PROTEZIONE E VALORIZZAZIONE DELLA FASCIA COSTIERA

PROTEZIONE E VALORIZZAZIONE DELLA FASCIA
COSTIERA DEL CIRCEO TRAMITE POSIZIONAMENTO
DI OSTACOLI DISSUASIVI ARTIFICIALI
Progetto Preliminare
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo
Sapienza Università di Roma
PROTEZIONE E VALORIZZAZIONE DELLA FASCIA COSTIERA DEL CIRCEO
TRAMITE POSIZIONAMENTO DI OSTACOLI DISSUASIVI ARTIFICIALI
PREMESSA
1. IL LITORALE PONTINO
1.1 La piattaforma continentale
1.2 La morfologia della spiaggia
2. LE PRATERIE DI POSIDONIA
2.1 Generalità e loro importanza
3. L’AREA DEL CIRCEO
3. 1 Il promontorio del Circeo e l’abitato di S. Felice Circeo
3.2 Le conoscenze sui fondali del Circeo
3.2.1 La situazione attuale
3.2.2 L’evoluzione osservata negli ultimi 50 anni
4. L’AREA COMPRESA TRA IL PORTO DEL CIRCEO E TORRE OLEVOLA
5. IL PROGETTO
5.1 Le motivazioni
5.2 Le strutture antistrascico
5.3 Inquadramento
5.4 Area proposta per la posa dei manufatti
5.5 Ipotesi tecnica
PREMESSA
Nel presente progetto sono previsti una serie di interventi localizzati lungo la fascia costiera del
litorale di S. Felice Circeo, finalizzati alla difesa dell’ambiente marino (ed in particolare delle
praterie di Posidonia oceanica) e alla protezione ed incremento delle attività della piccola pesca
artigianale.
L’area interessata dalla presente proposta comprende la fascia di litorale che si estende dal
Promontorio del Circeo fino alla foce del Sisto per una lunghezza di circa 10 chilometri di costa
compresi tra latitudine 41°10’N e 41°18’N e tra longitudine 013°05’E e 013°25’E. Si tratta di un
tratto del “litorale pontino”, una porzione della costa del Lazio meridionale, al confine a nord con il
Comune di Sabaudia e a sud con quello di Terracina.
Su questa zona grava un rilevante movimento turistico richiamato dalle emergenze ambientali del
Parco Nazionale del Circeo e del Promontorio del Circeo e dalle infrastrutture presenti (i porti
turistici di S. Felice Circeo e della foce del Canale Sisto, il centro abitato di S. Felice Circeo e le
spiagge attrezzate del Circeo).
Per quanto riguarda l’ambiente marino, questo tratto di costa presenta situazioni eterogenee dal
punto di vista morfologico e biologico. Dal promontorio roccioso del Circeo, che precipita
ripidamente in mare, si passa alla lunga piana sabbiosa che porta fino a Terracina. I fondali sono
caratterizzati da un’analoga varietà di situazioni morfo - edafiche, con associati popolamenti
vegetali ed animali tipici delle sabbie e dei fondi duri delle aree costiere tirreniche. In particolare
notevole è la presenza di ampie zone di prateria di Posidonia oceanica, considerato Habitat
prioritario secondo la Direttiva Europea Habitat (SIC Lazio n° IT6000013 - Fondali tra Capo Circeo
e Terracina).
I fondali del Circeo sono inoltre “area di pesca” per gli addetti della piccola pesca artigianale di S.
Felice Circeo.
Il presente progetto fornisce le prime indicazioni su una serie di interventi concordati tra
l’Università di Roma “La Sapienza” - Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo - e il Comune
di S. Felice Circeo, e cerca di dare le informazioni tecniche e le motivazioni alla base degli
interventi stessi.
La prima parte del progetto (Capitoli 1, 2 e 3) fornisce informazioni di carattere generale sull’area
in esame, sulle comunità marine ed in particolare sulle praterie di Posidonia presenti lungo la fascia
costiera. Questa parte è preliminare e indispensabile per la successiva fase progettuale di dettaglio.
Il Capitolo 4 descrive in dettaglio l’area compresa tra il porto del Circeo e Torre Olevola, ed è
preliminare soprattutto al primo dei progetti presentati nel successivo capitolo 5.
Il Capitolo 5 illustra gli interventi previsti. Il paragrafo 5.1 illustra la posa in opera di una serie di
ostacoli dissuasivi artificiali per la protezione della prateria di Posidonia e degli attrezzi della
piccola pesca costiera, e per l’incremento delle risorse ittiche. Il paragrafo inizia con una
descrizione generale dell’impiego dei substrati artificiali per la protezione della fascia costiera, con
esempi di realizzazioni in Italia e all’estero. Seguono due ipotesi di realizzazione di ostacoli
dissuasivi mediante diverse tipologie di manufatti. Si tratta solamente di esempi, in quanto il
progetto definitivo prevedrà il posizionamento e la tipologia dei manufatti in accordo anche
finanziamento disponibile. Analogamente, anche il posizionamento degli ostacoli meccanici n
questa sede è puramente indicativa. Il posizionamento definitivo sarà stabilito in base alle risultanze
degli studi geomorfologici specifici e di incontri con gli addetti della piccola pesca locale.
1. IL LITORALE PONTINO
Da Torre Astura fino al promontorio del Circeo, e da questo fino a Terracina, il paesaggio litorale è
caratterizzato dall’ampia pianura di bonifica dell’Agro pontino, con i centri di Latina e Sabaudia e
le rilevanti emergenze naturali rappresentate dai laghi retrodunali di Fogliano, Monaci, Caprolace e
Sabaudia, compresi nel Parco Nazionale del Circeo. Da Terracina fino al confine campano, con la
piccola eccezione della piana di Fondi, il paesaggio è caratterizzato da coste rocciose e dai centri
storici di Sperlonga e Gaeta che si affacciano direttamente sul mare. Elemento caratteristico di
queste aree è il turismo, che trova il suo punto di forza nella presenza di un tratto di costa dotato di
risorse paesaggistiche e culturali di pregio e supportato da un rilevante sistema di emergenze
ambientali e culturali delle aree interne. Il polo portuale Gaeta / Formia costituisce un ulteriore
elemento di caratterizzazione dell’area.
Fig. 1 – Il litorale pontino visto dal Monte Circeo, verso sud (in alto) e verso a nord (in basso).
1.1 La piattaforma continentale
La piattaforma continentale antistante le coste del Lazio si trova immediatamente a Nord del limite
(convenzionalmente fatto coincidere con il parallelo 41°N) tra due domini geo-tettonici (tirrenico
settentrionale e tirrenico meridionale) estremamente differenti, pur essendo entrambi legati alla
generale distensione post - orogenica che ha interessato tutto il margine occidentale della penisola
italiana.
Sulla base della sua geometria interna, la piattaforma antistante le coste laziali si può definire un
margine continentale passivo molto giovane, essenzialmente di età pliocenica e quaternaria (da 5
milioni e mezzo di anni fa all’attuale), dominato da sedimentazione detritica in regime di assai
modesta escursione di marea. Da un punto di vista geomorfologico, essa è più stretta ed acclive
della media delle piattaforme italiane, la sua ampiezza è di circa 20 km nel tratto compreso tra Capo
Linaro e Capo Circeo, mentre arriva a circa 30-40 km nella zona meridionale, compresa tra Capo
Circeo e Gaeta.
La pendenza media è di poco inferiore a 0,5, mentre il margine della piattaforma è ben definito e si
trova a una profondità variabile tra -120 e -150 m, ove inizia la scarpata continentale; i bacini che la
fronteggiano sono determinati, nella loro geometria, da lineamenti tettonici con prevalente direzione
appenninica (NW-SE). La piattaforma continentale laziale ha uno sviluppo longitudinale di circa
290 km. Nel Lazio meridionale da Capo d’Anzio al promontorio del Monte Circeo la piattaforma
continentale è più ampia e meno acclive rispetto alle aree più settentrionali. L’area dal promontorio
del Monte Circeo a Gaeta è morfologicamente più complessa. Durante gli ultimi due milioni di
anni, infatti, la piattaforma si è estesa dal promontorio del Monte Circeo sino a comprendere le isole
Zannone, Ponza e Palmarola, costituite principalmente da depositi di origine vulcanica di ambiente
sia sottomarino che subaereo. La coalescenza tra la piattaforma continentale della penisola e le isole
ha creato la massima ampiezza della piattaforma laziale, che in questa area presenta una morfologia
articolata nelle sue parti più esterne. Le Isole Pontine sono caratterizzate da fondali molto acclivi,
dissecati da numerosi canyon. Le caratteristiche del margine continentale riflettono la struttura
vulcanica dell’arcipelago, articolato in due grandi edifici: quello di Ponza - Palmarola e quello di
Ventotene - S. Stefano. Da Gaeta alla foce del Fiume Garigliano si estende la settima area,
caratterizzata da una piattaforma ampia, con morfologie che risentono marginalmente della
presenza del delta del Fiume Volturno, situato qualche decina di chilometri a Sud. I tipi e le quantità
di depositi presenti sulla piattaforma variano ampiamente, pur essendo in genere costituiti da facies
sabbiose sottocosta e limoso - argillose più al largo.
Le attuali caratteristiche dei fondali marini (almeno fino all’isobata dei 120 m) sono, il risultato
dell’azione di due fattori diversi: l’apporto di sedimenti della terraferma e le variazioni
glacioeustatiche pleistoceniche (ultimi 2.000.000 anni), in particolare quelle relative all’ultima
risalita del livello del mare (20.000-8000 anni ).
1.2 La morfologia della spiaggia
Il litorale peninsulare laziale presenta un andamento d’insieme piuttosto ondulato per una serie di
ampie falcature delimitate fra loro da aggetti costieri, i quali non sempre costituiscono i limiti di
unità fisiografiche ben distinte.
Le spiagge, che costituiscono il 74% dell’intero sviluppo costiero peninsulare, sono bordate da
cordoni dunari di una certa estensione nel tratto costiero a Sud del Fosso Chiarone e in
corrispondenza dell’Agro Pontino; altrove l’intensa antropizzazione e/o urbanizzazione ha portato
ad un forte degrado della duna o al suo totale spianamento. Alle spiagge della costa meridionale si
alternano tratti di costa rocciosa che solo in alcuni casi costituiscono dei veri promontori, come
quello di Monte Circeo e di Gaeta; negli altri casi originano aggetti costieri all’interno di più ampie
rientranze (come quelli di Terracina e di Sperlonga) o tratti più o meno articolati di ripe rocciose
non molto elevate (come quelle che si sviluppano tra Capo d’Anzio e Torre Astura).
I fondali compresi fra la battigia e l’isobata di -10 m costituiscono la porzione più interna della
piattaforma continentale, dove maggiormente si esplicano le azioni del moto ondoso e delle correnti
costiere, responsabili della mobilizzazione e distribuzione dei sedimenti di spiaggia. L’ampiezza di
questa fascia è variabile e riflette a grandi linee le caratteristiche della morfologia del litorale.
