GENNARO SASSO, Glosse marginali di Giovanni Gentile a libri di Benedetto Croce, in ID., Filosofia e idealismo, II, Giovanni Gentile. Bibliopolis, Napoli 1995, pp. 539-612. Originariamente pubbl. in « La Cultura » XIV, 1976, pp. 255-312. (Riprodotto con il permesso dell'Autore e dell'Editore) IX GLOSSE MARGINALI DI GIOVANNI GENTILE A LIBRI DI BENEDETTO CROCE* «Leggere con la matita» significa, per lo scrittore 1 che si compiacque di usare questa espressione, leggere con partecipazione vivacemente commossa e, nello stesso tempo, con l'intento di imprimere alla lettura un primo segno di intellettuale dominio. Non sempre, infatti, si legge con la matita in mano, e non tutti i libri meritano di esser letti così. Ma quando si legge con la matita, il libro acquista un duplice, e pur convergente, significato. A parte obiecti, i segni tracciati sui suoi margini delineano i tempi e i modi della sua «fortuna», delle sua appartenenza a uomini e a ambienti. Ma, a parte subiecti, possono essere riguardati come il documento di * Per la citazione dei passi crociani ai quali le glosse di Gentile si riferiscono, si è fatto uso delle seguenti sigle: Breviario di estetica (« Piccola biblioteca filosofica» , Laterza, B Bari, 1913 . Nuovi saggi di estetica , Laterza, Bari 1920. NSE Teoria e storia della storiografia , Laterza, Bari, 1925 . TSS Aspetti morali della vita politica (« Piccola biblioteca filosofica» , AMVP Laterza, Bari 1928 . Eternità e storicità della filosofia («Quaderni critici», XXI), ESF Rieti 1930. EP Etica e politica, Laterza, Bari 1931. US Ultimi saggi , Laterza, Bari 1935. SPA La Storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938 . 1 L'espressione è, com'è noto, di TH. MANN, Romanzo di un romanzo. La genesi del ' Doctor Faustus ', in Scritti minori, Milano 1958, p. 130. 540 GENNARO SASSO un'altra e diversa storia intellettuale, l'inizio, talora incerto e persino enigmatico, di un nuovo libro. Queste sono cose ovvie, o rese tali dall'esperienza concreta che studiosi provetti dell'antichità classica e della tradizione umanistica squadernano ogni giorno dinanzi ai nostri occhi. E converrà perciò cercar di imitare la loro prassi, astenendosi dall'irrigidirla in una teoria. L'essenza della noia è il voler dire tutto, sempre e comunque, esclamò una volta Voltaire, che per questa sua massima ricevette l'approvazione di Schopenhauer. E noi, che senza preoccuparci di riuscire noiosi, certo non ci proponiamo, né sapremmo, «dir tutto», non faremo dunque qui il tentativo di delineare una teoria della glossa marginale. Per la medesima ragione nemmeno ci azzarderemo a far notare che la storiografia qui ricordata con onore è bensl meritevole di ogni elogio, ma pur talvolta (come càpita) vittima della sua stessa virtù, se nel ritrovamento delle glosse e nell'individuazione della mano che le segnò coloro che la praticano sembrano far consistere la civiltà stessa delle lettere, anzi la civiltà senz'altro, e cosl dimenticano di leggere il libro glossato ed altresl di seguire la storia intellettuale di cui la glossa è spesso soltanto il primo germe lontano. Essere noiosi, passi. Non, però, più del necessario. Lasciamo dunque che altri elevi la glossa a canone metafisico e metastorico del suo umanesimo, componendo con essa storia e teoria. E restringiamoci alle glosse specifiche, che qui di seguito pubblicheremo e sobriamente commenteremo, di Giovanni Gentile ad alcuni libri di Benedetto Croce 2 • Non tutti i libri di Croce, posseduti e letti da Giovanni Gentile, recano infatti sui margini segni di materiale attenzione critica, e solo alcuni postille e glosse. Perché mai? Addurre ragioni in ogni caso valide è difficile, e forse impossibile. Ma alcune spiegazioni possono non di meno esser tentate . È evidente che non sempre, leggendo un libro crociano 2 La raccolta delle opere crociane, già possedute da giovanni Gentile, si trova ora, con tutti gli altri suoi libri ed opuscoli, nella Biblioteca dell'Istituto di Filosofia dell'Università di Roma. GLOSSE MARG INA LI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CRO CE 541 appena pubblicato, Gentile si trovava di fronte ad un'opera nuova o, per intero, nuova. Spesso (e s'intende che il riferimento va agli anni in cui più stretta fu l'amicizia, più intensa la collaborazione intellettuale) accadeva proprio il contrario. Avesse o no, nei suoi primi anni creativi, natura di sistematico postillatore dei libri altrui (e di Croce in modo particolare), è un fatto ad esempio che, quando gli giunsero i volumi su Hegel (1906) e sulla Filosofia della pratica (1908) , Gentile non ebbe forse bisogno, nel rileggerli, di segnare in margine le sue impressioni critiche. A parte le discussioni orali sostenute con l'amico intorno alle questioni della dialettica e della filosofia hegeliane, di quei volumi egli aveva potuto seguire la composizione e la stampa, leggendone le bozze che l'autore via via gli spediva 3 . E se pure ne prese appunti e si provò a fermar subito sulla carta le prime impressioni di lettura, sta di fatto che, quando li lesse nella loro compiuta forma di libri, forse già trascorsa era l'occasione che suole dettare le postille e le glosse. A questa regola o, se si preferisce, a questa abitudine di materiale non intervento critico, non fa del resto sostanziale eccezione il volume della Logica crociana del 1909, che, nell'esemplare posseduto e letto da Gentile, è 3 Cfr. le lettere che i due filosofi si scambiarono, quando Gentile lesse prima il manoscritto (Gentile a Croce, 12 maggio 1906, Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze 1974, II, 268-69, e la breve risposta di Croce, ivi, p . 269 n .; B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, a cura di A. Croce, Milano 1981, p. 195), e poi le prove di stampa del saggio hegeliano (Gentile a Croce, agosto 1906, Lettere, II, 283 e 287) . Non interessa qui ricostruire, di su le lettere di Gentile e di Croce, il dibattito fra i due filosofi su questo libro: si ricordi tuttavia che il 18 settembre 1906, Lettere, II, 296, Gentile scrisse a Croce di star «almanaccando », mentre aspettava che l'editore gli inviasse il volume, « una recensione in forma di lettera (o lettere) a voi, per parlare anche dell' Estetica e della Logica». « Se a Palermo - concluse - sarò tranquillo, farò questo libretto». Il libretto non fu scritto; ma Gentile si impegnò tuttavia in una recensione del Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, che, rimasta inedita fra le sue carte, fu da lui stesso inserita, molti anni dopo , nei Frammenti di estetica e letteratura, Lanciano 1920, pp . 153-61. Per quanto, infine, attiene alla Filosofia della pratica , cfr. la ricostruzione da me offerta nella «Cultura», 12 (1974), pp. 354-59. E cfr. ora Benedetto Croce. La ricerca della dialettica , Napoli 1975 , pp. 127-35 . 542 GENNA RO SASSO bensl segnato in margine, ma solo in qualche raro punto, e forse più a scopo mnemonico che non per esprimere una prima reazione critica 4 . Assai più singolare è invece che né le Tesi di estetica del 1900, né l'Estetica del 1902, né le sue successive edizioni, e in particolar modo la terza del 1907 (sulla quale egli intervenne con importanti osservazioni 5 ) risultino in alcun modo postillate o comunque segnate in margine . Eppure, sono questi i libri sui quali Gentile prese a saggiare in concreto la consistenza teoretica del pensiero di Croce; e dal carteggio non risulta (anzi, se mai, risulta il contrario) né che il loro autore gli fornisse via via le prove di stampa, né che con lui egli avesse particolare agio di discorrere a voce. Del resto, se l'Estetica e le precedenti Tesi non appaiono postillate, la medesima assenza di segni, anche di semplice richiamo mnemonico, si nota non solo sugli estratti, che Croce gli donò , dei saggi sul marxismo, ma anche sul volume che, nel 1899, apparve, in prima edizione, con il noto titolo, presso il Sandron. E se poi si considera che altrettanto immacolati sono i margini dei saggi (da Gentile posseduti in estratto) che più tardi (1909) andarono a costituire la folta raccolta dei Problemi di estetica, l'impressione che agli inizi egli non usasse «leggere con la matita» si rafforza, tendendo quasi a costituire la legge di una diversa abitudine di lettura e di una diversa disposi4 La Logica come scienza del concetto puro , Bari 1909 , presenta semplici segni di attenzione e di richiamo alle pp. 66, 6 7, 68, nelle quali Croce tratta la vexata quaestio dei distinti e degli opposti. Val la pena di aggiungere che nel volume crociano è inserito un foglietto , ripiegato in due, e intestato ' Ministero dell'Istruzione . Il Ministro ', che reca il seguente appunto: « Logica Concetto . Estetismo Misticismo Prammatismo. Il concetto e gli pseudoconcetti ». Converrà notare che se, com'è probabile, l'appunto risale al periodo nel quale Gentile fu ministro della pubblica istruzione nel primo gabinetto Mussolini (1922-1924), non può escludersi che quell'appunto fosse preso in vista della stesura dell'Epilogo del Sistema di logica, il cui secondo volume apparve in effetti soltanto nel 1923 . In tale occasione è probabile che Gentile abbia ripreso in mano la Logica di Croce, ricercandovi le pagine sul« misticismo »: cfr. B. CROCE, Logica come scienza del concetto puro , Bari 1942 6 , pp . 289-97. 5 GENTILE, Frammenti di estetica e letteratura cit ., pp. 162-72. G LOSSE MARG INA LI DI G. GE NTIL E A LI BRI DI B. CROCE 543 zione nei confronti di libri che pure impegnavano a fondo la sua intelligenza critica e, nel senso migliore del termine, il suo stesso spirito di emulazione 6 . Come che sia di ciò, è un fatto che le prime glosse o postille marginali appaiono nella copia delle due edizioni 7 (fuori commercio, l'una, nella «Piccola biblioteca filosofica», l'altra) , entrambe uscite nel 1913, del Breviario di estetica , che, com'è noto, Croce aveva composto, su invito dell'Università del Texas, l'anno precedente. È difficile, ovviamente, dire perché, postosi dinanzi a questo libro crociano, Gentile sentisse il bisogno non solo di leggerlo e di postillarlo, ma di leggerlo e postillarlo in entrambe le edizioni delle quali era in possesso. Può darsi, senza dubbio, che in modo tutt'affatto particolare egli si sentisse conquistato dalla felicità letteraria, oltre che speculativa, di questo, che è uno dei capolavori del1' «espressione» crociana; e che, sette anni più tardi, quando fu ristampato nel volume dei Nuovi saggi di estetica (1920), egli tornasse a leggerlo e a postillarlo, può costituire la prova non solo del fascino che molto a lungo questo libro esercitò su di lui, ma anche del suo considerarlo come il più importante ostacolo che, per definire compiutamente sè stessa, l'estetica attualistica era chiamata ad affrontare e a superare . Poiché, d'altra parte, a partire da quella data, gli interventi del glossatore non si limitarono a quell'opera soltanto, ma si estesero invece ad altri libri crociani; e poiché tali interventi appaiono nel complesso dettati da uno stato d'animo, nell'amicizia e poi nel contrasto, variamente polemico, cosl converrà cercare qui, nella polemica e nel dissenso (anche se, non ancora, nell'inimicizia), la ragione, probabile se non addirit6 Un sondaggio effettuato su alcuni libri posseduti da Gentile, e da lui certamente studiati con particolare cura (Kant , Hegel, B. Spaventa, B. Varisco, Pitrè), ha mostrato che, nell'insieme, egli non usava intervenire con « la matita » se non in casi eccezionali; e la circostanza, per quel che può valere, è forse degna di qualche considerazione. 7 Non vedo che questa edizione sia stata ricordata né da G . CASTELLANO, Introduzione alle opere di Benedetto Croce, Bari 1936, p. 7, né da F. NrcouNI, L'« editio ne varietur>> delle opere di Benedetto Croce, Napoli 1960, p. 17, né infine da S. BORSARI, L'opera di Benedetto Croce, Napoli 1964, p. 120. 544 GENN ARO SASSO tura sicura, di questa sua mutata abitudine di lettura ed anche del relativo ritardo con cui si produsse. In effetti, nei rapporti intensissimi di amicizia e di collaborazione intellettuale che i due filosofi vennero stabilendo e approfondendo nel primo decennio del nostro secolo, il dissenso filosofico , che non era mai mancato e che, nella sostanziale convergenza culturale, riguardava questioni essenziali della logica e della dialettica, già una volta, fra il 1905 e il 1906, aveva conosciuto toni vivaci ed era andato vicino ad assumere la forma di una vera e propria crisi 8 . La questione che l'aveva provocato e che concerneva il punto d 'unione e di distinzione della filosofia e della storia, era stata poi appianata, in parte attraverso le stesse discussioni che, con estrema franchezza, i due amici avevano intrecciate nel loro carteggio, in parte per gli sviluppi obiettivi del pensiero di Croce che, ostile, agli inizi, alla tesi gentiliana del «circolo della filosofia e della storia della filosofia» , era giunto, nella seconda edizione della Logica , alla dimostrazione della «identità» di giudizio definitorio e di giudizio individuale e, dunque, esplicitamente, di filosofia e storia. Il nucleo profondo del dissenso rimaneva tuttavia intatto; e poiché, al di qua di convergenze anche importanti, concerneva la questione cruciale dell'unità e della distinzione, che già allora Gentile interpretava in modo assai diverso da quello che Croce aveva ormai condotto alla sua quasi assoluta compiutezza nella Logica del 1909 e negli scritti composti fra quella data e il 1912, era inevitabile che dovesse riemergere e dar luogo a nuovi contrasti quando il più giovane dei due si fosse deciso ad affiancare al suo lavoro, fin ll prevalente, di storico della filosofia , un'attività dispiegata in termini di esplicita teoria 9 . In effetti, fino al 8 Benedetto Croce cit. , pp . 897-906 . Cfr ., del resto, la lettera del 26 gennaio 1907 , nella quale Croce esortava Gentile ad entrare con maggiore decisione nel campo della esplicita teoria (Lettere a Giovanni Gentile, pp. 232-33) , e quella, per contro, in cui, il 28 gennaio 1907, Gentile gli rispondeva : «io ho fiducia grandissima, come sapete, nella tenace energia del vostro pensiero, e ne aspetto sempre nuova luce e incitamenti nuovi. Per parte mia, finché non vedrò ben chiaro dove voglio vedere, continuerò a far saggi di storia, polemiche e recensioni, 9 GLOSSE MARG INALI DI G. GE NTILE A LIBRI DI B. CROCE 545 1912, di teoreticamente impegnativo Gentile non aveva scritto (a parte qualche minore saggio su aspetti particolari della teoria della storia) se non la breve memoria su Le forme assolute dello spirito (1909) 10 che, nel suo andamento conciso che pur mi giovano a quell'intento» (Lettere a Benedetto Croce, III, 28) . Che, dunque, in quegli anni Gentile ancora non riuscisse a veder chiaro nella direzione che pur intuiva fosse quella lungo la quale il suo pensiero avrebbe dovuto procedere, non può mettersi in dubbio. E ne deriva la possibilità di una «periodizzazione» della sua filosofia in parte diversa da quella che, in certi casi (non però in altri), egli più tardi suggerl. Si veda, ad esempio, nell'intervento polemico del 1913 (Saggi critici, Firenze 1927, II , 12): «io posso dire infatti che il primo nucleo di questo idealismo, che ho testé battezzato idealismo attuale, sia il concetto fondamentale della mia tesi di laurea in filosofia, scritta nel 1897, e pubblicata lanno dopo nel libro Rosmini e Gioberti, dove la mia tesi, per l'intelligenza del valore della filosofia rosminiana, e quindi della kantiana, è quella della profonda differenza tra la categoria (che è l'atto del pensiero), e il concetto (che è il passato)[ ... ]. Fin d'allora consideravo il pensiero come reale soltanto nella sua apriorità o attualità: uno, quindi, se guardato nell'atto suo, molteplice, come natura, se guardato nel suo prodotto». Ma, a parte la pertinenza di questa Selbstdarstellung, che non dirò sia senz'altro da respingere (anche se molto rimanga da articolare e precisare), è pur un fatto che la distinzione, che fin dal 1897 Gentile diceva di aver conquistata fra il pensiero come atto e il pensiero come prodotto o natura, non dissipò di colpo le nebbie dell'incertezza (come sembrano immaginare quanti par che ritengano che un pensiero venga al mondo di colpo, con tutte le sue interne specificazioni e articolazioni). E pur senza negare che il libro del 1897 abbia grande importanza, come punto di partenza, nella storia del suo pensiero, e che fra quella data e il 1911-12 Gentile lavorò con coerenza intorno ad un motivo fin dagli inizi intravisto, più e meglio rispondente al vero sembra l'altra «periodizzazione» che fissa al 1912, dopo un lungo periodo di tentativi e di prove, la nascita dell'idealismo attuale. Cfr. del resto, in questa direzione, quel che Gentile scrisse nella ristampa de L 'atto del pensare come atto puro, Firenze 1937, pp . 7-8. 10 Lo scritto fu stampato in Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia , Bari 1909, pp. 229-48 . Ma dr. comunque la lettera che Croce scrisse a Gentile il 27 giugno 1909, nella quale dichiarò di star aspettando di «leggere Io scritto nuovo, aggiunto ai saggi del voi. sul Modernismo», e di aver l'intenzione di scrivergliene a lungo (Lettere a Giovanni Gentile, p. 357): e cfr. lett . 13 luglio: «ho ricevuto le bozze e ho letto subito, come puoi immaginare, il tuo scritto robusto ed eloquente, nel quale ho trovato lo svolgimento delle idee che mi accennasti a voce. Avendo rimandato le bozze al Laterza, non posso ora scriverti le mie osservazioni in proposito: ma Io farò quando avrò sott'occhio, a mio agio, le tue pagine. Ho visto con piacere 546 G E NNARO SASSO ma qua e là ancora incerto, non aveva avuto la forza di costituire l'occasione di un radicale confronto. Di quelle incertezze, e della complessiva provvisorietà delle sue tesi filosofiche, è probabile che Gentile fosse, nel fondo, più che consapevole; e si può intendere quindi come egli avvertisse quasi una sorta di psicologica riluttanza, in quel momento di intensa meditazione e di risorgenti dubbi, a scegliere con decisione la via del commento esplicito (anche se condotto in privato) delle ragioni ultime del diverso filosofare crociano. Postillare e glossare i libri del suo amico significava forse per lui contrapporre pensiero a pensiero, segnare differenze e dunque accendere contrasti; e sebbene differenze e contrasti fossero ormai quasi per intero delineati nel fondo della sua coscienza, egli preferiva aspettare che giungessero alla loro maggiore pienezza prima di arrischiarsi ad assumere, innanzi tutto nei confronti di sé stesso, la parte non più del collaboratore, che incita e critica nella prospettiva di un cammino comune, bensl invece dell'autore di una diversa, e forse opposta, filosofia. Il travaglio speculativo, che presto avrebbe dato luogo alla differenza, al confronto e al contrasto, agiva quindi, per allora, come elemento di remora e di psicologica cautela; e, rimandando al futuro l'occasione della polemica, favoriva nel presente l'accordo e la concordia. L'occasione, tuttavia, venne, o cominciò a delinearsi in che in alcune cose ci siamo ancora più avvicinati. Spero che potremo intenderci anche sul resto, perché ciò che tu vuoi garantire (l'unità dello spirito), voglio garantirlo anch'io, e credo di riuscirvi con mezzi in parte diversi dai tuoi » (ivi, p . 