Lo stato Unitario e le sue articolazioni

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Riassunto dal testo: “Pensare Sociologicamente” di Zygmunt Barman
A cura di Aniello Spina
Facoltà di Scienze Politiche – Corso di Laurea in Scienza del Governo e dell’Amministrazione
Pensare Sociologicamente.
Pensare sociologicamente contribuisce alla causa della libertà. Come dice il filosofo
americano Richard Rorty “Se abbiamo a cuore la libertà, la verità ed il benessere
dovremmo prendercene cura”.
Il grande compito della sociologia è quello di rendere un servizio alla convivenza
umana promuovendo la comprensione reciproca e la tolleranza come suprema
condizione di liberà per ognuno.
La
sociologia
è
una
interpretazione
estesa
dell’esperienza
umana,
una
interpretazione che si nutre di altre interpretazioni e che a sua volta nutre rimanendo
legata a tutte le altre come la letteratura l’arte la filosofia.
Libertà e dipendenza
Essere libero e nel contempo non esserlo è una delle più comuni nostre esperienze.
La libertà consiste nella capacità di decidere e di scegliere, ma la mia libertà è di fatto
limitata. A cominciare dal fatto che sono responsabile delle conseguenze delle mie
azioni e quindi se faccio qualcosa che gli altri non fanno o normalmente non compiono
debbo essere punito, la punizione quindi confermerà che sono responsabile di quello
che ho fatto.
Allo stesso tempo tante persone voglio ottenere la stessa cosa che voglio io per cui
mi trovo coinvolto in una competizione il cui risultato non dipenderà solo da me
(competere per un posto di lavoro e scoprire che ci sono 20 candidati). La libertà degli
altri segna i confini della mia ed io dipendo dal modo in cui essi decidono le loro
azioni. Inoltre la mia determinazione non è sufficiente se mi mancano i mezzi per
ottenere quanto voglio.
La libertà di scelta in sé non garantisce la libertà di agire ed ancor meno assicura la
libertà di raggiungere gli scopi desiderati. La mia libertà non dipende da ciò che faccio
o da ciò che ho ma da quello che sono. Sono ciò che sono nato (italiano, cattolico,
ecc) e sono perfettamente adatto alle condizioni del gruppo a cui appartengo.
Finche la mia libertà funziona il gruppo di cui faccio parte gioca due ruoli, da una
parte mi mette nella condizione di essere libero dall’altra mi reprime determinando i
confini della mia libertà. Diventare membro di questo gruppo non è stato un atto della
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mia libertà ma una manifestazione di dipendenza. Posso accettare la mia sorte con
rassegnazione oppure trasformarla in un destino e abbracciandolo entusiasticamente
decido di sfruttarlo al massimo. Sono debitore al gruppo perché dal esso ho preso:
1 – la distinzione che ho fatto dei fini che meritano di essere perseguiti;
2 – i significati che adopero per cercare di raggiungere i fini che il mio gruppo mi
ha detto di perseguire;
3 – i criteri di rilevanza per distinguere tra le cose che interessano o meno al
progetto che ho in mente.
Questa mappa seleziona l’insieme di progetti di vita realistici per persone “come
me”. In effetti devo al mio gruppo tante cose tra cui l’insieme delle conoscenze che mi
identificano quale appartenente ad esso , conoscenze che mi aiutano quotidianamente
nella vita e che sono dentro di me e i cui io non ho più traccia del modo i cui esse mi
sono entrate. Io so molto poco del modo in cui ho acquisito tali conoscenze.
Si tratta dell’interiorizzazione degli standard di gruppo, concetto elaborato della
psicologo americano Gorge Herbert Mead. Tale interiorizzazione in pratica divide il
“Se” in “Io” e “Me” La parte più esterna del “Se”, quella proveniente dall’esterno nella
forma di domande da soddisfare e modelli da seguire, è il “Me”; la parte più intima,
dove vengono analizzate la domande poste dall’esterno, è l’”Io”.
I bambini imparano di essere osservati, valutati, premiati o castigati cioè vengono
stimolati a comportarsi in un modo particolare, i ricordi delle azioni premiate e di
quelle castigate si confondono gradualmente con la comprensione inconscia dl “Me” e
tra le tante perone che il bambino incontra alcune vengono individuate come
“Significanti”. Il “Se” si sviluppa tra il bambino ed il suo entourage.
Tutti i gruppi devono aver sviluppato un modo di addomesticare i proprio
componenti. Sigmund Freud riteneva che l’intero processo di sviluppo dell’individuo
e l’organizzazione sociale dei gruppi potevano essere interpretato alla luce della
necessità di controllare le manifestazioni delle forze socialmente pericolose.
Al processo di formazione dell’IO e del ME si da il nome di Socializzazione.
Noi e loro
Adam
Smith
diceva
che
“una
persona
ha
continuamente
bisogno
della
collaborazione di grandi masse mentre tutta la sua vita è appena sufficiente ad
ottenere l’amicizia di alcune persone”.
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A cura di Aniello Spina
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Con le persone con cui interagisco posso avere due tipi di rapporti, un di tipo
funzionale cioè rapporti aventi uno scopo preciso, altri sono i rapporti di tipo
comunicativo una iterazione più intima.
Alfred Schutz propone di inserire tutti gli altri membri della razza umana su di
una linea immaginaria, un continuum misurato in n base alla distanza sociale che
aumenta a mano a mano che il rapporto sociale si riduce. Prendendo me stesso come
punto i partenza coloro che sono posti più vicino a me sono i consociati con cui
intrattengo rapporti diretti e faccia a faccia. I consociati occupano una piccola parte
del settore riservato ai contemporanei, persone che vivono il mio stesso tempo. In
aggiunta a questi ultimi ci sono i miei predecessori ed i miei
successori che si
differenziano dai contemporanei per il fatto che la comunicazione con loro è
incompleta ed unilaterale. Nessuna delle categorie elencate è fissa ma i loro confino
solo “porosi” consentendo il trasferimento di posizionamento degli individui.