Fondali profondi e acclivi sono localizzati nel Lazio meridionale, che mostra prevalentemente i
caratteri di una costa alta e frastagliata; in particolare le inclinazioni maggiori sono presenti in
corrispondenza dei promontori di Gaeta e del Circeo, dove si rilevano valori medi di circa 13° e 18°
rispettivamente.
In corrispondenza di coste basse e sabbiose dove i fondali si approfondiscono con regolarità,
l’ampiezza della zona più interna della piattaforma oscilla fra i 600 - 700 m (pendenza media pari
all’1,6% - 1,4%) nei dintorni di S. Felice Circeo e di Terracina. In particolare questi fondali sono
caratterizzati dalla presenza di barre disposte in serie successive da una a quattro. Mentre le barre
più esterne presentano una geometria rettilinea e continua, quelle più interne sono discontinue, con
frequente festonatura.
Questo si determina per l’interazione tra il fondale, l’energia del moto ondoso, le correnti costiere e
i processi di trasporto dei sedimenti lungo la costa. Si verifica, infatti, che le barre più esterne,
poiché generate da onde di tempesta poco frequenti, sono in grado di conservare più a lungo il loro
profilo; quelle più interne, una volta esaurito il fenomeno meteomarino che le ha generate, tendono
a risaldarsi alla battigia assumendo così un assetto festonato.
Le barre più interne, inoltre, possono anche essere controllate da una circolazione a celle,
nell’ambito delle quali correnti di ritorno trasversali (rip currents) generano canali che ne
interrompono la continuità. Inoltre, anche la presenza di opere di difesa (sia emergenti che soffolte)
condiziona la geometria o la presenza stessa delle barre a causa della mutata topografia dei fondali
che si viene a creare.
Le condizioni geomorfologiche della fascia di piattaforma sino all’isobata di -10 m del litorale del
Lazio meridionale si possono così sintetizzare. Da Capo d’Anzio sino al promontorio del Monte
Circeo il litorale, che sottende la fascia terminale Sud orientale della estesa pianura dell’Agro
Pontino, è suddiviso dalla punta di Torre Astura in due falcature con estensione e caratteristiche
morfologiche diverse. Il tratto più occidentale, esteso circa 14 km, è caratterizzato dalla
prosecuzione, sino a Torre Astura, della ripa rocciosa presente anche lungo la costa a Nord di
Anzio. Le quote raggiunte lungo la sua sommità si mantengono fra i 15 e 20 m sino a Nettuno, per
deprimersi leggermente alla periferia orientale della città. Alla base della ripa si localizza un’esile
spiaggia lungo la quale, oltre ai due porti, sono presenti diverse scogliere parallele realizzate a
protezione del litorale. Oltre l’abitato di Nettuno la ripa va gradualmente abbassandosi di quota sino
ad arrivare a 6 m a Torre Astura e, contemporaneamente, essa tende ad allontanarsi dalla linea di
riva; dove maggiormente se ne discosta, la spiaggia risulta bordata da un cordone dunale. Fra Torre
Astura ed il promontorio del Monte Circeo si estende, per circa 33 km, una spiaggia sabbiosa
limitata da cordoni dunari che gradualmente s’innalzano sempre più sul mare, sino a raggiungere
quote superiori ai 20 m presso Torre Paola. Caratteristica di questo tratto di litorale è la presenza,
alle spalle della duna, di una serie di laghi costieri (Fogliano, Monaci, Caprolace e Sabaudia), che
con la loro estensione longitudinale coprono un tratto di litorale di circa 22 km.
I fondali antistanti il settore costiero Capo d’Anzio - Torre Astura, sino ai -10 m, mostrano un
graduale aumento delle profondità e sono caratterizzati dalla presenza di barre che cominciano a
delinearsi su profondità attorno ai 4 - 5 m all’altezza delle opere di difesa più orientali del litorale di
Nettuno.
Procedendo verso Torre Astura, su fondali privi di opere di difesa, è presente una barra ancora più
interna, caratterizzata da ondulazioni molto accentuate. Al traverso di Torre Astura e per uno
sviluppo longitudinale di circa 4 km, il fondale ha un andamento via via più accidentato con
l’aumentare della profondità. Fra la cuspide di Torre di Foce Verde e il promontorio del Monte
Circeo, l’ampiezza della fascia di piattaforma fra la battigia e -10 m va gradualmente restringendosi,
passando da pendenze dello 0,9% a pendenze del 1,3%. Il fondale è caratterizzato dalla presenza di
barre; le barre più interne si trovano prevalentemente entro i -5 m, con un andamento sinuoso che si
accentua procedendo verso il Circeo. Il litorale che si sviluppa per circa 58 km tra i promontori del
Monte Circeo e di Gaeta ha forma di arco lievemente asimmetrico, la cui morfologia nel tratto
Terracina - Gaeta mostra caratteri diversi rispetto a quelli del resto della costa laziale. Qui, infatti, i
contrafforti meridionali delle dorsali carbonatiche mesozoiche dei monti Ausoni e Aurunci
giungono sino al mare, conferendo quindi al litorale i caratteri di una costa alta e frastagliata con
vere e proprie falesie e pocket beaches.
Schematicamente, il settore Circeo - Gaeta può essere suddiviso in due porzioni rispettivamente ad
Ovest e ad Est del promontorio di Terracina. Quella più occidentale è formata da parte della costa
alta del promontorio dolomitico - calcareo liassico del Monte Circeo e dalla spiaggia sabbiosa che
da San Felice Circeo si estende sino a Terracina, corrispondente al limite Sud - orientale dell’Agro
Pontino.
Fra i promontori di Terracina e di Gaeta si sviluppa dapprima, per circa 16 km, la spiaggia della
piana di Fondi, bordata per buona parte della sua lunghezza dal cordone dunale attuale. Dopo
Sperlonga alla spiaggia succede una costa alta e frastagliata lungo la quale, in corrispondenza di
insenature, sono ubicate le pocket beaches.
I fondali rocciosi che circondano il promontorio del Monte Circeo portano a un sensibile aumento
delle pendenze rispetto ai valori delle zone sabbiose adiacenti; si rilevano, infatti, pendenze del 2%
e del 3%, contro lo 1,2% all’Emissario Romano (Torre Paola) e lo 0,6% a Torre Vittoria (San Felice
Circeo). Questa differenza diventa molto più marcata a profondità maggiori di -10 m, soprattutto nel
settore più occidentale del promontorio, al traverso della Grotta della Maga Circe. Fondali rocciosi
e acclivi sono presenti in prossimità di Terracina e di Sperlonga, dove la pendenza media sino a - 10
m di profondità oscilla sul 2% circa; a Torre Capovento, Torre S. Agostino e Torre Viola è intorno
al 5%; aumenta notevolmente a Punta Stendardo, dove si rilevano valori superiori al 20%.
Quindi l’andamento della topografia sommersa risulta chiaramente condizionato dall’assetto
morfologico della fascia costiera emersa: in corrispondenza delle spiagge sabbiose, che si estendono
fra San Felice Circeo e Terracina e fra Terracina e Sperlonga, i fondali degradano regolarmente con
pendenze medie dello 1,4% e sono presenti più ordini di barre, delle quali la più interna è sempre
molto festonata. In particolare fra Terracina e Sperlonga, nella depressione tra la prima e la seconda
barra, ampia da 45 a 60 m, sono presenti ripples disposti trasversalmente alle barre. Queste strutture
di fondo sono legate alla corrente di deriva litoranea che in questo settore è diretta verso Est e che si
incanala, per l’appunto, all’interno del truogolo tra la prima e la seconda barra.
2 LE PRATERIE DI POSIDONIA
2.1 Generalità e loro importanza
Posidonia oceanica, è una pianta superiore, presente solo Mediterraneo, costituita da radici, foglie,
fiori e frutti. Essa forma vaste praterie sottomarine che si sviluppano lungo il litorale costiero fino a
circa 40 m di profondità. Le praterie di Posidonia hanno un ruolo fondamentale nell'ecosistema del
bacino mediterraneo. Esse sono uno dei produttori primari di ossigeno e di sostanze organiche,
inoltre sono fondamentali per la sopravvivenza di numerose specie di vegetali ed animali,
costituendo il riparo ideale per questi organismi marini che trovano tra le sue foglie condizioni
ottimali per la riproduzione e l'alimentazione. Le praterie di Posidonia inoltre, stabilizzando il
substrato, attenuano i fenomeni erosivi del mare sulle coste e stabilizzano i fondali.
Nel bacino del Mediterraneo si sta assistendo ad una progressiva regressione delle praterie, con
effetti destabilizzanti per l'equilibrio dell'intero ecosistema marino. Le cause di questa regressione
possono essere schematizzate in tre categorie di alterazioni ambientali:
1) Diminuzione della penetrazione della luce nella colonna d’acqua per un incremento della
produzione primaria, indotto da un carico trofico proveniente dalle acque costiere e da una
sospensione di sedimenti inorganici.
2) Danni meccanici diretti da alcune attività di pesca, come la pesca a strascico (illegalmente
svolta entro i 50 m di profondità), e l’ancoraggio in acque costiere, in particolar modo nelle
aree più turistiche.
3) Alterazione del regime delle correnti e del trasporto dei sedimenti costieri, con cambio della
qualità dei sedimenti sul fondale, passati principalmente da sabbia fine ben assortita al ben
più sottile silt.
Tutte queste fonti di disturbo sono fortemente aumentate durante gli ultimi 50 anni per un rapido
accrescimento della popolazione umana, soprattutto in termini di insediamenti costieri, lungo la
zona costiera del Mediterraneo, dove la popolazione residente raddoppia ogni 30 anni e la presenza
di turisti ogni 15 anni (UNEP 1989).
Già a partire dagli anni ’80 si registrano studi che mettono in evidenza, lungo le coste di Francia,
Italia e Spagna, un calo della copertura del fondale occupato dalle praterie e una diminuzione della
densità fogliare. Il restringimento della fascia di fondale colonizzata dalle praterie è dovuto a una
netta risalita del limite profondo, contemporanea ad una discesa in profondità del limite superiore.
Vediamo quali sono le principali cause di questo fenomeno.
L’alterazione del regime delle correnti, alterando i processi di trasporto dei sedimenti litorali che ne
determinano la distribuzione, causano erosione o accumulo di sedimenti sul fondale. Queste
modifiche alterano l’equilibrio tra il tasso di sedimentazione e di crescita verticale dei rizomi. Un
accumulo eccessivo di sedimento determina il ricoprimento delle piante, inversamente una carenza
di sedimento causa il distaccarsi dei rizomi che diventano più sensibili all’azione di ancoraggi,
attrezzi da pesca, ecc.
Anche gli apporti dei fiumi costieri possono avere un impatto sulle praterie attraverso
l’abbassamento della salinità delle acque (salinità alla quale le piante sono sensibili), gli apporti di
nutrienti, e gli apporti di sedimenti.
L’attività della pesca a strascico lungo la zona più costiera è estremamente dannosa per le praterie.