358). Per parte sua, il 15 luglio, non senza una punta di delusione, Gentile lo ringraziava « dell'occhiata che» Croce aveva dato al suo « scritterello», nel quale, diceva, per suo uso aveva delineato idee che sentiva di dover approfondire « per vedere », proseguiva, «se mi riuscisse di venire a capo delle mie difficoltà . E se poi tu volessi scrivermi in proposito una lettera mi faresti un gran beneficio » (Lettere a Benedetto Croce, III , 386). La lettera che Croce aveva promessa e Gentile aveva sperato di ricevere non venne: forse perché, consapevole della difficoltà e gravità della questione, si era convinto che, se ne avessero discusso, evitare la polemica sarebbe stato per entrambi difficile . Si veda, a conferma, quel che Croce scrisse a Giovanni Castellano il 30 settembre e poi, più largamente, il 17 ottobre 1909 (Lettere a Giovanni Castellano , a cura di P . Fontana, Napoli 1985 , pp. 29 e 30-32) . GLOSSE MARGI NA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 547 modo ben altrimenti consistente che nel passato quando, nel 1912, Gentile sottopose all'amico, perché lo giudicasse, il testo del primo volume del Sommario di pedagogia, che sarebbe poi uscito nel corso dell'anno successivo. Ebbene, chi segua nel carteggio le battute del dialogo che i due filosofi iniziarono su quel libro, vede subito che, al di là del tono sempre affettuoso e amichevole, qualcosa di nuovo si era ormai introdotto nello spirito d' entrambi, e cioè la convinzione che i rispettivi pensieri fossero giunti a toccare un limite estremo, oltre il quale non c'era se non la possibilità di uno schietto e aperto dissenso. In effetti, il dissenso 11 era già nato, o nato di nuovo, in margine alla memoria che Croce aveva allora composta intorno a Storia, cronaca e false storie, e che poi andò a costituire il primo capitolo di Teoria e storia della storiografia; e, commentando il 29 ottobre 1912 i dubbi espostigli dall'amico sulla questione dell'unità e della distinzione, gli scriveva: «anch'io sono, come puoi immaginare, contento del tuo consenso . E sapevo già che avresti trovato qualche difficoltà nella parte concernente la distinzione delle false forme di storia: ma io non riesco finora a pensare in altro modo certe distinzioni, nelle quali m'incontro sempre (voglio dire, da anni e anni) nello studiar l'arte, la storia e la vita stessa. Distinzioni che non sono distinzioni pratiche, ma principii di critica, senza le quali non riuscirei né a intendere e giudicare un poeta né a condannare e giustificare insieme le umane storture. Ma forse anche per questa parte, col tempo ci metteremo d'accordo, perché io dò grandissima attenzione a tutto ciò che tu dici e scrivi, e son sicuro che tu fai lo stesso verso di me. Ripercorrendo talvolta le nostre relazioni ormai di 16 anni, mi pare che ci siamo nutriti l'uno del sangue del11 Ma c'erano, come è ovvio, anche motivi di consenso. Cfr. la lettera di Gentile a Croce , 28 ottobre 1912 («grazie delle bozze, la cui lettura mi ha procurato un vivissimo piacere . Specialmente il concetto di storia contemporanea (come puoi immaginare) mi ha toccato una corda che vibra molto nell'animo mio. E volevo scrivere una varietà per la Critica dal titolo Le due storie, ora divenuta inutile dopo questa tua splendida memoria. In questa memoria ho visto con gioia che torniamo sempre ad avvicinarci. Ne sono stato contentissimo » (Lettere a Benedetto Croce, IV, 199). 548 GENNARO SASSO l'altro, - e non ne siamo morti! E sarà poi giovevole un pieno accordo tra noi? Il cuore me lo fa desiderare, i nervi talvolta mi rendono impaziente del disaccordo: ma la mente vichianamente e hegelianamente educata mi dice che è forse provvidenziale che restino o risorgano sempre tra noi disaccordi, che sono stimoli reciproci» 12 . Certo, nel profondo della mente vichianamente e hegelianamente «educata», Croce poteva pensare tutto questo e dal contrasto via via risorgente ripromettersi nuove occasioni di perfezionamento e approfondimento concettuale. Ma la distesa e pacata considerazione della concordia discors che s'era ormai consolidata fra loro non poteva evitare che la preoccupazione, che nel fondo lo agitava e turbava, salisse alla superficie attraverso quell' accenno alle ragioni del cuore e, addirittura, dei «nervi»; e niente, in effetti, poteva escludere che, pur mantenendosi fecondo, il contrasto si accentuasse al punto da coinvolgere le stesse amichevoli «relazioni» . Il che poco mancò che qualche giorno dopo accadesse sul serio. In realtà, quando Croce lesse nelle bozze il primo volume della Pedagogia gentiliana, la reazione fu, nel complesso, aspra. Il 7 novembre di quello stesso anno, a nove giorni di distanza dalla lettura parzialmente citata qui su, scriveva: «mi è piaciuta sopra tutto la seconda parte, che è forse la più fusa e la più persuasiva. Sulla prima e sulla terza ci ho parecchi dubbi: ed anche questa volta mi pare che il problema della distinzione non sia né risoluto né liquidato» 13 . Il giudizio non era benevolo, e, quando si pensi che nella prima parte del suo libro Gentile aveva cercato di delineare un compiuto, anche se sommario, sistema concettuale, di netta opposizione . Il «disaccordo», tanto temuto, stava per diventare esplicito nel segno dell'ostilità. E sebbene, in una lettera scritta fra il 7 e il 12 di quello stesso mese, Gentile giustificasse le diseguaglianze stilistiche del suo libro con il sospetto, dal quale era stato più volte oscu12 Croce a Gentile, 29 ottobre 1912 (Lettere a Giovanni Gentile, p . 433) . 13 Ibid., p . 433 . GLOSSE MARG INA LI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 549 ramente visitato durante la composizione, che «esso potesse esser l'ultimo» 14, il dissenso riguardava ben altro che lo «stile». Il 12 novembre, in effetti, Croce ribadiva con severità un giudizio 15 , che, alla fine, riceveva addirittura il suggello di una dura ritorsione polemica: «avresti dovuto astenerti dal tono aspro, polemico, infastidito, e prendere un tono più conciliante e persuasivo, e giustificare le cose che condanni [... ]. In molte pagine della prima parte mi è parso che tu discutessi con me: e come credi che l'intenderanno gli scolari di scuola normale? Tra me e te non si discute di filosofia elementare» 16. Come si vede, a più riprese, durante il 1912, il tono del carteggio si era innalzato verso la polemica. E la cosa apparirà ancor meglio comprensibile quando si pensi che quello è l'anno nel quale, trasferitosi fin dal 1906 all'Università di Palermo quale professore di storia della filosofia, Gentile vi aveva inaugurata la Biblioteca filosofica, che divenne uno dei centri propulsori dell'idealismo attuale e, con l'ausilio dell'Annuario del quale proprio in quel periodo venne dotata, strinse insieme la prima generazione degli scolari e dei liberi discepoli 17 . Accadeva così che, appena nato (lo scritto su L'atto del pensare come atto puro fu letto nella Biblioteca filosofica nell'inverno del 1911, quello su Il metodo dell'im14 È un'espressione singolare, che merita di essere sottolineata (Gentile a Croce, 7-12 novembre 1912: Lettere a Benedetto Croce, IV, 205). 15 «Ne è accaduto questo, che hai fatto un libro che ha pagine mirabili di vigore e di profondità, ma che manca di quel garbo, di quella scelta , che a me sembra indispensabile in qualunque libro» (Croce a Gentile, 12 novembre 1912: Lettere a Giovanni Gentile, p. 434). 16 Ibid. 17 La Biblioteca filosofica fu inaugurata da Gentile, che ne era altresì il direttore, il 26 novembre 1911: cfr. G . GENTILE, Il programma della Biblioteca filosofica di Palermo , «Annuario della Bibl. fil. Palermo », 1 (1912) , pp. 7-12 ( = Saggi critici, Il , 5-9). Ma la sua attività doveva essere iniziata da qualche tempo, come si deduce dall'esordio del discorso gentiliano (« nel riprendere la nostra consuetudine delle pubbliche conferenze, che attrassero già lanno scorso lattenzione degli spiriti più colti della nostra città su questa istituzione appena nata ... ») . Sull'Amato, del quale Gentile fece un caldo elogio (Saggi critici, Il, 8-9) come del vero ispiratore di quell'iniziativa, dr. E. GARIN, Cronache di filosofia italiana , Bari 1959, pp. 49-50 . 550 GENNARO SASSO manenza il 16 dicembre dell'anno successivo), subito l'attualismo si trovasse a disporre di una sede e di una rivista, e vedesse sorgere una «scuola», il cui destino sarebbe stato di seminare malintesi e germi di incomprensione fra i due «filosofi amici» anche se Croce non fosse stato, per natura sua, ostile ai gruppi e alle scuole, e in quell'Annuario non avesse forse sospettato, con preoccupazione, un possibile antagonista della Critica. Sta di fatto che, sebbene non lo confessasse nemmeno a sé stesso, quel fervore o clamore di iniziative gli dettò subito lo scritto (una «filippica» 18 , come lo definl in una lettera a Gentile del febbraio 1912) contro i «circoli filosofici», che ora può leggersi in Cultura e vita morale, e nel quale è notevole che, pur osservando che «la vita sociale ha bisogno di venire rischiarata dalla filosofia, che le impedisce di procedere a caso e nel buio», aggiungesse che «nel tradursi in valore sociale», essa, la filosofia, «perde il suo carattere» e «da problema si cangia in risultato, da dubbio metodico in fede» 19 . Parole, queste, che certo potevano riferirsi a Gentile, e alle sue varie iniziative di biblioteche filosofiche e di circoli, come a tanti altri, al pari di lui, e meno bene di lui, impegnati in analoghe imprese; ma che, 18 Croce a Gentile, 21 febbraio 1912 (« vedrai nella prossima Critica una mia filippica contro i circoli filosofici. La scrissi nel settembre passato; ma credo che possa andare, perché non offende il Circolo di Palermo, al quale tu stai dando un buon indirizzo. A me quello scatto fu suscitato dal Bollettino del Circolo di Genova» (Lettere a Giovanni Gentile, p . 419) . E cfr. la risposta di Gentile, 11 marzo 1912 : « l'articolo sui circoli filosofici dice cose verissime, ma mi pare un po' unilaterale . A ogni modo, anche com'è, farà gran bene». Ma, proseguendo, Gentile diceva di voler fare della Biblioteca « una specie di seminario della mia scuola » (Lettere a Benedetto Croce, IV, 164) : dove, sebbene per «scuola» quasi certamente egli intendesse il concreto insegnamento universitario, non è da escludere che Croce vi leggesse invece un accenno alla scuola dell'attualismo, e ne rimanesse offeso e irritato. 19 L'articolo, intitolato Circoli, convegni e discussioni filosofiche , fu stampato non nella Critica , come Croce diceva nella lettera che è stata citata qui su, ma nella « Voce », 4 (1912), pp . 967 sgg., e quindi in Cultura e vita morale, Bari 1955, pp . 133-38. Va comunque ricordata la recensione che del « Bollettino » del Circolo di studi filosofici di Genova, 1 (1910) n. 1, Croce inserì nella « Critica», 10 (1912) , pp. 136-39 . GLOSSE MARGI NA LI DI G . GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 551 non di meno, ritornano e risuonano nella battuta polemica che gli rivolse il 22 novembre 1913, quando ormai la decisione di mettere in pubblico il loro dissenso era stata presa ed attuata: «ho visto nel programma dei tuoi Studii che quella collezione si propone di svolgere i principii dell'idealismo attuale. Male. Nella Critica non ci siamo proposti di svolgere nessun sistema: ci siamo svolti noi .. . ». E aggiungeva: «il libro di Omodeo già porta i segni dello svolgimento del sistema» 20 . Non è dunque da escludere, e anzi tutto concorre a suggerire, che l'intimo turbamento, che le polemiche già avvenute e quelle annunziantisi per il prossimo avvenire insinuavano nel suo animo, rendesse, per così dire, più agguerrite e aggressive le letture che, sistematicamente, Gentile seguitava a fare degli scritti crociani, e che di questa mutata disposizione il «leggere con la matita» fosse come il segno visibile. Non, beninteso, che, con le sue glosse, Gentile intendesse esprimere in privato, nel chiuso della sua stanza da studio, quel che, agitandoglisi dentro, non poteva esser tuttavia detto in pubblico. Fra il 1913 e il 1924, che fu l'anno dell'irreparabile rottura, l'amicizia fra i due pensatori conobbe ancora varie crisi, ma pur rimase salda; né a Gentile sarebbe mai passato per il capo di scrivere in margine ai libri di Croce quel che considerazioni varie di opportunità non gli consigliassero di scrivere sulle pagine delle sue riviste. Chi ha letto il carteggio 2 1 , è bene in grado, ove il preconcetto o la naturale ottusità non l'abbiano chiuso all'intelligenza dei moti profondi dell'animo, di intendere che l'amicizia fra 20 Lettere a Giovanni Gentile, p . 452. [Credo opportuno ricordare, perché queste parole (scritte quasi vent'anni fa) siano intese nel giusto senso, che quando le scrivevo il carteggio era, per quanto riguarda la parte crociana, edito solo per il periodo che va dal 27 giugno 1896 al 23 dicembre 1899 (« Giornale critico della filosofia italiana », 1969, pp. 3-100) , e per il resto interamente inedito, mentre, per la parte gentiliana, editi erano i primi due volumi 1972 e 1974 (il terzo, 1976, uscì quando il mio saggio era da qualche tempo terminato). Fu per la cortesia, la liberalità e l'amicizia di Ugo Spirito che io potei studiarlo quando era ancora del tutto inedito e conservato presso la sede della Casa editrice Sansoni a Palazzo Doria, Roma]. 21 552 GENNARO SASSO questi due uomini fu cosa seria e profonda e che l'ipotesi stessa di una rottura non poteva non apparire ad entrambi come un'autentica sciagura. Ma spingendo Croce a scendere in aperta polemica con il suo amico e collaboratore, e con il sottile disagio che certo ne derivò ad entrambi, con le polemiche, e con le tensioni che vi si determinarono, la decisione della chiarezza recò con sé qualcosa di nuovo, la convinzione profonda che qualcosa di irreversibile si fosse ormai prodotto; e niente, in fondo lo dimostra meglio della speranza e dell'augurio, più volte proclamati, che la sperimentata solidarietà culturale ed umana potesse assorbire e superare, nel suo solido fondamento , ogni specifica divergenza filosofica . «Il mio augurio - aveva scritto Croce, concludendo il suo secondo intervento polemico - è che tu ed io, consenzienti in tante cose e unanimi in tutte, col continuare a ripensare circa i punti di dissenso che abbiamo ora discussi (e che io ho stimato bene portare in pubblico, perché non si tratta di una questione privata o personale) , ci ritroveremo ancora, come ci è accaduto altre volte, dopo aver percorso per qualche tempo strade separate sebbene prossime, ci ritroveremo, dico, con nostra grande soddisfazione, sulla stessa strada» 22 . In realtà, la nascita dell'attualismo, da una parte, e, da un'altra il sempre più netto definirsi del pensiero e del « gusto» crociani, dovevano ormai aver reso chiaro ad entrambi che «sulla stessa strada» non avrebbero potuto né trovarsi né procedere più. Sempre più chiaramente, negli ultimi dieci anni, Croce era diventato Croce; e il ruolo di consigliere segreto e di incitatore idealistico che Gentile aveva riservato a sé stesso non poteva più esser sostenuto in quella forma e con 22 B. C ROCE, Una polemica tra f ilosofi amici , in Conversazioni critiche, Bari 1924 , Il , 95 . Entrambi gli interventi di Croce, come del resto quello di Gentile, furono pubblicati nella « Voce » del Prezzolini, il 13 novembre 1913 e gennaio 1914 quelli del primo, 1'11dicembre 1913 ( =Saggi critici, II , 11 sgg.) quello del secondo. Ma, ovviamente, nessuno di questi scritti comparve nell'« Annuario» della Biblioteca filosofica di Palermo, come, a proposito del secondo di Croce, trovo scritto in M . DI L ALLA, Vita di Giovanni Gentile, Firenze 1975, p . 208. G LOSSE MARGI NA LI DI G . GEN TIL E A LIBRI DI B. CROCE 553 quello stile: doveva ormai tradursi in espressione autonoma, conducendo alle estreme conseguenze il programma dell'idealismo attuale delineato negli scritti palermitani. Di qui, come converrà ripetere, il nuovo stile che Gentile spontaneamente mise nel leggere i libri di Croce, l'attenzione che, sempre pronto a sottolineare con favore le convergenze, egli esercitò nel puntualizzare le divergenze e nel porre in risalto, con un taglio netto e senza speranze, ogni aspetto della «filosofia dello spirito» che con maggiore chiarezza palesasse, a suo giudizio, tracce di dualismo e di irrisolto intellettualismo. Di qui anche, come del resto è ovvio, l'incrudirsi, via via che il dissenso da filosofico si faceva anche politico e morale, delle glosse gentiliane; che con diversa fortuna critica sempre più chiaramente vennero assumendo un tono incalzante, ora ironico, ora addirittura sarcastico, perché consumato fino in fondo il dissenso filosofico, nascevano ormai da passioni esacerbate e non più medicabili, ed altresì come risposta alle dure sferzate che, negli scritti postillati, Croce non risparmiava all'idealismo attuale e al suo «misticismo», fattosi, secondo la sua natura profonda, violento assertore di attivismo e di «irrazionalismo» 23. Il primo libro che rechi ben visibili i segni del nuovo modus legendi gentiliano è, come si è detto, il Breviario di este23 Come documento estremo della durezza, ed anche dell'esacerbata amarezza, con cui Croce seguiva la varia attività del suo antico compagno di studi, non saprei citare niente di più caratteristico di questo giudizio, che egli espresse in una lettera (inedita) a Guido De Ruggiero, 23 agosto 1933 , quando gli fu detto dell'intenzione gentiliana di «tornare al De Sanctis »: « mi dicono che Gentile abbia pubblicato un articolo in cui annunzia che bisogna tornare a De Sanctis. O che vuol morire? Tornare a De Sanctis significa, anzitutto, diventare un onest'uomo ». L'articolo di G . GENTILE, Torniamo a De Sanctis!, fu stampato nella rivista «Quadrivio », 6 agosto 1933, e quindi, con il titolo Francesco De Sanctis, in Memorie italiane e problemi del/,a filosofia e del/,a vita , Firenze 1936, pp. 173-81 ; Croce replicò con una postilla aggiunta al saggio, Francesco De Sanctis e lo scioglimento e /,a ricomposizione del/,a Società Reale di Napoli nel 1861 , in Aneddoti di varia letteratura , Bari 1954, IV, 249-50 (e cfr. anche in F. DE SANCTIS, Pagine sparse. Contributi alla sua biografia e supplemento alla bibliografia a cura di B. Croce, Bari 1934, pp . 100-102). 554 GENNARO SASSO tica. Di queste celebri quattro lezioni, scritte nel 1912, l' editore Laterza stampò nel gennaio 1913 due diverse edizioni: una, assai elegante, fuori commercio e tuttavia simile, per il colore della copertina, ai volumi delle opere crociane, e un'altra, più modesta, che venne a costituire il primo numero della «Piccola biblioteca filosofica» . È difficile dire se le due edizioni uscissero contemporaneamente, o a breve distanza, e (in questo caso) quale prima e quale dopo . Ma è un fatto che, entrambe recando l'indicazione «gennaio 1913 », dovettero comunque uscire, e dunque capitare nelle mani di Gentile, pressoché nello stesso giro di settimane. E , come si è già detto, la circostanza curiosa è che sia l'una sia l'altra edizione recano segni di lettura «con la matita», e anzi, la seconda delle due addirittura con la penna (il che, giustamente, avrebbe fatto inorridire il professor Peter Kien, lo spettrale protagonista del romanzo di Elias Canetti) . Cosl, nel retro dell'ultima pagina dell'edizione fuori commercio, che per il resto reca soltanto , a p. 53 , un piccolo segno marginale, Gentile annota: Actus purus 89 Totalità dell'opera d'arte 5 3 Contenuto dell'arte 52 L'insoddisfazione dell'arte 82 «sola reale è la sintesi delle sintesi» Il lettore che si trovi ad ignorare i termini della discussione filosofica intervenuta negli anni fra Croce e Gentile, e che di conseguenza anche ignori i fondamenti delle loro rispettive filosofie, non intenderà certo perché, con riferimento alla p. 89, sia stato scritto Actus purus in riferimento alla frase crociana in cui si dice che «sola reale è la sintesi delle sintesi». E allora consenta, quel lettore, che gli si indichi il contesto dal quale Gentile trasse la sua citazione («se si domanda, delle varie attività dello spirito, quale sia reale, o se siano tutte reali, bisogna rispondere che nessuna è reale; perché reale è solamente l'attività di tutte quelle attività, che non riposa in nessuna di esse in particolare: delle varie sintesi, che abbiamo via via distinte, - sintesi estetica, sintesi logica, sintesi pratica, - sola reale è la sintesi delle sintesi, lo Spirito, che è il vero Assoluto, l'actus purus . Ma, per un altro G LOSSE MARG INA LI DI G . GEN TILE A LIB RI DI B. CROCE 555 verso e per la stessa ragione, tutte sono reali nell'unità dello spirito, nell'eterno corso e ricorso, che è la loro eterna costanza e realtà» 2 4 ); e che gli si dica che qui, in effetti, come il teorico dell'attualismo non poteva non avvertire, si annodano alcune delle più specifiche difficoltà intrinseche alla sua non meno che alla filosofia del suo amico. Il quale, postosi di nuovo il problema della relazione che stringe fra loro le autonome forme dello spirito, e del sistema di «indipendenza dipendente» che ne risulta, aveva ancora una volta cercato di dimostrare che se delle varie «sintesi» o «autonomie» o «indipendenze», che sono l'arte e la filosofia, l'economia e 1' etica, veramente reale può dirsi , per un verso, soltanto lo spirito, ossia 1' attività che le snoda e le articola come momenti dell'intero, reale e non meno reale è poi anche questo concreto snodarsi, ossia le di volta in volta specificate attività che costituiscono lo spirito stesso nella sua concretezza. Una teoria, questa, difficile e complicata, come sempre è difficile e complicata la teoria mediante la quale un pensatore consapevole di quel che fa cerchi di risolvere il problema dell'identità e della diversità, della compatta realtà dell'essere e dell'intrinseco differenziarsi della sua realtà. Una teoria alla quale, avesse torto o ragione, ne comprendesse fino in fondo , o solo in parte, la natura specifica, ossia la tensione profonda, sempre Gentile rimproverò la tendenza a risolversi in un'intellettualistica e oggettivistica «descrizione» del suo stesso movimento: in actum purum, presupponente alle sue spalle un soggetto di cui non sapeva e non poteva afferrare la realtà profonda, ossia quell'actus purus che, come assoluto soggetto, risolve in sé ogni differenza e ogni sintesi specifica. Non è questa la sede nella quale possa spiegarsi in che senso e perché la teoria di Croce venisse semplificata dalla critica gentiliana, e come e perché anch'essa, la critica gentiliana, non sfuggisse, se scrutata a fondo , alla stretta di gravi antinomie. Ma certo è, in ogni caso, che di «sintesi di sintesi», Croce non aveva il diritto di parlare (nemmeno con le speci24 B. CROCE, Breviario di estetica , Bari 1927, p. 74 (e quindi in Nuovi saggi di estetica, Bari 1920, p. 62) . 