LA CAPACITA`. LA LEZIONE LA BOTTIGLIA DI LEIDA L

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LA CAPACITA’. LA LEZIONE
LA BOTTIGLIA DI LEIDA
L’insegnamento della filosofia naturale nelle Università, nella prima metà del XVIII
secolo, fu accompagnato da esperimenti di meccanica, idrodinamica, pneumatica.
Nello stesso tempo emergevano nuovi ambiti (luce, elettricità, magnetismo, calore) di
fisica sperimentale seppure trattati in modo qualitativo.
Durante il secolo dei Lumi si crearono i primi gabinetti scientifici che prevedevano la
presenza di un direttore-professore e di un artigiano-aiutante con una collezione di
apparecchiature spesso raccolte dai primi curatori della materia. In alcuni casi, come a
Leida, il professore (dal 1740) Pieter von Musschenbroek era legato a una famiglia di
costruttori di strumenti scientifici (la bottega) operante nella città olandese già dal
1660. Così suo fratello Jan aveva realizzato gran parte degli strumenti e delle
apparecchiature presenti nel manuale del newtoniano Willem Jacob ’s Gravensande,
primo docente di filosofia naturale a Leida.
fig.1 Tavola di Willem ‘s Gravesande, tratta dalla terza edizione del 1747 di un suo manuale, di meccanica dell’equilibrio di un punto materiale; fig.2 Illustrazione postuma di una
tipica esperienza settecentesca di Nollet. L’abate, isolato dal pavimento con uno sgabello con piedini in vetro, con l’aiuto di un assistente e della macchina elettrica, carica per
strofinio il globo di vetro e per contatto una bacchetta. Trasferisce quindi la virtù elettrica a un uomo sospeso da terra e infine mostra a una dama e al pubblico la scarica tra un
conduttore e un corpo carico isolato
La capacità di attrarre un vasto pubblico (studenti per le Università, spettatori paganti
per le dimostrazioni) grazie a esperienze spettacolari, fu un tratto distintivo della
nuova filosofia naturale dei fluidi che si andò affermando nel corso del secolo,
allontanandosi dalla meccanica razionale. Esponente di questa nuova classe di fisici
sperimentali, non più attratta dalla bellezza della geometria, fu il cartesiano JeanAntoine Nollet. L’abate, si recò anche a Leida, e divenne docente a Parigi di un corso
libero che divenne cattedra nel 1736 grazie al cardinale Fleury. Le sue lezioni, raccolte
in sei volumi (1743-1748), e le famose dimostrazioni nei salotti aristocratici
riguardavano principalmente la nascente scienza dell’elettricità. Il cuore delle
esperienze qualitative era un generatore di elettricità costituito da un globo in vetro
posto in rapida rotazione da pulegge; la principale, una ruota azionata manualmente,
era collegata, con una fune, a una più piccola, secondaria, fissata all’asse del telaio
della sfera. Lo sfregamento delle mani dello sperimentatore (isolato da terra con uno
sgabello) sulla superficie sferica caricava il vetro; in un secondo momento alcuni
oggetti erano messi a contatto con la sorgente dei conduttori (per es. una catena
appesa al soffitto con fili di seta, ma anche una persona sospesa tramite corde su una
tavola di legno, …). La spettacolarità dei fenomeni era data dalla capacità di attrarre o
respingere piccoli oggetti, dall’orientazione dei capelli o di piccoli fili, dai bagliori e
dalle scintille; essa veniva in qualche modo enfatizzata attraverso una titolazione a
effetto dei vari 'numeri': si aveva il cosiddetto 'bacio elettrico' ma anche 'la
beatificazione' o 'l'incoronazione elettrica'...
La macchina elettrica illustrata da Nollet fu ideata da Francis Hauksbee (o Hawksbee),
curatore della Royal Society a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. Nella prima parte del
secolo Stephen Gray e Charles-François Dufay formalizzarono alcune interpretazioni
dei fenomeni elettrici. Il fisico inglese effettuò una distinzione delle sostanze in
elettrici e conduttori; mentre il francese, primo elettrico di Francia, dopo il 1730
distinse tra elettricità vitrea e resinosa e utilizzò le categorie di attrazione e
repulsione.
fig.3 Illustrazione della beatificazione o incoronazione elettrica tratta da un libro del 1748. L’effetto in termini moderni può essere così descritto: il piatto metallico collegato al
generatore elettrico induceva nella corona una carica. L’interno della stessa contenente aria a bassa pressione emetteva un vivido bagliore; fig.4 Jean-Antoine Nollet in una tavola
di un suo libro del 1746 illustra la scoperta della bottiglia di Leida
Tra il 1745 e il 1746, una nuova esperienza rivoluzionò la fisica dell’elettricità.
