Materiale online - CAPITOLO 9 1 ISBN 978-88-08-18686-7 9 REPLICAZIONE DEL DNA ◆ 9.1 Le proteine della replicazione ◆ 9.2 L’inizio della replicazione L’origine di replicazione di E. coli L’inizio della replicazione a oriC Meccanismi di controllo dell’inizio della replicazione L’inizio della replicazione di batteri con più cromosomi ● scheda: L e Dna polimerasi ● scheda: Pol I, l’enzima “eureka” e le altre polimerasi ● scheda: Altre proteine necessarie per la replicazione ● scheda: Regolazione dell’inizio della replicazione nei batteri ● scheda: Il primosoma nei batteri ◆ 9.3 Innesco della sintesi e allungamento del DNA ● scheda: L’assemblaggio ciclico della primasi e DNA polimerasi III sul lagging strand e sintesi dei frammenti di Okazaki ◆ 9.4 Terminazione e risoluzione (separazione) dei nuovi cromosomi ◆ 9.5 La replicazione degli elementi extracromosomali e il suo controllo La replicazione del fattore F La replicazione di ColE1 Il controllo del numero delle copie del DNA La replicazione dei cromosomi lineari ◆ 9.6La replicazione negli Archaea letture consigliate Amaldi, F., Benedetti, P., Pesole, G., Plevani, P., Biologia molecolare, 2a edizione, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2014. Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 1 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 2 ISBN 978-88-08-18686-7 L a replicazione dei cromosomi di batteri, virus e plasmidi avviene in modo analogo alla replicazione del materiale genetico degli eucarioti. Anzi, lo studio della replicazione del DNA di E. coli e dei suoi elementi genetici (virus e plasmidi) ha permesso di decifrare il quadro generale di questo complesso meccanismo. L’apparato di replicazione, detto replisoma, ha un’architettura simile nei procarioti e negli eucarioti e la sua funzione essenziale è copiare in modo efficiente e fedele l’informazione contenuta nelle molecole di DNA. Dal punto di vista biochimico si tratta di un processo di polimerizzazione che può essere suddiviso in tre fasi distinte: • un evento che determina l’inizio del processo; • una reazione iterativa che porta all’allungamento della catena del polimero; • e una fase conclusiva che la interrompe e ne consente la terminazione. Nonostante la relativa semplicità della reazione biochimica di polimerizzazione (formazione di un legame fosfodiestere), la complessità del fenomeno è facilmente intuibile. Basti pensare ai cambiamenti dinamici che la replicazione impone alla struttura del DNA, ai problemi connessi con la velocità e soprattutto la precisione richiesta per la copiatura delle due eliche, al riconoscimento di una piccola regione, all’interno di un enorme polimero monotono, dove avviare il processo coordinandolo con il ciclo cellulare. Le caratteristiche generali della replicazione nei procarioti possono essere riassunte nei punti seguenti. 1. La sintesi del DNA di batteri e virus inizia di norma a livello di una sequenza specifica unica, chiamata origine di replicazione (sito ori o oriC) (fig. 9.1a). Negli eucarioti, al contrario, i cromosomi hanno molteplici origini. Il sito ori è la struttura sulla quale si esercita l’intera regolazione del processo di sintesi. Siti ori multipli possono essere presenti ma di norma non sono attivi contemporaneamente e, specialmente in plasmidi e batteriofagi, possono avere ruoli diversi. 2. Con l’inizio della replicazione i due filamenti sono separati localmente nella regione ori portando alla formazione di una sorta di bolla a singolo filamento. Ad ogni estremità della bolla si forma una struttura biforcata, costituendo la cosiddetta forca replicativa, su cui possono localizzarsi le proteine che costituiscono il replisoma (ossia la macchina replicativa), che comprende la DNA polimerasi, l’enzima che catalizza la polimerizzazione. 