556 GENNARO SASSO ficazioni e le cautele dialettiche che possono notarsi nel passo già ricordato del Breviario) . Se sintesi si definisce l'attività che risolve ogni contenuto o materia (e dunque, di volta in volta, l'arte e la filosofia, l'economia e l'etica sono sintesi, per ciò stesso che risolvono il loro contenuto), nella «sintesi delle sintesi» ciascuna di esse dovrebbe decadere a materia, a opposto, a disvalore assunto nella prospettiva catartica o risolvente del valore. E poiché la «sintesi delle sintesi» non potrebbe esser definita così se a materia di sé medesima non risolvesse in contemporanea assolutezza ogni sintesi, ad essa non si ponesse perciò come l'orizzonte fermo, unitario e identico della risolta differenza, si capisce bene che in questa prospettiva l'unità avrebbe per sempre risolto in sé ogni diverso, ponendosi essa come l'unica verità, l'unica realtà, il A.òyoç E:m1ll<pt0ç di verità e realtà morte in loro stesse, e vive solo nella nuova e unitaria dimora dell'essere. Era questa, beninteso, una difficoltà molto complessa, che Gentile non poteva, né allora né poi, cogliere fino in fondo in Croce, per ciò stesso che non poteva e sapeva coglierla e risolverla alla radice del suo stesso pensiero; e che egli si compiacesse di quell'espressione - actus purus - , che era una sua espressione, e che anche vi vedesse, forse, il dissidio che nel pensiero del1' amico si era prodotto fra actus purus e actum purum, è quanto, dopo aver avvertito che molta strada dovrebbe percorrere chi studiasse a fondo il problema, ci si può restringere a sottolineare. Il richiamo che, nello stesso appunto, Gentile faceva alla questione, che Croce aveva svolta esemplificandola con le vicende che condussero il Foscolo a idealizzare la donna (la contessa Arese) di cui pur conosceva l'animo, della soddisfazione e poi di nuovo dell'insoddisfazione che l'arte procura, concerne ancora e sempre l'autonomia delle forme, e quindi l'unità dello spirito; e lo stesso sarà da dire per l'altro accenno alla «totalità dell'arte» e, già prima, al contenuto dell'arte . Richiami ed accenni tanto rapidi quanto ricchi di potenzialità filosofiche: a svolgere compiutamente le quali non basterebbero molte pagine, dal momento che costituiscono le questioni sulle quali sia Croce sia Gentile costruirono parti essenziali delle loro filosofie . Ma lo scopo di queste pagine non è GLOSSE MA RG INA LI DI G. G ENTI LE A LIBRI DI B. CROC E 557 di svolgerle: è invece, più modestamente, di indicarne la presenza e forse anche lassillo nella lettura che a chiarimento di sé stesso, l'un filosofo veniva conducendo delle pagine dell'altro. Basti perciò osservare che laltra copia del Breviario di estetica, assai più tormentata e segnata, reca tuttavia le tracce di un'attenzione rivolta al medesimo nucleo di problemi (ma, come si vedrà, anche ad altro). E converrà intanto riprodurre questi segni, di attenzione e di vario dissenso, sia che si svolgano in brevi annotazioni o glosse, sia che invece rimangano segni, e richiedano perciò di essere decifrati nel loro significato, o con l'aiuto del contesto al quale rinviano o con l'aiuto del pensiero che li pose in quel punto e non in un altro. Per renderli chiari, li riprodurremo, i segni e le glosse, sulla destra del passo corrispondente di Croce, che, in colonna, sarà citato sulla sinistra. BE 27 25 Vano è opporre che la individualità dell'immagine non può sussistere senza un riferimento all'universale, di cui quell'immagine è individuazione; perché qui non si nega già che l'universale , come lo spirito di Dio, sia dappertutto e tutto animi di sé, ma si nega che , nella intuizione in quanto intuizione, l'universale sia reso logicamente esplicito e pensato. E vano altresì è richiamare il principio della unità dello spirito, che non viene rotta, ma anzi rafforzata, dalla netta distinzione tra fantasia e pensiero, poiché dalla distinzione nasce lopposizione e dall'opposizione l'unità concreta. BE 41 Senonché, quando si comincia a provare la stanchezza dell'infeconda difesa dell'uno o dell'altro punto di vista parziale; quando, so- 25 (1 9 13). Le citazioni sono tratte dalla prima edizione del Breviario di estetica 558 GENNA RO SASSO prattutto, dalle ordinarie opere d'arte, che sono prodotti della scuola romantica e della classicistica, dalle opere convulse di passione e da quelle freddamente decorose, si volge lo sguardo alle opere, non degli scolari ma dei maestri, non dei mediocri ma dei sommi; si vede dileguare lungi il contrasto e non si ha il modo di adoperare l'uno o l'altro motto di scuola: i grandi artisti, le grandi opere, o le parti grandi di quelle opere, non si possono chiamare né romantiche né classiche , né passionali né rappresentative, perché sono insieme classiche e romantiche, sentimenti e rappresentazioni: un sentimento gagliardo, che si è fatto tutto rappresentazione nitidissima. bravo' BE 44 E un'altra non meno celebre sentenza, dovuta a un semifilosofo svizzero e alla quale è toccata la medesima buona o cattiva fortuna di trivializzarsi, scopre che ' ogni paesaggio è uno stato d'animo ': cosa indubitabile, non perché il paesaggio sia paesaggio, ma perché il paesaggio è arte. C'è già un'eco di questo in Verg. Georg . I 417-23 BE 84 Con la percezione siamo entrati m un nuovo e vastissimo campo spirituale; e, veramente , non ci sono parole sufficienti per satireggiare quei pensatori che , ora come pel passato, confondono immagine e percezione, e fanno dell'immagine una percezione (l'arte come ritratto o copia o imitazione della natura, o storia dell'individuo e dei tempi, ecc .), e, peggio ancora, della percezione una sorta d 'immagine, che si coglierebbe coi 'sensi '. M a la percezione è né più né meno che un completo giudizio, e come giudizio importa una immagine e una categoria o sistema di categorie mentali, che dominino l'immagine (realtà, qualità, ecc .) .. . Ma la percezione dunque ritrarrebbe la natura? 559 G LOSSE MARGINALI DI G. GENT IL E A LIBRI DI B. CROCE BE 113 e se Cesare e Pompeo non fossimo noi stessi, cioè quell'universo che si determinò un tempo come Cesare e Pompeo e si determina ora come noi vivendo quelli in noi, di Cesare e Pompeo non potremmo farci alcun'idea. c/r. Quest. storiogr., p. 6 Questi sono dunque, fedelmente riprodotti, gli interventi semplici segni d'attenzione o d'interrogazione, oppure vere e proprie, ancorché brevi, glosse - , che Gentile eseguì leggendo, quasi contemporaneamente, le due edizioni del Breviario di estetica . E dopo aver ribadito che quel piccolo libro doveva aver colpito a fondo la sua fantasia, oltre che filosofica, letteraria (se, a poca distanza di tempo, lo lesse e lo segnò due volte), si potrebbe passare al rapido chiarimento delle questioni sottolineate o glossate, se non convenisse invece avvertire che, quando il Breviario fu ristampato senza variazioni nei Nuovi saggi di estetica (1920), Gentile tornò a leggerlo e a postillarlo, ancora una volta esprimendo consensi e dissensi. NSE 27-28 l'intuizione è veramente tale perché rappresenta un sentimento, e solo da esso e sopra di esso può sorgere. Non l'idea, ma il sentimento, è quel che conferisce all'arte laerea leggerezza del simbolo ... sentimento NSE 29 E istruttivi sono, come si è veduto, i risultati critici della grande disputa tra classicisti e romantici, onde rimase negata così l'arte che con l'astratto sentimento, con la pratica violenta del sentimento, col sentimento che non si è fatto contemplazione, tenta di travolgere gli animi e illuderli sulla deficienza dell'immagine, come del pari l'arte che con la chiarezza superficiale, col disegno falsamente sentimento 560 GENNARO SASSO corretto, con la parola falsamente precisa, cerca d 'illudere sull'assenza di ragione estetica che giustifichi le sue figurazioni, sulla deficienza del sentimento ispiratore. NSE 29-30 Gentile, a fondo pagina: Invece a p. 36 ' il sentimento non è un partic.[olare] contenuto, ma è !'universo tutto guardato sub specie intuitionis '. Arte = sentimento (il sentimento è il natural contenuto dell'intuizione per la circolarità delle forme, ecc.). Ma cfr. pp. 34-35 dove l'arte è sintesi di sentimento e intuizione. NSE 39-40 L'artista, che abbiamo lasciato vibrante d 'immagini espresse che prorompono per infiniti canali da tutto l'esser suo, è uomo intero e perciò anche uomo pratico; e, come tale, avvisa ai mezzi di non lasciar disperdere il risultato del suo lavorio spirituale, e di rendere possibile e agevole, per sé e per gli altri, la riproduzione delle sue immagini ... Dualismo non superato NSE 55 Onde, considerando la cosa in generale, sembra che non vi sia altro modo di pensare la indipendenza e dipendenza insieme delle varie attività spirituali che di concepirle nel rapporto di condizione a condizionato, in cui il condizionato supera la condizione presupponendola, e, diventato poi a sua volta condizionato, costituisce una serie di svolgimento . Questa è la negazione della libertà A questa abbastanza interesssante serie di considerazioni converrà infine aggiungere, prima di rapidamente esaminarle, le glosse che Gentile segnò in margine al saggio su Il carattere di totalità del!' espressione artistica che, pubblicato nella Critica 561 G LOSSE MARG INA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE del 1918, fu poi ristampato nei Nuovi saggi di estetica . È infatti nelle annotazioni discretamente folte segnate sul margine di questo scritto che, pur mantenendosi nel complesso equilibrato, il tono della sua lettura tende, tuttavia, a inasprirsi. NSE 123 Che la rappresentazione dell'arte, pur nella sua forma sommamente individuale, abbracci il tutto e rifletta in sé il cosmo, è stato assai volte notato; ed è questo anzi un criterio al quale si suol ricorrere per discernere l'arte profonda dall'arte superficiale ... Questo concetto è già accennato nel Brev., p. 36 NSE 124 A scansare il secondo errore [consistente nel concepire il processo conoscitivo ' come la scoperta di una verità statica'] e a mettersi in certo modo d'accordo col pensiero moderno, che è nel · suo intimo e irresistibile impulso pensiero dell'immanenza e spiritualismo assoluto, l'arte è stata considerata, non più come apprensione di un immobile concetto, ma come perpetua formazione di un giudizio, di un concetto che sia giudizio; e questo spiegherebbe agevolmente il suo carattere di totalità, perché ogni giudizio è giudizio dell'universale. [... ] Teoria che urta in una sola, ma così insormontabile difficoltà, che ne esce infranta: nella difficoltà che la rappresentazione giudicante non è più arte, ma giudizio storico ossia storia. ma c/r. p. 141. NSE 126 Perché, che cosa è mai un sentimento o uno stato d'animo? è forse qualcosa che possa distaccarsi dall'universo e svolgersi per sé? forse che la parte e il tutto, l'individuo e il cosmo, il finito e l'infinito hanno realtà l'uno fuori dell'altro? Dunque è finito? l'individuo 562 GENNARO SASSO NSE 126-127 Nel travaglio del passaggio dal sentimento come immediato alla sua mediazione e risoluzione nell'arte, dallo stato passionale allo stato contemplativo, dal pratico desiderare, bramare e volere all'estetico conoscere, si è allora, invece di giungere fino al termine del processo, rimasti a mezzo, in quel punto che non è nero ancora e il bianco muore, e che non può essere stato fermato in tale estetica contradizione se non per atto di vario e più o meno consapevole arbitrio . il conoscere non è estetico (ma logico): nel conoscere già !'arte è superata NSE 127 La quale particolarità, finitezza ed angustia non è del sentimento - individuale e particolare insieme come ogni forma ed atto del reale, - e non è dell'intuizone - parimenti individuale e universale insieme, ma del sentimento che non è più semplicemente sentimento, e della rappresentazione che non è ancora pura intuizione. Da ciò l'osservazione più volte fatta, che gli artisti inferiori si dimostrano assai più documentari rispetto alla propria vita e alla società del loro tempo che non gli artisti superiori, i quali trascendono il tempo, la società e sé medesimi in quanto uomini pratici. Da ciò anche quella sorta di turbamento, che ci recano opere che fremono bensl di passione, ma sono manchevoli nell'idealizzamento della passione, nella purezza della forma intuitiva, dove consiste il proprio dell'arte . non è del sentimento? Ma più sotto la passione non idealizzata si considera come particolare e biografica. Cfr. p. 141. NSE 127 Gentile, a fondo pagina: L'A. non sa risolversi a considerare il sentimento come tale già universale; e tende a vederne l'universalità nell'idealizzamento della contemplaz.[ione] estetica per (?) 1uale o evidentemente non aggiungendo nessun predicato non è in grado di universalizzare quel che non è universale. GLOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE 563 NSE 128 Dare, dunque, al contenuto sentimentale la forma artistica è dargli insieme l'impronta della totalità, l'afflato cosmico; e, in questo senso, universalità e forma artistica non sono due ma uno . dunque il sentimento non ha per sé il carattere della totalità: cfr. p. 128 NSE 128 Come, d 'altro canto, le teorie che spuntarono già all'inizio dell'Estetica moderna, e furono preannunziate nell'antichità dal1' oscura teoria catartica di Aristotele, sullo sciogliersi da ogni interesse (la Interessenlosigkeit, come formolò il Kant), ossia da ogni interesse pratico, sono da interpretare come altrettante difese contro la tendenza a introdurre o lasciare persistere nell'arte il sentimento immediato, cibo non assorbito nell'organismo e che si cangia in veleno; e non punto come affermazione d'indifferenza pel contenuto dell'arte e riduzione di questa a semplice e frivolo gioco . questo sentimento immediato non è sentimeno ma è passività NSE 133 Ma ora, dopo un secolo e mezzo di romanticismo, non gioverebbe, per avventura, che l'Estetica desse maggiore risalto alla dottrina del carattere cosmico o integrale della verità artistica, alla depurazione che questa richiede dalle tendenze particolari e dalle forme immediate del sentimento e della passione? NSE 140 In altri termini : la ricerca della distinzione tra le materie o parti della realtà che sarebbero poetiche e quelle che tali non sarebbero, sotto questa formulazione assurda accennava, senza toccarla, alla distinzione legittima, non tra materia e materia, ma tra romantzczsmo, sentimento privo di carattere cosmico ritorno al classicismo 564 GENNARO SASSO forme spirituali, e, in questo caso, tra l'espressione che è puro sentimento o pura intuizione (poesia), l'espressione che è segno di pensiero (prosa), e l'espressione che è strumento di commozione degli affetti o di azione (oratoria). espressione = puro sentimento NSE 141 Come ogni oratoria, essi suppongono qualcosa di più che non la semplice poesia; cioè, suppongono una critica o riflessione che si dica, e la conclusione di essa, che trapassa e si converte in un'azione sopra sé stessi o sopra altri. Certo, anche il poeta, in quanto è uomo intero, riflette, cnttca, satireggia, schernisce, ironizza, celia; ma, in quanto poeta, supera questi vari atteggiamenti, riunendoli con gli altri tutti e tutti fondendoli nella visione totale della realtà che, in definitiva, è sempre seria. Realismo' ma la realtà è nello spirito! e lo spirito distingue e nega dentro di sè NSE 143 Sotto molta letteratura odierna, che con l'andamento sbrigliato e capriccioso vorrebbe dar a credere di essere prodotta da un sentimento impetuoso e per il suo impeto e per la sua originalità quasi indomabile e perciò prorompente in inusitati modi di espressione, si avverte il freddo del congegnato ed oratoriamente ironico; la b!ague, e al tempo stesso la malizia di chi, percependo e sospettando che la sua vanteria non sarà creduta, la volge a scherzo: cose con le quali è altrettanto impossibile comporre poesia, quanto col pepe e col sale comporre un dolce. È vero che l'arte è sempre seria, come si dice a p. 141? Bisogna distinguere tra serio e serio: tra Bemi e Parini: tra la buffoneria e la satira e il sarcasmo. Chi ora, tenendo presenti non solo i contesti crociani ai quali i segni e le glosse di Gentile si riferiscono, ma anche gli svolgimenti teorici a cui essi dettero luogo nei suoi scritti, si provasse a condurre fino alle conseguenze estreme il tema che G LOSS E MARG INALI DI G . GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 565 ha visto delinearglisi dinanzi, certo non potrebbe in poche battute condurlo alla sua conclusione. E poiché non cosl alta è l'ambizione che muove queste pagine, bastino le seguenti, rapide, considerazioni, che altri poi, se vorrà, completerà. Commentando gli appunti che, a guisa di riepilogo, Gentile segnò nel retro dell'ultima pagina dell'edizione fuori commercio del Breviario, quasi spontaneamente, e certo con buone ragioni, il discorso si soffermò piuttosto sulle questioni generali intrinseche alla concezione crociana del reale e della sua struttura, che non sui temi specifici dell'estetica e della critica. Era questo, allora, il precipuo interesse di Gentile, che da anni, in effetti, trattasse con l'amico di logica o di teoria della pratica o, infine, di estetica, sempre, con la sua tipica insistenza, aveva battuto sulla questione dell'unità e della distinzione, dell'intellettualismo, del dualismo , e dell'unica forma di idealismo che fosse sul serio in grado di debellarli e superarli. Ma già nella lettura che egli fece dell'altra edizione del Breviario e che, con ragionevoli motivi, può ritenersi avvenisse, sia pure con breve intervallo, qualche tempo dopo, l'interesse tende ad allargarsi; e non soltanto le questioni generali della realtà e delle relazioni che la costituiscono sono richiamate in margine, bensl anche quelle che più specificamente concernono l'arte (e la storia) . Cosl, nell'enfasi con cui Gentile approva (« bravo! ») la risoluzione crociana delle opposte unilateralità del romanticismo e del classicismo nell'unica autentica realtà dell'arte, che sempre è romantica nella passione dalla quale nasce, e classica nella forma alla quale perviene, dovrà leggersi qualcosa di più del compiacimento provato dinanzi ad una teoria ormai chiaramente orientata a stringere in unità i motivi costitutivi dell'universo poetico. E se il lettore attento dell'opera di Gentile, e il conoscitore altresl del «gusto» storico che egli espresse nelle sue non numerose, e non sempre felici, «prove» di critico della letteratura, incontra varie difficoltà a riconoscere la presenza effettiva di questo