfettamente levigato, viene fatta scendere una sfera e, attraverso un tubicino collegato ad un vaso pieno d'acqua quest'ultima viene fatta defluire all'interno di un contenitore, una prima volta dopo che la sfera ha compiuto l'intero percorso, una seconda volta quando il percorso è pari ad un quarto di quello complessivo, una terza volta quando è uguale a un nono e così via. Dalla misura della quantità d'acqua raccolta nelle varie fasi è possibile stabilire la relazione tra spazio percorso e tempo impiegato a percorrerlo. Ad esempio, se dopo che la sfera ha percorso l'intero piano inclinato la 14 quantità d'acqua raccolta è x, se dopo un quarto di percorso è metà di x e dopo un nono è un terzo di x e cosi via, segue proprio che la relazione tra spazi percorsi e tempi impiegati a percorrerli è di tipo quadratico. Ponendo t x la legge espressa dalla (5) assume la forma: s kx2 Per t x s kx2 Per t1 ½ x s1 ¼ kx2 ¼ s E cosi di seguito come suggerito dal testo. Si può notare come “gli spazi siano in duplicata proporzione con i tempi”, siano cioè proporzionali ai quadrati dei tempi. Una volta verificata l'esattezza della legge, da questa Galileo può far discendere dei corollari i quali, alla luce dei risultati di partenza, necessariamente assumono valore di verità. Così, dal fatto che gli spazi crescono come i quadrati dei tempi, scaturisce la proporzionalità tra gli incrementi degli spazi percorsi e "numeri impari ab unitate", cioè i numeri dispari 1,3,5,7,..: Riprendiamo la (5) nella forma: s kt 2 s0 0 per t 0 e sia: s1 k per t 1 s2 4 k per t 2 s3 9 k per t 3 --------- ------Se consideriamo, ora, la successione degli incrementi di spazio: s1 s1 s0 k s2 s2 s1 3k s 3 s 3 s 2 5 k --------- ----si nota immediatamente che gli incrementi sono proporzionali ai numeri 1,3,5,... Si potrebbe anche rovesciare dal punto di vista temporale l’esperimento, facendo vedere che gli incrementi degli spazi percorsi lungo piani diversamente inclinati sono proporzionali ai numeri dispari, rapporto che si conserva anche quando il grave è in caduta libera da cui scaturisce la possibilità dell’ utilizzo del piano inclinato per studiare il moto di caduta di un grave. La ricostruzione storica della legge sul moto uniformemente accelerato permette di fare qualche osservazione sull’atteggiamento mentale seguito da Galileo nella sua indagine del reale. Lo scienziato, come si è detto, parte dall'esperienza, intesa come successione di osservazioni ragionate per arrivare, attraverso la matematica, alla formulazione della legge fisica e, quindi, alla sperimentazione della stessa. Il processo appena esposto si inquadra all'interno del metodo induttivo, procedimento che, per molti aspetti, caratterizza la ricerca scientifica anche ai nostri giorni. Una volta, poi, che la validità di una legge sia stata accertata, da questa si possono trarre conseguenze che, necessariamente, dovranno risultare vere: in questa seconda fase il ragionamento 15 si fonda sulla deduzione. Da ultimo, osserviamo che la sequenza esperienza, legge fisica matematicamente scritta, verifica sperimentale presente nell'analisi del moto uniformemente accelerato, rappresenta un chiaro esempio di come si possa applicare il metodo sperimentale nell'indagine di un fenomeno fisico avendo, tuttavia, l'attenzione a non fare di questo metodo uno schema da seguire in assoluto e in ogni circostanza. 3.6 Moto dei proiettili L’intuizione del principio di inerzia e la legge del moto uniformemente accelerato sono di per sè risultati notevolissimi della fisica galileiana: costituiscono i fondamenti della meccanica. moderna, punti di partenza per la costruzione della meccanica newtoniana. Comunque, prima di terminare questa breve trattazione sulla fisica di Galileo, è doveroso ricordare almeno un altro risultato di rilievo del ricercatore pisano che di solito va sotto il nome di principio di composizione dei movimenti. Secondo Galileo, il moto di un corpo, ad esempio un sasso lanciato da una torre lungo la direzione orizzontale, può essere scomposto nelle due direzioni