28 settembre - 1 ottobre 1943: le 4 giornate di Napoli Dalle parole di Pietro Secchia Ai popolani di Napoli che nelle tre oneste giornate del luglio MDXLVII, laceri, male armati e soli d'Italia francamente pugnando nelle vie, dalle case contro le migliori armate d'Europa tennero da sé lontano l'obbrobrio della Inquisizione Spagnola imposta da un imperatore tedesco e da un paggio italiano. Questa iscrizione scolpita su di una lapide posta sulla facciata della Certosa di S. Martino a Napoli, a ricordo d'una sollevazione della città contro lo straniero, avvenuta quasi cinque secoli or sono, colpisce per le sue parole che potrebbero ben adattarsi alla rievocazione delle quattro giornate dell'ottobre 1943 Esse hanno avuto degni e gloriosi precedenti storici nella rivolta del 1547 contro i tedeschi che volevano introdurvi l'Inquisizione di Spagna; nella sollevazione del 1647 guidata dal pescatore Masaniello e infine nella rivolta contro i Borboni del 1799. Nel 1943… Anche l'Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L'obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l'Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell'antifascismo. Il professor Adolfo Omodeo il l° settembre ‘43, all'inaugurazione dell'anno accademico, aveva indirizzato agli studenti un appello nel quale tra l'altro era detto: "Studenti, in questo momento amaro, l'Università vi apre le braccia, i vostri maestri sono della generazione del Carso e del Piave." L'insurrezione di Napoli è uno dei rari esempi di un grande moto di popolo "spontaneo" conclusosi vittoriosamente. L'insurrezione, come la guerra, continua a poggiare innanzi tutto sugli uomini, sulla loro coscienza, sul loro morale prima ancora che sulle armi. Non si può fare la storia delle insurrezioni delle città italiane durante la Resistenza, senza parlare di Napoli e di Firenze, anche perché qui la rivolta divampò parecchi mesi prima e fu oltretutto stimolo ed esempio. Quello di Napoli è un caso più unico che raro di una insurrezione di popolo scoppiata e condotta senza uno studio preliminare, un piano militare, senza una preparazione organizzata ed è la prova di quanto sia difficile per un nemico, che pur dispone di grandi mezzi, aver ragione di una città di oltre un milione di abitanti in rivolta. Dalla vittoria di Napoli, la Resistenza italiana traeva esempio e conferma della possibilità di condurre la guerra partigiana e di concluderla in concomitanza con le offensive decisive alleate, con l'insurrezione vittoriosa nelle grandi città. E oggi cosa possiamo dire? Possiamo e ci sentiamo di dire che È giusto conservare e rafforzare la memoria di questi fatti come diritto, e questo diritto dobbiamo garantirlo a tutti, specie ai giovani. La memoria, più che nel passato, ci deve proiettare verso il futuro poiché ricordare deve sostenerci, deve diventare resistere, e darci la forza di impegnarci per un mondo migliore e diverso. Poiché, se eventi vissuti settant'anni fa hanno segnato il corso successivo della esistenza di tanti di allora, verso ideali di libertà, pace e democrazia perché a quegli uomini e donne, adolescenti di allora è accaduto di fare la cosa giusta: riprendere nelle mani il proprio destino ed essi si sacrificarono per la costruzione di un paese democratico ed antifascista, così oggi, più che mai, a maggior ragione, noi, dobbiamo ritrovare la forza dell’impegno civile e politico in tal senso. [L'insurrezione di Napoli, anche se "spontanea," mancante di coordinamento e di una direzione che concentrando le forze sui punti decisivi e specialmente nella zona dov'erano situati i comandi tedeschi, avrebbe potuto rendere più rapido e meno sanguinoso il successo, segnava una grande vittoria dei patrioti di Napoli e della Resistenza italiana. Il successo immediato dell'insurrezione consisteva nell'aver impedito che la città, secondo le disposizioni di Hitler, fosse ridotta "in cenere e fango", nell'aver ostacolato la manovra dei tedeschi che costretti a ripiegare sotto l'incalzare dei patrioti e delle unità alleate, non poterono riversare la loro furia devastatrice sulle altre zone poste lungo il cammino obbligato della loro ritirata. Ancora più grande era il risultato politico e morale della vittoria, perché essa dimostrava che un popolo