IX GLOSSE MARGINALI DI GIOVANNI GENTILE A LIBRI DI

GENNARO SASSO, Glosse marginali di Giovanni Gentile a libri di
Benedetto Croce, in ID., Filosofia e idealismo, II, Giovanni Gentile.
Bibliopolis, Napoli 1995, pp. 539-612.
Originariamente pubbl. in « La Cultura » XIV, 1976, pp. 255-312.
(Riprodotto con il permesso dell'Autore e dell'Editore)
IX
GLOSSE MARGINALI DI GIOVANNI GENTILE
A LIBRI DI BENEDETTO CROCE*
«Leggere con la matita» significa, per lo scrittore 1 che si
compiacque di usare questa espressione, leggere con partecipazione vivacemente commossa e, nello stesso tempo, con
l'intento di imprimere alla lettura un primo segno di intellettuale dominio. Non sempre, infatti, si legge con la matita in
mano, e non tutti i libri meritano di esser letti così. Ma
quando si legge con la matita, il libro acquista un duplice, e
pur convergente, significato. A parte obiecti, i segni tracciati
sui suoi margini delineano i tempi e i modi della sua «fortuna», delle sua appartenenza a uomini e a ambienti. Ma, a
parte subiecti, possono essere riguardati come il documento di
* Per la citazione dei passi crociani ai quali le glosse di Gentile si riferiscono, si è fatto uso delle seguenti sigle:
Breviario di estetica (« Piccola biblioteca filosofica» , Laterza,
B
Bari, 1913 .
Nuovi saggi di estetica , Laterza, Bari 1920.
NSE
Teoria e storia della storiografia , Laterza, Bari, 1925 .
TSS
Aspetti morali della vita politica (« Piccola biblioteca filosofica» ,
AMVP
Laterza, Bari 1928 .
Eternità e storicità della filosofia («Quaderni critici», XXI),
ESF
Rieti 1930.
EP
Etica e politica, Laterza, Bari 1931.
US
Ultimi saggi , Laterza, Bari 1935.
SPA
La Storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938 .
1
L'espressione è, com'è noto, di TH. MANN, Romanzo di un romanzo.
La genesi del ' Doctor Faustus ', in Scritti minori, Milano 1958, p. 130.
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GENNARO SASSO
un'altra e diversa storia intellettuale, l'inizio, talora incerto e
persino enigmatico, di un nuovo libro.
Queste sono cose ovvie, o rese tali dall'esperienza concreta che studiosi provetti dell'antichità classica e della tradizione umanistica squadernano ogni giorno dinanzi ai nostri
occhi. E converrà perciò cercar di imitare la loro prassi, astenendosi dall'irrigidirla in una teoria. L'essenza della noia è il
voler dire tutto, sempre e comunque, esclamò una volta Voltaire, che per questa sua massima ricevette l'approvazione di
Schopenhauer. E noi, che senza preoccuparci di riuscire
noiosi, certo non ci proponiamo, né sapremmo, «dir tutto»,
non faremo dunque qui il tentativo di delineare una teoria
della glossa marginale. Per la medesima ragione nemmeno ci
azzarderemo a far notare che la storiografia qui ricordata con
onore è bensl meritevole di ogni elogio, ma pur talvolta (come
càpita) vittima della sua stessa virtù, se nel ritrovamento delle
glosse e nell'individuazione della mano che le segnò coloro
che la praticano sembrano far consistere la civiltà stessa delle
lettere, anzi la civiltà senz'altro, e cosl dimenticano di leggere
il libro glossato ed altresl di seguire la storia intellettuale di
cui la glossa è spesso soltanto il primo germe lontano. Essere
noiosi, passi. Non, però, più del necessario. Lasciamo dunque
che altri elevi la glossa a canone metafisico e metastorico del
suo umanesimo, componendo con essa storia e teoria. E restringiamoci alle glosse specifiche, che qui di seguito pubblicheremo e sobriamente commenteremo, di Giovanni Gentile
ad alcuni libri di Benedetto Croce 2 •
Non tutti i libri di Croce, posseduti e letti da Giovanni
Gentile, recano infatti sui margini segni di materiale attenzione critica, e solo alcuni postille e glosse. Perché mai? Addurre ragioni in ogni caso valide è difficile, e forse impossibile. Ma alcune spiegazioni possono non di meno esser tentate . È evidente che non sempre, leggendo un libro crociano
2
La raccolta delle opere crociane, già possedute da giovanni Gentile, si
trova ora, con tutti gli altri suoi libri ed opuscoli, nella Biblioteca dell'Istituto di Filosofia dell'Università di Roma.
GLOSSE MARG INA LI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CRO CE
541
appena pubblicato, Gentile si trovava di fronte ad un'opera
nuova o, per intero, nuova. Spesso (e s'intende che il riferimento va agli anni in cui più stretta fu l'amicizia, più intensa
la collaborazione intellettuale) accadeva proprio il contrario.
Avesse o no, nei suoi primi anni creativi, natura di sistematico postillatore dei libri altrui (e di Croce in modo particolare), è un fatto ad esempio che, quando gli giunsero i volumi
su Hegel (1906) e sulla Filosofia della pratica (1908) , Gentile
non ebbe forse bisogno, nel rileggerli, di segnare in margine
le sue impressioni critiche. A parte le discussioni orali sostenute con l'amico intorno alle questioni della dialettica e della
filosofia hegeliane, di quei volumi egli aveva potuto seguire la
composizione e la stampa, leggendone le bozze che l'autore
via via gli spediva 3 . E se pure ne prese appunti e si provò a
fermar subito sulla carta le prime impressioni di lettura, sta di
fatto che, quando li lesse nella loro compiuta forma di libri,
forse già trascorsa era l'occasione che suole dettare le postille
e le glosse. A questa regola o, se si preferisce, a questa abitudine di materiale non intervento critico, non fa del resto
sostanziale eccezione il volume della Logica crociana del
1909, che, nell'esemplare posseduto e letto da Gentile, è
3 Cfr. le lettere che i due filosofi si scambiarono, quando Gentile lesse
prima il manoscritto (Gentile a Croce, 12 maggio 1906, Lettere a Benedetto
Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze 1974, II, 268-69, e la breve risposta di Croce, ivi, p . 269 n .; B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, a cura di
A. Croce, Milano 1981, p. 195), e poi le prove di stampa del saggio hegeliano (Gentile a Croce, agosto 1906, Lettere, II, 283 e 287) . Non interessa
qui ricostruire, di su le lettere di Gentile e di Croce, il dibattito fra i due
filosofi su questo libro: si ricordi tuttavia che il 18 settembre 1906, Lettere,
II, 296, Gentile scrisse a Croce di star «almanaccando », mentre aspettava
che l'editore gli inviasse il volume, « una recensione in forma di lettera (o
lettere) a voi, per parlare anche dell' Estetica e della Logica». « Se a Palermo
- concluse - sarò tranquillo, farò questo libretto». Il libretto non fu
scritto; ma Gentile si impegnò tuttavia in una recensione del Ciò che è vivo
e ciò che è morto della filosofia di Hegel, che, rimasta inedita fra le sue
carte, fu da lui stesso inserita, molti anni dopo , nei Frammenti di estetica e
letteratura, Lanciano 1920, pp . 153-61. Per quanto, infine, attiene alla Filosofia della pratica , cfr. la ricostruzione da me offerta nella «Cultura», 12
(1974), pp. 354-59. E cfr. ora Benedetto Croce. La ricerca della dialettica ,
Napoli 1975 , pp. 127-35 .
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GENNA RO SASSO
bensl segnato in margine, ma solo in qualche raro punto, e
forse più a scopo mnemonico che non per esprimere una
prima reazione critica 4 .
Assai più singolare è invece che né le Tesi di estetica del
1900, né l'Estetica del 1902, né le sue successive edizioni, e
in particolar modo la terza del 1907 (sulla quale egli intervenne con importanti osservazioni 5 ) risultino in alcun modo
postillate o comunque segnate in margine . Eppure, sono questi i libri sui quali Gentile prese a saggiare in concreto la consistenza teoretica del pensiero di Croce; e dal carteggio non
risulta (anzi, se mai, risulta il contrario) né che il loro autore
gli fornisse via via le prove di stampa, né che con lui egli
avesse particolare agio di discorrere a voce. Del resto, se
l'Estetica e le precedenti Tesi non appaiono postillate, la medesima assenza di segni, anche di semplice richiamo mnemonico, si nota non solo sugli estratti, che Croce gli donò , dei
saggi sul marxismo, ma anche sul volume che, nel 1899, apparve, in prima edizione, con il noto titolo, presso il Sandron.
E se poi si considera che altrettanto immacolati sono i margini dei saggi (da Gentile posseduti in estratto) che più tardi
(1909) andarono a costituire la folta raccolta dei Problemi di
estetica, l'impressione che agli inizi egli non usasse «leggere
con la matita» si rafforza, tendendo quasi a costituire la legge
di una diversa abitudine di lettura e di una diversa disposi4
La Logica come scienza del concetto puro , Bari 1909 , presenta semplici segni di attenzione e di richiamo alle pp. 66, 6 7, 68, nelle quali Croce
tratta la vexata quaestio dei distinti e degli opposti. Val la pena di aggiungere che nel volume crociano è inserito un foglietto , ripiegato in due, e intestato ' Ministero dell'Istruzione . Il Ministro ', che reca il seguente appunto: « Logica Concetto . Estetismo Misticismo Prammatismo. Il concetto e
gli pseudoconcetti ». Converrà notare che se, com'è probabile, l'appunto risale al periodo nel quale Gentile fu ministro della pubblica istruzione nel
primo gabinetto Mussolini (1922-1924), non può escludersi che quell'appunto fosse preso in vista della stesura dell'Epilogo del Sistema di logica, il
cui secondo volume apparve in effetti soltanto nel 1923 . In tale occasione è
probabile che Gentile abbia ripreso in mano la Logica di Croce, ricercandovi le pagine sul« misticismo »: cfr. B. CROCE, Logica come scienza del concetto puro , Bari 1942 6 , pp . 289-97.
5 GENTILE, Frammenti di estetica e letteratura cit ., pp. 162-72.
G LOSSE MARG INA LI DI G. GE NTIL E A LI BRI DI B. CROCE
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zione nei confronti di libri che pure impegnavano a fondo la
sua intelligenza critica e, nel senso migliore del termine, il
suo stesso spirito di emulazione 6 .
Come che sia di ciò, è un fatto che le prime glosse o postille marginali appaiono nella copia delle due edizioni 7 (fuori
commercio, l'una, nella «Piccola biblioteca filosofica», l'altra) , entrambe uscite nel 1913, del Breviario di estetica , che,
com'è noto, Croce aveva composto, su invito dell'Università
del Texas, l'anno precedente. È difficile, ovviamente, dire
perché, postosi dinanzi a questo libro crociano, Gentile sentisse il bisogno non solo di leggerlo e di postillarlo, ma di leggerlo e postillarlo in entrambe le edizioni delle quali era in
possesso. Può darsi, senza dubbio, che in modo tutt'affatto
particolare egli si sentisse conquistato dalla felicità letteraria,
oltre che speculativa, di questo, che è uno dei capolavori del1' «espressione» crociana; e che, sette anni più tardi, quando
fu ristampato nel volume dei Nuovi saggi di estetica (1920),
egli tornasse a leggerlo e a postillarlo, può costituire la prova
non solo del fascino che molto a lungo questo libro esercitò
su di lui, ma anche del suo considerarlo come il più importante ostacolo che, per definire compiutamente sè stessa,
l'estetica attualistica era chiamata ad affrontare e a superare .
Poiché, d'altra parte, a partire da quella data, gli interventi
del glossatore non si limitarono a quell'opera soltanto, ma si
estesero invece ad altri libri crociani; e poiché tali interventi
appaiono nel complesso dettati da uno stato d'animo, nell'amicizia e poi nel contrasto, variamente polemico, cosl converrà cercare qui, nella polemica e nel dissenso (anche se, non
ancora, nell'inimicizia), la ragione, probabile se non addirit6 Un sondaggio effettuato su alcuni libri posseduti da Gentile, e da lui
certamente studiati con particolare cura (Kant , Hegel, B. Spaventa, B. Varisco, Pitrè), ha mostrato che, nell'insieme, egli non usava intervenire con
« la matita » se non in casi eccezionali; e la circostanza, per quel che può valere, è forse degna di qualche considerazione.
7 Non vedo che questa edizione sia stata ricordata né da G . CASTELLANO, Introduzione alle opere di Benedetto Croce, Bari 1936, p. 7, né da F.
NrcouNI, L'« editio ne varietur>> delle opere di Benedetto Croce, Napoli
1960, p. 17, né infine da S. BORSARI, L'opera di Benedetto Croce, Napoli
1964, p. 120.
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GENN ARO SASSO
tura sicura, di questa sua mutata abitudine di lettura ed anche del relativo ritardo con cui si produsse.
In effetti, nei rapporti intensissimi di amicizia e di collaborazione intellettuale che i due filosofi vennero stabilendo e
approfondendo nel primo decennio del nostro secolo, il dissenso filosofico , che non era mai mancato e che, nella sostanziale convergenza culturale, riguardava questioni essenziali
della logica e della dialettica, già una volta, fra il 1905 e il
1906, aveva conosciuto toni vivaci ed era andato vicino ad
assumere la forma di una vera e propria crisi 8 . La questione
che l'aveva provocato e che concerneva il punto d 'unione e di
distinzione della filosofia e della storia, era stata poi appianata, in parte attraverso le stesse discussioni che, con estrema
franchezza, i due amici avevano intrecciate nel loro carteggio,
in parte per gli sviluppi obiettivi del pensiero di Croce che,
ostile, agli inizi, alla tesi gentiliana del «circolo della filosofia
e della storia della filosofia» , era giunto, nella seconda edizione della Logica , alla dimostrazione della «identità» di giudizio definitorio e di giudizio individuale e, dunque, esplicitamente, di filosofia e storia. Il nucleo profondo del dissenso
rimaneva tuttavia intatto; e poiché, al di qua di convergenze
anche importanti, concerneva la questione cruciale dell'unità
e della distinzione, che già allora Gentile interpretava in
modo assai diverso da quello che Croce aveva ormai condotto
alla sua quasi assoluta compiutezza nella Logica del 1909 e
negli scritti composti fra quella data e il 1912, era inevitabile
che dovesse riemergere e dar luogo a nuovi contrasti quando
il più giovane dei due si fosse deciso ad affiancare al suo lavoro, fin ll prevalente, di storico della filosofia , un'attività dispiegata in termini di esplicita teoria 9 . In effetti, fino al
8
Benedetto Croce cit. , pp . 897-906 .
Cfr ., del resto, la lettera del 26 gennaio 1907 , nella quale Croce esortava Gentile ad entrare con maggiore decisione nel campo della esplicita
teoria (Lettere a Giovanni Gentile, pp. 232-33) , e quella, per contro, in cui,
il 28 gennaio 1907, Gentile gli rispondeva : «io ho fiducia grandissima,
come sapete, nella tenace energia del vostro pensiero, e ne aspetto sempre
nuova luce e incitamenti nuovi. Per parte mia, finché non vedrò ben chiaro
dove voglio vedere, continuerò a far saggi di storia, polemiche e recensioni,
9
GLOSSE MARG INALI DI G. GE NTILE A LIBRI DI B. CROCE
545
1912, di teoreticamente impegnativo Gentile non aveva
scritto (a parte qualche minore saggio su aspetti particolari
della teoria della storia) se non la breve memoria su Le forme
assolute dello spirito (1909) 10 che, nel suo andamento conciso
che pur mi giovano a quell'intento» (Lettere a Benedetto Croce, III, 28) .
Che, dunque, in quegli anni Gentile ancora non riuscisse a veder chiaro
nella direzione che pur intuiva fosse quella lungo la quale il suo pensiero
avrebbe dovuto procedere, non può mettersi in dubbio. E ne deriva la possibilità di una «periodizzazione» della sua filosofia in parte diversa da
quella che, in certi casi (non però in altri), egli più tardi suggerl. Si veda, ad
esempio, nell'intervento polemico del 1913 (Saggi critici, Firenze 1927, II ,
12): «io posso dire infatti che il primo nucleo di questo idealismo, che ho
testé battezzato idealismo attuale, sia il concetto fondamentale della mia
tesi di laurea in filosofia, scritta nel 1897, e pubblicata lanno dopo nel libro
Rosmini e Gioberti, dove la mia tesi, per l'intelligenza del valore della filosofia rosminiana, e quindi della kantiana, è quella della profonda differenza
tra la categoria (che è l'atto del pensiero), e il concetto (che è il passato)[ ... ].
Fin d'allora consideravo il pensiero come reale soltanto nella sua apriorità o
attualità: uno, quindi, se guardato nell'atto suo, molteplice, come natura, se
guardato nel suo prodotto». Ma, a parte la pertinenza di questa Selbstdarstellung, che non dirò sia senz'altro da respingere (anche se molto rimanga
da articolare e precisare), è pur un fatto che la distinzione, che fin dal 1897
Gentile diceva di aver conquistata fra il pensiero come atto e il pensiero
come prodotto o natura, non dissipò di colpo le nebbie dell'incertezza (come
sembrano immaginare quanti par che ritengano che un pensiero venga al
mondo di colpo, con tutte le sue interne specificazioni e articolazioni). E
pur senza negare che il libro del 1897 abbia grande importanza, come punto
di partenza, nella storia del suo pensiero, e che fra quella data e il 1911-12
Gentile lavorò con coerenza intorno ad un motivo fin dagli inizi intravisto,
più e meglio rispondente al vero sembra l'altra «periodizzazione» che fissa
al 1912, dopo un lungo periodo di tentativi e di prove, la nascita dell'idealismo attuale. Cfr. del resto, in questa direzione, quel che Gentile scrisse
nella ristampa de L 'atto del pensare come atto puro, Firenze 1937, pp . 7-8.
10 Lo scritto fu stampato in Il modernismo e i rapporti tra religione e
filosofia , Bari 1909, pp. 229-48 . Ma dr. comunque la lettera che Croce
scrisse a Gentile il 27 giugno 1909, nella quale dichiarò di star aspettando
di «leggere Io scritto nuovo, aggiunto ai saggi del voi. sul Modernismo», e di
aver l'intenzione di scrivergliene a lungo (Lettere a Giovanni Gentile, p.
357): e cfr. lett . 13 luglio: «ho ricevuto le bozze e ho letto subito, come
puoi immaginare, il tuo scritto robusto ed eloquente, nel quale ho trovato lo
svolgimento delle idee che mi accennasti a voce. Avendo rimandato le bozze
al Laterza, non posso ora scriverti le mie osservazioni in proposito: ma Io
farò quando avrò sott'occhio, a mio agio, le tue pagine. Ho visto con piacere
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G E NNARO SASSO
ma qua e là ancora incerto, non aveva avuto la forza di costituire l'occasione di un radicale confronto. Di quelle incertezze, e della complessiva provvisorietà delle sue tesi filosofiche, è probabile che Gentile fosse, nel fondo, più che consapevole; e si può intendere quindi come egli avvertisse
quasi una sorta di psicologica riluttanza, in quel momento di
intensa meditazione e di risorgenti dubbi, a scegliere con decisione la via del commento esplicito (anche se condotto in
privato) delle ragioni ultime del diverso filosofare crociano.
Postillare e glossare i libri del suo amico significava forse per
lui contrapporre pensiero a pensiero, segnare differenze e
dunque accendere contrasti; e sebbene differenze e contrasti
fossero ormai quasi per intero delineati nel fondo della sua
coscienza, egli preferiva aspettare che giungessero alla loro
maggiore pienezza prima di arrischiarsi ad assumere, innanzi
tutto nei confronti di sé stesso, la parte non più del collaboratore, che incita e critica nella prospettiva di un cammino
comune, bensl invece dell'autore di una diversa, e forse opposta, filosofia. Il travaglio speculativo, che presto avrebbe
dato luogo alla differenza, al confronto e al contrasto, agiva
quindi, per allora, come elemento di remora e di psicologica
cautela; e, rimandando al futuro l'occasione della polemica,
favoriva nel presente l'accordo e la concordia.
L'occasione, tuttavia, venne, o cominciò a delinearsi in
che in alcune cose ci siamo ancora più avvicinati. Spero che potremo intenderci anche sul resto, perché ciò che tu vuoi garantire (l'unità dello spirito),
voglio garantirlo anch'io, e credo di riuscirvi con mezzi in parte diversi dai
tuoi » (ivi, p . 358). Per parte sua, il 15 luglio, non senza una punta di delusione, Gentile lo ringraziava « dell'occhiata che» Croce aveva dato al suo
« scritterello», nel quale, diceva, per suo uso aveva delineato idee che sentiva di dover approfondire « per vedere », proseguiva, «se mi riuscisse di venire a capo delle mie difficoltà . E se poi tu volessi scrivermi in proposito
una lettera mi faresti un gran beneficio » (Lettere a Benedetto Croce, III ,
386). La lettera che Croce aveva promessa e Gentile aveva sperato di ricevere non venne: forse perché, consapevole della difficoltà e gravità della
questione, si era convinto che, se ne avessero discusso, evitare la polemica
sarebbe stato per entrambi difficile . Si veda, a conferma, quel che Croce
scrisse a Giovanni Castellano il 30 settembre e poi, più largamente, il 17
ottobre 1909 (Lettere a Giovanni Castellano , a cura di P . Fontana, Napoli
1985 , pp. 29 e 30-32) .
