La piaga come metafora della dialettica fra mente e

La visione olistica della cura: il malato… la lesione cutanea cronica Volpiano (TO) 13 Dicembre 2003---Dott.ssa Marilia Boggio Marzet
LA VISIONE OLISTICA DELLA CURA:
IL MALATO…
LA LESIONE CUTANEA CRONICA
LA PIAGA COME METAFORA DELLA DIALETTICA
FRA MENTE E CORPO: L’IMPORTANZA
DELL’ASPETTO PSICOLOGICO
13 Dicembre 2003
Dott.ssa Marilia Boggio Marzet
1
La visione olistica della cura: il malato… la lesione cutanea cronica Volpiano (TO) 13 Dicembre 2003---Dott.ssa Marilia Boggio Marzet
L’IMPORTANZA DELL’ASPETTO PSICOLOGICO
La pelle…specchio dell’anima.
Raramente ci rendiamo conto che la pelle è l’organo più grande del corpo umano. La
pelle costituisce il rivestimento esterno , il guscio dell’essere umano, il suo involucro che
esprime il grado di definitezza nella percezione dei confini del proprio corpo e la capacità di
demarcazione del corpo dall’ambiente esterno.(Ruggieri 1988). La pelle serve inoltre da
mezzo di scambio– ci permette di entrare in comunicazione con gli altri – oltre che da
protezione nei confronti delle aggressioni che possono pervenire dal mondo esterno; nello
stesso tempo è un organo di senso che riceve in continuazione stimoli tattili, termici e
dolorifici. Ha una funzione erogena fondamentale per la sessualità dell’individuo, in quanto
la sua stimolazione quando non provoca dolore dà piacere.
La cute, ha un ruolo decisivo nel mantenimento dell’omeostasi dell’organismo e
l’importanza della sensibilità cutanea per la sopravvivenza dell’individuo e delle specie è
ormai universalmente riconosciuta: si può vivere da ciechi, sordi, privi dell’olfatto e del
gusto, ma difficilmente si sopravviverà al deterioramento totale della pelle e quindi alla
perdita della funzione tattile: la tattilità infatti filogeticamente ed ontologicamente il primo
fra sensi.
La pelle quindi si trova al centro di un importante crocevia: risente dell’influenza
dell’ambiente esterno (clima, agenti fisici, chimici, virali ecc.), di quello interno (età,
costituzione, situazione endocrina ed immunitaria etc.), e di quello psicoaffettivo (relazione
con i familiari e con l’ambiente esterno, conflittualità ed emozioni): Ogni volta che si
effettua un mutamento in una di questi tre ambienti lo si avrà immediatamente anche negli
altri due.
Un medico scrittore Mantegazza l’ha così definita: “E’ il telegrafo per il mondo
esterno e specchio per il mondo interno”. La pelle ci permette di inviare al mondo esterno
dei messaggi molto efficaci senza l’uso della parola e contemporaneamente trovano
espressione esibizionismo e bisogno di espiazione.
Spira descrive la pelle come una membrana porosa e un sistema di scambio
estremamente importante sia sul piano fisico che nel suo equivalente psichico.” La pelle va
considerata come una miriade di mini-orifizi e mini-sfinteri attraverso i quali filtra lo
scambio”.
Infatti i disturbi della pelle sembrano segnalare che il “confine” con il proprio
ambiente non è più in equilibrio. Anche in assenza di qualsiasi condizione psicopatologica
sulla pelle possono trovare espressione privilegiata conflitti e problematiche irrisolte. Ciò è
evidente quando alcuni sentimenti o l’eccitazione provocano rossore, pallore, sudorazione,
prurito e “pelle d’oca”: nessun organo reagisce tanto rapidamente allo stress emotivo quanto
la pelle. La reazione può avvenire sotto forma di alterazioni circolatorie che vanno dal
rossore per la vergogna al pallore per la paura, dalla comparsa di eczema e gonfiore, alla
formazione di squame.
La nostra pelle, proprio per la sua collocazione di confine ed in quanto derivazione
embriologica comune al sistema nervoso ci permette ci comunicare in modo preferenziale il
nostro vissuto emotivo all’esterno senza l’uso della parola: sulla pelle si leggono gli anni
vissuti ed i peccati commessi. La pelle diventa la valvola di scarico dei nostri conflitti
intrapsichici, attraverso l’erompere di manifestazioni e perturbazioni di vario tipo. “La pelle
urla quello che la mia voce non sa esprimere.” La somatizzazione cutanea diventa un
mezzo simbolico di espellere una repressa ostilità interna , il cosiddetto “pianto cutaneo”.