concetto nella sua storiografia concreta, ciò non toglie che il concetto abbia poi un preciso riscontro nella stessa Filosofia dell'arte, dove, ultimo paragrafo del primo capitolo della prima parte, esplicitamente «romanticismo» e « classicismo » sono considerati, nella reciproca 566 GENNARO SASSO convergenza e al di là quindi della loro varia opposizione storica e ideale, come l'essenza stessa della poesia 26 . Con alcune conseguenze che, tuttavia, occorrerà brevemente indicare. Come è ben noto, in quanto propriamente la si consideri come poesia o arte, la poesia è, per Gentile, «inattuale» nell'unica concretezza del logo. E così accade per esempio che «il lirico di maggior impeto che (secondo lui) abbia la poesia italiana», ossia Alessandro Manzoni, non possa realizzare «classicamente» il «romanticismo» se non mediante quella forma estrema e coerente e legittima di «riflessione» e di «autocritica sulla propria ispirazione», che è l'ironia. Con una conseguenza per la verità molto singolare . Al di qua del controllo (il momento del «classico») che la «riflessione», e l' «autocritica» e infine l' «ironia» ne fanno, l'ispirazione (ossia il momento romantico, la poesia vera e propria) è «inattuale»; e ravviva bensì il «corpo dell'arte, ma non si vede», e, a leggerla in quanto poesia «si sente il suo fremito, s'intuisce l'interno principio che mette in moto il nostro animo e in noi rivive», senza che la si possa «guardare in faccia , fissare, pensare, farne materia di esperienza pensata», sì che di essa deve dirsi che è «un nescio quid, un Deus absconditus e presente, che s'impadronisce di noi, e muove la nostra lingua e ci trascina con quella forza misteriosa che suscita i sogni che tentano talvolta la nostra fede come divine rivelazioni o veraci segni premonitori» . Ma, non appena il controllo sia avvenuto e abbia, per così dire, avuto luogo, essa, l'ispirazione, è ormai pensiero; e Gentile infatti la qualifica in termini non equivoci di «autocritica» e perciò di esplicita autocoscienza. Se quindi, posto il concetto della «inattualità dell'arte» in quanto «pura arte», il momento che viene definito «classico» non sta più all'interno dell'arte, ma esce invece da essa per innalzarla alle regioni del logo, della rifles26 G . G E NTILE , La filosofia dell'arte, Firenze 1937, pp. 122-27. E d r. ivi, p. 123: « un' arte tutta classica sarebbe frigida, vuota, un'ombra senza corpo. Un'arte tutta romantica sarebbe un corpo sformato senza nessuna linea. Due assurdi ». GLOSSE MARGINA LI DI G . GEN TILE A LI BRI DI B. CROCE 567 sione e dell'autocritica (perché, in effetti, quel momento è esso stesso logo, riflessione, autocritica), ecco allora che il suo nesso con il «romanticismo» si spezza e deve spezzarsi; e sarà quest'ultimo, non l'altro in sintesi con lui, a costituire da solo l'arte in quanto arte, quel nescio quid, quel Deus absconditus che è presente, ma non può tuttavia esser colto dal pensiero, e che, con la forza trascinante e pur ambigua del «sogno», tenta la nostra stessa fede. In tal modo, quindi, l'unità del classico e del romantico, anzi del romantico e del classico, si scinde insieme allo scindersi e «non potersi possedere», che dell'arte è, per Gentile, la vera (ed ambigua) essenza. E in questo senso è da dire che, al di là della sua pretesa (che, come si vede, non ha alcun fondamento ed è anzi schiettamente autocontraddittoria) di essere in linea con le proposizioni di Croce, quella scissione è invece coerente in sé, ossia con la concezione generale che la sottende, e in forza della quale, quando c'è, l'arte non può, in quanto tale, esser colta dal pensiero (non può diventare, dice il filosofo attualista, «materia di esperienza pensata»), e quando può esser colta dal pensiero, come arte non c'è più, non è attuale, perché è il pensiero che ormai domina risolvendola senza residui nel suo ritmo e nella sua dispiegata essenza. Che altro aggiungere, a questo riguardo, se non che il problema che qui è venuto delineandosi può trovare la sua risoluzione solo nell'ambito di un'analisi che scenda a fondo nelle ambigue «profondità» del sentimento e del suo problematico nesso con il pensiero in atto? Ma, senza la pretesa di neppure delineare, di questa analisi, i termini essenziali, è pur chiaro che il «dualismo», che sempre Gentile pretese di ritrovare alla radice del pensiero crociano, si era insinuato, e in modi assai insidiosi, nella sua stessa filosofia: perché niente meno che «dualistica» è la situazione in forza della quale, per un verso l'arte è «inattuale» nell'attualità del logo, e per un altro è pur sempre presente, come «inattuale» (il sentimento, il nescio quid, il deus absconditus) in quell'attualità. La quale non sarà dunque tanto «attuale» da risolvere senza residui quella «presenza» (che è altresl, inevitabilmente, un'origine) , e non sarà tanto «presente» a sé medesima (ossia, ancora una volta, sul serio attuale) da im- 568 GENNARO SASSO pedire che quel fremito misterioso, quel nescio quid, quel deus absconditus, che dell'arte sono come l'indizio e il sintomo indiretto, sussistano tuttavia, irrisolti o non a pieno risolti, nel fondo oscuro di ciò che, per definizione, dovrebbe invece esser tutto risplendente della luce assoluta dell'autocoscienza. Così, attraverso la rapida analisi di questa sottile incongruenza, si giunge nei pressi di uno dei nodi più problematici dell'attualismo: il nodo del sentimento (che non è, per Gentile, materia dell'arte, ma l'arte stessa in quanto immediatezza) . E intorno a questo motivo sarebbe interessante fermarsi, perché è a partire di qui che può forse trovarsi la via che conduce a scoprire l'intima tensione (Gentile direbbe il ~<segreto») di questa filosofia . Senonché, l'analisi di questa essenziale articolazione dell'attualismo andrà bensì affrontata, ma in altra sede, e con la necessaria cura. Alla natura di queste pagine basterà invece l'osservazione che gli appunti presi in margine al Breviario di estetica non ebbero sistematico svolgimento se non nel 1928, quando Gentile pubblicò il saggio che specificamente dedicò al « sentimento» . Fino a quel momento, egli aveva bensì tentato di esporre le linee del suo pensiero (si pensi al primo volume del Sommario di pedagogia e alla Teoria generale dello spirito come atto puro) , senza per altro riuscire a individuare bene il significato della questione, o dedicando ad essa pochi e sporadici accenni: pochi e sporadici, ossia non bene connessi nel circolo e con il circolo concettuale che gli si era costituito nella mente. Da questo punto di vista, con la testimonianza che offrono di un non breve travaglio critico, le glosse che qui sono state pubblicate e passate in rapida rassegna riusciranno senza dubbio di notevole interesse agli occhi di chi, del pensiero di Gentile, sia interessato a mettere in luce non solo gli svolgimenti espliciti, ma altresì quelli impliciti, ossia più nascosti e segreti. E dopo aver ribadito l'importanza di queste annotazioni marginali, e sopra tutto di quelle che sottolineano l'universalità del sentimento in quanto tale, asteniamoci dal commentarle minutamente, restringendoci a notare che quando, a proposito della serietà dell'arte, Gentile propose che tuttavia si distinguesse fra se- GLOSSE MARG INA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 569 rietà e serietà, fra Parini e Berni, chi conosca lo stile e l' animus della sua critica subito intenderà che qui non è in gioco soltanto la disposizione culturale che lo condusse, per esempio, a sottolineare con particolare energia il manzoniano «prender le cose sul serio» 27 , ma, a guardar bene, la sua stessa interpretazione del Rinascimento e, in essa, l'incessante polemica contro il letterato petrarchesco («dal Petrarca potrà venire lo spirito del grande Rinascimento, che si riverserà splendente di fantasmi immortali sull'Europa meravigliata; ma verrà anche l'arida progenie del letteratume accademizzante, classicizzante, linguaiolo, rettorico, erudito, anemico dell'età barocca») 28 . Non si deve credere, per altro, che solo gli scritti di estetica attirassero l'attenzione di Gentile. Fra il 1912 e il 1913, nei mesi stessi in cui venne maturandosi e quindi svolgendosi la celebre polemica pubblica che, per iniziativa di Croce, i due filosofi affidarono alle pagine della Voce prezzoliana, Gentile segul con vivo interesse la pubblicazione delle memorie che poi, come altrettanti capitoli, andarono a costituire la parte teorica della Teoria e storia della storiografia. E a proposito delle Questioni storiografiche (coincidenti con i capitoli che vanno da quinto al nono del libro definitivo) in data 20 febbraio 1913 gli scriveva per «congratularsi» della «nuova bella memoria [... ], che mi è piaciuta molto, quantunque in alcune parti eccessivamente stringata» . «Vuol dire - aggiungeva - che presto vi tornerai sopra e svilupperai certi concetti. Importanti assai i primi due capitoli, che certamente vorrai riprendere e trattare più ampiamente, perché sono pregni di conseguenze filosofiche, nuove e di sommo interesse. 27 È il Leitmotiv della conferenza manzoniana del 1923 (la si veda in Manzoni e Leopardi, Milano 1928, pp . 3-30) . 28 Sono parole del saggio Umanesimo e incunaboli (1937), in Il pensiero italiano del Rinascimento, Firenze 1940, p. 12 ; e il motivo che vi è racchiuso meriterebbe un'indagine specifica, la quale mirasse, anzi tutto, a stringere il nesso Rinascimento-Risorgimento (e quindi, subordinatamente, artistapoeta, artista-uomo, etc.) con più forza e consapevolezza di quanto non risulti da certi studi recenti sulla storiografia gentiliana. 570 GENNARO SASSO Sono perfettamente d'accordo con te nella critica dell'Idea hegeliana e Provvidenza vichiana. Io mi vengo sempre più persuadendo nella convinzione che Hegel non scoprì il vero principio dell'immanenza e la sua idea rimase però, suo malgrado, trascendente. E però egli potè sopravvalutare del tutto erroneamente la dialettica del Sofista e del Parmenide nella Storia della filosofia . Vedrai come mi sono incontrato con te in questa critica in uno scritto sul Metodo dell'immanenza» 29 . In effetti, a parte il giudizio sulla sopravvalutazione hegeliana dei due grandi dialoghi platonici (a proposito del quale è per lo meno sintomatico che né qui né nello scritto sul metodo dell'immanenza si ricordasse la fondamentale critica che, nella Scienza della logica e nella stessa Storia della filosofia, era stata rivolta a Platone e alla costruzione «per generi» della dialettica 3°), Gentile si trovava allora nel suo ti- 29 Gentile a Croce , 20 febbraio 1920 (Lettere, IV , 225-26). Per la critica rivolta a Hegel e alla sua concezione della dialettica, dr. G. GENTILE, Il metodo dell'immanenza (1913) in La riforma della dialettica hegeliana , Firenze 1954, pp. 226-29. Per la critica hegeliana della dialettica platonica, che Gentile non tenne specificamente presente né parlando di Platone (Il metodo dell'immanenza cit., pp . 198-202) né parlando di Hegel, dr. sopra tutto, G .W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik, hrsg. von G. Lasson, Hamburg 1967, I, 105-106, passim , e Lezioni sulla storia della filosofia, tr . it ., Firenze 1932, II, 205-27. Non è questa la sede per trattare un simile argomento. Ma per quanto riguarda Hegel, e cioè le Noterelle di critica hegeliana che Croce inserì nella «Critica» del 1912 (e quindi nel Saggio sullo Hegel, Bari 1913, pp . 177-205), dr. Gentile a Croce, 19 agosto 1912 (« di particolare interesse, come puoi immaginare, mi sono riuscite le tue note di filosofia hegeliana. In quella sul cominciamento mi pare d'essere interamente d 'accordo con te. Per la filosofia della natura credo che bisogna andare un po' più in là e non restare alla semplice negazione e al momento polemico. E più in là si deve trovare il valore filosofico della scienza naturale, come s'è trovato il valore filosofico della storia (perché l'una e laltra sono un solo processo»: Lettere, IV, 181), e quindi Croce e Gentile, 21 agosto 1912 («ho piacere che sii d'accordo con me circa la questione del cominciamento. Quanto alla filosofia della natura, avrai notato che io do un certo avviamento per la sintesi di essa con la filosofia e con la storia. Ma circa il modo di compiere questa sintesi, ci sarà da discutere e da cercare ancora»: Lettere a Giovanni Gentile , p. 426). Lo scambio epistolare è, come si vede, particolarmente interessante, su questo punto cruciale : e non solo perché Gentile si dichiarasse solidale con la trattazione crociana del « co>O 571 GLOSSE MARGINA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE pico stato d'animo, consistente, fra sfida e speranza, nell' attendere il pensiero dell'amico al decisivo punto d'approdo della estrema coerenza attualistica. E non solo questo stato d'animo è evidente nell'insistenza con la quale egli lo pregò di ritornare con nuovi svolgimenti sulle «parti eccessivamente stringate» della trattazione, ma altresì nel richiamo esplicito di quel suo scritto sul metodo dell'immanenza che, fra i saggi filosofici anteriori alla Teoria generale dello spirito, è forse il più importante, per l'estrema energia con la quale, dal punto di vista rigoroso della teoria dell'atto puro, e dell'immanenza che, essa sola (a giudizio del suo autore), realizza e può realizzare, ricostruisce in iscorcio l'intera storia della filosofia . Di questo atteggiamento, che troverà forse la più matura espressione nella Nota che, nella terza edizione della Teoria generale, egli aggiunge al capitolo decimoterzo, L 'antinomia storica e la storia eterna, sono altresì documento interessante le poche glosse che Gentile segnò in margine alla prima ediz10ne (1917) della Teoria crociana . TSS 5 Se, invece, ci atteniamo alla storia reale , alla storia che realmente si pensa, nell'atto che si pensa, sarà agevole scorgere che essa è perfettamente identica alla più personale e contemporanea delle storie. Il TSS 10 La storia è la storia viva, la cronaca la storia morta; la storia, la storia contemporanea, e la cronaca, la storia passata; la storia è precipuamente un atto di pensiero, la cronaca un atto di volontà. Ogni storia diventa cronaca quando non è più pensata ... 11 + minciamento assoluto», e quindi con la durissima critica rivolta a B. Spaventa, ma essenzialmente per le dichiarazioni relative al problema della «scienza», che i due filosofi giudicavano allora bisognevole di nuove ricerche (che poi, in realtà, o non vennero o, se vennero, non modificarono il quadro fissato in precedenza). 572 G ENNARO SASSO TSS 105 La storia si pensa giudicandola, con quel giudizio che non è, come si è visto, la reazione del sentimento, ma l'intrinseca conoscenza dei fatti. E qui la sua unità con la filosofia si scorge in modo sempre più concreto, perché, quanto meglio la filosofia approfondisce e affina le sue distinzioni, tanto meglio approfondisce e affina il particolare; e quanto più fortemente abbraccia questo, tanto più fortemente possiede i suoi propri concetti. Progresso di filosofia e progresso di storiografia vanno insieme, indissolubilmente congiunti. ma il particolare storico non è meno un distinto, termine di distinzione filosofica . I distinti come categorie sarebbero sempre l'universale TSS 126 Nel corso delle precedenti dilucidazioni teoriche, abbiamo negato cosl l'idea di una storia universale (nel tempo e nello spazio), come quella di una storia generale (dello spirito nella sua indiscriminata generalità o unità), e fatto in cambio valere l'opposta duplice sentenza: che la storia è sempre particolare, ed è sempre speciale; e che queste due determinazioni costituiscono per l'appunto l'effettiva e concreta universalità, e la effettiva e concreta unità . Il ? cfr. p. 107 TSS 136 La filosofia, in conseguenza della nuova relazione in cui è stata posta, non può essere necessariamente altro che il momento metodologico della Storiografia: dilucidazione delle categorie costitutive dei giudizi storici ossia dei concetti direttivi dell'interpretazione storica . TSS 140 Se, infatti, la metodologia toglie la materia dei suoi problemi dalla storia, la storia, definizione della filosofia, ma non battezzabile come ' metodologia' 573 GLOSSE MARG INALI DI G . GEN TI LE A LI BRI DI B. CROCE nella sua modesta ma concretissima forma di storia di noi medesimi, di ciascuno di noi come individuo, ci mostra che noi trascorriamo di problema in problema filosofico particolare sotto la sollecitazione della nostra vita vissuta, e, secondo le epoche di questa, uno o altro gruppo o classe di problemi tiene il campo o ha per noi interesse preponderante. E se guardiamo al più largo ma meno determinato spettacolo che offre la cosiddetta storia generale della filosofia, osserviamo il medesimo: che cioè, secondo i tempi e i popoli, ora i problemi filosofici della morale ora quelli della politica ora della religione ora delle scienze naturali e delle matematiche hanno avuto le prime parti ... Il cfr. pp. 88 e 145 TSS 142 Tale disposizione[' proveniente dalla vecchia concezione metafisica dell'ufficio della filosofia'] ingenerò pessime conseguenze nelle trattazioni filosofiche della scuola hegeliana, nelle quali di solito quegli scolari (diversamente dal maestro) mostrarono di avere poco o punto ricercato e meditato nei problemi delle varie forme spirituali, accogliendo volentieri intorno ad esse le opinioni volgari... Vero TSS 143 Sicché la filosofia definitiva, contenuta come esigenza nella concezione del problema fondamentale , contrasta con l'esperienza storica. nessuna è definitiva, ma tutte sono pure definitive TSS 143 Ogni filosofia è definitiva bensl pel problema presente che risolve, ma non già per quello che nasce subito dopo, a piede del primo, e per gli altri che nasceranno da questo. Chiudere la serie varrebbe tornare dalla filosofia alla religione e riposarsi in Dio. Il 574 GENNA RO SASSO TSS 145 ... e il filosofo in generale, il purus philosophus non trovi più luogo tra le specifica- Il zioni professionali del sapere. Ebbene, intorno a queste postille gentiliane, veloci e sommarie ma pur acute nel sottolineare i punti di più vivo interesse ed anche di più profonda tensione del rinnovato filosofare crociano sul tema della storia, che cosa dire? Nel fatto, esse sono così rapide nell'enunciazione e così ricche di conseguenze nell'ambito del pensiero che le sorregge, che farne la storia significherebbe ripercorrere una linea interpretativa che, nel complesso, è ben nota, e troppo ampie considerazioni invece richiederebbe se si intendesse, come per qualche verso è necessario, rinnovarne e approfondirne i motivi. E perciò, dopo aver rilevato che Gentile aveva ragione (sebbene fosse troppo rapido e drastico nel formulare il relativo problema) quando osservava che i distinti, in quanto categorie, sono universali, e che invece ne aveva assai di meno, e alludeva a un'aspra difficoltà là dove osservava che soltanto il particolare, in quanto particolare, può esser nota o strumento di distinzione; dopo aver avvertito che, dissertando intorno all'aporia storicistica del «definitivo» e del «non definitivo», egli non riusciva certo più persuasivo, o più rigoroso, del suo amico; dopo aver notato che con le glosse che segnava in margine alla concezione della «filosofia come metodologia», ed anche con le più distese argomentazioni che altrove ne trasse, la teoria crociana non può esser compresa nelle sue ragioni, e nel problema al quale mette capo, - dopo aver detto, dunque, quanto, rapidamente, c'era da dire, passiamo alle glosse più interessanti che mai gli accadesse di dedicare a pagine crociane: le glosse che ancora si leggono nella copia degli Elementi di politica, La terza, Bari 1925. È ovvia avvertenza che, a questa data, siamo ormai post res perditas, nel vivo della controversia che, se non aveva (almeno formalmente) ancora posto fine ali' amicizia, già aveva per altro scatenato una tempesta che non si placò più negli GLOSSE MARGINA LI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 575 anni successivi, e che solo la morte violenta di Gentile sembrò per un attimo placare nell'animo dell'amico che, più vecchio, gli sopravviveva. Con il 1924 anche il carteggio, iniziato nel lontano 1896, era cessato, sebbene l'ultima lettera che Croce inviò a Gentile esplicitamente negasse che con quella egli intendesse dimittere amicitiam («ma io non ho mai pensato a romperla con te, come tu dici» 3 1 ). Al di là della 31 L'ultima lettera inviata a Gentile, il 24 ottobre 1924, fu raccolta da Croce in una «scelta di lettere» che egli mise insieme a «ricordo della sua vita» durante il ventennio 1914-1935 (cfr. B. CROCE, Epistolario, Napoli 1967, I, 107: ma cfr. ora Lettere a Giovanni Gentile, pp. 670-71. E si veda, ivi, pp. 118-21, la lettera che il 30 luglio 1925 egli scrisse, e non inviò, ad un amico « sconosciuto», per ragguagliarlo delle ragioni che lo avevano indotto a rompere con il suo vecchio amico: se poi la lettera fosse scritta per essere inviata o come pro memoria personale in forma di lettera, è una questione, in ultima analisi, irrilevante) . A proposito della «rottura» fra i due filosofi, va anche ricordato che nella «Critica», 22 (1924) , pp. 51-55 , Croce aveva pubblicato una recensione, secca senza dubbio ma non «ostile», del II volume (non della « seconda edizione», come scrive il Dx LALLA, Vita di Giovanni Gentile, p. 322) del Sistema di logica, uscito presso Laterza nel 1923 unitamente alla seconda edizione (ecco forse l'origine dell'equivoco) del primo, il quale già aveva visto la luce sei anni prima, nel 1917 . A questa recensione Gentile, che l'aveva annunziato, con parole ancora amichevoli, il 25 marzo 1924 (Lettere a Benedetto Croce , V, 430-32 ; e la replica di Croce, il 27 marzo, Lettere, pp . 