La linea dei piombi scalza le piante dal fondale, i divergenti scavano solchi, la rete cattura le specie
presenti, impoverendone la biodiversità.
Probabilmente, nessuna delle cause finora citate è responsabile, da sola, della regressione delle
praterie, se non a livello locale. E’ la concomitanza tra diversi tipi di perturbazione, la loro sinergia,
a spiegare la scomparsa o la regressione delle praterie su ampia scala spaziale.
3. L’AREA DEL CIRCEO
3.1 Il promontorio del Circeo e l’abitato di S. Felice Circeo
Il promontorio del Circeo è il solo affioramento roccioso presente lungo l’estesa spiaggia pontina
che si estende da Anzio a Terracina, la montagna della leggendaria Maga Circe che, secondo
Omero, incantò Ulisse e i suoi compagni durante il viaggio di ritorno a Itaca. Di natura calcarea, e
una volta isolato dalla terraferma, il promontorio è alto 541 m ed è ancora oggi quasi
completamente ricoperto di una folta vegetazione. Nei pressi della sommità, in località Crocette,
facilmente raggiungibile sia in auto che a piedi attraversando una ben conservata lecceta, sono
presenti le mura ciclopiche, resti della antica Acropoli di Circeii, costituite da grosse pietre in opera
poligonale. Nelle giornate limpide la vista da questa sommità spazia dal litorale di Ostia a quello di
Gaeta e alle isole Pontine. Dalla sommità è possibile proseguire a piedi verso il porto del Circeo
attraverso la strada del Sole e il sentiero di Torre Fico (XVI sec.) oppure imboccare il sentiero che
costeggia le pareti rocciose a picco sul mare per scendere proprio fino al mare attraverso una intatta
macchia mediterranea per arrivare nei pressi di Torre Cervia (XVI sec.). Proseguendo lungo la costa
rocciosa si arriva alla Batteria, resti di un fortino di epoca napoleonica, e poi al Riparo Blanc, sito
preistorico risalente a circa 8.500 anni fa, in cui sono state ritrovate le tracce dell’Homo sapiens
sapiens. Dalla strada costiera è possibile raggiungere anche la grotta delle Capre, una delle poche
grotte del promontorio del Circeo raggiungibili via terra. Qui è possibile osservare l’antica linea di
battigia e i fori dei molluschi litodomi, oggi a 2 m dal suolo e 9 m dal livello marino, testimonianza
di come il livello del mare in passato fosse a quote diverse e superiori rispetto all’attuale. Lungo
tutta la parete rocciosa del promontorio che precipita ripida in mare è possibile poi vedere una serie
di grotte e cavità più o meno ampie non raggiungibili da terra e nelle quali sono state ritrovate
numerosi utensili preistorici e resti fossili. La più conosciuta delle grotte del Circeo è sicuramente la
grotta Guattari, in cui nel 1939 fu rinvenuto un cranio di tipo neanderthaliano, datato a 51.000 anni
fa, assieme ad utensili in pietra e ossa di mammiferi. Attualmente la grotta si trova all’interno del
parcheggio privato di un albergo. Il versante sud del promontorio, conosciuto come Quarto Caldo,
presenta numerose abitazioni, ville, alberghi facenti capo al comune di S. Felice Circeo, assieme
alle due Torri del sedicesimo secolo già citate, Torre Cervia e Torre Fico, appartenenti all’antico
sistema difensivo di torri di avvistamento contro le incursioni dei pirati Saraceni, Arabi e Turchi.
Ancora, proseguendo sulla spiaggia in direzione di Terracina, sono visibili Torre Vittoria e Torre
Olevola, entrambe restaurate di recente e in buono stato di conservazione. Sul versante meridionale
del promontorio si ritrova il porto, dominato dall’abitato di S. Felice Circeo. La vegetazione di
questo versante è molto varia, essendo composta dall’elicriso e la centurea presente sulle scogliere
rocciose, da spettacolari esemplari di ginepro fenicio, leccio, corbezzolo e palma nana nei valloni
più riparati. Questa ultima, unica palma spontanea europea, è un relitto di epoche con clima più
caldo, e il promontorio del Circeo rappresenta una delle stazioni più settentrionali della sua
distribuzione lungo la costa continentale. Da ricordare infine l’Ophrys promontorii, una delle circa
30 varietà di orchidee presenti.
Il versante settentrionale del promontorio, conosciuto come Quarto Freddo è meglio conservato,
ricadendo per la maggior parte sotto la giurisdizione dl Parco Nazionale del Circeo. La vegetazione
è caratterizzata dalla presenza di un bosco di leccio, corbezzolo, terebinto, carpino e sughera.
La fauna, oltre che dal cinghiale, dal tasso, dalla faina, dal moscardino, è composta di numerosi
uccelli, in particolare rapaci, come il pellegrino, il gheppio e i numerosi altri che vi nidificano o lo
sorvolano durante le migrazioni.
Le pareti rocciose del promontorio del Circeo precipitano ripidamente in mare nel tratto compreso
tra il porto del Circeo a sud e il canale di Torre Paola a nord. Nonostante la morfologia esterna, i
fondali ai piedi della falesia sono bassi e sabbiosi. Sono comunque presenti interessanti formazioni
algali (trottoire a Lythophyllum), reef a sabellari e macchie sparse di Posidonia oceanica.
Parte del promontorio del Circeo ricade sotto la giurisdizione del Parco Nazionale del Circeo. Il
Parco, istituito nel 1934, ha attualmente un’estensione di circa 8.500 ha. Nel suo territorio sono
presenti situazioni ambientali diverse: oltre al promontorio, ritroviamo la foresta della Selva del
Circeo, l’isola di Zannone, la duna litoranea e i quattro laghi costieri salmastri di Sabaudia,
Caprolace, Monaci e Fogliano. All’interno del Parco ritroviamo i comuni di Sabaudia e S. Felice
Circeo.
Il centro storico di San Felice Circeo si trova a circa cento metri sul livello del mare; il paese
presenta un aspetto prevalentemente medioevale, ma conserva al suo interno il tipico reticolato
stradale romano con cardini e decumani. Particolarmente interessanti risultano il palazzo baronale,
oggi sede del municipio, e la Torre dei Templari, che ospita la mostra permanente “Homo sapiens e
Habitat”. A piedi della città antica sorge il moderno centro abitato di S. Felice Circeo, La Cona.
S. Felice Circeo conta circa 8.000 abitanti che si decuplicano nel periodo estivo, quando seconde
case e alberghi sono occupate.
Un po’ per la vicinanza con il Parco Nazionale del Circeo un po’ per la particolare vocazione
turistica di S. Felice Circeo, mirata allo sviluppo di seconde case e di alberghi di livello medio –
alto, l’ambiente del promontorio del Circeo si presenta in buono stato di conservazione,
mantenendo ancora intatte emergenze archeologiche e naturalistiche di primo piano.
Fig. 2 – L’abitato di S. Felice Circeo visto dal mare
3.2 Le conoscenze sui fondali del Circeo
Il quadro delle conoscenze sulle praterie di Posidonia oceanica nell’area del Circeo risulta ad oggi
completo grazie a diversi studi effettuati a partire dal 1960. Oltre a fornire indicazioni sulla
evoluzione nel tempo di confini, estensione e stato delle praterie, questi studi forniscono anche
indicazioni sulle possibili cause di regressione delle praterie stesse.
Le prime notizie sulla presenza delle praterie di Posidonia nell’area sono ricavate dalla “Carta della
pesca n. 3” del Ministero della Marina Mercantile, realizzata da Fusco nel 1961. Questa mappa
riporta indicazioni sulle caratteristiche dei fondali (sabbia, roccia, fango, “alghe”, “morzate”, ecc.)
utili per gli addetti alla pesca; da tale contesto sono state ricavate le informazioni necessarie per
definire l’estensione della prateria (chiamata “morzata” dal Fusco). La prateria di Posidonia,
secondo Fusco (1961) ha un andamento parallelo alla linea di costa a partire da 14 m di profondità,
dove si colloca quindi il limite superiore. L’estensione della prateria omogenea e il limite inferiore
si posiziona sulla batimetrica dei -35 metri. Una stima dell’area ricoperta dalla Posidonia ha
permesso di stabilire un’estensione di 7290 ha (Ardizzone et al., 2006). I margini mostrano una
buona continuità ma, data l’assenza di campionamenti e rilevamenti di tipo puntuale, non è
possibile avere stime di densità o di altri parametri fenologici. Il primo studio vero e proprio mirato
alla caratterizzazione della prateria di Posidonia risulta essere quello fatto da Ardizzone e Migliuolo
nel 1982. Scopo di questo lavoro era quello di definire l’impatto causato dalla pesca a strascico
costiera proprio sulle praterie di Posidonia. La metodica adottata è basata sull’immersione puntuale
con autorespiratore, che è senz’altro la tecnica più accurata di indagine per ottenere parametri
importanti quali densità dei fasci, la copertura percentuale, il tipo di substrato. Sono state effettuate
circa un centinaio di osservazioni lungo transetti ortogonali alla costa, e quanto osservato nel corso
dei campionamenti ha permesso di ricostruire una mappa della distribuzione della prateria e della
sua densità/mq. Tra la foce di Lago Lungo e Terracina è descritta una prateria di Posidonia insediata
prevalentemente su “matte”, che mostra una zona centrale piuttosto estesa a densità superiore ai 150
fasci/mq (ed in ampie aree anche ai 200 fasci mq). Due propaggini più degradate si estendono verso
ponente e verso levante, con densità comprese tra i 50 e i 150 fasci/mq, che si riducono a meno di
50 m proprio di fronte lago Lungo. In questa area in particolare sono presenti ampie zone di “matte”
morta ed è netta la regressione verso terra del margine inferiore. Tra Terracina e il promontorio del
Circeo è presente un’estesa prateria di Posidonia. La prateria mostra un’area a maggiore densità
(più di 150 fasci mq) nelle acque antistanti il promontorio del Circeo, la foce del fiume Sisto e tra
Terracina e Torre Canneto. Queste tre aree sono circondate da aree con Posidonia a densità minore
(compresa tra 50 e 150 fasci mq). Si tratta evidentemente di valori di densità piuttosto modesti,
equivalenti ad una condizione di semi - prateria. La maggior parte dell’area però è occupata da una
prateria che si presenta estremamente rarefatta, con densità inferiore a 50 fasci mq e con ampie zone
di “matte” morta. Il margine inferiore della prateria è situato intorno alla batimetrica dei 22-24 m e
questo margine risulta notevolmente arretrato rispetto alle indicazioni riportate da Fusco (1961) che
poneva il margine inferiore circa un chilometro più all’esterno (Amministrazione Provinciale
Latina, 1982, 1983; Ardizzone e Migliuolo, 1982). La situazione osservata ha consentito agli Autori
di proporre alcune delle probabili concause della regressione osservata, quali l’aumento della
sedimentazione e conseguente diminuzione della trasparenza, elevata presenza di nutrienti, bassi
valori di salinità, ecc. che contribuiscono all’avvio dei fenomeni regressivi, anche se questi da soli
non possono spiegare un così ampio degrado. L’azione della pesca a strascico svolta illegalmente in
tutta l’area, come indicato dagli autori e come risulta da successivi studi (Ardizzone e Migliuolo,
1982; Ardizzone e Pelusi, 1984) sembra aver avuto un ruolo fondamentale nell’accelerare la
regressione della prateria di Posidonia oceanica.
