"77i _t: 17. • Nir 182 111 i il H i Li wir w;{ 11 1 1%11 r1111I I i il [11 11111111111111111[11 H iw1IiH ti i I wi 141H i FEDE plesso, l'improvviso empito di forza ebbe i caratteri dell'inatteso, che trova appena riscontro nel simultaneo sviluppo della fecondità costruttiva del secolo precedente. Dalla folta schiera, emersero, quindi, artisti sinceri, che seppero trarre dal proprio ingegno e dalle fresche sorgenti della vita e della natura la commozione generatrice dei fantasmi di bellezza. Ricordo fra i tanti : Matteo Bianchi da Manduria, Domenico Carelli da Martina, Liborio Riccio da Muro, e, sopra tutti, Oronzo Tiso da Lecce, il quale accoppiò, alla irrompente forza dell'immaginazione, la franchezza del disegno, la padronanza delle prospettive, la varietà degli aggruppamenti, la penetrazione spirituale dei soggetti, il trionfale dominio dello spazio e della luce. La contesa rinomanza di questo umile e sublime prete mansionario del Duomo di Lecce — che parve al Dalbono e all'Altamura più libero e più vasto dello stesso Tiepolo — entrerà nel dominio della storia artistica d'Italia, solo quando la critica, emancipata dal preconcetto della nostra inferiorità, sarà riuscita a riflettersi sul Trasporto dell'Arca, sull'Assunta e sui Sacrifizi, che affermano sempre il diritto imprescrittibile del genio sulle pastoie insidiose dei canoni accademici. E, col Tiso, chiudo la rapida rassegna, non senza evocare dal mistero della tomba la candida imma- gine di Luigi Scorrano, ancora arridente ai destini della sua terra adorata, e lo spirito propizio di Gioacchino Torna, che diffuse in tutto il secolo XIX l'alito di una ineffabile poesia ; poesia di entusiasmo patrio, quando comprese che le sue tele storiche potevano incitare i manipoli garibaldini alla santa crociata liberatrice poesia di intimo e trepido raccoglimento, quando gli parve che solo la fede potesse quietare le ansie della coscienza insoddisfatta. Signore e Signori, Sen sicuro di avere esposto a faticosa prova la vostra tolleranza, ma sono del pari convinto che mai, come oggi, il resto della Puglia e d'Italia ha partecipato con più largo e sincero sentimento di fraternità ad una celebrazione di memorie e ai una glorificazione di propositi della multanime stirpe salentina. E' bene, anzi, che in questo giorno e da questa città — antica nutrice di arte, di sapienza, e di entusiasmo civile — parta il saluto di ossequio ai maestri infaticati, che rinverdiscono nelle loro opere i lauri della nostra tradizione; e giunga la parola di augurio ai giovoni promettenti, che alimentano nell'anima la fiamma purpurea della speranza, e accolgono negli occhi pensosi la visione della bellezza immortale. COMMENTO ALLE "GEORGICHE„ DI VIRGILIO L'illustre letterato — che ha offerto la miglior parte della sua nobile esistenza all'incremento della Scuola Classica ed alla educazione della gioventù — offre ai lettori di Fede una primizie della sua nuova fatica, consentendoci di pubblicarne la breve e lucida prefazione. Questo mio commento alle Georgiche continua l'illustrazione, da me intrapresa, delle opere virgìliane, ed è, quindi, informato agli stessi criteri già adottati nei precedenti lavori, i quali sono stati favorevolmente accolti dagli egregi colleghi e dagli studiosi. Il maestro sovrano dello stile, nel cui linguaggio ogni espressione acquista eccellenza artistica, deve essere sentito nell'anima, non meno che inteso nella mente, sicchè, nello studio di esso, più suggestiva comunicazione si accolga dai giovani, i quali, per naturale impulso, dischiudono il cuore alle ispirazioni più eccelse del sentimento, cui si accoppi la più fine squisitezza di gusto. Il mio commento, perciò, destinato ai giovani, rileva le bellezze dell'arte virgiliana, proponendosi, entro determinati limiti, quell'esame estetico che credo indispensabile, sopra tutto, nello studio di questo poema, concordemente ammirato come il più perfetto della classica latinitàAd ottenere tale scopo, ho richiamato spesso i luoghi, che i nostri più grandi scrittori, e in particolare il Divino Poeta, hanno derivato da Virgilio ; e, nel tempo stesso, ho creduto utile non trascurare del tutto i riscontri con i classici latini, che disponevano del medesimo elemento di lingua e vivevano dello stesso mondo e pensiero artistico. Nella interpretazione, anzicchè tradurre, ho dato avviamento al lettore a trovare da sè la parola più adatta, avendo considerato che quest'opera di Virgilio non è destinata a giovani imperiti della lingua del Lazio, ma a quelli che hanno già superato, attraverso la prova dello studio di altri classici e di altre opere del Poeta, non lievi difficoltà. In un poema di contenuto scientifico, non si, poteva trascurare la parte tecnica, nè, avendone io •• del Professor Fortunato Capuzzello fatto moderato rilievo t disamina, credo di avere esorbitato da quello che un commento destinato alla scuola debba proporsi. Ogni lettore, del resto, può prendere a suo vantaggio la parte più confacente al suo gusto ed a' suoi propositi. Due millenni di gloria, fulgenti di luce senza confine, hanno sancito l'opera di Virgilio, segnando il trionfo dell'anima e della virtù latina nell'arte della poesia, nella eterna sovranità del popolo Romano allo Stato italiano da Dio affidata in retaggio. E, quali pietre miliari di questo immenso cammino, - breve spazio sempre per la fama del poeta — tre affermazioni han vibrato ampie, gigantesche nella vita religiosa, artistica, nazionale di nostra gente : l'ammirazione sacra di Virgilio nell'asceta Medio Evo, che di lui fece un oracolo ; la riverenza di Dante, che il mantovano vate scelse a suo duca, signore e maestro, e di lui impresse la sua arte immortale ; il sentimento di patriottismo e d'italianità che, folgorante nel monito " Tu regere imperio populos, Romane, memonto „ è stato coronato dal trionfo di Vittorio Veneto, che ha suggellato la più grandiosa epopea di onore e di sacrificio. Il poema delle Georgiche è il canto della pace dopo la vittoria ; è il ritorno alla vita operosa, feconda di prosperità ; è invito al sentimento di religione e di fratellanza, dopo che si è compiuto quel dovere che è premio a se stesso e non deve richiedere dalla patria alcun compenso ; è il poema dell'Italia, celebrata nella sua fertilità e bellezza, nella spirituale, laboriosa vita tanto pregiata dai padri di nostra gente, nel culto dato alla sacra terra che produsse illustre prole avvezza alle fatiche od alle armi: Salve, Saufrnia terra, a grande altrice Di frumento, e di eroi madre feconda. Le Georgiche sono lo specchio dell'anima del Poeta mite e soave ; sono l'inno della pace, della religione, del lavore. w