GLOSSE MARGI NA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
547
modo ben altrimenti consistente che nel passato quando, nel
1912, Gentile sottopose all'amico, perché lo giudicasse, il testo del primo volume del Sommario di pedagogia, che sarebbe
poi uscito nel corso dell'anno successivo. Ebbene, chi segua
nel carteggio le battute del dialogo che i due filosofi iniziarono su quel libro, vede subito che, al di là del tono sempre
affettuoso e amichevole, qualcosa di nuovo si era ormai introdotto nello spirito d' entrambi, e cioè la convinzione che i rispettivi pensieri fossero giunti a toccare un limite estremo, oltre il quale non c'era se non la possibilità di uno schietto e
aperto dissenso. In effetti, il dissenso 11 era già nato, o nato
di nuovo, in margine alla memoria che Croce aveva allora
composta intorno a Storia, cronaca e false storie, e che poi
andò a costituire il primo capitolo di Teoria e storia della storiografia; e, commentando il 29 ottobre 1912 i dubbi espostigli dall'amico sulla questione dell'unità e della distinzione, gli
scriveva: «anch'io sono, come puoi immaginare, contento del
tuo consenso . E sapevo già che avresti trovato qualche difficoltà nella parte concernente la distinzione delle false forme
di storia: ma io non riesco finora a pensare in altro modo
certe distinzioni, nelle quali m'incontro sempre (voglio dire,
da anni e anni) nello studiar l'arte, la storia e la vita stessa.
Distinzioni che non sono distinzioni pratiche, ma principii di
critica, senza le quali non riuscirei né a intendere e giudicare
un poeta né a condannare e giustificare insieme le umane
storture. Ma forse anche per questa parte, col tempo ci metteremo d'accordo, perché io dò grandissima attenzione a
tutto ciò che tu dici e scrivi, e son sicuro che tu fai lo stesso
verso di me. Ripercorrendo talvolta le nostre relazioni ormai
di 16 anni, mi pare che ci siamo nutriti l'uno del sangue del11
Ma c'erano, come è ovvio, anche motivi di consenso. Cfr. la lettera
di Gentile a Croce , 28 ottobre 1912 («grazie delle bozze, la cui lettura mi
ha procurato un vivissimo piacere . Specialmente il concetto di storia contemporanea (come puoi immaginare) mi ha toccato una corda che vibra
molto nell'animo mio. E volevo scrivere una varietà per la Critica dal titolo
Le due storie, ora divenuta inutile dopo questa tua splendida memoria. In
questa memoria ho visto con gioia che torniamo sempre ad avvicinarci. Ne
sono stato contentissimo » (Lettere a Benedetto Croce, IV, 199).
548
GENNARO SASSO
l'altro, - e non ne siamo morti! E sarà poi giovevole un
pieno accordo tra noi? Il cuore me lo fa desiderare, i nervi
talvolta mi rendono impaziente del disaccordo: ma la mente
vichianamente e hegelianamente educata mi dice che è forse
provvidenziale che restino o risorgano sempre tra noi disaccordi, che sono stimoli reciproci» 12 . Certo, nel profondo
della mente vichianamente e hegelianamente «educata»,
Croce poteva pensare tutto questo e dal contrasto via via risorgente ripromettersi nuove occasioni di perfezionamento e
approfondimento concettuale. Ma la distesa e pacata considerazione della concordia discors che s'era ormai consolidata fra
loro non poteva evitare che la preoccupazione, che nel fondo
lo agitava e turbava, salisse alla superficie attraverso quell' accenno alle ragioni del cuore e, addirittura, dei «nervi»; e
niente, in effetti, poteva escludere che, pur mantenendosi fecondo, il contrasto si accentuasse al punto da coinvolgere le
stesse amichevoli «relazioni» . Il che poco mancò che qualche
giorno dopo accadesse sul serio.
In realtà, quando Croce lesse nelle bozze il primo volume della Pedagogia gentiliana, la reazione fu, nel complesso, aspra. Il 7 novembre di quello stesso anno, a nove
giorni di distanza dalla lettura parzialmente citata qui su,
scriveva: «mi è piaciuta sopra tutto la seconda parte, che è
forse la più fusa e la più persuasiva. Sulla prima e sulla terza
ci ho parecchi dubbi: ed anche questa volta mi pare che il
problema della distinzione non sia né risoluto né liquidato» 13 . Il giudizio non era benevolo, e, quando si pensi che
nella prima parte del suo libro Gentile aveva cercato di delineare un compiuto, anche se sommario, sistema concettuale, di netta opposizione . Il «disaccordo», tanto temuto,
stava per diventare esplicito nel segno dell'ostilità. E sebbene, in una lettera scritta fra il 7 e il 12 di quello stesso
mese, Gentile giustificasse le diseguaglianze stilistiche del
suo libro con il sospetto, dal quale era stato più volte oscu12
Croce a Gentile, 29 ottobre 1912 (Lettere a Giovanni Gentile, p .
433) .
13
Ibid., p . 433 .
GLOSSE MARG INA LI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
549
ramente visitato durante la composizione, che «esso potesse
esser l'ultimo» 14, il dissenso riguardava ben altro che lo
«stile». Il 12 novembre, in effetti, Croce ribadiva con severità un giudizio 15 , che, alla fine, riceveva addirittura il suggello di una dura ritorsione polemica: «avresti dovuto astenerti dal tono aspro, polemico, infastidito, e prendere un
tono più conciliante e persuasivo, e giustificare le cose che
condanni [... ]. In molte pagine della prima parte mi è parso
che tu discutessi con me: e come credi che l'intenderanno gli
scolari di scuola normale? Tra me e te non si discute di filosofia elementare» 16.
Come si vede, a più riprese, durante il 1912, il tono del
carteggio si era innalzato verso la polemica. E la cosa apparirà ancor meglio comprensibile quando si pensi che quello è
l'anno nel quale, trasferitosi fin dal 1906 all'Università di
Palermo quale professore di storia della filosofia, Gentile vi
aveva inaugurata la Biblioteca filosofica, che divenne uno
dei centri propulsori dell'idealismo attuale e, con l'ausilio
dell'Annuario del quale proprio in quel periodo venne dotata, strinse insieme la prima generazione degli scolari e dei
liberi discepoli 17 . Accadeva così che, appena nato (lo scritto
su L'atto del pensare come atto puro fu letto nella Biblioteca
filosofica nell'inverno del 1911, quello su Il metodo dell'im14
È un'espressione singolare, che merita di essere sottolineata (Gentile
a Croce, 7-12 novembre 1912: Lettere a Benedetto Croce, IV, 205).
15
«Ne è accaduto questo, che hai fatto un libro che ha pagine mirabili
di vigore e di profondità, ma che manca di quel garbo, di quella scelta , che
a me sembra indispensabile in qualunque libro» (Croce a Gentile, 12 novembre 1912: Lettere a Giovanni Gentile, p. 434).
16 Ibid.
17
La Biblioteca filosofica fu inaugurata da Gentile, che ne era altresì il
direttore, il 26 novembre 1911: cfr. G . GENTILE, Il programma della Biblioteca filosofica di Palermo , «Annuario della Bibl. fil. Palermo », 1 (1912) , pp.
7-12 ( = Saggi critici, Il , 5-9). Ma la sua attività doveva essere iniziata da
qualche tempo, come si deduce dall'esordio del discorso gentiliano (« nel riprendere la nostra consuetudine delle pubbliche conferenze, che attrassero
già lanno scorso lattenzione degli spiriti più colti della nostra città su questa istituzione appena nata ... ») . Sull'Amato, del quale Gentile fece un caldo
elogio (Saggi critici, Il, 8-9) come del vero ispiratore di quell'iniziativa, dr.
E. GARIN, Cronache di filosofia italiana , Bari 1959, pp. 49-50 .
550
GENNARO SASSO
manenza il 16 dicembre dell'anno successivo), subito l'attualismo si trovasse a disporre di una sede e di una rivista, e
vedesse sorgere una «scuola», il cui destino sarebbe stato di
seminare malintesi e germi di incomprensione fra i due «filosofi amici» anche se Croce non fosse stato, per natura sua,
ostile ai gruppi e alle scuole, e in quell'Annuario non avesse
forse sospettato, con preoccupazione, un possibile antagonista della Critica. Sta di fatto che, sebbene non lo confessasse
nemmeno a sé stesso, quel fervore o clamore di iniziative gli
dettò subito lo scritto (una «filippica» 18 , come lo definl in
una lettera a Gentile del febbraio 1912) contro i «circoli filosofici», che ora può leggersi in Cultura e vita morale, e nel
quale è notevole che, pur osservando che «la vita sociale ha
bisogno di venire rischiarata dalla filosofia, che le impedisce
di procedere a caso e nel buio», aggiungesse che «nel tradursi in valore sociale», essa, la filosofia, «perde il suo carattere» e «da problema si cangia in risultato, da dubbio
metodico in fede» 19 . Parole, queste, che certo potevano riferirsi a Gentile, e alle sue varie iniziative di biblioteche filosofiche e di circoli, come a tanti altri, al pari di lui, e
meno bene di lui, impegnati in analoghe imprese; ma che,
18 Croce a Gentile, 21 febbraio 1912 (« vedrai nella prossima Critica
una mia filippica contro i circoli filosofici. La scrissi nel settembre passato;
ma credo che possa andare, perché non offende il Circolo di Palermo, al
quale tu stai dando un buon indirizzo. A me quello scatto fu suscitato dal
Bollettino del Circolo di Genova» (Lettere a Giovanni Gentile, p . 419) . E
cfr. la risposta di Gentile, 11 marzo 1912 : « l'articolo sui circoli filosofici
dice cose verissime, ma mi pare un po' unilaterale . A ogni modo, anche
com'è, farà gran bene». Ma, proseguendo, Gentile diceva di voler fare della
Biblioteca « una specie di seminario della mia scuola » (Lettere a Benedetto
Croce, IV, 164) : dove, sebbene per «scuola» quasi certamente egli intendesse il concreto insegnamento universitario, non è da escludere che Croce
vi leggesse invece un accenno alla scuola dell'attualismo, e ne rimanesse offeso e irritato.
19 L'articolo, intitolato Circoli, convegni e discussioni filosofiche , fu
stampato non nella Critica , come Croce diceva nella lettera che è stata citata
qui su, ma nella « Voce », 4 (1912), pp . 967 sgg., e quindi in Cultura e vita
morale, Bari 1955, pp . 133-38. Va comunque ricordata la recensione che del
« Bollettino » del Circolo di studi filosofici di Genova, 1 (1910) n. 1, Croce
inserì nella « Critica», 10 (1912) , pp. 136-39 .
GLOSSE MARGI NA LI DI G . GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE
551
non di meno, ritornano e risuonano nella battuta polemica
che gli rivolse il 22 novembre 1913, quando ormai la decisione di mettere in pubblico il loro dissenso era stata presa
ed attuata: «ho visto nel programma dei tuoi Studii che
quella collezione si propone di svolgere i principii dell'idealismo attuale. Male. Nella Critica non ci siamo proposti di
svolgere nessun sistema: ci siamo svolti noi .. . ». E aggiungeva: «il libro di Omodeo già porta i segni dello svolgimento del sistema» 20 .
Non è dunque da escludere, e anzi tutto concorre a suggerire, che l'intimo turbamento, che le polemiche già avvenute e quelle annunziantisi per il prossimo avvenire insinuavano nel suo animo, rendesse, per così dire, più agguerrite e
aggressive le letture che, sistematicamente, Gentile seguitava
a fare degli scritti crociani, e che di questa mutata disposizione il «leggere con la matita» fosse come il segno visibile.
Non, beninteso, che, con le sue glosse, Gentile intendesse
esprimere in privato, nel chiuso della sua stanza da studio,
quel che, agitandoglisi dentro, non poteva esser tuttavia
detto in pubblico. Fra il 1913 e il 1924, che fu l'anno dell'irreparabile rottura, l'amicizia fra i due pensatori conobbe
ancora varie crisi, ma pur rimase salda; né a Gentile sarebbe
mai passato per il capo di scrivere in margine ai libri di
Croce quel che considerazioni varie di opportunità non gli
consigliassero di scrivere sulle pagine delle sue riviste. Chi
ha letto il carteggio 2 1 , è bene in grado, ove il preconcetto o
la naturale ottusità non l'abbiano chiuso all'intelligenza dei
moti profondi dell'animo, di intendere che l'amicizia fra
20
Lettere a Giovanni Gentile, p . 452.
[Credo opportuno ricordare, perché queste parole (scritte quasi
vent'anni fa) siano intese nel giusto senso, che quando le scrivevo il carteggio era, per quanto riguarda la parte crociana, edito solo per il periodo che
va dal 27 giugno 1896 al 23 dicembre 1899 (« Giornale critico della filosofia
italiana », 1969, pp. 3-100) , e per il resto interamente inedito, mentre, per
la parte gentiliana, editi erano i primi due volumi 1972 e 1974 (il terzo,
1976, uscì quando il mio saggio era da qualche tempo terminato). Fu per la
cortesia, la liberalità e l'amicizia di Ugo Spirito che io potei studiarlo
quando era ancora del tutto inedito e conservato presso la sede della Casa
editrice Sansoni a Palazzo Doria, Roma].
21
552
GENNARO SASSO
questi due uomini fu cosa seria e profonda e che l'ipotesi
stessa di una rottura non poteva non apparire ad entrambi
come un'autentica sciagura. Ma spingendo Croce a scendere
in aperta polemica con il suo amico e collaboratore, e con il
sottile disagio che certo ne derivò ad entrambi, con le polemiche, e con le tensioni che vi si determinarono, la decisione della chiarezza recò con sé qualcosa di nuovo, la convinzione profonda che qualcosa di irreversibile si fosse ormai prodotto; e niente, in fondo lo dimostra meglio della
speranza e dell'augurio, più volte proclamati, che la sperimentata solidarietà culturale ed umana potesse assorbire e
superare, nel suo solido fondamento , ogni specifica divergenza filosofica . «Il mio augurio - aveva scritto Croce,
concludendo il suo secondo intervento polemico - è che tu
ed io, consenzienti in tante cose e unanimi in tutte, col continuare a ripensare circa i punti di dissenso che abbiamo ora
discussi (e che io ho stimato bene portare in pubblico,
perché non si tratta di una questione privata o personale) , ci
ritroveremo ancora, come ci è accaduto altre volte, dopo
aver percorso per qualche tempo strade separate sebbene
prossime, ci ritroveremo, dico, con nostra grande soddisfazione, sulla stessa strada» 22 .
In realtà, la nascita dell'attualismo, da una parte, e, da
un'altra il sempre più netto definirsi del pensiero e del « gusto» crociani, dovevano ormai aver reso chiaro ad entrambi
che «sulla stessa strada» non avrebbero potuto né trovarsi né
procedere più. Sempre più chiaramente, negli ultimi dieci
anni, Croce era diventato Croce; e il ruolo di consigliere segreto e di incitatore idealistico che Gentile aveva riservato a
sé stesso non poteva più esser sostenuto in quella forma e con
22 B. C ROCE, Una polemica tra f ilosofi amici , in Conversazioni critiche,
Bari 1924 , Il , 95 . Entrambi gli interventi di Croce, come del resto quello di
Gentile, furono pubblicati nella « Voce » del Prezzolini, il 13 novembre
1913 e gennaio 1914 quelli del primo, 1'11dicembre 1913 ( =Saggi critici,
II , 11 sgg.) quello del secondo. Ma, ovviamente, nessuno di questi scritti
comparve nell'« Annuario» della Biblioteca filosofica di Palermo, come, a
proposito del secondo di Croce, trovo scritto in M . DI L ALLA, Vita di Giovanni Gentile, Firenze 1975, p . 208.
G LOSSE MARGI NA LI DI G . GEN TIL E A LIBRI DI B. CROCE
553
quello stile: doveva ormai tradursi in espressione autonoma,
conducendo alle estreme conseguenze il programma dell'idealismo attuale delineato negli scritti palermitani. Di qui, come
converrà ripetere, il nuovo stile che Gentile spontaneamente
mise nel leggere i libri di Croce, l'attenzione che, sempre
pronto a sottolineare con favore le convergenze, egli esercitò
nel puntualizzare le divergenze e nel porre in risalto, con un
taglio netto e senza speranze, ogni aspetto della «filosofia
dello spirito» che con maggiore chiarezza palesasse, a suo giudizio, tracce di dualismo e di irrisolto intellettualismo. Di qui
anche, come del resto è ovvio, l'incrudirsi, via via che il dissenso da filosofico si faceva anche politico e morale, delle
glosse gentiliane; che con diversa fortuna critica sempre più
chiaramente vennero assumendo un tono incalzante, ora ironico, ora addirittura sarcastico, perché consumato fino in
fondo il dissenso filosofico, nascevano ormai da passioni esacerbate e non più medicabili, ed altresì come risposta alle
dure sferzate che, negli scritti postillati, Croce non risparmiava all'idealismo attuale e al suo «misticismo», fattosi, secondo la sua natura profonda, violento assertore di attivismo
e di «irrazionalismo» 23.
Il primo libro che rechi ben visibili i segni del nuovo modus legendi gentiliano è, come si è detto, il Breviario di este23 Come documento estremo della durezza, ed anche dell'esacerbata
amarezza, con cui Croce seguiva la varia attività del suo antico compagno di
studi, non saprei citare niente di più caratteristico di questo giudizio, che
egli espresse in una lettera (inedita) a Guido De Ruggiero, 23 agosto 1933 ,
quando gli fu detto dell'intenzione gentiliana di «tornare al De Sanctis »:
« mi dicono che Gentile abbia pubblicato un articolo in cui annunzia che bisogna tornare a De Sanctis. O che vuol morire? Tornare a De Sanctis significa, anzitutto, diventare un onest'uomo ». L'articolo di G . GENTILE, Torniamo a De Sanctis!, fu stampato nella rivista «Quadrivio », 6 agosto 1933,
e quindi, con il titolo Francesco De Sanctis, in Memorie italiane e problemi
del/,a filosofia e del/,a vita , Firenze 1936, pp. 173-81 ; Croce replicò con una
postilla aggiunta al saggio, Francesco De Sanctis e lo scioglimento e /,a ricomposizione del/,a Società Reale di Napoli nel 1861 , in Aneddoti di varia letteratura , Bari 1954, IV, 249-50 (e cfr. anche in F. DE SANCTIS, Pagine sparse.
Contributi alla sua biografia e supplemento alla bibliografia a cura di B.
Croce, Bari 1934, pp . 100-102).