In un lavoro successivo, gli stessi Autori (Ardizzone e Belluscio, 1996) aggiornano i dati disponibili
sulla prateria di Posidonia della zona, evidenziando un continuo stato di regressione della prateria.
Successivamente, Diviacco et al. nel 2001 attraverso la pubblicazione del volume “Le Fanerogame
Marine del Lazio”, apportano ulteriori informazioni sulle praterie dell’area pubblicando carte in
scala 1/25.000 e 1/10.000. L’esame della prateria è stato effettuato mediante l’utilizzo integrato di
diverse tecniche di indagine: Side Scan Sonar, Remote Operated Vehicle ed immersioni subacquee.
In prossimità del promontorio del Circeo è descritta una prateria insediata su “matte” e su roccia,
con il limite superiore che si pone tra -5 e -17 m di profondità. Il margine risulta essere più o meno
frastagliato ed è segnalata la presenza di “matte morta” con diversi canali di “intermatte” anche tra
le zone con alta copertura di Posidonia. Il limite inferiore si pone alla batimetrica dei -35 m ed è
descritto come limite di tipo progressivo, viene, infatti, accertata la presenza di “matte morta” fino
alla profondità di circa -40 m. Il tratto successivo è quello in prossimità della foce del Fiume Sisto,
dove è descritto un restringimento della prateria che proveniva dal settore precedente, con un’ampia
zona di “matte morta” seguita da una radura sabbiosa. Proseguendo verso est, la prateria si allarga
nuovamente estendendosi verso costa. Il limite superiore varia da un minimo di -10 m ad un
massimo di -20 m e si presenta piuttosto frastagliato per la presenza di molte radure sabbiose. Nel
tratto investigato la Posidonia mostra una distribuzione a chiazze ed ampi tratti sabbiosi; il limite
inferiore è compreso tra i -20 e -32 m, ed è seguito da una fascia di “matte morta”. Un terzo tratto è
quello posto in prossimità di Terracina dove viene descritto un limite superiore posto intorno i -10
m, con andamento irregolare; anche qui la prateria è descritta con una conformazione a mosaico,
con porzioni ampie di “matte morta” alternate a chiazze sabbiose più o meno ampie.
Un ultimo tratto è quello descritto lungo il litorale di Fondi, dove si parla di prateria con copertura
anche dell’80%, e quindi una situazione generale decisamente migliore rispetto ai tratti precedenti.
Il limite superiore è posto in prossimità dei -10 m, avvicinandosi anche a -5m in alcuni punti, e si
presenta abbastanza regolare. Il limite inferiore si trova intorno ai -27 -30 m, anche questo piuttosto
regolare.
3.3 La situazione attuale
Un lavoro di monitoraggio svolto nel 2005 (RegioneLazio, 2006; Ardizzone et al., 2006) ha visto la
realizzazione di una cartografia aggiornata delle praterie di Posidonia presenti lungo la costa
compresa tra il promontorio del Circeo e Sperlonga. La mappatura è stata effettuata mediante
un’indagine Side Scan Sonar e, in seguito, con ispezioni dei fondali con l’ausilio di videocamere
subacquee e controlli diretti in immersione. Stabilita, mediante l’indagine sonora, l’attuale
estensione delle praterie, i confini batimetrici e le diverse tipologie di substrato (sabbie, fondi duri,
ecc.), le immagini video hanno permesso di definire il tipo di substrato delle praterie, il loro stato di
salute e la tipologia del margine superiore ed inferiore. Le ispezioni video sono state condotte lungo
transetti ortogonali alla costa, secondo le metodiche riportate in Ardizzone (1991), Ardizzone e
Belluscio (1995; 2003), da 5 m a 40 m di profondità. La videocamera alloggiata nel veicolo
subacqueo trasmette le immagini via cavo ad un monitor a colori posto sulla barca appoggio in
superficie. Qui è possibile visionare in diretta le riprese effettuate sui fondali e controllare
contemporaneamente la qualità della registrazione.
L’analisi incrociata delle immagini video e dei sonogrammi del SSS ha permesso di caratterizzare
gli aspetti fondamentali dei fondali esaminati e di discriminare le praterie di Posidonia oceanica
dalla “matte” morta. Dalle immagini è stato inoltre possibile stimare e quantificare il grado di
alterazione delle praterie attraverso le tecniche e i parametri messi a punto in questi ultimi anni
quali il ricoprimento, la densità e il tipo di margine inferiore, la presenza di matte morte.
L’integrazione dell’interpretazione fisiografica con l’analisi delle immagini video ha permesso di
giungere alla mappatura delle praterie di Posidonia oceanica in scala 1:10.000.
Le tipologie riportate sulla carta della distribuzione delle praterie di Posidonia sono le seguenti:
- Prateria di Posidonia oceanica su roccia
- Prateria di Posidonia oceanica su sabbia o matte
- Matte morta di Posidonia oceanica con fasci isolati
- Mosaico di Posidonia oceanica viva e matte morta
- Mosaico di Posidonia, sabbia e roccia
- Mosaico di sabbia e roccia
- Biocenosi del coralligeno di piattaforma
La figura 3 riporta la distribuzione della prateria di Posidonia oceanica nel tratto di costa compreso
tra il promontorio del Circeo e Terracina. Sono evidenti 2 distinte zone con praterie in diverse
condizioni.
La parte più occidentale, antistante il promontorio del Circeo, presenta una prateria in buone
condizioni, insediata su roccia nella parte centrale, tra 13 e 25 m di profondità, e su matte tutto
intorno. Una stretta zona con fasci isolati di Posidonia su matte morta e di sola matte morta è
presente in prossimità del margine inferiore, posto a 39 m di profondità lungo il versante
occidentale e 36 m su quello orientale.
La parte centrale dell’area di studio, compresa tra Torre Olevola e Terracina presenta una prateria di
Posidonia che, procedendo da ovest verso est sembra ridursi di estensione, presentando margini
superiori ed inferiori ad Ovest posti a 11/15 m e 19 m rispettivamente e ad Est a 17 e 19 m
rispettivamente. In prossimità della foce del fiume Badino la Posidonia è presente tra 17 e 23 m di
profondità sotto forma di fasci isolati o sparute chiazze, con ampie zone di matte morta. Il margine
superiore della prateria lungo tutto questo tratto si presenta estremamente frastagliato, con ampie
chiazze di sabbia o di matte morta. Solamente in prossimità del Capo di Terracina la prateria
presenta una maggiore copertura e densità, anche se limitata a profondità compresa tra 20 e 22 m.
Matte morta è presente fino a 28 m di profondità.
Fig. 3 - Distribuzione attuale della Posidonia oceanica nell’area del Circeo (originale in scala 1:15.000, riproduzione non in scala
3.4 L’evoluzione osservata negli ultimi 50 anni
L’attuale distribuzione delle praterie appare essere profondamente cambiata rispetto a quanto
riportato nei lavori precedentemente descritti. La prateria posta di fronte al promontorio del Circeo
è quella che sembra essere la meno modificata durante gli anni, probabilmente perché localizzata
più al largo rispetto alle altre, e quindi meno influenzata dagli apporti di acque continentali, ma
anche grazie alla presenza di substrati rocciosi che hanno probabilmente limitato l’azione della
pesca a strascico illegale.
La prateria centrale, quella compresa tra Capo Circeo e Terracina, presenta la regressione più
importante, evidente soprattutto con l’arretramento del limite inferiore Questo tratto di costa è
stato soggetto a pesanti cambiamenti sia della linea di costa che della pressione antropica
(ricordiamo l’importante arretramento della linea di costa registrato in questa area già a partire
dagli anni ’60), con influenze negative tanto sulla qualità delle acque quanto sulla granulometria
del fondale.
La prateria posta più ad oriente, da Terracina a Sperlonga, presenta invece, per lo meno nella parte
più orientale, un basso livello di regressione. Ricordiamo come anche la linea di costa evidenzi
segni di regressione nella parte più occidentale, nei pressi di Terracina, e segni di sostanziale
equilibrio nel tratto più prossimo a Sperlonga.
Osservando l’andamento nel tempo della riduzione della copertura della Posidonia e la
modificazione del limite inferiore (fig. 4), si nota come nel 1959 tale limite era posizionabile
intorno ai 35 m di profondità nell’intera area di studio (Fusco, 1961). Venti anni dopo si assiste ad
un profondo arretramento di tale margine (Ardizzone e Migliuolo, 1982) con un valore medio pari
a 22-24 m di profondità nella maggior parte dell’area centrale e 25 m al largo di Terracina. Nel
survey del 1990 il limite inferiore presentava differenti condizioni: intorno ai 30-35 m di
profondità di fronte Capo Circeo, 20-22 metri nella parte centrale dell’area, 24-25 m al largo di
Terracina (Diviacco et al., 2001).
Nell’indagine del 2005 (Regione Lazio, 2006; Ardizzone et al., 2006) l’area antistante il Circeo è
ancora la meno modificata mentre nell’area centrale il limite inferiore è ulteriormente diminuito,
raggiungendo 18-20 m di profondità. Nell’area più orientale l’attuale limite è posto intorno ai 2325 m.
La profondità cui si trova il limite superiore è variata meno rispetto a quella del limite inferiore,
passando da 14 m nel 1959 ai 15-16 m attuali, ancora una volta con una regressione più accentuata
nella zona compresa tra il Circeo e Terracina.
Dalla prima stima di copertura della Posidonia pari a 7.290 ha nel 1959, si è passati ad una
copertura pari a 5.054 ha nel 1980, di 3.581 ha nel 1990 fino all’attuale valore di 2.899 ha. La
rapida regressione osservata può essere sintetizzata in una diminuzione della copertura della
Posidonia di circa il 60% dal 1959, del quale il 19% dall’ultimo survey del 1990. La perdita totale
di Posidonia è stata quindi pari a 4.391 ha in circa 15 anni (fig. 4).
Questo stato attuale critico non è il risultato di un inquinamento catastrofico, ma è certamente
dovuto alle continue modificazioni antropogeniche, molto comuni in quasi ogni zona litoranea
mediterranea. Lo sviluppo veloce degli insediamenti umani, l’input di nutrienti provenienti
dall'agricoltura intensiva nella zona, la pesca a strascico illegale ancora praticata, sono senza
dubbio le cause concomitanti della regressione osservata.
La prova del collegamento fra modificazioni costiere e regressione della Posidonia viene anche dal
confronto della situazione appena descritta con l’attuale condizione delle praterie di Posidonia
nelle isole Pontine, appena di fronte la zona di studio. Nessuno dei suddetti fattori di impatto è
presente in quelle isole e il ricoprimento della Posidonia è stabile, certamente negli ultimi 15 anni
ultimi (Ardizzone, 1993; osservazioni non pubblicate, 2005), con margini inferiori che arrivano
fino ad una quarantina di metri di profondità e senza alcun segno di modificazione come la
presenza della matte morta.