verticale ed orizzontale: si può pensare che il sasso si muova di moto uniformemente accelerato lungo la verticale, perchè sottoposto alla legge di gravità, mentre, lungo la direzione orizzontale, si muova di moto rettilineo ed uniforme; la composizione dei due movimenti dà luogo alla traiettoria, che nel caso del sasso o di un proiettile, è una parabola. E' un modo completamente nuovo di affrontare il problema: vengono rimossi quegli impedimenti, presenti nella fisica aristotelica, per cui il moto poteva essere solo o "naturale" o "violento", una cosa escludendo l'altra. In un passo del Dialogo ( IV giornata) Galileo così giustifica la sua posizione: "...Quanto all'altro [impedimento], del sopravegnente moto in giù, prima è manifesto che questi due, dico il circolare intorno al centro e il retto verso il centro, non sono contrarii nè destruttivi l'un dell'altro perchè, quanto al mobile, ei non ha repugnanza alcuna a cotal moto...". Sempre nell'opera citata, a supporto delle sue tesi, Galileo fa anche delle considerazioni di tipo dinamico: "e perchè la causa motrice non è una sola, ma son due tra loro distinte, delle quali la gravità attende solo a tirare il mobile al centro, e la virtù impressa a condurlo intorno al centro, non resta occasione alcuna di impedimento..." Non tutti i momenti della fisica galileiana sono caratterizzati da chiarezza e precisione - il principio di inerzia non viene formulato in modo completo, la relazione tra forze ed accelerazioni rimane sul piano della intuizione - ciò nonostante il nuovo modo di avvicinarsi alla realtà e la matematizzazione della stessa costituiscono una svolta decisiva nella storia del pensiero. La rottura con la tradizione aristotelica e rinascimentale è pressoché totale passando attraverso la rimozione di assunzioni quali “il moto avviene solo in presenza di forze” o “le forze sono proporzionali alle velocità” o, ancora, “il moto si realizza solo in uno spazio non vuoto”. Ma il rinnovamento galileiano non si esaurisce qui perchè non meno rivoluzionaria della nuova concezione fisica, apparirà quella cosmologica che porrà, definitivamente, in crisi il geocentrismo tolemaico. 16 Appendice Alcune considerazioni sul principio di inerzia Al di là della disputa tra storici della scienza inerente a chi si debba attribuire la giusta formulazione del principio di inerzia, a Galileo piuttosto che a Cartesio, la domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: esistono realmente sistemi di riferimento inerziali, sistemi, cioè, nei quali è valido il primo principio della dinamica? In primo luogo dobbiamo escludere da tale classe i sistemi ruotanti in quanto l’esperienza mostra che per far muovere un corpo di moto circolare è necessario che su di esso agisca una forza, detta centripeta, diretta verso il centro della circonferenza. Che validità può allora avere il primo principio della dinamica nella formulazione galileiana quando questo scaturisce da osservazioni su corpi riferiti ad un laboratorio in rotazione come quello terrestre? La risposta è che la Terra con buona approssimazione risulta un riferimento inerziale purchè il moto del corpo abbia una breve durata nel tempo e avvenga in spazi non troppo estesi. Newton (1642-1727), in seguito, cercando soluzioni meno restrittive, proporrà un riferimento collegato al Sole ritenendolo un sistema fisico non dotato di moto rotatorio e quindi più adatto a verificare la bontà del principio di inerzia. Se si può dire quello newtoniano è un sistema un po’ più inerziale di quello galileiano. Di fatto gli scienziati hanno cercato in più riprese, fino alla fine dell’ Ottocento, senza riuscirci, di trovare un sistema assoluto rispetto al quale potesse valere sempre e in modo rigoroso il primo principio della dinamica. Ma allora che senso hanno tutte le leggi della dinamica che sono ricavate a partire dal principio di inerzia? Qui entra in gioco l’aspetto fondamentale che caratterizza l’indagine fisica. Non è necessario trovare un sistema in cui il primo principio possa assumere validità