CONVEGNI
ADELMO MANNA
Aspetti problematici della vincolatività relativa
del precedente giurisprudenziale in materia
penale in rapporto a talune norme costituzionali*
SOMMARIO: 1. Introduzione: la crisi della legalità penale nei suoi corollari. – 2. La riserva assoluta di
legge. – 3. La determinatezza. – 4. La tassatività. – 5. L’offensività. – 6. Il rimedio della vincolatività del
precedente - seppure in senso relativo e verticale - e l’ostacolo rappresentato dall’art. 101, co. 2, Cost. –
7. L’ulteriore ostacolo rappresentato dall’art. 107, co. 3, Cost. – 8. Conclusioni: opportunità di attivare
un procedimento di revisione costituzionale anche per ridurre in termini più accettabili la giurisprudenza giuscreativa ed il prevalere dei poteri governativo e giudiziario, a scapito del legislativo, di cui è stata
anche espressione, per quanto riguarda, in particolare, il governativo, ma con conseguenti riflessi anche
sul giudiziario, la riforma del Titolo V della Costituzione, seppure non approvata a livello referendario.
1.Introduzione: la crisi della legalità penale nei suoi corollari
Al sottoscritto spetta l’onore di presiedere questa Sessione che riguarda “La
cultura del precedente” ovviamente nell’ambito della giustizia penale. È
d’uopo prima di dare, naturalmente, la parola agli illustri relatori, ringraziare
l’“amico di una vita”, il Prof. Alberto Cadoppi, che molto gentilmente ha invitato lo scrivente qui all’Università di Parma ove ormai è di casa avendo, come
componente della commissione di abilitazione nazionale, per ben due anni
frequentato questi luoghi. In tale occasione lo scrivente ha avuto anche modo
di apprezzare le doti scientifiche, in particolare di carattere garantista, del collega ed amico Mauro Ronco, al quale questo saggio è dedicato. Dopo i ringraziamenti non di rito, ma veramente sentiti nei confronti di un carissimo
amico come Alberto Cadoppi con il quale abbiamo questo Prin 2010-2011,
ma non solo con Parma, ma anche con Napoli due e con Bologna, proprio
sulla teoria dell’interpretazione nell’ambito, in particolare, della giustizia penale, prima quindi di dare la parola ai relatori, è opportuno effettuare una
breve introduzione a questo tema, cioè la c.d. “cultura del precedente”.
È d’uopo iniziare con il porre un interrogativo: perché in Italia si è sentito il
bisogno di importare dai Paesi di common law e, in particolare,
dall’Inghilterra, la vincolatività, seppure relativa ed in senso verticale, del precedente giurisprudenziale?
Questa, come noto, è la tesi di fondo del bel volume di Alberto Cadoppi “Il
valore del precedente nel diritto penale. Uno studio sulla dimensione in action della legalità” ma, e non solo, anche di un saggio in particolare che è
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(*) Testo, con l’aggiunta delle note, della Relazione introduttiva alla Sessione V, “La cultura del prece-
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uscito sull’Indice penale, che molto gentilmente ci ha fatto avere come allegato appunto agli atti propedeutici al convegno stesso2.
Perché innanzitutto bisogna chiarire in che senso, almeno nel nostro sistema
penale, si discute, ovviamente de iure condendo, della vincolatività, seppure
relativa ed in senso verticale, del precedente giurisprudenziale, come ha acutamente osservato l’amico e collega Alberto Cadoppi, nel suo pregevole volume appena ricordato, nonché negli scritti così detti minori, che minori comunque non sono. Ciò nel senso che il giudice di merito in primo luogo, se
intendesse discostarsi dal precedente della Cassazione, dovrebbe inviare la
questione alla Suprema Corte, che potrebbe dar ragione al giudice di merito
ed allora, a quel punto, nulla quaestio. La Suprema Corte potrebbe, tuttavia,
riaffermare, invece, il precedente giurisprudenziale, a cui il giudice di merito a
questo punto, nonostante la sua dissenting opinion, dovrebbe attenersi. Ecco
perché si discute, appunto, di una vincolatività, seppur relativa. Lo stesso modello dovrebbe poi valere anche nei rapporti fra Sezioni semplici della Suprema Corte di cassazione e Sezioni unite penali, con lo stesso tipo appunto
di modello e lo stesso tipo di vincolatività relativa, e lo si ribadisce, in senso
verticale e non già, evidentemente, in senso orizzontale.
Affermato ciò, è opportuno cercare di individuare le ragioni dell’eventuale
importazione della regola dello stare decisis, sia pure, ovviamente, inteso in
senso relativo. A nostro avviso tali ragioni si possono individuare nella circostanza per cui il principio di stretta legalità – con i suoi corollari più discussi,
riserva assoluta di legge, determinatezza e/o precisione, tassatività, offensivitàsi è potuto constatare come in realtà adempia molto meno a ciò che dovrebbe
assicurare, cioè, la certezza del diritto, cui ci richiama lo stesso Alberto Cadoppi3, oltre che, ben inteso ed in primo luogo, la libertà personale dei cittadini4.
dente”, del Convegno “Cassazione e Legalità Penale”, PRIN 2010-2011- “Legalità, giurisprudenza e
diritto penale”, Parma, 9-10 ottobre 2015. Tale scritto è destinato anche agli “Studi in onore di Mauro
Ronco”.
CADOPPI, Il valore del precedente nel diritto penale. Uno studio sulla dimensione in action della legalità, Rist. con premessa di aggiornamento, Torino, 2007, 301 ss.; dello stesso v. anche CADOPPIVENEZIANI, Elementi di diritto penale, Parte generale, 6°, Padova, 2015, 171; si avvicinano alle tesi del
Cadoppi, ma limitatamente alle sentenze delle Sez. un. penali, FIANDACA, Diritto penale giurisprudenziale e ruolo della Cassazione, in Cass. pen., 2005, 1722 ss. e, spec., 1736 ss.; e DONINI, Le garanzie
istituzionali della legalità penale e un “nuovo” ruolo della Corte di Cassazione a fianco o al posto del
vecchio? Recensione a Alberto Cadoppi, Il valore del precedente, ecc., in ibid, 2002 1165 ss.; ID., Il
volto attuale dell’illecito penale, Milano, 2004, 141 ss. e, spec., 159 ss.
