21 Quad. Mus. St. Nat. Livorno, 20: 21-26 (2007) Il contributo dell’a-DNA nello studio delle popolazioni antiche: il caso lucchese ALESSANDRO MANFREDINI1, DAVID CARAMELLI2, FRANCESCO MALLEGNI1 RIASSUNTO: Le origini delle popolazioni italiche antiche sono poco chiare, in generale c’è accordo sul ritenere che la loro cultura si è sviluppata a livello locale. Al momento, in questo scenario, le relazioni migrazionali ed evolutive della popolazione Lucchese antica sono solo parzialmente conosciute. Con questo contributo intendiamo estendere lo studio determinando sequenze di DNA mitocondriale in cloni multipli derivati da reperti ossei appartenuti a genti lucchesi vissute nel periodo compreso tra la preistoria ed il Tardo Medioevo. Parole chiave: Dna antico, DNA mitocondriale, popolazioni umane antiche. SUMMARY: The origins of the ancient italic population are unclear, in general there is agreement that their culture developed locally. At the moment, in this scenario the Lucchesi’ evolutionary and migrational relationschips are partially unknow. In this paper we intended to extend the study determing mitochondrial DNA sequences in multiple clones derived from bone samples of Lucchesi inhabitans who lived between the pre history period and late antiquity. Key words: Ancient Dna, Mitochondrial DNA, ancient human populations. Introduzione Il nuovo approccio metodologico sperimentale adottato dagli antropologi molecolari si incontra e si scontra con il linguaggio dell’antropologia fisica e dell’archeologia fino a scivolare nell’affascinante campo dello studio dell’evoluzione umana. Sin dagli albori dell’antropologia molecolare, termine coniato nel 1962 da Emile Zuckerkandl, il problema è stato quello di cercare di conciliare la storia registrata nelle molecole con quella raccontata dalle testimonianze fossili e archeologiche. L’empirismo paleoantropologico e il metodo sperimentale dell’antropologia molecolare non sono altro che due orizzonti scientifici il cui fine ultimo è la ricostruzione della storia naturale dell’uomo; ragione per cui il dialogo tra fossili e molecole non solo è possibile, ma anche necessario. Le evidenze molecolari sono una documentazione che vanno a riempire, per lo meno parzialmente, le lacune delle testimonianze fossili che purtroppo lasciano scoperte molte tappe dell’evoluzione delle specie. La ricostruzione storiografica dell’evento evolutivo necessita quindi dell’integrazione di tutte le informazioni fornite dalle diverse discipline. Oggigiorno il recupero e lo studio del DNA rinvenibile in reperti scheletrici e tessuti antichi rappresenta la frontiera più avanzata negli studi di antropologia molecolare. Stato dell’arte L’indagine del DNA antico ha contribuito a comprendere alcuni passi della storia evolutiva umana, particolarmente importante è stato il risultato ottenuto dal confronto tra le sequenze di mtDNA ottenute da reperti neandertaliani e 1. Unità di Antropologia, Dipartimento di Biologia – Università degli Studi di Pisa – 56126 Pisa, Via Santa Maria, 53. 2. Laboratori di Antropologia, Dipartimento di Biologia Evoluzionistica – Università degli Studi di Firenze Via del Proconsolo, 12 - 50122 Firenze. 22 Manfredini, Caramelli, Mallegni di Homo sapiens antichi. Ad oggi sembra infatti che si possa escludere una diretta discendenza della nostra specie dai neandertaliani (Krings et al., 1997, Caramelli et al., 2003). L’analisi della variabilità del mtDNA ha apportato un grande contributo anche a livello popolazionistico, l’ analisi delle sequenze della regione non codificante D-loop ha permesso di ricostruire l’origine e la storia demografica delle popolazioni umane (Harpending et al., 1993) e, a livello più strettamente regionale, ha permesso di acquisire notevoli informazioni sulla filogenesi e la struttura genetica di popolazioni europee (Bertranpetit et al., 1995 a, b; Sajantila et al., 1995; Francalacci et al., 1996), africane (Vigilant et al., 1991), asiatiche (Mountain et al., 1995) e americane (Santos et al., 1994). Il pensiero comune sulla diversità genomica intra e infra popolazioni moderne è che essa sia il frutto dei cambiamenti demografici e delle pressioni evolutive che hanno