554
GENNARO SASSO
tica. Di queste celebri quattro lezioni, scritte nel 1912, l' editore Laterza stampò nel gennaio 1913 due diverse edizioni:
una, assai elegante, fuori commercio e tuttavia simile, per il
colore della copertina, ai volumi delle opere crociane, e un'altra, più modesta, che venne a costituire il primo numero della
«Piccola biblioteca filosofica» . È difficile dire se le due edizioni uscissero contemporaneamente, o a breve distanza, e (in
questo caso) quale prima e quale dopo . Ma è un fatto che, entrambe recando l'indicazione «gennaio 1913 », dovettero comunque uscire, e dunque capitare nelle mani di Gentile, pressoché nello stesso giro di settimane. E , come si è già detto, la
circostanza curiosa è che sia l'una sia l'altra edizione recano
segni di lettura «con la matita», e anzi, la seconda delle due
addirittura con la penna (il che, giustamente, avrebbe fatto
inorridire il professor Peter Kien, lo spettrale protagonista
del romanzo di Elias Canetti) . Cosl, nel retro dell'ultima pagina dell'edizione fuori commercio, che per il resto reca soltanto , a p. 53 , un piccolo segno marginale, Gentile annota:
Actus purus 89
Totalità dell'opera d'arte 5 3
Contenuto dell'arte 52
L'insoddisfazione dell'arte 82
«sola reale è la sintesi delle sintesi»
Il lettore che si trovi ad ignorare i termini della discussione filosofica intervenuta negli anni fra Croce e Gentile, e
che di conseguenza anche ignori i fondamenti delle loro rispettive filosofie, non intenderà certo perché, con riferimento alla p. 89, sia stato scritto Actus purus in riferimento
alla frase crociana in cui si dice che «sola reale è la sintesi
delle sintesi». E allora consenta, quel lettore, che gli si indichi il contesto dal quale Gentile trasse la sua citazione («se si
domanda, delle varie attività dello spirito, quale sia reale, o se
siano tutte reali, bisogna rispondere che nessuna è reale;
perché reale è solamente l'attività di tutte quelle attività, che
non riposa in nessuna di esse in particolare: delle varie sintesi, che abbiamo via via distinte, - sintesi estetica, sintesi
logica, sintesi pratica, - sola reale è la sintesi delle sintesi, lo
Spirito, che è il vero Assoluto, l'actus purus . Ma, per un altro
G LOSSE MARG INA LI DI G . GEN TILE A LIB RI DI B. CROCE
555
verso e per la stessa ragione, tutte sono reali nell'unità dello
spirito, nell'eterno corso e ricorso, che è la loro eterna costanza e realtà» 2 4 ); e che gli si dica che qui, in effetti, come
il teorico dell'attualismo non poteva non avvertire, si annodano alcune delle più specifiche difficoltà intrinseche alla sua
non meno che alla filosofia del suo amico. Il quale, postosi di
nuovo il problema della relazione che stringe fra loro le autonome forme dello spirito, e del sistema di «indipendenza dipendente» che ne risulta, aveva ancora una volta cercato di
dimostrare che se delle varie «sintesi» o «autonomie» o «indipendenze», che sono l'arte e la filosofia, l'economia e
1' etica, veramente reale può dirsi , per un verso, soltanto lo
spirito, ossia 1' attività che le snoda e le articola come momenti dell'intero, reale e non meno reale è poi anche questo
concreto snodarsi, ossia le di volta in volta specificate attività
che costituiscono lo spirito stesso nella sua concretezza. Una
teoria, questa, difficile e complicata, come sempre è difficile
e complicata la teoria mediante la quale un pensatore consapevole di quel che fa cerchi di risolvere il problema dell'identità e della diversità, della compatta realtà dell'essere e dell'intrinseco differenziarsi della sua realtà. Una teoria alla
quale, avesse torto o ragione, ne comprendesse fino in fondo ,
o solo in parte, la natura specifica, ossia la tensione profonda,
sempre Gentile rimproverò la tendenza a risolversi in un'intellettualistica e oggettivistica «descrizione» del suo stesso
movimento: in actum purum, presupponente alle sue spalle un
soggetto di cui non sapeva e non poteva afferrare la realtà
profonda, ossia quell'actus purus che, come assoluto soggetto,
risolve in sé ogni differenza e ogni sintesi specifica. Non è
questa la sede nella quale possa spiegarsi in che senso e
perché la teoria di Croce venisse semplificata dalla critica
gentiliana, e come e perché anch'essa, la critica gentiliana,
non sfuggisse, se scrutata a fondo , alla stretta di gravi antinomie. Ma certo è, in ogni caso, che di «sintesi di sintesi»,
Croce non aveva il diritto di parlare (nemmeno con le speci24 B. CROCE, Breviario di estetica , Bari 1927, p. 74 (e quindi in Nuovi
saggi di estetica, Bari 1920, p. 62) .
556
GENNARO SASSO
ficazioni e le cautele dialettiche che possono notarsi nel passo
già ricordato del Breviario) . Se sintesi si definisce l'attività
che risolve ogni contenuto o materia (e dunque, di volta in
volta, l'arte e la filosofia, l'economia e l'etica sono sintesi, per
ciò stesso che risolvono il loro contenuto), nella «sintesi delle
sintesi» ciascuna di esse dovrebbe decadere a materia, a opposto, a disvalore assunto nella prospettiva catartica o risolvente del valore. E poiché la «sintesi delle sintesi» non potrebbe esser definita così se a materia di sé medesima non risolvesse in contemporanea assolutezza ogni sintesi, ad essa
non si ponesse perciò come l'orizzonte fermo, unitario e identico della risolta differenza, si capisce bene che in questa prospettiva l'unità avrebbe per sempre risolto in sé ogni diverso,
ponendosi essa come l'unica verità, l'unica realtà, il A.òyoç
E:m1ll<pt0ç di verità e realtà morte in loro stesse, e vive solo
nella nuova e unitaria dimora dell'essere. Era questa, beninteso, una difficoltà molto complessa, che Gentile non poteva,
né allora né poi, cogliere fino in fondo in Croce, per ciò
stesso che non poteva e sapeva coglierla e risolverla alla radice del suo stesso pensiero; e che egli si compiacesse di quell'espressione - actus purus - , che era una sua espressione, e
che anche vi vedesse, forse, il dissidio che nel pensiero del1' amico si era prodotto fra actus purus e actum purum, è
quanto, dopo aver avvertito che molta strada dovrebbe percorrere chi studiasse a fondo il problema, ci si può restringere
a sottolineare.
Il richiamo che, nello stesso appunto, Gentile faceva alla
questione, che Croce aveva svolta esemplificandola con le vicende che condussero il Foscolo a idealizzare la donna (la
contessa Arese) di cui pur conosceva l'animo, della soddisfazione e poi di nuovo dell'insoddisfazione che l'arte procura,
concerne ancora e sempre l'autonomia delle forme, e quindi
l'unità dello spirito; e lo stesso sarà da dire per l'altro accenno
alla «totalità dell'arte» e, già prima, al contenuto dell'arte .
Richiami ed accenni tanto rapidi quanto ricchi di potenzialità
filosofiche: a svolgere compiutamente le quali non basterebbero molte pagine, dal momento che costituiscono le questioni sulle quali sia Croce sia Gentile costruirono parti essenziali delle loro filosofie . Ma lo scopo di queste pagine non è
GLOSSE MA RG INA LI DI G. G ENTI LE A LIBRI DI B. CROC E
557
di svolgerle: è invece, più modestamente, di indicarne la presenza e forse anche lassillo nella lettura che a chiarimento di
sé stesso, l'un filosofo veniva conducendo delle pagine dell'altro. Basti perciò osservare che laltra copia del Breviario di
estetica, assai più tormentata e segnata, reca tuttavia le tracce
di un'attenzione rivolta al medesimo nucleo di problemi (ma,
come si vedrà, anche ad altro). E converrà intanto riprodurre
questi segni, di attenzione e di vario dissenso, sia che si svolgano in brevi annotazioni o glosse, sia che invece rimangano
segni, e richiedano perciò di essere decifrati nel loro significato, o con l'aiuto del contesto al quale rinviano o con l'aiuto
del pensiero che li pose in quel punto e non in un altro. Per
renderli chiari, li riprodurremo, i segni e le glosse, sulla destra
del passo corrispondente di Croce, che, in colonna, sarà citato sulla sinistra.
BE 27 25
Vano è opporre che la individualità dell'immagine non può sussistere senza un riferimento all'universale, di cui quell'immagine
è individuazione; perché qui non si nega già
che l'universale , come lo spirito di Dio, sia
dappertutto e tutto animi di sé, ma si nega
che , nella intuizione in quanto intuizione,
l'universale sia reso logicamente esplicito e
pensato. E vano altresì è richiamare il principio della unità dello spirito, che non viene
rotta, ma anzi rafforzata, dalla netta distinzione tra fantasia e pensiero, poiché dalla distinzione nasce lopposizione e dall'opposizione l'unità concreta.
BE 41
Senonché, quando si comincia a provare
la stanchezza dell'infeconda difesa dell'uno o
dell'altro punto di vista parziale; quando, so-
25
(1 9 13).
Le citazioni sono tratte dalla prima edizione del Breviario di estetica
558
GENNA RO SASSO
prattutto, dalle ordinarie opere d'arte, che
sono prodotti della scuola romantica e della
classicistica, dalle opere convulse di passione
e da quelle freddamente decorose, si volge lo
sguardo alle opere, non degli scolari ma dei
maestri, non dei mediocri ma dei sommi; si
vede dileguare lungi il contrasto e non si ha il
modo di adoperare l'uno o l'altro motto di
scuola: i grandi artisti, le grandi opere, o le
parti grandi di quelle opere, non si possono
chiamare né romantiche né classiche , né passionali né rappresentative, perché sono insieme classiche e romantiche, sentimenti e
rappresentazioni: un sentimento gagliardo,
che si è fatto tutto rappresentazione nitidissima.
bravo'
BE 44
E un'altra non meno celebre sentenza,
dovuta a un semifilosofo svizzero e alla quale
è toccata la medesima buona o cattiva fortuna di trivializzarsi, scopre che ' ogni paesaggio è uno stato d'animo ': cosa indubitabile, non perché il paesaggio sia paesaggio,
ma perché il paesaggio è arte.
C'è già un'eco di
questo
in
Verg.
Georg . I 417-23
BE 84
Con la percezione siamo entrati m un
nuovo e vastissimo campo spirituale; e, veramente , non ci sono parole sufficienti per satireggiare quei pensatori che , ora come pel
passato, confondono immagine e percezione,
e fanno dell'immagine una percezione (l'arte
come ritratto o copia o imitazione della natura, o storia dell'individuo e dei tempi,
ecc .), e, peggio ancora, della percezione una
sorta d 'immagine, che si coglierebbe coi 'sensi '. M a la percezione è né più né meno che
un completo giudizio, e come giudizio importa una immagine e una categoria o sistema
di categorie mentali, che dominino l'immagine (realtà, qualità, ecc .) .. .
Ma la percezione
dunque ritrarrebbe la
natura?
559
G LOSSE MARGINALI DI G. GENT IL E A LIBRI DI B. CROCE
BE 113
e se Cesare e Pompeo non fossimo noi
stessi, cioè quell'universo che si determinò
un tempo come Cesare e Pompeo e si determina ora come noi vivendo quelli in noi, di
Cesare e Pompeo non potremmo farci alcun'idea.
c/r. Quest. storiogr.,
p. 6
Questi sono dunque, fedelmente riprodotti, gli interventi
semplici segni d'attenzione o d'interrogazione, oppure
vere e proprie, ancorché brevi, glosse - , che Gentile eseguì
leggendo, quasi contemporaneamente, le due edizioni del Breviario di estetica . E dopo aver ribadito che quel piccolo libro
doveva aver colpito a fondo la sua fantasia, oltre che filosofica, letteraria (se, a poca distanza di tempo, lo lesse e lo
segnò due volte), si potrebbe passare al rapido chiarimento
delle questioni sottolineate o glossate, se non convenisse invece avvertire che, quando il Breviario fu ristampato senza
variazioni nei Nuovi saggi di estetica (1920), Gentile tornò a
leggerlo e a postillarlo, ancora una volta esprimendo consensi
e dissensi.
NSE 27-28
l'intuizione è veramente tale perché rappresenta un sentimento, e solo da esso e sopra di esso può sorgere. Non l'idea, ma il sentimento, è quel che conferisce all'arte laerea
leggerezza del simbolo ...
sentimento
NSE 29
E istruttivi sono, come si è veduto, i risultati critici della grande disputa tra classicisti e romantici, onde rimase negata così l'arte
che con l'astratto sentimento, con la pratica
violenta del sentimento, col sentimento che
non si è fatto contemplazione, tenta di travolgere gli animi e illuderli sulla deficienza
dell'immagine, come del pari l'arte che con la
chiarezza superficiale, col disegno falsamente
sentimento
560
GENNARO SASSO
corretto, con la parola falsamente precisa,
cerca d 'illudere sull'assenza di ragione estetica che giustifichi le sue figurazioni, sulla
deficienza del sentimento ispiratore.
NSE 29-30
Gentile, a fondo pagina:
Invece a p. 36 ' il sentimento non è un partic.[olare] contenuto,
ma è !'universo tutto guardato sub specie intuitionis '. Arte = sentimento (il sentimento è il natural contenuto dell'intuizione per la circolarità delle forme, ecc.). Ma cfr. pp. 34-35 dove l'arte è sintesi di
sentimento e intuizione.
NSE 39-40
L'artista, che abbiamo lasciato vibrante
d 'immagini espresse che prorompono per infiniti canali da tutto l'esser suo, è uomo intero e perciò anche uomo pratico; e, come
tale, avvisa ai mezzi di non lasciar disperdere
il risultato del suo lavorio spirituale, e di rendere possibile e agevole, per sé e per gli altri,
la riproduzione delle sue immagini ...
Dualismo non superato
NSE 55
Onde, considerando la cosa in generale,
sembra che non vi sia altro modo di pensare
la indipendenza e dipendenza insieme delle
varie attività spirituali che di concepirle nel
rapporto di condizione a condizionato, in cui
il condizionato supera la condizione presupponendola, e, diventato poi a sua volta condizionato, costituisce una serie di svolgimento .
Questa è la negazione della libertà
A questa abbastanza interesssante serie di considerazioni
converrà infine aggiungere, prima di rapidamente esaminarle,
le glosse che Gentile segnò in margine al saggio su Il carattere
di totalità del!' espressione artistica che, pubblicato nella Critica
561
G LOSSE MARG INA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
del 1918, fu poi ristampato nei Nuovi saggi di estetica . È infatti nelle annotazioni discretamente folte segnate sul margine di questo scritto che, pur mantenendosi nel complesso
equilibrato, il tono della sua lettura tende, tuttavia, a inasprirsi.
NSE 123
Che la rappresentazione dell'arte, pur
nella sua forma sommamente individuale, abbracci il tutto e rifletta in sé il cosmo, è stato
assai volte notato; ed è questo anzi un criterio al quale si suol ricorrere per discernere
l'arte profonda dall'arte superficiale ...
Questo concetto è
già accennato nel
Brev., p. 36
NSE 124
A scansare il secondo errore [consistente
nel concepire il processo conoscitivo ' come la
scoperta di una verità statica'] e a mettersi in
certo modo d'accordo col pensiero moderno,
che è nel · suo intimo e irresistibile impulso
pensiero dell'immanenza e spiritualismo assoluto, l'arte è stata considerata, non più come
apprensione di un immobile concetto, ma
come perpetua formazione di un giudizio, di
un concetto che sia giudizio; e questo spiegherebbe agevolmente il suo carattere di totalità, perché ogni giudizio è giudizio dell'universale. [... ] Teoria che urta in una sola,
ma così insormontabile difficoltà, che ne esce
infranta: nella difficoltà che la rappresentazione giudicante non è più arte, ma giudizio
storico ossia storia.
ma c/r. p. 141.
NSE 126
Perché, che cosa è mai un sentimento o
uno stato d'animo? è forse qualcosa che possa
distaccarsi dall'universo e svolgersi per sé?
forse che la parte e il tutto, l'individuo e il
cosmo, il finito e l'infinito hanno realtà l'uno
fuori dell'altro?
Dunque
è finito?
l'individuo
562
GENNARO SASSO
NSE 126-127
Nel travaglio del passaggio dal sentimento come immediato alla sua mediazione e
risoluzione nell'arte, dallo stato passionale
allo stato contemplativo, dal pratico desiderare, bramare e volere all'estetico conoscere,
si è allora, invece di giungere fino al termine
del processo, rimasti a mezzo, in quel punto
che non è nero ancora e il bianco muore, e
che non può essere stato fermato in tale estetica contradizione se non per atto di vario e
più o meno consapevole arbitrio .
il conoscere non è
estetico (ma logico):
nel conoscere già
!'arte è superata
NSE 127
La quale particolarità, finitezza ed angustia non è del sentimento - individuale e
particolare insieme come ogni forma ed atto
del reale, - e non è dell'intuizone - parimenti individuale e universale insieme, ma del sentimento che non è più semplicemente sentimento, e della rappresentazione
che non è ancora pura intuizione. Da ciò l'osservazione più volte fatta, che gli artisti inferiori si dimostrano assai più documentari rispetto alla propria vita e alla società del loro
tempo che non gli artisti superiori, i quali
trascendono il tempo, la società e sé medesimi in quanto uomini pratici. Da ciò anche
quella sorta di turbamento, che ci recano
opere che fremono bensl di passione, ma
sono manchevoli nell'idealizzamento della
passione, nella purezza della forma intuitiva,
dove consiste il proprio dell'arte .
non è del sentimento? Ma più sotto
la passione non idealizzata si considera
come particolare e
biografica. Cfr. p.
141.
NSE 127
Gentile, a fondo pagina:
L'A. non sa risolversi a considerare il sentimento come tale già
universale; e tende a vederne l'universalità nell'idealizzamento della
contemplaz.[ione] estetica per (?) 1uale o evidentemente non aggiungendo nessun predicato non è in grado di universalizzare quel che non
è universale.
GLOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE
563
NSE 128
Dare, dunque, al contenuto sentimentale
la forma artistica è dargli insieme l'impronta
della totalità, l'afflato cosmico; e, in questo
senso, universalità e forma artistica non sono
due ma uno .
dunque il sentimento
non ha per sé il carattere della totalità:
cfr. p. 128
NSE 128
Come, d 'altro canto, le teorie che spuntarono già all'inizio dell'Estetica moderna, e
furono preannunziate nell'antichità dal1' oscura teoria catartica di Aristotele, sullo
sciogliersi da ogni interesse (la Interessenlosigkeit, come formolò il Kant), ossia da ogni interesse pratico, sono da interpretare come altrettante difese contro la tendenza a introdurre o lasciare persistere nell'arte il sentimento immediato, cibo non assorbito
nell'organismo e che si cangia in veleno; e
non punto come affermazione d'indifferenza
pel contenuto dell'arte e riduzione di questa
a semplice e frivolo gioco .
questo sentimento immediato non è sentimeno ma è passività
NSE 133
Ma ora, dopo un secolo e mezzo di romanticismo, non gioverebbe, per avventura,
che l'Estetica desse maggiore risalto alla dottrina del carattere cosmico o integrale della
verità artistica, alla depurazione che questa
richiede dalle tendenze particolari e dalle
forme immediate del sentimento e della passione?
NSE 140
In altri termini : la ricerca della distinzione tra le materie o parti della realtà che
sarebbero poetiche e quelle che tali non sarebbero, sotto questa formulazione assurda
accennava, senza toccarla, alla distinzione legittima, non tra materia e materia, ma tra
romantzczsmo, sentimento privo di carattere cosmico
ritorno al classicismo
564
GENNARO SASSO
forme spirituali, e, in questo caso, tra
l'espressione che è puro sentimento o pura
intuizione (poesia), l'espressione che è segno
di pensiero (prosa), e l'espressione che è strumento di commozione degli affetti o di
azione (oratoria).
espressione = puro
sentimento
NSE 141
Come ogni oratoria, essi suppongono
qualcosa di più che non la semplice poesia;
cioè, suppongono una critica o riflessione che
si dica, e la conclusione di essa, che trapassa
e si converte in un'azione sopra sé stessi o sopra altri. Certo, anche il poeta, in quanto è
uomo intero, riflette, cnttca, satireggia,
schernisce, ironizza, celia; ma, in quanto
poeta, supera questi vari atteggiamenti, riunendoli con gli altri tutti e tutti fondendoli
nella visione totale della realtà che, in definitiva, è sempre seria.
Realismo' ma la
realtà è nello spirito!
e lo spirito distingue
e nega dentro di sè
NSE 143
Sotto molta letteratura odierna, che con
l'andamento sbrigliato e capriccioso vorrebbe
dar a credere di essere prodotta da un sentimento impetuoso e per il suo impeto e per la
sua originalità quasi indomabile e perciò prorompente in inusitati modi di espressione, si
avverte il freddo del congegnato ed oratoriamente ironico; la b!ague, e al tempo stesso la
malizia di chi, percependo e sospettando che
la sua vanteria non sarà creduta, la volge a
scherzo: cose con le quali è altrettanto impossibile comporre poesia, quanto col pepe e col
sale comporre un dolce.
È vero che l'arte è
sempre seria, come si
dice a p. 141? Bisogna distinguere tra
serio e serio: tra
Bemi e Parini: tra la
buffoneria e la satira
e il sarcasmo.
Chi ora, tenendo presenti non solo i contesti crociani ai
quali i segni e le glosse di Gentile si riferiscono, ma anche gli
svolgimenti teorici a cui essi dettero luogo nei suoi scritti, si
provasse a condurre fino alle conseguenze estreme il tema che
G LOSS E MARG INALI DI G . GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE
565
ha visto delinearglisi dinanzi, certo non potrebbe in poche
battute condurlo alla sua conclusione. E poiché non cosl alta
è l'ambizione che muove queste pagine, bastino le seguenti,
rapide, considerazioni, che altri poi, se vorrà, completerà.
Commentando gli appunti che, a guisa di riepilogo, Gentile segnò nel retro dell'ultima pagina dell'edizione fuori commercio del Breviario, quasi spontaneamente, e certo con
buone ragioni, il discorso si soffermò piuttosto sulle questioni
generali intrinseche alla concezione crociana del reale e della
sua struttura, che non sui temi specifici dell'estetica e della
critica. Era questo, allora, il precipuo interesse di Gentile,
che da anni, in effetti, trattasse con l'amico di logica o di teoria della pratica o, infine, di estetica, sempre, con la sua tipica insistenza, aveva battuto sulla questione dell'unità e
della distinzione, dell'intellettualismo, del dualismo , e dell'unica forma di idealismo che fosse sul serio in grado di debellarli e superarli. Ma già nella lettura che egli fece dell'altra
edizione del Breviario e che, con ragionevoli motivi, può ritenersi avvenisse, sia pure con breve intervallo, qualche
tempo dopo, l'interesse tende ad allargarsi; e non soltanto le
questioni generali della realtà e delle relazioni che la costituiscono sono richiamate in margine, bensl anche quelle che più
specificamente concernono l'arte (e la storia) . Cosl, nell'enfasi
con cui Gentile approva (« bravo! ») la risoluzione crociana
delle opposte unilateralità del romanticismo e del classicismo
nell'unica autentica realtà dell'arte, che sempre è romantica
nella passione dalla quale nasce, e classica nella forma alla
quale perviene, dovrà leggersi qualcosa di più del compiacimento provato dinanzi ad una teoria ormai chiaramente
orientata a stringere in unità i motivi costitutivi dell'universo
poetico. E se il lettore attento dell'opera di Gentile, e il conoscitore altresl del «gusto» storico che egli espresse nelle
sue non numerose, e non sempre felici, «prove» di critico
della letteratura, incontra varie difficoltà a riconoscere la presenza effettiva di questo concetto nella sua storiografia concreta, ciò non toglie che il concetto abbia poi un preciso riscontro nella stessa Filosofia dell'arte, dove, ultimo paragrafo
del primo capitolo della prima parte, esplicitamente «romanticismo» e « classicismo » sono considerati, nella reciproca
566
GENNARO SASSO
convergenza e al di là quindi della loro varia opposizione storica e ideale, come l'essenza stessa della poesia 26 . Con alcune
conseguenze che, tuttavia, occorrerà brevemente indicare.