CADOPPI, Giudice penale e giudice civile di fronte al precedente, in Ind. pen., 2014, 11 ss. (Numero
Speciale: Scritti in memoria e in onore di Luigi Domenico Cerqua).
Cfr., in particolare e da ultimo, CADOPPI, Perché il cittadino possa “… esattamente calcolare
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Verifichiamo cosa accade - ovviamente in estrema sintesi - per quanto riguarda la stretta legalità e i suoi corollari, soprattutto nelle sentenze della Corte
costituzionale, con ricadute anche sulla Corte di cassazione.
2. La riserva assoluta di legge. Se iniziamo dalla riserva assoluta di legge, non
v’è alcun dubbio che tale riserva di legge si sia del tutto “relativizzata” tanto è
vero che, almeno ad avviso di chi vi parla, l’art. 25, co. 2, Cost., tanto caro in
particolare al compianto Franco Bricola5, ormai non si differenzia più molto
dall’art 23 Cost., cioè dal principio solo di legalità per cui le prestazioni personali e patrimoniali possono essere disposte soltanto in base alla legge. Perché si è relativizzata? Perché la Corte costituzionale, evidentemente con lo
sviluppo tecnologico e quindi con l’emersione veramente notevole dei mala
quia vetita, cioè dei reati artificiali, quelli che non corrispondono alle Kulturnormen, come sostiene, sull’onda di Max Ernest Mayer6, Alberto Cadoppi7,
ha legittimato il rinvio a c.d. norme tecniche8. Il ragionamento seguito dalla
Corte è il seguente: se la norma è tecnica, come nel caso delle “redivive” tabelle in materia di stupefacenti, oppure di quelle in materia di reati ambientali
– ovviamente con riferimento alle contravvenzioni e non già ai delitti, introdotti di recente con una legge già molto discussa 9, soprattutto perché di difficile applicazione10, cioè la legge sugli eco-delitti del 2015 – non c’è bisogno di
gl’inconvenienti di un misfatto” - Attualità e limiti del pensiero di Beccaria in tema di legalità, in Ind.
pen., 2015, 569 ss.
V., sul tema, autorevolmente già VASSALLI, Limiti al divieto di analogia in materia penale. Norme
penali e norme eccezionali, Milano, 1942, che sosteneva giustamente come il principio di stretta legali4
tà, essendo funzionale alla tutela della libertà personale dei cittadini e, solo in subordine, alla certezza
del diritto, consentiva, per l’appunto, l’analogia per le norme scriminanti e per tutte quelle altre norme
soprattutto della parte generale che non facessero eccezione ai principi dell’ordinamento, il che non
sarebbe stato consentito se il principio di legalità avesse posseduto come ratio quella di tutelare in via
esclusiva o comunque principale la certezza del diritto.
BRICOLA, Commento all’art. 25, II comma, Cost., in Commentario della Costituzione, Sub. Art. 2426, Rapporti civili, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1981, 227 ss.
MAYER, Rechtsnormen und Kulturnormen, Breslau, 1903.
CADOPPI, Il ruolo delle Kulturnomen nella “opzione penale” con particolare riferimento agli illeciti
economici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1989, 2, 289 ss.
Sui rapporti tra legge ed atti del potere esecutivo nella giurisprudenza costituzionale, RONCO, Il principio di legalità, in Commentario al Codice Penale. La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, dir.
da Ambrosetti, Mezzetti, Bologna, 2006, 41 ss. e 49 ss., nonché, sulla crisi attuale del principio di legalità, 20 ss.
Cfr., in particolare, seppure in chiave meno critica della nostra, soprattutto con riguardo ai profili di
costituzionalità, RUGA RIVA, I nuovi ecoreati – Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino,
2015.
Sia consentito, in argomento, il rinvio a MANNA, Il nuovo diritto penale ambientale, nel quadro della
politica criminale espressione dell’attuale legislatura, in Il nuovo diritto penale ambientale (Legge 22
maggio 2015, n. 68), a cura di Manna, Roma, 2016, 19 ss. e, quivi, 32 ss.; nonché CATENACCI, La legge
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una scelta di valore, che è tipica del Parlamento e che quindi deve essere riservata al Parlamento medesimo. Per stabilire, infatti, se una droga rientri fra
le c.d. droghe pesanti o fra le droghe leggere evidentemente, è sufficiente un
board di chimici che possono dimostrare scientificamente assai meglio dei
parlamentari se quella droga ha effetti devastanti sull’assetto fisio-psichico della persona oppure no, e quindi se da’ luogo a dipendenza e/o tolleranza, oppure se non da’ luogo affatto a tutto ciò, come avviene per le droghe leggere,
dove si constata, secondo l’opinione più accreditata, solo un variazione temporanea dell’elettroencefalogramma simile a quello che avviene per gli schizofrenici, tanto che viene usata anche a scopo sperimentale oltre che, talvolta,
anche a scopo analgesico11.
Se andiamo, tuttavia, ad approfondire il discorso relativo al rinvio alle norme
tecniche c’è da domandarsi: siamo davvero sicuri che le norme tecniche non
comportino giudizi di valore? È infatti lecito esprimere notevoli dubbi in proposito.
Facciamo l’esempio delle soglie di punibilità in materia di contravvenzioni
ambientali.
Per stabilire la salubrità dell’aria, quindi la relativa soglia, le Agencies, come
vengono definite negli Stati Uniti d’America, o l’Autorità Amministrativa,
come intesa da noi, naturalmente non sono “neutre quanto al valore”12, perché se, ad esempio, un’Autorità Comunale è di stampo conservatore, tenderà
ad alzare il livello, perché terrà più conto delle esigenze della produzione industriale, anziché di quelle dell’ambiente, inteso come bene strumentale, in
rapporto ai beni finali, della vita e dell’integrità fisica dei cittadini, in una concezione chiaramente antropocentrica dell’ambiente13.
E così lo stesso avviene per quanto riguarda – pur se il discorso potrebbe
sembrare più sfumato – le droghe, se cioè inserirle e come nelle diverse tabelsugli eco-reati ed i suoi principali nodi problematici, in ibid, 5 ss., con riferimenti anche alla letteratura
tedesca. Dello scrivente v. anche già MANNA, La legge sui c.d. eco-reati: riflessioni critiche di carattere
introduttivo, in Trattato di diritto penale, Parte generale e speciale, Riforme 2008-2015, Torino, 2015,
971 ss.; in argomento, v. anche, da ultimo, BRUNOZZI, FIORIO, Ecoreati e responsabilità amministrativa
degli enti, in questa Rivista, 2015, 851 ss.