minacciato nella sua esistenza può insorgere con successo usando tutto ciò che esso ha, uomini e cose, tutte le armi di cui dispone. ] Delle “Quattro Giornate di Napoli” è stata data anche un’interpretazione alternativa a quella corrente, che intende sottolinearne la natura di «resistenza civile e popolare» e di concreto e nobile esempio di «difesa sociale e non violenta» (essendo state utilizzate largamente tecniche non violente come: la non-collaborazione, il boicottaggio, il sabotaggio, il rifiuto della militarizzazione della vita civile e la creazione di organismi paralleli), grazie alle quali un’inter città seppe liberarsi da sola dal giogo nazista[11]. Quattro giornate di Napoli 9 Monumenti Iscrizione commemorativa presso la masseria Pagliarone a via Belvedere. Alla memoria delle “Quattro Giornate di Napoli”, è stata dedicata l’omonima piazza Quattro Giornate, nel quartiere Vomero, in prossimità dello Stadio Arturo Collana, oggi sede della stazione Quattro Giornate della Linea 1 della Metropolitana di Napoli, già teatro della maggior parte degli scontri dell’insurrezione. Lapidi commemorative si trovano in via Belvedere (Masseria Pagliarone), sempre al Vomero, a via Luigi Sturzo (Masseria Pezzalonga), all’Arenella, all’ingresso del Palazzo della Borsa, in Piazza Bovio e in Piazza Nazionale. Un monumento «allo scugnizzo», figura simbolo dell’insurrezione, sorge invece alla Riviera di Chiaia, in piazza della Repubblica. Il monumento fu progettato dallo scultore Marino Mazzacurati nel 1963, e consiste in una statua di pietra che ritrae gli scugnizzi su ognuno dei quattro lati della scultura. Le decorazioni Queste le decorazioni al Valor Militare assegnate nel dopoguerra per l’eroismo della città di Napoli e dei suoi abitanti: Medaglia d’oro al valor militare (alla città di Napoli) Medaglia d’oro al valor militare alla città di Napoli «Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto ed alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata un’impari lotta col secolare nemico offriva alla Patria, nelle “Quattro Giornate” di fine settembre 1943, numerosi eletti figli. Col suo glorioso esempio additava a tutti gli Italiani, la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria[12].» — Napoli, 27 – 30 settembre 1943 Medaglie d’oro al valor militare (alla memoria) • Gennaro Capuozzo, detto Gennarino, (12 anni)[13] • Filippo Illuminato (13 anni)[14] • Pasquale Formisano (17 anni)[15] • Mario Menechini (18 anni)[16] Quattro giornate di Napoli 10 Medaglie d’argento al valor militare • Giuseppe Maenza (alla memoria) • Giacomo Lettieri (alla memoria) • Antonino Tarsia in Curia • Stefano Fadda • Ezio Murolo • Giuseppe Sances • Francesco Pintore • Nunzio Castaldo • Fortunato Licheri Medaglie di bronzo al valor militare • Maddalena Cerasuolo, detta Lenuccia[17] • Domenico Scognamiglio • Ciro Vasaturo Le Quattro giornate nel cinema e nella musica Alla rivolta delle Quattro Giornate sono stati dedicati due film: il primo, ‘O sole mio , girato da Giacomo Gentilomo nel 1945, appena due anni dopo gli eventi, ed il secondo, intitolato proprio Le quattro giornate di Napoli, nel 1962, diretto da Nanni Loy e candidato all’Oscar come miglior film straniero e come miglior sceneggiatura. L’episodio storico dell’insurrezione napoletana è stato rievocato anche nel finale del film Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini. Il cantautore Eugenio Bennato ha dedicato all’avvenimento ed in particolar modo alla figura dello “scugnizzo” la canzone “Canto allo scugnizzo”, contenuta nell’album “Musicanova” del 1978. Canzone poi ripresa nel 1998, dal gruppo napoletano 24 Grana, col titolo “Scugnizzi” e contenuta nell’album “Loop Live” A.N.P.I. Napoli Le Quattro Giornate Le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) furono un episodio storico di insurrezione popolare avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale tramite il quale, i civili, con l’apporto di militari fedeli al cosiddetto Regno del Sud, riuscirono a liberare la città partenopea dall’occupazione delle forze armate tedesche. L’avvenimento, che valse alla città di Napoli il conferimento della medaglia d’oro al valor militare, consentì alle forze alleate di trovare al loro arrivo, il 1º ottobre 1943, una