2
La visione olistica della cura: il malato… la lesione cutanea cronica Volpiano (TO) 13 Dicembre 2003---Dott.ssa Marilia Boggio Marzet
A dimostrazione dello stretto legame cute-psiche interessanti sono gli esperimenti
tramite i quali si è potuta provocare una reazione cutanea specifica ricorrendo alla
suggestione ipnotica. E’ il caso per esempio, di soggetti in sonno ipnotico toccati con un
innocuo bastoncino che però veniva descritto come un fiammifero acceso: dopo tre minuti
era comparso nel punto toccato un eritema e dopo sei una bolla.
Anche dal punto di vista semantico la cute e le sue funzioni hanno sempre rivestito,
nell’immaginario collettivo popolare, moltissimi significati simbolici: basti pensare a
proverbi del tipo “non stare più nella pelle” o “quel ragazzo è una pelle” , “avere la pelle
dura” o “da elefante”, “fare la pelle a qualcuno” ,”lasciarci la pelle”, “amici per la pelle”,
“avere i nervi a fior di pelle”, “tirar fuori le unghie”, avere molto o poco “tatto”. Di una
persona aggressive si dice che è “rognosa”, di una collusiva che è “tignosa”.
I primissimi accenni a malattie cutanee si trovano nella Torah, i cinque libri di Mosè
che compongono la prima parte di quello che comunemente viene denominato Antico
Testamento. Si tratta delle generica “tsarà ath”, una sorta di lebbra che colpisce Miriam che
ha dubitato di Mosè: il signore la risanerà dopo sette giorni di isolamento. La maldicenza
viene colpita con una malattia della pelle. Giobbe è coperto di piaghe dolorose, a simbolo
visibile delle sue immani sventure. In Levitico, 13-15, la diagnosi e la terapia delle malattie
cutanee è compito del Cohen, il sacerdote: lebbra, ulcere, tigne, scolo sono oggetto di
isolamento e purificazione attraverso un simbolismo del numero sette.
Si può quindi immaginare l’importanza del contatto e del tatto a partire dalla
relazione madre-bambino: il primo legame affettivo si costituisce proprio grazie alla
soddisfazione del bisogno di contatto e di calore che il bambino sperimenta all’inizio della
sua vita.
Pensiamo alle ricerche di Harlow sulle scimmie “Rehsus”: le piccole scimmie furono
separate dalla madre e messe in contatto con due madri sostitutive costruite con del filo
metallico, una delle quali era coperta con del panno morbido: i piccoli venivano sfamati
tramite una bottiglia contenente latte che poteva essere posta in uno o nell’altro simulacro. Il
risultato fu che i piccoli passavano la maggior parte del loro tempo presso la madre di panno
indipendentemente dal fatto che fornisse loro il cibo. Inoltre, quando i piccoli si trovavano in
una situazione pericolosa come quella dovuta alla presenza di un oggetto nuovo a loro
estraneo, quella allevati dalla madre di panno, dopo una prima reazione di paura che si
portava ad aggrapparsi a lei, riuscivano ad esplorare l’oggetto; viceversa, quelli allevati dalla
madre metallica né ricorrevano a lei né all’esplorazione ambientale.
Risulta quindi evidente il valore fondamentale del contatto primario con il corpo
materno nelle prime relazione infantili.
Inoltre tutte le stimolazioni (pettinatura, palpeggiamenti, carezze, massaggi) aiutano,
secondo Montagne, fin dalla nascita lo svilupparsi di attività quali la respirazione, la
vigilanza, le difese immunitarie, la socievolezza, il senso di sicurezza. Per Anna Freud
essere accarezzato ed abbracciato all’inizio della vita, aiuta il bambino a costruire
un’immagine corporea ed un io corporeo sano.
Per l’Anzieu le prime sensazioni cutanee sono essenziali per introdurre il bambino in
un universo di esperienze nuove e complesse. Ciò avviene fin dalle prime cure appaganti e
rassicuranti di cui il piccolo è oggetto (quando viene tenuto in braccio, coccolato,
accarezzato) da parte della madre che gli permettono di acquisire la percezione della pelle,
necessaria perché garantisce l’integrità dell’involucro corporeo contro le angosce di
involucro perforato e quindi di svuotamento.
Anzieu ha introdotto il concetto di IO-PELLE che può essere spiegato come una
rappresentazione dell’Io del bambino utilizzata da questo nelle prime fasi dello sviluppo;
grazie ad essa il bambino riesce a vedere il proprio io come capace di contenere materiale
psichico, il tutto a partire dalla consapevolezza della propria superficie corporea che gli
3
La visione olistica della cura: il malato… la lesione cutanea cronica Volpiano (TO) 13 Dicembre 2003---Dott.ssa Marilia Boggio Marzet
fornisce la possibilità di differenziare lo spazio interno da quello esterno; il concetto di iopelle definisce la funzione di contenimento e di differenziazione della pelle.