BOCCI, Cannabis di Stato, istruzioni per l’uso. “Così ci aiuterà a curare il dolore”, in La Repubblica,
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19 dicembre 2015, 25, ove si fa, appunto, riferimento ad un coevo decreto del Ministero della Salute
che detta le regole per l’utilizzo terapeutico della marijuana.
Così, autorevolmente, STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle
vittime, 3ᵃ, Milano, 2003.
Secondo la ben nota teoria della “seriazione dei beni giuridici”, su cui FIORELLA, voce Reato in generale, in Enc. Dir., XXXVIII, 1987, 793 ss. Tanto ciò è vero che il neo-eletto Presidente degli U.S.A.,
Donald Trump, ha già messo in discussione gli accordi di Kyoto in materia ambientale, così chiaramente mostrando di privilegiare gli interessi della grande industria.
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le. Anche in quest’ultimo caso una parte di giudizio di valore sussiste. Abbiamo infatti potuto constatare a livello scientifico quante discussioni emergono, per esempio, sulla nocività o no delle cosiddette droghe leggere, e così
anche sugli effetti che possono essere solo psicologici o anche organici per
talune droghe pesanti e quindi l’effetto che in generale comportano. Come si
può quindi constatare, la legittimità del rinvio alle norme tecniche è, a nostro
avviso, da revocare in dubbio, soprattutto perché il mito della neutralità della
scienza è ormai da tempo tramontato14. Tanto ciò è vero che la stessa Corte
costituzionale, evidentemente rendendosi conto che il rinvio alla norma tecnica comporta anche, sovente, un giudizio di valore, più di recente utilizza il
modello della Legge di Delega e del Decreto Legislativo delegato, nel senso
che la legge in senso formale dovrebbe, però, stabilire il principio ed i criteri
direttivi per orientare il legislatore “sottordinato”15. È una soluzione dal carattere un po’ compromissorio, che però almeno salva una parte del potere legislativo, che quantomeno da Montesquieu in poi dovrebbe essere riservato al
Parlamento, o a quello che ne sarebbe restato se fosse stata definitivamente
approvata la peraltro discussa riforma del Senato, evidentemente perché soltanto il Parlamento assicura il rilievo anche alle opinioni minoritarie.
3. La determinatezza. Il secondo corollario riguarda la determinatezza, intesa
come verificabilità empirica. Qui non si tratta di un problema di relativizzazione, bensì di disapplicazione della stessa determinatezza, dopo la “stagione
d’oro” del 1981 ove la Corte costituzionale, a nostro avviso giustamente, nonostante talune autorevoli obiezioni16, dichiarò illegittimo il plagio, perché non
è possibile riscontrare la “verificabilità empirica” del totale stato di soggezione
che è quello che richiedeva la norma, né poteva essere ammissibile la tesi,
soprattutto dottrinaria17, per cui la soggezione doveva essere intesa soltanto in
senso relativo, perché ciò avrebbe inevitabilmente comportato una lesione di
libertà fondamentali, come la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà
di insegnamento, la libertà di relazione e la libertà di associazione. È tuttavia
evidente come la Corte costituzionale non abbia sposato tale teoria “relativi-
14
In argomento, in particolare, POPPER, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scien-
tifica, Bologna, 2009.
15
Sul tema, v. lo stimolante volume di CUPELLI, La legalità delegata – Crisi e attualità della riserva di
legge nel diritto penale, Napoli, 2012, 15 ss.
Sia consentito, in argomento, il rinvio a MANNA, Corso di diritto penale, Parte generale, 3ᵃ, Padova,
2015, 43 ss. e, spec., 44 ss.
Corte cost., n. 96 del 1981, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 1147 ss., con nota critica di BOSCARELLI.
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stica”18 in materia di stato di soggezione, ma, interpretando letteralmente la
norma sul plagio, l’abbia dichiarata illegittima perché, in effetti, non è verificabile empiricamente un totale stato di soggezione. Una persona umana che
si riduca ad essere un automa, risulta infatti più un discorso da fantascienza,
che da mondo reale. Ci si poteva quindi aspettare che avvenissero altri interventi demolitivi da parte della Corte costituzionale. Sussistevano infatti ancora
tante altre norme che aspettavano il vaglio sotto il profilo della determinatezza
e, si potrebbe aggiungere, con Marinucci e Dolcini19, anche della “precisione”,
che esprime l’esigenza per cui la norma penale debba essere “delimitata”,
usando vocaboli dal significato possibilmente univoco e non vago, onde evitare difformità anche a livello di applicazione giurisprudenziale. Erano “sospette”, sotto tali profili, le norme sugli atti osceni e sulle pubblicazioni e gli spettacoli osceni20, collegate, a livello definitorio, con questo vero e proprio “contenitore vuoto” che è costituito dal “comune sentimento del pudore”. Certo è
noto a tutti che esso costituisce una “valvola” che serve per adattare la norma
al mutamento della morale sociale, però ciò non toglie che la norma resti indeterminata, perché lasciata, in fondo, alla discrezionalità del giudice penale
ed alla sua “precomprensione”21. Sussistono, fra l’altro, esempi a livello comparatistico, ove queste norme sono state delimitate, per cui non è che non
sussista tale possibilità. In Germania, ad esempio, la riforma dei Sexualdelikte
ha, prima di tutto, eliminato l’atto osceno, sostituito con l’atto esibizionistico
e, per quanto riguarda le pubblicazioni e gli spettacoli osceni, non si parla più
di “oscenità”, bensì di “pornografia”, che costituisce un concetto molto più
ristretto e si incrimina soltanto il far accedere a queste pubblicazioni ed a questi spettacoli pornografici i minori, quindi non si ricorre più ad un bene giuri18
Così, in particolare, FLICK, La tutela della personalità nel delitto di plagio, Milano, 1972.
MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, 4ᵃ, Milano, 2012, 57 ss.; sul principio di determinatezza, v. invece PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova,
1979, 51 ss.; nonché RONCO, Il principio di tipicità della fattispecie penale nell’ordinamento vigente,
Torino, 1979, 93 ss.
In argomento, per tutti, FIANDACA, Problematica dell’osceno e tutela del buon costume, Padova,
1984, con particolare riguardo alla riforma tedesca della materia, sicuramente, come si potrà in prosieguo constatare, più conforme al principio di precisione, rispetto alla normativa codicistica italiana. Va,
tuttavia, rilevato che con D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, in Guida al dir., n. 8, 13 febbraio 2016, 36 ss.
(per un quadro sinottico) è stato depenalizzato il primo comma dell’art. 527 c.p., riguardante gli atti
osceni, nonché il primo ed il secondo comma dell’art. 528 c.p., cioè le pubblicazioni e gli spettacoli
osceni, anche se in quest’ultimo caso la trasformazione in illeciti amministrativi riguarda esclusivamente
le pubblicazioni. E’ stata, infine, depenalizzata, per evidente coerenza, anche la contravvenzione relativa
agli atti contrari alla pubblica decenza. Sul tema, AMATO, Con clausola generale trasformazione di multe e ammende, in ibid, 60 ss.
ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto, Napoli, 2010.
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dico vago, come avviene ancora da noi con la “moralità pubblica”, ma si utilizza un bene giuridico molto più delimitato ed “afferrabile”22, che è quello
dello sviluppo psicosessuale del minore. Ciononostante, la Corte costituzionale non è intervenuta. Più di recente era stata portata all’attenzione della Corte
la questione dello stalking, cioè degli atti persecutori23, delitto caratterizzato in
particolare da eventi che incidono profondamente sull’“atteggiamento interiore” della vittima, come il “fondato timore”, che in realtà integra una sorta di
antinomia. Se infatti il timore è un fenomeno soggettivo, v’era da domandarsi
se fosse ammissibile un tentativo di “oggettivizzazione” di un sentimento, che
invece non può che essere di carattere soggettivo. Anche l’ulteriore evento,
come il mutamento delle abitudini di vita, presenta un chiaro vulnus al principio di precisione, perché tali mutamenti possono risultare i più vari e diversi, senza, soprattutto, che ciò costituisca una barriera sicura affinché lo stalker
ad arma ruat.
Tuttavia la Corte costituzionale con una recente sentenza24 ha “salvato” anche
la norma sugli atti persecutori, per cui l’unica norma che di recente è stata
dichiarata illegittima è una norma in materia di immigrazione clandestina.
Siamo, infatti, qui sempre nell’ambito di quelle norme di dubbia costituzionalità, appunto come dimostra la stessa aggravante della clandestinità che esisteva e poi è stata cassata dalla stessa Corte costituzionale25, mentre è stato “salvato”26 il reato di immigrazione clandestina, una prima volta inserito nel D.Lgs.
in tema di depenalizzazione27 e da ultimo tolto, per ragioni “simboliche”, nonostante l’opinione giustamente contraria degli operatori del diritto, non
Sul concetto di “afferrabilità” del bene giuridico, nella letteratura italiana, ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983; nonché, volendo, anche MANNA, Beni della personalità e limiti della protezione penale, Padova, 1989, 86 ss.
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Circa i problemi di costituzionalità che, a nostro avviso, affliggono il delitto di atti persecutori, sia consentito il rinvio a MANNA, Il nuovo delitto di “atti persecutori” e la sua conformità ai principi costituzionali in materia penale, in Scritti in memoria di Giuliano Marini, a cura di Vinciguerra, Dassano, Napoli,
2010, 469 ss.; di diverso parere, CADOPPI, Atti persecutori: una normativa necessaria, in Guida al dir.,
2009, 19, 49 ss.
Corte cost., n. 172 del 2014, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, che infatti ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612-bis c.p.
La Corte costituzionale, con sent. n. 249 del 2010, ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 61, n. 11-bis, c.p.
Corte cost., n. 250 del 2010, su cui sia consentito il rinvio a MANNA, Corso di diritto penale, Parte
generale, cit., 784, che ricorda la motivazione con cui la Corte ha respinto la relativa eccezione, mediante, soprattutto, l’argomento, peraltro discutibile in quanto di per sé, almeno a nostro avviso, non risolutivo - perché, in definitiva, di carattere essenzialmente descrittivo- in base al quale il reato di immigrazione clandestina, a differenza dell’aggravante, esprimerebbe una condotta autonoma, seppure inosservante di un provvedimento dell’Autorità.
Cfr., in argomento, AMATO, Quando il clandestino commette ancora una condotta illecita, in Guida al
dir., 8, 2016, 66 ss.
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foss’altro perché in tal modo il migrante deve essere sentito come indagato e
non come persona informata sui fatti, per cui, potendosi avvalere della facoltà
di non rispondere, le indagini vengono private di un importante elemento di
prova nei confronti, in particolare, degli “scafisti”.
A ciò si aggiunga che il relativo procedimento è di competenza del giudice di
pace, la pena è pecuniaria, che sicuramente l’immigrato non è in grado di pagare, per cui scatta la sanzione sostitutiva, irragionevolmente più grave, cioè il
collocamento nei centri di prima accoglienza e con ciò il processo penale si
sovrappone inevitabilmente a quello di carattere amministrativo.
Il problema è però che la Corte costituzionale non è intervenuta se non in
queste rarissime ipotesi, e perché? A nostro avviso in quanto è evidente che la
Corte costituzionale ben di rado ha accolto questioni di legittimità costituzionale attinenti il principio di stretta legalità ed i suoi più discussi “corollari” a
causa del c.d. horror vacui, cioè del timore di provocare un vuoto legislativo.
Pur se, attualmente, con la riforma del Senato e la conseguente, auspicata,
abolizione del c.d. bicameralismo perfetto, si sarebbe dovuto ottenere un
prevedibile snellimento ed accelerazione del procedimento legislativo, ciò
non toglie che con la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma
incriminatrice non è detto che quest’ultima venga “comunque sostituita” in
breve tempo da altra e può essere anche che ciò non avvenga, come nel caso
del plagio.
Anche il principio di determinatezza, quindi, che studiamo e di cui diamo
ampio risalto nei nostri manuali, in realtà, nella prassi giurisprudenziale, anzi,
nelle più alte sfere della giurisprudenza, risulta un principio poco applicato28.