A parte il promontorio roccioso del Circeo, che delimita il confine Ovest dell’area di studio, il
tratto di costa compreso tra l’abitato di S. Felice Circeo (con il suo porticciolo turistico) e
Terracina si presenta basso e sabbioso. In questo tratto sfociano due canali (Sisto e Badino) che
raccolgono le acque provenienti dalle coltivazioni e dalle industrie presenti nell’entroterra.
Procedendo verso Est si ritrova l’abitato di Terracina che sorge intorno ad un porto – canale,
anch’esso con le acque reflue provenienti dall’entroterra e dal centro urbano. Procedendo ancora
verso Est, dopo un brevissimo tratto roccioso ancora in prossimità di Terracina, la costa si presenta
ancora bassa e sabbiosa fino all’abitato di Sperlonga. Lungo questo tratto sfociano in mare i canali
di foce del lago di Fondi e di Lago Lungo.
Fig. 4 – L’evoluzione delle praterie di Posidonia nell’area del Circeo a partire dagli anni ‘60 (da: Ardizzone
et al. 2006)
4. L’AREA COMPRESA TRA IL PORTO DEL CIRCEO E TORRE OLEVOLA
Il fondale antistante il litorale che dal porto di S. Felice Circeo arriva a Canale Sisto si presenta
prevalentemente sabbioso fino ad una decina di metri di profondità (Fig. 4). Nella parte centrale,
antistante l’Hotel Neandertal il fondale appare invece frammisto con sabbia e basse formazioni
rocciose che si estendono fino a 2-3 m di profondità, formando una vera e propria “lingua” che si
estende verso il mare aperto, larga un centinaio di metri. Il popolamento vegetale sul substrato
roccioso è caratterizzato dalla presenza dell’alga Padina pavonia. A partire da questa profondità è
presente un mosaico di sabbia, roccia, macchie di Posidonia (insediata sia su sabbia che su matte e
roccia) e matte morta di Posidonia. Questa zona rocciosa presenta tratti di roccia alta anche 1-2 m,
con un ricco popolamento vegetale (P. pavonia) ed animale e si spinge verso il largo fino ad una
decina di metri di profondità. La componente zoobentonica è formata dalle specie tipiche dei
substrati rocciosi soggetti all’idrodinamismo caratteristico di questa porzione, che può essere
occasionalmente anche piuttosto incidente.
L’estensione è piuttosto limitata ma caratteristica per interrompere la distesa di sabbia e conferire
un’importante biodiversità associata. La presenza di ampie chiazze di matte morta è testimonianza
di una prateria di più ampia estensione nei tempi passati.
A partire da una decina di metri di profondità la Posidonia diviene via via più abbondante, a
formare una vera e propria prateria (Fig. 5).
Al largo del porto, in direzione sud, il fondale sabbioso si estende fino ad incontrare le prime
macchie di Posidonia e matte morta tra i 13 e 15.5 m di profondità; in questo punto sono presenti
anche delle rocce basse (1-2 m) di origine organogena, con biocenosi di fondo duro dominate da
specie vegetali in particolare dall’alga bruna P. pavonica, che si alternano a chiazze di Posidonia.
Subito dopo la prateria presenta copertura e densità maggiore, spesso con affioramenti rocciosi. La
prateria appare così insediata in parte su roccia e in parte su matte fino alla profondità di 24 m.
Oltre tale profondità la prateria appare insediata su sabbia e matte, con chiazze sparse di sabbia. Il
margine inferiore è posizionato intorno ai 37 m di profondità.
Le porzioni sabbiose di questo tratto di costa evidenziano le tipiche variazioni delle associazioni
costiere di fondo molle. Dapprima con le Sabbie Fini Superficiali (SFHN), che si estendono fino a
profondità di circa 3-4 m e poi prosegue con i tipici popolamenti delle Sabbie Fini Ben Calibrate
(SFBC) caratterizzate da granuli con diametro omogeneo; la fauna associata e quella classica della
biocenosi dove prevalgono Molluschi (Bivalvi, Gasteropodi), Crostacei e Policheti.
Data l’eterogeneità di questo fondale, nelle porzioni di alternanza da sabbia e roccia, si formano
popolamenti misti che si mescolano alle biocenosi originarie.
Proseguendo ad est dell’Hotel Neandertal l’area è costituita dal cordone sabbioso sommerso che si
estende fino ad incontrare il limite superiore della prateria di Posidonia posto a circa 13 - 15 m di
profondità. Il fondale presenta una debole pendenza con un’accentuazione nella porzione più a
sud-est. In questa zona la distesa sabbiosa incontra un limite discontinuo e frastagliato a
testimoniare, ancora una volta, come l’impatto dei cambiamenti apportati negli ultimi anni abbia
ridotto l’estensione della prateria stessa. Infatti, è presente un’ampia zona che crea un “buco” nella
distribuzione della prateria, ben visibile dalle carte attuali.
Il margine inizia con ampie zone di chiazze a Posidonia e sabbia con canali di intermatte, che
arrivano a spessori fino a 40 cm, la copertura e via via più omogenea e si arriva a valori prossimi
all’80%. La densità arriva fino a 200/300 fasci/m².
La componente bentonica associata è rilevante e la prateria ospita una serie di organismi che
occupano vari livelli, dal popolamento del fogliame con specie epibionti sia vegetali che animali, a
specie vagili come molluschi e diversi echinodermi, a specie che invece risiedono nei rizomi.
Infine va ricordata la componente nectonica che trova riparo nella prateria e tra le foglie.
Dalle cartine allegate (figg. 3 e 5) si evidenzia come l’area ad est del porto riveli i segni di una
continua regressione della prateria di Posidonia, che mostrava in anni passati un’estensione ben
più ampia e che via via si è andata riducendo per la concomitanza di differenti fattori, tra i quali
l’attività di pesca a strascico illegale che viene ancora oggi effettuata in questa zona.
In questa porzione, soprattutto nella zona più ad est, le sabbie risentono di apporti più continentali,
ed in tale situazione ne risultano modificati anche i popolamenti associati.
Rispetto all’intero tratto del litorale pontino, dove la prateria mostra evidenti segni di regressione,
con torbidità dell’acqua ed estese porzioni di matte morta, quella del Circeo risulta essere la
situazione migliore. E’ per questo che si rende necessaria un’azione di tutela e preservazione della
situazione attuale.
Fig. 5 – – Il dettaglio dell’area compresa tra il porto del Circeo e Torre Olevola. In verde chiaro la Posidonia su sabbia o matte, in verde scuro la Posidonia su
roccia, in verde chiaro il mosaico di Posidonia viva e matte morta, in giallo il mosaico di Posidonia, roccia e sabbia, in bianco i sedimenti mobili, in marrone la
matte morta (riproduzione non in scala, originale in scala 1:2.500).
5. IL PROGETTO
In sintesi il progetto proposto prevede la posa in opera di ostacoli meccanici come mezzi di
persuasione della pesca a strascico illegale da dislocarsi nei pressi dei margini superiori ed
inferiori delle praterie di Posidonia e per la protezione ed incremento delle attività della piccola
pesca artigianale.
5.1 Le motivazioni
La protezione della fascia costiera mediante strutture antistrascico presenta enormi vantaggi in
termini biologici di salvaguardia e ripresa delle praterie di Posidonia, dei fondali circostanti e
delle risorse biologiche ad esse legate e, in termini economici, di incremento delle biomasse
ittiche.
Un intervento di questo tipo permetterebbe di ridurre anche la conflittualità esistente tra gli
addetti dello strascico che illegalmente operano entro le tre miglia dalla costa e gli addetti
della piccola pesca costiera di S. Felice Circeo che operano con attrezzi fissi quali tramagli e
parangali.
Analizzando i risultati di numerose ricerche scientifiche attinenti la gestione delle risorse della
pesca, è possibile affermare che le risorse ittiche, pur con alcune distinzioni, si trovano da
anni in uno stato di generale sovrasfruttamento tanto che la stessa CE ha richiesto all’Italia
provvedimenti per il ridimensionamento dello sforzo di pesca e/o della sua capacità. A questo
proposito si ritiene che, in una realtà complessa come quella mediterranea, le iniziative utili
per un recupero delle risorse non possano essere concentrate su un unico fattore, ma siano
necessari provvedimenti articolati e complessi che debbono includere tutte le cause che
provocano alterazioni indesiderate nella situazione ambientale mediterranea.
Le informazioni che derivano da circa venticinque anni di ricerche effettuate in tutta l’area
tirrenica, e nella zona Circeo – Terracina in particolare, tese ad approfondire le conoscenze
sull'ambiente marino, ma anche mirate all’analisi dello stato delle risorse ittiche, ed il contatto
costante con le marinerie, permettono di affermare che un’accurata protezione delle aree
costiere, sede di fenomeni di concentrazione di numerose forme giovanili di specie ittiche e di
biocenosi ad elevata produttività (ad es. il posidonieto) possono portare un contributo
importante al recupero della situazione generale ed in alcuni casi anche a permettere un
alleggerimento della pressione di pesca.
L'invasione da parte di alcuni motopesca a strascico nelle aree costiere vietate costituisce un
motivo di aspro conflitto con la piccola pesca artigianale che opera unicamente con tramagli e
parancali e che in questo strumento vede una competizione sleale che opera sugli stessi fondi
ed insiste su quegli stocks ittici che da sempre sono fonte di sostentamento della categoria;
inoltre tale attività determina un gravoso impatto ambientale che può causare fenomeni
irreversibili su tutto l’ecosistema della fascia costiera.
Il conflitto oggi è ancora aperto in tutto il sud del Lazio; la piccola pesca continua a
denunciare la distruzione delle reti da posta da parte dello strascico illegale e le associazioni
ambientaliste continuano a produrre documenti sugli effetti distruttivi dello strascico.
Affinché siano effettivamente rispettati tutti i provvedimenti legislativi già in vigore
(ricordiamo come la pesca a strascico sia vietata all’interno delle 3 miglia dalla costa o dei 50
m di profondità e che la prateria di Posidonia è un habitat considerato prioritario per la
conservazione dalla Comunità europea), a questo punto appare opportuno il provvedimento di
calare sui fondali manufatti con funzione antistrascico. Tale provvedimento non avrà ricadute
economiche negative sulla categoria dei pescatori a strascico; i professionisti che operano
correttamente, e sono la stragrande maggioranza, non sono interessati dal provvedimento.
Anzi, un recupero della situazione ambientale ed un incremento delle risorse ittiche non può
che essere visto positivamente anche da questi addetti.
5.2 Le strutture antistrascico
L'immersione di strutture artificiali è una pratica affermata in varie parti del mondo a tutela di
zone di particolare importanza ecologica.