Le iterazioni tra soggetti si svolgono a livello mentale oppure anche a livello
fisico. La dimensione mentale delle iterazioni si basa su di una scala di valori e cioè:
simpatia ( tra persone simili) < empatia (mettersi nei panni di…) < compassione
(condividere le stesse passioni con l’annullamento della distanza mentale).
Tra tutte le distinzioni che mi consentono di dividere le persone in categorie una è
predominante, la distinzione tra Noi e Loro. Noi sta per il gruppo a cui appartengo
Loro al contrario sta per il gruppo a cui non appartengo trasformando la distinzione
quindi in in-group ed out-group. Aiuto reciproco, protezione ed amicizia sono le
regole immaginarie della vita in-group. La famiglia è l’esempio più lampante di ingroup, un groppa faccia a faccia. Classe sociale, genere e nazione sono esempi di un
altri tipo di in-group dove noi non possiamo mettere alla prova le nostre aspettative
ed i nostri ideali poiché tale in-group è ampio e sparpagliato. Essi sono realmente
comunità immaginarie.
Grandi masse di persone possono essere lacerati da profondi conflitti e divisioni,
mancando il cemento del faccia a faccia non diventano in-group da soli ma devono
essere resi tali e quindi necessitano di un insieme permanente e disciplinato di attivisti
le cui azioni diano corpo alla comunità, ma nessun tentativo di indurre la fedeltà un ingroup può avere effetto se la solidarietà al suo interno non viene associata all’ostilità
verso l’out-group.
Inimicizia, sospetto ed aggressività verso l’out-group si risolvono nel pregiudizio la
cui tendenza non è espressa in maniera uniforme e può degenerare in xenofobia o
razzismo.
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Norbert Elias ha esposto una sua teoria dei residenti e degli outsiders secondo
la quale la tensione che sorge dalla necessità di fare spazio agli outsiders e dal
desiderio dei nuovi venuti a trovarne spinge ciascuna fazione ad esasperare le
differenze, fino ad arrivare alla scismogenesi che, come afferma Gregory Bateson,
rappresenta la catena di azioni e reazioni che deriva dall’atteggiamento di ostilità tra
in-group e out-group.
La
scismogenesi
complementare
si
sviluppa
partendo
da
due
presupposti
complementari ma porta ad un solo risultato cioè la rottura del rapporto. I due
presupposti sono la tendenza dominante di un gruppo (o di un singolo) contro la
remissività dell’altro, il primo è complementare al secondo e se esiste l’uno esiste
anche l’altro. Fortunatamente esiste anche la reciprocità che unisce le caratteristiche
dei due modelli precedenti e ne neutralizza le tendenze autodistruttive, in un rapporto
reciproco ogni caso di iterazione è asimmetrico ma dopo un lungo periodo le azioni di
entrambe le parti si bilanciano rendendo la relazione equilibrata.
Estranei
Le parole “noi” e “loro” acquistano significato solo in contrapposizione l’una
all’altra. Noi siamo “noi” fintanto esiste un “loro”. Attenzione gli “estranei” non sono
coloro i quali io non conosco affatto altrimenti sarebbero dei “nessuno”. Per poter
anche solo definire qualcuno come estraneo debbo avere comunque delle conoscenze
su di esso e stabilire il grado di contatto che io debbo avere con lui.
La linea di confine tra in-group ed out-group cioè tra “noi” e “loro” è una divisione
che difendiamo accanitamente ed è minacciata sia dall’interno che dall’esterno. Il
mondo in cui viviamo ci sembra popolato principalmente da estranei. Con gli estranei
bisogna convivere.
Gruppi che reciprocamente si escludono non possono nel complesso vivere
separati ma possono ridurre in qualche modo i loro rapporti attraverso pratiche e di
segregazione, una di queste è la moda, ma con la perdita del valore pratico della
segregazione attraverso l’apparenza, acquista maggiore importanza la segregazione
tramite lo spazio.
Una relazione umana è morale e fin quando si radica sul sentimento della
responsabilità per la prosperità e il benessere degli altri. La responsabilità è morale
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fintanto che al turistica e incondizionata. L’affinità morale è costituita specificamente
da questo tipo di responsabilità.
Comunità ed organizzazione
Quando si usano frasi del tipo “come sappiamo tutti ….” oppure “tutti siamo
d’accordo che….” mi riferisco a quel gruppo non specificato di persone che la pensano
come me. Usando una di queste frasi io stabilisco un legame invisibile di
comprensione tra me ed i miei ascoltatori dove suggerisco che siamo uniti da opinioni
che condividiamo. È ad un tale gruppo di persone che conviene su qualcosa che altre
persone presumibilmente rifiutano che noi pensiamo quando parliamo di comunità.
Una comunità è un luogo nel quale i fattori che uniscono le persone sono più forti e
più importanti di qualunque qualcosa possa dividere.
La comunità è pensata come
qualcosa di naturale. La condivisione delle idee si sviluppa naturalmente quanto meno
se ne discute e dunque quanto meno queste vengono sfidate.
Molti movimenti religiosi e politici proclamano apertamente la loro intenzione di
creare una comunità di credenze o di fede convertendo le persone a nuove idee, in
questa sorta di esercizio di costruzione comunitaria il linguaggio impiegato non è
quello della tradizione o del destino storico ma quello della buona novella, della
rinascita e soprattutto della verità, tanto le comunità di fede non possono limitarsi alla
propaganda ma devono sostenersi con un rituale: una serie regolare di aventi in
occasione dei quali ai fedeli viene richiesto di partecipare in qualità di attori. Le sette
religiose e sono più esigenti.
Le
comunità
differiscono
ampiamente
tra
di
loro
quanto
ad
estensione
dell’uniformità che esigono dai membri. Radicalmente diversi da qualsiasi comunità
sono quei gruppi che tengono insieme i propri membri esclusivamente in vista del
compimento di un obbiettivo in questo caso è possibile parlare di associazioni o di
organizzazioni, i membri di una organizzazione di svolgono soltanto dei ruoli.
Max
Weber
considera
la
proliferazione
delle
organizzazioni
della
società
contemporanea come un sintomo della continua razionalizzazione della vita sociale.