4. La tassatività. Anche la tassatività29, che dovrebbe in teoria impedire il fatto
che il giudice penale interpreti analogicamente le norme penali, alla prova del
diritto vivente non ha retto come baluardo perché la stessa è stata, purtroppo,
facilmente aggirata. Ciò è avvenuto da parte dei giudici di merito e sovente da
parte della stessa giurisprudenza della Corte di cassazione attraverso il ricorso
ad una sorta di escamotage, costituente nel far passare per interpretazione
estensiva quello che, in realtà, costituisce un’interpretazione analogica. Sia
Tanto ciò è vero che, da ultimo, lo stesso RUGA RIVA, I nuovi ecoreati – Commento alla legge 22
maggio 2015, n. 68, cit., 10 ss., in rapporto alla nuova legge sugli eco-reati, pur rendendosi perfettamen28
te conto che le principali fattispecie criminose introdotte collidono con il principio di determinatezza,
conclude nel senso che, a causa del ben noto atteggiamento di self restraint, in materia, della Corte
costituzionale, ben difficilmente le norme in oggetto soccomberanno sotto la scure della Corte medesima.
Su cui, in particolare ed esaurientemente, RONCO, opp. locc. ultt. citt.
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sufficiente il ricorso ad un caso noto alle cronache, cioè la contestazione e poi
la condanna, confermata dalla Cassazione, per il reato di getto pericoloso di
cose, che riguardava le onde elettromagnetiche di Radio Vaticana30. Ora, a
livello di littera legis, gettare o versare non può che riguardare corpi solidi, o
liquidi, per cui diventa estremamente problematico riferire il gettare o il versare ad onde elettromagnetiche, diffuse nell’aria. La Cassazione ricorre in
questo caso, appunto, alla c.d. interpretazione estensiva, che forse sarebbe
meglio definire “evolutiva”, dato che nei Lavori Preparatori di quella norma
non troviamo un appiglio per l’ovvia, ma semplice ragione che le onde elettromagnetiche nel 1930 non sussistevano ancora, mentre ci si riferiva solo
all’energia elettrica, ma con riferimento al delitto di furto. In altri termini, si
ha la sensazione che la giurisprudenza abbia travalicato la littera legis, dando
luogo, in realtà, ad un’analogia in malam partem, “mascherata” per interpretazione estensiva e/o evolutiva. Da qui il problema della c.d. giurisprudenza
creativa, che è stata anche, in un certo senso, “legittimata” dalle più recenti
tendenze in materia ermeneutica.
Gli studi di Fiandaca e della Di Giovine31, per restare principalmente sul versante italiano, hanno sostanzialmente “legittimato” tutto ciò attraverso il riferimento al procedimento ermeneutico inteso come un procedimento sostanzialmente analogico, ove il giudice penale, per la sussunzione della fattispecie
concreta nella fattispecie astratta, utilizza, come “tertium comparationis”,
quello del precedente giurisprudenziale.
Per ciò si tratta di una interpretazione sostanzialmente analogica, però poi il
problema si sposta, dalla conseguente negazione della distinzione tradizionale
tra interpretazione estensiva ed analogica, nel verificare quando quest’ultima
sia consentita e quando no. In particolare la collega Di Giovine, nel suo stimolante volume32, afferma che se l’analogia è dentro la littera legis è consentiV., in argomento, GIZZI, Il getto pericoloso di cose, Napoli, 2008; ID., La rilevanza penale
dell’emissione di onde elettromagnetiche ai sensi dell’art. 674 c.p.: interpretazione estensiva o applicazione analogica della norma incriminatrice, in Cass. pen., 2009, 983 ss.; sul caso giudiziario in oggetto e
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l’atteggiamento, suscettibile di riserve, da parte della Corte di Cassazione, sia consentito altresì il rinvio a
MANNA, “L’interpretazione analogica” nel pensiero di Giuliano Vassalli e nelle correnti post-moderne
del diritto penale, in Scritti in onore di Alfonso M. Stile, a cura di Castaldo, De Francesco, Del Tufo,
Manacorda, Monaco, Napoli, 2013, 219 ss. e, quivi, 231 ss.
FIANDACA, Il diritto penale fra legge e giudice, Padova, 2002; DI GIOVINE, L’interpretazione nel diritto penale tra creatività e vincolo alla legge, Milano, 2006; su analoga falsariga, nella dottrina tedesca,
HASSEMER, Diritto giusto attraverso un linguaggio corretto? Sul divieto di analogia nel diritto penale, in
Ars interpretandi, 1997, 171 ss.; da ultimo, sul tema, VOGLIOTTI, Lo scandalo dell’ermeneutica per la
penalistica moderna, in Quaderni Fiorentini per la Storia del pensiero giuridico moderno, 44, Milano,
2015, 131 ss.
DI GIOVINE, op. loc. ult. cit.
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ta, se è invece fuori, è vietata, ma – aggiungiamo noi – come si fa a stabilire se
è dentro o fuori? Si rischia, cioè, di dare per acquisito un risultato che acquisito non è, perché stabilire a livello semantico se siamo al di là o al di qua della norma è un problema assolutamente non di agevole soluzione soprattutto
nei casi c.d. difficili, e allora, come potete constatare, anche la tassatività non
costituisce un rimedio adeguato contro il fatto che il giudice penale dia luogo
spesso ad interpretazioni “creative”.
Ciò è dimostrato dall’altro caso emblematico del concorso esterno
nell’associazione di tipo mafioso, ove quattro sentenze delle Sez. un. Penali
della Corte Suprema di Cassazione in dieci anni stanno a significare che evidentemente, nel silenzio “assordante” del legislatore33, la “supplenza giurisprudenziale”, ha dominato, pur se di recente è stata “stigmatizzata”, in sede
CEDU dalla famosa sentenza Contrada, per contrasto con l’art. 7 della CEDU, ovverosia la prevedibilità delle decisioni giudiziarie, che costituisce, non
a caso, il precipitato in sede comunitaria, della stretta legalità34.