668-69), rispose con un articolo, Un altro giudizio di B. Croce sull'idealismo attuale, «Giornale critico della filosofia italiana», 5 (1924) , pp. 67-72, deciso e secco nella sostanza, ma pur commosso e sincero nell'augurio che, con Croce, a lui fosse ancora concesso di ricercare, criticamente e autocriticamente, la verità. In effetti, anche Croce aveva concluso la sua recensione esprimendo il convincimento che una vera collaborazione intellettuale richiedesse piuttosto contrasti che non una concordia « degna di Bouvard e Pècuchet» (i quali, per altro, talvolta si trovavano in disaccordo anch'essi!). Ma il tono di questa conclusione, poi soppressa (insieme all'esordio) nella ristampa che della sua recensione Croce fece nelle Conversazioni critiche, Bari 1932, IV, 297-304 , è freddo , e ha quasi l'aria di un'excusatio . La rottura non avvenne, per altro, a causa dei contrasti teorici, che forse avrebbero raffreddato i rapporti senza distruggere l'amicizia, ma per le note ragioni politiche, che esasperarono quei contrasti, innalzandoli sul piano dell'insanabile conflitto fra concezioni della vita. Per i documenti della polemica politica di quei due anni cruciali, 1924-1925 , si vedano B. CROCE, Pagine sparse, Bari 1960, II, 475 sgg., e G. GENTILE, Che cosa è il fascismo , Firenze 1924 [ma 1925], pp. 153 sgg. Altri testi saranno citati in seguito. 576 GENNA RO SASSO stessa polemica filosofica, parole molto gravi erano state scambiate in pubblico tra Gentile che, anticipando un tema che sarebbe stato rozzamente ripreso nel secondo dopoguerra, parlava di Croce come di uno schietto fascista inconsapevole 32, e quest'ultimo che, con estrema durezza, lo accusava di alterare in tal modo ogni serio concetto che si fosse mai messo innanzi nell'interpretazione della più recente storia d'Italia. Si aggiungano le polemiche che, senza dar prova di eccessiva discrezione, gli scolari 33 di Gentile accendevano ad ogni occasione, esacerbando gli animi e rendendo sempre più difficile ogni tentativo che altri si proponesse di esperire allo scopo di salvare, almeno, il salvabile. Ma sopra tutto si consideri la forza stessa delle cose, la violenza delle passioni e il loro fatale trascendersi nella logica intrinseca ad una situazione in cui, ben al di sopra dei sentimenti personali, un assetto politico e sociale stava toccando il fondo della crisi e un intero sistema di civiltà vacillava sotto i colpi dei vincitori. In questa situazione, il tentativo che, a partire dal 1927, Adolfo Omodeo aveva intrapreso ed eseguito con scrupolo, e con la generosa illusione di riuscire a far passare indenni attraverso quell'incendio almeno il rispetto reciproco dei due filosofi e le loro formali relazioni, merita di esser ricordato come il documento esemplare non solo della crisi profonda che il progressivo distacco politico dal maestro, di cui ancora condivideva 32 GENTILE, Il liberalismo di B . Croce, « Epoca», 21 marzo 1925 , e poi in Che cosa è i/fascismo, pp . 153-59. L'espressione citata nel testo è, ivi, p. 154. L'articolo crociano al quale Gentile qui risponde , comparve nel «Giornale d 'Italia », 12 marzo 1925, quindi nella «Critica », 23 (1925) , pp. 125-28 e, da ultimo, in Cultura e vita morale cit ., pp . 283-88. Alla rispos ta gentiliana Croce replicò ancora nel « Giornale d 'Italia », 24 marzo 1925 (;Pagine sparse, II , 454-57), e Gentile ribatté nell'« Epoca» del 25 marzo 1925 ( ; Che cosa è il fascismo, pp. 159-61). H Le polemiche degli scolari di Gentile nei confronti di Croce sono, a partire sopra tutto dal 1923 -1924 , un fa tto pressoché costante nella storia delle relazioni fra i due filosofi: cfr . la lettera di A. Omodeo a Gentile, 22 dicembre 1923 , in Carteggio Gentile-Omodeo , Firenze 1975 , p. 294. E cfr. del resto anche U. SPIRITO, I cinquant'anni del « Giornale critico della filosofia italiana » , « Quaderni » della Biblioteca filosofica di Torino, 32 (1969), pp . 7- 9. Si veda, in genere, l'ampia document azione raccolta da R. CoLAPIETRA, Benedetto Croce e la politica italiana, Bari 1970, II , 561 sgg., passim. GLOSSE MARGIN ALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE .577 il pensiero filosofico, gli scavava nell'animo, ma altresl della vanità degli sforzi che, in tempi come quelli, uomini onesti e disinteressati compiono per impedire che la politica consumi intero il suo dramma e, in esso, vecchie solidarietà, affetti, speranze di pace. Era inevitabile, dunque, che la «tregua d'armi» 34 , che Omodeo aveva richiesta alle due parti, non potesse essere rispettata né dall'uno né dall'altro filosofo. Non poteva essere rispettata da Gentile, che nel vecchio amico di tante battaglie, ora attestato su posizioni diverse dalle sue, e fin opposte, vedeva e sentiva come un monito continuo, un richiamo alla buona compagnia per la quale era nato; e ne era perciò indotto, per contrasto, a esacerbare il tono della polemica e a far vibrare con maggior forza la voce interna di un convincimento, che nessuno certo si permetterà di discutere nel suo fondamento morale, ma che pure non poteva essere privo, nel suo fondo oscuro, di dubbi e di intimi motivi di lacerazione. Ma, per altro verso, la tregua non poteva essere rispettata da Croce: il quale, in una zona segreta e profonda della sua coscienza, pensava bensl che, forse, svoltesi le cose secondo la loro logica intrinseca, il fascismo avrebbe finito per dissolversi e Gentile per riconoscere di nuovo i suoi; ma, d'altra parte e nello stesso tempo, non poH La proposta di una « tregua d 'armi» è contenuta nella lettera a Gentile del 27 ottobre 1927, Carteggio Gentile-Omodeo , p. 391, e fu accettata da Croce (ivi, p. 392) e da Gentile nella lettera a Omodeo del 28 ottobre, Carteggio, p. 393 . La «tregua » naufragò definitivamente il 30 gennaio 1928, quando Gentile scrisse a Omodeo (Carteggio, p. 397) per avvertirlo, con due parole, di quel che Croce aveva scritto nella recentissima Storia d'Italia, a proposito dell'idealismo attuale e del suo torbido mescolarsi nelle cose della pratica. E Omodeo, il 1° febbraio dello stesso anno: « ho letto con dolore il passo in questione, ma non le nascondo che con eguale dolore lessi tempo fa un'invettiva contro i rammolliti e gli smidollati . Evidentemente il mio tentativo è fallito, e non si può fermare un cozzo deplorevole, ma inevitabile finché si pongono avanti - come allora feci io - criteri d 'opportunità» (Carteggio Gentile-Omodeo , p. 398). La vicenda fu poi rievocata, senza per altro alcun accenno specifico alla proposta della «tregua d'armi», in A . 0MODEO , La collaborazione con Benedetto Croce durante il ventennio , « Rassegna d 'Italia », 1 (1946), p. 269 e ora in Libertà e storia. Scritti e discorsi politici, Torino 1960, p. 491, dove è comunque durissimo il giudizio sulla «scuola » gentiliana. _J 578 GENNARO SASSO teva non avvertire l'amarezza, il disinganno e anche il disgusto provocatigli dall'atteggiamento del suo amico, dal tono baldanzoso e a tratti arrogante della sua polemica, nonché dalla pretesa di continuo ribadita di esser lui, e lui solo, il vero e unico interprete di quel che il pensiero crociano fosse nella realtà, e al di là di ogni soggettiva illusione. Avvenne cosl che quando nella Storia d'Italia (alla quale egli cominciò a lavorare, come si apprende dai Diarii, il 18 giugno 1926) Croce giunse, nel capitolo decimo, a trattare dell'opera sua, di quella del suo maggior collaboratore e dell'indirizzo variamente irrazionalistico preso a un certo punto dal suo pensiero, che di recente si era infatti rivelato come un «non limpido consigliere pratico» 35 , Gentile giudicasse giunto il momento di rompere definitivamente la tregua che l'Omodeo aveva proposta, accettando, ed inducendo ogni altro ad accettare come irreversibile, una guerra lunga e aspra . «Avrai visto nell'ultimo libro del Croce - scriveva a Omodeo il 30 gennaio 1928 - come sia stata da lui osservata la tregua da te invocata: e come sia quindi facile il silenzio. Quell'uomo è accecato dall'orgoglio : da un orgoglio satanico. Ed è diventato pericoloso come un cavallo sfuriato. Non si può perciò non occuparsene» 36 . A sua volta, a Giovanni Laterza 37 che aveva tentato l'estrema mediazione, Croce scriveva duramente : «la frase non è modificabile, perché è giusta. È strano che il Gentile si lamenti di cosa nota a tutti, e della quale egli stesso ha data fresca riprova col suo discorso di otto giorni or sono, che è parso a tutti un complesso di contraddizioni, un dire e un non dire , ossia proprio il contrario della B. CROCE, Storia d'Italia dal 1871al1 915, Bari 1943 7 , p. 25 9. Carteggio Gentile-Omodeo, p. 397. 37 Giovanni Laterza aveva ricevuto da Gentile una lettera, 27 gennaio 1928, nella quale erano contenute lamentele per la « frase equivoca, che è una vera insinuazione maligna e spregevole contro di me » (il testo è in Mostra storica della Casa editrice Laten:a, Bari 196 1, p. 599; e l'editore aveva cercato di operare , in extremis, una mediazione, la quale naturalmente falll, come si vede dalla rispos ta di Croce, citata nel tes to. >5 36 GLOSSE MARGINA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 579 limpidezza. Cerchi il Gentile di decidersi, diventi limpido, e la mia frase non gli sarà più applicabile» 3 8 . Ma nel 1925, quando Gentile si mise dinanzi al testo crociano della Politica ' in nuce ', che forse egli già aveva letto nella Critica dell'anno precedente, la tregua delle armi non era stata ancora proposta, e la polemica era per contro nel suo pieno corso. E poi, in ogni caso, la tregua non è la pace; e nel chiuso di una stanza da studio è inevitabile che dinanzi ad un libro come quello di Croce, tutto risonante, nel profondo, dei toni appassionati di una durissima polemica, l'animo sia indotto ad accettarla e ogni volontà diplomatica di non esasperarla ne sia invece travolta. Del resto che la Politica ' in nuce ' sia anche un documento di esplicita, o quasi esplicita, polemica antiattualistica, è cosa di cui, chiunque l'abbia letta con un minimo d'attenzione, si sarà ben accorto. Esso culmina nella distinzione, duramente ribadita, della politica dalla morale; riduce lo stato a un processo e a un intreccio di azioni utili; con estrema decisione combatte contro le aberrazioni dello «stato etico»; eleva al di sopra dello stato la moralità e la storia, e in questa intende la vera concretezza dell'agire politico, che non è soltanto di coloro che «acconsentono» e dicono sì, bensì anche degli oppositori, degli uomini del dubbio e della rivolta, degli intellettuali, come Croce li definisce, di «tempra fine». E Gentile che, leggendo questo testo, meglio di ogni altro era in grado di coglierne le più riposte sfumature polemiche, non poteva non reagire subito, matita in mano, a quelle forti provocazioni critiche. Le postille che, più intensamente che altre volte, egli segnò nei margini del saggio crociano, gli riuscirono perciò non solo vibranti di passione polemica, ma, come quelle che nascevano da una sfida esistenziale, oltre che teoretica, nutrite di particolare impegno filosofico ed esegetico. Fra le glosse che , nel corso degli anni, egli dedicò ai libri del suo amico, sono queste, in effetti, le più interessanti; e converrà perciò, dopo averle pubblicate, dedicare ad esse un breve commento . 38 Croce a G. Laterza, 29 gennaio 1928, Mostra storica cit ., p . 60. 580 GENNARO SASSO EP 17 L'uomo (come sapevano e dicevano già gli antichi) è un essere sociale o politico per sua natura; e lo Stato (come diciamo noi moderni) non è un fatto, ma una categoria spirituale . Se lo Stato è categoria, si distingue dal/'azione politica, con cui si identifica a p. 12. EP 19 Il dilemma se lo Stato si fondi sulla forza o sul consenso, e il quesito se legittimo sia lo Stato dovuto alla forza o solo quello dovuto al consenso, vanno messi in compagnia con la distinzione di sopra ricordata tra Stato e governo; perché, in verità, forza e consenso sono in politica termini correlativi, e dov'è l'uno, non può mai mancare l'altro. Consenso (si obietterà) 'forzato'; ma ogni consenso è forzato, più o meno forzato, ma forzato, cioè tale che sorge sulla ' forza ' di certi fatti, e perciò 'condizionato ': se la condizione muta, il consenso, com'è naturale , viene ritirato, scoppiano il dibattito e la lotta, e un nuovo consenso si stabilisce sulla condizione nuova. Non c'è formazione politica che si sottragga a questa vicenda: nel più liberale degli Stati come nella più oppressiva delle tirannidi, il consenso c'è sempre, e sempre è forzato , condizionato e mutevole. Se cosl non fosse, mancherebbero insieme e lo Stato e la vita dello Stato. Ma se l'azione politica è la stessa azione del singolo, che è questo Stato che mancherebbe se ... ? EP 22 La sovranità, in una relazione , non è di nessuno dei suoi componenti singolarmente preso, ma della relazione stessa. che cosa è questa relazione, posto il nominalismo di pp. 11 12? O anche in quelle pagine il processo è qualcosa di interindividuale? G LOSSE MARGI NALI DI G . GEN TIL E A LIBRI DI B. CROC E 581 EP 22 E se la sovranità è in ogni parte della relazione nec cubat in uffa, cade anche, come destituita di valore speculativo, la divisione degli Stati secondo le persone che esercitano la sovranità, e anzitutto la celebre tripartizione in monarchia, aristocrazia e democrazia. lo Stato è relazione? Ma allora la legge non s'immedesima con !'operare effettivo del singolo. EP 24 Il presupposto di questa [la teoria egualitaria] è la eguaglianza degli individui, messa a fondamento degli Stati: eguaglianza che non sarebbe pensabile se non nella forma di autarchia, del pieno appagamento dell'individuo in sé medesimo, che non ha nulla da chiedere all'altro, al quale è eguale; e perciò in una forma cosl fatta, che non può valere a fondare lo Stato, ma per contrario ne mostra la superfluità, essendo, in tale ipotesi, ogni individuo uno Stato a sé. Ogni individuo è uno Stato a sé. Lo Stato è relazione (Dio , Storia, Idea) . Questo è Hegel. EP 32 Poiché lo Stato veniva inteso [da Hegel e dagli hegeliani] come la vita morale, la concretezza stessa della vita morale , era affatto conseguente innalzarlo al fastigio sul quale il Kant aveva collocato la legge morale e proporlo alla medesima reverenza e venerazione. Ma l'errore di quei dottrinari consisteva, e consiste, per l'appunto nell'aver concepito la vita morale nella forma, a lei inadeguata, della vita politica e dello Stato. EP 33 Ma la vita morale abbraccia in sé gli uomini di governo e i loro avversari, i conservatori e i rivoluzionari, e questi forse più degli altri, perché meglio degli altri aprono le di quale Stato? Se lo Stato s'intende come anche il Croce !'intende a p. 24, no: perché oltre Dio o la Storia non c'è altro. 582 G ENNARO SASSO vie dell'avvenire e procurano lavanzamento delle società umane . Per essa non vi sono altri rei che coloro i quali non si sono ancora elevati alla vita morale; e spesse volte loda e ammira e ama e celebra i reietti dai governi, i condannati, i vinti, e li santifica martiri dell'idea. Per essa, ciascun uomo di buona volontà serve alla causa della cultura e del progresso a sua guisa, e tutti in concordia discorde . ma lo Stato comprende gli uomini di governo e gli avversari perché coincide con la relazione, la sintesi. Bisognerebbe dimostrare che gl'intellettuali di fine qualità siano fuori della sintesi. Gentile alla fine di EP 35 : In tutti questi 2 primi capitoli giuocano due concetti diversi dello Stato; una volta inteso come governo ( = governanti) e un'altra come relazione e storia (governanti e governati, e rapporti internazionali). Per uscir dall'astratto nominalismo, !'A . si a/ferra al 2° concetto. Per combattere l'eticità dello stato, si afferra al 1°. EP 46 Ma quando i nomi si trattano come nomi, e si rispettano anche ma come nomi, e nei partiti si ricerca e si affisa il loro essere storico, e gli individui che li compongono e li guidano, questi giochetti di reciproca conversione, questi sofismi sono impediti o resi vani, perché si ha allora dinanzi la realtà dei vari partiti, che è diversità di sentimenti, di temperamenti, di precedenti, di svolgimento mentale, di cultura, di educazione, di vocaz10ne. EP 66 La durezza e l'insidiosità, inevitabili nella politica e che il Machiavelli riconosceva e raccomandava pur provandone a volte nausea morale, vengono spiegate dal Vico come parte del dramma dell'umanità, che in perpetuo si crea e ricrea; e sono riguardate nel loro duplice aspetto di bene reale e di male apparente ... qui si torna al nominalismo 583 G LOSSE MARG INA LI DI G. GEN TILE A LIBR I DI B. CROCE EP 72 Ciò che noi abbiamo chiamato vita politica e Stato in senso stretto o in senso proprio, corrisponde ad un dipresso a quello che lo Hegel chiamava ' società civile' (burgerliche Gesellschaft) e che comprendeva non solo l'operosità economica degli uomini, la produzione e lo scambio delle merci e dei servigi, ma anche il diritto e l'amministrazione o governo in base alle leggi. EP 100 39 Da questi difetti di teoria e da queste angustie di contingenza la storia morale o eticopolitica si deve disciogliere, correggendo sé stessa e concependo come suo oggetto non solo lo Stato e il governo dello Stato e l'espansione dello Stato, ma anche ciò che è fuori dello Stato, sia che cooperi con esso, sia che si sforzi di modificarlo, rovesciarlo e sostituirlo. EP 105-106 Sol che, al modo stesso nel quale si è disopra ammonito a non scambiare la vita etico-politica o statale, che è oggetto della storia, con lo Stato come vien concepito dai meri politici e per fini politici o giuridici, bisogna pur raccomandare di non prendere la 'religione ' nel significato materiale degli adepti delle varie religioni .. . p. 72. Ripercorrendo nel loro insieme le glosse che sono state qui su pubblicate, è facile vedere che due sono le preoccupazioni che Gentile vi esprime. La prima è di controbattere il 39 Questo testo, e quello successivo, appartengono al saggio Storia economico-politica e storia etico-politica , che Croce aveva incluso nella riedizione in volume degli Elementi di politica. 