Per Weber l’organizzazione è l’adattamento supremo agli imperativi dell’azione
razionale.
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Le comunità, così come le organizzazioni, presuppongono la libertà dei loro
membri, quella di unirsi è considerata una azione volontaria, c’è tuttavia un caso in cui
l’organizzazione nega il diritto ad abbandonarla si tratta delle istituzioni totali.
Dono e scambio
Linee iterazione umana è soggetta alla soppressione di due principi che troppo
spesso si contraddicono a vicenda:il principio dello scambio tra equivalenti e il
principio del dono. Nel caso dello scambio e le regole dell’interesse personale sono
supreme, la preoccupazione principale riguarda il giusto corrispettivo dei servizi che
vengono resi per soddisfare i bisogni altrui. Quella di dono è una etichetta che si
applica ad una grande varietà di azioni. Il puro abbuono è un concetto limite e
ponendo di riferimento estremo nel rapporto al quale con frontale i diversi casi con
decreti non . l’assenza di interesse comporta la manovalanza di una nuova
remunerazione. Il dono e offre al donatore la e gratificante è ricompensa della
soddisfazione morale. Per rendere più accettabile l’ideale di purezza molte dottrine
religiose incoraggiano il dono presentando lo come uno scambio tra non equivalenti
come l’opera buona richiesta per la salvezza personale.
Le due forme di un comportamento che abbia è di fatto un fermo rischia un
esempio delle manifestazioni quotidiane della di scelta tra dono e scambio. Talcott
Parsone ha mandato a queste alternative il nome di variabili strutturali mentre
un’altra coppia di opzione è quella di una diversa visita e particolarismo che l’nella
terminologia di parsone si tratta nota dell’opposizione tra affettività
e neutralità
affettiva.
Alcuni gruppi si cercano di stabilire piccole nicchie comunitarie all’interno delle
quali sono ammessi soltanto a rapporti di tipo personale. Tuttavia questi tentativi
terminano con un fallimento poi che il contesto personale non può contenere tutte le
dimensioni della vita a restando un ingrediente indispensabile.
Il sociologo tedesco Niklas Luhmann ha presentato la ricerca dell’identità personale
come la causa primaria e più potente del bisogno d’amore. Essere amati significa
essere trattati da un’altra persona come esseri unici cioè significa essere compresi.
Il risultato è che nella nostra società complessa nella quale la maggior parte dei
bisogni umani vengono soddisfatti in maniera impersonale la necessità di un rapporto
d’amore è più forte che in qualsiasi altra epoca della storia dell’umanità. Ciò che rende
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vulnerabile e fragile una relazione amorosa è il bisogno di reciprocità ma la mia realtà
e quella delle mio partner sono diverse.
Il sociologo americano Richard Sennet ha coniato il termine comunità distruttiva
per indicare una relazione nella quale entrambi i partner perseguono ossessivamente
il diritto all’intimità alla aprire se stessi all’altro.
Un equivalente dell’amore è offerto dal mercato dei beni di consumo.
Una delle manifestazione della svalutazione dell’amore è la tendenza dell’erotismo
ad essere spodestato dalla sessualità che comporta la riduzione dell’incontro sessuale
alla sola funzione della soddisfazione del desiderio.
Un’altra conseguenza è che l’emancipazione della sessualità dal contatto con
l’erotismo lascia la relazione amorosa considerevolmente indebolita.
L’amore e lo scambio sono due estremi di un continuum lungo il quale si possono
collocare tutte le relazioni umane.
I nostri sogni ed i nostri desideri sono combattuti tra due bisogni quello di
appartenenza e quello dell’individualità. Il primo bisogno ci spinge a cercare legami
forti e sicuri con gli altri, il secondo ci spinge verso la privacy, uno stato in cui ci
troviamo immuni da passioni e liberi dalle richieste altrui.
Scelta e potere.
Faccio questo perché … Quel che fa sembrare le mie spiegazioni molto semplici è il
fatto che sono conformi ad una abitudine che tutti condividiamo: l’abitudine di
spiegare gli eventi come effetti di una causa.
La nostra ricerca della spiegazione si
fermerà solo quando avremo trovato in
evento che aveva preceduto sempre ciò che a noi interessava spiegare, in tal caso si
parlerà di legge, cioè una connessione che non ammette eccezioni. Nel caso che
l’evento precedente accade non sempre, ma solo nella maggioranza dei casi, allora
parleremo di norma così che la connessione avrà luogo con qualche eccezione.
L’azione razionale è quella in cui fra tanti modi di agire il soggetto seleziona
coscientemente quella che sembra offrirgli la maggiore garanzia di successo dello
scopo prefissato. (Razionalità Strumentale)
Ogni volta che scegliamo coscientemente le nostre azioni anticipiamo le probabili
conseguenze. Più precisamente quello che soppesiamo è l’insieme delle risorse e dei
valori.
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Le risorse possono essere il capitale oppure le capacità oppure ancora il “capitale
sociale” (Conoscenze).
I valori che coltivo mi consentono di confrontare le diverse finalità e determinare la
migliore fra tutte.
Persone diverse hanno gradi di liberà diversi. Le differenze del grado di libertà
stanno nell’ampiezza del ventaglio di azioni tra le quali possono scegliere, ampiezza
che a sua volta è data dalla quantità di risorse che hanno a disposizione oppure da un
più esteso ventaglio di valori.
Il concetto di potere è quindi definibile come la capacità di agire. Più potere hanno
le persone e più ampia sarà la portata dei risultati che realisticamente esse possono
conseguire.
Avere potere significa essere in grado di agire più liberamente , mentre non avere
potere significa avere una libertà di scelta più limitata.
Considerando
attentamente
la
definizione
che
abbiano
dato
delle
risorse,
potremmo dire anche che avere potere significa avere l’abilità di mettere in campo i
fini delle altre persone usandoli come mezzi per il conseguimento dei propri obiettivi.
Una tale svalutazione della libertà altrui può essere raggiunta sono con due mezzi.