interessato i loro antenati pre e proto-storici (Cavalli Sforza 1994, Von Haeseler et al.,1995; Richards et al., 2000; Torroni et al., 2001; Underhill et al., 2001). Si ipotizza, infatti, che gli eventi responsabili della variabilità genetica complessiva di una nazione, come ad esempio l’Italia, siano da ricercare in tempi molto remoti quando era bassa la densità della popolazione (Piazza et al., 1988). Oggigiorno questa assunzione non è stata ancora del tutto verificata, perché non esistono dati sufficienti sulle popolazioni antiche. Uno studio su larga scala sul mtDNA antico dimostra come un drastico cambiamento nel pool genico mitocondriale possa richiedere anche solo pochi secoli (Wang et al., 2000). Dati recenti sulla popolazione Etrusca mostrano come sia riscontrabile una discontinuità genetica tra queste e le attuali popolazioni che abitano la medesima area (Vernesi et al., 2004, Belle et al., 2006), contrariamente invece alla continuità che sussiste tra la popolazione Picena e le attuali popolazioni centro Italiche (Cappellini, 2003). Sempre studi recentissimi sulla popolazione paleoveneta ipotizzano una continuità genealogica con i veneti moderni (Manfredini, 2007) mentre i risultati ottenuti da un primo studio sulla popolazione lucchese, peraltro basato su un numero di sequenze esiguo e distribuite lungo la scala temporale che va dalla preistoria al tardo medioevo, non fanno intravedere una continuità genetica tra gli antichi e moderni lucchesi (Conzato, 2007). Considerato lo stato attuale degli studi risulta necessario raccogliere ulteriori dati sulle popolazioni antiche, e paragonare gli individui moderni ed antichi in varie località e in tempi differenti al fine di condurre uno studio genetico diacronico e sincronico. La possibilità di implementare gli studi sul DNA antico appartenente alle genti dell’area lucchese contribuirà a ricomporre parte del grande puzzle della storia del popolamento italiano, ma prima di tutto vuol essere uno strumento che aiuti a far chiarezza sulla storia locale e in particolare sulle dinamiche dei cambiamenti avvenuti in tempi proto storici e storici, considerato anche che sino alla costituzione di Lucca in colonia latina (180 a.C.) sono poche le testimonianze a disposizione dell’antropologia. Lo studio delle ossa rinvenute nei siti preistorici ha rilevato una certa eterogeneità antropologica della regione, ma le interpretazioni sono varie poiché i reperti ossei provengono da stazioni di cui non si conosce la corretta successione cronologica, per cui non c’è la possibilità di cogliere possibili cambiamenti di popolazione o di sapere se e quando si sono avute infiltrazioni di nuovi tipi umani (Mallegni, 1985). Le osservazioni scaturite dallo studio osteologico sono un buon substrato per presupporre che anche a livello molecolare vi siano delle variazioni, visto che cambiamenti fenotipici sono la risultante di cambiamenti del genotipo. Interessante, potrebbe essere la ricerca di una continuità o discontinuità genetica tra le passate e l’attuale popolazione del territorio, nella consapevolezza che ricostruire la storia di una popolazione solo su base molecolare non è sufficiente e che l’approccio migliore resta sempre quello dell’indagine interdisciplinare e diacronica. Scopo del lavoro Sfruttando le potenzialità del mtDNA (DNA mitocondriale) si proverà a tessere la storia molecolare umana in un’area geografica ristretta, un’indagine di micro-evoluzione cha abbraccia un arco temporale che si estende dalla Preistoria alla fine del Medioevo. L’area prescelta è quella di Lucca e delle zone limitrofe, una scelta mirata poiché, a differenza di altre zone della Toscana come la parte meridionale molto conservativa (Francalacci et al., 1996), ha la peculiarità d’essere contraddistinta da una rete viaria che la mise in a-DNA nello studio delle popolazioni antiche contatto con il Nord, con il centro Italia e con la regione costiera; si sarebbero favoriti, presumibilmente, apporti genetici differenziati. Interrogando le molecole si cercherà di comprendere le vicende del popolamento di quest’area assumendo come variabile il fattore tempo; si farà il confronto tra le sequenze mitocondriali