3. La replicazione può procedere dal sito di inizio in modo unidirezionale o bidirezionale. Nella replicazione bidirezionale due forche replicative avanzano una in senso orario, l’altra in direzione opposta e i due filamenti sono copiati man mano che la replicazione procede. Nella replicazione unidirezionale il replisoma è associato a una sola delle due biforcazioni (si ha quindi una sola forca replicativa (fig. 9.1b). I cromosomi batterici replicano normalmente in modo bidirezionale mentre situazioni diverse si osservano in fagi e plasmidi. Ad esempio, il plasmide F replica in modo bidirezionale ma quando deve trasferirsi a) b) Bidirezionale Due forche replicative Origine Unidirezionale Origine Una forca replicativa Figura 9.1 MODELLO DI REPLICAZIONE DEL CROMSOSOMA DI E. COLI. (a) La replicazione parte da oriC e procede in modo bidirezionale (senso orario per una forca replicativa, antiorario per l’altra) fino al raggiungimento della regione del cromosoma detta di terminazione, dove le due forche replicative s’incontrano. (b) Un confronto tra due tipi di replicazione nei procarioti: replicazione bidirezionale e unidirezionale (questa è caratterizzata dalla presenza di una sola forca replicativa). Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 2 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 3 ISBN 978-88-08-18686-7 in un altro batterio tramite la coniugazione passa a una forma speciale di replicazione unidirezionale, detta “cerchio rotante”, utilizzando un secondo sito ori. 4. La replicazione è semiconservativa, ossia le due molecole di DNA prodotte sono costituite ciascuna da un filamento parentale e da un filamento neo-sintetizzato (fig. 9.2). 5. La replicazione è semidiscontinua: un filamento è copiato in modo continuo per lunghi tratti, l’altro per brevi tratti discontinui adiacenti. I frammenti del DNA complementare neosintetizzato vengono poi saldati fra loro (fig. 9.2). 6. L’apparato di replicazione è un complesso macromolecolare, costituito da numerose subunità proteiche, in cui vengono coordinate le molteplici attività dell’apparato stesso. 7. Il replisoma procede in modo sequenziale (in gergo: processivo), sintetizzando lunghe catene polinucleotidiche. Questo significa che molte proteine implicate nella replicazione formano complessi che tendono a rimanere associati al filamento di DNA per tutto il processo di replicazione. Questa proprietà contribuisce a rendere veloce la replicazione dell’intero cromosoma. 8. Il tasso di sintesi del DNA è relativamente costante con un ritmo di progressione dalle forche replicative che varia tra i diversi batteri. In E. coli, ad esempio, è di circa 1000 nt s–1 (un cromosoma di circa 5000 kb è replicato bidirezionalmente in circa 40 min), in Pyrococcus abyssi 300 nt s–1, mentre in Mycoplasma capricolum è di circa 100 nt s–1. 9. La replicazione bidirezionale termina in siti del cromosoma chiamati ter, in posizione diametralmente opposta al sito ori, dove lega la proteina Tus (fig. 9.3). 10. La replicazione degli elementi extracromosomici è spesso limitata a una singola specie ospite o a poche a questa correlate. Esistono tuttavia plasmidi ad “ampio spettro d’ospite”, capaci di replicare e mantenersi in specie batteriche Frammenti di Okazaki del filamento a replicazione discontinua 5′ 3′ 1° 5′ 3′ Forca replicativa 2° 5′ 3′ Filamento a replicazione continua Primer a RNA 3° 5′ Direzione della replicazione Filamento parentale 5′ 3′ Figura 9.2 REPLICAZIONE SEMICONSERVATIVA E SEMIDISCONTINUA. La polimerizzazione dei nucleotidi nei due nuovi filamenti, utilizzando i vecchi filamenti come stampo, procede in direzione 5′ → 3′ e richiede un solo innesco per il filamento leading (sintetizzato in modo continuo), e più inneschi per il filamento lagging (sintetizzato in modo discontinuo). I numeri si riferiscono all’ordine di sintesi degli inneschi e della conseguente formazione dei frammenti di Okazaki. Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 3 rrnA rrnC oriC 90.5 89.8 86.5 84.5 84 5.1 13 Genoma di E. coli rrnD terI 72.1 23 27 28 31 34 36 56.1 rrnG terE terD terA terH terC terB 49 48 terG terF Figura 9.3 TERMINAZIONE DELLA REPLICAZIONE. La replicazione si blocca quando il replisoma incontra il complesso Tus-ter. Questo complesso agisce bloccando l’elicasi DnaB. Le frecce indicano il senso di trascrizione degli operoni codificanti per gli RNA ribosomali, che concorda con la direzione della forca replicativa. filogeneticamente distanti. In questi casi si stabiliscono interazioni versatili tra le proteine codificate dal plasmide, l’origine di replicazione e vari fattori della replicazione dell’ospite. In questo capitolo la replicazione del DNA sarà affrontata essenzialmente a due livelli: il primo analitico, che procede mediante una dissezione dell’apparato di replicazione per evidenziarne le singole attività enzimatiche; il secondo funzionale, che integra le attività delle varie proteine del replisoma per giungere alla descrizione del meccanismo stesso di replicazione. Vedremo poi che la replicazione è una funzione interconnessa ad altre, come la ricombinazione e la riparazione, non solo perché agiscono sullo stesso substrato, la molecola di DNA, ma anche perché, durante il loro svolgimento, alcuni passi richiedono l’intervento delle altre (► capp. 10 e 11). 9.1Le proteine della replicazione 3′ 5′ 3′ rrnH 0/100 rrnE rrnB Le varie fasi della replicazione richiedono l’attività di numerose proteine specifiche che svolgono diverse operazioni complesse e tra loro integrate: riconoscere il sito di origine, convertire il DNA nella configurazione topologica adatta, separare i filamenti della doppia elica, proteggere il DNA a singolo filamento dall’attacco delle nucleasi, catalizzare la polimerizzazione dei nucleotidi, riportare il DNA replicato nella sua corretta configurazione topologica, decatenare le molecole di DNA al termine del processo ecc. Molte di queste proteine sono associate in due complessi strutturali e funzionali: il primosoma, coinvolto nell’inizio ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 ISBN 978-88-08-18686-7 Materiale online - CAPITOLO 9 4 Movimento della forca replicativa Figura 9.4 IL REPLISOMA DI E. COLI. Il replisoma è l’apparato di replicazione, un macchinario localizzato a livello delle due forche replicative. I costituenti principali sono la primasi DnaG e l’elicasi DnaB. L’oloenzima della DNA Pol III è formato da due corpi centrali (uno per ogni filamento stampo) uniti dalla subunità τ (tab. 9.3). Il replisoma occupa una posizione fissa nella cellula e il DNA scorre al suo interno. Secondo il modello detto “a trombone” (vedi testo) l’antiparallelismo dei due filamenti richiede che il lagging strand formi una sorta d’ansa in modo tale da permettere la localizzazione e l’orientamento della subunità della DNA Pol III nella stessa direzione rispetto a quella presente sul leading strand e procedere in modo concertato in direzione 5′ → 3′. L’elicasi si lega a una singola elica di DNA in una regione già aperta e scalza l’altra elica in modo processivo (vedi didascalie delle figg. 9.2, 9.7 e 9.13). Topoisomerasi Elicasi Primasi Primer a RNA Dimero di DNA Polimerasi III Proteine che legano DNA a singola elica Primer a RNA Frammento di Okazaki Filamento a replicazione immediata (leading) Morsetti mobili Polimerasi I Filamento a replicazione ritardata (lagging) Ligasi della replicazione, e il replisoma, l’apparato che fa procedere questo processo lungo l’intera molecola stampo. Inoltre, le proteine della replicazione intervengono anche nel “controllo di qualità” e nella “risoluzione di problemi accidentali” che possono insorgere durante il processo (► capp. 10 e 11 e fig. 9.4). Le principali proteine della replicazione sono brevemente presentate nella tabella 9.1. 9.2L’inizio della replicazione Nel 1963 François Jacob, Sidney Brenner e François Cuzin proposero il modello del replicone (replicon) come possibile sistema di regolazione della replicazione del cromosoma batterico. Il modello supponeva che un elemento genetico, il replicatore, fosse il bersaglio di una proteina attivatrice che agiva positivamente in trans per scatenare l’inizio della repli- Tabella 9.1 PRINCIPALI PROTEINE COINVOLTE NELLA REPLICAZIONE. Proteine N. molecole per cellula Gene Funzione DnaA DnaB DnaC DnaT non noto 20 dnaA dnaB dnaC dnaT Proteina iniziatrice che separa i doppi filamenti del DNA in oriC DNA elicasi Chaperone di DnaB Componente del primosoma SSB 500 ssb Proteine che legano DNA a singola elica (ssDNA) Topoisomerasi Topoisomerasi I DNA girasi – subunità α – subunità β topA Topologia del DNA, superavvolgimento 250 gyrA gyrB DNA Polimerasi DNA Pol III DNA Pol I 20 300 Vari