Il primo è la coercizione che consiste nella manipolazione della situazione in atto in
modo da rendere le risorse delle altre persone inadeguate ed inefficaci, sebbene in
altri contesti abbiano una certa validità.
L’altro metodo consiste nell’arruolare fra le proprie risorse i valori degli altri, cioè
fare in modo che i desideri degli altri li inducano a muoversi in una direzione a me
favorevole. Chiunque sarà in grado di giocare la carta della coercizione o manipolare i
compensi sarà in grado di cambiare le mie possibilità di realizzare i miei desideri.
Da dove derivano i miei valori? sorgo davvero frutto di una libera scelta? Oppure
come molte delle mie risorse saranno influenzati dalle azioni di altre persone? I valori
che le persone si danno come guida delle proprie azioni cambiano nel corso
dell’iterazione sociale. Tale iterazione è quello a cui facciamo riferimento quando
parliamo di influenza. Diversamente dal potere l’influenza condiziona i valori in
maniera diretta. Non sempre i valori vengono scelti consciamente, molte delle nostre
azioni sono abitudinarie e non danno luogo a considerazioni circa mezzi e fini, l’agire
abitudinario non ha bisogno di mezzi e di fini.
I valori ultimi che guidano la nostra esistenza si formano nell’infanzia e sono più
che mai sedimentati nel subconscio. La capacità di influenzare i valori è il tipico
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attributo dell’autorità. Essa si misura attraverso la probabilità che le persone
accettino dei valori dati per la sola ragione che qualcun altro li predica.
I Valori a cui obbediamo, in definitiva, sono una questione personale. Per diventare
un’autorità ai nostri occhi una persona o una organizzazione deve produrre una
legittimazione capace di dimostrare perché i loro modelli devono essere seguiti. La
legittimazione può essere di due tipi tradizionale e carismatica. Il primo basato sul
fato che i valori sono presentati come degni di stima in ragione di una tradizione che li
sottende, essi sono collaudati e verificati. La seconda è data dalla qualità di mostrare
la convinzione che i valori siano depositari di un acceso privilegiato alla verità.
I due tipi di legittimazione hanno in comune la rinuncia da parte dell’individuo a
fare delle scelte autonome ed il conseguente affidamento di tale diritto ad un altro
soggetto che si accolli la responsabilità dei risultati inclusa la responsabilità morale
per le conseguenze delle nostre azioni.
Vi è anche la legittimazione di tipo legale la quale implica che certe organizzazioni
hanno il diritto legalmente garantito di dirci che tipo di azioni intraprendere così come
è nostro legittimo dovere obbedire sena replicare.
La legittimazione razionale di tipo legale separa l’azione della scelta di valore.
Autoconservazione e dovere morale
Il bisogno crea u desiderio, viene incontro ad una deprivazione. È proprio lo stato
di bisogno legato alla sopravvivenza che finisce per rendere qualcosa che io desidero
come un bene. Il bene, in pratica, è l’altra faccia del bisogno. L’istinto di
autoconservazione è semplicemente interesse per se stessi, esso rafforza comunque il
legame con gli altri ci rende dipendenti dai loro interessi e dalle loro azioni.
La proprietà differenzia le persone e rende la loro relazione asimmetrica, coloro ai
quali è negato l’accesso ad un bene di proprietà privata devono obbedire alle
condizioni poste dal proprietario e li pone in condizione di dipendenza da esso.
La reale essenza che distingue i proprietari dai non proprietari è il diritto di
decidere. Possedere i beni significa poter decidere cosa gli altri devono fare e quindi
proprietà e potere si fondono. Non è lo stesso per i beni consumati dal loro stesso
proprietario, essi non daranno potere su altre perone ma bensì, rendendo la vita più
comoda, offrono l’indipendenza dal potere degli altri accrescendo l’autonomia.
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Entrambe le funzioni della proprietà, quella del potere sugli altri e quella
dell’autonomia sono rappresentate dalla proprietà privata solo nella misura in cui essa
“separa”. Nella situazione in cui la possibilità di agire dipende dal controllo delle
risorse, agire razionalmente significa seguire sono il proprio interesse (homo omini
lupus) seguendo cioè la logica dell’autoconservazione.
Gli interessi sono la pietra dello scandalo. Se un’azione è orientata dal guadagno i
miei bisogni rappresentano l’unica motivazione, mentre al contrario in una azione
orientata dalla morale i bisogni degli altri diventano il criterio fondamentale di
scelta. L’azione morale infatti richiede solidarietà, aiuto disinteressato.
Max Weber fu il primo a sostenere che la separazione della vita economica da
quella familiare costituisce una delle caratteristiche principali della società moderna.
Affari e morale non vanno bene insieme, il successo degli affari dipende dalla
razionalità ed il,tentativo di adattare l’azione umana alla richiesta i ideali di razionalità
si trasforma in organizzazione o in burocrazia.
Grazie alla divisione orizzontale e verticale del lavoro le azioni di ogni singola
persona sono mediate dalle azioni degli altri in modo che non sembra esserci un
diretto legame tra ciò che uno fa e ciò che appare come l’oggetto finale dell’azione. La
burocrazia così riesce anche a raggiungere obiettivi disumani.
La burocrazia non è l’unico contesto in cui i motivi morali dell’azione non vengono
considerati, un’altro contesto virtualmente libero dalla brama di potere riesce ad
essere un efficace oppressore della morale ed è la massa.
Una folla di uomini sarebbero capaci di compiere atti di cui in circostanze diverse
sarebbero assolutamente incapaci.
Sia la burocrazia che l’impersonalità degli atti resa dalla massa arrivano allo steso
risultato l’annichilimento dell’autonomia individuale.
All’interno dell’universo degli obblighi morali viene riconosciuta l’importanza dei
bisogni degli altri.
Natura e cultura
“Guarda quello com’è baso, la natura non è stata generosa con lui”. “Guarda quello
quanto è grasso, dovrebbe mettersi a dieta” Sono entrambe frasi che inquadrano un
problema personale e fisiologico ma l’atteggiamento verso i due casi è diverso. A volte
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si danno motivazioni differenti a situazioni che in apparenza sono simili. Il motivo è
individuabile in ciò che la gente dovrebbe oppure potrebbe fare.