Come è ben noto, in quanto propriamente la si consideri
come poesia o arte, la poesia è, per Gentile, «inattuale» nell'unica concretezza del logo. E così accade per esempio che
«il lirico di maggior impeto che (secondo lui) abbia la poesia
italiana», ossia Alessandro Manzoni, non possa realizzare
«classicamente» il «romanticismo» se non mediante quella
forma estrema e coerente e legittima di «riflessione» e di
«autocritica sulla propria ispirazione», che è l'ironia. Con
una conseguenza per la verità molto singolare . Al di qua del
controllo (il momento del «classico») che la «riflessione», e
l' «autocritica» e infine l' «ironia» ne fanno, l'ispirazione (ossia il momento romantico, la poesia vera e propria) è «inattuale»; e ravviva bensì il «corpo dell'arte, ma non si vede»,
e, a leggerla in quanto poesia «si sente il suo fremito, s'intuisce l'interno principio che mette in moto il nostro animo
e in noi rivive», senza che la si possa «guardare in faccia ,
fissare, pensare, farne materia di esperienza pensata», sì che
di essa deve dirsi che è «un nescio quid, un Deus absconditus
e presente, che s'impadronisce di noi, e muove la nostra lingua e ci trascina con quella forza misteriosa che suscita i sogni che tentano talvolta la nostra fede come divine rivelazioni o veraci segni premonitori» . Ma, non appena il controllo sia avvenuto e abbia, per così dire, avuto luogo, essa,
l'ispirazione, è ormai pensiero; e Gentile infatti la qualifica
in termini non equivoci di «autocritica» e perciò di esplicita
autocoscienza. Se quindi, posto il concetto della «inattualità
dell'arte» in quanto «pura arte», il momento che viene definito «classico» non sta più all'interno dell'arte, ma esce invece da essa per innalzarla alle regioni del logo, della rifles26 G . G E NTILE , La filosofia dell'arte, Firenze 1937, pp. 122-27. E d r.
ivi, p. 123: « un' arte tutta classica sarebbe frigida, vuota, un'ombra senza
corpo. Un'arte tutta romantica sarebbe un corpo sformato senza nessuna linea. Due assurdi ».
GLOSSE MARGINA LI DI G . GEN TILE A LI BRI DI B. CROCE
567
sione e dell'autocritica (perché, in effetti, quel momento è
esso stesso logo, riflessione, autocritica), ecco allora che il
suo nesso con il «romanticismo» si spezza e deve spezzarsi;
e sarà quest'ultimo, non l'altro in sintesi con lui, a costituire
da solo l'arte in quanto arte, quel nescio quid, quel Deus absconditus che è presente, ma non può tuttavia esser colto dal
pensiero, e che, con la forza trascinante e pur ambigua del
«sogno», tenta la nostra stessa fede. In tal modo, quindi,
l'unità del classico e del romantico, anzi del romantico e del
classico, si scinde insieme allo scindersi e «non potersi possedere», che dell'arte è, per Gentile, la vera (ed ambigua)
essenza. E in questo senso è da dire che, al di là della sua
pretesa (che, come si vede, non ha alcun fondamento ed è
anzi schiettamente autocontraddittoria) di essere in linea
con le proposizioni di Croce, quella scissione è invece coerente in sé, ossia con la concezione generale che la sottende,
e in forza della quale, quando c'è, l'arte non può, in quanto
tale, esser colta dal pensiero (non può diventare, dice il filosofo attualista, «materia di esperienza pensata»), e quando
può esser colta dal pensiero, come arte non c'è più, non è
attuale, perché è il pensiero che ormai domina risolvendola
senza residui nel suo ritmo e nella sua dispiegata essenza.
Che altro aggiungere, a questo riguardo, se non che il problema che qui è venuto delineandosi può trovare la sua risoluzione solo nell'ambito di un'analisi che scenda a fondo
nelle ambigue «profondità» del sentimento e del suo problematico nesso con il pensiero in atto? Ma, senza la pretesa di
neppure delineare, di questa analisi, i termini essenziali, è
pur chiaro che il «dualismo», che sempre Gentile pretese di
ritrovare alla radice del pensiero crociano, si era insinuato, e
in modi assai insidiosi, nella sua stessa filosofia: perché
niente meno che «dualistica» è la situazione in forza della
quale, per un verso l'arte è «inattuale» nell'attualità del
logo, e per un altro è pur sempre presente, come «inattuale» (il sentimento, il nescio quid, il deus absconditus) in quell'attualità. La quale non sarà dunque tanto «attuale» da risolvere senza residui quella «presenza» (che è altresl, inevitabilmente, un'origine) , e non sarà tanto «presente» a sé
medesima (ossia, ancora una volta, sul serio attuale) da im-
568
GENNARO SASSO
pedire che quel fremito misterioso, quel nescio quid, quel
deus absconditus, che dell'arte sono come l'indizio e il sintomo indiretto, sussistano tuttavia, irrisolti o non a pieno risolti, nel fondo oscuro di ciò che, per definizione, dovrebbe
invece esser tutto risplendente della luce assoluta dell'autocoscienza.
Così, attraverso la rapida analisi di questa sottile incongruenza, si giunge nei pressi di uno dei nodi più problematici dell'attualismo: il nodo del sentimento (che non è, per
Gentile, materia dell'arte, ma l'arte stessa in quanto immediatezza) . E intorno a questo motivo sarebbe interessante
fermarsi, perché è a partire di qui che può forse trovarsi la
via che conduce a scoprire l'intima tensione (Gentile direbbe
il ~<segreto») di questa filosofia . Senonché, l'analisi di questa
essenziale articolazione dell'attualismo andrà bensì affrontata, ma in altra sede, e con la necessaria cura. Alla natura
di queste pagine basterà invece l'osservazione che gli appunti presi in margine al Breviario di estetica non ebbero sistematico svolgimento se non nel 1928, quando Gentile
pubblicò il saggio che specificamente dedicò al « sentimento» . Fino a quel momento, egli aveva bensì tentato di
esporre le linee del suo pensiero (si pensi al primo volume
del Sommario di pedagogia e alla Teoria generale dello spirito
come atto puro) , senza per altro riuscire a individuare bene
il significato della questione, o dedicando ad essa pochi e
sporadici accenni: pochi e sporadici, ossia non bene connessi
nel circolo e con il circolo concettuale che gli si era costituito nella mente. Da questo punto di vista, con la testimonianza che offrono di un non breve travaglio critico, le
glosse che qui sono state pubblicate e passate in rapida rassegna riusciranno senza dubbio di notevole interesse agli occhi di chi, del pensiero di Gentile, sia interessato a mettere
in luce non solo gli svolgimenti espliciti, ma altresì quelli impliciti, ossia più nascosti e segreti. E dopo aver ribadito
l'importanza di queste annotazioni marginali, e sopra tutto
di quelle che sottolineano l'universalità del sentimento in
quanto tale, asteniamoci dal commentarle minutamente, restringendoci a notare che quando, a proposito della serietà
dell'arte, Gentile propose che tuttavia si distinguesse fra se-
GLOSSE MARG INA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
569
rietà e serietà, fra Parini e Berni, chi conosca lo stile e l' animus della sua critica subito intenderà che qui non è in gioco
soltanto la disposizione culturale che lo condusse, per esempio, a sottolineare con particolare energia il manzoniano
«prender le cose sul serio» 27 , ma, a guardar bene, la sua
stessa interpretazione del Rinascimento e, in essa, l'incessante polemica contro il letterato petrarchesco («dal Petrarca
potrà venire lo spirito del grande Rinascimento, che si riverserà splendente di fantasmi immortali sull'Europa meravigliata; ma verrà anche l'arida progenie del letteratume accademizzante, classicizzante, linguaiolo, rettorico, erudito,
anemico dell'età barocca») 28 .
Non si deve credere, per altro, che solo gli scritti di estetica attirassero l'attenzione di Gentile. Fra il 1912 e il 1913,
nei mesi stessi in cui venne maturandosi e quindi svolgendosi
la celebre polemica pubblica che, per iniziativa di Croce, i
due filosofi affidarono alle pagine della Voce prezzoliana,
Gentile segul con vivo interesse la pubblicazione delle memorie che poi, come altrettanti capitoli, andarono a costituire la
parte teorica della Teoria e storia della storiografia. E a proposito delle Questioni storiografiche (coincidenti con i capitoli
che vanno da quinto al nono del libro definitivo) in data 20
febbraio 1913 gli scriveva per «congratularsi» della «nuova
bella memoria [... ], che mi è piaciuta molto, quantunque in
alcune parti eccessivamente stringata» . «Vuol dire - aggiungeva - che presto vi tornerai sopra e svilupperai certi concetti. Importanti assai i primi due capitoli, che certamente
vorrai riprendere e trattare più ampiamente, perché sono pregni di conseguenze filosofiche, nuove e di sommo interesse.
27 È il Leitmotiv della conferenza manzoniana del 1923 (la si veda in
Manzoni e Leopardi, Milano 1928, pp . 3-30) .
28 Sono parole del saggio Umanesimo e incunaboli (1937), in Il pensiero
italiano del Rinascimento, Firenze 1940, p. 12 ; e il motivo che vi è racchiuso
meriterebbe un'indagine specifica, la quale mirasse, anzi tutto, a stringere il
nesso Rinascimento-Risorgimento (e quindi, subordinatamente, artistapoeta, artista-uomo, etc.) con più forza e consapevolezza di quanto non risulti da certi studi recenti sulla storiografia gentiliana.
570
GENNARO SASSO
Sono perfettamente d'accordo con te nella critica dell'Idea
hegeliana e Provvidenza vichiana. Io mi vengo sempre più
persuadendo nella convinzione che Hegel non scoprì il vero
principio dell'immanenza e la sua idea rimase però, suo malgrado, trascendente. E però egli potè sopravvalutare del tutto
erroneamente la dialettica del Sofista e del Parmenide nella
Storia della filosofia . Vedrai come mi sono incontrato con te
in questa critica in uno scritto sul Metodo dell'immanenza» 29 .
In effetti, a parte il giudizio sulla sopravvalutazione hegeliana dei due grandi dialoghi platonici (a proposito del
quale è per lo meno sintomatico che né qui né nello scritto sul
metodo dell'immanenza si ricordasse la fondamentale critica
che, nella Scienza della logica e nella stessa Storia della filosofia, era stata rivolta a Platone e alla costruzione «per generi» della dialettica 3°), Gentile si trovava allora nel suo ti-
29
Gentile a Croce , 20 febbraio 1920 (Lettere, IV , 225-26).
Per la critica rivolta a Hegel e alla sua concezione della dialettica,
dr. G. GENTILE, Il metodo dell'immanenza (1913) in La riforma della dialettica hegeliana , Firenze 1954, pp. 226-29. Per la critica hegeliana della dialettica platonica, che Gentile non tenne specificamente presente né parlando di Platone (Il metodo dell'immanenza cit., pp . 198-202) né parlando di
Hegel, dr. sopra tutto, G .W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik, hrsg. von G.
Lasson, Hamburg 1967, I, 105-106, passim , e Lezioni sulla storia della filosofia, tr . it ., Firenze 1932, II, 205-27. Non è questa la sede per trattare un
simile argomento. Ma per quanto riguarda Hegel, e cioè le Noterelle di critica hegeliana che Croce inserì nella «Critica» del 1912 (e quindi nel Saggio
sullo Hegel, Bari 1913, pp . 177-205), dr. Gentile a Croce, 19 agosto 1912
(« di particolare interesse, come puoi immaginare, mi sono riuscite le tue
note di filosofia hegeliana. In quella sul cominciamento mi pare d'essere interamente d 'accordo con te. Per la filosofia della natura credo che bisogna
andare un po' più in là e non restare alla semplice negazione e al momento
polemico. E più in là si deve trovare il valore filosofico della scienza naturale, come s'è trovato il valore filosofico della storia (perché l'una e laltra
sono un solo processo»: Lettere, IV, 181), e quindi Croce e Gentile, 21 agosto 1912 («ho piacere che sii d'accordo con me circa la questione del cominciamento. Quanto alla filosofia della natura, avrai notato che io do un
certo avviamento per la sintesi di essa con la filosofia e con la storia. Ma
circa il modo di compiere questa sintesi, ci sarà da discutere e da cercare
ancora»: Lettere a Giovanni Gentile , p. 426). Lo scambio epistolare è, come
si vede, particolarmente interessante, su questo punto cruciale : e non solo
perché Gentile si dichiarasse solidale con la trattazione crociana del « co>O
571
GLOSSE MARGINA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
pico stato d'animo, consistente, fra sfida e speranza, nell' attendere il pensiero dell'amico al decisivo punto d'approdo
della estrema coerenza attualistica. E non solo questo stato
d'animo è evidente nell'insistenza con la quale egli lo pregò di
ritornare con nuovi svolgimenti sulle «parti eccessivamente
stringate» della trattazione, ma altresì nel richiamo esplicito
di quel suo scritto sul metodo dell'immanenza che, fra i saggi
filosofici anteriori alla Teoria generale dello spirito, è forse il
più importante, per l'estrema energia con la quale, dal punto
di vista rigoroso della teoria dell'atto puro, e dell'immanenza
che, essa sola (a giudizio del suo autore), realizza e può realizzare, ricostruisce in iscorcio l'intera storia della filosofia .
Di questo atteggiamento, che troverà forse la più matura
espressione nella Nota che, nella terza edizione della Teoria
generale, egli aggiunge al capitolo decimoterzo, L 'antinomia
storica e la storia eterna, sono altresì documento interessante
le poche glosse che Gentile segnò in margine alla prima ediz10ne (1917) della Teoria crociana .
TSS 5
Se, invece, ci atteniamo alla storia reale ,
alla storia che realmente si pensa, nell'atto
che si pensa, sarà agevole scorgere che essa è
perfettamente identica alla più personale e
contemporanea delle storie.
Il
TSS 10
La storia è la storia viva, la cronaca la
storia morta; la storia, la storia contemporanea, e la cronaca, la storia passata; la storia è
precipuamente un atto di pensiero, la cronaca
un atto di volontà. Ogni storia diventa cronaca quando non è più pensata ...
11
+
minciamento assoluto», e quindi con la durissima critica rivolta a B. Spaventa, ma essenzialmente per le dichiarazioni relative al problema della
«scienza», che i due filosofi giudicavano allora bisognevole di nuove ricerche (che poi, in realtà, o non vennero o, se vennero, non modificarono il
quadro fissato in precedenza).
572
G ENNARO SASSO
TSS 105
La storia si pensa giudicandola, con quel
giudizio che non è, come si è visto, la reazione del sentimento, ma l'intrinseca conoscenza dei fatti. E qui la sua unità con la filosofia si scorge in modo sempre più concreto, perché, quanto meglio la filosofia approfondisce e affina le sue distinzioni, tanto
meglio approfondisce e affina il particolare; e
quanto più fortemente abbraccia questo,
tanto più fortemente possiede i suoi propri
concetti. Progresso di filosofia e progresso di
storiografia vanno insieme, indissolubilmente
congiunti.
ma il particolare storico non è meno un
distinto, termine di
distinzione filosofica .
I distinti come categorie sarebbero sempre l'universale
TSS 126
Nel corso delle precedenti dilucidazioni
teoriche, abbiamo negato cosl l'idea di una
storia universale (nel tempo e nello spazio),
come quella di una storia generale (dello spirito nella sua indiscriminata generalità o unità), e fatto in cambio valere l'opposta duplice
sentenza: che la storia è sempre particolare,
ed è sempre speciale; e che queste due determinazioni costituiscono per l'appunto l'effettiva e concreta universalità, e la effettiva e
concreta unità .
Il
? cfr. p. 107
TSS 136
La filosofia, in conseguenza della nuova
relazione in cui è stata posta, non può essere
necessariamente altro che il momento metodologico della Storiografia: dilucidazione delle categorie costitutive dei giudizi storici ossia
dei concetti direttivi dell'interpretazione storica .
TSS 140
Se, infatti, la metodologia toglie la materia dei suoi problemi dalla storia, la storia,
definizione della filosofia, ma non battezzabile come ' metodologia'
573
GLOSSE MARG INALI DI G . GEN TI LE A LI BRI DI B. CROCE
nella sua modesta ma concretissima forma di
storia di noi medesimi, di ciascuno di noi
come individuo, ci mostra che noi trascorriamo di problema in problema filosofico particolare sotto la sollecitazione della nostra
vita vissuta, e, secondo le epoche di questa,
uno o altro gruppo o classe di problemi tiene
il campo o ha per noi interesse preponderante. E se guardiamo al più largo ma meno
determinato spettacolo che offre la cosiddetta
storia generale della filosofia, osserviamo il
medesimo: che cioè, secondo i tempi e i popoli, ora i problemi filosofici della morale ora
quelli della politica ora della religione ora
delle scienze naturali e delle matematiche
hanno avuto le prime parti ...
Il cfr. pp. 88 e 145
TSS 142
Tale disposizione[' proveniente dalla vecchia concezione metafisica dell'ufficio della
filosofia'] ingenerò pessime conseguenze nelle
trattazioni filosofiche della scuola hegeliana,
nelle quali di solito quegli scolari (diversamente dal maestro) mostrarono di avere poco
o punto ricercato e meditato nei problemi
delle varie forme spirituali, accogliendo volentieri intorno ad esse le opinioni volgari...
Vero
TSS 143
Sicché la filosofia definitiva, contenuta
come esigenza nella concezione del problema
fondamentale , contrasta con l'esperienza storica.
nessuna è definitiva,
ma tutte sono pure
definitive
TSS 143
Ogni filosofia è definitiva bensl pel problema presente che risolve, ma non già per
quello che nasce subito dopo, a piede del
primo, e per gli altri che nasceranno da questo. Chiudere la serie varrebbe tornare dalla
filosofia alla religione e riposarsi in Dio.
Il
574
GENNA RO SASSO
TSS 145
... e il filosofo in generale, il purus philosophus non trovi più luogo tra le specifica-
Il
zioni professionali del sapere.
Ebbene, intorno a queste postille gentiliane, veloci e sommarie ma pur acute nel sottolineare i punti di più vivo interesse ed anche di più profonda tensione del rinnovato filosofare crociano sul tema della storia, che cosa dire? Nel fatto,
esse sono così rapide nell'enunciazione e così ricche di conseguenze nell'ambito del pensiero che le sorregge, che farne la
storia significherebbe ripercorrere una linea interpretativa
che, nel complesso, è ben nota, e troppo ampie considerazioni
invece richiederebbe se si intendesse, come per qualche verso
è necessario, rinnovarne e approfondirne i motivi. E perciò,
dopo aver rilevato che Gentile aveva ragione (sebbene fosse
troppo rapido e drastico nel formulare il relativo problema)
quando osservava che i distinti, in quanto categorie, sono
universali, e che invece ne aveva assai di meno, e alludeva a
un'aspra difficoltà là dove osservava che soltanto il particolare, in quanto particolare, può esser nota o strumento di distinzione; dopo aver avvertito che, dissertando intorno all'aporia storicistica del «definitivo» e del «non definitivo»,
egli non riusciva certo più persuasivo, o più rigoroso, del suo
amico; dopo aver notato che con le glosse che segnava in margine alla concezione della «filosofia come metodologia», ed
anche con le più distese argomentazioni che altrove ne trasse,
la teoria crociana non può esser compresa nelle sue ragioni, e
nel problema al quale mette capo, - dopo aver detto, dunque, quanto, rapidamente, c'era da dire, passiamo alle glosse
più interessanti che mai gli accadesse di dedicare a pagine
crociane: le glosse che ancora si leggono nella copia degli Elementi di politica, La terza, Bari 1925.