584 GENNARO SASSO giudizio che nel testo di Croce corre netto da una capo ali' altro della trattazione, e che consiste nel restringere, al di qua di ogni limite in precedenza fissato, l'ambito spirituale dello stato, il suo valore e la sua importanza per la vita etica e culturale. E questa è, si direbbe, la preoccupazione più ovvia, e che, malgrado i motivi filosofici che pur la sottendono, più di ogni altra si rivela legata ali' attualità del contrasto politico allora in atto, su questo tema, tra fascisti e antifascisti. Quel contrasto, che in atto era in realtà da tempo, proprio nelle settimane in cui, con ogni probabilità, Gentile leggeva e postillava la memoria crociana sulla «politica», stava impegnando i due filosofi in uno scambio piuttosto aspro di opinioni e di accuse. Ebbene, giova, da questo punto di vista, osservare che se, in pubblico, Gentile non tralasciava occasione che comunque gli consentisse di far vedere come, bene al di là dei suoi soggettivi convincimenti, anche Croce fosse in realtà solidale con il nuovo accento che il fascismo aveva posto sulla classica idea liberale dello stato etico, in privato, ossia nelle glosse che scriveva per suo stretto uso personale, questo atteggiamento è assai meno vivo e presente, e in suo luogo si nota piuttosto la preoccupazione di dimostrare contraddittoria l'idea della libertà e del dissenso, quella cioè che, nella Politica 'in nuce ', costituisce una delle dimensioni essenziali della stessa relazione, che l'una all'altro stringe la «forza» e il «consenso». Il quale è «forzato», a giudizio di Croce, perché sorga sulla «forza» di certi fatti . Ma i fatti sui quali sorge sono tanto la realtà, che si accetta, dello stato, quanto la realtà della sua non accettazione da parte della coscienza etica e politica; sì che, sempre «forzato» e, in questo senso, «condizionato», il consenso è altresì perennemente «mutevole», viene dato e poi anche ritirato, e chi lo ritira e lo nega non è meno reale e meno «politico» di chi lo dà e lo conferma. Se quindi, in vista del carattere sempre «consensuale» degli stati - dei più oppressivi come dei più liberali - , si argomentasse che ad essi mai potrebbe negarsi il predicato della eticità, l'obiezione di Croce sarebbe che questo non è che un sofisma, perché non nello stato in quanto tale, ossia nella consolidata relazione della forza e del consenso, consiste l'eticità, bensì al contrario nella vigile GLOSSE MARG INA LI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE 585 coscienza dell'uomo, nel cui interno dev'essere ricercato il criterio vivente del consenso e quindi, in ultima analisi, della moralità. Di questo mobile carattere del «consenso» crociano, Gentile si era reso ben conto; e che poi, anche nelle glosse polemizzasse contro il concetto che il suo amico ne aveva delineato, significa non che negasse la peculiarità di quella delineazione, ma al contrario che, sforzandosi di demolirne il fondamento, la riconosceva diversa dalla sua propria. In questo senso, dunque, Gentile si mostra, nelle glosse, alquanto diverso da come invece appariva e comunque cercava di apparire in pubblico. Ed anche un altro aspetto della polemica pubblica qui dileguava o perdeva molto del suo mordente specifico: laspetto che può individuarsi nell'insistenza con la quale egli aveva a più riprese osservato come gli riuscisse incomprensibile lostilità dichiarata al fascismo da uno scrittore che sempre si era distinto per il vigore dei suoi convincimenti antigiusnaturalistici, antidemocratici e antimassonici, e, d'altra parte, per lo schietto apprezzamento della «forza» teorizzata da Machiavelli e da Marx come lessenza stessa della storia politica e sociale 40 . Come poi Gentile potesse metter d'accordo queste due tesi - in forza delle quali Croce avrebbe dovuto dichiararsi fascista a) perché antidemocratico assertore della forza , e b) perché autentico liberale, non insensibile perciò alla lezione hegeliana e spaventiana dello «stato etico» che suppone bensì la 'forza ', ma, almeno a parole, come forza dello spirito - , è un altro discorso, che converrà, se mai, svolgere altrove . Ma, avesse o no torto nel ragionare così, è chiaro che queste tesi della sua polemica pubblica non si riflettono, o si riflettono in modo assai pallido, nella sua lettura privata. Ed ecco, dunque , che nella sua privata nota di lettura proprio il maggiore autore della tesi relativa al fascismo ante litteram di Benedetto Croce, negava questa tesi, o se ne dimenticava, o comunque non la confermava. Ecco altresì che proprio lui, Gentile, che per primo ° 4 Cfr ., essenzialmente, G ENTILE, Il liberalismo di Benedetto Croce (1925), in Che cosa è il fa scismo cit ., pp . 158-59. 586 GENNA RO SASSO l'aveva formulata, smentiva, suo malgrado, la verità della tesi che tanti pubblicisti fascisti allora sostenevano intorno al carattere (non antifascista) della relazione stabilita da Croce fra il consenso e la forza 41 . L'altra preoccupazione è meno ovvia, più interessante e meritevole perciò di attenzione. Se affrettata e, in ultima analisi, verbalistica si rivela la glossa nella quale Gentile obiettò che, in quanto «categoria», lo stato deve distinguersi dall'azione politica nella quale invece Croce pretendeva di risolverlo (e si dice affrettata e verbalistica, perché è fin troppo ovvio che qui egli aveva in mente un concetto della categoria che poco ha a che vedere con quello che, fin dai tempi della Filosofia della pratica, era stato elaborato), ben diversa penetrazione mostrano le altre. Senza coglierne il significato complessivo e senza svolgere l'analisi fino alle conseguenze estreme, Gentile aveva, nell'insieme messo l'occhio su un nesso essenziale di pensieri. È vero, infatti, che per Croce lo stato si risolve nella concretezza dell'azione politica, e che questa non potrebbe non esser sempre «individuale» senza perciò cessare di essere concreta. Ma è pur vero che lo stato è, per un verso un processo di azioni utili, e quindi una «relazione», mentre, per un altro, è azione individuale, ed è relazione solo per ciò che, senza bisogno di presupporre una pluralità di soggetti, racchiude nel suo orizzonte (materia e forma) il carattere della relazionalità. Si aggiunga che se l'azione individuale è colta una volta nel processo al quale appartiene, e un'altra nella relazione che stabilisce con la sua propria struttura di azione, è poi anche inevitabile che, in en41 Gli Elementi di politica ebbero, al loro apparire in volume (1925) , notevole fortuna di recensioni e di discussioni, la cui storia non è stata ancora ordinatamente raccontata (forse perché la qualità della maggior parte di quei contributi, assai scadente, ha avvilito l'estro degli studiosi di oggi!). Ad alcuni di quegli interventi (senza per altro nominarne gli autori) Croce replicò in una noterella, La politica dei non politici, «Critica », 23 (1925), pp . 190-92 (=Cultura e vita morale, pp. 289-92). Ma, per l'analogia dell'argomento, si veda anche Fissazione filosofica , già pubblicata nella « Stampa» del 16 luglio 1925, quindi nella «Critica », 23 (1925) , pp. 252-56 ( = Cultura e vita morale, pp. 293-300). Per l'indicazione di alcuni fra questi testi, cfr. CoLAPIETRA, Benedetto Croce, II , 521 sgg. GLOSSE MARG INA LI DI G. GEN TI LE A LIBR I D I B. CROCE 587 trambe le sue accezioni, essa si realizzi come azione individuale toccando altresl, in questo atto, il limite della sua trasfigurazione nella storia o, come nella Filosofia della pratica Croce aveva detto, nell'accadimento. E la storia diviene in tal modo il punto di vista veramente reale dal quale osservare le azioni politiche in cui lo stato, per la sua concretezza, si risolve: sl che - ed è l'ultimo corollario che, in questa sede, debba trarsi dall'analisi - quel punto di vista è storico non meno che etico, perché l'essenza della moralità consiste nel dare a ciascuno il suo, nel superare le opposte unilateralità, ossia la colpa che, per la loro angusta particolarità, gli uomini si pagano a vicenda nella concretezza del loro vivere e agire. In altre pagine, alle quali ci permettiamo di rinviare il lettore che di quelle lette fin qui non si fosse ancora stancato 42 , è stata nostra cura ricostruire nei particolari questa complessa vicenda di pensieri culminanti, attraverso tensioni e aporie, nell'anzidetta trasvalutazione dello stato in etica e in storia. E al riguardo non potrebbe dirsi che, nelle sue glosse, Gentile le cogliesse, quelle tensioni, le indicasse con esattezza, quelle aporie, e quindi assegnasse al tutto che ne consegue il suo autentico significato. Ma, parte per la via regia del suo ingegno critico, parte per quella stessa della passione polemica, dalla quale l'ingegno stesso era come acuito e, pur nell'inevitabile unilateralità, reso più penetrante, a lui riusd comunque di mettere in chiaro che il nodo del pensiero crociano era costituito non solo dalla vicenda delle due diverse «relazioni» che, senza riuscire mai a coincidere, si inseguono nelle pagine della Politica ' in nuce ', bensl anche da quel trasfigurarsi dello stato in etica e in storia che, comunque egli lo intendesse, è come il suggello di questa dottrina. Che poi, trascinato in basso dalla medesima passione che, in certi momenti aveva reso più penetrante il suo sguardo, egli quasi materializzasse i termini del discorso di Croce e, con evidente sofisma, osser42 Alludo al mio Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano, Napoli 1975, al quale mi permetto di rinviare per il chiarimento, o la miglior comprensione, di alcuni accenni contenuti in queste pagine, i quali forse risulteranno, presi a sé, troppo sommari . 588 GENNARO SASSO vasse che, se lo stato è una sintesi onnicomprensiva, non si vede come possano starne fuori, opponendoglisi, gli intellettuali del dubbio e del dissenso , è cosa che, psicologicamente, può comprendersi. Ma la circostanza non può far dimenticare che, con le inevitabili cadute, le sue glosse contengono, per alcuni aspetti, più verità di quanta sia data incontrarne in certi contributi di allora e anche di oggi, celebri nei rispettivi ambienti e cenacoli, e, non di meno, quanto angusti e meschini, se osservati con spregiudicatezza. Si vuol dire, con questo, che l'interpretazione di Gentile è l'unica che, nei suoi limiti possa considerarsi « vera»? Ma no, niente affatto, se ad essa sfugge, come si è detto , la sintesi, il luogo ideale in cui le tensioni e le aporie si annodano e fanno corpo e ritrovano il loro significato. Si vuol dire soltanto che essa contiene, impliciti, elementi che, meglio di altri, si rivelano idonei a far avvertire le tensioni e le difficoltà, e, attraverso questi, il senso complessivo della teorizzazione crociana. Ed anzi, non per dilettarsi con i paradossi, ma perché sembra che le cose stiano proprio così, potrebbe persino dirsi che le glosse scritte nei margini della Politica 'in nuce ', contengano spunti e intuizioni che lo stesso Gentile fu lungi dal saper riprendere nella recensione che di questa memoria crociana inserì, nel 1924, nel Giornale critico 43 . In effetti, se nel leggere e postillare gli Elementi di politica , Gentile era andato più volte vicino al punto in cui, come s'è detto, le sue difficoltà si annodano e fanno corpo, nello svolgere in positivo il tema dello «stato etico» il suo pensiero si impigliò invece in gravi incertezze 44 . Così, con gli occhi ben fermi su Hegel e su Croce, egli osservava che fuori della storia lo stato « non esi4> G . G ENTILE, Stato etico e statolatria , « Giorn . crit. filos . ital. », 5 (1 924), pp . 467-68. 44 GENTILE, Stato etico e statolatria , p. 468. La questione dell'eticità dello stato, in Gentile, richiede, a mio avviso, una trattazione attenta, e volta a metterne in chiaro i tempi e le fa si. Un testo molto importante è nella Prefa zione (1904) che egli scrisse per la ristampa dei Principi di etica di B. Spaventa (ora in Opere, Firenze 1971 , I, 603): « nell'idea dello spirito obbiettivo definire lo stato realizzazione (Wirk lichkeit) dell'idea morale, mi pare ben altra cosa che far dipendere la morale dallo stato; anzi importa fond are questo sulla morale, e non riconoscerne quindi il valore in un'istituzione che GLOSSE MARG INALI DI G. G ENTILE A LI BR I DI B. CROCE 589 ste» ed è un'astrazione; che nei rapporti internazionali, nella guerra e quindi nella storia c'è una vita etica che nello stato non può essere contenuta e compresa; che in esso si includono le opposizioni e la stessa rivoluzione: e vi si includono, parrebbe, non nel senso che ne sono negate e trascese e oltrepassate. Ma poi, curiosamente, pretendeva che, attraverso il suo stesso essere superato da questo empito di vita morale che non trova posto entro i suoi confini, attraverso le opposizioni e le rivoluzioni (che, dovrà ora intendersi, ne sono negate, trascese e oltrepassate), lo stato di continuo riaffermasse il suo carattere e la sua specifica natura. Un nodo di gravi difficoltà si era costituito alla radice del suo pensiero; e poiché a lui non riusciva di scioglierlo, ne nasceva il sofisma: se non il sofisma, l'ambiguità. Che, infatti, lo stato sia un'esistenza storica e, fuori della storia, un'astrazione, doveva certo esser cosa ovvia per lui, come per Croce e per tutti. Ma, come i testi di Hegel e di Croce imponevano che si dicesse, la questione era se lo stato racchiuda dentro di sé la storia, o ne sia invece racchiuso e dunque superato. E nonché risolverla, Gentile non riusciva forse nemmeno a vederla, la questione, nei suoi termini estremi. Come può comprendersi, solo che si spinga lo sguardo nella sua pretesa di considerare lo stato, da un lato come sempre superato dalla totalità della vita etica e, da un altro, invece, come sua adeguata espressione; da una lato come includente, e non oltrepassante, opposizioni e rivoluzioni, e da un altro come autentico signore e risolutore di esse. Se infatti, opposizioni e rivoluzioni, che, in quanto tali, si formano di necessità all'interno dei singoli stati storicamente «esistenti», sono intese come opposizioni e rivoluzioni reali, ossia, per toglier via ogni possibile equivoco, come opposizioni e rivoluzioni caratterizzate in senso empirico, esse procederanno sempre «contro lo stato», intraprenderanno con lui una lotta mortale, e o vinceranno o saranno vinte. E non realizzi l'idea morale»; e di qui forse occorrerà partire anche per far vedere come, agli inizi della sua meditazione politica, fosse l'eticità a costituire il criterio dell'eticità dello stato, che, in quanto tale, può esserne privo, e non è dunque necessariamente « etico ». 590 GENNARO SASSO allora non può dirsi, a rigore, che attraverso le opposizioni e le rivoluzioni che gli si formano dentro e che, in questo senso, esso include in sé, lo stato si realizzi e si affermi. Dovrà dirsi che vince o viene vinto, si riafferma o viene distrutto, e che, se questa è la sua vicenda necessaria, reali veramente sono la lotta e la mobile sintesi in cui, di volta in volta e non per sempre, esso si risolve. In questo senso, dunque, lo stato è «storico» perché il ritmo del suo vivere ed esistere lo spinge sempre oltre alla sua vita specifica; e non è, di conseguenza, la storia a culminare, con l'etica che è ad essa intrinseca, nello stato, ma è lo stato a culminare, con l'etica che è ad esso intrinseca, nella storia. Una soluzione, questa, che si ritrova, almeno in parte, in Hegel (dove, peraltro, ha la funzione di rendere estremamente problematica la concezione dello stato come «sostanza etica» realizzata), e certo si ritrova in Croce; una soluzione che anche in Gentile finisce per esser presente, senza che in una filosofia come la sua, che teorizza la coincidenza di stato, storia e moralità 45 , riesca tuttavia a trovare pieno e coerente diritto di cittadinanza. Il compito sarebbe troppo gravoso e, in questa sede, non eseguibile, se qui ed ora ci proponessimo di connettere queste glosse con le tesi di filosofia giuridica e politica che, fin dal 1916, Gentile aveva fissate in un corso pisano, che in quel medesimo anno prese la forma dei Fondamenti della filosofia del diritto; e quindi, d'altra parte, con gli svolgimenti che, variamente premuto dai tempi, egli aggiunse ad esse negli anni successivi. Sarebbe infatti fuori di luogo, anche se assai interessante nella giusta sede, scrutare con attenzione il punto critico in cui l'universalizzazione del volere tende a trapassare nel concetto, che a rigore Gentile teorizzò molti anni più tardi, dello stato etico. E altresì sarebbe interessante venir mostrando alla radice del suo pensiero politico quella che 45 Questa identità si trova affermata, ma in un contes to teorico molto sommario e di debole rigore, nel saggio gentiliano su Lo Stato (1931) , nato come comunicazione da leggere, con il diverso titolo Il concetto hegeliano dello Stato , nel convegno hegeliano di Berlino dell 'ottobre 1931: « ... storia universale e stato coincidono» (G . GENTILE, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze 1961 , p. 117). G LOSSE MARG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 591 forse potrebbe chiamarsi la continua tentazione dell'estremo individualismo, se non addirittura, in certe articolazioni, del!' anarchia. Ma questo è, come si diceva, argomento di altra indagine; e qui converrà passare alle glosse che Gentile segnò sui margini degli Aspetti morali della vita politica , un volumetto uscito nel 1928, e che può considerarsi il seguito di quello del 1925, sulla politica e sullo stato. AMVP 8 4 6 Ma la concezione liberale, propriamente detta è rimasta fuori del quadro sopra tracciato . Perché? Perché, in verità, questa concezione è metapolitica, supera la teoria formale della politica e, in certo senso, anche quella formale dell'etica, e coincide con una concezione totale del mondo e della realtà. una concezione metapolitica non può dar luogo a norme, criteri, atteggiamenti, programmi e partiti sul terreno pratico. AMVP 9 Non è già, la concezione autoritaria, una concezione sic et simpliciter, immorale, ma di altra e inferiore morale, sorgente sopra altri e inferiori presupposti teoretici, e, come tale , vede la sua diretta nemica nella concezione liberale, contro cui (senza parlare degli espressi e solenni cartelli di guerra o 'sillabi') è sempre convulsa di odio e di paura ... Anche questa concezione aut[orita]ria è metapolitica? Gentile a fondo pagina: Dunque, il liberale non può accedere alla tesi della nota V. Quella concezione di Stato e Chiesa è dualistica, quindi autoritaria 47 . 46 Si tratta del primo saggio della raccolta, Il presupposto filo sofic o della concezione liberale, già pubblicato negli « Atti Ace. Scienze mor. e poi. della Società reale di Napoli », 50 (1927) , pp. 289-98, e quindi, definitivamente, in Etica e politica , Bari 1931 , pp . 135-41. 47 Gentile allude qui al saggio Stato e Chiesa in senso ideale e loro perpetua lotta nella storia , pubblicato, con diverso titolo, negli « Atti Ace. 592 GENNARO SASSO AMVP 26 4 8 Orbene, l'impotenza di esso [dell'ideale imperialistico e nazionalistico] si fa palese nella contradizione stridente in cui si mette con la coscienza morale, che vi ripugna senza remissione, sentendo quanto trista immagine della vita umana gli stia dietro come presupposto e dinanzi come annunzio, quale vile figura dell'uomo, condannato a fare schiavi e a farsi schiavo, a morire e a dar morte, sterilmente, con la sola promessa beatitudine del ghigno feroce onde si allieterà il provvisorio conculcatore di classi e di popoli, o l'altra, poco diversa, di qualche artistica voluttà neroniana. Che se, per difenderla, si venga comunque temperando e correggendo questa ideologia, e mettendola in rapporto con la coscienza morale, come lotta che non sia chiusa in sé stessa e sterile, ma abbia a suo fine la sempre maggiore elevazione morale dell'uomo, e l'eroe vi faccia da demiurgo del bene [... ], si è ricondotti a poco a poco al concetto della lotta per la libertà, la quale implica i contrasti e le antitesi .. . ? e allora? Se la lotta per la libertà può farsi anche per mezzo di questo demiurgo del bene, anche l'autoritario è liberale. AMVP 32 Non c'era, dunque, da stupire che la lotta continuasse o diventasse più aspra, che sorgessero difficoltà non prima sperimentate o non sperimentate in quella estensione o grado, che illusioni dovessero essere dissipate, generalizzazioni rivedute e corrette, e la mitologia sostituita dalla critica. Il liberalismo perciò che non ammette la Realpolitik e tutto il resto di p. 33 è ' mitologia '! Alla buon' ora! Scienze Napoli», 51 (1928), pp . 135-41, nella «Critica», 26 (1928), pp. 182-86, e quindi, definitivamente, in Etica e politica, pp. 339-44. 48 È un passo tratto dal secondo saggio della raccolta, Contrasti d'ideali politici dopo il 1870, che già costitul il I dei « Quaderni critici » del Petrini (per altre edizioni, dr. BORSARI , L'opera di Benedetto Croce, p. 247) . 