Con il termine di "barriere artificiali" si intendono tutti quei manufatti ed oggetti realizzati in
diverse forme e materiali e immersi in mare dall'uomo al fine di realizzare meccanismi tecnicoecologici o, come si suole dire, di “ingegneria ecologica”, atti ad incrementare la produzione delle
risorse biologiche marine, a proteggere i fondali o anche per scopi ricreativi.. Il principio e' quindi
quello di utilizzare strutture appositamente disegnate per attrarre, concentrare, sviluppare e
proteggere risorse sfruttabili dall'uomo. Attenzione a non confondere le “barriere artificiali” con le
“barriere flangiflutto”, sempre emerse e utilizzate per la protezione della costa.
Le barriere artificiali possono quindi essere annoverate fra gli interventi da attuare per una
migliore gestione della fascia costiera poiché, essendo realizzate su fondali marini mobili,
monotoni, costituiscono delle variazioni sostanziali all’habitat originario, determinando effetti
positivi a livello biologico, ecologico ed economico.
Nel tempo il termine “barriere artificiali”, “artificial reefs” per gli anglosassoni, è stato sostituito
con quello di "substrati artificiali" o “habitat artificiali” sia allo scopo di includere quelle strutture
costituite non solo da materiali duri sia soprattutto perché sono cambiate nel tempo gli obiettivi
per i quali queste strutture sono realizzate. Per molto tempo, infatti, l’uso principale di tali strutture
era legato all’immediato effetto di attrazione che esse hanno nei confronti delle specie bentoniche
ma soprattutto di quelle ittiche. Era così possibile catturare grandi numeri di pesci in tempi brevi.
Secondariamente, c’era l’aspettativa che questi nuovi substrati potessero somigliare, da un punto
di vista ecologico, agli ambienti naturali, con le stesse comunità vegetali e animali, ed
eventualmente incrementando la loro biomassa nell’area. Proprio questo ultimo punto
recentemente ha portato ad una rivisitazione del concetto di “barriere artificiali” come semplici
attrattori di pesci. L’attenzione oggi è focalizzata sul disegno di strutture idonee per venire
incontro alle esigenze delle diverse specie di vegetali ed animali, ed allargare in questo modo le
produzioni biologiche.
Il concetto che un habitat artificiale imiti l’ecologia dei substrati naturali si riflette nella
definizione di “strutture sommerse poste appositamente sul fondale marino per mimare alcune
caratteristiche dei substrati naturali” dettata dall’European Artificial Reef Research Network.
Questa definizione implica l’ipotesi che i processi ecologici sulle strutture artificiali dovrebbero
essere funzionalmente equivalenti a quelli dei substrati naturali nella stessa area. L’imitare le
caratteristiche dei substrati naturali può comunque non essere indispensabile per alcuni scopi
particolari dei substrati artificiali, quali ad esempio quelli con funzione di protezione dei fondali da
attività di pesca illegali.
Usi e scopi delle barriere artificiali, o più in generale degli “habitat artificiali” possono essere così
sintetizzati:
1) Sviluppo delle attività di pesca. L’effetto di richiamo sulle specie ittiche esercitato dai substrati
artificiali può essere utilizzato per concentrare o per formare nuova biomassa direttamente
utilizzabile dai pescatori.
2) Protezione e/o creazione di aree di deposizione e accrescimento di specie vegetali ed animali.
Strutture con buchi, cavità e nascondigli sono utilizzati da diverse specie in alcune fasi del loro
ciclo biologico come per la deposizione di uova o capsule nidamentali per i cefalopodi, per
l’accrescimento dei giovanili di specie ittiche, ecc. Tutto questo si traduce in una riduzione della
mortalità, sia naturale che da pesca, con risvolti positivi sugli stock ittici.
3) Prevenzione della pesca a strascico svolta illegalmente entro le tre miglia dalla costa o i 50 m di
profondità, per proteggere gli stock ittici e come metodo per risolvere contrasti con altre attività.
Substrati artificiali appositamente disegnati possono rappresentare un efficace ostacolo ad esempio
all'azione della rete a strascico in aree costiere. Idonee strutture possono inoltre proteggere
ambienti di pregio, come le praterie di Posidonia oceanica. Ciò può avere ripercussioni positive
anche dal punto di vista socio-economico, favorendo, ad esempio, il recupero della piccola pesca
costiera con attrezzi da posta, attraverso un aumento del reddito dei pescatori per le catture
maggiormente diversificate e la riduzione delle conflittualità tra la piccola pesca e le imbarcazioni
che effettuano la pesca a traino sul fondale.
4) Riduzione dello sforzo di pesca in determinate aree. Direttamente legato ai punti precedenti, è
infatti possibile creare delle vere e proprie nuove aree di pesca verso le quali spostare l’attività' di
prelievo da zone sovrasfruttate o di particolare pregio ambientale (aree marine protette, ecc.).
5) Creazione di impianti di molluschicoltura. Strutture posizionate in acque eutrofiche, ricche cioè
in sostanza organica, possono fornire un substrato di insediamento per specie, quali mitili e
ostriche, in grado di sfruttare l’enorme carico di nutrienti presenti e renderlo disponibile come
biomassa edule direttamente sfruttabile dall’uomo. Tali strutture possono essere utilizzate anche
per sorreggere o proteggere altri materiali (corde, cestini, ecc.) a loro volta substrato per i
molluschi, dando vita così ad una versa e propria molluschicoltura sommersa e sospesa.
6) Creazione di aree idonee per immersioni sportive. Strutture appositamente disegnate possono
essere utilizzate per immersioni ricreative esercitando lo stesso fascino, ad es. di veri e propri
relitti.
7) Creazione di aree per ricerca scientifica. Strutture artificiali possono essere impiegate per
particolari studi sull’insediamento e la colonizzazione delle specie animali e vegetali, sul loro
comportamento e, più in generale, sulla loro ecologia, disponendo di un substrato di cui si conosce
perfettamente il tempo di immersione.
L’Italia è stato uno dei primi Paesi europei ad intraprendere la realizzazione di strutture artificiali a
fini multipli su base nazionale e in modo organizzato. Molti programmi sono stati finanziati con il
50 % di contributo della Comunità Europea.
Una cinquantina di strutture artificiali sono state pianificate a tutto oggi lungo la costa italiana, di
questi progetti una trentina (per un totale di più di 15.000 ettari interessati e oltre 92.000 metri cubi
di volume impiegati) sono stati realizzati e sono sostenuti scientificamente, gli altri sono in corso
di realizzazione o ancora sulla carta.
I primi esperimenti di utilizzazione di substrati artificiali risalgono agli anni '70, quando fu
realizzata a Varazze, nel Mar Ligure, la prima barriera artificiale italiana. Scopo di questa barriera
era la protezione dei fondali dallo strascico illegale e l’incremento delle risorse ittiche. La barriera
di Varazze è stata realizzata con 1.300 carcasse di automobili poste su fondali fangosi tra 30 e 50
m di profondità, su un'area di 15.000 metri quadri. Poco tempo dopo alcune vecchie chiatte di
legno furono affondate nella stessa zona, nei pressi di Camogli e nel Golfo di Marconi. Questa
prima iniziativa di Varazze non fu un grande successo in quanto le carcasse di automobili non si
mostrarono adatte a tale scopo, essendo troppo leggere, inquinanti e deteriorabili nel tempo.
Sempre in Liguria, a Loano, è stata realizzata tra il 1986 e il 1989 una barriera artificiale estesa su
350 ha e tra 5 e 45 m di profondità, composta da un gruppo centrale di 30 piramidi costituite da
blocchi in calcestruzzo cubici tra 17 e 25 m (per un totale di 1.740 metri cubi) e un gruppo di 450
singoli blocchi cubici di 1,2 e 2 m di lato, per un totale di 345 metri cubi) distribuiti intorno il
gruppo centrale. I blocchi erano dotati di buchi di 20-30 cm di diametro. Scopo principale della
struttura artificiale era quello di proteggere la prateria di P. oceanica presente nell’area. Il
successo di questa iniziativa fu più che buono.
Nel 1974-75 e' stato realizzato il primo esperimento di barriere artificiali su scala
semiprofessionale, a Sud-Est del Conero (Ancona), nella zona di Porto Recanati.
La barriera di Ancona è costituita da 200 cubi in calcestruzzo di due metri di lato. I cubi sono
assemblati a formare delle piramidi di 14 elementi (9 blocchi di base, 4 al piano intermedio e uno
al vertice). Tra coppie di piramidi vicine sono posizionate corde e reste per una mitilicoltura
sospesa e sommersa. L'area interessata è di circa 3 ettari, su un fondale di 13-15 m. I cubi sono
provvisti di buchi di forma e dimensioni differenti, per offrire rifugio a differenti specie di pesci,
cefalopodi e crostacei. La loro superficie è rugosa per facilitare l’insediamento delle larve dei
mitili. Lo scopo di questo schema era la protezione dei fondali dalla pesca a strascico illegale, il
ripopolamento e lo sviluppo di nuova biomassa sessile, specialmente mitili e ostriche. I risultati
ottenuti mostrano che il costo iniziale delle strutture fu recuperato tre volte in circa 4 anni
attraverso i rendimenti della piccola pesca e la raccolta dei mitili insediati sui substrati artificiali.
Dato il forte richiamo di pescatori (professionisti, sportivi, subacquei) esercitato dall'area della
barriera, fu operata in seguito una estensione dell’area protetta attraverso altri blocchi, corpi e
piramidi più piccole, fino a 2.000 ha di estensione. Tra la metà e la fine degli anni ‘80 nel Mar
Adriatico sono state realizzate altre barriere artificiali multiuso. Nel 1983 l’IRPeM-CNR di
Ancona realizza la struttura artificiale sperimentale di Portonovo (denominata Portonovo 1). Essa
è posizionata in circa 11 m di profondità, ed è realizzata di piramidi, ognuna di 5 cubi di cemento
dello stesso tipo di quelli utilizzati a Porto Recanati. La struttura fu usata per impianti sperimentali
di mitilicoltura sospesa e sommersa (mitili e ostriche).
Le strutture artificiali di Porto Garibaldi (denominate Porto Garibaldi 1 e 2), Rimini, Cattolica,
Senigallia e Portonovo (2) furono costruite negli anni 1987-89. Cinque di loro (Porto Garibaldi 1 e
2, Rimini, Cattolica e Portonovo 2) furono realizzate dietro la spinta delle associazioni locali dei
pescatori e rappresentano dei veri e propri sistemi produttivi su grande scala.
I risultati scientifici ottenuti dalle ricerche condotte su queste strutture possono essere così
sintetizzati: a) Gli effetti delle strutture artificiali sono più evidenti nei siti più lontani dai substrati
duri naturali; b) La ricchezza di specie e l’abbondanza dei pesci aumenta dopo la posa in opera
delle strutture e questo aumento è particolarmente evidente per le specie nectobentoniche di fondo
duro (es. Sparidi e Scienidi). L’aumento dei pesi delle catture medie registrati per queste specie
dopo tre anni dal posizionamento è stato 10-42 volte il valore iniziale. Questo incremento sembra
essere direttamente correlato alle dimensioni delle strutture in termini di volume di materiale
immerso e inversamente correlato alla distanza tra le oasi; c) Le catture più elevate di pesci sono
state riportate per le strutture artificiali rispetto ad aree senza strutture; e) In acque eutrofiche i
molluschi bivalvi (mitili e ostriche) si insediano sulle strutture artificiali trovando condizioni
idonee per lo sviluppo, creando nuove opportunità di maricultura.