assoluta, ciò che interessa è trovare, in relazione al fenomeno da studiare, un sistema che si discosti dalla non inerzialità di una quantità arbitrariamente piccola, più piccola di quanto sia possibile apprezzare con gli strumenti più sensibili, un sistema cioè che garantisca la validità del principio di inerzia al di là delle più accurate misurazioni. Un’ altra domanda che ci dobbiamo porre è quella legata alla possibilità di realizzare una situazione fisica in cui un corpo non sia soggetto a forze esterne. Anche in questo caso la risposta non può essere del tutto affermativa, basti pensare agli effetti di forza prodotti sui corpi da tutte le masse presenti nell’universo. Quello che va sottolineato è che le leggi della fisica hanno sempre il carattere della provvisorietà e si ritengono corrette fino a quando i risultati ricavati dalla loro applicazione non contrastano con i dati sperimentali, cioè fino a quando un esperimento più raffinato dei precedenti non le renda falsificabili. E’ di questo periodo il risultato di un esperimento che proverebbe che esistono particelle che viaggiano a velocità superiori rispetto a quelle della luce: se questo fosse vero anche la teoria della relatività di Einstein dovrebbe essere opportunamente aggiustata. 17 4 - La cosmologia galileiana 4.1 Le scoperte astronomiche Come fondatore della "nuova fisica" Galileo determina una frattura con la cultura precedente, ma ciò non basta per scalfire l'impalcatura su cui poggia la cosmologia aristotelica e, cioè, la centralità e la immobilità della Terra concetti, questi, su cui è arroccata l'ortodossia ecclesiastica. Galileo intuisce che, perchè si possa affermare una nuova concezione della scienza e del mondo, è necessario rompere, in via definitiva, il legame che unisce aristotelismo e teologia. Il primo risultato che pone in discussione il pensiero aristotelico sulla incorruttibilità dei cieli è legato alla scoperta e alla repentina scomparsa di una nova (stella che compare all’improvviso) nel 1604. La figura illustra la curva di luce di una stella comparsa improvvisamente in cielo nel mese di Ottobre del 1604. In ascisse sono riportati i tempi e in ordinata la magnitudine apparente, cioè la luminosità apparente della stella. La luminosità massima viene raggiunta qualche giorno dopo la sua comparsa per poi decrescere piuttosto rapidamente. tempo Dal 1604 al 1610, puntando il cannocchiale verso il cielo Galileo, fa una serie di scoperte che, in un colpo solo, spazzano via secoli di cultura aristotelica. Galileo osserva le fasi di Venere annunciandone la scoperta in una lettera inviata a Giuliano de’ Medici nel 1610. La scoperta delle fasi, in tutto il loro succedersi, assume notevoli implicazioni cosmologiche in quanto viene a rappresentare una conferma della teoria copernicana che prevedeva il fenomeno esattamente come osservato da Galileo. Il modello tolemaico, al contrario, non prevedeva effetti che andassero al di là dell’osservazione di una minuscola falce. Venere presenta il fenomeno delle fasi come la Luna (Cynthiae figuras aemulatur Mater amorum) e il suo succedersi può essere spiegato a partire dall’assunzione che Venere sia un pianeta interno, collocato tra Sole e Terra. Galileo, utilizzando il cannocchiale fu il primo a scoprire il fenomeno, avallando in tal modo l’ipotesi copernicana della centralità del Sole rispetto ai pianeti. 18 Evidenzia le macchie solari nella loro evoluzione e i crateri lunari per cui Sole e Luna non appaiono più come corpi incorruttibili. Nel Sidereus nuncius si legge: "...la superficie della Luna non è levigata, uniforme ed esattamente sferica come un gran numero di filosofi ha creduto, ma, al contrario ineguale, scabrosa, piena di cavità e di sporgenze, non diversamente della stessa faccia della Terra che si differenzia, qui per catene di monti, lì per profondità di valli."