In altre parole se esistono cose che potrebbero essere differenti dal potere umano.
Definiamo le cose soggette alla manipolazione dell’uomo come cultura mentre quelle
che non lo sono vengono definite natura.
Se prendiamo un contadino ed un giardiniere, entrambi potrebbero trasformare u
campo, l’uno in un frutteto, l’altro in un giardino. Entrambi avranno modificato la
natura ma in due direzioni diverse dettate dalla diversa cultura dei due attori.
Con lo stesso criterio possiamo distinguere ordine dal disordine e norma dalla
deviazione dalla norma.
L’autorità schiacciante che manipola i pensieri umani appare sotto forma di
opinione pubblica, di moda di consenso comune.
L’ordine si distingue dal caos per il fatto che in una situazione ordinata non tutto
può accadere e stabilire un ordine significa manipolare la probabilità degli eventi. I
valori che sorreggono tali scelte sono incorporati negli ordini artificiali e nessun ordine
artificiale può essere libero da valori.,
Quello che noi facciamo è appreso dal passato e noi grazie alla memoria
accumuliamo conoscenze; il mondo ordinato è quindi il prodotto di una selezione e di
un disegno culturale.
Le distinzioni che rappresentano l’ordine del mondo prodotto dalla cultura incidono
al tempo stesso sia sul contesto dell’azione che sull’azione stessa. In altre parole si
potrebbe dire che tanto il mondo sociale culturalmente organizzato, quanto il
comportamento degli individui sono strutturati. La corrispondenza tra le strutture
viene definita codice culturale. L’istruzione degli individui consiste nel comunicare la
conoscenza del codice culturale, che è un sistema di segni e di simboli (semaforo
rosso ecc.).
Conoscere il codice significa comprendere il significato dei segni di conseguenza
saper come comportarsi nella situazione in cui appaiono oppure come utilizzarli
affinché la situazione i verifichi. Il segno potrebbe essere letto in modo sbagliato, ma
se ciò avviene c’è una lettura sbagliata e l’errore non potrà correggere.
La ridondanza sembra essere essenziale per il buon funzionamento del codice. È un
metodo sicuro contro gli errori. Ma attenzione è l’opposizione tra segni ad avere un
significato, il segno in sé non vuol dire nulla.
Il linguaggio è un sistema di segno specializzato nella funzione comunicativa.
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Stato e Nazione
L’identità di una persona è data dal suo nome. Il nome personale rappresenta
l’unico segno che dovrebbe immediatamente distinguermi dagli altri, e che risponde al
quesito: Chi sono IO? Ma il problema dell’identità deve essere visto su due fronti, da
un lato la domanda chi sono io? Dall’altro la domanda: che cosa sono IO?
Con la risposta alla prima definiamo la nostra identità personale, soddisfando il
nostro bisogno di unicità; mentre con la risposta alla seconda definiamo la nostra
identità sociale e soddisfiamo il nostro bisogno di appartenenza.
Tra le possibili risposte alla domanda: Cosa sono io? Quelle che generano le
distinzioni di Nazionalità e di Cittadinanza sono quelle che definiscono l’appartenenza
ad uno Stato. Stato e Nazione possono essere confusi ma sono due cose abbastanza
distinte la cui appartenenza ad ognuna comporta rapporti di tipo diverso.
Innanzitutto non c’è uno stato senza un territorio tenuto insieme da un centro di
potere e lo stato rivendica il diritto di usare la forza coercitiva per imporre
l’osservanza delle proprie leggi, ed allo stesso tempo punisce l’uso non autorizzato
della forza coercitiva.
Il fatto di essere soggetti di uno Stato è la combinazione di diritti e di doveri (i
diritti possono essere: personali, politici o sociali) e tale combinazione allo stesso
tempo ci protegge e ci opprime. Se l’azione protettiva dello Stati ci permette di agire,
la funzione oppressiva ci appare come un freno.
Ognuno preferirebbe la libertà con minori oppressione possibile c’è quindi la
necessità di influenzare entrambi ed è sperando di cambiare l’equilibrio tra libertà ed
oppressione che i cittadini cercano più influenza negli affari dello stato. Essere un
cittadino significa essere un soggetto che abbia un certo peso nel determinare la
politica dello Stato. Il diritto di cittadinanza richiede che lo Stato stesso sia limitato
sulla possibilità di limitare.
Dal punto di vista dello Stato i soggetti sono i primi ed i principali oggetti delle
norme statali, la loro condotta è in costate bisogno di divieti e di leggi. Lo stato
giustifica le sue decisioni perché il potere che esercita è nel “miglior interesse”, il suo
è un potere pastorale.
Lo Stato ha bisogno di una legittimazione, cioè di convincere gli uomini che ci sono
valide ragioni per obbedire ai comandi che esso impartisce, lo scopo della
legittimazione è lo sviluppo dell’obbedienza. Uno dei mezzi con cui lo Stato legittima la
sua presenza è il consenso. Le strategie di legittimazione sono varie, una è il
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patriottismo: l’amore per la terra natia e la volontà di mantenerla forte e felice,
l’obbedienza allo stato è il segno più evidente di patriottismo. Un’altra è il
nazionalismo che è una ideologia creata e propagandata dallo stato per assicurarsi
l’obbedienza.
A questo punto bisogna chiedersi: che cos’è una nazione? La Nazione è una
comunità immaginaria che uniformando (oppure partendo dalla uniformità esistente)
alcune caratteristiche dei cittadini, viene a crearsi sul territorio di uno stato. Una
comunità di: lingua, territorio, mito delle origini e destino.
Una volta che lo Stato sia identificato con la Nazione le prospettive di successo
crescono considerevolmente. Il nazionalismo non deve far più leva sulla persuasività e
sulla cogenza delle sue argomentazioni, ha altri mezzi. L’effetto combinato della
pressione culturale e le regole di condotta imposte dallo stato conducono alla
realizzazione del modello di vita associato alla appartenenza alla nazione. Si va
dunque verso l’assimilazione, un processo di omogeneizzazione di tutti i gruppi
residenti sul territorio dello stato in modo che alla fine si posa avere una Nazione.