Probabilmente Ewald Georg von Kleist e Andreas Cunaeus indipendentemente furono
gli sperimentatori degli effetti del dispositivo. Solo Pieter van Musschenbroek
comunicò all’Accademia di Parigi nel gennaio del 1476 il fenomeno. Immediatamente
Nollet parlò di esperienza di Leida e coniò il termine bottiglia di Leida.
Per studiare l’elettrificazione dell’acqua, il liquido contenuto in un piccolo recipiente in
vetro era stato posto a contatto con un conduttore caricato da una macchina elettrica.
Una mano dello sperimentatore, non isolato da terra, sorreggeva la bottiglia, l’altra
avvicinandosi al conduttore carico riceveva una scossa fortissima (tanto che il filosofo
naturale affermava nel suo annuncio agli accademici che non avrebbe ripetuto
l’esperienza su di sé). L’abate Nollet dal canto suo aggiornò le sue dimostrazioni con
una catena umana attraversata da una scarica quando le persone ai capi della catena
toccavano le due estremità: vetro e conduttore.
La scoperta portò a un’intensa sperimentazione e in pochi anni, grazie soprattutto a
Benjamin Franklin, si capì che l’acqua poteva essere eliminata e che la forma del vetro
era inessenziale. Tanto che l’americano presentò un dispositivo analogo costituito
semplicemente da due metalli chiamati armature e da una lastra di vetro. Inoltre
amplificò gli effetti realizzando una batteria di bottiglie di Leida.
fig.5 Esperienze con le bottiglie di Leida. Benjamin Franklin 1751; fig.6 A L’evoluzione della bottiglia di Leida. Una lastra di vetro piana è ricoperta da due armature metalliche,
una di esse è caricata per contatto, infine, per mostrare la scarica, tramite un altro conduttore sono toccate la seconda armatura e la catena. Da una tavola di Nollet del 1765
Dopo Franklin si ipotizzò che il processo di elettrizzazione dovuto allo strofinio
consistesse nel trasferimento del fluido elettrico (materia sottile) da un corpo a un
altro con un eccesso o un difetto. L’elettrizzazione “più” e “meno” venne identificata
da Franklin con l’elettricità vitrea e resinosa di Dufay. L’applicazione delle batterie (di
bottiglie di Leida) alle macchine elettriche portò Edward Nairne, uno dei principali
costruttori di strumenti scientifici inglesi, nel dicembre 1773, alla presentazione alla
Royal Society di una macchina con oltre sessanta bottiglie di Leida capace di far
evaporare sottili fili metallici. Nel 1785 Martin van Marun a Leida fece costruire la più
grande macchina elettrica settecentesca con 100 bottiglie, con elettrodi distanti
sessanta centimetri tra i quali scoccavano lunghissime scintille.
fig.7 Macchina elettrica di Nairne
fig.8 La più potente macchina elettrica del Settecento era realizzata con una batteria di 100 bottiglie di Leida
L’evoluzione delle energie e delle caratteristiche delle macchine elettriche, interpretate
in termini di grandezze fisiche moderne, sono riportate nella tabella che segue.
fig.9 Confronto delle
caratteristiche delle
macchine elettriche
settecentesche
UN TRATTATO DI ELETTRICITÀ DEL 1779
Nel 1777 fu pubblicato a Londra A complete treatise of electricity in theory and
practice with original experiments. L’autore, Tiberius Cavallo, traferitosi da Napoli per
intraprendere un’attività di commercio, era diventato, dopo l’emigrazione,
inaspettatamente rispetto alla sua formazione, un costruttore e sperimentatore di
strumentazione scientifica. Cavallo dal 1780 al 1792 fu il lettore delle lezioni
scientifiche istituite da Henry Baker presso la Royal Society. Nel 1779 la sua opera
venne tradotta in italiano da un non specialista (Ferdinando Fossi, il direttore
dell’Archivio diplomatico del Granduca di Toscana) su sollecitazione del principe di
Cowper (George Nassau Clavering). Una delle prime copie del Trattato fu consegnata
a una delle massime autorità della materia: Alessandro Volta, figlio di nobili decaduti e
inventore nel 1775 dell’elettroforo, nonché professore dal 1778 di fisica sperimentale
all’Università di Pavia, .