Da ultimo può farsi anche il caso della riforma delle false comunicazioni sociali, ove una prima sentenza della V penale della Cassazione ha ritenuto che
l’eliminazione dell’inciso «ancorché oggetto di valutazione» abbia dato luogo
ad un’abolitio criminis parziale35, mentre una successiva sentenza36, sempre
della V penale, ha sostenuto l’opposto, cioè che l’eliminazione dell’inciso non
avrebbe cambiato alcunché, essendo pacifico che, in materia di redazione dei
bilanci, i fatti risultano indissolubilmente connessi alle valutazioni.
Cass., Sez. un., 27 settembre 1995, Mannino (I), in Cass. pen., 1996, 1087, con nota di AMODIO; Id.,
Sez. un., 5 ottobre 1995, Demitry, in Foro it., 1995, II, 422 ss.; Id., Sez. un., 30 ottobre 2002, Carnevale, ivi, 2003, II 453 ss.; Id., Sez. un., 12 luglio 2005, Mannino (II), in ibid, 2006, II, 80 ss. Per vero,
dopo la sentenza Contrada, sono stati presentati due DDL, in discussione al Senato, che si caratterizzano entrambi per ricostruire il concorso esterno come reato di danno, sulla falsariga della sentenza
Mannino II. In argomento, D’ASCOLA, A che punto è la riforma del “concorso esterno”?, in Gli Oratori del Giorno, 2015, 3, 11 ss.
V. Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, ricorso n. 66655/13, in Dir. pen. e proc., 2015, n. 8, 1008 ss.,
con commento di MAIELLO; in argomento, per le possibili conseguenze sul diritto interno, PALAZZO,
La sentenza Contrada e i cortocircuiti della legalità, in ibid, cit., 9, 1061 ss.
Cass., Sez. V, 16 giugno 2015, Crespi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1486 ss., con nota critica di
SEMINARA, False comunicazioni sociali e false valutazioni in bilancio: il difficile esordio di una riforma,
in ibid, 1498 ss.; in argomento, da ultimo, v. anche TESTAGUZZA, Un legislatore severo, ma non troppo: la nuova riforma delle false comunicazioni sociali, in questa Rivista, 2015, 3, 979 ss., cui si rinvia
anche per i numerosi riferimenti alla dottrina sia favorevole che contraria all’approccio espresso dalla
sentenza in questione.
Cass., Sez. V, 12 gennaio 2016, Mazzotta, in Guida al dir., 6, 2016, 113, su cui, in senso altrettanto
critico, LANZI, Un audace tentativo per rendere punibili le azioni più insidiose, in ibid, cit., 7, 2016, 93
ss.
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Un requisito ad pompam, quindi, quello eliminato dal legislatore, o no? Certamente anche la dottrina sul punto si è divisa37 e non a caso, perché si sono
scontrate le esigenze legate all’effettività della tutela con quelle più strettamente di carattere garantistico, legate, quindi, maggiormente, proprio ai principi
costituzionali in materia penale, di cui stiamo discutendo38.
A questo punto, nonostante autorevoli voci contrarie39, riteniamo urgente
quantomeno un intervento delle Sezioni Unite Penali40.
5. L’offensività. Da ultimo, l’offensività intesa sia come principio costituzionale, che come criterio ermeneutico, che come istanza di politica criminale41.
Anche in questo caso la Corte costituzionale, nonostante autorevoli esponenti
della dottrina, come Marcello Gallo e Neppi Modona in primis42 che ne sostenevano una concezione “forte”, con la ormai famosa sentenza n. 333 del
‘91 in materia di stupefacenti43, ne ha fornito invece una concezione “debole”,
perché ha sostenuto che l’offensività equivale, in definitiva, alla “ragionevolezza”, nel senso che sono legittimati anche i reati di pericolo astratto o presunto,
laddove sussista una precisa ragion d’essere, come, ad es., in materia ambienCome dimostrano, ad es., le due note a sentenza, diametralmente opposte, di Lanzi e Seminara.
Così, in particolare, LANZI, op. loc. ult. cit.
SEMINARA, op. loc. ult. cit., ad es., non ritiene necessario l’intervento delle Sezioni unite penali, perché dalla evoluzione storica del delitto di false comunicazioni sociali emergerebbe incontrovertibilmente che le falsità su fatti materiali sono indissolubilmente legate alle valutazioni, per cui la soppressione
dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” non avrebbe minimamente influito sull’ambito di applicazione dell’art. 2621 c.c.. Ci permettiamo di sollevare qualche riserva su tali “automatismi” interpretativi
(cfr., più ampiamente, MANNA, La riforma della bancarotta impropria societaria del 2002 ed i suoi
riflessi sistematico-esegetici sui reati di bancarotta, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, 3, 494 ss. e, quivi,
524 ss. ) e, comunque la si intenda sull’argomento, riteniamo che sia opportuno un intervento delle
Sezioni unite penali, che infatti vengono di regole convocate proprio per risolvere un contrasto sorto
addirittura, come nel caso di specie, all’interno della stessa sezione della Cassazione, proprio per esercitare in pieno la funzione nomofilattica, a garanzia dei cittadini.
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Infatti, intervenute con sent. 31.03.2016, Passarelli ed altro, in Guida dir., 2016, 27, 66 ss., che hanno
espresso il seguente principio di diritto: «Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali con riguardo
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alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione se, in presenza di criteri di valutazione
normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolevemente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo apertamente idoneo ad
indurre in errore i destinatari delle comunicazioni». In argomento, volendo, MANNA, Il nuovo delitto di
false comunicazioni sociali (tra law in the books and law in action): cronaca di una discutibile riforma
(artt. 2621 - 2622 c.c.), in Diritto penale dell’economia, I, Torino, 2017, 6 ss.
MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005.
GALLO, Dolo. Oggetto e accertamento, in Studi Urbinati, 1951-52, 85 ss.; NEPPI MODONA, Il reato
impossibile, Milano, 1965; contra, in particolare, STELLA, La teoria del bene giuridico e i c.d. fatti inoffensivi conformi al tipo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 3 ss.
Corte cost., sent. n. 333 del 1991; su cui sia consentito il rinvio a MANNA, Corso di diritto penale,
Parte generale, cit., 68 ss.