delle popolazioni che transitarono e/o stazionarono nell’area lucchese e quelle moderne; queste ultime sono il risultato del mescolamento di individui con caratteristiche omogenee, o anche molto diverse, tra loro. L’utilizzo delle molecole come un filo d’Arianna lungo la scala temporale per ricostruire le vie di migrazione vuol essere non solo un ulteriore contributo alla ricostruzione della storia antropologica dell’area lucchese, ma anche una sorta di studio pilota per le ricerche diacroniche complete in aree geografiche circoscritte. Il confronto tra popolazioni aiuterà a capire se esiste una continuità genealogica tra i lucchesi di oggi e la popolazione del passato oggetto d’indagine, a delineare un andamento diacronico della variabilità genetica per la ricostruzione dei fenomeni sia di drift genico, sia di tipo migratorio che eventualmente abbiano interessato il territorio lucchese e le altre zone limitrofe. Materiali e metodi Il materiale genetico antico può essere recuperato da numerosi tipi di materiale biologico, quali resti mummificati, coproliti, preparati istologici e ossa. Quest’ultime insieme alle radici dentarie sono la fonte del DNA antico ‘lucchese’ recuperato per questo studio. Il materiale, al momento già campionato per quest’indagine, è attribuibile a 34 individui distribuiti lungo la scala temporale che va dalla preistoria all’alto medioevo. I reperti scheletrici preistorici provengono dallo scavo archeologico della necropoli del Frizzone nel comune di Lucca e sono nel complesso attribuibili a genti vissute a cavallo tra il III e II secolo a.C.. Il periodo tardo antico (II–IV sec. d.C.) è rappresentato da campioni provenienti da Palazzo Orsucci (LU), quello alto medioevale (IX–X sec. d.C.) dalle sepolture rinvenute nella chiesa di San Quirico (LU). Si prevede inoltre di estendere il campionamento a 96 individui risalenti al periodo tardo medioevale (XIII–XVII sec. d.C.) rinvenuti nell’area cimiteriale dell’ex Caserma Mazzini e a 36 sepolture emerse dallo 23 scavo di San Ponziano ascrivibili ad un periodo compreso tra il IV e XIV sec. d.C. Nell’analisi del DNA antico gli ostacoli principali contro cui ci si deve misurare costantemente sono il basso numero di molecole endogene conservate e il loro stato di degradazione dovuto alla diagenesi e ai processi di demolizione spontanea che si innescano alla morte cellulare, problemi in parte risolti dall’utilizzo della reazione a catena della polimerasi (pcr) capace di replicare selettivamente un frammento di DNA e di aumentarne il numero in modo esponenziale. I comportamenti da assumere quando si manipola DNA antico sono indicati nei ’Golden Criteria’ (Coper, Poinar, 2000), regole e precauzioni da seguire per evitare contaminazioni durante le fasi sperimentali. Prima di essere sottoposto alle indagini biomolecolari il reperto osseo viene pulito rimuovendo con carta abrasiva uno strato superficiale di circa 1 mm, successivamente tutte le superfici sono ortogonalmente irradiate per 45 minuti con raggi UV a 254 nanometri al fine di eliminare e inattivare eventuale DNA eterologo; il materiale viene polverizzato e conservato a –20°C. Il grado di racemizzazione degli amminoacidi è utile per valutare la degradazione del DNA e quindi la bontà del campione che si decide di portare avanti nelle fasi sperimentali. L’estrazione del DNA con il metodo del fenolocloroformio consente di solubilizzare i lipidi, denaturare le proteine, inattivare gli enzimi e di separare il DNA da vari componenti cellulari. Il DNA viene poi concentrato tramite adsorbimento su silice o resine ed infine purificato da tutti quei composti che inibiscono la replicazione del DNA mediante pcr (Caramelli, Lari, 2004). Le regioni che compongono il DNA mitocondriale hanno tassi di evoluzione diversi, il segmento non codificante D-loop composto da 600 paia di basi di cui fan parte le regioni ipervariabili HVR I e II, ha un tasso di divergenza molto elevato. Le HVRs hanno un alto numero di siti polimorfici e rilevano circa il 3% della variabilità tra gli individui. La regione HVR I, su cui si focalizza il presente studio, è il segmento più informativo per confronti tra popolazioni separatesi