fig.10 Tavola di Alessandro Volta del 1775 sul funzionamento dell’elettroforo; fig.11 Elettroforo di Volta: A, piatto metallico; B, vetro; I, manico isolante
La macchina messa a punto del filosofo della natura italiano, che rappresentò forse la
novità più grande dopo la bottiglia di Leida, e il suo funzionamento erano così descritti
dallo sperimentatore inglese. “[Essa] consiste in due piani, uno dei quali B è di vetro e
di forma circolare coperto da una parte con […] una composizione di uguali parti di
resina, di gomma lacca […] e di zolfo: l’altro piano A è di ottone […] ed è fornito di un
manubrio I di vetro. Primariamente il piano B viene ad essere eccitato, strofinando
[…]; secondariamente il piano metallico si pone sopra l’elettrico eccitato, come è
rappresentato nella figura, in terzo luogo si tocca questo piano metallico con un dito o
con un altro conduttore, il quale toccando il piano riceve una scintilla da esso.
Finalmente il piano di metallo A essendo tenuto per l’estremità del suo manubrio di
vetro I, viene separato dal piano elettrico, e dopo essere stato elevato sopra quel
piano, si troverà fortemente elettrizzato d’una elettricità contraria a quella del piano
elettrico, ed in questo caso darà una fortissima scintilla a qualunque conduttore
portato vicino ad esso. […] L’azione di questi piani dipende da un principio scoperto
molto tempo fa, cioè della virtù che ha un elettrico eccitato di indurre un’elettricità
contraria a un corpo portato dentro la sua sfera d’azione; il piano metallico per
conseguenza acquista un’elettricità contraria, dando il suo fluido elettrico alla mano o
a qualunque altro conduttore che lo tocca, quando è posto sopra un piano elettrizzato
positivamente; ovvero acquistando una quantità addizionale di fluido dalla mano ecc.
quando viene collocato sopra un piano elettrizzato negativamente. “ (T. Cavallo,
Trattato di elettricità, pp. 474-477).
La lunga citazione permette di fissare alcuni concetti chiave dell’epoca. Gli 'elettrici' (il
vetro, le resine, lo zolfo, la gommalacca, l’ambra, …) erano tutti i corpi eccitati da
strofinio che mostravano le apparenze elettriche (attrazione, repulsione e scintille). I
corpi non elettrici erano invece chiamati 'conduttori' (l’oro, l’argento, il rame l’ottone,
il ferro, il corpo umano, …). I conduttori potevano essere caricati per contatto oppure
tramite il nuovo metodo esplicitato nell’elettroforo di Volta che induceva un’elettricità
contraria, fenomeno detto oggi “induzione elettrostatica”. La distinzione delle due
famiglie di materiali era per Cavallo solo un’approssimazione. Infatti, affermava:
“realmente non si conosce sostanza che possa chiamarsi un perfetto elettrico, né che
possa dirsi un perfetto conduttore; essendo che la forza elettrica trova qualche
resistenza nel passare tra i migliori conduttori, ed è in parte trasmesso a traverso o
sopra la superficie della maggior parte o forse di tutti gli elettrici.“ (T. Cavallo,
Trattato di elettricità, pp. 15-16).
Sui diversi metodi di eccitare gli elettrici, oltre lo sfregamento (confricazione) nel
Trattato era indicato il riscaldamento e il raffreddamento dei corpi. Tra i molti esempi
citati occupava un posto di rilievo la pietra tormalina (turmalina nel settecento) di
color rosso, chiamata da Linneo, Lapis electricus, capace “di attrarre le ceneri quando
collocata vicino al fuoco”. “La sua elettricità non apparisce tutta sopra la sua
superficie, ma soltanto ai due opposti lati, che potremmo chiamar suoi poli. [Se
tagliata] ciascun pezzo avrà i suoi poli positivi e negativi corrispondenti […] (pp. 4345) Di più quando la pietra è fortemente eccitata, manda fuori gran lampi di luce dalla
parte positiva alla negativa nelle tenebre.” (p. 46)
fig.12 Esempio di tormalina rossa; fig.13 Esperienze elettriche di
Epino realizzate con dischi in vetro. I due dischi dopo essere stati
caricati (positivamente e negativamente) per strofinio reciproco sono
allontanati l’uno dall’altro (con un manico di legno) e mostrano gli
effetti elettrici (attrazione iniziale e poi repulsione) su un pendolino
con filo di seta e pallina in sughero. Dal Tentamen theoriae
electricitatis et magnetismi del 1759
Una sorta di bottiglia di Leida
naturale già discussa da Franz
Ulrich Theodor Aepinus, autore
del matematizzante Tentamen
theoriae electricitatis et
magnetismi del 1759, dove era
descritto un modello di lamine di
vetro speculari, costruito insieme
a Wilcke, caricate per
sfregamento con segno opposto
che mostrava l’attrazione e la
successiva repulsione di un
pendolo (di seta e sughero) solo
dopo l’allontanamento delle due
lamine. L’attuale ”condensatore
di Epino” dei laboratori didattici,
formato da due conduttori e un isolante, è ben lontano dal dispositivo originale. Il
vetro era ancora considerato nel 1779 il principale degli elettrici.
