DIALOGO TRA LA FEDERAZIONE PENTECOSTALE E LA CHIESA VALDESE La Cena del Signore 1. La Cena del Signore: comprensione e prassi La comprensione evangelica della Cena del Signore è fondamentalmente quella della condivisione del dono che Gesù fa di se stesso alla comunità cristiana che riceve e condivide pane e vino quali segni e conferme della morte di Gesù per la salvezza di chiunque crede in lui. La condivisione del pane e del vino significa la profonda comunione, personale e comunitaria, col Signore glorificato, vivente e presente in mezzo ai suoi. Inoltre, con la celebrazione della Cena, la Chiesa annuncia il ritorno di Cristo e l’avvento del suo Regno. Le chiese valdesi e metodiste utilizzano il termine “sacramento” (che nel latino giuridico indicava un giuramento solenne e un patto) nel significato di rito istituito dal Signore mediante un mandato ai discepoli, affinché la realtà invisibile della grazia sia presentata mediante segni visibili e ricevuta per fede. Il sacramento consta della parola del Vangelo, dei segni visibili (pane, vino, acqua) e della realtà della grazia presentata mediante quegli elementi. Le chiese pentecostali comprendono la posizione valdese e metodista sul significato del termine “sacramento”, ma per evitare ambiguità con i significati attribuiti alla Cena del Signore da altre confessioni cristiane, preferiscono utilizzare il termine “ordinamento”. I termini “Cena del Signore”, “Santa Cena”, “Mensa del Signore” sono generalmente accettati e adoperati tanto dalle chiese valdesi e metodiste, quanto da quelle pentecostali. Il termine “eucaristia” (ringraziamento), pur rappresentando una parte importante della liturgia della Cena, generalmente non è adoperato né dalle chiese valdesi e metodiste, né dalle chiese pentecostali. La Cena è parte integrante del culto cristiano: la sua celebrazione, nelle fasi iniziali dello sviluppo della Chiesa, sembra avesse una cadenza quotidiana legata al radunarsi nelle case (Atti 2,46). È logico pensare che i primi cristiani celebrassero la Cena ogni volta che s’incontravano per il culto, specialmente per quello domenicale. La “fractio panis”, lo spezzare il pane, è uno dei quattro elementi costitutivi del culto cristiano delle origini (Atti 2,42). In ogni caso, le esperienze successive sembrano indicare che la frequenza si legò più alla prassi che all’ordinamento stesso della Cena del Signore1. Proprio per il valore di prassi che la Scrittura sembra assegnare alla frequenza della Cena del Signore, riteniamo sia importante che la disciplina adottata dalle Chiese metta le assemblee al riparo sia dalla “abitudine religiosa” sia dallo “svilimento” di un’ordinanza del Signore con profondissimi significati teologici. 2. Testi biblici di riferimento La Cena del Signore (I Corinzi 11,20) è stata istituita dal Signore Gesù Cristo durante l’ultima cena, cioè durante il pasto pasquale che si tenne prima della sua morte e resurrezione. Quattro testi biblici riportano il racconto dell’istituzione (Matteo 26,26-29, Marco 14,22-25, Luca 22,15-20, I Corinzi 11,23-26). Le diverse redazioni sono concordanti nella sostanza e differiscono per alcuni aspetti. In Marco e Matteo non c’è il mandato a ripetere l’atto (“Fate questo…”); in Luca i calici sono due: il primo condiviso nel corso del pasto, il secondo alla fine della cena. Il tempo liturgico pasquale in cui l’ultima cena viene consumata vuole identificare il compimento della Pesach (passaggio dalla 1 Atti 20,7; I Cor. 16,2. In questo passo, pur non trattandosi specificamente di Cena del Signore, sembra che alcuni aspetti cultuali come le offerte, in questo caso, abbiano assunto una cadenza settimanale. schiavitù alla libertà), con il passaggio di Gesù attraverso la croce e la resurrezione, la morte e la vita. Nell’ambito del rivivere liturgicamente la liberazione dall’Egitto (Esodo 13,8), Gesù presenta se stesso come l’agnello pasquale: il suo corpo e il suo sangue sono il nutrimento per la vita dei discepoli. Il banchetto è pure presente nella liturgia dei sacrifici, in quanto parte dell’offerta veniva consumata dagli offerenti e dai sacerdoti. Infine, le parole dell’istituzione contengono un annuncio del banchetto del Regno di Dio. La celebrazione della Cena nelle case segue la predicazione pubblica di Pentecoste e i primi battesimi, costituendo uno dei segni distintivi dei primi credenti di Gerusalemme (Atti 2,42-47a). L’interpretazione dell’apostolo Paolo (I Corinzi 10,16-17) sottolinea che gli elementi del pane e del vino costituiscono la comunione col corpo e il sangue di Cristo, vero nutrimento dei credenti in vita eterna. L’unico corpo della chiesa viene così nutrito e fortificato realmente e spiritualmente nella comunione con il suo unico capo. 3. Significato e portata della comunione nella celebrazione La Cena del Signore è un atto eminentemente comunitario, fin dalle sue origini e, oltre a significare la comunione con il corpo e il sangue di Cristo, cioè con la sua vita e la sua morte, intende anche manifestare la comunione tra i discepoli e le discepole che si accostano alla mensa. Lo stesso apostolo Paolo sottolinea questo aspetto della Cena quando, nella I Epistola ai Corinzi scrive: “Il pane che noi rompiamo, non è forse la comunione con il corpo di Cristo? Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane” (I Corinzi 10,16b-17). Il pane unico condiviso tra tutti, manifesta l’unità della comunità che, riunita intorno al suo unico Signore e Salvatore, riceve da lui nutrimento e forza, per continuare a porsi alla sua sequela. Nessuno può prendere soltanto per sé quell’unico pane; ognuno dei molti ne assume un pezzetto ed è soltanto l’insieme dei pezzi condivisi che costituisce l’unità. L’unità è dunque nella condivisione e nella partecipazione all’unico pane2. Paradossalmente, nella Cena del Signore è proprio la divisione (del pane e del vino) a sottolineare il vincolo di unità con Cristo e con i fratelli e le sorelle che, insieme, si accostano alla Cena. L’unità del pane spezzato si ricostituisce nell’unità del corpo. Intorno al pane condiviso si costituisce l’unità (come se mangiando dell’unico pane si divenisse una cosa sola) e così i molti e diversi che si accostano alla Cena si riconoscono comunità, riunita nell’obbedienza alla Parola del Signore: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22,19). La comunione che si realizza nella Cena è, allora, allo stesso tempo, la comunione con Cristo e comunione tra coloro che credono in lui3. Si tratta di due aspetti inscindibili. Nella Cena del Signore non vi può essere comunione con il Signore senza che vi sia comunione tra le discepole e i discepoli riuniti nel suo nome. Quanto alla portata della comunione, espressa nella Cena del Signore, essa è sia universale sia escatologica. Tutte le generazioni di credenti in Cristo, passate, presenti e future, in ogni parte del mondo, ripetendo e rivivendo le parole e i gesti della Cena del Signore, annunciano “la morte del Signore, finché egli venga” (I Corinzi 11,26), cioè la sua intera opera di redenzione volta alla salvezza dell’umanità. In questo esse sono in comunione le une con le altre mentre attendono il compimento del Regno di Dio, del quale la Cena anticipa il banchetto (Marco 14,25). 2 Questo accostamento tra l’unico pane e l’unità della chiesa è ben presente anche nella Didaché (70-80 d.C.), dove è scritto: “Come questo pane disseminato sopra i monti, raccolto è divenuto uno, così possa essere raccolta la chiesa Tua dalle estremità della terra nel Tuo Regno, poiché Tua è la gloria e la potenza per Gesù Cristo nei secoli” (IX,4). 3 Questo secondo aspetto sembra essere particolarmente sottolineato dal riformatore Huldrych Zwingli (1484-1531), per il quale la partecipazione alla Cena del Signore era anche un Pflichtzeichen, un reciproco impegno di fedeltà e lealtà tra i membri della chiesa, chiamati a essere in comunione gli uni con gli altri, oltre che con il Signore. Non a caso egli intendeva il termine sacramento nel senso di un giuramento, una dichiarazione di fedeltà, una sorta di patto di appartenenza alla Chiesa oltre che a Cristo. 4. Significato della materialità del pane e del vino La materialità del pane e del vino è il frutto della misericordia di Dio, il quale tiene conto della nostra fisicità: “Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere” (Salmo 103,14). Così come Dio incise nella materialità della pietra la sua Legge (Deuteronomio 5,22), ora la vuole iscritta nei nostri cuori (Geremia 31,33); Dio, che è Spirito (e in quanto tale invisibile), si è reso visibile e tangibile incarnandosi nel suo Figlio Gesù Cristo, nostro Redentore. Parimenti, come la Parola “è diventata carne” (Giovanni 1,14), in Cristo, così la realtà della sua opera di redenzione è stata espressa dal Signore Gesù Cristo per mezzo della materialità del pane e del vino, segni tangibili e trasmissibili di generazione in generazione, del suo corpo e del suo sangue, altrimenti visibili e fruibili soltanto ai suoi contemporanei. Altresì, la concretezza del pane e del vino attualizza il piano salvifico, legando la vita e l’opera di Cristo sulla croce all’annuncio del compimento futuro del suo Regno (Matteo 26,29; Marco 14,25; Luca 22,18). 