Nel 1978 fu realizzata la barriera artificiale del Parco di Miramare (Trieste), a fini di protezione e
ripopolamento, assemblando a 18 m di profondità, su un fondale fango-sabbioso, elementi
cilindrici di calcestruzzo, di lunghezza variabile da 1 a 6 metri, cavi all’interno e di diametro pari a
1,80 m. La forte sedimentazione dell’area ha limitato la colonizzazione del popolamento
bentonico, caratterizzato da una bassa percentuale di copertura algale, mentre furono numerosi i
pesci attratti dai massi. Dal 1988 piramidi di cemento sono state posizionate al largo del
Laboratorio di Biologia Marina dell’Università di Trieste. Un’ulteriore struttura è stata posizionata
nel 1994 a Dosso, Santa Croce (Golfo di Trieste), dove substrati di cemento sono utilizzati per il
ripopolamento ittico e per proteggere i fondali dalla pesca a strascico illegale.
A partire dal 1980 nel Golfo di Castellammare, in Sicilia, fu realizzato il più grande sistema di
strutture sommerse a fini di protezione e ripopolamento del Tirreno meridionale, con barriere
immerse a Terrasini, Trappeto, Alcamo, Balestrate; altre strutture artificiali sono state realizzate
nella Baia di Carini, a Vergine Maria, nel Golfo di Patti e, ancora, lungo la costa agrigentina. I
risultati di questi sperimenti furono diversi secondo del luogo in cui le strutture erano posizionate,
soprattutto in funzione del livello di trofia delle acque. Il popolamento bentonico della prima
struttura di Castellammare fu caratterizzato da una bassa copertura di alghe e un grande numero di
filtratori. Un incremento nel numero di specie e della diversità fu osservato nella comunità ittica
della struttura artificiale rispetto ad aree di confronto. I rendimenti della pesca erano leggermente
più alti nella zona con la struttura artificiale che nell’area senza le strutture. Ostriche e mitili
furono abbondanti.
Nel 1981 a Terrasini è stata installata, in acque relativamente oligotrofiche a 18 metri di
profondità, una barriera artificiale realizzata con massi cubici di 1,4 m di lato, assemblati a
formare delle piramidi e con elementi cilindrici di 1 m di diametro. La struttura artificiale
sviluppava un volume complessivo di circa 400 mc.
Ad Alcamo Marina, su un fondale di 16-20 m, in acque eutrofiche, è stata realizzata una barriera
costituita da 448 blocchi di cemento di 2 m di lato assemblati a formare 32 piramidi ognuna di 14
elementi su un’area di 30 ha, per un volume totale di 3.584 mc.
A Mazara del Vallo (Sicilia sud occidentale), una struttura artificiale fu realizzata con il
posizionamento sul fondale di una nave. Scopo del progetto, iniziato nel 1989, era quello di
investigare l’efficacia di un relitto quale struttura artificiale nel Mediterraneo. L’analisi della
composizione in specie mostrò una alta diversità dovuta alla eterogeneità della struttura.
Nel Tirreno centrale (Lazio), nel 1991, furono realizzate strutture artificiali sperimentali nelle
acque oligotrofiche dell’isola di Ponza, finalizzate alla verifica sul campo di una serie di iniziative
a favore della pesca locale in vista dell’istituzione della Riserva Marina delle isole Pontine. In
questo caso l’ottica era quello di creare delle vere e proprie “secche rocciose” su fondali monotoni,
sabbiosi, verso le quali spostare parte delle attività di pesca praticata in aree ecologicamente
sensibili. Nei tre siti esaminati, a profondità comprese tra 26 e 38 m, in acque oligotrofiche e
trasparenti, i risultati furono interessanti, con la presenza sui substrati artificiali di cernie, saraghi,
murene.
Nel 1981 venne realizzata la barriera artificiale di Fregene. Questa rappresenta il primo
esperimento di “barriera a fini multipli” realizzata nel Mar Tirreno, con scopi quindi di protezione
dei fondali dalla pesca a strascico illegalmente svolta sottocosta, ripopolamento ittico e
maricoltura (mitilicoltura sommersa e sospesa in particolare).
Il progetto aveva, infatti, le seguenti finalità:
- Possibilità di riciclaggio del surplus energetico costiero, mediante quegli accorgimenti di
“ingegneria ecologica” (superfici, corde, braccioli, ecc.) atti a favorire l’insediamento degli
organismi filtratori che si nutrono del materiale organico in sospensione nell’acqua, quali i
molluschi bivalvi mitili e ostriche.
- Creazione di rifugi e di ambienti protetti per tutte quelle specie che vivono in prossimità di
fondali rocciosi (pesci e crostacei) e che compiono, in anfratti e cavità, delicate fasi del loro ciclo
biologico, quali la deposizione di uova e sacche embrionali (molluschi gasteropodi e cefalopodi) o
muta dell’esoscheletro (crostacei).
- Protezione dei fondali e della piccola pesca locale dall’impatto della pesca a strascico che
illegalmente opera dentro le tre miglia dalla costa, catturando esemplari giovanili di diverse specie
commerciali (triglie, pagelli, polpi, ecc.), danneggiando talvolta gli attrezzi fissi della piccola
pesca e sottraendo ad essa gli spazi operativi vitali.
La barriera artificiale di Fregene è situata nel Mar Tirreno, tre miglia a nord della foce del fiume
Tevere, di fronte l'abitato di Fregene, a poco più di un miglio dalla costa.
L'area coperta dalla barriera artificiale è di circa 6 ha (200 x 300 m di dimensioni) e la profondità
del fondale varia tra 12 e 14 m. (Ardizzone e Chimenz, 1982; Ardizzone et al., 1989). Essa è
costituita da 280 blocchi di calcestruzzo di forma cubica ognuno di 2 metri di lato assemblati a
forma di piramide in gruppi di 5 (4 di base e 1 di vertice) o di 4 (3 di base e 1 di vertice). Il peso di
ogni blocco è di circa 130 q. Il vertice di ogni piramide era inoltre dotato di una putrella in ferro, e
tra i due massi di vertice di piramidi vicine è stata posizionata una cima sospesa al fine di favorire
l’insediamento dei mitili.
Ognuna delle 60 piramidi così realizzate poggia su un basamento in pietrame realizzato per
impedire l’affondamento della struttura nel sedimento sabbio-fangoso.
Il disegno del masso utilizzato è lo stesso messo a punto per la barriera artificiale di Ancona (Mar
Adriatico) e prevede una serie di buchi e cavità, alcuni passanti da parte a parte, altri a fondo ceco,
per aumentare il rapporto superficie/volume e offrire rifugio e protezione a specie bentoniche di
invertebrati e pesci. La superficie dei massi è scabra per facilitare l'insediamento delle larve degli
organismi sessili.
In Francia, dove moduli artificiali sono usati sperimentalmente a partire dal 1970 per incrementare
le risorse ittiche, sono state realizzate una ventina di strutture di dimensioni variabili da 35 a 6.500
mc, per un totale di circa 40.000 metri cubi. Strutture artificiali sono state realizzate lungo la costa
mediterranea nel Languedoc-Roussilon, sulla Costa Azzurra, alle Bocche del Rhone, nella
Regione dei Paesi della Loira, nel dipartimento delle Alpi Marittime e nel Parco Marino di PortCros. Alle Bocche del Rhone furono impiegate 3.600 metri cubi di roccia naturale e piramidi in
cemento, a scopo principalmente antistrascico. Nelle Alpi Marittime l’attenzione venne posta alla
creazione di habitat per specie ittiche. Nel Languedoc-Roussillon furono posizionati 6.000 metri
cubi di materiali sui fondali del Golfo del Leone, anche se i risultati in questo caso non furono
particolarmente interessanti.
In Spagna, coordinate dal governo nazionale, sono state realizzate, a partire dal 1986 ad oggi, un
centinaio di strutture artificiali. Una cinquantina di queste sono state realizzate principalmente a
scopo di protezione dalla pesca a strascico illegale e/o incremento delle risorse ittiche.
In particolare, sono state realizzate a scopo di ripopolamento barriere artificiali mediante corpi in
cemento armato nelle acque delle Baleari, nei pressi di Alicante (a protezione della prateria di
Posidonia oceanica), nella Murcia, nella Riserva Marina di Tabarca (a scopo antistrascico e a
protezione delle praterie di Posidonia), in Galizia (costa NW della Spagna), alle Canarie.
Al di fuori dell’area Mediterranea, ma sempre in ambito europeo, strutture artificiali sono state
realizzate nel 1983 in Portogallo (Madeira) con automobili, pneumatici e barche in legno per
incrementare le risorse ittiche e nel 1990 in prossimità di Olhao e Faro (Algarve), a scopo di
protezione dei fondali e di ripopolamento.
Lungo le coste dell’Inghilterra centro - meridionale (Poole Bay, 1989) è stata realizzata una
piccola struttura artificiale sperimentale utilizzando elementi in carbone - cemento stabilizzato, un
materiale di risulta delle centrali elettriche a carbone mischiato con cemento. Strutture artificiali
sono in costruzione al largo della costa Est della Scozia.
Altre strutture per lo più sperimentali sono state realizzate in Germania, Olanda, Norvegia,
Finlandia, Danimarca. La Polonia e la Russia hanno posizionato strutture artificiali sperimentali
nel Mar Baltico, la Romania nel Mar Nero, ancora la Russia nel Mar Caspio.
Fig. 6 – Vari esempi di substrati artificiali usati in diverse parti del mondo (in basso le strutture artificiali
impiegate nel 1981 a Fregene)
5..3 Inquadramento
E’ noto che alcuni pescherecci con rete a strascico agiscono illegalmente in aree di mare
interdette: infatti, tale tipo di pesca non può essere svolta in zone di mare comprese entro le
tre miglia dalla costa oppure su fondali la cui profondità è inferiore a 50 metri (art. 111 del
D.P.R. n. 1639 del 02.10.1968). Più recentemente una direttiva emanata dall’Unione Europea
e recepita dal Governo Italiano ha decretato anche la protezione delle praterie di fanerogame
marine (Dir. U.E. n. 1626/94 All. 1).
Questi comportamenti di pesca illegali procurano danni diretti e indiretti sulla struttura e la
consistenza delle praterie di fanerogame e sulle specie ittiche che vivono in questo ambiente.
Lo strascico nella fascia più costiera può recare danno anche a determinate specie ittiche, in
particolari fasi del loro ciclo vitale, come ad esempio nel caso in cui sono catturati notevoli
quantitativi di giovani triglie in estate e in autunno, quando queste sono concentrate sottocosta
in acque poco profonde. In tal modo si preleva dall’ambiente un numero molto elevato di
esemplari che, se non catturati, in breve tempo raggiungerebbero taglie maggiori.
