14 AURORA – n. 33 – Anno V – aprile 2012 QUANDO LA “LEGALITÀ” NON È SUFFICIENTE Spunti dalla lettura di “La vita e le regole Tra diritto e non diritto” di Stefano Rodotà di Mario G. Cossellu – B RUXELLES Si parla molto della “legalità” come valore da difendere di fronte allo strapotere delle mafie politiche ed economiche, agli abusi, alle incertezze e all’indifesa. Ma cos’è la legalità, che significa realmente al di là delle contingenze dell’attualità? Di che cosa parliamo, di legalità dello stato borghese capitalista, di legalità socialista, di legalità popolare, o così in assoluto? Non potrebbe essere anch’essa una di quelle parole che, prese senza alcun aggettivo che le specifichi davvero, possono significare tutto e il contrario di tutto o proprio niente? Parole come “libertà” (“libertà per che cosa?”, chiedeva e continua a chiedere il compagno Lenin) o come “pace”, “giustizia”, “democrazia”, o la stessa “sinistra”… Per riflettere sulla legalità e tutto ciò che può significare, (ri) leggiamo “La vita e le regole. Tra diritto e non diritto” (Feltrinelli 2009) di Stefano Rodotà, uno dei maggiori giuristi in Italia e in ambito internazionale, docente universitario nonché parlamentare di sinistra per il PCI prima e per il PDS poi, già presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, e attivo militante laico e progressista. Un libro interessante perché, anche grazie alla personalità e alle esperienze del suo autore, offre un punto di vista sui molteplici aspetti dei rapporti tra le leggi e le realtà sociali e personali sulle quali si applicano: leggi che emanano da un potere che si considera “democratico” e che assume il monopolio della normazione e della coercizione, che pretende di organizzare la società secondo valori superiori e condivisi ma arriva a intromettersi in questioni personalissime come la vita (dalla nascita alla morte), i rapporti affettivi e la sessualità, i margini di libertà per lo sviluppo personale e sociale, etc. In linea con la storia e gli interessi dell’autore, il libro si riferisce a valori e situazioni dell’intero ambito delle società capitaliste “demoliberali” occidentali, ma fa chiaramente più riferimento al sistema legale e all’attualità politica e sociale italiana, un paese la cui “diversità” un tempo comprendeva il fatto positivo della presenza forte e influente di un gran Partito Comunista e di un Sindacato di classe, e oggi si riduce agli aspetti negativi di “poteri forti” pesantemente mischiati tra loro nell’imporre i loro interessi in tutti gli aspetti della vita sociale e personale dei cittadini. Dando come risultato, oggi più che mai, un paese in una situazione di immobilismo, conservatorismo egoista e asfissiante mancanza di prospettive. Nell’esaminare le relazioni del diritto con i diversi e complessi aspetti etici, sociali, politici e individuali della vita umana nelle società contemporanee, l’autore del libro constata la “saturazione giuridica” di tali società, dove spesso si pretende di regolare tutto ma si finisce in realtà per creare ancora più insicurezza se non arbitrio, tra eccessi e vuoti che possono venire interpretati nei modi più disparati. Allora, il Diritto e le sue regole sono senz’altro elementi necessari per un’organizzazione coerente e sostenibile della vita sociale, ma non devono diventare strumenti di controllo e di dominio da parte di poteri (pubblici o privati) con chiare tendenze totalizzanti: devono invece sempre essere al servizio della migliore convivenza e del benessere personale e collettivo, rispettando quegli elementi di individualità, libertà e dignità che fanno sì che l’essere umano sia il soggetto protagonista e attivo della propria vita e delle sue relazioni con gli altri e il mondo. Già il titolo del libro fa capire chiaramente quali sono le priorità: prima la vita, ovvero la realtà delle persone e lo sviluppo della loro traiettoria vitale, e poi le regole che si stabiliscono per ordinare e rendere effettiva, sostenibile e soddisfacente il più possibile la vita nelle comunità umane organizzate. “Regole” che non sono solo quelle delle leggi che fanno la “legalità”, ma anche quelle che impone in qualche modo la stessa società e, soprattutto, il suo potere dominante: come ci insegnano i nostri migliori compagni del passato e di sempre dicendo che il diritto, formale e materiale, AURORA – n. 33 – Anno V – aprile 2012 15 è espressione della classe dominante in ogni epoca e circostanza, e che niente è “neutro”, che nessuno rinuncia spontaneamente ai suoi diritti/privilegi e che la conquista dei diritti è il risultato delle lotte tra le classi. Oggi, nelle società occidentali, questo potere si considera derivato e legittimato dalla “sovranità popolare” consacrata dalle elezioni, dalla partecipazione sociale, dai valori condivisi etc., ma in realtà con una natura molto più sofisticata è al servizio effettivo di interessi che ben poco hanno a che vedere con quelli dei cittadini lavoratori: anche senza entrare troppo in profondità vediamo ogni giorno all’opera il potere e i poteri di oligarchie