Per Cavallo “la boccia di Leida [è] un vaso di vetro liscio o ruvido […] vestito di
qualche sostanza conduttrice in tutte e due le superficie. Cosicché l’incamiciatura non
venga a essere molto vicina all’orlo del vetro […], e se a una di queste incamiciatura si
comunichi qualche elettricità, l’altra purché comunichi alla terra, […] acquista da se
medesima un’eguale quantità d’elettricità contraria.” (pp. 71-72)
[…] La cagione che impedisce queste due elettricità dal mescolarsi insieme, è
l’interposizione del vetro che è impermeabile all’elettricità, ma se la carica è troppo
grande, e il vetro troppo sottile, allora la grande attrazione tra le due differenti
elettricità forza il passaggio attraverso del vetro, lo scarica, e lo rende incapace di
caricarsi di nuovo.“ (p. 73)
“La grossezza del vetro, lo rende più o meno capace di essere caricato: e a
proporzione che è più sottile, è capace di ricevere una maggiore carica.” (p. 74) “La
forza della scossa elettrica cagionata da vetri della medesima grossezza è maggiore o
minore in proporzione della quantità della superficie armata, e della grandezza della
carica.” (p. 75)
L’esposizione della fenomenologia del Trattato terminava con le tavole della
strumentazione elettrica. Tra questi spiccavano gli elettrometri costituiti generalmente
da pendolini elettrici: a quadrante (con goniometro), atmosferico, per la pioggia e un
modello portatile. Quest’ultimo, realizzato da Tiberio Cavallo, molto sensibile e
impreziosito da una custodia di avorio, venne utilizzato negli studi di Volta del 1780
dove comparve per la prima volta il termine condensatore.
fig.15 L’elettrometro a quadranti; fig.16 Elettrometro atmosferico e per pioggia; fig.17 Elettrometro tascabile di Tiberio Cavallo, con custodia in avorio
DEL CONDENSATORE DI VOLTA
Gli storici della scienza hanno dato interpretazioni diverse sul percorso seguito da
Alessandro Volta verso l’introduzione del concetto di capacità e di condensatore.
Alcuni hanno evidenziato gli aspetti legati all’elettrostatica moderna, altri rivendicano
una continuità tra le prime interpretazioni dei fenomeni elettrici riportati da Volta nel
De vi attractiva del 1769 all’elettroforo perpetuo del 1775, fino alla capacità dei corpi
conduttori del 1778 e al condensatore del 1780. Qui non si vuole analizzare l’intera
produzione voltiana, ma solo affrontare alcuni concetti, emersi nel periodo 1778-1780,
che portarono all’affermazione nel linguaggio scientifico di nuovi termini (capacità,
condensatore, tensione elettrica) fino allora assenti negli indici analitici dei Trattati di
elettricità.