È ovvia avvertenza che, a questa data, siamo ormai post
res perditas, nel vivo della controversia che, se non aveva (almeno formalmente) ancora posto fine ali' amicizia, già aveva
per altro scatenato una tempesta che non si placò più negli
GLOSSE MARGINA LI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE
575
anni successivi, e che solo la morte violenta di Gentile
sembrò per un attimo placare nell'animo dell'amico che, più
vecchio, gli sopravviveva. Con il 1924 anche il carteggio, iniziato nel lontano 1896, era cessato, sebbene l'ultima lettera
che Croce inviò a Gentile esplicitamente negasse che con
quella egli intendesse dimittere amicitiam («ma io non ho mai
pensato a romperla con te, come tu dici» 3 1 ). Al di là della
31
L'ultima lettera inviata a Gentile, il 24 ottobre 1924, fu raccolta da
Croce in una «scelta di lettere» che egli mise insieme a «ricordo della sua
vita» durante il ventennio 1914-1935 (cfr. B. CROCE, Epistolario, Napoli
1967, I, 107: ma cfr. ora Lettere a Giovanni Gentile, pp. 670-71. E si veda,
ivi, pp. 118-21, la lettera che il 30 luglio 1925 egli scrisse, e non inviò, ad
un amico « sconosciuto», per ragguagliarlo delle ragioni che lo avevano indotto a rompere con il suo vecchio amico: se poi la lettera fosse scritta per
essere inviata o come pro memoria personale in forma di lettera, è una questione, in ultima analisi, irrilevante) . A proposito della «rottura» fra i due
filosofi, va anche ricordato che nella «Critica», 22 (1924) , pp. 51-55 , Croce
aveva pubblicato una recensione, secca senza dubbio ma non «ostile», del
II volume (non della « seconda edizione», come scrive il Dx LALLA, Vita di
Giovanni Gentile, p. 322) del Sistema di logica, uscito presso Laterza nel
1923 unitamente alla seconda edizione (ecco forse l'origine dell'equivoco)
del primo, il quale già aveva visto la luce sei anni prima, nel 1917 . A questa
recensione Gentile, che l'aveva annunziato, con parole ancora amichevoli, il
25 marzo 1924 (Lettere a Benedetto Croce , V, 430-32 ; e la replica di Croce,
il 27 marzo, Lettere, pp . 668-69), rispose con un articolo, Un altro giudizio
di B. Croce sull'idealismo attuale, «Giornale critico della filosofia italiana»,
5 (1924) , pp. 67-72, deciso e secco nella sostanza, ma pur commosso e sincero nell'augurio che, con Croce, a lui fosse ancora concesso di ricercare,
criticamente e autocriticamente, la verità. In effetti, anche Croce aveva
concluso la sua recensione esprimendo il convincimento che una vera collaborazione intellettuale richiedesse piuttosto contrasti che non una concordia
« degna di Bouvard e Pècuchet» (i quali, per altro, talvolta si trovavano in
disaccordo anch'essi!). Ma il tono di questa conclusione, poi soppressa (insieme all'esordio) nella ristampa che della sua recensione Croce fece nelle
Conversazioni critiche, Bari 1932, IV, 297-304 , è freddo , e ha quasi l'aria di
un'excusatio . La rottura non avvenne, per altro, a causa dei contrasti teorici,
che forse avrebbero raffreddato i rapporti senza distruggere l'amicizia, ma
per le note ragioni politiche, che esasperarono quei contrasti, innalzandoli
sul piano dell'insanabile conflitto fra concezioni della vita. Per i documenti
della polemica politica di quei due anni cruciali, 1924-1925 , si vedano B.
CROCE, Pagine sparse, Bari 1960, II, 475 sgg., e G. GENTILE, Che cosa è il
fascismo , Firenze 1924 [ma 1925], pp. 153 sgg. Altri testi saranno citati in
seguito.
576
GENNA RO SASSO
stessa polemica filosofica, parole molto gravi erano state
scambiate in pubblico tra Gentile che, anticipando un tema
che sarebbe stato rozzamente ripreso nel secondo dopoguerra,
parlava di Croce come di uno schietto fascista inconsapevole 32, e quest'ultimo che, con estrema durezza, lo accusava di
alterare in tal modo ogni serio concetto che si fosse mai
messo innanzi nell'interpretazione della più recente storia
d'Italia. Si aggiungano le polemiche che, senza dar prova di
eccessiva discrezione, gli scolari 33 di Gentile accendevano ad
ogni occasione, esacerbando gli animi e rendendo sempre più
difficile ogni tentativo che altri si proponesse di esperire allo
scopo di salvare, almeno, il salvabile. Ma sopra tutto si consideri la forza stessa delle cose, la violenza delle passioni e il
loro fatale trascendersi nella logica intrinseca ad una situazione in cui, ben al di sopra dei sentimenti personali, un assetto politico e sociale stava toccando il fondo della crisi e un
intero sistema di civiltà vacillava sotto i colpi dei vincitori. In
questa situazione, il tentativo che, a partire dal 1927, Adolfo
Omodeo aveva intrapreso ed eseguito con scrupolo, e con la
generosa illusione di riuscire a far passare indenni attraverso
quell'incendio almeno il rispetto reciproco dei due filosofi e le
loro formali relazioni, merita di esser ricordato come il documento esemplare non solo della crisi profonda che il progressivo distacco politico dal maestro, di cui ancora condivideva
32
GENTILE, Il liberalismo di B . Croce, « Epoca», 21 marzo 1925 , e poi
in Che cosa è i/fascismo, pp . 153-59. L'espressione citata nel testo è, ivi, p.
154. L'articolo crociano al quale Gentile qui risponde , comparve nel «Giornale d 'Italia », 12 marzo 1925, quindi nella «Critica », 23 (1925) , pp.
125-28 e, da ultimo, in Cultura e vita morale cit ., pp . 283-88. Alla rispos ta
gentiliana Croce replicò ancora nel « Giornale d 'Italia », 24 marzo 1925
(;Pagine sparse, II , 454-57), e Gentile ribatté nell'« Epoca» del 25 marzo
1925 ( ; Che cosa è il fascismo, pp. 159-61).
H Le polemiche degli scolari di Gentile nei confronti di Croce sono, a
partire sopra tutto dal 1923 -1924 , un fa tto pressoché costante nella storia
delle relazioni fra i due filosofi: cfr . la lettera di A. Omodeo a Gentile, 22
dicembre 1923 , in Carteggio Gentile-Omodeo , Firenze 1975 , p. 294. E cfr.
del resto anche U. SPIRITO, I cinquant'anni del « Giornale critico della filosofia italiana » , « Quaderni » della Biblioteca filosofica di Torino, 32 (1969),
pp . 7- 9. Si veda, in genere, l'ampia document azione raccolta da R. CoLAPIETRA, Benedetto Croce e la politica italiana, Bari 1970, II , 561 sgg., passim.
GLOSSE MARGIN ALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
.577
il pensiero filosofico, gli scavava nell'animo, ma altresl della
vanità degli sforzi che, in tempi come quelli, uomini onesti e
disinteressati compiono per impedire che la politica consumi
intero il suo dramma e, in esso, vecchie solidarietà, affetti,
speranze di pace. Era inevitabile, dunque, che la «tregua
d'armi» 34 , che Omodeo aveva richiesta alle due parti, non
potesse essere rispettata né dall'uno né dall'altro filosofo.
Non poteva essere rispettata da Gentile, che nel vecchio
amico di tante battaglie, ora attestato su posizioni diverse
dalle sue, e fin opposte, vedeva e sentiva come un monito
continuo, un richiamo alla buona compagnia per la quale era
nato; e ne era perciò indotto, per contrasto, a esacerbare il
tono della polemica e a far vibrare con maggior forza la voce
interna di un convincimento, che nessuno certo si permetterà
di discutere nel suo fondamento morale, ma che pure non poteva essere privo, nel suo fondo oscuro, di dubbi e di intimi
motivi di lacerazione. Ma, per altro verso, la tregua non poteva essere rispettata da Croce: il quale, in una zona segreta e
profonda della sua coscienza, pensava bensl che, forse, svoltesi le cose secondo la loro logica intrinseca, il fascismo
avrebbe finito per dissolversi e Gentile per riconoscere di
nuovo i suoi; ma, d'altra parte e nello stesso tempo, non poH La proposta di una « tregua d 'armi» è contenuta nella lettera a Gentile del 27 ottobre 1927, Carteggio Gentile-Omodeo , p. 391, e fu accettata
da Croce (ivi, p. 392) e da Gentile nella lettera a Omodeo del 28 ottobre,
Carteggio, p. 393 . La «tregua » naufragò definitivamente il 30 gennaio 1928,
quando Gentile scrisse a Omodeo (Carteggio, p. 397) per avvertirlo, con due
parole, di quel che Croce aveva scritto nella recentissima Storia d'Italia, a
proposito dell'idealismo attuale e del suo torbido mescolarsi nelle cose della
pratica. E Omodeo, il 1° febbraio dello stesso anno: « ho letto con dolore il
passo in questione, ma non le nascondo che con eguale dolore lessi tempo fa
un'invettiva contro i rammolliti e gli smidollati . Evidentemente il mio tentativo è fallito, e non si può fermare un cozzo deplorevole, ma inevitabile
finché si pongono avanti - come allora feci io - criteri d 'opportunità»
(Carteggio Gentile-Omodeo , p. 398). La vicenda fu poi rievocata, senza per
altro alcun accenno specifico alla proposta della «tregua d'armi», in A .
0MODEO , La collaborazione con Benedetto Croce durante il ventennio , « Rassegna d 'Italia », 1 (1946), p. 269 e ora in Libertà e storia. Scritti e discorsi
politici, Torino 1960, p. 491, dove è comunque durissimo il giudizio sulla
«scuola » gentiliana.
_J
578
GENNARO SASSO
teva non avvertire l'amarezza, il disinganno e anche il disgusto provocatigli dall'atteggiamento del suo amico, dal tono
baldanzoso e a tratti arrogante della sua polemica, nonché
dalla pretesa di continuo ribadita di esser lui, e lui solo, il
vero e unico interprete di quel che il pensiero crociano fosse
nella realtà, e al di là di ogni soggettiva illusione.
Avvenne cosl che quando nella Storia d'Italia (alla quale
egli cominciò a lavorare, come si apprende dai Diarii, il 18
giugno 1926) Croce giunse, nel capitolo decimo, a trattare
dell'opera sua, di quella del suo maggior collaboratore e dell'indirizzo variamente irrazionalistico preso a un certo punto
dal suo pensiero, che di recente si era infatti rivelato come un
«non limpido consigliere pratico» 35 , Gentile giudicasse
giunto il momento di rompere definitivamente la tregua che
l'Omodeo aveva proposta, accettando, ed inducendo ogni altro ad accettare come irreversibile, una guerra lunga e aspra .
«Avrai visto nell'ultimo libro del Croce - scriveva a Omodeo il 30 gennaio 1928 - come sia stata da lui osservata la
tregua da te invocata: e come sia quindi facile il silenzio.
Quell'uomo è accecato dall'orgoglio : da un orgoglio satanico.
Ed è diventato pericoloso come un cavallo sfuriato. Non si
può perciò non occuparsene» 36 . A sua volta, a Giovanni Laterza 37 che aveva tentato l'estrema mediazione, Croce scriveva duramente : «la frase non è modificabile, perché è giusta.
È strano che il Gentile si lamenti di cosa nota a tutti, e della
quale egli stesso ha data fresca riprova col suo discorso di otto
giorni or sono, che è parso a tutti un complesso di contraddizioni, un dire e un non dire , ossia proprio il contrario della
B. CROCE, Storia d'Italia dal 1871al1 915, Bari 1943 7 , p. 25 9.
Carteggio Gentile-Omodeo, p. 397.
37 Giovanni Laterza aveva ricevuto da Gentile una lettera, 27 gennaio
1928, nella quale erano contenute lamentele per la « frase equivoca, che è
una vera insinuazione maligna e spregevole contro di me » (il testo è in Mostra storica della Casa editrice Laten:a, Bari 196 1, p. 599; e l'editore aveva
cercato di operare , in extremis, una mediazione, la quale naturalmente falll,
come si vede dalla rispos ta di Croce, citata nel tes to.
>5
36
GLOSSE MARGINA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
579
limpidezza. Cerchi il Gentile di decidersi, diventi limpido, e la
mia frase non gli sarà più applicabile» 3 8 .
Ma nel 1925, quando Gentile si mise dinanzi al testo crociano della Politica ' in nuce ', che forse egli già aveva letto
nella Critica dell'anno precedente, la tregua delle armi non era
stata ancora proposta, e la polemica era per contro nel suo
pieno corso. E poi, in ogni caso, la tregua non è la pace; e nel
chiuso di una stanza da studio è inevitabile che dinanzi ad un
libro come quello di Croce, tutto risonante, nel profondo, dei
toni appassionati di una durissima polemica, l'animo sia indotto ad accettarla e ogni volontà diplomatica di non esasperarla ne sia invece travolta. Del resto che la Politica ' in nuce '
sia anche un documento di esplicita, o quasi esplicita, polemica antiattualistica, è cosa di cui, chiunque l'abbia letta con
un minimo d'attenzione, si sarà ben accorto. Esso culmina
nella distinzione, duramente ribadita, della politica dalla morale; riduce lo stato a un processo e a un intreccio di azioni
utili; con estrema decisione combatte contro le aberrazioni
dello «stato etico»; eleva al di sopra dello stato la moralità e
la storia, e in questa intende la vera concretezza dell'agire politico, che non è soltanto di coloro che «acconsentono» e dicono sì, bensì anche degli oppositori, degli uomini del dubbio
e della rivolta, degli intellettuali, come Croce li definisce, di
«tempra fine». E Gentile che, leggendo questo testo, meglio
di ogni altro era in grado di coglierne le più riposte sfumature
polemiche, non poteva non reagire subito, matita in mano, a
quelle forti provocazioni critiche. Le postille che, più intensamente che altre volte, egli segnò nei margini del saggio crociano, gli riuscirono perciò non solo vibranti di passione polemica, ma, come quelle che nascevano da una sfida esistenziale, oltre che teoretica, nutrite di particolare impegno filosofico ed esegetico. Fra le glosse che , nel corso degli anni, egli
dedicò ai libri del suo amico, sono queste, in effetti, le più
interessanti; e converrà perciò, dopo averle pubblicate, dedicare ad esse un breve commento .
38
Croce a G. Laterza, 29 gennaio 1928, Mostra storica cit ., p . 60.
580
GENNARO SASSO
EP 17
L'uomo (come sapevano e dicevano già
gli antichi) è un essere sociale o politico per
sua natura; e lo Stato (come diciamo noi moderni) non è un fatto, ma una categoria spirituale .
Se lo Stato è categoria, si distingue dal/'azione politica, con
cui si identifica a p.
12.
EP 19
Il dilemma se lo Stato si fondi sulla forza
o sul consenso, e il quesito se legittimo sia lo
Stato dovuto alla forza o solo quello dovuto
al consenso, vanno messi in compagnia con la
distinzione di sopra ricordata tra Stato e governo; perché, in verità, forza e consenso
sono in politica termini correlativi, e dov'è
l'uno, non può mai mancare l'altro. Consenso
(si obietterà) 'forzato'; ma ogni consenso è
forzato, più o meno forzato, ma forzato, cioè
tale che sorge sulla ' forza ' di certi fatti, e
perciò 'condizionato ': se la condizione muta,
il consenso, com'è naturale , viene ritirato,
scoppiano il dibattito e la lotta, e un nuovo
consenso si stabilisce sulla condizione nuova.
Non c'è formazione politica che si sottragga a
questa vicenda: nel più liberale degli Stati
come nella più oppressiva delle tirannidi, il
consenso c'è sempre, e sempre è forzato , condizionato e mutevole. Se cosl non fosse, mancherebbero insieme e lo Stato e la vita dello
Stato.
Ma se l'azione politica è la stessa azione
del singolo, che è
questo Stato che mancherebbe se ... ?
EP 22
La sovranità, in una relazione , non è di
nessuno dei suoi componenti singolarmente
preso, ma della relazione stessa.
che cosa è questa relazione, posto il nominalismo di pp. 11 12? O anche in
quelle pagine il processo è qualcosa di
interindividuale?
G LOSSE MARGI NALI DI G . GEN TIL E A LIBRI DI B. CROC E
581
EP 22
E se la sovranità è in ogni parte della relazione nec cubat in uffa, cade anche, come
destituita di valore speculativo, la divisione
degli Stati secondo le persone che esercitano
la sovranità, e anzitutto la celebre tripartizione in monarchia, aristocrazia e democrazia.
lo Stato è relazione?
Ma allora la legge
non
s'immedesima
con !'operare effettivo del singolo.
EP 24
Il presupposto di questa [la teoria egualitaria] è la eguaglianza degli individui, messa a
fondamento degli Stati: eguaglianza che non
sarebbe pensabile se non nella forma di autarchia, del pieno appagamento dell'individuo in sé medesimo, che non ha nulla da
chiedere all'altro, al quale è eguale; e perciò
in una forma cosl fatta, che non può valere a
fondare lo Stato, ma per contrario ne mostra
la superfluità, essendo, in tale ipotesi, ogni
individuo uno Stato a sé.
Ogni individuo è
uno Stato a sé. Lo
Stato è relazione
(Dio , Storia, Idea) .
Questo è Hegel.
EP 32
Poiché lo Stato veniva inteso [da Hegel e
dagli hegeliani] come la vita morale, la concretezza stessa della vita morale , era affatto
conseguente innalzarlo al fastigio sul quale il
Kant aveva collocato la legge morale e proporlo alla medesima reverenza e venerazione.
Ma l'errore di quei dottrinari consisteva, e
consiste, per l'appunto nell'aver concepito la
vita morale nella forma, a lei inadeguata,
della vita politica e dello Stato.
EP 33
Ma la vita morale abbraccia in sé gli uomini di governo e i loro avversari, i conservatori e i rivoluzionari, e questi forse più degli altri, perché meglio degli altri aprono le
di quale Stato? Se lo
Stato s'intende come
anche il Croce !'intende a p. 24, no:
perché oltre Dio o la
Storia non c'è altro.
582
G ENNARO SASSO
vie dell'avvenire e procurano lavanzamento
delle società umane . Per essa non vi sono altri rei che coloro i quali non si sono ancora
elevati alla vita morale; e spesse volte loda e
ammira e ama e celebra i reietti dai governi,
i condannati, i vinti, e li santifica martiri dell'idea. Per essa, ciascun uomo di buona volontà serve alla causa della cultura e del progresso a sua guisa, e tutti in concordia discorde .
ma lo Stato comprende gli uomini di
governo e gli avversari perché coincide
con la relazione, la
sintesi. Bisognerebbe
dimostrare che gl'intellettuali di fine
qualità siano fuori
della sintesi.
Gentile alla fine di EP 35 :
In tutti questi 2 primi capitoli giuocano due concetti diversi dello
Stato; una volta inteso come governo ( = governanti) e un'altra come
relazione e storia (governanti e governati, e rapporti internazionali).
Per uscir dall'astratto nominalismo, !'A . si a/ferra al 2° concetto. Per
combattere l'eticità dello stato, si afferra al 1°.
EP 46
Ma quando i nomi si trattano come
nomi, e si rispettano anche ma come nomi, e
nei partiti si ricerca e si affisa il loro essere
storico, e gli individui che li compongono e li
guidano, questi giochetti di reciproca conversione, questi sofismi sono impediti o resi
vani, perché si ha allora dinanzi la realtà dei
vari partiti, che è diversità di sentimenti, di
temperamenti, di precedenti, di svolgimento
mentale, di cultura, di educazione, di vocaz10ne.
EP 66
La durezza e l'insidiosità, inevitabili
nella politica e che il Machiavelli riconosceva
e raccomandava pur provandone a volte nausea morale, vengono spiegate dal Vico come
parte del dramma dell'umanità, che in perpetuo si crea e ricrea; e sono riguardate nel loro
duplice aspetto di bene reale e di male apparente ...
qui si torna al nominalismo
583
G LOSSE MARG INA LI DI G. GEN TILE A LIBR I DI B. CROCE
EP 72
Ciò che noi abbiamo chiamato vita politica e Stato in senso stretto o in senso proprio, corrisponde ad un dipresso a quello che
lo Hegel chiamava ' società civile' (burgerliche
Gesellschaft) e che comprendeva non solo
l'operosità economica degli uomini, la produzione e lo scambio delle merci e dei servigi,
ma anche il diritto e l'amministrazione o governo in base alle leggi.
EP 100 39
Da questi difetti di teoria e da queste angustie di contingenza la storia morale o eticopolitica si deve disciogliere, correggendo sé
stessa e concependo come suo oggetto non
solo lo Stato e il governo dello Stato e
l'espansione dello Stato, ma anche ciò che è
fuori dello Stato, sia che cooperi con esso, sia
che si sforzi di modificarlo, rovesciarlo e sostituirlo.
EP 105-106
Sol che, al modo stesso nel quale si è disopra ammonito a non scambiare la vita etico-politica o statale, che è oggetto della storia, con lo Stato come vien concepito dai
meri politici e per fini politici o giuridici, bisogna pur raccomandare di non prendere la
'religione ' nel significato materiale degli
adepti delle varie religioni .. .
p. 72.
Ripercorrendo nel loro insieme le glosse che sono state
qui su pubblicate, è facile vedere che due sono le preoccupazioni che Gentile vi esprime. La prima è di controbattere il
39 Questo testo, e quello successivo, appartengono al saggio Storia economico-politica e storia etico-politica , che Croce aveva incluso nella riedizione in volume degli Elementi di politica.