L’io-pelle ha tre funzioni: è il sacco che contiene il buono che le cure materne vi
hanno depositato; la barriera che delimita gli spazi e che quindi impedisce l’entrata di
materiale esterno non gradito, come per esempio l’aggressività altrui; è il luogo privilegiato
della comunicazione con gli altri.
Il Prurito ha indubbiamente un’origine emotiva: prurito e il conseguente trattamento
sono “attività derivate” come sbadigliare, passarsi la mano fra i capelli, accarezzarsi la
guancia, muovere aritmicamente il piede, Essi sono comportamenti inconsci che possono
significare collere, impazienza, imbarazzo, eccitamento sessuale.
Il grattamento è per Musaph è un’attività derivata che costituisce una scarica emotiva
legata all’imbarazzo o ad un’intensa concentrazione. Il grattarsi dà comunque piacere: basti
pensare al grattarsi la schiena che è un piacere filogeneticamente antico, comune a tutti i
mammiferi. Per gli animali infatti questo comportamento è legato all’esperienza sessuale in
quanto nell’accoppiamento vi è una sollecitazione cutanea a livello dorsale, ed è probabile
che abbia un significato simile anche nell’uomo. Il legame indiscusso fra prurito e emozione
deve essere tenuto ben presente nelle malattie della pelle perché mette in atto un pericoloso
meccanismo autoperpetuantesi lesione-grattamento-lesione. Tale legame può determinare
una malattia auto-perpetuante nella quale il paziente avverte il prurito, la necessità di
grattarsi, si procura delle ferite sulla pelle che a sua volta s’infiamma, prude e così via.
Puntualizzando la situazione da un altro punto di vista la lesione cutanea prude, il soggetto si
gratta ecc.
Il circolo vizioso che viene ad instaurarsi in relazione al prurito cutaneo fa sì che il
continuo grattamento porta a modificazioni nella delicata struttura della pelle rendendo le
terminazioni nervose più sensibili agli stimoli esterni. Quindi, allo stimolo psicologico del
grattamento se ne affianca uno fisico che provoca un’ulteriore spinta a grattarsi con un
evidente aggravamento delle lesioni cutanee causa di prurito.
Renata Gaddini ritiene che la malattia o lo stesso sintomo prurito possano essere
indicativi in particolari situazioni d’angoscia e stress che riproducono il disagio psicologico
originario.
Analizzando la relazione madre-bambino nei soggetti in cui si manifesta tale
meccanismo essa appariva particolarmente alterata a causa della figura della “rejecting
mother” definita come una madre il cui atteggiamento riflette il desiderio più o meno
inconscio di liberarsi del figlio. Con le autoescoriazioni dovute al continuo grattarsi il
bambino da una parte si adegua all’immagine negativa che la madre ha di lui, rendendosi
indegno di essere amato e nello stesso tempo soddisfacendo il suo desiderio di disobbedire
alla continua ed ossessiva richiesta di non grattarsi.
Alexander ha considerato la cute sede di somatizzazione di conflitti incentrati
sull’esibizionismo ed il sado-masochismo. “il mettere in mostra il corpo allo scopo di
ottenere attenzione, amore, favore in altre parole esibizionismo è usato come un’arma di
lotta e risveglia sentimenti di colpevolezza. Secondo la legge del taglione il castigo deve
essere commisurato al delitto: la pelle che servì come strumento di esibizione diviene al
campo di una dolorosa afflizione”.
Altri autori ritengono che qualora sia presente una insufficiente coesione delle sue
strutture di confine (la pelle come confine dell’identità corporea) la sofferenza psicologica,
diventando una minaccia di disintegrazione psichica, deve essere esternalizzato e
superficializzato oltre i confini dell’Io corporeo attraverso la lesione cutanea.
4
La visione olistica della cura: il malato… la lesione cutanea cronica Volpiano (TO) 13 Dicembre 2003---Dott.ssa Marilia Boggio Marzet
Altri studi (Gill) hanno analizzato l’influenza dell’ambiente familiare sulla gravità
della sintomatologia. Si è infatti riscontrato che un ambiente familiare
“disimpegnato/organizzato” si correla ad un numero inferiore di sintomi, viceversa un
ambiente familiare “invischiato” è associato a più sintomi.
Nel primo tipo di organizzazione familiare si può rilevare una enfatizzazione di
qualità come la riflessione, la fiducia in sé stessi, la pianificazione, la routine regolare e la
chiara divisione di responsabilità e di ruoli, l’apertura verso l’esterno: tali aspetti fanno
ipotizzare che la famiglia svolga una funzione di cuscinetto contro gli effetti dello stress,
che i genitori diano ai figli indicazioni più chiare in merito alle conseguenze delle grattature
incoraggiando verso una maggiore responsabilità nei confronti delle cure mediche.