città già libera dall’occupazione nazista, grazie al coraggio e all’eroismo dei suoi abitanti ormai esasperati ed allo stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima, tra le grandi città europee, ad insorgere con successo contro l’occupazione nazista[2]. Antefatto storico Le macerie dei bombardamenti del 1943 Per tutto il primo quadriennio di guerra 1940-1943, Napoli fu sottoposta a durissimi bombardamenti da parte delle forze alleate, che causarono ingenti perdite in termini di vite umane anche tra la popolazione civile. Si calcola che oltre 25.000 furono le vittime di questi attacchi indiscriminati alla città, per non menzionare i danni ingentissimi al patrimonio artistico e culturale (il 4 dicembre 1942 fu semi-distrutta la Basilica di Santa Chiara, mentre solo nel bombardamento del 4 agosto 1943 perirono oltre 3.000 persone; circa 600 morti e 3.000 feriti si ebbero invece per lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto, il 28 marzo 1943)[3][4]. Con l’avanzata degli alleati nell’Italia meridionale, gli esponenti dell’antifascismo partenopeo (tra cui Fausto Nicolini e Adolfo Omodeo), iniziarono a stabilire più stretti contatti con i comandi alleati richiedendo la liberazione della città. A partire dall’8 settembre 1943, giorno dell’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile con la lettura alla radio da parte del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio del suo famoso “proclama”, le forze armate italiane, come in tutto il paese, a causa della mancanza di ordini dei comandi militari si trovarono allo sbando anche a Napoli. In città la situazione, già difficile per i bombardamenti subiti e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20.000 tedeschi a fronte di soli 5.000 italiani, in tutta la Campania), ben presto divenne caotica per la diserzione di molti alti ufficiali, incapaci di assumere iniziative se non addirittura conniventi con i nazisti, cui seguì lo sbando delle truppe, incapaci a loro volta di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche. In particolare ci fu la fuga, in abiti borghesi, dei Generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, cui era affidata la responsabilità militare della provincia di Napoli. Gli ultimi atti di Ettore Del Tetto furono proprio la consegna della città all’esercito tedesco e la stesura di un manifesto che, vietando gli assembramenti, autorizzava i militi a sparare Quattro giornate di Napoli 3 sulla folla in caso di inadempienza. Sporadici ma cruenti tentativi di resistenza si ebbero tuttavia alla Caserma Zanzur, alla Caserma dei Carabinieri Pastrengo ed al 21º Centro di Avvistamento di Castel dell’Ovo. La città in fermento Proclama del comando tedesco Sin dai giorni immediatamente seguenti l’Armistizio di Cassibile, in città si andarono intensificando gli episodi di intolleranza e di resistenza verso l’occupante nazista e le azioni armate, più o meno organizzate, fecero seguito alle manifestazioni studentesche del 1 settembre 1943 in piazza del Plebiscito ed alle prime assemblee nel Liceo Classico Sannazaro al Vomero. Il 9 settembre verso le ore 16, in via Foria soldati e agenti di pubblica sicurezza catturarono una ventina di soldati tedeschi a bordo di autoblindo. Nazisti e autoblindo saranno liberati più tardi, per ordine del comando militare italiano. Gli agenti di pubblica sicurezza verranno addirittura legati alle colonne della caserma Bianchini per punizione. Il 9 settembre 1943 alcuni cittadini si scontrarono con le truppe tedesche al Palazzo dei Telefoni, mettendole in fuga, e in via Santa Brigida. Quest’ultimo episodio vide coinvolto un carabiniere che fu costretto a sparare per difendere un negozio dal tentato saccheggio da parte di alcuni soldati. Il 10 settembre 1943, tra piazza del Plebiscito e i giardini sottostanti, avvenne il primo scontro cruento, con i napoletani che riuscirono ad impedire il transito di alcuni automezzi tedeschi; nei combattimenti morirono 3 marinai e 3 soldati tedeschi. Gli occupanti ottennero la liberazione di alcuni uomini fatti prigionieri dagli insorti anche grazie all’ingiunzione di un ufficiale italiano che intimò ai suoi compatrioti la riconsegna degli ostaggi e di tutte le armi. La rappresaglia per gli scontri di