5. Celebrazione della Cena e disciplina ecclesiastica Le chiese valdesi e metodiste e le chiese pentecostali regolano la celebrazione della Cena secondo le proprie discipline come fanno le altre chiese cristiane. In alcune realtà, sia pentecostali sia valdesi e metodisti, si permette a chiunque lo desideri se ne assuma la responsabilità, di accostarsi ai segni del pane e del vino. Non entriamo nel merito delle motivazioni di tali posizioni, ma, riferendoci alla rivelazione biblica, il monito dell’apostolo Paolo non può essere taciuto: “Ora ciascuno esamini sé stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro sé stesso, se non discerne il corpo del Signore”. (I Corinzi 11,28-29). 6. Ospitalità eucaristica I passi biblici affermano chiaramente che la Cena del Signore è un atto comunitario consentito ai cristiani in comunione con Dio e con la Chiesa che la celebra. Pertanto, nella valutazione sulla possibilità o meno dell’ospitalità eucaristica, sarà verificata l’effettiva comunione spirituale con Cristo e con la sua Chiesa. Secondo il grado di riconoscimento tra le denominazioni evangeliche, alcune chiese pentecostali tendono ad aprire la partecipazione alla Cena a credenti di altre chiese evangeliche, in particolare laddove la comprensione e la prassi battesimale siano comuni. La condivisione con altre confessioni cristiane è generalmente avvertita in termini più problematici. Le chiese valdesi e metodiste praticano l’ospitalità eucaristica verso tutti i cristiani senz’alcuna preclusione. Tuttavia, l’intera comprensione evangelica della Cena è fondata sull’opera dello Spirito che crea libertà e gioia e a questa opera è collegata. Pertanto, per quanto riguarda il rapporto tra comprensione della Cena, comunione realizzata e accoglienza, anche se oggi non riteniamo sia possibile arrischiare una parola definitiva, crediamo sia opportuno una ulteriore riflessione delle chiese, in pieno spirito fraterno, sull’argomento. 7. Conclusioni Le chiese valdesi e metodiste e le chiese pentecostali concordano sul fatto che: a) la Cena è celebrata per il mandato di Gesù ai suoi discepoli; b) la Cena è il memoriale (ricordo rivissuto) della Pasqua del Signore; c) la Cena è annuncio e profezia del banchetto del Regno di Dio; d) il pane e il vino, distribuiti a tutti i partecipanti, sono segni sicuri che confermano il Vangelo, cioè che il corpo e il sangue di Gesù sono stati dati in sacrificio di espiazione, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna; e) il pane e il vino sono comunione con il corpo e con il sangue del Signore crocifisso, risorto e asceso al cielo. Mediante questa comunione, la chiesa, corpo di Cristo, viene nutrita, dissetata e fortificata dal suo unico capo Gesù Cristo, in vita eterna; f) l’azione dello Spirito santo, che ispira la predicazione e crea la fede nei cuori, stabilisce il collegamento tra il fatto storico (la morte di Gesù) cui la Cena rimanda e la sua celebrazione contemporanea, superando le barriere spaziali e temporali e comunicando realmente alla comunità i benefici della presenza di Cristo; g) l’interpretazione di ciò che avviene nella Cena è eminentemente spirituale, cioè l’elevazione spirituale dei credenti nella piena comunione con il Cristo esaltato alla destra del Padre e presente in mezzo ai suoi; h) la Cena è del Signore, che ha investito la sua chiesa della responsabilità della sua amministrazione. Pertanto le chiese valdesi e metodiste e le chiese pentecostali concordano sul fatto che l’invito alla partecipazione sia disciplinato da ciascuna chiesa, e che la differenza delle singole discipline non costituisce un ostacolo alla comune comprensione della Cena; i) le chiese valdesi e metodiste e le chiese pentecostali si sentono di incoraggiare l’ospitalità eucaristica, cioè l’invito ai membri delle chiese pentecostali a partecipare alla Cena amministrata dalle chiese valdesi e metodiste e viceversa.