Il caso della triglia bianca (Mullus barbatus), pur per se rappresentativo, dal punto di vista
economico può in ogni caso essere considerato meno grave rispetto ad altre specie come ad
esempio il fragolino (Pagellus erytrhinus) e i cocci (Trigla lucerna); infatti, mentre la risorsa
costituita dalla triglia, se pescata prematuramente, subisce un danno evidente, ma i giovani
esemplari sono comunque commercializzati, nel caso del fragolino e dei cocci, i giovani
individui non hanno alcun valore commerciale e sono rigettati in mare ormai morti. Studi
sull’impatto della pesca a strascico nelle acque costiere del litorale pontine sono stati effettuati
a partire dai primi anni ’80 (Ardizzone, 1982; Ardizzone e Migliuolo, 1982; Ardizzone e
Pelusi 1984).
Le attività di pesca illegali, oltre che danneggiare i fondali marini e introdurre turbative ad una
corretta gestione delle risorse, entrano in conflitto diretto con la piccola pesca costiera, in
quanto le aree di lavoro dei due tipi di pesca vengono a sovrapporsi (talvolta le barche a
strascico durante la loro pesca possono anche asportare le reti da posta piazzate in aree
teoricamente sicure). Del resto la pesca artigianale, oltre ad avere un minimo impatto
ambientale sulle praterie di fanerogame, impiega attrezzi più selettivi, e quindi di minor
impatto verso gli esemplari giovanili.
L’operazione di posa in opera sui fondali di “corpi morti”, adeguatamente sagomati, atti ad
impedire la pesca a strascico illegale, serve, oltre che alla protezione dei fondali marini
costieri, a rendere completamente fruibili alla piccola pesca le aree di mare tradizionalmente
legate a questa attività in modo tale che tutte le operazioni ad essa connesse possano essere
svolte con redditività e tranquillità senza danni diretti o indiretti all’habitat stesso. In tal modo
le aree adibite alla piccola pesca sarebbero così separate da quelle, molto più vaste e profonde,
dove agisce la pesca a strascico in situazioni di minore impatto ambientale.
E’ opportuno inoltre ricordare che, oltre alla piccola pesca costiera, anche la pesca a strascico
trarrebbe a medio termine incisivi vantaggi se fossero totalmente protette le aree strettamente
costiere e le praterie di fanerogame. Questi ambienti (zone di nurseries) forniscono buona
protezione ai giovani e permettono la successiva l’irradiazione verso acque più profonde degli
animali in crescita di numerose specie pregiate che costituiscono buona parte delle catture
economicamente redditizie della pesca a strascico.
Inoltre, strutture artificiali appositamente disegnate, una volta popolate di fauna bentonica ed
ittica, possono essere un buon sito per le immersioni sportive, guidate dai diving locali.
5.4 Aree proposte per la posa dei manufatti
Per stabilire le aree marine costiere i cui fondali richiedono una protezione attiva è necessario
considerare non solo le caratteristiche geomorfologiche dei fondali ma anche quelle
biocenotiche e la struttura delle popolazioni delle specie ittiche più strettamente costiere ed
economicamente rilevanti.
Per l’immersione dei corpi morti si ipotizza di non disporli a profondità inferiori a 8-10 metri
in quanto è difficile che un motopesca possa pescare in acque ancor meno profonde. Il limite
batimetrico superiore è intorno ai 30-40 metri, prossimo alla soglia dei 50 metri oltre la quale
lo strascico può pescare legalmente. Inoltre nella zona di mare interessata le fanerogame da
proteggere non sono presenti a profondità maggiori di 30-35 m.
Nel progetto è preso in considerazione il tratto di litorale compreso tra il promontorio del
Circeo e la foce del canale Sisto, soggetto alla disciplina prevista dalla Legge N° 963 del 14
luglio 1965 e da successivi regolamenti applicativi che prevedono il divieto di strascico entro
le tre miglia dalla costa. L’allocazione precisa delle singole strutture sarà stabilita
successivamente, nella fase di pianificazione operativa del progetto, ma l’intenzione è di
posizionare strutture artificiali in punti chiave, cioè in posti strategici che impediscano di fatto
l’utilizzo delle reti a strascico nella zona, impedendo di filare la rete a mare e metterla in
pesca tra una serie di ostacoli e l’altra (figg. 7 e 8).
La fascia costiera, posta a profondità inferiori a 10 metri, è caratterizzata dalla presenza di un
popolamento bentonico ascrivibile alle biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate. Tra i 10 e i
12 m di profondità si trova il margine superiore di una vasta prateria di Posidonia oceanica
che si protende fino ad una ventina metri di profondità. Le aree più esterne sono caratterizzate
da popolamenti bentonici ascrivibili ai Popolamenti Misti e al Detritico Infangato.
Per quanto riguarda i popolamenti ittici, nel periodo tardo estivo – autunnale sono presenti
elevate concentrazioni di giovani di pagello (Pagellus erythrinus), triglia di fango (Mullus
barbatus) e calamaro (Loligo vulgaris). La conflittualità tra categorie è elevata ed è legata
prevalentemente alla marineria della piccola pesca costiera di S. Felice Circeo e dello
strascico di Terracina.
Fig. 7 – Aree ipotizzate di posa in opera di ostacoli persuasivi contro la pesca a strascico illegale (ipotesi 1)
Fig. 8 – Aree ipotizzate di posa in opera di ostacoli persuasivi contro la pesca a strascico illegale (ipotesi 2)
5.5 Ipotesi tecnica
In questa prima fase del progetto si può considerare l’ipotesi di impiegare le unità dissuasive
utilizzate a partire dal 2006 lungo la costa del litorale di Livorno oppure di strutture appositamente
disegnate.
Sostanzialmente ogni unità dissuasiva (UD) utilizzata a Livorno è costituita da 3 blocchi di
cemento armato uniti tra loro con cavi d’acciaio legati in serie e disposti sul fondo marino ad una
distanza intermedia di 10-30 m, per un complessivo sviluppo lineare di circa 50 m. Le ragioni della
modularità risiedono fondamentalmente in vantaggi costruttivi, di posizionamento, efficacia e
costo.
Fig. 9 – I moduli antistrascico utilizzati lungo la fascia costiera toscana
I blocchi sono di forma prismatica (alti 1.5 m) a base trapezoidale (1.5 x 1.2 m) aventi un volume
complessivo di 1.66 m3. La scelta della forma e delle dimensioni nasce da molteplici esigenze e
vincoli tecnologici: senza entrare nei dettagli (relativi alla stabilità, resistenza al moto ondoso,
maneggiabilità, funzione ancorante, costi, ecc.) si riportano di seguito le caratteristiche essenziali,
da definirsi poi con precisione in fase di progettazione tecnica.
Fig. 10 – Caratteristiche dei moduli antistrascico utilizzati lungo la fascia costiera toscana
Il peso di ogni blocco è di circa 4000 kg, che, considerando la spinta idrostatica esistente sui corpi
immersi, equivale a 2500 kg nel momento in cui questi sono posizionati sul fondo marino. Pertanto
ogni UD consente in condizioni operative una resistenza minima di 3 x 2500 = 7500 kg. A questo
si deve inoltre aggiungere l’azione di attrito del sottosuolo, il peso dei cavi, la resistenza
dell’acqua, ecc.
Tali valori sono superiori alle possibilità dei motopesca che operano abitualmente nella zona
(traino max di circa 2-3 ton): anche nel caso di rottura dei cavi di collegamento e quindi di
isolamento del blocco, lo stesso con il suo peso può da solo garantire la resistenza necessaria alla
rottura della rete in mare o al danneggiamento permanente delle strutture di traino al momento
della fuoriuscita del blocco dall’acqua.
Sono previsti anche due trafori cilindrici ortogonali con diametro di 20 cm che possono costituire
eventuale riparo alla fauna ittica ed ausilio al trofismo circostante la struttura.
I tre blocchi che costituiscono ogni unità dissuasiva sono collegati in serie da un cavo in acciaio
AISI316 di circa 60 m con funzioni sia collaborante/ancorante, sia di aggancio qualora la rete
passasse tra i blocchi. Al fine di migliorare l’effetto intercettivo e mantenere la quota di posa dei
cavi di collegamento sono predisposti dei galleggianti in plastica dimensionati in modo tale da
consentire il galleggiamento del cavo rispetto al fondo, anche in caso di accumulo di vegetazione
marina.
Prima del posizionamento dei moduli antistrascico sarà necessaria una indagine sedimentologica
per verificare la granulometria del sedimento e la sua capacità di sopportare corpi in cemento
senza provocarne l’affondamento. In caso negativo si rende necessaria la costruzione di una base
in pietrame prima di posizionare i manufatti.
Altre ipotesi tecniche possono prevedere l’impiego di tetrapodi o strutture artificiali di altro
disegno. Ancora, l’ipotesi dell’Ufficio Tecnico del Comune di S. Felice Circeo che prevede
l’impiego di strutture appositamente disegnate (fig. 19). Queste strutture sono di tre tipi:
1 – modulo a forma sferica, avente la sola funzione di ripopolamento, costituito da tre elementi
prefabbricati, realizzati a terra mediante il riempimento di stampi con calcestruzzo naturale o con
malta idraulica a PH 9 circa, assemblati mediante bulloni in acciaio inox e piatti con asole
anch’essi in acciaio inox e immersi in acqua con l’ausilio di mezzi idonei; la superficie scabrosa,
le cavità, le microcavità e gli interstizi creano un ambiente vario e la forma del modulo genera
curiosità per gli appassionati di immersione;
2 – modulo a forma parallelepipeda, avente funzione antistrascico e di ripopolamento, costituito da
tubi forati realizzati a terra mediante il riempimento di stampi con calcestruzzo naturale o con
malta idraulica a PH 9 circa, assemblati mediante bulloni in acciaio inox e piatti con asole
anch’essi in acciaio inox, e posti sul fondale con l’ausilio di mezzi idonei; la superficie scabrosa,
le cavità, le microcavità e gli interstizi creano un ambiente vario per le specie ittiche;
3 - modulo a forma tronco di cono, avente la sola funzione antistrascico, costituito da tre elementi
prefabbricati, realizzati a terra mediante il riempimento di stampi con calcestruzzo naturale o con
malta idraulica a PH 9 circa, assemblati mediante bulloni in acciaio inox e piatti con asole
anch’essi in acciaio inox, e posti sul fondale con l’ausilio di mezzi idonei; la forma ed il peso
fungeranno da contrasto alle “Paranze”.
La consistenza complessiva in termini di volume è pari a circa 37.500 mc.
Fig. 11 – Le strutture artificiali di ripopolamento e antistrascico disegnate dall’Ufficio Tecnico del Comune di S. Felice Circeo
IPOTESI DI COSTI
Progetto Ostacoli meccanici contro la pesca a strascico illegale
Progettazione di dettaglio
Studio granulometrico e correntometrico
Realizzazione manufatti
Posa in opera manufatti
Monitoraggio biologico ante-operam e post-operam per 3 anni
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