(v. figura) Cade definitivamente il pregiudizio della fisica aristotelica di distinzione tra il mondo terrestre, luogo della materia che nasce e muore e il mondo celeste, sede dell’ eterna incorruttibilità e della perfezione. Immagine della Luna come osservata da Galileo in un suo disegno Ma oltre alla incorruttibilità dei corpi anche la centralità della Terra viene meno quando, nel 1610, Galileo scopre che Giove è il centro di un piccolo sistema planetario: attorno ad esso ruotano, infatti, quattro satelliti. Così Galileo descrive il fenomeno: "Pertanto il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610, alla prima ora della notte, mentre guardavo gli astri celesti col cannocchiale, mi si presentò Giove; e, poichè mi ero preparato uno strumento proprio eccellente, m'accorsi [...] che gli stavano accanto tre stelline, piccole invero ma pur lucentissime; [...] e la loro posizione sia rispetto a loro stesse che a Giove era la seguente: oriente * * O * occidente 7 gennaio 1610 [...].Ma essendo io ritornato, non so da qual fatto condotto, alla medesima indagine il giorno 8, trovai una disposizione diversa: erano, infatti, le tre stelline tutte occidentali rispetto a Giove. oriente O* * * occidente 8 gennaio 1610 La configurazione del 10 gennaio è la seguente: oriente * * O occidente 10 gennaio 1610 Nei giorni successivi appare anche un quarto corpo. Oriente *O*** occidente 13 gennaio 1610 Oriente O * * * * occidente 15 gennaio 1610 Galileo osserva anche la Via Lattea riuscendo a discriminare i suoi componenti. Con l'avvento del cannocchiale galileiano gli orizzonti cosmologici, fino ad allora dominati dall’indagine del sistema 19 solare, si allargano: quella enorme nebulosità indistinta che è la Via Lattea inizia a prendere forma. Nel Sidereus nuncius, Galileo così si esprime: "Quel che fu da noi in terzo luogo osservato, è l'essenza, ossia la materia della stessa Via Lattea [...]. E' infatti la Galassia nient'altro che una congerie di innumerevoli stelle disseminate a mucchi.“ Foto mosaico della Via Lattea( la nostra galassia), osservata con sufficiente dettaglio, per la prima volta, da Galileo. Per completare l'opera di destituzione della cosmologia antica, Galileo doveva ancora dimostrare la mobilità della Terra e, in particolare, il moto di questa attorno al proprio asse. Lo scienziato pisano pensa che la prova decisiva sia legata al fenomeno delle maree: il periodico alzarsi ed abbassarsi dell'acqua nell'arco di una giornata avrebbe potuto essere spiegato attraverso gli effetti centrifughi provocati dal moto della Terra. Noi, oggi, sappiamo che quest'ipotesi è errata, ciò nondimeno va valutata ed apprezzata come tentativo di dare una conferma sperimentale a ciò di cui Galileo era fermamente convinto. Seguendo questa indicazione Newton riuscirà a spiegare correttamente il fenomeno mareale come effetto congiunto dell'azione gravitazionale della Luna e del Sole sulla Terra. L'osservazione e non il preconcetto, lo porta, quindi, ad affermare la non centralità della Terra e la corruttibilità dei corpi celesti. In polemica con chi sosteneva che la conoscenza dovesse salvaguardare i principi, Galileo replica che la procedura scientifica è l'unica fonte del sapere. Si potrebbe pensare che i risultati conseguiti sono più che sufficienti per intaccare dalle fondamenta il pensiero fisico e cosmologico aristotelico: non sempre, tuttavia, la ragione e l'evidenza riescono a prevalere sul pregiudizio e sulla difesa ad oltranza di categorie precostituite. 4.2 La difesa della scienza La ricerca galileiana, come si è rilevato, passa attraverso metodi d'indagine che rifuggono dal preconcetto e dal sapere consolidato, elementi che, al contrario, continuano a caratterizzare i centri accademici dell'epoca, ancora ligi al dettato aristotelico. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, Salviati - Galileo stesso - così si rivolge all'aristotelico Simplicio:" Vo comprendendo che voi siate sin qui stato nel gregge di coloro che per [...] acquistar le notizie de gli effetti di natura, e' non vadano su barche o intorno a balestre e artiglieria, ma si ritirino in studio a scartabellar gl'indici e repertori per trovare se Aristotele ne ha detto niente". 