piazza del Plebiscito non tardò ad arrivare: i nazisti, infatti, appiccarono un incendio alla Biblioteca Nazionale ed aprirono il fuoco sulla folla intervenuta. Il 12 settembre 1943 furono uccisi decine di militari per le strade della città, mentre circa 4.000 persone tra militari e civili furono deportate per il “lavoro obbligatorio”. Lo stato d’assedio Lo stesso giorno, il colonnello Walter Schöll, assunto il comando delle forze armate occupanti in città, (con il documento qui allegato in foto) proclamò il coprifuoco e dichiarò lo stato d’assedio con l’ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso. Seguì altro proclama, apparso sui muri della città, la mattina di lunedì 13 settembre: Quattro giornate di Napoli 4 « 1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni. 2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell’autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte. 3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino. 4. Esiste lo stato d’assedio. 5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un’arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. 6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile. Napoli, 12 settembre 1943 firmato Schöll Colonnello » Lapide all’ingresso del Palazzo della Borsa che ricorda l’uccisione di 4 marinai e finanzieri, il 12 settembre 43, ad opera di soldati tedeschi Dopo la fucilazione di 8 prigionieri di guerra avvenuta in via Cesario Console e gli spari di un carro armato contro gli studenti (che stavano iniziando a riunirsi nella vicina Università[5]) e contro alcuni marinai e finanzieri italiani davanti al palazzo della Borsa[6], vi fu un episodio che scosse particolarmente il sentimento popolare: sulle scale della sede centrale dell’Università avvenne l’esecuzione di un giovane marinaio, cui migliaia di cittadini furono costretti ad assistere dalle truppe tedesche che a forza li condussero sul Rettifilo, la strada antistante il luogo della fucilazione. 500 persone, lo stesso giorno furono parimenti condotte con la forza a Teverola, nel Casertano, e costrette ad assistere alla fucilazione di 14 carabinieri, “rei” di aver resistito con le armi prima di arrendersi all’occupante nazista. Quattro giornate di Napoli 5 Le premesse dell’insurrezione Uno «scugnizzo» armato Ormai la rabbia e l’esasperazione dei napoletani, in seguito alle esecuzioni indiscriminate, ai saccheggi, ai rastrellamenti della popolazione civile, alla miseria e alle distruzioni della guerra che mettevano in ginocchio la città intera, stava montando spontanea, priva di un fattore esterno organizzativo che non fosse altro che il desiderio di liberarsi dell’invasore tedesco. Si cominciò a pensare all’approvvigionamento delle armi: il 22 settembre gli abitanti del Vomero riuscirono ad impadronirsi di quelle che erano appartenute alla 107ª Batteria; il 25 settembre 250 moschetti furono prelevati da una scuola; il 27 settembre caddero nelle mani degli insorti alcuni depositi di armi e munizioni. Il 23 settembre intanto, una nuova misura repressiva adottata dal colonnello Walter Schöll prevedeva lo sgombero (entro le ore 20 dello stesso giorno) di tutta la fascia costiera cittadina sino ad una distanza di 300 metri dal mare; in pratica circa 240.000 cittadini furono costretti ad abbandonare in poche ore le proprie case per consentire la creazione di una “zona militare di sicurezza” che sembrava preludere alla distruzione del porto. Quasi contemporaneamente, un manifesto del prefetto intimava la chiamata al servizio di lavoro obbligatorio per tutti i maschi di età compresa fra i diciotto e i trentatré anni, in pratica una deportazione forzata nei campi di lavoro in Germania. Il risultato sperato dai nazisti non fu però ottenuto e alla chiamata risposero soltanto 150 napoletani sui previsti 30.000, il che determinò Walter Schöll a decidere di inviare ronde militari per la città per i rastrellamenti e la fucilazione immediata degli inadempienti. Fu affisso in città un nuovo proclama del Comando Militare Germanico. « Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno risposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati. Il Comandante di Napoli, Scholl » L’insurrezione popolare fu allora inevitabile, i cittadini furono chiamati