fig.18 Rappresentazione grafica
dell’analisi della frequenza delle
parole negli scritti di elettricità di
Alessandro Volta; fig.19 Un
elettrometro a quadranti è respinto
da un conduttore carico
nell’illustrazione di una tavola del
trattato di Cavallo del 1777
Nel 1777 Volta incontrò in Svizzera lo scienziato Horace Bénédict de Saussure che
aveva notato le potenti scosse elettriche del filo metallico del suo parafulmine (un
altro dei successi di Franklin). La discussione tra il fisico e il naturalista si incentrò
sulla misura con elettrometri formati da pendolini e sulle piccole tensioni dei fili
(termine che era presente anche nell’opera di Giovanni Battista Beccaria
dell’Elettricismo artificiale del 1772 che parlava di tensione del fuoco elettrico). La
pratica di misurare con l’elettrometro di Henley la forza espansiva del fluido elettrico
era assai diffusa, ma non era chiara la grandezza caratteristica (il grado di elettricità,
l’intensità, la carica) rilevata dall’angolo del pendolino. Horace de Saussure,
professore di fisica e filosofia all’Accademia di Ginevra, dal canto suo aveva sviluppato
già dal 1766 un elettrometro a pendolo formato da un filo di rame, una pallina di
sughero e una tavoletta di legno. Come poteva un conduttore con bassa tensione dar
luogo a scintille così forti? La risposta a questa domanda era contenta nella lunga
memoria intitolata Sopra la capacità dei conduttori elettrici inviata da Volta all’amico
nel 1778. Confrontando conduttori cilindrici scriveva: “Or giusta la legge generalmente
stabilita, che la capacità de’ Conduttori siegue le ragioni delle superficie […] Ma la cosa
non va così: il cilindro grosso 2 pollici e lungo 2 piedi riceve una quantità notabilmente
maggiore di elettricità di quello che ne riceva il cilindro grosso 4 pollici e lungo
solamente un piede. Il cilindro poi grosso appena 6 linee, ma in compenso lungo 8
piedi, si carica incomparabilmente più che questo, o quell’altro, e più che ambedue gli
altri insieme.
Se alcuno mi domandasse come accertar si possa, che uno riceva maggior dose di
elettricità, che l’altro, non avrei cha a fargli prova la scintilla di ciascuno di questi
Conduttori […] Per Voi, Signore, che sapete meglio di me giudicare dai moti di un
Elettrometro (mi servo ancor io come Voi di un semplice filo di lino teso leggermente
da una pallottola di sughero, e che scende lungo il dorso di un’assicella) che
comprendete che quanto più di azione, e di giri della macchina accade d’impiegare per
far salire il pendolino a una determinata tensione, tanto maggiore vuol dir che sia la
capacità del Conduttore.” La fig.19, tratta dal manuale di Cavallo, dà un’idea delle
misure realizzata all’epoca.
Due anni più tardi in una nota Del condensatore, Volta specificava: “Suppongo quì che
siano eguali tra loro i gradi dell’Elettrometro, voglio dire che segni ciascuno un’eguale
quantità di elettricità, in quella maniera che ciascun grado di un buon Termometro di
mercurio segna un egual addizione di calore. Nel quadrante elettrometro del signor
Wenly che è il migliore di quanti elettrometri si sono mai immaginati, e ch’io ho in
qualche modo perfezionato, la divisione dei gradi fatta al compasso non è altrettanto
giusta; ma ha bisogno di una correzione intorno a che mi sono non poco applicato con
un successo maggior anche di quello che avrei potuto sperare.”.
Nella nuova Memoria Volta cercava di definire la tensione elettrica sia in termini
qualitativi che quantitativi.
“Farò quì osservare sul principio ch’io dinoto col termine di tensione (che volentieri
sostituisco a quello d’intensità) lo sforzo che fa ciascun punto del corpo elettrizzato
per dissiparsi della sua elettricità, e communicarla ad altri corpi: al quale sforzo
corrispondono generalmente in energia i segni di attrazione, ripulsione ec., e
particolarmente il grado a cui vien teso l’elettrometro.”
La definizione operativa della tensione elettrica permetteva a Volta di affermare “che
la tensione debb’essere in ragione inversa delle capacità, ci viene poi mostrato nella
maniera più chiara dall’esperienza. Siano due verghe metalliche, di egual diametro,
una lunga 1 piede, e l’altra 5. S’infonda alla prima tanto di elettricità, che giunga a
vibrare un elettrometro annesso a 60 gradi: se in questo stato si farà toccare quella
all’altra verga, l’elettricità compartendosi equabilmente ad ambedue, diminuirà di
tensione tanto appunto, quanto la capacità si trova ora accresciuta, cioè 6 volte: lo
chè ci farà vedere l’elettrometro, discendendo dai 60 ai 10 gradi . Così se l’istessa
quantità di elettricità venisse a diffondersi in un conduttore 60 volte più capace, non
rimarrebbe che 1/60 della primiera tensione, cioè un grado solo: come viceversa la
tensione di 1 sol grado di cotesto gran conduttore, o d’altro qualunque, salirebbe a 60
gr., ove la di lui elettricità venisse a raccorsi, e condensarsi in una capacità 60 volte
minore.” (pp. 204-205)
Volta proseguiva citando uno degli esperimenti di Franklin “che la capacità non è in
ragion della massa, ma bene in ragion della superficie del conduttore“.
Per poi arrivare a discutere la vera novità della Memoria.