20 La critica galileiana, come si è detto, è rivolta più agli epigoni di Aristotele che non al grande filosofo di Stagira, verso il quale anzi Galilei nutre grande considerazione e la convinzione che se il filosofo fosse vissuto nella sua epoca, avrebbe avuto coraggio di modificare il proprio pensiero. Sempre nel Dialogo Galileo afferma: "Noi aviamo nel nostro secolo accidenti e dimostrazioni nuove e tali, ch'io non dubito punto che se Aristotele fusse all'età nostra, muterebbe oppinione". Ma Galileo non aveva come nemici solo l'ottusità e la cecità degli aristotelici perchè, dovette affrontare anche una dura lotta con la Chiesa di Roma per rivendicare l'autonomia del sapere dai condizionamenti del potere ecclesiastico e, più in generale, dagli influssi negativi del dogmatismo religioso. Se grave risulta l'ammonimento impartito a Galileo nel 1616 dal S. Uffizio, con cui si impediva allo scienziato di difendere e propagare il copernicanesimo, addirittura infamante è il processo che lo stesso deve subire nel 1633 sempre da parte dello medesimo Tribunale: l'epilogo è una condanna al carcere a vita, ma è soprattutto l'umiliazione dell'abiura, lo sconfessare senza condizioni il risultato della sua indagine scientifica Malgrado il tentativo della Chiesa di ostacolare il corso degli eventi, il pensiero galileiano, ricco di novità e di rigore scientifico, avrà modo, comunque, di affermarsi attraverso l'opera di Newton. 21 G. Keplero (1571- 1630) 5- La dissoluzione della teoria cosmologica aristotelica La lenta dissoluzione della cosmologia aristotelica fondata sulla centralità della Terra nel cosmo e sulla circolarità dei moti dei corpi celesti attorno ad essa, che ha inizio con le ipotesi eliocentriche di N. Copernico, confermate successivamente dai dati osservativi di Galileo, trova il suo epilogo attraverso l'opera di G. Keplero. Se il merito maggiore di Galileo è di aver contribuito a togliere alla Terra il ruolo di punto privilegiato dell'universo, quello di Keplero è di aver cancellato la circolarità delle orbite e l’uniformità del moto come elementi peculiari dei pianeti. Copernicano convinto, Keplero si inserisce, anche se solo marginalmente, nella disputa sostenuta da Galileo nei confronti degli aristotelici. Così si esprime "... gli insegnamenti possono corregersi con molta facilità finchè scorrono sulla bocca dei filosofi; ma quando i discepoli li abbiano fatti propri diventano più duri della pietra, nè vi sono ragioni che valgano a sradicarli. Perciò se qualcuno insegnasse ad Aristotele che col passare dei secoli si sono osservati nel cielo molti nuovi fenomeni, egli sarebbe ben lieto di abbandonare la sua dottrina. Ma oggi i suoi discepoli guardano non al suo atteggiamento, ma solo alle sue nude sentenze, e, ben lungi dall'insegnamento del filosofo che ricercava la verità dall'esperienza, proprio il metodo empirico essi osano contrastare e tentano scalzare, ricorrendo a varie scappatoie". G. Keplero nasce in un piccolo centro vicino a Stoccarda nel 1571. Dopo aver compiuto in modo regolare gli studi superiori si iscrive all'Università di Tubinga dove, nel 1596, consegue la laurea in teologia. Sempre nello stesso anno ottiene un modesto incarico come insegnante di matematica e astronomia presso l'università di Graz. E' di questo periodo la pubblicazione del Mysterium Cosmographicum, un' opera permeata di misticismo e simbolismo alla stregua delle filosofie pitagoriche, in cui però già si trovano alcune profonde intuizioni che si collocheranno in modo più maturo e ragionato nelle opere successive, con particolare riguardo ad Astronomia nova del 1609. “Che cos'è il mondo? Che cos'è che ha portato Dio a crearlo e secondo quale piano? Da dove Dio ha tratto i numeri? Perché Dio ha creato sei orbite? Perché Giove e Marte, che non si trovano nelle prime orbite, sono separati da uno spazio così vasto?” Queste alcune domande che Keplero si pone in apertura del Mysterium Cosmographicum. In quest'opera Keplero va alla ricerca di quelle leggi armoniche che, a suo avviso, debbono governare il mondo e, in