In gran parte del mondo Stato e Nazione si fondono storicamente. Gli stati hanno
sempre un sentimento nazionale e lo utilizzano per accrescere la loro influenza sulla
società, mentre gli sforzi della Nazione ricorro al potere dello Stato per far rispettare
l’unità che dovrebbe essere presumibilmente naturale. La fondazione dello Stato e
della Nazione sono storicamente determinate ma non inevitabili, la fedeltà ai costumi
nativi ed alla lingua non sono riconducibili ad una funzione politica e quindi il
matrimonio tra Stato e Nazione non è in alcun modo predeterminato ma è un
matrimonio di convenienza; in altre parole nasce prima lo Stato e poi eventualmente
una Nazione.
Ordine e caos
Nella nostra vita comune ci sono molte persone che lavorano dietro le quinte,
molte persone cioè che noi non vediamo e non conosciamo ma che lavorano perché la
nostra vita possa svolgersi regolarmente. Come nei titoli di coda di un film dove noi
possiamo vedere la lista delle persone che hanno collaborato alla realizzazione dello
spettacolo. Ebbene quella lista, per quanto lunga potrà essere, non conterrà mai tutti,
ma proprio tutti, i nomi di coloro che direttamente o indirettamente hanno lavorato a
quel film, qualcuno avrà deciso il criterio di scelta tra coloro da menzionare e quelli
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che non dovevano essere presenti nei titoli di coda. Qualunque sia stata la decisione
sarà stata una decisione arbitraria.
Il fatto è che tutte le divisioni della realtà umana sono di natura precaria,
l’importanza di una divisione cresce insieme con la fragilità e l’estensione del danno
che causa. Le divisioni vengono sempre difese. Questa è una situazione tipica della
società moderna. Nelle condizioni precedenti il mantenimento delle divisioni era più
semplice perché le distinzioni erano ritenute naturali.
Esse venivano percepite come parti di un “cosmo divino”, come qualcosa di
naturale. Verso la fine del sedicesimo secolo in alcune parti dell’Europa questa visione
naturale delle divisioni cominciò a vacillare; ciò avvenne perché vi erano molte
categorie di persone che non trovavano collocazione in nessuna delle categorie
stabilite dalla “divina catena dell’essere”. Lentamente divenne evidente che l’ordine
sociale era un prodotto umano, che andava sostenuto e protetto dagli esseri umani,
e che le divisioni sarebbero state sempre arbitrarie e artificiali.
Ciò che fu scoperto fu quando la distinzione tra natura e società e soprattutto la
distinzione dei compiti cui venivano demandate.
I filosofi cominciarono a parlare di leggi della natura e si fece strada l’idea di
ordine, visto come una serie regolare di eventi, come una situazione dove le cose
sono destinate a modificarsi nei modi previsti.
Ciò conduce a considerare il disordine come l’incapacità di controllare il flusso
degli eventi. La gestione di ogni ordine sarà comunque parziale e sempre incompleta.
Al massimo si potrà parlare di isole di ordine che emergono dal mare del caos.
In ogni isola di ordine bisogna aver cura di fare le cose in modo preciso, ciò
significa che ogni situazione deve aver una definizione precisa e che ogni altro
significato, capacità o caratteristica non programmata deve essere vietato. Per
raggiunger questo scopo il criterio di classificazione deve essere tale da poter essere
interamente controllato.
Appare così una sorta di linea di demarcazione immaginaria che verrà definita sulla
mappa come frontiera dello stato da difendere con le armi.
Chiudere letteralmente i confini non è facile me è tecnicamente realizzabile.
Dividere la società in parti ed impedire che tra esse non ci siano comunicazioni diventa
molti più complesso. Basti pensare alle norme sul segreto d’ufficio.
La difficoltà della situazione sembra universale e ne trova origine nel carattere
relativo dell’autonomia di ogni entità artificialmente concepita come un tutto.
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L’autonomia
è,
nella
migliore
delle
ipotesi,
parziale
e,
nella
peggiore,
solo
immaginaria.
La lotta per rimpiazzare il caos con l’ordine è destinata a restare non conclusa
perché la lotta in se stessa è il più grande ostacolo al suo successo, poiché la maggior
parte dei fenomeni disordinati derivano da azioni mal focalizzate e mal orientate. Ogni
tentativo per rendere almeno una parte dell’esperienza umana più ordinata crea nuovi
problemi, anche se rimuove dei vecchi, e quindi rende necessari nuovi tentativi.
Lo stesso successo della ricerca moderna dell’ordine artificiale è la causa delle sue
profonde e preoccupanti malattie.
Dividendo la totalità della condizione umana in una moltitudine di piccoli compiti
immediati i quali (proprio perché sono piccoli e definiti nel tempo) possono essere
monitorati ed elaborati, ha reso l’azione umana più efficace che mai. Questo è ciò che
si intende quando si afferma che il mondo e divenuto razionale, mosso da una
ragione strumentale che misura i risultati effettivi. Altresì si capisce che il risultato del
fare solo azioni parziali e razionalmente separate non sarebbe né più né meno che
l’irrazionalità. Si vedrebbe quindi che la più spettacolare capacità di risolvere i
problemi non diminuisce il numero dei problemi da risolvere.
Affari di vita quotidiana
Io, come la maggior parte delle persone, sono in grado di svolgere alcune mansioni
e di risolvere alcuni problemi della vita quotidiana. Nonostante ciò, le mie capacità non
mi rendono del tutto indipendente, anzi ci sono cose che mi rendono ostaggio.
Potremmo dire che sono ostaggio della tecnologia e di tutti quegli strumenti che nella
vita quotidiana mi aiutano a svolgere le mie mansioni o a risolvere i problemi. Nel
corso degli anni ho imparato ad utilizzare nuovi strumenti e le mie nuove capacità,
focalizzate al loro utilizzo, hanno scacciato le mie vecchi abilità.