a scegliere tra la sopravvivenza e la morte o la deportazione forzata in Germania ed ormai, spontaneamente in ogni punto della città, persone di ogni ceto sociale e di ogni occupazione, andavano riversandosi nelle strade per organizzarsi ed imbracciare le armi. Si unirono a loro anche molti dei soldati italiani che solo pochi giorni prima si erano dovuti dare alla macchia. Già dal 26 settembre una folla disarmata e urlante si scatenò contro i rastrellamenti nazisti, liberando i giovani destinati alla deportazione. Quattro giornate di Napoli 6 Le quattro giornate di lotta Mappa della città con indicati i luoghi dell’insurrezione 27 settembre Il 27 settembre, dopo un’ampia retata dei tedeschi che catturarono in vari punti della città circa 8.000 uomini, 400, forse 500 uomini armati aprirono i combattimenti. Una delle prime scintille della lotta scoppiò al quartiere Vomero dove, in località Pagliarone, un gruppo di persone armate fermò un’automobile tedesca uccidendo il maresciallo che era alla guida. Durante l’intera giornata, aspri combattimenti si susseguirono in diverse zone della città tra gli insorti e i soldati tedeschi che ormai stavano per iniziare le operazioni di sgombero, anche per le notizie (poi rivelatesi false) riguardo ad un imminente sbarco alleato a Bagnoli. Un tenente del regio esercito italiano, Enzo Stimolo, dopo essersi posto a capo di un gruppo di 200 insorti, si distinse particolarmente nell’operazione di assalto all’armeria del Castel Sant’Elmo, che cadde soltanto in serata, non senza spargimento di sangue; i tedeschi infatti, asserragliati, tra l’altro sia all’interno della Villa Floridiana sia al Campo Sportivo del Littorio (nel cuore del Vomero), intervennero in forze a dar battaglia. Un gruppo di cittadini si diresse nelle stesse ore verso il Bosco di Capodimonte dove, secondo alcune voci che giravano in città, i tedeschi stavano conducendo a morte alcuni prigionieri. Fu messo a punto un piano per impedire ad un gruppo di guastatori tedeschi di minare il ponte della Sanità per l’interruzione dei collegamenti con il centro della città, cosa che fu realizzata con successo il giorno successivo ad opera di un drappello di marinai. In serata, venivano assaltati e depredati i depositi d’armi delle caserme di via Foria e di via San Giovanni a Carbonara. 28 settembre Il 28 settembre, andando ad aumentare con il passare delle ore il numero dei cittadini napoletani che si univano ai primi combattenti, gli scontri si intensificarono; nel quartiere Materdei una pattuglia tedesca, rifugiatasi in un’abitazione civile, fu circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all’arrivo dei rinforzi: alla fine 3 Napoletani persero la vita. A Porta Capuana un gruppo di 40 uomini si insediò, con fucili e mitragliatori, in una sorta di posto di blocco, uccidendo 6 soldati nemici e catturandone altri 4, mentre combattimenti si avviarono in altri punti della città come al Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto. I tedeschi procedettero ad altre retate, questa volta al Vomero, ammassando numerosi prigionieri all’interno del Campo Sportivo del Littorio, cosa che scatenò la reazione degli uomini di Enzo Stimolo, che diedero l’assalto al campo sportivo, determinando, dopo aver dovuto fronteggiare un’iniziale reazione armata, la liberazione dei Quattro giornate di Napoli 7 prigionieri, il giorno successivo. 29 settembre Distruzioni in città Al terzo giorno di feroci scontri per le vie di Napoli, l’organizzazione dell’insurrezione rimaneva ancora lasciata ai singoli capipopolo di quartiere, mancando del tutto i contatti con le forze strutturate dell’antifascismo come il Fronte Nazionale (diretta emanazione del CLN). Andavano intanto emergendo figure locali che assunsero il comando delle operazioni nei vari quartieri della città, come il Prof. Antonio Tarsia in Curia (Vomero), il T.Col. Ermete Bonomi (Materdei), il Cap. Carmine Musella (Avvocata), Carlo Bianco, Med. Aurelio Spoto (Capodimonte), il Cap. Med. Stefano Fadda (Chiaia), il Cap. Med. Francesco Cibarelli, Amedeo Manzo, Francesco Bilardo (Duomo), Gennaro Zenga (Corso Garibaldi), il Magg. Francesco Amicarelli (Piazza Mazzini), il Cap. Mario Orbitello (Montecalvario), il Magg. Salvatore Amato (Museo), il Ten. Alberto