593 GLOSSE MARGIN ALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE AMVP 42 4 9 La difficoltà si scioglie col riconoscere il primato non all'economico liberismo ma ali' etico liberalismo, e col trattare i problemi economici della vita sociale sempre in rapporto a questo. Il quale aborre dalla regolamentazione autoritaria dell'opera economica in quanto la considera mortificazione delle facoltà inventive dell'uomo, e perciò ostacolo ali' accrescimento dei beni o della ricchezza che si dica; e in ciò si muove nella stessa linea del liberismo, com'è naturale, posta la comune radice ideale. Ma non può accettare che beni siano soltanto quelli che soddisfano il libito individuale, e ricchezza solo I' accumulamento dei mezzi a tal fine; e, più esattamente, non può accettare addirittura, dal suo punto di vista, che questi sieno beni e ricchezza, se tutti non si piegano a strumenti di elevazione umana. AMVP 43 Del resto, quel che noi procuriamo di presentare in chiari termini critici si può dire riconosciuto dagli stessi economisti, sia pure in forma poco critica e poco rigorosa, i quali [ ... ] hanno sempre ammesso che il principio del 'lasciar fare e lasciar passare' sia una massima empirica, e non si possa prenderlo in modo assoluto e bisogni limitarlo. Senonché il limite è qui inteso come qualcosa di posto ab extra, e, come tale, contradittorio al concetto che si vuol così limitare; onde o il concetto stesso ne esce distrutto o il limite viene rigettato. dunque = liberalismo individualismo. Il bene economico è strumento di elevazione spirituale. Dunque economia è natualismo, non può sorgere sul te"eno dello spirito. Questo limite è lo Stato? Lo Stato, allora, è il moralmente buono? Stato etico? AMVP 44 Passando a considerare in concreto, la disputa ridiventa quella circa il carattere di un 49 Il passo è tratto da Liberismo e liberalismo , poi ristampato in Etica e politica, pp. 316-20 (per altre indicazioni, BORSARI, op. cit. , p. 253) . 594 GENNARO SASSO dato provvedimento, se sia liberale o illiberale , moralmente buono o cattivo. liberale buono = moralmente Gentile a fondo pagina 45 : Se il liberalismo corregge il liberismo vuol dire che questo è falso . Ma un liberalismo senza liberismo, un liberismo della libertà più grande contro la libertà più piccola è più liberalismo (individualismo)? AMVP 68 50 La politica [secondo il Kay Wallace] tramonterebbe, perché le potenze del mondo sono ora gli industriali e gli operai, e la plutocrazia e il proletariato, mentre il ' ceto medio' o la borghesia, che era quella che pensava e faceva politica, è via via più schiacciato tra le due enormi forze antagonistiche, e il mondo moderno non si muove più secondo la politica ma secondo l'economia. Ora, come si può pensare che tramonti mai una categoria spirituale essenziale dell'umanità? Pel K. W . non sarebbe una categoria. AMVP 79 5 1 Se si desidera qualche punto di meditazione per intendere quella che si chiama natura utilitaria o economico-politica dello Stato, si consideri, per esempio, che laddove l'uomo morale , ha, in dati casi, il dovere e il diritto di sacrificare la sua vita, lo Stato è di qua da questo dovere e da questo diritto . che cosa è !' economico-politico? AMVP 83 Dall'esatta determinazione di questo rapporto fra politica e etica, mal determinato o 50 È un luogo del saggio Di un equivoco concetto storico: la « borghesia », poi raccolto in Etica e politica , pp . 321-3 8 (BORSARI , p . 254). 51 Da Giustizia internazionale, ora in Etica e politica, pp. 345-49 (BORSARI, Bibl., p. 250). 595 G LOSSE MARG INA LI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE stortamente presentato dai moralisti della politica (come, nel caso analogo, dai domandatori di poesia direttamente filosofica, che non sarebbe poesia ma polemica o didascalica), si ricava la pratica conseguenza che dagli Stati e dagli uomini politici non basta invocare opere di pregio morale a pro dell'intero genere umano [.. .], ma bisogna aiutarli all'uopo e venir loro incontro con le effettive modificazioni indotte nelle menti e negli animi .. . Il AMVP 83 Se diventasse più generale che non sia il rispetto per la verità ideale e storica, per la vita teoretica che è una in tutto il genere umano, più generale il discernimento e l'abito riflessivo e critico; come si potrebbe, innanzi al saldo muro opposto da questa energia spirituale, non fare una politica diversa da quella che si fa col fabbricare quotidianamente il falso, eccitare le immaginazioni, stordire con le vuote parole? Il ? AMVP 84 La negazione del carattere etico dello Stato in quanto tale ha, dunque, tra gli altri suoi motivi, anche questo : di togliere ai facili moralisti l'alibi ch'essi si procacciano quando si danno a chiedere agli Stati di cangiare la propria natura ed esercitare la moralità, invece di attendere da parte loro al grave dovere di promuovere nel mondo la coscienza e il costume morale , affinché gli Stati se li trovino di fronte da ogni banda, e senza cangiare la loro peculiare natura, concorrano a servirli. Gentile a fondo pagina: Servire la coscienza morale? È possibile a chi non sia per sua natura morale? La conclusione contraddice a tutta la tesi di questa nota. 596 GENNA RO SASSO Su quest'ultima annotazione, che ha senza dubbio il suo peso critico e in ogni caso rivela la vigile attenzione con cui il Gentile leggeva le pagine del suo amico-nemico, occorre tuttavia fermarsi brevemente per una precisazione preliminare . Certo, se Croce avesse detto che, trovandosi di fronte coloro che dedicano la loro vita al concreto innalzamento della coscienza e del costume morali, gli stati collaborano con costoro ed anch'essi, dunque, «servono» a quella coscienza e a quel costume, l'obiezione gentiliana coglierebbe nel segno, perché non può esser servitore della moralità chi, per suo conto, non abbia natura morale. Ma pur ammettendo che il periodo scritto da Croce a conclusione di quel saggio (che s'intitola alla Giustizia internazionale) non sia fra i più limpidi e perspicui che uscissero dalla sua penna, e concedendo altresì le molte difficoltà che la sua aspra concezione della politica incontrò nel suo svolgimento, e nell'approfondimento del suo rapporto con l'etica, - è ben possibile ammettere che il senso complessivo di quel passo sia diverso , ossia più complesso e articolato, di quanto, nella foga della polemica, a Gentile non apparisse. È vero infatti, senza dubbio, che, premuti e quasi sfidati da coloro che, senza nutrire illusioni sulla loro natura specifica, si battono per innalzare le coscienze e i costumi, gli stati vengono anch'essi colti nell'atto di servire a quelle coscienze e a quei costumi. Ma vero è anche che, come Croce esplicitamente dice, in quel «servire» essi non rinnegano la loro natura specifica; e se dunque servono la causa della moralità senza propriamente entrare nel suo regno e mutare con ciò il loro carattere, non dovrà intendersi che quel loro «servire» sia qualcosa di indiretto, consistente nell'ostacolo, e nella materia, che in qualche modo offrono ali' attività universalizzante dell'etica? Interpretazione, anche questa, plausibile, una volta che sia prospettata in riferimento, se non a questo specifico testo crociano (che infatti rimane incerto, e nemmeno così mostra di poter risolvere la sua ambiguità), almeno al senso complessivo della «filosofia dello spirito» . Interpretazione che, senza dubbio, potrebbe dar luogo a interessanti svolgimenti se, come qui non si può, venisse posta a confronto con la «totalità» delle tesi crociane, di filosofia politica e di filosofia senz'altro, ma che, in ogni caso, vale a ri- GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE 597 durre di molto il peso del rilievo gentiliano (del quale non si saprebbe, tuttavia, disconoscere il valore di stimolo e di suggerimento che, invece, gli è implicito) . Per il resto, chi abbia seguito il commento che qui su è stato dedicato alle glosse scritte in margine alla Politica ' in nuce ', non ne richiederà, per queste ultime, uno altrettanto diffuso. E basti quindi osservare con quanta cura, e, d 'altra parte, con che scarsa forza di convinzione, nelle pagine crociane Gentile tentasse di ritrovare la giustificazione del suo diverso pensiero e delle sue· diverse scelte pratiche. Così, per un verso, egli si compiace di sottolineare che «se la lotta per la libertà può farsi anche per mezzo di questo demiurgo del bene, anche l'autoritarismo è liberale», o di ironizzare sul liberalismo, che sarebbe pura mitologia se non accogliesse la dura lezione della Realpolitik; e in questo senso, la tendenza a fare del fascismo il vero liberalismo e comunque a considerarlo non sul serio distinguibile da quello, anche in queste glosse si riafferma. Nelle quali, per un altro verso, altrettanto chiara è l'insistenza sugli aspetti deteriormente «individualistici» della concezione liberale, sulla contraddittorietà intrinseca alla distinzione che, per altro, non può essere analizzata in questa sede: dove , se mai, più interesserà osservare come quella notazione relativa alla teoria «metapolitica» della libertà, che non può stabilire norme, leggi e criteri di azione, torni più volte nelle polemiche che nel corso degli anni si svolsero intorno a questi aspetti del pensiero di Croce . E basti pensare agli scritti non solo di Luigi Einaudi 52 , ma anche di Guido Calogero e di Norberto Bobbio 53 . Ebbene, che altro aggiungere a queste rapide annotazioni? Lo scopo di queste pagine è bensì di commentare ma, sopratutto, di pubblicare le glosse di Gentile. E poiché altro ancora rimane da far conoscere al lettore, passiamo agli ultimi tre libri che egli lesse «con la matita»: la raccolta Eternità e 52 L. EINAUDI , Il buongovenzo , Bari 1953 , pp. 254 sgg. G . CALOGERO, Difesa del liberalsocialismo , Roma 1945 , pp. 32 sgg., passim ; N . BOBBIO, Politica e cultura, Torino 1955 , pp. 263-64. 5> 598 GENN ARO SASSO storicità della filosofia (che, corrispondendo con qualche variante all'ultima sezione degli Ultimi saggi, apparve dapprima, nel 1930, nel ventunesimo dei «Quaderni critici» che Domenico Petrini stampava a Rieti), gli Ultimi saggi (1935), e, infine, La storia come pensiero e come azione (1938) . ESF 64 54 Per uscire da questo intrigo, e per giustificare il nostro giudizio che il criterio hegeliano, nonostante il mal passo al quale fu condotto dallo Hegel e dai suoi scolari, è un ritrovamento geniale, conviene negare che la storia della filosofia, cioè del pensiero umano, consista in una serie di sistemi, ciascuno retto da un proprio principio, ossia da un'eterna categoria; e sostituire a questa l'altra concezione che la storia del pensiero è la storia di singoli problemi, solo a un dipresso sistemati da ciascun pensatore, e anzi variamente sistemati da un medesimo pensatore nel corso del suo svolgimento mentale . dunque c'è una sistemazione! E il farla a un dipresso è giudizio che suppone una sistemazione che non sia a un dipresso . ESF 70 55 Sì, queste e altre cose noi sappiamo, che i vecchi pensatori, vindici della individualità contro lastratto universale non sapevano e non vedevano, e noi stessi in un primo tempo non vedevamo, e non c'importava vedere, perché à chaque ;our su/lit sa peine. v. Estetica. ESF 71 E troppe volte vediamo che i predicatori dell'universale concreto ricascano in quello 54 Si tratta di un breve saggio, scritto come recensione di B. HEIMANN, System und Methode in Hegels Philosophie, Leipzig 1927, che fu ristampato in Conversazioni critiche, Bari 1932 , IV, 48-51. 55 Parole tratte dal saggio, Sul concetto d'individualità nella storia della filosofia , ristampato fra gli Ultimi saggi, Bari 1948 2 , pp. 368-72. 599 GLOSSE MARGINALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE astratto, gli assertori della dialettica nella statica identità: come quando, nella teoria del1' arte, seguitano a trattare l'arte quasi filosofia sensibile e immaginosa e a risolverla nella filosofia al pari di una qualsiasi philosophia inferior, o, nella teoria dello Stato, schiacciano sotto il cosiddetto Stato e la cosiddetta autorità l'individualità e la libertà. E dal/i! ESF 82 56 Né la cosa andava molto diversamente nelle aule universitarie, perché, fatta eccezione di taluno rispettato per il suo ' passato patriottico' o per l'austerità presente della vita, i professori di filosofia erano i meno stimati dai loro colleghi di facoltà, considerati estranei a tutte le questioni concrete di cui essi si occupavano, e peggio che estranei quando vi mettevano bocca, perché allora si scoprivano o semplici o ignari o sconclusionati. No, non chiacchiericcio sciocco. Si ricordi Fiorentino, Tocco, Cantoni. Al di là dell'espressione di sentimenti polemici resisi ormai quasi cronici, queste glosse toccano punti, per la filosofia dello spirito come per quella dell'atto puro (il rapporto fra «sistema» e «sistemazione», in Croce, quello fra l'unità e la molteplicità dei problemi filosofici, in Gentile), molto importanti. Ma, alla data in cui furono scritte, rinviano piuttosto ad un corpo consolidato di teorie, che non al progetto di teorie da costruire. E perciò converrà passare agli Ultimi saggi. us 52 57 Quel che, togliendo la base stessa a coteste costruzioni, dà altro indirizzo al problema 56 Il passo è tratto dalla nota su Il Filosofo, ora m Ultimi saggi, pp. 386-90. 57 Questo e i successivi passi crociani fanno parte del saggio, Le due scienze mondane: l'estetica e l'economia , in Ultimi saggi, pp. 43-58 . 600 GENN ARO SASSO della natura, è la considerazione gnoseologica onde ci si è a poco a poco avveduti che non sussistono già due ordini di realtà o due mondi, l'uno spirituale e l'altro naturale o materiale, l'uno governato dalla finalità, l'altro meccanico, ma che l'unica compatta inscindibile realtà può essere a volte elaborata secondo i concetti di spirito, vita, fine, e secondo quelli di materia, causa e meccanismo. Il us 52-53 Per uscire da questa stretta, non c'è altra via che riporre e riconoscere in uno solo di quei due modi il genuino pensiero e la verità, e attribuire all'altro un ufficio meramente pratico e strumentale o 'economico ' , com'è stato chiamato. us Il 53-54 E poiché tale esso [l'oggetto] è [ossia 'il fantasma ritornante' dell'inconscio , della natura, della materia] , tutti gli sforzi che si adoperano per riassorbirlo sono altrettanto vani quanto quelli delle vecchie filosofie della natura, e riescono a tautologie e a bisticci, come quando s'insiste sulla dualità che è unità del rapporto di soggetto-oggetto, e si riecheggiano i termini del problema senza risolverlo, o si cerca di escamoter l'oggetto, facendolo scomparire e poi ricomparire come il fatto di fronte all'atto, e cioè come natura di fronte a spirito, o come il passato di fronte al presente, e con altrettali giochetti di sublime metafisica. us 55 Il pensiero, anche quando pensa e critica gli altrui pensieri e ne svolge la storia, non pensa il pensiero ma la vita pratica del pensiero, perché il pensiero è sempre il soggetto che pensa e non mai l'oggetto pensato. Bisogna pire' prima ca- 601 GLOSSE MARG INALI DI G. GENT IL E A LIBRI DI B. CROCE L'unica glossa 58 che, al di là dei pochi segni materiali qui riprodotti, possa leggersi in margine al saggio crociano su Le due scienze mondane, riguarda bensì un punto di grande importanza ma, avendo tono di semplice ritorsione polemica, rinvia in effetti a quel motivo della incomprensione, da parte dei critici, dei princìpi fondamentali dell'attualismo, che risuona più volte negli scritti di Gentile, e sopra tutto in quelli successivi alla composizione del secondo volume del Sistema di logica (1923) e, quindi, de La filosofia dell'arte (1931). Non ha quindi particolare importanza. E ben diversamente interessanti risultano perciò le glosse, molto polemiche e discretamente folte, che Gentile dedicò al libro su La storia . SPA VII Conforme a questa origine, il volume si compone di una serie di saggi, che hanno un'implicita unità nel pensiero che tutti li regge e ai quali ho procurato di dare un'unità anche esplicita col primo, che può servire da introduzione. SPA 14 Il giudizio, nel pensare un fatto , lo pensa quale esso è, e non già come sarebbe se non fosse quello che è: lo pensa, come si diceva nella vecchia terminologia logica, secondo il principio d 'identità e contradizione, e perciò logicamente necessario. Logo astratto' SPA 19 Se il giudizio è rapporto di soggetto e predicato, il soggetto, ossia il fatto , quale che 58 Va tuttavia rilevato che annotazioni gentiliane si trovano in margine al saggio Antistoricismo, « Critica», 28 (1930) , pp . 406 e 407 . A p. 406 : «origine del fascismo dalla guerra! ». A pp. 406-407, in margine al passo che comincia: « quanto si consideri non solo che nella guerra, etc .», l'annotazione è: « elogio della guerra' »; e se, a proposito della prima, può forse intendersi che fosse diretta a criticare l'idea che fosse nato dalla guerra il fascismo che Gentile invece considerava come il frutto maturo del Risorgimento, capire il senso della seconda è proprio impossibile perché non c'è, nella pagina crociana, una sola parola che possa essere interpretata come « elogio della guerra». 602 GENN ARO SASSO esso sia, che si giudica, è sempre un fatto storico, un diveniente, un processo in corso, perché i fatti immobili non si trovano né si concepiscono nel mondo della realtà. Un. fatto non è diveniente. SPA 21-22 Ma il pensiero storico ha giocato a questa rispettabile filosofia trascendente un cattivo tiro, come alla sua sorella, la trascendente religione, di cui essa è la forma ragionata e teologica: il tiro di storicizzarla, interpretando tutti i suoi concetti e le sue dottrine e le sue dispute e le sue stesse sfiduciate rinunzie scettiche come fatti storici e storiche affermazioni ... Scetticismo, che è per altro una filosofia anch'essa soprastorica. SPA 23 Stavo per dire, cogliendo un esempio sul vivo, che anche le dilucidazioni metodologiche, che qui vengo dando, non sono veramente intelligibili se non col rendere mentalmente esplicito il riferimento (di solito da me dato in modo soltanto implicito) alle condizioni politiche, morali ed intellettuali dei giorni nostri, delle quali concorrono a dare la descrizione e il giudizio. Il che non vuol dire che debbano esser veri per oggi e per sempre. SPA 23 Sono essi [i professori di filosofia] i naturali conservatori della filosofia trascendente, a segno che anche quando professano a parole l'unità della filosofia e della storia, la smentiscono col fatto, o tutt'al più discendono di tanto in tanto dal loro sopramondo per pronunziare qualche vieta generalità o qualche falsità storica. E l'Estetica? E la Filos. d. pratica? e le ' eterne categorie ' di cui si parla qui appresso (p. 29)? SPA 24-25 Né le categorie cangiano e neppure di quel cangiamento che si chiama arricchi- Dualismo e meta/isica. 603 G LOSSE MARG INALI DI G. G E NTILE A LIBRI DI B. CROCE mento, essendo esse le operatrici dei cangiamenti : ché, se il principio del cangiamento cangiasse esso stesso, il moto si arresterebbe . Quelli che cangiano e si arricchiscono sono non le eterne categorie, ma i nostri concetti delle categorie, che includono in sé via via tutte le nuove esperienze mentali, per modo che il nostro concetto, dell'atto logico, è di gran lunga più ammaliziato e più armato che non fosse quello di Socrate o di Aristotele ... SPA 25-26 Per accennare a tempi recenti, in Germania, nell'ottocento, a consimile rimedio ricorse il rigido pedagogista Herbart contro le perversioni della dialettica e dello storicismo in parte nello stesso Hegel, ma più ancora nella scuola hegeliana, che sembravano insidiare non meno la serietà della vita morale che quella della vita scientifica ... Herbartismo. SPA 27 Poiché si è stranamente pensato che bisognasse andar soffiando su tutti i lumi per assicurare interezza e purezza all'immanenza, quasi che la sua degna sede sia il ' regnum tenebrarum ', non fa meraviglia che sia stata combattuta, e in immaginazione abbattuta, anch~ la distinzione primigenia e fondamentale, che il senso comune dell'umanità ha sempre posta e osservata e le filosofie hanno rispettata: quella del conoscere e del volere, del pensiero e dell'azione . Ignora l'A. la distinzione di logo astratto e l[ogo] concreto che spiega l' oggettività e necessità del vero di fronte alt'azione (al soggetto) senza i misteri delle 4 parole. Altro che lumi spenti' SPA 27 L'argomento che in ciò si adopera si riconduce al fonte di ogni sofisma, che è nel prendere uno stesso termine in due accezioni diverse, e dimostrata l'una delle due accezioni, far passare come dimostrata l'altra e viceversa. l'A. pare si dimentichi di dirci quali sarebbero le due accezioni diverse. 