Lo stesso processo si è verificato in altri aspetti della vita ed oggi abbiamo bisogno
che gli esperti e le loro tecnologie svolgano il lavoro ed abbiamo bisogno che nuove
capacità sostituiscano quelle vecchie ed obsolete.
Pensiamo alla radio, alla televisione, ai computer, ai riproduttori di musica; la loro
introduzione ha aperto nuove possibilità che in precedenza non esistevano.
È come se le tecnologie avessero creato i loro stessi bisogni. Non è vero, pertanto
che le tecnologie danno risposte ai nostri bisogni; spesso le persone che ci
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propongono i nuovi prodotti e la loro consulenza devono innanzitutto convincerci che
abbiamo bisogno di quello che ci offrono.
La comparsa di oggetti tecnologici non sarà più determinata da una domanda
popolare, al contrario sarà la domanda popolare ad essere determinata dalla
comparsa della nuova tecnologia. Che sia presente o meno un determinato bisogno, la
domanda di un nuovo prodotto verrà sempre dopo la sua introduzione.
Molto spesso ottenere significa acquistare. Quella bellissima tecnologia, di cui ho
bisogno, molto spesso è rappresentata da merci, ovvero fa parte di un mercato dove
qualcuno vuole venderle per guadagnare un profitto. Per raggiungere tale obiettivo
deve convincermi a separarmi di una parte dei miei sodi per ottenere il possesso della
merce e che ciò sia per me conveniente; che la merce in questione abbia un valore
d’uso che giustifichi il valore di scambio.
Il modo con cui persegue tale proposito è la pubblicità. La pubblicità deve
raggiungere due effetti: deve richiamare la mia attenzione sul fatto che probabilmente
la comprensione dei miei bisogni ed il modo di soddisfarli è inadeguata; che ci sono
delle valide modalità per uscire dalla mia ignoranza e migliorare la mia capacità di
giudizio. Il singolo messaggio pubblicitario non avrebbe effetti sulla nostra condotta se
il nostro interesse in generale non fosse già predisposto allo shopping, gli sforzi di
persuasione delle agenzie pubblicitarie fanno quindi leva su una già esistente
attitudine al consumo che trasforma l’arte di vivere in quella di acquisire la capacità
di trovare oggetti e ricette che ci aiutino a risolvere i problemi e di possederli.
L’attitudine al consumo dirige tutta la nostra vita verso il mercato e con l’aiuto di
acquisti attentamente selezionati posso realizzare qualunque desiderio. I vari modelli
con cui posso costruire il mio “se” sono tutti sul mercato e variano nel tempo secondo
la “moda”. Le cose vengono scartate e rimpiazzate non a causa della loro perdita di
utilità me perché diventano fuori moda, i possibili acquisti di oggi rendono obsoleti
quelli fatti ieri.
La mode variano anche secondo il grado i popolarità che raggiungono nelle varie
cerchie sociali ed in base alla stima ed alla rispettabilità che queste accordano ai loro
membri. Sono come delle tribù a cui io posso appartenere acquistando gli oggetti tipici
di quella tribù. Così seppure le stesse tribù non prestano attenzione alle regole di
ingresso, lo fa per loro il mercato, trasformando le tribù in stili di vita che a loro volta
sono in tutto e per tutto modi di consumo.
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La disponibilità di qualunque nuova tentazione e la loro apparente raggiungibilità
rende il loro accesso continuamente insoddisfacente. Anche il più elaborato stile di vita
viene rappresentato come universalmente disponibile.
Il fallimento è inevitabile. La vera e proprie accessibilità agli stili di vita è
determinata all’atto pratico dalla quantità di denaro che si è in grado di spendere. LA
verità è che alcune persone hanno più denaro di altre ed in pratica hanno maggiori
possibilità di scelta.
Tutte le merci hanno una etichetta che definisce il prezzo ed a sua volta il prezzo
seleziona il pool di potenziali clienti (target di marketing) Tali etichette non
determinano le decisioni dei consumatori, che rimangono per principio liberi, esse
manipoleranno il confine molto realistico che un dato consumatore può superare.
Questo vuol dire che nonostante la pretesa promozione dell’uguaglianza, il mercato
non fa altro che produrre una società fatta di consumatori e quindi di ineguaglianze.
Percorsi e significati della sociologia
La sociologia, nel testo appena letto, si è assunta il compito di far vedere e
commentare ciò che noi quotidianamente facciamo, dandoci null’altro che delle
interpretazioni della nostra esperienza quotidiana.
La sociologia è un perfezionamento della conoscenza che noi possediamo ed
adoperiamo nella vita quotidiana, essa traccia ulteriori dettagli della nostra mappa
del mondo.
In generale la sociologia in quanto scienza sociale genera due tipi di aspettative:
un prima considera la sociologia come gli altri tipi di sistemi di competenze che
promettono di dirci quali sono i nostri problemi e come posiamo risolverli. L’altra
aspettativa rende espliciti gli assunti connessi alle proprie idee dandoci la possibilità di
avere il controllo delle situazioni che in un modo o nell’altro significa indurre gli altri a
comportarsi in modo da aiutarci a realizzare ciò che vogliamo.
Analizzando le radici dell’agire umano ci si aspetta dai sociologi informazioni utili
circa le cose che bisognerebbe fare al fine di stimolare i comportamenti desiderati. In
pratica i sociologi dovrebbero fornire delle informazioni su come ridurre l libertà i
alcune persone rendendo la loro condotta più prevedibile.
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Tali generi di aspettative vanno nella direzione della richiesta di maggiore
scientificità nei confronti della sociologia e lo sforzo di renderla scientifica ha dominato
il discorso sociologico per molto tempo.
Le strategie per raggiungere tale obiettivo erano tre e sono tutte state percorse.
La prima è illustrata da Emile Durkheim, fondatore della sociologia accademica
in Francia, il quale dava per scontato che dovesse esistere un modello di scienza che
potesse tenere separato l’oggetto dello studio dal soggetto che lo studiava. Egli
sosteneva che i fatti sociali potevano essere trattati come cose e studiati in modo
oggettivo e distaccato. Si affermava quindi che i fenomeni sociali pur non essendo
possibili in assenza degli esseri umani non risiedono al loro interno ma al loro esterno
ed insieme alla natura ed alle sue inviolabili leggi costituiscono una parte vitale
dell’ambiente umano.