particolare, costruendo un'associazione tra i pianeti conosciuti e i cinque poliedri regolari platonici, cerca di dare una spiegazione del fatto che i pianeti sono sei, alle distanze previste dai calcoli di Copernico. Il TETRAEDRO, o Piramide a base triangolare, formato da Quattro Triangoli Equilateri; L’ESAEDRO, o Cubo, formato da Sei Quadrati; L’OTTAEDRO, formato da Otto Triangoli Equilateri; Il DODECAEDRO, formato da Dodici Pentagoni; I cinque solidi regolari ( platonici) L’ICOSAEDRO, formato da Venti Triangoli Equilateri 22 Si intuisce come questo tentativo, che poco ha di scientifico per spiegare il mondo, non conduca ad alcun esito positivo producendo in Keplero una profonda delusione e susciti commenti poco benevoli anche da parte di scienziati dell’epoca, come l’astronomo Ticho Brahe. Ecco la descrizione del sistema solare nel pensiero di Keplero: ”La Terra è la sfera che è la misura di tutto. Costruite un dodecaedro attorno ad essa. La sfera che lo circonda è la sfera di Marte. Attorno a Marte costruite un tetraedro. La sfera che lo circonda sarà quella di Giove. Attorno a Giove costruite un cubo. La sfera che lo circonda sarà quella di Saturno. Adesso costruite un icosaedro interno alla Terra. Inscritta all'interno di esso si avrà la sfera di Venere. All'interno della sfera di Venere costruite un ottaedro. All'interno sarà inscritta la sfera di Mercurio. Ecco la spiegazione per il numero dei pianeti." Nello stesso periodo Keplero riafferma la validità della assunzione eliocentrica copernicana anche se a sua difesa fornisce argomenti più metafisici che fisici. In una lettera ad un suo maestro universitario, copernicano convinto, così La cosmologia kepleriana come risulta nel Keplero si esprime: " Il Sole nel mezzo degli astri mobili, lui “Mysterium Cosmographicum” stesso immobile e pertanto sorgente di movimento, è l'immagine del Creatore, Dio Padre. Egli distribuisce la sua forza motrice attraverso un mezzo che contiene i corpi in movimento allo stesso modo che Iddio Padre crea attraverso lo Spirito Santo". Anche se l’affermazione è debole dal punto di vista fisico, il Sole viene visto come sorgente di forza, ente responsabile del moto dei pianeti. Nessuno prima di Keplero, salvo forse qualche discepolo di Pitagora, aveva avanzato l'ipotesi che il moto dei corpi fosse dovuto ad un qualche tipo di forza. Nella prefazione dell'opera Astronomia nova del 1609 Keplero riprende il tema della forza motrice esercitata dal Sole nei confronti dei pianeti che reputa di origine magnetica, intuendo la centralità di detta forza e anticipando in tal modo alcuni aspetti della teoria della gravitazione di Newton. Ma l'aspetto più innovativo della ricerca kepleriana è legato, come si è detto, al superamento delle orbite circolari dei pianeti. Si era notato che nel moto retrogrado dei pianeti l'inversione del moto avveniva in intervalli regolari di tempo, caratteristici per ogni pianeta: così, ad esempio, Marte per un certo periodo avanza rispetto alle stelle ( appare, cioè spostarsi da ovest ad est) poi si arresta e comincia a retrocedere rispetto alle stelle (moto da est ad ovest). Studiando proprio la traiettoria seguita in cielo 23 da Marte, Keplero, utilizzando i dati osservativi di Tycho Brahe, si rende conto che la linea seguita dal pianeta non può derivare da un moto circolare: studiando per anni il problema e prendendo in esame tutta una classe di curve possibili per rendere conto dei dati di osservazione, giunge alla conclusione che le orbite seguite siano delle ellissi di cui il Sole rappresenta uno dei fuochi e allo stesso tempo scopre che i pianeti nel loro movimento attorno al Sole descrivono aree uguali in tempi uguali: cade per sempre uno dei capisaldi dell’aristotelismo. I concetti sopra esposti trovano posto all'interno dell'opera “Astronomia nova” che con una formulazione moderna possono venire così espressi: a) I pianeti, nel loro moto attorno al Sole, descrivono orbite ellittiche di cui il Sole occupa uno dei fuochi. Va comunque rilevato che le orbite dei pianeti hanno una eccentricità molto bassa - come vedremo in una figura successiva ricavata da calcoli di meccanica celeste che io stesso ho sviluppato - sono cioè molto prossime a delle circonferenze, per cui risulta comprensibile che le ipotesi di Keplero non fossero tenute in grande considerazione anche da eminenti studiosi quali Galileo che riaffermava la peculiarità del moto circolare rispetto a qualunque altro tipo di movimento. 