“L’istesso conduttore ritenendo la stessa superficie, e la forma sua non mutata
acquista maggiore capacità allorachè in luogo di rimanere isolato solitariamente si
affaccia a un’altro conduttore non isolato; e l’acquista tanto sempre maggiore, quanto
vi si affaccia più davvicino, e quanto le superficie che si presentano un l’altro sono più
larghe. Io chiamo quel conduttore isolato che ne ha un’altro di fronte (sia questo non
isolato, come nel caso nostro, sia anche isolato, elettrizzato, o nò), lo chiamo
conduttore conjugato; e già io aveva promesso nella mentovata dissertazione, trattato
avendo della capacità de’ conduttori semplici, o solitarj, di trattare in seguito di quella
dei conduttori conjugati. “ (p. 206)
“Siano ora i medesimi dischi della sperienza precedente ambi elettrizzati, ma uno per
eccesso l’altro per difetto; ben si vede che ne seguiranno effetti contrarj, cioè
l’influenza vicendevole delle atmosfere, per cui l’uno è attuato dall’altro, produrrà un
compenso od equilibrio accidentale, onde diminuirassi la tensione in amendue, cadrà
l’elettrometro, ec. Allora io dico che trovasi accresciuta in ciascuno de’ due dischi la
capacità, inquantochè opporrà ciascuno minor resistenza ad un’ulteriore carica del
l’elettricità che già possiede, e gliene rimarrà di più a prendere per giugnere a un dato
grado di tensione.” (p. 209)
“La cosa è già bastantemente chiara, ma si renderà ancora più manifesta, e
toccherassi con mano, se si venga ad isolare il piano conduttore (supponiam che
questo sia parimenti un disco metallico, che chiameremo disco inferiore) affacciato già
al disco elettrico, e dopo si allontanino un dall’altro; giacchè allora compariranno
realmente in esso piano, o disco inferiore i segni dell’elettricità contraria da esso lui
acquistata allorchè non era isolato, e trovavasi immerso nell’atmosfera del disco
superiore. Cotesto disco superiore poi, il quale intantochè si allontana, ricupera la
tensione, che l’avvicinamento gli avea fatto perdere, la perderà di nuovo a misura che
si accosterà un’altra volta al disco inferiore, e la farà perdere a lui medesimo, in virtù
dell’azione reciproca delle contrarie elettricità a indicare le quali vicende è opportuno
che trovisi un’elettrometro annesso a ciascuno de’ dischi; poichè il linguaggio
dell’elettrometro è il più significante di tutti” (p. 210)
La spiegazione dei fenomeni elettrici caratteristici dei due conduttori coniugati era
ricondotta da Volta all’azione delle atmosfere e del fuoco elettrico in eccesso e in
difetto, il fisico aveva però completato il percorso intrapreso nello studio delle
proprietà elettriche dei conduttori. Il vero dispositivo condensatore di elettricità non
era l’elettroforo formato da due elettrici e un conduttore, ma l’equivalente di un
quadro di Franklin con due dischi conduttori separati da uno strato coibente. Un
elettroforo modificato con due dischi di ottone e un sottile strato di resina come
elettrico diveniva capace di condensare al suo interno una grandissima quantità di
carica positiva e negativa (nei due metalli). Il linguaggio di Volta conteneva elementi
lontanissimi dall’elettrostatica odierna eppure le espressioni moderne per un
conduttore:
Q=CV (C, capacità elettrica; V, potenziale elettrico; Q, carica elettrica)
e per un condensatore: Q=CΔV,
come la dipendenza della capacità di un condensatore a facce piane e parallele dalla
distanza e dalla superficie, sono per certi versi riconducibili alle ricerche volte a
dimostrare “In qual maniera un conduttore accostandosi a un altro sotto certe
condizioni acquisti una straordinaria capacità di ricevere e contenere l’elettricità.” (p.
203)
È l’inizio del rovesciamento del punto di vista antico: gli elettrici stanno diventando i
coibenti e i conduttori assurgono come le vere sostanze chiave per l’elettricità. La
ricerca di Volta nei successivi venti anni del secolo proseguì con lo sviluppo di
elettrometri sempre più perfezionati e soprattutto con l’invenzione della pila (una
batteria di due conduttori separati da un disco di panno imbevuto con acqua
acidulata). Il trionfo dei metalli aprì nuove strade alla fisica e alla chimica.
fig.20 Il condensatore di Volta è costituito da due dischi di ottone separati da materiale coibente; fig.21 Elettrometro a pagliuzze di Volta
fig.22 Uno dei disegni realizzati da Volta sulla sua pila
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