Agresti (Via Caracciolo, Posillipo), Raffaele Viglione (Via Sant’Anastasio) e l’Imp. Tito Murolo (Vasto); mentre tra i giovani si distinse Adolfo Pansini[7], studente del liceo vomerese Sannazaro. Nella Piazza Giuseppe Mazzini, presso l’edificio Scolastico “Vincenzo Cuoco”, i tedeschi attaccarono in forze con i carri armati (i Panzer “Tigre”) e non più di 50 ribelli tentarono strenuamente di opporsi ma dovettero subire il pesante bilancio di 12 morti e più di 15 feriti. Anche il quartiere operaio di Ponticelli subì un pesante cannoneggiamento, in seguito al quale le truppe tedesche procedettero ad eccidi indiscriminati della popolazione penetrando sin dentro le abitazioni civili. Altri combattimenti si ebbero nei pressi dell’aeroporto di Capodichino e di Piazza Ottocalli, dove morirono 3 avieri italiani. Nelle stesse ore, presso il quartier generale tedesco al corso Vittorio Emanuele (tra l’altro ripetutamente attaccato dagli insorti) avvenne la trattativa tra il Col. Walter Schöll e il Ten. Enzo Stimolo per la riconsegna dei prigionieri del Campo Sportivo del Littorio; Walter Schöll ottenne di aver libero il passaggio per uscire da Napoli, in cambio del rilascio degli ostaggi che ancora erano prigionieri al campo sportivo. Per la prima volta in Europa i tedeschi trattavano alla pari con degli insorti civili. 30 settembre Mentre le truppe tedesche avevano già iniziato lo sgombero della città per il sopraggiungere delle forze anglo-americane provenienti da Nocera Inferiore, in città il professor Antonio Tarsia in Curia si autoproclamò, presso il Liceo “Jacopo Sannazaro”, capo dei ribelli assumendo pieni poteri civili e militari ed impartendo, tra l’altro, precise disposizioni circa l’orario di apertura degli esercizi commerciali e la disciplina. Tuttavia i combattimenti non cessarono e i cannoni tedeschi che presidiavano le alture di Capodimonte colpirono per tutta la giornata la zona tra Port’Alba e Materdei. Altri combattimenti si ebbero ancora nella zona di Porta Capuana. Gli invasori in rotta lasciarono dietro di loro incendi e stragi; clamoroso fu il caso dei fondi dell’Archivio di Stato di Napoli, che furono dati alle fiamme per ritorsione nella villa Montesano di San Paolo Belsito, dove erano stati nascosti, con incalcolabili danni al patrimonio storico e artistico, e la perdita degli originali membranacei della Cancelleria Angioina[8]. Quattro giornate di Napoli 8 Napoli è libera Festeggiamenti dopo la liberazione della città Il 1º ottobre alle 9:30 i primi carri armati alleati entrarono in città, mentre alla fine della stessa giornata, il comando tedesco in Italia, per bocca del maresciallo Albert Kesselring, considerò conclusa la ritirata con successo. Il bilancio dei tremendi scontri delle “Quattro Giornate di Napoli” non è concorde nelle cifre; secondo alcuni autori, nelle settantasei ore di combattimenti, morirono 168 partigiani e 159 inermi cittadini; secondo la Commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155 ma dai registri del Cimitero di Poggioreale risulterebbero 562 morti. È da notare che la gran parte dei combattimenti si ebbero esclusivamente tra italiani e tedeschi. A differenza di altri episodi della Resistenza furono infatti relativamente rari gli scontri con fascisti italiani, che probabilmente non avevano avuto il tempo di riorganizzarsi efficacemente dopo l’8 settembre (ricordiamo infatti che la Repubblica Sociale Italiana fu proclamata il 23 settembre, ovvero solo quattro giorni prima dello scoppio della rivolta). Facendo un bilancio, oltre l’importantissimo risultato morale e politico dell’insurrezione, le “Quattro Giornate di Napoli” ebbero senz’altro il merito di impedire che i tedeschi potessero organizzare una resistenza in città o che, come Adolf Hitler aveva chiesto, Napoli fosse ridotta «in cenere e fango» prima della ritirata. Parimenti fu evitato che il piano di deportazione di massa organizzato dal Colonnello Schöll avesse successo. La vera ragione per cui non fu fatta la deportazione di massa era la mancanza di treni merci per deportare tutta la popolazione che a Napoli si trovava. Nel breve periodo di occupazione tedesca, ci saranno circa 4000 deportati. A ciò si giunse non soltanto grazie ai 1.589 combattenti ufficialmente