in tempi evolutivamente recenti visto il grado di omologia con gli scimpanzé ed altri mammiferi. Il tratto HVRI (360 paia di basi) viene virtualmente diviso in tre frammenti che si sovrappongono parzialmente poiché non è 24 Manfredini, Caramelli, Mallegni possibile amplificare frammenti maggiori di 200 paia di basi. La moltiplicazione del numero di tratti di DNA avviene tramite la pcr (polymerase chain reaction), una replicazione in vitro che in poche ore fornisce milioni di copie di sequenze di DNA. I prodotti di pcr vengono controllati mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio e infine purificati dai dimeri di primers. Il prodotto purificato viene duplicato in vivo con la tecnica del clonaggio sfruttando il meccanismo di replicazione del DNA all’interno di cellule batteriche (Escherichia coli). Infine si procede con il sequenziamento dei cloni utilizzando il metodo della sequenza ciclica a terminazione con fluorescenza (BigDye terminator). Trattando materiale degradato, in poca quantità, con la possibilità che sia contaminato da DNA esogeno, la strategia basata sull’amplificazione e il clonaggio consente di poter discriminare la componente antica da quelle inquinanti; sequenziando i cloni si aumenta l‘attendibilità del risultato prendendo come sequenza corretta quella più rappresentata. Per i campioni di cui sarà possibile amplificare e clonare tutti e tre i tratti della regione HVRI sarà ricostruita l’intera sequenza consenso di 360 paia di basi che verranno poi confrontate tra loro e con la sequenza di riferimento CRS al fine di evidenziare eventuali mutazioni rispetto alla CRS stessa. Inoltre si utilizzerà un nuovo programma di simulazione, Serial SimCoal, per comprendere le relazioni genealogiche fra la popolazione lucchese antica e i lucchesi moderni. In questo modo, tramite simulazioni di coalescenza (informatiche) di modelli genealogici che incorporano anche le sequenze antiche, intendiamo indagare vari scenari evolutivi che hanno potuto portare allo sviluppo della attuale popolazione lucchese. Considerazioni finali e prospettive La questione dell’origine di un popolo non ha mai una risposta semplice e univoca. Un popolo è il risultato storico, in un dato momento, della concomitanza di fattori diversi, non il prolungamento di un’unica realtà precedente. Basandoci su precedenti lavori, sia archeologici che genetici, e sui nuovi dati che speriamo di acquisire, si cercherà, utilizzando un programma di simulazione di coalescenza che permette di simulare scenari demografici complessi inclu- dendo campioni antichi, un’eventuale continuità genealogica (o discontinuità) fra la popolazione lucchese nel periodo pre romano e quella attuale. Attraverso la simulazione di vari scenari evolutivi, diversi per taglia delle popolazioni, per il tasso di crescita, si confronteranno statisticamente i dati di diversità genetica osservata, con quelli simulati. In questo modo sarà possibile escludere alcuni scenari evolutivi, ed evidenziare gli scenari più probabili. Ringraziamenti Gli autori desiderano ringraziare la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca per aver incoraggiato e sostenuto economicamente sia gli studi passati che il programma di Ricerca, ad oggi ancora in corso, sulla Paleogenetica di campioni biologici di diversa antichità del territorio lucchese. Bibliografia BELLE E. M. S., RAMAKRISHNAN U., MUNTAIN J. L., B ARBUJANI G., 2006. Serial coalescent simulations suggest a weak genealogical relationship between Etruscans and modern Tuscans. PNAS, 103(21): 8012–8017. BERTRANPETIT J., SALA J., CALAFELL F., UNDERHILL P., MORAL P., COMAS D., 1995a. Human mitochondrial DNA ariation and the origin of the Basques. Ann. Hum. Gen., 59: 51-67. BERTRANPETIT J., CALAFELL F., COMAS D.,PEREZ-LEZAUN A., MATEU E., 1995b. Mitochondrial DNA sequences in European insight into population history. In Molecular biology and human diversity. Eds Boyce AJ, MascieTaylor CGN, Cambridge University Press., pp. 113-129. 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To better understand the demographic processes in this area, we will investigate other samples at the aim to include more ancient sequences.