584
GENNARO SASSO
giudizio che nel testo di Croce corre netto da una capo ali' altro della trattazione, e che consiste nel restringere, al di qua
di ogni limite in precedenza fissato, l'ambito spirituale dello
stato, il suo valore e la sua importanza per la vita etica e culturale. E questa è, si direbbe, la preoccupazione più ovvia, e
che, malgrado i motivi filosofici che pur la sottendono, più
di ogni altra si rivela legata ali' attualità del contrasto politico allora in atto, su questo tema, tra fascisti e antifascisti.
Quel contrasto, che in atto era in realtà da tempo, proprio
nelle settimane in cui, con ogni probabilità, Gentile leggeva
e postillava la memoria crociana sulla «politica», stava impegnando i due filosofi in uno scambio piuttosto aspro di opinioni e di accuse. Ebbene, giova, da questo punto di vista,
osservare che se, in pubblico, Gentile non tralasciava occasione che comunque gli consentisse di far vedere come, bene
al di là dei suoi soggettivi convincimenti, anche Croce fosse
in realtà solidale con il nuovo accento che il fascismo aveva
posto sulla classica idea liberale dello stato etico, in privato,
ossia nelle glosse che scriveva per suo stretto uso personale,
questo atteggiamento è assai meno vivo e presente, e in suo
luogo si nota piuttosto la preoccupazione di dimostrare contraddittoria l'idea della libertà e del dissenso, quella cioè
che, nella Politica 'in nuce ', costituisce una delle dimensioni
essenziali della stessa relazione, che l'una all'altro stringe la
«forza» e il «consenso». Il quale è «forzato», a giudizio di
Croce, perché sorga sulla «forza» di certi fatti . Ma i fatti
sui quali sorge sono tanto la realtà, che si accetta, dello
stato, quanto la realtà della sua non accettazione da parte
della coscienza etica e politica; sì che, sempre «forzato» e,
in questo senso, «condizionato», il consenso è altresì perennemente «mutevole», viene dato e poi anche ritirato, e chi
lo ritira e lo nega non è meno reale e meno «politico» di chi
lo dà e lo conferma. Se quindi, in vista del carattere sempre
«consensuale» degli stati - dei più oppressivi come dei più
liberali - , si argomentasse che ad essi mai potrebbe negarsi
il predicato della eticità, l'obiezione di Croce sarebbe che
questo non è che un sofisma, perché non nello stato in
quanto tale, ossia nella consolidata relazione della forza e
del consenso, consiste l'eticità, bensì al contrario nella vigile
GLOSSE MARG INA LI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE
585
coscienza dell'uomo, nel cui interno dev'essere ricercato il
criterio vivente del consenso e quindi, in ultima analisi,
della moralità. Di questo mobile carattere del «consenso»
crociano, Gentile si era reso ben conto; e che poi, anche
nelle glosse polemizzasse contro il concetto che il suo amico
ne aveva delineato, significa non che negasse la peculiarità
di quella delineazione, ma al contrario che, sforzandosi di
demolirne il fondamento, la riconosceva diversa dalla sua
propria.
In questo senso, dunque, Gentile si mostra, nelle glosse,
alquanto diverso da come invece appariva e comunque cercava di apparire in pubblico. Ed anche un altro aspetto della
polemica pubblica qui dileguava o perdeva molto del suo mordente specifico: laspetto che può individuarsi nell'insistenza
con la quale egli aveva a più riprese osservato come gli riuscisse incomprensibile lostilità dichiarata al fascismo da uno
scrittore che sempre si era distinto per il vigore dei suoi convincimenti antigiusnaturalistici, antidemocratici e antimassonici, e, d'altra parte, per lo schietto apprezzamento della
«forza» teorizzata da Machiavelli e da Marx come lessenza
stessa della storia politica e sociale 40 . Come poi Gentile potesse metter d'accordo queste due tesi - in forza delle quali
Croce avrebbe dovuto dichiararsi fascista a) perché antidemocratico assertore della forza , e b) perché autentico liberale,
non insensibile perciò alla lezione hegeliana e spaventiana
dello «stato etico» che suppone bensì la 'forza ', ma, almeno
a parole, come forza dello spirito - , è un altro discorso, che
converrà, se mai, svolgere altrove . Ma, avesse o no torto nel
ragionare così, è chiaro che queste tesi della sua polemica
pubblica non si riflettono, o si riflettono in modo assai pallido, nella sua lettura privata. Ed ecco, dunque , che nella sua
privata nota di lettura proprio il maggiore autore della tesi relativa al fascismo ante litteram di Benedetto Croce, negava
questa tesi, o se ne dimenticava, o comunque non la confermava. Ecco altresì che proprio lui, Gentile, che per primo
°
4
Cfr ., essenzialmente, G ENTILE, Il liberalismo di Benedetto Croce
(1925), in Che cosa è il fa scismo cit ., pp . 158-59.
586
GENNA RO SASSO
l'aveva formulata, smentiva, suo malgrado, la verità della tesi
che tanti pubblicisti fascisti allora sostenevano intorno al carattere (non antifascista) della relazione stabilita da Croce fra
il consenso e la forza 41 .
L'altra preoccupazione è meno ovvia, più interessante e
meritevole perciò di attenzione. Se affrettata e, in ultima
analisi, verbalistica si rivela la glossa nella quale Gentile
obiettò che, in quanto «categoria», lo stato deve distinguersi
dall'azione politica nella quale invece Croce pretendeva di risolverlo (e si dice affrettata e verbalistica, perché è fin troppo
ovvio che qui egli aveva in mente un concetto della categoria
che poco ha a che vedere con quello che, fin dai tempi della
Filosofia della pratica, era stato elaborato), ben diversa penetrazione mostrano le altre. Senza coglierne il significato complessivo e senza svolgere l'analisi fino alle conseguenze
estreme, Gentile aveva, nell'insieme messo l'occhio su un
nesso essenziale di pensieri. È vero, infatti, che per Croce lo
stato si risolve nella concretezza dell'azione politica, e che
questa non potrebbe non esser sempre «individuale» senza
perciò cessare di essere concreta. Ma è pur vero che lo stato
è, per un verso un processo di azioni utili, e quindi una «relazione», mentre, per un altro, è azione individuale, ed è relazione solo per ciò che, senza bisogno di presupporre una
pluralità di soggetti, racchiude nel suo orizzonte (materia e
forma) il carattere della relazionalità. Si aggiunga che se
l'azione individuale è colta una volta nel processo al quale appartiene, e un'altra nella relazione che stabilisce con la sua
propria struttura di azione, è poi anche inevitabile che, in en41
Gli Elementi di politica ebbero, al loro apparire in volume (1925) ,
notevole fortuna di recensioni e di discussioni, la cui storia non è stata ancora ordinatamente raccontata (forse perché la qualità della maggior parte di
quei contributi, assai scadente, ha avvilito l'estro degli studiosi di oggi!). Ad
alcuni di quegli interventi (senza per altro nominarne gli autori) Croce replicò in una noterella, La politica dei non politici, «Critica », 23 (1925), pp .
190-92 (=Cultura e vita morale, pp. 289-92). Ma, per l'analogia dell'argomento, si veda anche Fissazione filosofica , già pubblicata nella « Stampa» del
16 luglio 1925, quindi nella «Critica », 23 (1925) , pp. 252-56 ( = Cultura e
vita morale, pp. 293-300). Per l'indicazione di alcuni fra questi testi, cfr.
CoLAPIETRA, Benedetto Croce, II , 521 sgg.
GLOSSE MARG INA LI DI G. GEN TI LE A LIBR I D I B. CROCE
587
trambe le sue accezioni, essa si realizzi come azione individuale toccando altresl, in questo atto, il limite della sua trasfigurazione nella storia o, come nella Filosofia della pratica
Croce aveva detto, nell'accadimento. E la storia diviene in tal
modo il punto di vista veramente reale dal quale osservare le
azioni politiche in cui lo stato, per la sua concretezza, si risolve: sl che - ed è l'ultimo corollario che, in questa sede,
debba trarsi dall'analisi - quel punto di vista è storico non
meno che etico, perché l'essenza della moralità consiste nel
dare a ciascuno il suo, nel superare le opposte unilateralità,
ossia la colpa che, per la loro angusta particolarità, gli uomini
si pagano a vicenda nella concretezza del loro vivere e agire.
In altre pagine, alle quali ci permettiamo di rinviare il lettore che di quelle lette fin qui non si fosse ancora stancato 42 ,
è stata nostra cura ricostruire nei particolari questa complessa
vicenda di pensieri culminanti, attraverso tensioni e aporie,
nell'anzidetta trasvalutazione dello stato in etica e in storia.
E al riguardo non potrebbe dirsi che, nelle sue glosse, Gentile
le cogliesse, quelle tensioni, le indicasse con esattezza, quelle
aporie, e quindi assegnasse al tutto che ne consegue il suo autentico significato. Ma, parte per la via regia del suo ingegno
critico, parte per quella stessa della passione polemica, dalla
quale l'ingegno stesso era come acuito e, pur nell'inevitabile
unilateralità, reso più penetrante, a lui riusd comunque di
mettere in chiaro che il nodo del pensiero crociano era costituito non solo dalla vicenda delle due diverse «relazioni»
che, senza riuscire mai a coincidere, si inseguono nelle pagine
della Politica ' in nuce ', bensl anche da quel trasfigurarsi dello
stato in etica e in storia che, comunque egli lo intendesse, è
come il suggello di questa dottrina. Che poi, trascinato in
basso dalla medesima passione che, in certi momenti aveva
reso più penetrante il suo sguardo, egli quasi materializzasse i
termini del discorso di Croce e, con evidente sofisma, osser42
Alludo al mio Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano,
Napoli 1975, al quale mi permetto di rinviare per il chiarimento, o la miglior comprensione, di alcuni accenni contenuti in queste pagine, i quali
forse risulteranno, presi a sé, troppo sommari .
588
GENNARO SASSO
vasse che, se lo stato è una sintesi onnicomprensiva, non si
vede come possano starne fuori, opponendoglisi, gli intellettuali del dubbio e del dissenso , è cosa che, psicologicamente,
può comprendersi. Ma la circostanza non può far dimenticare
che, con le inevitabili cadute, le sue glosse contengono, per
alcuni aspetti, più verità di quanta sia data incontrarne in
certi contributi di allora e anche di oggi, celebri nei rispettivi
ambienti e cenacoli, e, non di meno, quanto angusti e meschini, se osservati con spregiudicatezza. Si vuol dire, con
questo, che l'interpretazione di Gentile è l'unica che, nei suoi
limiti possa considerarsi « vera»? Ma no, niente affatto, se ad
essa sfugge, come si è detto , la sintesi, il luogo ideale in cui le
tensioni e le aporie si annodano e fanno corpo e ritrovano il
loro significato. Si vuol dire soltanto che essa contiene, impliciti, elementi che, meglio di altri, si rivelano idonei a far
avvertire le tensioni e le difficoltà, e, attraverso questi, il
senso complessivo della teorizzazione crociana.
Ed anzi, non per dilettarsi con i paradossi, ma perché
sembra che le cose stiano proprio così, potrebbe persino dirsi
che le glosse scritte nei margini della Politica 'in nuce ', contengano spunti e intuizioni che lo stesso Gentile fu lungi dal
saper riprendere nella recensione che di questa memoria crociana inserì, nel 1924, nel Giornale critico 43 . In effetti, se nel
leggere e postillare gli Elementi di politica , Gentile era andato
più volte vicino al punto in cui, come s'è detto, le sue difficoltà si annodano e fanno corpo, nello svolgere in positivo il
tema dello «stato etico» il suo pensiero si impigliò invece in
gravi incertezze 44 . Così, con gli occhi ben fermi su Hegel e su
Croce, egli osservava che fuori della storia lo stato « non esi4> G . G ENTILE, Stato etico e statolatria , « Giorn . crit. filos . ital. », 5
(1 924), pp . 467-68.
44 GENTILE, Stato etico e statolatria , p. 468. La questione dell'eticità
dello stato, in Gentile, richiede, a mio avviso, una trattazione attenta, e
volta a metterne in chiaro i tempi e le fa si. Un testo molto importante è nella
Prefa zione (1904) che egli scrisse per la ristampa dei Principi di etica di B.
Spaventa (ora in Opere, Firenze 1971 , I, 603): « nell'idea dello spirito obbiettivo definire lo stato realizzazione (Wirk lichkeit) dell'idea morale, mi pare
ben altra cosa che far dipendere la morale dallo stato; anzi importa fond are
questo sulla morale, e non riconoscerne quindi il valore in un'istituzione che
GLOSSE MARG INALI DI G. G ENTILE A LI BR I DI B. CROCE
589
ste» ed è un'astrazione; che nei rapporti internazionali, nella
guerra e quindi nella storia c'è una vita etica che nello stato
non può essere contenuta e compresa; che in esso si includono le opposizioni e la stessa rivoluzione: e vi si includono,
parrebbe, non nel senso che ne sono negate e trascese e oltrepassate. Ma poi, curiosamente, pretendeva che, attraverso
il suo stesso essere superato da questo empito di vita morale
che non trova posto entro i suoi confini, attraverso le opposizioni e le rivoluzioni (che, dovrà ora intendersi, ne sono negate, trascese e oltrepassate), lo stato di continuo riaffermasse
il suo carattere e la sua specifica natura. Un nodo di gravi difficoltà si era costituito alla radice del suo pensiero; e poiché a
lui non riusciva di scioglierlo, ne nasceva il sofisma: se non il
sofisma, l'ambiguità. Che, infatti, lo stato sia un'esistenza
storica e, fuori della storia, un'astrazione, doveva certo esser
cosa ovvia per lui, come per Croce e per tutti. Ma, come i testi di Hegel e di Croce imponevano che si dicesse, la questione era se lo stato racchiuda dentro di sé la storia, o ne sia
invece racchiuso e dunque superato. E nonché risolverla,
Gentile non riusciva forse nemmeno a vederla, la questione,
nei suoi termini estremi. Come può comprendersi, solo che si
spinga lo sguardo nella sua pretesa di considerare lo stato, da
un lato come sempre superato dalla totalità della vita etica e,
da un altro, invece, come sua adeguata espressione; da una
lato come includente, e non oltrepassante, opposizioni e rivoluzioni, e da un altro come autentico signore e risolutore di
esse. Se infatti, opposizioni e rivoluzioni, che, in quanto tali,
si formano di necessità all'interno dei singoli stati storicamente «esistenti», sono intese come opposizioni e rivoluzioni
reali, ossia, per toglier via ogni possibile equivoco, come opposizioni e rivoluzioni caratterizzate in senso empirico, esse
procederanno sempre «contro lo stato», intraprenderanno
con lui una lotta mortale, e o vinceranno o saranno vinte. E
non realizzi l'idea morale»; e di qui forse occorrerà partire anche per far vedere come, agli inizi della sua meditazione politica, fosse l'eticità a costituire
il criterio dell'eticità dello stato, che, in quanto tale, può esserne privo, e non
è dunque necessariamente « etico ».
590
GENNARO SASSO
allora non può dirsi, a rigore, che attraverso le opposizioni e
le rivoluzioni che gli si formano dentro e che, in questo
senso, esso include in sé, lo stato si realizzi e si affermi.
Dovrà dirsi che vince o viene vinto, si riafferma o viene distrutto, e che, se questa è la sua vicenda necessaria, reali veramente sono la lotta e la mobile sintesi in cui, di volta in
volta e non per sempre, esso si risolve. In questo senso, dunque, lo stato è «storico» perché il ritmo del suo vivere ed esistere lo spinge sempre oltre alla sua vita specifica; e non è, di
conseguenza, la storia a culminare, con l'etica che è ad essa
intrinseca, nello stato, ma è lo stato a culminare, con l'etica
che è ad esso intrinseca, nella storia. Una soluzione, questa,
che si ritrova, almeno in parte, in Hegel (dove, peraltro, ha la
funzione di rendere estremamente problematica la concezione
dello stato come «sostanza etica» realizzata), e certo si ritrova in Croce; una soluzione che anche in Gentile finisce per
esser presente, senza che in una filosofia come la sua, che teorizza la coincidenza di stato, storia e moralità 45 , riesca tuttavia a trovare pieno e coerente diritto di cittadinanza.
Il compito sarebbe troppo gravoso e, in questa sede, non
eseguibile, se qui ed ora ci proponessimo di connettere queste
glosse con le tesi di filosofia giuridica e politica che, fin dal
1916, Gentile aveva fissate in un corso pisano, che in quel
medesimo anno prese la forma dei Fondamenti della filosofia
del diritto; e quindi, d'altra parte, con gli svolgimenti che, variamente premuto dai tempi, egli aggiunse ad esse negli anni
successivi. Sarebbe infatti fuori di luogo, anche se assai interessante nella giusta sede, scrutare con attenzione il punto
critico in cui l'universalizzazione del volere tende a trapassare
nel concetto, che a rigore Gentile teorizzò molti anni più
tardi, dello stato etico. E altresì sarebbe interessante venir
mostrando alla radice del suo pensiero politico quella che
45
Questa identità si trova affermata, ma in un contes to teorico molto
sommario e di debole rigore, nel saggio gentiliano su Lo Stato (1931) , nato
come comunicazione da leggere, con il diverso titolo Il concetto hegeliano
dello Stato , nel convegno hegeliano di Berlino dell 'ottobre 1931: « ... storia
universale e stato coincidono» (G . GENTILE, I fondamenti della filosofia del
diritto, Firenze 1961 , p. 117).
G LOSSE MARG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
591
forse potrebbe chiamarsi la continua tentazione dell'estremo
individualismo, se non addirittura, in certe articolazioni, del!' anarchia. Ma questo è, come si diceva, argomento di altra
indagine; e qui converrà passare alle glosse che Gentile segnò
sui margini degli Aspetti morali della vita politica , un volumetto uscito nel 1928, e che può considerarsi il seguito di
quello del 1925, sulla politica e sullo stato.
AMVP 8 4 6
Ma la concezione liberale, propriamente detta è
rimasta fuori del quadro sopra tracciato . Perché? Perché, in verità, questa concezione è metapolitica, supera la teoria formale della politica
e, in certo senso, anche quella formale dell'etica, e coincide con una concezione totale del
mondo e della realtà.
una concezione metapolitica non può
dar luogo a norme,
criteri, atteggiamenti,
programmi e partiti
sul terreno pratico.
AMVP 9
Non è già, la concezione autoritaria, una
concezione sic et simpliciter, immorale, ma di
altra e inferiore morale, sorgente sopra altri e inferiori presupposti teoretici, e, come
tale , vede la sua diretta nemica nella concezione liberale, contro cui (senza parlare degli
espressi e solenni cartelli di guerra o 'sillabi')
è sempre convulsa di odio e di paura ...
Anche questa concezione aut[orita]ria è
metapolitica?
Gentile a fondo pagina:
Dunque, il liberale non può accedere alla tesi della nota V.
Quella concezione di Stato e Chiesa è dualistica, quindi autoritaria 47 .
46 Si tratta del primo saggio della raccolta, Il presupposto filo sofic o della
concezione liberale, già pubblicato negli « Atti Ace. Scienze mor. e poi. della
Società reale di Napoli », 50 (1927) , pp. 289-98, e quindi, definitivamente,
in Etica e politica , Bari 1931 , pp . 135-41.
47 Gentile allude qui al saggio Stato e Chiesa in senso ideale e loro perpetua lotta nella storia , pubblicato, con diverso titolo, negli « Atti Ace.
592
GENNARO SASSO
AMVP 26 4 8
Orbene, l'impotenza di esso [dell'ideale
imperialistico e nazionalistico] si fa palese
nella contradizione stridente in cui si mette
con la coscienza morale, che vi ripugna senza
remissione, sentendo quanto trista immagine
della vita umana gli stia dietro come presupposto e dinanzi come annunzio, quale vile figura dell'uomo, condannato a fare schiavi e a
farsi schiavo, a morire e a dar morte, sterilmente, con la sola promessa beatitudine del
ghigno feroce onde si allieterà il provvisorio
conculcatore di classi e di popoli, o l'altra,
poco diversa, di qualche artistica voluttà neroniana. Che se, per difenderla, si venga comunque temperando e correggendo questa
ideologia, e mettendola in rapporto con la coscienza morale, come lotta che non sia chiusa
in sé stessa e sterile, ma abbia a suo fine la
sempre maggiore elevazione morale dell'uomo, e l'eroe vi faccia da demiurgo del
bene [... ], si è ricondotti a poco a poco al
concetto della lotta per la libertà, la quale implica i contrasti e le antitesi .. .
?
e allora? Se la lotta
per la libertà può
farsi anche per mezzo
di questo demiurgo
del bene, anche l'autoritario è liberale.
AMVP 32
Non c'era, dunque, da stupire che la
lotta continuasse o diventasse più aspra, che
sorgessero difficoltà non prima sperimentate
o non sperimentate in quella estensione o
grado, che illusioni dovessero essere dissipate, generalizzazioni rivedute e corrette, e
la mitologia sostituita dalla critica.
Il liberalismo perciò
che non ammette la
Realpolitik e tutto il
resto di p. 33 è ' mitologia '! Alla buon' ora!
Scienze Napoli», 51 (1928), pp . 135-41, nella «Critica», 26 (1928), pp.
182-86, e quindi, definitivamente, in Etica e politica, pp. 339-44.