riconosciuti, ma anche per la resistenza civile e non violenta di tanti napoletani, fra cui preti e giovani operaie, «scugnizzi» e professori, medici e vigili del fuoco, «goliardi» e disoccupati. Circa un anno dopo, il 22 dicembre del 1944, i generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, che avevano abbandonato la città nelle mani dei tedeschi all’indomani dell’8 settembre, furono condannati dall’Alta Corte di Giustizia a 20 anni di reclusione militare[9][10], condanna in seguito ridotta per condoni e provvedimenti di grazia. Anche l’avvocato Domenico Tilena, che aveva retto la federazione fascista provinciale durante gli scontri, fu condannato a 6 anni e 8 mesi. Storiografia Delle “Quattro Giornate di Napoli” è stata data anche un’interpretazione alternativa a quella corrente, che intende sottolinearne la natura di «resistenza civile e popolare» e di concreto e nobile esempio di «difesa sociale e non violenta» (essendo state utilizzate largamente tecniche non violente come: la non-collaborazione, il boicottaggio, il sabotaggio, il rifiuto della militarizzazione della vita civile e la creazione di organismi paralleli), grazie alle quali un’intera città seppe liberarsi da sola dal giogo nazista[11]. Quattro giornate di Napoli 9 Monumenti Iscrizione commemorativa presso la masseria Pagliarone a via Belvedere. Alla memoria delle “Quattro Giornate di Napoli”, è stata dedicata l’omonima piazza Quattro Giornate, nel quartiere Vomero, in prossimità dello Stadio Arturo Collana, oggi sede della stazione Quattro Giornate della Linea 1 della Metropolitana di Napoli, già teatro della maggior parte degli scontri dell’insurrezione. Lapidi commemorative si trovano in via Belvedere (Masseria Pagliarone), sempre al Vomero, a via Luigi Sturzo (Masseria Pezzalonga), all’Arenella, all’ingresso del Palazzo della Borsa, in Piazza Bovio e in Piazza Nazionale. Un monumento «allo scugnizzo», figura simbolo dell’insurrezione, sorge invece alla Riviera di Chiaia, in piazza della Repubblica. Il monumento fu progettato dallo scultore Marino Mazzacurati nel 1963, e consiste in una statua di pietra che ritrae gli scugnizzi su ognuno dei quattro lati della scultura. Le decorazioni Queste le decorazioni al Valor Militare assegnate nel dopoguerra per l’eroismo della città di Napoli e dei suoi abitanti: Medaglia d’oro al valor militare (alla città di Napoli) Medaglia d’oro al valor militare alla città di Napoli «Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto ed alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata un’impari lotta col secolare nemico offriva alla Patria, nelle “Quattro Giornate” di fine settembre 1943, numerosi eletti figli. Col suo glorioso esempio additava a tutti gli Italiani, la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria[12].» — Napoli, 27 – 30 settembre 1943 Medaglie d’oro al valor militare (alla memoria) • Gennaro Capuozzo, detto Gennarino, (12 anni)[13] • Filippo Illuminato (13 anni)[14] • Pasquale Formisano (17 anni)[15] • Mario Menechini (18 anni)[16] Quattro giornate di Napoli 10 Medaglie d’argento al valor militare • Giuseppe Maenza (alla memoria) • Giacomo Lettieri (alla memoria) • Antonino Tarsia in Curia • Stefano Fadda • Ezio Murolo • Giuseppe Sances • Francesco Pintore • Nunzio Castaldo • Fortunato Licheri Medaglie di bronzo al valor militare • Maddalena Cerasuolo, detta Lenuccia[17] • Domenico Scognamiglio • Ciro Vasaturo Le Quattro giornate nel cinema e nella musica Alla rivolta delle Quattro Giornate sono stati dedicati due film: il primo, ‘O sole mio , girato da Giacomo Gentilomo nel 1945, appena due anni dopo gli eventi, ed il secondo, intitolato proprio Le quattro giornate di Napoli, nel 1962, diretto da Nanni Loy e candidato all’Oscar come miglior film straniero e come miglior sceneggiatura. L’episodio storico dell’insurrezione napoletana è stato rievocato anche nel finale del film Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini. Il cantautore Eugenio Bennato ha dedicato all’avvenimento ed in particolar modo alla figura dello “scugnizzo” la canzone “Canto allo scugnizzo”, contenuta nell’album “Musicanova” del 1978. Canzone poi ripresa nel 1998, dal gruppo napoletano 24 Grana, col titolo “Scugnizzi” e contenuta nell’album “Loop Live”