604 GENNA RO SASSO SPA 29 Basta guardarsi intorno e porgere ascolto alle voci che si levano dai circoli intellettuali e artistici, religiosi e politici, e insomma da ogni parte della società, per trovarsi dinanzi le manifestazioni dell'indifferenza e dell'irriverenza per la carità e la verità, e l'attivismo privo di ideale, e tuttavia irruente e prepotente. E se in alcuni casi si tratta veramente di mediocre letteratura che non mena a conseguenze, in altri molti si osserva con quanta facilità gli assertori della statica identità del conoscere con l' operare, che hanno mortificato in sé stessi la vigile forza della interiore distinzione e chiarezza, passino, nella vita pubblica, alla sofistica e alla rettorica in rispondenza dei propri comodi, ingrossando le fila di quei 'clercs' traditori, contro i quali uno scrittore francese , or è qualche anno, sentì il bisogno di stendere uno speciale atto cl' accusa. La cattiva teoria e la cattiva coscienza si originano l'una dall'altra, si appoggiano l'una all'altra e cascano, infine, l'una sul1' altra. contro il fascismo' non è vero! SPA 30 Più strano è vedere come, invece di far oggetto di accurata e profonda analisi le malsanie sociali della specie di quella ora accennata [ ... ], si prenda ad accusare il pensiero storico o lo 'storicismo', reo (si dice) di generare quelle malsanie col promuovere il fatalismo, dissolvere i valori assoluti, santificare il passato, accettare la brutalità del fatto in quanto fatto , plaudire alla violenza, comandare il quietismo, e, insomma, di togliere impeto e fiducia alle forze creatrici [ ... ]. Ma tutte queste cose hanno già i propri loro nomi nel mondo morale, chiamandosi fiacchezza cl' animo, disgregamento volitivo, difetto di senso morale, superstizione del passato, sospettoso conservatorismo, viltà che cerca pretesti a sé medesima ... Ma che abbiano nomi propri non toglie che siano tutti forme di storicismo . 605 GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B CROCE SPA 37 Sono queste le sfere del fare, dell'attività umana, a cui rispondono le forme fondamentali ed originali della storiografia: politica o economica; della civiltà, o dell'ethos o della religione che si chiami; dell'arte ; e del pensiero o filosofia . E benché una sorta di diffidenza si soglia manifestare verso la discriminazione di queste quattro forme della storia, esse non sono state già ritrovate e distinte da un singolo filosofo, per quanto abbia potuto ragionarvi intorno e meglio formularne la distinzione, ma dalla coscienza del genere umano ... Sforzo di ridurre a quattro le forme che non si crede di poter contestare per cui a un tratto si fa ethos = religione. SPA 38 Rispondere che le categorie sono innumerevoli e infinite quanto le particolari azioni e giudizi è (come si è veduto) non un rispondere filosofico, ma una rinunzia al giudicare, che è pensare, e una rinunzia al fare, che è sempre un fare specificato qualitativamente . Affermazione traria SPA 38 Comunque, quali che siano queste sfere di attività, il principio che tutte le anima è la libertà, sinonimo dell'attività o spiritualità, che non sarebbe tale se non fosse perpetua creazione di vita. Un creare sforzato, un creare meccanico, un creare a comando e vincolato nessuno ha mai sperimentato, né riesce a concepirlo in idea; e, in effetti, è un nesso di vocaboli che non dà senso. SPA 38 Di decadenza si può bensl parlare, ma per l'appunto in riferenza a certe guise di opere e di ideali che ci sono cari (e troppe volte si dà così la stura agli insipidi piagnistei Hegel arbi- 606 GENNARO SASSO del 'peior avis ', del 'nequior' e del 'vitiosior '); ma in senso assoluto, e in istoria, non c'è mai decadenza che non sia insieme formazione o preparazione di nuova vita e, pertanto, progresso. e allora? SPA 40 La più importante di coteste combinazioni [fra concetto del progresso e concetto di uno stato terminale e paradisiaco della realtà], culmine di moltissime altre dello stesso genere, si ritrova in una filosofia che ha più di ogni altra conferito a interpretare la realtà come storicità, e la vita come sintesi di opposti, e l'essere come divenire, la filosofia hegeliana .. . Falso' SPA 43 E che cosa mai aggiunge a queste opere belle, vere e variamente utili la moralità? Si dirà : le loro opere buone. Ma le opere buone , in concreto, non possono essere se non opere di bellezza, di verità, di utilità. E la moralità stessa, per attuarsi praticamente, si fa passione e volontà e utilità, e pensa col filosofo , e plasma con lartista, e lavora con I' agricoltore e con l'operaio, e genera figli e esercita politica e guerra, e adopera il braccio e la spada. Dunque le sono tre? form e SPA 43 La moralità è nient'altro che la lotta contro il male; ché se il male non fosse, la morale non troverebbe luogo alcuno . E il male è la continua insidia all'unità della vita, e con essa alla libertà spirituale: come il bene è il continuo ristabilimento e assicuramento dell'unità, e perciò della libertà. SPA 44 Domandarsi perché mai il processo proceda cosl, o pensare che possa procedere al- Verba nihil. praetereaque 607 G LOSSE MARG INALI DI G . GEN TIL E A LIBRI DI B. CROCE trimenti senza lotta, senza passaggi faticosi, senza pericoli, senza arresti, senza pencolare verso il male né impigliarvisi, non ha senso, come non ha senso domandarsi perché il 'sì' abbia per correlativo il 'no', e almanaccare di un puro ' sì' scevro di 'no', o di una vita che non contenga in sé la morte e non debba sorpassare ad ogni istante la morte . non c'è mai perché. SPA 44 Ora, l'azione che mantiene nei loro confini le singole attività, che tutte le eccita ad adempiere unicamente il loro proprio ufficio, che si oppone in tal modo al disgregamento dell'unità spirituale, che garantisce la libertà, è quella che fronteggia e combatte il male in tutte le sue forme e gradazioni, e che si chiama l'attività morale. SPA 45 E un altro punto si rischiara: perché mai tra le forme della storiografia si sia sempre mirato ad una che è parsa la storia per eccellenza, una storia sopra le storie; e, considerando storie speciali quelle dell'arte, della filosofia e della varia attività economica, si sia additata questa come la vera e propria storia, la storia sopra le storie, quella dello Stato intesa come stato etico e regola della vita, e quella della Civiltà, che meno imperfettamente designa la vita morale, traendola fuori dall'angustia politica del concetto di stato. !'A . si è accorto intanto che la teoria della 4 • forma o grado, che era nella Filos. d. pratica, non regge: perché quell'universale che lì era !'oggetto del volere morale ha inghiottito ogni particolare. Come se ci fosse civiltà senza stato. Nell'ultima pagina, non numerata, di questo libro crociano, Gentile annotava: «storie razzistiche 12. Le 4 forme ridotte a 3: p. 43 ». Erano temi sui quali, evidentemente, pensava di dover tornare con maggiore attenzione . Se il motivo del razzismo bruciava nell'animo dell'uomo che, forse, stava osservando con intimo sgomento l'estrema degenerazione a cui, proprio in quel giro di mesi, il fascismo condan- 608 GENNARO SAS SO nava sé stesso, l'altro motivo, quello della quadripartizione dello spirito, attirava di nuovo il suo vivo interesse di vecchio lettore e interprete della filosofia di Benedetto Croce . Ma, nell'insieme, che cosa dire di queste glosse gentiliane? Anche qui, certo, come il libro di Croce è, nella sua prima parte, il più duramente polemico che, senza mai nominarla, egli dirigesse contro la filosofia del suo antico collaboratore, cosl altrettanto dura e veemente è la reazione di Gentile; e sebbene, come si diceva, le sue glosse siano interessanti e vivaci 59 , pure è un fatto che ormai la polemica che da anni quasi quotidianamente li impegnava trovava difficoltà evidenti a scendere con cura alla radice delle rispettive «ragioni», e si svolgeva invece, violenta e sprezzante, attraverso il gioco delle ritorsioni e delle contrapposizioni. Ecco, cosl, Gentile fermarsi su un periodo crociano nel quale è detto che un «fatto» è un processo storico (e dunque non è, ma diviene), e obiettare che un fatto, non diviene, e che ad esso unicamente adeguata è la logica del «logo astratto». In margine alla p. 14 del libro su La storia, Gentile aveva annotato, con enfasi, «Logo astrat59 Nascono di qui, o anche di qui, sia il saggio su La distinzione crociana di azione e pensiero, «Giorn. crit. fil. ital.», 22 (1941), pp. 274-78, sia l'altro, Storicismo e storicismo, «Annali Se. Nor. Sup. Pisa», 11 (1942), pp. 1-7 (poi in Introduzione alla filosofia, Firenze 1958 2 , pp. 259-70). Ma val la pena di aggiungere che (come ricordò CALOGERO, Ricordi del movimento libera/socialista, in Difesa del liberalsocialismo cit. , pp. 192-94) assai notevole era, intorno al 1940, la diffusione delle idee crociane nell'ambiente della Scuola Normale Superiore di Pisa , di cui Gentile era direttore. Ed anche questa sarà stata una delle ragioni che indussero Gentile a intervenire pubblicamente contro l'ultimo libro filosofico di Croce (dr., per es ., CALOGERO, Ricordi , p. 193: «c'è stato tutto un periodo in cui Croce è stato il livre de chevet, la lettura segreta della migliore gioventù italiana. Quel fascino che in altri tempi poteva avere un romanzo proibito, allora ebbero i pesanti volumi laterziani di Croce . Per loro conto, molti professori facevano quanto più potevano, per destare e rafforzare nei giovani il gusto di tali letture. Si arrivò al paradosso che in quella stessa che doveva essere la roccaforte dello spirito gentiliano, la Scuola Normale Superiore di Pisa, lo studio del Croce era così intenso e diffuso che Gentile, non avendo né il coraggio di proibirlo né quello di permetterlo , ricorse una volta al ripiego di togliere a un professore l'incarico di ' Esercitazioni di storia della filosofia ' e di sostituirlo con quello di 'Esercitazioni di storia della filosofia antica ', per impedirgli di svolgere tali esercitazioni su testi crociani») . GLOSSE MA RG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 609 to! », intendendo con questo che se la necessità storica dev' essere intesa come sempre identica e in sé stessa non contraddittoria, allora la sua corretta trattazione non potrà esser data nella logica del concreto, o del pensiero pensante, ma in quella, invece, dell'astratto, o del pensiero pensato. E cosl aveva anticipato, o ribadito, la sua critica dello storicismo crociano come filosofia, nel suo fondo, intellettualistica e «naturalistica» . Ma nella glossa che stiamo esaminando, senza richiamare la precedente definizione del « fatto» in termini di identità e non contraddizione (e senza soffermarsi sulla difficoltà complessiva che ne risulta) , egli si limitò a scrivere quel che si è letto. E il suo giudizio assunse perciò la forma dell'estrema semplificazione . Una semplificazione, non un giudizio: alla quale sarebbe stato facile replicare che al «fatto», quale l'intende la logica dell'astratto, anche Croce avrebbe in effetti riconosciuto carattere « non diveniente », perché quella che, per Gentile, era la statica identità, formale e vuota, di A con A, era per lui la realtà schematizzata dalla logica astraente dello pseudoconcetto nelle sue varie forme ; mentre, per altro verso, anche per il filosofo dell'atto puro il «fatto storico » non è in sé statico e compiuto, se è vero che «nulla è mai fatto, nulla già pronto, come tavola imbandita a cui uno si possa senz'altro sedere» 60 . Per quante differenze, anche profonde, si vogliano riconoscere nella concezione che del « fatto storico» i due filosofi elaborarono nel corso degli anni, non può dirsi che esse abbiano la forza di far sparire questa specifica convergenza. E nella sua glossa perciò Gentile faceva una questione di parole: semplificava, non criticava, cedeva alle lusinghe della polemica. Del resto, altrettanto semplificatrici o, se si preferisce, troppo sommariamente polemiche, sono anche altre sue annotazioni: come quella, ad esempio, nella quale egli definl « scetticismo» la «storicizzazione » che il pensiero fa delle posizioni che investe della sua critica, o l'altra, nella quale pretese di porre in contrasto una pur chiara proposizione crociana con la teoria, pur essa crociana, dell'eternità delle categorie, o 60 G ENTILE, Sistema di logica, II, 68 . 610 GENNARO SASSO quella, infine, nella quale è detto che «ignora l' A. la distinzione di logo astratto e logo concreto che spiega l'oggettività e necessità del vero di fronte all'azione (al soggetto) senza i misteri delle 4 parole. Altro che lumi spenti! » 6 1 . Osservazione, questa, che nel tono perentorio e fin aggressivo che la caratterizza, nell'estrema sicurezza e, qua e là, anche nell' arroganza che la affliggono, nasconde forse piuttosto il desiderio di confermare una verità in cui si riposa ormai come in un inattaccabile fortilizio, che non la volontà di scendere di nuovo in campo a fare sul serio la prova delle armi. Come poteva, infatti, Gentile, dire sul serio che Croce «ignorasse» la sua distinzione fra astratto e concreto, se nel Sistema di logica aveva concluso la trattazione osservando che il pensiero crociano era in effetti come l'immanente «autocritica» della sua filosofia? Ma anche qui , se è comunque interessante (psicologicamente e storicamente interessante) che la polemica di Gentile incupisse i suoi temi e, nella violenza di una drastica contrapposizione, irrigidisse le sue linee, non deve tuttavia dimenticarsi che molte cose acute si ritrovano nel suo fondo. E basti pensare all'insistenza che, leggendo il libro di Croce, Gentile mise nel sottolineare l'inquietudine introdottasi nel sistema delle categorie, che ora si distinguono secondo il consueto ritmo quadripartito e ora, invece, sembrano all'improvviso ridursi a tre , a causa della nuova concezione che qui caratterizza la moralità. Certo, chi studi a fondo la risistemazione che del precedente universo categoriale Croce fece nel libro su La storia, e, cogliendone le fortissime tensioni interne, la confronti con quanto al riguardo era stato detto ai tempi della costruzione e poi dei primi svolgimenti del «sistema», si accorge che ben più complesso è il problema che occorre mettere a tema dell'indagine. Ma, sia pure fra le nebbie di una polemica ormai incapace di serenità, ancora una volta Gentile aveva intuito un punto importante, da svolgere senza dubbio e, dunque, da non trascurare. Sebbene il suo tono fosse ormai quello di chi 61 Sull'espressione relativa alle « quattro parole », cfr. qui appresso, pp. 615-43. GLOSSE MARGINALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 611 si compiace di sottolineare difficoltà e far notare incongruenze, l'intelligenza era migliore dello stato d'animo, e ancora sapeva arrecare contributi degni di discussione e di critica. Come si è detto , La storia come pensiero e come azione è l'ultimo libro crociano che Gentile leggesse con la matita, postillando con sistematicità (ed anche con accanimento) . Privi di ogni segno sono infatti i margini del libro su La poesia , intatti quelli de Il carattere della filosofia moderna (1941), che pure, come può desumersi dall'esame materiale dei volumi, Gentile quasi certamente lesse per intero e con attenzione . Era dunque ormai esaurita l'occasione della polemica, oppure l'ansia procurata dalla guerra, da poco iniziata e già volgente al peggio, tratteneva il filosofo dal proseguire un « gioco» che doveva apparirgli di troppo inferiore alla gravità del momento? E questo , forse , il vero motivo per il quale, se in qualche occasione non poté astenersi dal colpire ancora con asprezza la filosofia di Croce e la « religione della libertà», in privato, dove da lui soltanto dipendeva se dar di nuovo corso, oppure no, alla espressione dell'animo esacerbato, egli preferl tacere. E non deve del resto dimenticarsi che del fastidio , o del disagio morale, che a lui procurava la polemica con quel1' antico compagno di battaglia, al quale tuttavia lo avvincevano « ricordi incancellabili », Gentile esplicitamente parlò nell'ultima delle postille anticrociane del Giornale critico 62 . Quali, d'altra parte , nella vita profonda dei sentimenti, delle speranze, delle oscure angosce, trascorressero, fra l' entrata dell'Italia nel conflitto e la morte, gli ultimi suoi anni, non sappiamo. La tranquillità 63 che, forse , egli aveva in qualche modo conquistata attraverso il silenzio che s'era imposto e che soltanto il 24 giugno 1943 sarebbe stato, tragicamente, rotto , dové essere, nel profondo, insidiata da dubbi , da incertezze, da esitazioni che, in un uomo meno forte nel dominare o almeno dissimulare le passioni, e meno orgoglioso, avreb62 G . G ENTILE, A Benedetto Croce, « Giorn . crit. fil. ital. », 23 (1 942), p. 120. 63 Cfr ., per questo, la testimonianza offert a d a B. G ENTILE, Dal discorso agli Italiani alla morte (2 4 giugno 1943-15 aprile 1944), in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze 195 1, IV, 12 . 612 GENNARO SASSO bero pur trovata qualche via d'espressione. Ma nell'assenza di ogni documento che valga a confermare, oppure a smentire, ciò che, per le sue esigenze, la fantasia ama dipingere, converrà al riguardo astenersi da ogni ulteriore congettura. Ed anche sul tema dei rapporti profondi che lo legavano e lo opponevano a Croce, la cui immagine forse si sarà a tratti rasserenata ai suo occhi mentre la tempesta della guerra si abbatteva sul suo mondo, insinuandogli nell'animo l'angoscioso presagio della fine, il silenzio è più apprezzabile di ogni discorso, per cauto che sia. Del resto, che cosa potrà mai dirsi di non banale, o di non stridente, in una materia come questa? Soltanto questo, forse: che, come ogni uomo racchiude dentro di sé qualche frammento almeno della comune umanità, cosl i «sentimenti» di Giovanni Gentile non saranno stati, nel profondo della sua coscienza, diversi da quelli che, alla notizia della morte violenta di lui 64 , Croce affidò ad una pagina del suo Diario, che non può rileggersi senza che, con la commozione che ne spira, un senso sofferto di superiore serenità penetri nell'animo 65. 64 Sull'uccisione di Gentile gli storici non hanno ancora trovato, anche per le difficoltà intrinseche ad una documentazione ancora largamente lacunosa, l'accordo . Cfr ., essenzialmente, C .L. RAGGHIANTI, Disegno della Liberazione italiana , Pisa 1962 2 , pp . 151-57 , il quale offre un'ottima analisi delle « testimonianze » atte a sostenere l'ipotesi, che circolò subito a Firenze, il giorno stesso dell'uccisione (dr. anche GENTILE, Dal discorso agli Italiani alla morte cit., p . 129), secondo cui il filosofo sarebbe stato soppresso dalla famigerata banda del Carità, contro la quale egli aveva più volte protestato presso Mussolini . Cfr . anche C. FRANCOVICH, La Resistenza a Firenze , Firenze 1961, pp . 187-88, il quale accenna anche lui, ma per dichiararla improbabile, alla « voce che attribuiva l'omicidio allo stesso Carità ». Successivamente, per altro, il Francovich dedicò all'analisi di questa «ipotesi », uno specifico contributo (Un caso controverso: chi uccise Giovanni Gentile?, « Atti e Studi lst . st . Resistenza Tosc . », n. 3, 1961 , pp. 20-45) . Per altre indicazioni bibliografiche, dr. D1 LALLA , Vita di Giovanni Gentile, pp. 539-40, il quale, per altro, non accenna in alcun modo all'ipotesi, discussa dal Ragghianti e dal Francovich (e del resto registrata anche da Benedetto Gentile) . 65 B. CROCE, Quando l'Italia era tagliata in due , Bari 1948, pp . 111-12 (ora in Scritti e discorsi politici [1943-1947), Bari 1963, I , 305-306). [Ma dr. ora il mio Per invigilare me stesso. I ' Taccuini di lavoro ' di Benedetto Croce , Bologna 1989, pp. 40-60).