250,0E+9 200,0E+9 150,0E+9 100,0E+9 50,0E+9 000,0E+0 -50,0E+9 -100,0E+9 -150,0E+9 -200,0E+9 -250,0E+9 In figura sono rappresentate le orbite dei primi quattro pianeti, Mercurio, Venere, Terra, Marte nel loro moto attorno al Sole, come risultano da un mio lavoro di meccanica celeste. 250,0E+9 Si può notare come l’orbita con la massima eccentricità sia quella più interna, 200,0E+9 cioè quella di Mercurio. Nell’ origine del 150,0E+9 sistema di riferimento è collocato il Sole che rappresenta uno dei due fuochi di ciascuna 100,0E+9 ellisse. Sugli assi orizzontali e verticali si leggono le distanze dei 4 vertici dell’ellisse dal 50,0E+9 Sole, 000,0E+0 Osservando, ad esempio, l’orbita della Terra si può notare che essa incontra gli assi -50,0E+9 in punti che distano dall’origine circa della stessa quantità (150,0 E+9=150x109m -100,0E+9 =150x106 km). -150,0E+9 L’orbita terrestre ha una eccentricità molto bassa, di fatto è molto prossima ad una -200,0E+9 circonferenza. La cosa è ancora più evidente se facciamo riferimento all’orbita di Venere che -250,0E+9 si discosta di molto poco da una circonferenza. 24 b) Le aree descritte dal raggio vettore che unisce il Sole con ciascun pianeta sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle. Un’ importante conseguenza delle prime due leggi di Keplero (leggi delle orbite ellittiche e della uguaglianza delle aree) è che il pianeta nel suo moto attorno al Sole cambia costantemente la sua velocità. La velocità è massima in perielio (punto più vicino al Sole), minima in afelio (punto più lontano dal Sole). Prendendo a supporto le idee sul magnetismo, espresse da Gilbert nell’opera “De magnete” pubblicata nel 1600, Keplero avanza l’ipotesi che la forza esercitata dal Sole nei confronti dei pianeti sia di tipo magnetico, supposizione errata, anche se valida per render conto della non uniformità del moto dei pianeti. Le leggi sopra citate, che normalmente vengono denominate I e II legge di Keplero, non soddisfano a quella esigenza di armonia che Keplero insistentemente cercava nella natura: infatti non rispettano particolari rapporti numerici, anzi si discostano da quell’ idea di perfezione che da sempre il moto circolare incarnava Dopo anni di affannosa ricerca lo scienziato tedesco perviene finalmente ad una legge armonica che lega i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti con i cubi dei semiassi maggiori delle orbite. Tale risultato, ricavato dalle osservazioni, va sotto il nome di terza legge di Keplero. Questa legge che si puo' scrivere nella forma: essendo T il periodo di rivoluzione di un pianeta, k una costante caratteristica di quel pianeta e a la lunghezza del suo semiasse maggiore La legge suddetta troverà una sua corretta espressione sia dal punto di vista fisico, così come da quello matematico, all’interno della teoria della gravitazione universale di Newton. Una conseguenza importante della legge sopra scritta è legata alla velocità di dei pianeti: precisamente quanto più lontani sono i pianeti dal Sole, tanto minore è la loro velocità di rotazione. A questo tipo di velocità, che si differenzia totalmente da quella dei corpi rigidi, si dà il nome di velocità kepleriana. La terza legge di Keplero è contenuta nell'opera Harmonices mundi pubblicata nel 1619. Keplero, pur condizionato, a volte, nella sua ricerca da forme di esasperato misticismo, segna la fine di un'era, in cui spesso il pensiero scientifico aveva dovuto scontare assunzioni discutibili legate a principi di autorità, per aprirne un'altra dove la scienza raggiunge una propria autonomia e la fisica prende le distanze dalla metafisica. 25