Al contrario le famiglie invischiate sono invece più rigide in merito ciò che è giusto e
sbagliato, credono nella punizione, funzionano come cassa di risonanza dello stress in
quanto il problema di ognuno è il problema di tutti. E’ possibile quindi che questo tipo di
ambiente sia maggiormente ansiogeno e produca più sintomi e maggiori necessità di
medicamenti.
L’autoperpetuazione della lesione rientra anche nella relazione affettiva fra due
persone: per analizzarla dobbiamo fare riferimento ai vantaggi secondari della malattia.
Sappiamo che la malattia permette di sfuggire ad alcuni problemi ambientali o relazionali
irrisolti o vissuti come irrisolvibili. La malattia consente così non solo una scappatoia dai
problemi ma permette anche di non essere disapprovati (il non affrontare le difficoltà per
immaturità, pigrizia, timore è riprovato dalla società, il non affrontarli perché si è malati è
invece maggiormente accettato. Inoltre il malato (in special modo chi è soggetto ad ulcere a
causa della facilità con cui si può mantenere il danno cutaneo) riesca a suscitare negli altri
quella attenzione e quell’aiuto che altrimenti non riuscirebbe a provocare. Questo vantaggio
vale soprattutto nei confronti dei familiari anche se è pagato al prezzo di incapsularsi nel
ruolo del malato.
Mi è capitato più volte, nella mia attività di psicologa, di essere consultata in casi di
ulcere persistenti e resistenti a qualsiasi tipo di cura.
In queste situazioni appariva evidente la disponibilità delle pazienti ad essere addestrate alla
pulizia della lesione cutanea: Tale autonomia permetteva loro sia di manipolare i farmaci a
loro piacimento, mescolandoli, sostituendoli con altri, eliminandoli sia di intervenire sulla
lesione a volte in modo cruento attraverso lamette da barba , pinzette ecc.
Tale attività che certamente rientra in alcuni meccanismi sado-masochistici aveva
inoltre l’obiettivo secondario d’incastrare il coniuge (attraente, seduttivo con le infermiere e
quindi con le donne,) nella relazione con la malata attraverso i sensi di colpa. “Non posso
abbandonare mia moglie perché è malata ed ha bisogno di me”. Una guarigione, dal punto di
vista della paziente, non sarebbe stata auspicabile in quanto l’avrebbe messa di fronte alle
difficoltà coniugali.
In un’altra situazione la paziente, diabetica, era riuscita attraverso la sua malattia ed
alle sue ulcere, a tenere in scacco marito, madre e figlia.
Solo attraverso un lavoro psicoterapeutico si possono analizzare le dinamiche
inconscie che sottendono tali comportamenti e riacquistare la forza per affrontare
direttamente e risolvere i disagi relazionali.
Un ulteriore problema riguarda il fatto che la percezione della malattia cutanea
genera frequentemente nei rapporti interpersonali un senso di repulsione
spesso
ingiustificato, tale da condurre ad un comportamento di evitamento al contatto nei confronti
del paziente che produce conseguenze estremamente negative nel rapporto medico-paziente.
Tale riluttanza al contatto della cute ulcerata determina delle ripercussioni sul paziente per il
quale il sintomo dermatologico ha già caratteristiche totalizzanti rispetto all’immagine del
5
La visione olistica della cura: il malato… la lesione cutanea cronica Volpiano (TO) 13 Dicembre 2003---Dott.ssa Marilia Boggio Marzet
corpo coinvolgendolo nel suo insieme, come superficie esposta all’ambiente ed alle reazioni
collettive. La percezione del paziente non è quindi “il mio organo cute è malato” ma “io
sono impuro”.
Una mia paziente che nel corso della psicoterapia ha affrontato un corso per Adest
era terrorizzata durante la fase di tirocinio pratico in casa di Riposo dall’affrontare pazienti
con delle ulcere da decubito. Se le sognava perfino di notte. Cosa la preoccupava
maggiormente era il poter vedere attraverso un “buco” oltre la pelle, l’osso, di intrudere così
nell’intimità corporea profonda di una anziana, di esserne quasi contaminata essa stessa.
Le ulcerazioni della cute determinano un’alterazione dell’immagine corporea del
malato e di conseguenza della propria autostima determinando di conseguenza una
percezione di mancata integrità dell’involucro corporeo ed un’angoscia di un corpo che può
essere leso e perforato facilmente e quindi svuotato dei suoi contenuti positivi.
6