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tale44. Laddove, al contrario, non si rintracci una precisa “ratio legis”, come
nella previgente bancarotta impropria societaria, ove bastava la commissione
di un reato societario per essere poi condannati da tre a dieci anni solo se la
società era dichiarata fallita, la norma risulta contraria al principio di offensività/ragionevolezza, tant’è che con la riforma del 2002 la norma incriminatrice
in oggetto da reato di pericolo presunto è diventata reato di danno. Anche in
quest’ultima ipotesi, si può dunque constatare come il principio di offensività
“adempia molto meno rispetto a quello che promette”, giacché viene “ridotto” nel suo significato originario. Pure qui si comprende come la Corte costituzionale non potesse certo dichiarare illegittimo, ad es., un importante settore della parte speciale del codice penale, cioè una notevole porzione dei reati
di comune pericolo, che infatti sono di pericolo presunto, per cui riemerge,
anche in quest’ultimo caso, il problema del c.d. horror vacui.
6. Il rimedio della vincolatività del precedente seppure in senso relativo e verticale e l’ostacolo rappresentato dall’art. 101, co. 2, Cost. Se, quindi, i principi
del diritto penale costituzionale che caratterizzano i Paesi di civil law adempiono molto meno rispetto a quello che promettono, ecco quindi spiegata la
ragione per cui, proprio per riprendere la terminologia di Alberto Cadoppi,
“per evitare il rischio del caos giurisprudenziale”, si pone il problema dello
stare decisis anche da noi, seppure nei limiti ristretti in apicibus indicati, a
causa dell’accertata difficoltà della Suprema Corte di cassazione di esercitare
appieno il suo compito istituzionale di nomofilachia.
Avverso tale introduzione sussistono tuttavia, almeno a nostro avviso, de iure
condito due ostacoli difficilmente superabili, anche se a livello di funzionalità
del sistema le osservazioni del Cadoppi sono ben difficili da revocare in dubbio, per quanto dimostrato sinora.
Il primo è costituito dall’art. 101, comma 2, della Costituzione, la norma,
cioè, che, come è noto, stabilisce che i giudici sono soggetti soltanto alla legge
ed a questo proposito va ricordato che, secondo un autorevole esponente della dottrina costituzionalista ed epistemologica, come il Guastini45, proprio l’art.
Ove, infatti, sarebbe decisamente opportuno prescindere da una dimostrazione di un nesso causale,
proprio perché l’evento è conseguenza di una condotta c.d. seriale: così, autorevolmente, MARINUCCI,
Relazione di sintesi, in Bene giuridico e riforma della Parte speciale, Napoli, 1985, 350 ss.; ID., Profili
di una riforma del diritto penale, in Beni e tecniche della tutela penale, Milano, 1987, 19 ss.. Peccato
che il legislatore della riforma del 2015 l’abbia pensata diversamente, così tuttavia provocando non
pochi problemi a livello di effettività della tutela, come abbiamo cercato di dimostrare: cfr., da ultimo,
MANNA, Il nuovo diritto penale ambientale, nel quadro della politica criminale espressione dell’attuale
legislatura, cit., 34 ss.
GUASTINI, Sub Art. 101, in Commentario della Costituzione, I, Bologna-Roma, 1994, 140 ss. e, quivi,
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101, co. 2, Cost. costituisce la cristallizzazione del principio di stretta legalità,
nell’ambito dei rapporti tra i poteri dello Stato. Lo stesso Guastini, infatti, ci
ammonisce sul fatto che, proprio la norma per cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge impedirebbe l’importazione da noi della regola dello stare decisis, perché in questo modo il giudice non sarebbe più soggetto “soltanto”
alla legge, ma diventerebbe soggetto anche al precedente giurisprudenziale,
seppur in senso relativo, e, quindi, come abbiamo potuto constatare, al dictum della Corte di cassazione, soprattutto se a Sezioni unite, ma non solo. È
vero che si potrebbe replicare nel senso che la regola dello stare decisis, nel
modello di Cadoppi, se venisse introdotto con una legge, allora non comporterebbe una violazione della norma costituzionale in oggetto, ma questo risulterebbe un evidente escamotage, che eluderebbe il reale significato dell’art.
101, co. 2, Cost., che si ricava chiaramente dall’ottica della separazione dei
poteri46.
7. L’ulteriore ostacolo rappresentato dall’art. 107, co. 3, Cost.
Un'altra norma costituzionale che, a nostro avviso, si porrebbe come ulteriore
ostacolo, difficilmente sormontabile, è costituita, dall’art. 107, che, al co. 3,
stabilisce come, in particolare, i magistrati si distinguano fra loro soltanto per
diversità di funzione. Tale norma quindi, come sostengono, ad es., Bonifacio
e Giacobbe47, costituisce una diretta emanazione dell’art. 101, co. 2, della Costituzione che, a sua volta, è figlia del principio di stretta legalità: tutto pertanto si collega, onde impedire qualunque forma di “gerarchizzazione”
nell’ambito della magistratura.
Ciò, ad esempio, è dimostrato dalla famosa legge Breganze del 1966 che, appunto, stabilì, come noto, la progressione in carriera solo in base all’anzianità,
abolendo la disciplina precedente che, invece, comportava una progressione
in carriera in base al fatto che il giudice superiore giudicasse meritevoli le sentenze del giudice inferiore. In tal modo si verificava, evidentemente, un controllo nel merito e, quindi, una ritenuta “inammissibile” “gerarchizzazione”.
Con l’introduzione della regola dello stare decisis si potrebbe pertanto ri161; da ultimo, in argomento, su analoga falsariga, v. anche LORUSSO, Interpretazione, legalità processuale e convincimento del giudice, in Il problema dell’interpretazione nella giustizia penale, a cura di
Manna, Pisa, 2016, 91 ss.
Ciò, dunque, spiegherebbe la ragione per cui, ad es., l’art. 618 c.p.p. preveda, a differenza dell’art.
374 c.p.c., soltanto la facoltà della rimessione, da parte del Primo Presidente della Corte di cassazione,
alle Sezioni unite penali nel caso di contrasto fra la sezione semplice e le stesse Sezioni unite: così CADOPPI, Giudice penale e giudice civile, cit., 30.
BONIFACIO, GIACOBBE, Sub Art. 107, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, II, Bologna-Roma, 1986, 140 ss. e, spec., 162 ss., 169 ss.
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schiare, almeno a nostro avviso, di reintrodurre, seppure indirettamente, una
sorta di “gerarchizzazione”, nell’ambito della magistratura, e, quindi, sotto
questo profilo, di contrastare anche con l’art. 107, co. 3, della Costituzione.