politiche, economico-finanziarie, professionali, militari, clericali etc., con in comune il carattere familiare-clientelare (se non propriamente mafioso-criminale) chiuso e autoconservativo. Sono quelle che in Italia si è dato chiamare “caste” e che fanno sentire delle “regole non scritte” che arrivano ad avere molto più peso ed effetti di quelle che formano un ordinamento giuridico, e contro le quali ben difficilmente si può avere soddisfazione. Nell’ampia introduzione generale su “Il diritto e i suoi limiti”, il libro di Rodotà espone le questioni chiave sulla presenza e l’influenza del diritto nella vita quotidiana, dalla volontà di potenza di chi ha in mano la facoltà di elaborare ed applicare le leggi, alle asimmetrie e squilibri di un diritto a volte troppo invasivo e altre invece troppo vago, tanto da rimanere spesso indietro – se non proprio in difesa di valori conservatori e reazionari – rispetto alle esigenze reali delle società e delle persone (si pensi per esempio allo sviluppo delle tecnologie delle comunicazioni, ai beni comuni, all’autoderminazione del proprio corpo e della sessualità, alle nuove relazioni personali e sociali, etc.). Si cita anche il dualismo tra la normalità quotidiana e le situazioni di emergenza, dove le leggi intervengono non solo sotto l’aspetto organizzativo, ma specialmente coercitivo, dalla dissuasione preventiva fino alla punizione: evocando così il problema del rapporto tra “legalità” e “legittimità” e della qualifica della violenza in un modo o nell’altro a seconda che la usi lo Stato o no, e sulla base di quali disposizioni approvate da chi e come. La “legalità” diventa così semplicemente l’applicazione delle leggi espresse da un sistema che si considera “democratico”, indipendentemente dal contenuto delle leggi stesse e da chi le applica, o si deve tener conto del contenuto etico e sociale delle leggi stesse, che facciano riferimento a valori “superiori” come i diritti umani, la giustizia, etc., o quanto meno che siano realmente espressione della comunità di riferimento? È un discorso da fare non solo in casi limite come quello delle leggi dello stato nazista tedesco, secondo le quali la “legalità” era la persecuzione e l’uccisione degli oppositori politici e dei vari “indesiderabili”, ma anche nella nostra quotidianità; e anche nelle relazioni internazionali, che dovrebbero essere regolate da un “Diritto internazionale” basato sull’uguaglianza, la sovranità, i diritti etc. ma che nella pratica vede solo l’applicazione del “diritto del più forte” in modo sempre più sfacciato e brutale, come si vede – con un crescendo sempre più preoccupante – almeno dalla Jugoslavia in poi, fino all’oggi della Siria e dell’Iran passando per l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, etc… dove i soliti noti della “comunità internazionale” – Stati Uniti e loro amici e vassalli – cercano di imporre i loro voleri dietro le ipocrite propagande di “libertà”, “democrazia” e “diritti umani”. Il libro passa poi a sviluppare dieci temi dove oggi è possibile notare più specialmente l’influenza delle leggi e di tutto ciò che sono e che rappresentano: il corpo, la solitudine, il dono, il caso, il gene, il clone, il dolore, la cura, la fine, e il potere. È un insieme di contenuti dove alle riflessioni teoriche si uniscono le storie reali e le lotte intorno a determinate prese di posizione, raccogliendo situazioni, vicissitudini e considerazioni che compongono quel mosaico esistenziale che è la persona umana e i suoi rapporti con il mondo e con i sistemi che quel mondo cercano di organizzare e di controllare. Troviamo figure reali come Terry Schiavo ed Eluana Englaro con suo padre Beppino; troviamo la traiettoria di Pier Paolo Pasolini, in continua lotta – fino al tragico ed oscuro finale – per affermare il proprio essere “diverso” e “sovversivo”, sicuramente rispetto a quell’ordine di “benpensanti”, “moralisti” e “qualunquisti” di cui l’Italia è piena. Sono tante le questioni che suscita e affronta il libro di Rodotà, come pure quella della quantità e qualità del diritto: davanti a tanta proliferazione di leggi e leggine, decreti e ordinanze che ricordano le “grida” manzoniane, non sarà questo un (altro) indizio del fallimento del sistema giuridico e, anzi, della stessa società che lo crea? Dove c’è bisogno di tante leggi, è probabile che non se ne rispetti nessuna, specialmente in un paese come l’Italia dove c’è tanto, troppo spazio per la furbizia, le frodi, i traffici e maneggi tra il lecito e l’illecito e dove tutto questo spesso non trova più neanche un vero rigetto sociale, ma una tacita e rassegnata accettazione, se non addirittura l’invidia. Il libro insomma propone ed espone, ma in principio non dà risposte, quanto meno non esaustive né definitive; né questa è la sua intenzione, che è invece quella di riflettere e fornire al lettore degli strumenti di pensiero per arrivare alle proprie conclusioni, di fronte a quello che succede e può succedere a chiunque nella vita quotidiana, attraverso l’ottica del diritto con tutta una serie di problematiche aperte e in continua evoluzione.