Una strategia molto diversa è quella associata al lavoro di Max Weber. Viene
rifiutata l’idea che esiste un solo modo di essere scientifiche che la sociologia
dovrebbe imitare le pratiche delle scienze naturali. La realtà umana è diversa in
quanto gli attori attribuiscono un senso alle proprie azioni, essi hanno dei motivi d
agiscono per raggiungere degli scopi. Sono i fini a spiegare le azioni e le azioni umane
vanno più comprese che spiegate. Questa idea era alla base dell’ermeneutica.
I teorici dell’ermeneutica trovavano difficoltà a dimostrare che il loro metodo e le
loro ricerche potevano essere obiettivi così come richiesto dalla scienza, e questo
perché si potevano raggiungere conclusioni uguali ma seguendo metodi e regole
diverse. Se studiosi diversi propongono interpretazioni differenti la scelta sarà basata
sulla ricchezza delle argomentazioni e non si potrà mai affermare che l’interpretazione
preferita sia quella vera mentre quelle scartate saranno false. Weber sosteneva che
essendo la ricerca sull’agire umano accompagnata dalla comprensione comunque la
sociologia poteva raggiungere il livello di oggettività scientifica perché ciò che richiede
una comprensione dei significati sono le azioni razionali, che sono azioni riflessive,
calcolate consciamente alla cui base c’è un tratto comune a tutti gli esseri umani. La
causa delle azioni non è rilevante, infatti le azioni guidate da abitudini o dalle emozioni
sono non-riflessive. In breve Weber sosteneva che una mente razionale riconosce
sempre un’altra mente razionale e quanto più a lungo si studiano le azioni razionali
tanto più possono essere comprese razionalmente postulando un significato piuttosto
che una causa.
C’è anche una terza strategia per elevare gli studi sociali a scienza e cioè
dimostrando che la sociologia possiede delle azioni pratiche dirette ed efficaci. I
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primi sociologi americani, vivendo in un paese caratterizzato da modelli mentali
pragmatici ed in cui il successo pratico viene visto come criterio supremo di
valutazione, dimostrarono che il tipo di conoscenza che la ricerca sociologia fornisce
poteva essere utilizzata nello stesso modo in cui veniva utilizzata la ricerca scientifica
e con risultati eccezionali. Essa può essere impiegata per “manipolare” la realtà e per
modificarla ed utilizzarla secondo i nostri bisogni. Questa terza strategia concentra e
sviluppa i metodi della diagnosi sociologica e la teoria generale del comportamento
umano e ponendosi delle frontiere pratiche le indirizzava verso la soluzione dei
problemi sociali. Essa condivide gli obiettivi degli amministratori sociali cioè di coloro
che hanno il compito di gestire la condotta delle persone.
Tale strategia sacrifica la verità all’utilità così come si sottomette la natura
all’uomo.
La fusione degli interessi sociologici e di quelli materiali può aver reso gradita la
sociologia allo stato ed alle amministrazioni militari o industriali ma la anche esposta
alla critica di coloro che percepivano il controllo dall’alto come un pericolo per alcuni
valori.
La sociologia solleva quindi molte controversie, il suo lavoro è soggetto a pressioni
difficilmente conciliabili. In effetti tale disciplina è vittima di un conflitto sociale reale e
di una contraddizione che risiede nel vero e proprio progetto di razionalizzazione delle
società. Le possibili applicazioni della razionalità sono intrinsecamente incompatibili.
Ogni conoscenza, essendo una visione ordinata, contiene una interpretazione del
mondo. La maggior parte delle conoscenze che noi abbiamo, delle cose che noi
vediamo e che sappiamo distinguere nel mondo dipende dalle nostre conoscenze. È lo
stesso tipo di differenza che si può avere nell’interpretazione di un’opera d’arte tra un
critico ed una persona non allenata.
Il linguaggio è uno degli esempi calzanti, la proprietà di linguaggio di una persona
dipende dalle sue conoscenze. Il linguaggio è un modo di essere. I modi di essere
sono molteplici ed ognuno di essi differisce dagli altri. Essi non sono però separati da
pareti impenetrabili ma pur essendo ordinati e suddivisi in schemi spesso si
sovrappongono e competono in campi selezionati da tutte le esperienze.
La ricerca di una conoscenza non ambigua e lo sforzo per rendere la realtà ordinata
e rassicurante fanno tutt’uno con l’azione effettiva. Avere il controllo della situazione
implica la necessità di uno sforzo per cercare di delineare chiaramente una “mappa
linguistica” in cui i significati delle parole non vengano messi in dubbio o contestati.
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Per queste ragioni l’indeterminatezza della conoscenza produce costantemente
degli sforzi per cercare di “fissare” certe conoscenze come obbligatorie, come
ortodosse. Tale sforzo conduce al controllo dell’interpretazione e le conoscenze
alternative vengono degradate come eretiche.
Per la sua stessa natura la sociologia è inadatta al lavoro “chiuso”. Essa è una
interpretazione estesa dell’esperienza della vita, un’interpretazione che si nutre di
altre interpretazioni e che a sua volta tende ad alimentare.
Pensare sociologicamente quanto meno mina la speranza nell’esclusività e nella
completezza di ogni interpretazione. Essa mette in rilievo la pluralità delle esperienze
e dei modi di essere e manifesta la falsità di ogni possibile ostentazione di
indipendenza e di autosufficienza. Il pensiero sociologico non argina ma facilita il
flusso e lo scambio di esperienze.
Il grande compito della sociologia è quello di dare un servizio alla vita di
promuovere la comprensione reciproca e la tolleranza. Pensare sociologicamente
contribuisce alla causa della libertà. Come ice il filosofo americano Richard Rorty “se
abbiamo a cuore la libertà, la verità ed il benessere dovremmo prendercene cura.
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