8. Conclusioni: opportunità di attivare un procedimento di revisione costituzionale anche per ridurre in termini più accettabili la giurisprudenza giuscreativa ed il prevalere dei poteri governativo e giudiziario, a scapito del legislativo, di cui è stata anche espressione, per quanto riguarda, in particolare, il governativo, ma con conseguenti riflessi anche sul giudiziario, la riforma del Titolo V della Costituzione, seppure non approvata a livello referendario
L’unica soluzione plausibile potrebbe passare dunque attraverso un procedimento di revisione costituzionale, quanto meno delle norme costituzionali su
indicate, che, tuttavia, in particolare l’art. 101 Cost., ma non solo, appaiono
l’espressione di una concezione dello Stato ove predomina il potere parlamentare, caratterizzato da un “bicameralismo perfetto”, rispetto sia al potere
governativo, che all’ordine giudiziario. L’attuale Governo, tuttavia, ha notevolmente alterato questo ruolo preminente del Parlamento, sia attraverso la
riforma, in senso più orientato alle problematiche regionalistiche, del Senato,
che tuttavia in tal modo rischia di sovrapporsi alla Conferenza Stato-Regioni,
sia mediante una legge elettorale, l’Italicum, ove ci si è spinti assai più in là
della c.d. legge-truffa, del 1953, in pieno governo De Gasperi. Mentre, infatti,
in tale ultimo caso il premio a livello di parlamentari aggiunti veniva dato al
partito che avesse raggiunto la maggioranza assoluta, con l’Italicum basta la
maggioranza relativa, per ottenere un premio che supera addirittura il 70%
dei parlamentari.
In questa situazione, in cui le esigenze di funzionalità del sistema non risultano adeguatamente bilanciate con quelle di “garanzia” anche con riguardo
all’elettorato attivo, abbiamo già assistito alla “reazione” di illustri costituzionalisti48, per cui risulta evidente la auspicata predominanza degli altri due poteri
dello Stato, il governativo, con le riforme su ricordate, ma anche il giudiziario,
MANZELLA, Quei nodi irrisolti del nuovo Senato, in La Repubblica, 12 gennaio 2016, 34; ROSSO,
L’intervista a Gaetano Azzariti: “Riforme pericolose troppi poteri al premier”, in ibid, 11 gennaio 2016,
14; MILELLA, Intervista a Gustavo Zagrebelsky: “Io dico no: questa riforma segna il passaggio dalla
democrazia al potere dell’oligarchia”, in ibid, 13 gennaio 2016, 19, con riguardo in particolare, all’allora
d.d.l. Boschi di riforma del Senato; nonché PARDI, Dialogo sulle controriforme di Renzi, in MicroMega, 2015, 8, 132 ss. A ciò si aggiunga che il referendum confermativo sulla riforma del Senato, già di48
sposto, si differenzia da quello abrogativo, giacché quest’ultimo prevede un preciso quorum, invece
mancante nel primo, per cui basta anche un’esigua maggioranza di un numero assai ridotto di votanti,
perché la riforma del Senato possa essere approvata definitivamente. Com’è noto, invece, la maggioranza dei “no” è stata di circa venti punti percentuali, per cui la riforma non è passata.
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soprattutto con il fenomeno della giurisprudenza c.d. creativa. Se, dunque,
con le riforme messe in campo, è notevolmente cambiato il quadro istituzionale, è necessario prevedere ulteriori “contrappesi”. Si potrebbe, però, obiettare, da un lato, che la riforma del Titolo V della Costituzione non ha superato, come ricordato, il vaglio referendario e l’Italicum quello della Corte costituzionale49.
Se, dunque, a causa di tale pronuncia sono in fase di rielaborazione normativa i rapporti tra esecutivo e legislativo, il fenomeno della giurisprudenza giuscreativa rimane, al momento, senza un margine apprezzabile.
In tale ambito potrebbe quindi ritornare di assai maggiore utilità
l’introduzione – previo, tuttavia, procedimento di revisione costituzionale –
visto che le norme costituzionali da ultimo richiamate rischiano di non rispecchiare più gli attuali rapporti tra i poteri dello Stato – per quel che qui
interessa – di un vincolo relativo e verticale nell’ambito della magistratura, sul
modello a suo tempo proposto dal Cadoppi, al fine di assicurare una reale ed
effettiva funzione nomofilattica alla Corte Suprema di Cassazione50, con evidenti e salutari ricadute sulla giurisprudenza di merito, sugli operatori del diritto e, last but not least, sui cittadini.
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Corte cost., 25 gennaio 2017, che ha infatti parzialmente cassato l’Italicum, come emerge dal comunicato stampa emanato dalla Corte medesima. Cfr., MILELLA, La Consulta apre la corsa al voto, in La
Repubblica, 26 gennaio 2017, 1 s.
Non persuade, invece, appieno, la proposta, pur autorevolmente sostenuta, sulla falsariga del c.p.
francese, di introdurre nel codice penale una norma che imponga al giudice un’interpretazione stricta
della norma penale medesima, con conseguente divieto espresso di interpretazione estensiva: cfr. MUSCO, L’illusione penalistica, Milano, 2004, 93 ss. e, spec., 96 ss.. Pur se, infatti, non può certo disconoscersi l’importante afflato garantista, sussiste però il rischio, almeno a nostro avviso, anche tenendo
conto delle più moderne acquisizioni in tema di ermeneutica, di un “aggiramento” di siffatto divieto. Ad
ogni buon conto, sia la proposta della vincolatività, seppur relativa ed in senso verticale, del precedente,
che quest’ultima, che anche altra, come la possibilità del ricorso diretto del cittadino alla Corte costituzionale (MANNA, “L’interpretazione analogica” nel pensiero di Giuliano Vassalli e nelle correnti postmoderne del diritto penale, loc.ult.cit., ove si ricorda che tale riforma è stata attuata sia in Francia che in
Germania, che anche in Messico), esprimono tutte un profondo disagio di fronte all’attuale situazione
e, quindi, la necessità di una maggiore uniformità di giudizio in materia penale, a vantaggio non solo e
non tanto degli operatori del diritto, quanto e soprattutto dei comuni cittadini.
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