48
È un passo tratto dal secondo saggio della raccolta, Contrasti d'ideali
politici dopo il 1870, che già costitul il I dei « Quaderni critici » del Petrini
(per altre edizioni, dr. BORSARI , L'opera di Benedetto Croce, p. 247) .
593
GLOSSE MARGIN ALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
AMVP 42 4 9
La difficoltà si scioglie col riconoscere il
primato non all'economico liberismo ma ali' etico liberalismo, e col trattare i problemi
economici della vita sociale sempre in rapporto a questo. Il quale aborre dalla regolamentazione autoritaria dell'opera economica
in quanto la considera mortificazione delle
facoltà inventive dell'uomo, e perciò ostacolo
ali' accrescimento dei beni o della ricchezza
che si dica; e in ciò si muove nella stessa linea del liberismo, com'è naturale, posta la
comune radice ideale. Ma non può accettare
che beni siano soltanto quelli che soddisfano
il libito individuale, e ricchezza solo I' accumulamento dei mezzi a tal fine; e, più esattamente, non può accettare addirittura, dal
suo punto di vista, che questi sieno beni e
ricchezza, se tutti non si piegano a strumenti
di elevazione umana.
AMVP 43
Del resto, quel che noi procuriamo di
presentare in chiari termini critici si può dire
riconosciuto dagli stessi economisti, sia pure
in forma poco critica e poco rigorosa, i quali
[ ... ] hanno sempre ammesso che il principio
del 'lasciar fare e lasciar passare' sia una massima empirica, e non si possa prenderlo in
modo assoluto e bisogni limitarlo. Senonché
il limite è qui inteso come qualcosa di posto
ab extra, e, come tale, contradittorio al concetto che si vuol così limitare; onde o il concetto stesso ne esce distrutto o il limite viene
rigettato.
dunque
=
liberalismo
individualismo.
Il bene economico è
strumento di elevazione spirituale. Dunque economia è natualismo, non può
sorgere sul te"eno
dello spirito.
Questo limite è lo
Stato? Lo Stato, allora, è il moralmente
buono? Stato etico?
AMVP 44
Passando a considerare in concreto, la disputa ridiventa quella circa il carattere di un
49
Il passo è tratto da Liberismo e liberalismo , poi ristampato in Etica e
politica, pp. 316-20 (per altre indicazioni, BORSARI, op. cit. , p. 253) .
594
GENNARO SASSO
dato provvedimento, se sia liberale o illiberale , moralmente buono o cattivo.
liberale
buono
=
moralmente
Gentile a fondo pagina 45 :
Se il liberalismo corregge il liberismo vuol dire che questo è falso .
Ma un liberalismo senza liberismo, un liberismo della libertà più
grande contro la libertà più piccola è più liberalismo (individualismo)?
AMVP 68 50
La politica [secondo il Kay Wallace] tramonterebbe, perché le potenze del mondo
sono ora gli industriali e gli operai, e la plutocrazia e il proletariato, mentre il ' ceto medio' o la borghesia, che era quella che pensava e faceva politica, è via via più schiacciato tra le due enormi forze antagonistiche,
e il mondo moderno non si muove più secondo la politica ma secondo l'economia.
Ora, come si può pensare che tramonti mai
una categoria spirituale essenziale dell'umanità?
Pel K. W . non sarebbe una categoria.
AMVP 79 5 1
Se si desidera qualche punto di meditazione per intendere quella che si chiama natura utilitaria o economico-politica dello
Stato, si consideri, per esempio, che laddove
l'uomo morale , ha, in dati casi, il dovere e il
diritto di sacrificare la sua vita, lo Stato è di
qua da questo dovere e da questo diritto .
che cosa è !' economico-politico?
AMVP 83
Dall'esatta determinazione di questo rapporto fra politica e etica, mal determinato o
50 È un luogo del saggio Di un equivoco concetto storico: la « borghesia », poi raccolto in Etica e politica , pp . 321-3 8 (BORSARI , p . 254).
51 Da Giustizia internazionale, ora in Etica e politica, pp. 345-49 (BORSARI, Bibl., p. 250).
595
G LOSSE MARG INA LI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
stortamente presentato dai moralisti della politica (come, nel caso analogo, dai domandatori di poesia direttamente filosofica, che
non sarebbe poesia ma polemica o didascalica), si ricava la pratica conseguenza che dagli
Stati e dagli uomini politici non basta invocare opere di pregio morale a pro dell'intero
genere umano [.. .], ma bisogna aiutarli all'uopo e venir loro incontro con le effettive
modificazioni indotte nelle menti e negli animi .. .
Il
AMVP 83
Se diventasse più generale che non sia il
rispetto per la verità ideale e storica, per la
vita teoretica che è una in tutto il genere
umano, più generale il discernimento e
l'abito riflessivo e critico; come si potrebbe,
innanzi al saldo muro opposto da questa
energia spirituale, non fare una politica diversa da quella che si fa col fabbricare quotidianamente il falso, eccitare le immaginazioni, stordire con le vuote parole?
Il
?
AMVP 84
La negazione del carattere etico dello
Stato in quanto tale ha, dunque, tra gli altri
suoi motivi, anche questo : di togliere ai facili
moralisti l'alibi ch'essi si procacciano quando
si danno a chiedere agli Stati di cangiare la
propria natura ed esercitare la moralità, invece di attendere da parte loro al grave dovere di promuovere nel mondo la coscienza e
il costume morale , affinché gli Stati se li trovino di fronte da ogni banda, e senza cangiare la loro peculiare natura, concorrano a
servirli.
Gentile a fondo pagina:
Servire la coscienza morale? È possibile a chi non sia per sua natura morale? La conclusione contraddice a tutta la tesi di questa nota.
596
GENNA RO SASSO
Su quest'ultima annotazione, che ha senza dubbio il suo
peso critico e in ogni caso rivela la vigile attenzione con cui il
Gentile leggeva le pagine del suo amico-nemico, occorre tuttavia fermarsi brevemente per una precisazione preliminare .
Certo, se Croce avesse detto che, trovandosi di fronte coloro
che dedicano la loro vita al concreto innalzamento della coscienza e del costume morali, gli stati collaborano con costoro
ed anch'essi, dunque, «servono» a quella coscienza e a quel
costume, l'obiezione gentiliana coglierebbe nel segno, perché
non può esser servitore della moralità chi, per suo conto, non
abbia natura morale. Ma pur ammettendo che il periodo
scritto da Croce a conclusione di quel saggio (che s'intitola
alla Giustizia internazionale) non sia fra i più limpidi e perspicui che uscissero dalla sua penna, e concedendo altresì le
molte difficoltà che la sua aspra concezione della politica incontrò nel suo svolgimento, e nell'approfondimento del suo
rapporto con l'etica, - è ben possibile ammettere che il
senso complessivo di quel passo sia diverso , ossia più complesso e articolato, di quanto, nella foga della polemica, a
Gentile non apparisse. È vero infatti, senza dubbio, che, premuti e quasi sfidati da coloro che, senza nutrire illusioni sulla
loro natura specifica, si battono per innalzare le coscienze e i
costumi, gli stati vengono anch'essi colti nell'atto di servire a
quelle coscienze e a quei costumi. Ma vero è anche che, come
Croce esplicitamente dice, in quel «servire» essi non rinnegano la loro natura specifica; e se dunque servono la causa
della moralità senza propriamente entrare nel suo regno e mutare con ciò il loro carattere, non dovrà intendersi che quel
loro «servire» sia qualcosa di indiretto, consistente nell'ostacolo, e nella materia, che in qualche modo offrono ali' attività
universalizzante dell'etica? Interpretazione, anche questa,
plausibile, una volta che sia prospettata in riferimento, se non
a questo specifico testo crociano (che infatti rimane incerto, e
nemmeno così mostra di poter risolvere la sua ambiguità), almeno al senso complessivo della «filosofia dello spirito» . Interpretazione che, senza dubbio, potrebbe dar luogo a interessanti svolgimenti se, come qui non si può, venisse posta a
confronto con la «totalità» delle tesi crociane, di filosofia politica e di filosofia senz'altro, ma che, in ogni caso, vale a ri-
GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE
597
durre di molto il peso del rilievo gentiliano (del quale non si
saprebbe, tuttavia, disconoscere il valore di stimolo e di suggerimento che, invece, gli è implicito) .
Per il resto, chi abbia seguito il commento che qui su è
stato dedicato alle glosse scritte in margine alla Politica ' in
nuce ', non ne richiederà, per queste ultime, uno altrettanto
diffuso. E basti quindi osservare con quanta cura, e, d 'altra
parte, con che scarsa forza di convinzione, nelle pagine crociane Gentile tentasse di ritrovare la giustificazione del suo
diverso pensiero e delle sue· diverse scelte pratiche. Così, per
un verso, egli si compiace di sottolineare che «se la lotta per
la libertà può farsi anche per mezzo di questo demiurgo del
bene, anche l'autoritarismo è liberale», o di ironizzare sul liberalismo, che sarebbe pura mitologia se non accogliesse la
dura lezione della Realpolitik; e in questo senso, la tendenza
a fare del fascismo il vero liberalismo e comunque a considerarlo non sul serio distinguibile da quello, anche in queste
glosse si riafferma. Nelle quali, per un altro verso, altrettanto
chiara è l'insistenza sugli aspetti deteriormente «individualistici» della concezione liberale, sulla contraddittorietà intrinseca alla distinzione che, per altro, non può essere analizzata
in questa sede: dove , se mai, più interesserà osservare come
quella notazione relativa alla teoria «metapolitica» della libertà, che non può stabilire norme, leggi e criteri di azione,
torni più volte nelle polemiche che nel corso degli anni si
svolsero intorno a questi aspetti del pensiero di Croce . E basti pensare agli scritti non solo di Luigi Einaudi 52 , ma anche
di Guido Calogero e di Norberto Bobbio 53 .
Ebbene, che altro aggiungere a queste rapide annotazioni? Lo scopo di queste pagine è bensì di commentare ma,
sopratutto, di pubblicare le glosse di Gentile. E poiché altro
ancora rimane da far conoscere al lettore, passiamo agli ultimi
tre libri che egli lesse «con la matita»: la raccolta Eternità e
52
L. EINAUDI , Il buongovenzo , Bari 1953 , pp. 254 sgg.
G . CALOGERO, Difesa del liberalsocialismo , Roma 1945 , pp. 32 sgg.,
passim ; N . BOBBIO, Politica e cultura, Torino 1955 , pp. 263-64.
5>
598
GENN ARO SASSO
storicità della filosofia (che, corrispondendo con qualche variante all'ultima sezione degli Ultimi saggi, apparve dapprima,
nel 1930, nel ventunesimo dei «Quaderni critici» che Domenico Petrini stampava a Rieti), gli Ultimi saggi (1935), e, infine, La storia come pensiero e come azione (1938) .
ESF 64 54
Per uscire da questo intrigo, e per giustificare il nostro giudizio che il criterio hegeliano, nonostante il mal passo al quale fu condotto dallo Hegel e dai suoi scolari, è un ritrovamento geniale, conviene negare che la
storia della filosofia, cioè del pensiero
umano, consista in una serie di sistemi, ciascuno retto da un proprio principio, ossia da
un'eterna categoria; e sostituire a questa l'altra concezione che la storia del pensiero è la
storia di singoli problemi, solo a un dipresso
sistemati da ciascun pensatore, e anzi variamente sistemati da un medesimo pensatore
nel corso del suo svolgimento mentale .
dunque c'è una sistemazione! E il farla a
un dipresso è giudizio che suppone una
sistemazione che non
sia a un dipresso .
ESF 70 55
Sì, queste e altre cose noi sappiamo, che
i vecchi pensatori, vindici della individualità
contro lastratto universale non sapevano e
non vedevano, e noi stessi in un primo tempo
non vedevamo, e non c'importava vedere,
perché à chaque ;our su/lit sa peine.
v. Estetica.
ESF 71
E troppe volte vediamo che i predicatori
dell'universale concreto ricascano in quello
54
Si tratta di un breve saggio, scritto come recensione di B.
HEIMANN,
System und Methode in Hegels Philosophie, Leipzig 1927, che fu ristampato
in Conversazioni critiche, Bari 1932 , IV, 48-51.
55 Parole tratte dal saggio, Sul concetto d'individualità nella storia della
filosofia , ristampato fra gli Ultimi saggi, Bari 1948 2 , pp. 368-72.
599
GLOSSE MARGINALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE
astratto, gli assertori della dialettica nella statica identità: come quando, nella teoria del1' arte, seguitano a trattare l'arte quasi filosofia sensibile e immaginosa e a risolverla nella
filosofia al pari di una qualsiasi philosophia
inferior, o, nella teoria dello Stato, schiacciano sotto il cosiddetto Stato e la cosiddetta
autorità l'individualità e la libertà.
E dal/i!
ESF 82 56
Né la cosa andava molto diversamente
nelle aule universitarie, perché, fatta eccezione di taluno rispettato per il suo ' passato
patriottico' o per l'austerità presente della
vita, i professori di filosofia erano i meno stimati dai loro colleghi di facoltà, considerati
estranei a tutte le questioni concrete di cui
essi si occupavano, e peggio che estranei
quando vi mettevano bocca, perché allora si
scoprivano o semplici o ignari o sconclusionati.
No, non chiacchiericcio sciocco. Si ricordi
Fiorentino,
Tocco, Cantoni.
Al di là dell'espressione di sentimenti polemici resisi ormai quasi cronici, queste glosse toccano punti, per la filosofia
dello spirito come per quella dell'atto puro (il rapporto fra
«sistema» e «sistemazione», in Croce, quello fra l'unità e la
molteplicità dei problemi filosofici, in Gentile), molto importanti. Ma, alla data in cui furono scritte, rinviano piuttosto
ad un corpo consolidato di teorie, che non al progetto di teorie da costruire. E perciò converrà passare agli Ultimi saggi.
us 52
57
Quel che, togliendo la base stessa a coteste costruzioni, dà altro indirizzo al problema
56
Il passo è tratto dalla nota su Il Filosofo, ora m Ultimi saggi, pp.
386-90.
57 Questo e i successivi passi crociani fanno parte del saggio, Le due
scienze mondane: l'estetica e l'economia , in Ultimi saggi, pp. 43-58 .
600
GENN ARO SASSO
della natura, è la considerazione gnoseologica
onde ci si è a poco a poco avveduti che non
sussistono già due ordini di realtà o due
mondi, l'uno spirituale e l'altro naturale o
materiale, l'uno governato dalla finalità, l'altro meccanico, ma che l'unica compatta inscindibile realtà può essere a volte elaborata
secondo i concetti di spirito, vita, fine, e secondo quelli di materia, causa e meccanismo.
Il
us 52-53
Per uscire da questa stretta, non c'è altra
via che riporre e riconoscere in uno solo di
quei due modi il genuino pensiero e la verità,
e attribuire all'altro un ufficio meramente
pratico e strumentale o 'economico ' , com'è
stato chiamato.
us
Il
53-54
E poiché tale esso [l'oggetto] è [ossia 'il
fantasma ritornante' dell'inconscio , della natura, della materia] , tutti gli sforzi che si adoperano per riassorbirlo sono altrettanto vani
quanto quelli delle vecchie filosofie della natura, e riescono a tautologie e a bisticci, come
quando s'insiste sulla dualità che è unità del
rapporto di soggetto-oggetto, e si riecheggiano i termini del problema senza risolverlo,
o si cerca di escamoter l'oggetto, facendolo
scomparire e poi ricomparire come il fatto di
fronte all'atto, e cioè come natura di fronte a
spirito, o come il passato di fronte al presente, e con altrettali giochetti di sublime metafisica.
us 55
Il pensiero, anche quando pensa e critica
gli altrui pensieri e ne svolge la storia, non
pensa il pensiero ma la vita pratica del pensiero, perché il pensiero è sempre il soggetto
che pensa e non mai l'oggetto pensato.
Bisogna
pire'
prima
ca-
601
GLOSSE MARG INALI DI G. GENT IL E A LIBRI DI B. CROCE
L'unica glossa 58 che, al di là dei pochi segni materiali qui
riprodotti, possa leggersi in margine al saggio crociano su Le
due scienze mondane, riguarda bensì un punto di grande importanza ma, avendo tono di semplice ritorsione polemica,
rinvia in effetti a quel motivo della incomprensione, da parte
dei critici, dei princìpi fondamentali dell'attualismo, che risuona più volte negli scritti di Gentile, e sopra tutto in quelli
successivi alla composizione del secondo volume del Sistema
di logica (1923) e, quindi, de La filosofia dell'arte (1931). Non
ha quindi particolare importanza. E ben diversamente interessanti risultano perciò le glosse, molto polemiche e discretamente folte, che Gentile dedicò al libro su La storia .
SPA
VII
Conforme a questa origine, il volume si
compone di una serie di saggi, che hanno
un'implicita unità nel pensiero che tutti li
regge e ai quali ho procurato di dare un'unità
anche esplicita col primo, che può servire da
introduzione.
SPA 14
Il giudizio, nel pensare un fatto , lo pensa
quale esso è, e non già come sarebbe se non
fosse quello che è: lo pensa, come si diceva
nella vecchia terminologia logica, secondo il
principio d 'identità e contradizione, e perciò
logicamente necessario.
Logo astratto'
SPA 19
Se il giudizio è rapporto di soggetto e
predicato, il soggetto, ossia il fatto , quale che
58 Va tuttavia rilevato che annotazioni gentiliane si trovano in margine
al saggio Antistoricismo, « Critica», 28 (1930) , pp . 406 e 407 . A p. 406 :
«origine del fascismo dalla guerra! ». A pp. 406-407, in margine al passo che
comincia: « quanto si consideri non solo che nella guerra, etc .», l'annotazione è: « elogio della guerra' »; e se, a proposito della prima, può forse intendersi che fosse diretta a criticare l'idea che fosse nato dalla guerra il fascismo che Gentile invece considerava come il frutto maturo del Risorgimento, capire il senso della seconda è proprio impossibile perché non c'è,
nella pagina crociana, una sola parola che possa essere interpretata come
« elogio della guerra».
602
GENN ARO SASSO
esso sia, che si giudica, è sempre un fatto storico, un diveniente, un processo in corso,
perché i fatti immobili non si trovano né si
concepiscono nel mondo della realtà.
Un. fatto non è diveniente.
SPA 21-22
Ma il pensiero storico ha giocato a questa rispettabile filosofia trascendente un cattivo tiro, come alla sua sorella, la trascendente religione, di cui essa è la forma ragionata e teologica: il tiro di storicizzarla, interpretando tutti i suoi concetti e le sue dottrine
e le sue dispute e le sue stesse sfiduciate rinunzie scettiche come fatti storici e storiche
affermazioni ...
Scetticismo, che è
per altro una filosofia anch'essa soprastorica.
SPA 23
Stavo per dire, cogliendo un esempio sul
vivo, che anche le dilucidazioni metodologiche, che qui vengo dando, non sono veramente intelligibili se non col rendere mentalmente esplicito il riferimento (di solito da me
dato in modo soltanto implicito) alle condizioni politiche, morali ed intellettuali dei
giorni nostri, delle quali concorrono a dare la
descrizione e il giudizio.
Il che non vuol dire
che debbano esser
veri per oggi e per
sempre.
SPA 23
Sono essi [i professori di filosofia] i naturali conservatori della filosofia trascendente, a segno che anche quando professano
a parole l'unità della filosofia e della storia, la
smentiscono col fatto, o tutt'al più discendono di tanto in tanto dal loro sopramondo
per pronunziare qualche vieta generalità o
qualche falsità storica.
E l'Estetica? E la
Filos. d. pratica? e
le ' eterne categorie '
di cui si parla qui
appresso (p. 29)?
SPA 24-25
Né le categorie cangiano e neppure di
quel cangiamento che si chiama arricchi-
Dualismo e meta/isica.
603
G LOSSE MARG INALI DI G. G E NTILE A LIBRI DI B. CROCE
mento, essendo esse le operatrici dei cangiamenti : ché, se il principio del cangiamento
cangiasse esso stesso, il moto si arresterebbe .
Quelli che cangiano e si arricchiscono sono
non le eterne categorie, ma i nostri concetti
delle categorie, che includono in sé via via
tutte le nuove esperienze mentali, per modo
che il nostro concetto, dell'atto logico, è di
gran lunga più ammaliziato e più armato che
non fosse quello di Socrate o di Aristotele ...
SPA 25-26
Per accennare a tempi recenti, in Germania, nell'ottocento, a consimile rimedio ricorse il rigido pedagogista Herbart contro le
perversioni della dialettica e dello storicismo
in parte nello stesso Hegel, ma più ancora
nella scuola hegeliana, che sembravano insidiare non meno la serietà della vita morale
che quella della vita scientifica ...
Herbartismo.
SPA 27
Poiché si è stranamente pensato che bisognasse andar soffiando su tutti i lumi per
assicurare interezza e purezza all'immanenza,
quasi che la sua degna sede sia il ' regnum tenebrarum ', non fa meraviglia che sia stata
combattuta, e in immaginazione abbattuta,
anch~ la distinzione primigenia e fondamentale, che il senso comune dell'umanità ha
sempre posta e osservata e le filosofie hanno
rispettata: quella del conoscere e del volere,
del pensiero e dell'azione .
Ignora l'A. la distinzione di logo astratto e l[ogo] concreto
che spiega l' oggettività e necessità del
vero di fronte alt'azione (al soggetto)
senza i misteri delle
4 parole. Altro che
lumi spenti'
SPA 27
L'argomento che in ciò si adopera si riconduce al fonte di ogni sofisma, che è nel
prendere uno stesso termine in due accezioni
diverse, e dimostrata l'una delle due accezioni, far passare come dimostrata l'altra e viceversa.
l'A. pare si dimentichi di dirci quali sarebbero le due accezioni diverse.
604
GENNA RO SASSO
SPA 29
Basta guardarsi intorno e porgere ascolto
alle voci che si levano dai circoli intellettuali e
artistici, religiosi e politici, e insomma da ogni
parte della società, per trovarsi dinanzi le manifestazioni dell'indifferenza e dell'irriverenza
per la carità e la verità, e l'attivismo privo di
ideale, e tuttavia irruente e prepotente. E se in
alcuni casi si tratta veramente di mediocre letteratura che non mena a conseguenze, in altri
molti si osserva con quanta facilità gli assertori
della statica identità del conoscere con l' operare, che hanno mortificato in sé stessi la vigile
forza della interiore distinzione e chiarezza,
passino, nella vita pubblica, alla sofistica e alla
rettorica in rispondenza dei propri comodi, ingrossando le fila di quei 'clercs' traditori, contro i quali uno scrittore francese , or è qualche
anno, sentì il bisogno di stendere uno speciale
atto cl' accusa. La cattiva teoria e la cattiva coscienza si originano l'una dall'altra, si appoggiano l'una all'altra e cascano, infine, l'una sul1' altra.
contro il fascismo'
non è vero!
SPA 30
Più strano è vedere come, invece di far
oggetto di accurata e profonda analisi le malsanie sociali della specie di quella ora accennata [ ... ], si prenda ad accusare il pensiero
storico o lo 'storicismo', reo (si dice) di generare quelle malsanie col promuovere il fatalismo, dissolvere i valori assoluti, santificare
il passato, accettare la brutalità del fatto in
quanto fatto , plaudire alla violenza, comandare il quietismo, e, insomma, di togliere impeto e fiducia alle forze creatrici [ ... ]. Ma
tutte queste cose hanno già i propri loro
nomi nel mondo morale, chiamandosi fiacchezza cl' animo, disgregamento volitivo, difetto di senso morale, superstizione del passato, sospettoso conservatorismo, viltà che
cerca pretesti a sé medesima ...
Ma
che abbiano
nomi propri non toglie che siano tutti
forme di storicismo .
605
GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B CROCE
SPA 37
Sono queste le sfere del fare, dell'attività
umana, a cui rispondono le forme fondamentali ed originali della storiografia: politica o
economica; della civiltà, o dell'ethos o della
religione che si chiami; dell'arte ; e del pensiero o filosofia . E benché una sorta di diffidenza si soglia manifestare verso la discriminazione di queste quattro forme della storia,
esse non sono state già ritrovate e distinte da
un singolo filosofo, per quanto abbia potuto
ragionarvi intorno e meglio formularne la distinzione, ma dalla coscienza del genere umano ...
Sforzo di ridurre a
quattro le forme che
non si crede di poter
contestare per cui a
un tratto si fa
ethos = religione.
SPA 38
Rispondere che le categorie sono innumerevoli e infinite quanto le particolari
azioni e giudizi è (come si è veduto) non un
rispondere filosofico, ma una rinunzia al giudicare, che è pensare, e una rinunzia al fare,
che è sempre un fare specificato qualitativamente .
Affermazione
traria
SPA 38
Comunque, quali che siano queste sfere
di attività, il principio che tutte le anima è la
libertà, sinonimo dell'attività o spiritualità,
che non sarebbe tale se non fosse perpetua
creazione di vita. Un creare sforzato, un
creare meccanico, un creare a comando e vincolato nessuno ha mai sperimentato, né riesce a concepirlo in idea; e, in effetti, è un
nesso di vocaboli che non dà senso.
SPA 38
Di decadenza si può bensl parlare, ma
per l'appunto in riferenza a certe guise di
opere e di ideali che ci sono cari (e troppe
volte si dà così la stura agli insipidi piagnistei
Hegel
arbi-
606
GENNARO SASSO
del 'peior avis ', del 'nequior' e del 'vitiosior '); ma in senso assoluto, e in istoria, non
c'è mai decadenza che non sia insieme formazione o preparazione di nuova vita e, pertanto, progresso.
e allora?
SPA 40
La più importante di coteste combinazioni [fra concetto del progresso e concetto
di uno stato terminale e paradisiaco della
realtà], culmine di moltissime altre dello
stesso genere, si ritrova in una filosofia che
ha più di ogni altra conferito a interpretare la
realtà come storicità, e la vita come sintesi di
opposti, e l'essere come divenire, la filosofia
hegeliana .. .
Falso'
SPA 43
E che cosa mai aggiunge a queste opere
belle, vere e variamente utili la moralità? Si
dirà : le loro opere buone. Ma le opere buone ,
in concreto, non possono essere se non opere
di bellezza, di verità, di utilità. E la moralità
stessa, per attuarsi praticamente, si fa passione e volontà e utilità, e pensa col filosofo ,
e plasma con lartista, e lavora con I' agricoltore e con l'operaio, e genera figli e esercita
politica e guerra, e adopera il braccio e la
spada.
Dunque le
sono tre?
form e
SPA 43
La moralità è nient'altro che la lotta contro il male; ché se il male non fosse, la morale
non troverebbe luogo alcuno . E il male è la
continua insidia all'unità della vita, e con
essa alla libertà spirituale: come il bene è il
continuo ristabilimento e assicuramento dell'unità, e perciò della libertà.
SPA 44
Domandarsi perché mai il processo proceda cosl, o pensare che possa procedere al-
Verba
nihil.
praetereaque
607
G LOSSE MARG INALI DI G . GEN TIL E A LIBRI DI B. CROCE
trimenti senza lotta, senza passaggi faticosi,
senza pericoli, senza arresti, senza pencolare
verso il male né impigliarvisi, non ha senso,
come non ha senso domandarsi perché il 'sì'
abbia per correlativo il 'no', e almanaccare di
un puro ' sì' scevro di 'no', o di una vita che
non contenga in sé la morte e non debba sorpassare ad ogni istante la morte .
non c'è mai perché.
SPA 44
Ora, l'azione che mantiene nei loro confini le singole attività, che tutte le eccita ad
adempiere unicamente il loro proprio ufficio,
che si oppone in tal modo al disgregamento
dell'unità spirituale, che garantisce la libertà,
è quella che fronteggia e combatte il male in
tutte le sue forme e gradazioni, e che si
chiama l'attività morale.
SPA 45
E un altro punto si rischiara: perché mai
tra le forme della storiografia si sia sempre
mirato ad una che è parsa la storia per eccellenza, una storia sopra le storie; e, considerando storie speciali quelle dell'arte, della filosofia e della varia attività economica, si sia
additata questa come la vera e propria storia,
la storia sopra le storie, quella dello Stato intesa come stato etico e regola della vita, e
quella della Civiltà, che meno imperfettamente designa la vita morale, traendola fuori
dall'angustia politica del concetto di stato.
!'A . si è accorto intanto che la teoria
della 4 • forma o
grado, che era nella
Filos.
d.
pratica,
non regge: perché
quell'universale che
lì era !'oggetto del
volere morale ha inghiottito ogni particolare.
Come se ci fosse civiltà senza stato.
Nell'ultima pagina, non numerata, di questo libro crociano, Gentile annotava: «storie razzistiche 12. Le 4 forme
ridotte a 3: p. 43 ». Erano temi sui quali, evidentemente,
pensava di dover tornare con maggiore attenzione . Se il motivo del razzismo bruciava nell'animo dell'uomo che, forse,
stava osservando con intimo sgomento l'estrema degenerazione a cui, proprio in quel giro di mesi, il fascismo condan-
608
GENNARO SAS SO
nava sé stesso, l'altro motivo, quello della quadripartizione
dello spirito, attirava di nuovo il suo vivo interesse di vecchio
lettore e interprete della filosofia di Benedetto Croce . Ma,
nell'insieme, che cosa dire di queste glosse gentiliane? Anche
qui, certo, come il libro di Croce è, nella sua prima parte, il
più duramente polemico che, senza mai nominarla, egli dirigesse contro la filosofia del suo antico collaboratore, cosl altrettanto dura e veemente è la reazione di Gentile; e sebbene,
come si diceva, le sue glosse siano interessanti e vivaci 59 ,
pure è un fatto che ormai la polemica che da anni quasi quotidianamente li impegnava trovava difficoltà evidenti a scendere con cura alla radice delle rispettive «ragioni», e si svolgeva invece, violenta e sprezzante, attraverso il gioco delle ritorsioni e delle contrapposizioni. Ecco, cosl, Gentile fermarsi
su un periodo crociano nel quale è detto che un «fatto» è un
processo storico (e dunque non è, ma diviene), e obiettare che
un fatto, non diviene, e che ad esso unicamente adeguata è la
logica del «logo astratto». In margine alla p. 14 del libro su
La storia, Gentile aveva annotato, con enfasi, «Logo astrat59 Nascono di qui, o anche di qui, sia il saggio su La distinzione crociana di azione e pensiero, «Giorn. crit. fil. ital.», 22 (1941), pp. 274-78, sia
l'altro, Storicismo e storicismo, «Annali Se. Nor. Sup. Pisa», 11 (1942), pp.
1-7 (poi in Introduzione alla filosofia, Firenze 1958 2 , pp. 259-70). Ma val la
pena di aggiungere che (come ricordò CALOGERO, Ricordi del movimento libera/socialista, in Difesa del liberalsocialismo cit. , pp. 192-94) assai notevole
era, intorno al 1940, la diffusione delle idee crociane nell'ambiente della
Scuola Normale Superiore di Pisa , di cui Gentile era direttore. Ed anche
questa sarà stata una delle ragioni che indussero Gentile a intervenire pubblicamente contro l'ultimo libro filosofico di Croce (dr., per es ., CALOGERO,
Ricordi , p. 193: «c'è stato tutto un periodo in cui Croce è stato il livre de
chevet, la lettura segreta della migliore gioventù italiana. Quel fascino che in
altri tempi poteva avere un romanzo proibito, allora ebbero i pesanti volumi
laterziani di Croce . Per loro conto, molti professori facevano quanto più potevano, per destare e rafforzare nei giovani il gusto di tali letture. Si arrivò
al paradosso che in quella stessa che doveva essere la roccaforte dello spirito
gentiliano, la Scuola Normale Superiore di Pisa, lo studio del Croce era così
intenso e diffuso che Gentile, non avendo né il coraggio di proibirlo né
quello di permetterlo , ricorse una volta al ripiego di togliere a un professore
l'incarico di ' Esercitazioni di storia della filosofia ' e di sostituirlo con quello
di 'Esercitazioni di storia della filosofia antica ', per impedirgli di svolgere
tali esercitazioni su testi crociani») .
GLOSSE MA RG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE
609
to! », intendendo con questo che se la necessità storica dev' essere intesa come sempre identica e in sé stessa non contraddittoria, allora la sua corretta trattazione non potrà esser data
nella logica del concreto, o del pensiero pensante, ma in
quella, invece, dell'astratto, o del pensiero pensato. E cosl
aveva anticipato, o ribadito, la sua critica dello storicismo
crociano come filosofia, nel suo fondo, intellettualistica e
«naturalistica» . Ma nella glossa che stiamo esaminando,
senza richiamare la precedente definizione del « fatto» in termini di identità e non contraddizione (e senza soffermarsi
sulla difficoltà complessiva che ne risulta) , egli si limitò a scrivere quel che si è letto. E il suo giudizio assunse perciò la
forma dell'estrema semplificazione . Una semplificazione, non
un giudizio: alla quale sarebbe stato facile replicare che al
«fatto», quale l'intende la logica dell'astratto, anche Croce
avrebbe in effetti riconosciuto carattere « non diveniente »,
perché quella che, per Gentile, era la statica identità, formale
e vuota, di A con A, era per lui la realtà schematizzata dalla
logica astraente dello pseudoconcetto nelle sue varie forme ;
mentre, per altro verso, anche per il filosofo dell'atto puro il
«fatto storico » non è in sé statico e compiuto, se è vero che
«nulla è mai fatto, nulla già pronto, come tavola imbandita a
cui uno si possa senz'altro sedere» 60 . Per quante differenze,
anche profonde, si vogliano riconoscere nella concezione che
del « fatto storico» i due filosofi elaborarono nel corso degli
anni, non può dirsi che esse abbiano la forza di far sparire
questa specifica convergenza. E nella sua glossa perciò Gentile faceva una questione di parole: semplificava, non criticava, cedeva alle lusinghe della polemica.
Del resto, altrettanto semplificatrici o, se si preferisce,
troppo sommariamente polemiche, sono anche altre sue annotazioni: come quella, ad esempio, nella quale egli definl « scetticismo» la «storicizzazione » che il pensiero fa delle posizioni che investe della sua critica, o l'altra, nella quale pretese
di porre in contrasto una pur chiara proposizione crociana
con la teoria, pur essa crociana, dell'eternità delle categorie, o
60 G ENTILE,
Sistema di logica, II, 68 .
610
GENNARO SASSO
quella, infine, nella quale è detto che «ignora l' A. la distinzione di logo astratto e logo concreto che spiega l'oggettività
e necessità del vero di fronte all'azione (al soggetto) senza i
misteri delle 4 parole. Altro che lumi spenti! » 6 1 . Osservazione, questa, che nel tono perentorio e fin aggressivo che la
caratterizza, nell'estrema sicurezza e, qua e là, anche nell' arroganza che la affliggono, nasconde forse piuttosto il desiderio di confermare una verità in cui si riposa ormai come in un
inattaccabile fortilizio, che non la volontà di scendere di
nuovo in campo a fare sul serio la prova delle armi. Come poteva, infatti, Gentile, dire sul serio che Croce «ignorasse» la
sua distinzione fra astratto e concreto, se nel Sistema di logica
aveva concluso la trattazione osservando che il pensiero crociano era in effetti come l'immanente «autocritica» della sua
filosofia?
Ma anche qui , se è comunque interessante (psicologicamente e storicamente interessante) che la polemica di Gentile
incupisse i suoi temi e, nella violenza di una drastica contrapposizione, irrigidisse le sue linee, non deve tuttavia dimenticarsi che molte cose acute si ritrovano nel suo fondo. E basti
pensare all'insistenza che, leggendo il libro di Croce, Gentile
mise nel sottolineare l'inquietudine introdottasi nel sistema
delle categorie, che ora si distinguono secondo il consueto
ritmo quadripartito e ora, invece, sembrano all'improvviso ridursi a tre , a causa della nuova concezione che qui caratterizza la moralità. Certo, chi studi a fondo la risistemazione
che del precedente universo categoriale Croce fece nel libro
su La storia, e, cogliendone le fortissime tensioni interne, la
confronti con quanto al riguardo era stato detto ai tempi della
costruzione e poi dei primi svolgimenti del «sistema», si accorge che ben più complesso è il problema che occorre mettere
a tema dell'indagine. Ma, sia pure fra le nebbie di una polemica
ormai incapace di serenità, ancora una volta Gentile aveva intuito un punto importante, da svolgere senza dubbio e, dunque,
da non trascurare. Sebbene il suo tono fosse ormai quello di chi
61
Sull'espressione relativa alle « quattro parole », cfr. qui appresso,
pp. 615-43.
GLOSSE MARGINALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE
611
si compiace di sottolineare difficoltà e far notare incongruenze,
l'intelligenza era migliore dello stato d'animo, e ancora sapeva
arrecare contributi degni di discussione e di critica.
Come si è detto , La storia come pensiero e come azione è
l'ultimo libro crociano che Gentile leggesse con la matita, postillando con sistematicità (ed anche con accanimento) . Privi
di ogni segno sono infatti i margini del libro su La poesia , intatti quelli de Il carattere della filosofia moderna (1941), che
pure, come può desumersi dall'esame materiale dei volumi,
Gentile quasi certamente lesse per intero e con attenzione .
Era dunque ormai esaurita l'occasione della polemica, oppure
l'ansia procurata dalla guerra, da poco iniziata e già volgente
al peggio, tratteneva il filosofo dal proseguire un « gioco» che
doveva apparirgli di troppo inferiore alla gravità del momento? E questo , forse , il vero motivo per il quale, se in
qualche occasione non poté astenersi dal colpire ancora con
asprezza la filosofia di Croce e la « religione della libertà», in
privato, dove da lui soltanto dipendeva se dar di nuovo corso,
oppure no, alla espressione dell'animo esacerbato, egli preferl
tacere. E non deve del resto dimenticarsi che del fastidio , o
del disagio morale, che a lui procurava la polemica con quel1' antico compagno di battaglia, al quale tuttavia lo avvincevano « ricordi incancellabili », Gentile esplicitamente parlò
nell'ultima delle postille anticrociane del Giornale critico 62 .
Quali, d'altra parte , nella vita profonda dei sentimenti,
delle speranze, delle oscure angosce, trascorressero, fra l' entrata dell'Italia nel conflitto e la morte, gli ultimi suoi anni,
non sappiamo. La tranquillità 63 che, forse , egli aveva in qualche modo conquistata attraverso il silenzio che s'era imposto
e che soltanto il 24 giugno 1943 sarebbe stato, tragicamente,
rotto , dové essere, nel profondo, insidiata da dubbi , da incertezze, da esitazioni che, in un uomo meno forte nel dominare
o almeno dissimulare le passioni, e meno orgoglioso, avreb62
G . G ENTILE, A Benedetto Croce, « Giorn . crit. fil. ital. », 23 (1 942),
p. 120.
63 Cfr ., per questo, la testimonianza offert a d a B. G ENTILE, Dal discorso agli Italiani alla morte (2 4 giugno 1943-15 aprile 1944), in Giovanni
Gentile. La vita e il pensiero, Firenze 195 1, IV, 12 .
612
GENNARO SASSO
bero pur trovata qualche via d'espressione. Ma nell'assenza di
ogni documento che valga a confermare, oppure a smentire,
ciò che, per le sue esigenze, la fantasia ama dipingere, converrà al riguardo astenersi da ogni ulteriore congettura. Ed
anche sul tema dei rapporti profondi che lo legavano e lo opponevano a Croce, la cui immagine forse si sarà a tratti rasserenata ai suo occhi mentre la tempesta della guerra si abbatteva sul suo mondo, insinuandogli nell'animo l'angoscioso
presagio della fine, il silenzio è più apprezzabile di ogni discorso, per cauto che sia. Del resto, che cosa potrà mai dirsi
di non banale, o di non stridente, in una materia come questa? Soltanto questo, forse: che, come ogni uomo racchiude
dentro di sé qualche frammento almeno della comune umanità, cosl i «sentimenti» di Giovanni Gentile non saranno
stati, nel profondo della sua coscienza, diversi da quelli che,
alla notizia della morte violenta di lui 64 , Croce affidò ad una
pagina del suo Diario, che non può rileggersi senza che, con la
commozione che ne spira, un senso sofferto di superiore serenità penetri nell'animo 65.
64 Sull'uccisione di Gentile gli storici non hanno ancora trovato, anche
per le difficoltà intrinseche ad una documentazione ancora largamente lacunosa, l'accordo . Cfr ., essenzialmente, C .L. RAGGHIANTI, Disegno della Liberazione italiana , Pisa 1962 2 , pp . 151-57 , il quale offre un'ottima analisi delle
« testimonianze » atte a sostenere l'ipotesi, che circolò subito a Firenze, il
giorno stesso dell'uccisione (dr. anche GENTILE, Dal discorso agli Italiani
alla morte cit., p . 129), secondo cui il filosofo sarebbe stato soppresso dalla
famigerata banda del Carità, contro la quale egli aveva più volte protestato
presso Mussolini . Cfr . anche C. FRANCOVICH, La Resistenza a Firenze , Firenze 1961, pp . 187-88, il quale accenna anche lui, ma per dichiararla improbabile, alla « voce che attribuiva l'omicidio allo stesso Carità ». Successivamente, per altro, il Francovich dedicò all'analisi di questa «ipotesi », uno
specifico contributo (Un caso controverso: chi uccise Giovanni Gentile?,
« Atti e Studi lst . st . Resistenza Tosc . », n. 3, 1961 , pp. 20-45) . Per altre indicazioni bibliografiche, dr. D1 LALLA , Vita di Giovanni Gentile, pp. 539-40,
il quale, per altro, non accenna in alcun modo all'ipotesi, discussa dal Ragghianti e dal Francovich (e del resto registrata anche da Benedetto Gentile) .
65 B. CROCE, Quando l'Italia era tagliata in due , Bari 1948, pp . 111-12
(ora in Scritti e discorsi politici [1943-1947), Bari 1963, I , 305-306). [Ma dr.
ora il mio Per invigilare me stesso. I ' Taccuini di lavoro ' di Benedetto Croce ,
Bologna 1989, pp. 40-60).