geni polA DNA polimerasi replicativa gap filling, rimozione del primer DNA primasi 75 dnaG Sintesi del’RNA primer dnaQ Degradano il DNA a partire da un’estremità ligA Lega in modo covalente i frammenti di Okazaki hupA, hupB priA priB priC tus Histone-like si lega al DNA Assemblaggio del primosoma, elicasi 3′ → 5′ Assemblaggio del primosoma Assemblaggio del primosoma Proteina di terminazione, controelicasi Esonucleasi DNA ligasi Ligasi Altre HU PriA PriB PriC Tus 300 Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 4 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 5 ISBN 978-88-08-18686-7 LE DNA POLIMERASI all’enzima. Il nucleo enzimatico è costituito da tre subunità: α (la polimeLe DNA polimerasi (Pol) sono enzimi che catalizzano la sintesi del DNA rasi vera e propria, codificata dal gene dnaE ), ε (un’esonucleasi 3′ → 5′ (tab. 9.1). Questi enzimi leggono il DNA stampo e utilizzano questa inforprodotta del gene dnaQ ) e θ (che stimola l’attività esonucleasica in direziomazione per sintetizzare un nuovo filamento complementare allo stampo. ne 3′ → 5′, prodotta dal gene holE ). Gli altri tre sotto-assemblaggi sono: È interessante notare che nessuna DNA polimerasi nota può iniziare una catena de novo formando un legame fosfodiestere a partire da due de1. il sliding clamp o anello . Si tratta di una sorta di morsetto sossiribonucleotidi trifosfati, mentre può aggiungere desossiribonucleosidi scorrevole attorno al filamento di DNA. L’anello si lega al nucleo enziliberi all’estremità 3′–OH di una molecola di acido nucleico (DNA o RNA) matico e lo mantiene strettamente associato al DNA. Questa struttura preesistente (molecola di innesco o primer) o a un gruppo –OH di una anulare, costituita da due omodimeri della subunità β, può, mediante proteina. Vedremo oltre come il problema di iniziare de novo la sintesi di un cambiamento conformazionale, aprirsi per accogliere il filamento di una molecola di DNA è stato risolto in vari modi. DNA appena duplicato. Le caratteristiche di questo morsetto (capacità In un batterio possono essere prodotti diversi tipi di DNA polimerasi. In E. di scorrere lungo il DNA e di legare il nucleo enzimatico) sono alla base coli, ad esempio, ce ne sono cinque diverse con vari ruoli (► Pol I, l’endella processività dell’enzima (fig. 9.6) zima Eureka e le altre polimerasi e tab. 9.2). Di queste, Pol III e Pol I sono indispensabili per il processo di replicazione mentre le altre Tabella 9.2 CONFRONTO TRA DIVERSE DNA POLIMERASI DI E. COLI. (Pol II, Pol IV e Pol V) intervengono in processi di correzione di DNA polimerasi errori e riparazione di danni al DNA. I II III Pol III è la polimerasi replicativa. Questo enzima ha una velocia Gene polA polB polC (dnaE) tà di polimerizzazione compresa tra 250 e 1000 nucleotidi al secondo ed è straordinariamente processivo: infatti, durante la Numero di subunità 1 ≥4 ≥ 10 replicazione Pol III può rimanere associata al DNA e alle altre 103 000 88 000b 830 000 Mr proteine del replisoma fin dopo aver aggiunto oltre mezzo miEsonucleasi 3′ → 5′ (proofreading) Sì Sì Sì lione di nucleotidi, mentre questo valore è di 2-300 per Pol I e Esonucleasi 5′ → 3′ Si No No di 1500 per Pol II. L’oloenzima Pol III di E. coli è un complesso asimmetrico costiVelocità di polimerizzazione (nucleotidi/sec) 16-20 40 250-1000 tuito da vari peptidi di diverso tipo che formano quattro sottoProcessività (nucleotidi aggiunti prima che 3-200 1500 ≥ 500 000 assemblaggi (tab. 9.3 e fig. 9.5). Durante la replicazione sono la polimerasi termini la polimerizzazione) presenti due copie dell’oloenzima Pol III, una per ogni filamento a Per enzimi con più di una subunità, il gene elencato codifica la subunità con attività di di DNA che funge da stampo. polimerizzazione. Da notare che dnaE è la vecchia denominazione del gene ora definito come polC. Dei quattro sotto-assemblaggi, uno è il nucleo enzimatico, gli b Riferito alla sola subunità di polimerizzazione. La DNA polimerasi II condivide diverse subunità con la DNA polimerasi III, comprese le subunità β, γ, δ, δ’, χ e ψ. altri tre hanno un ruolo strutturale e conferiscono processività Tabella 9.3 SUBUNITÀ DELLA DNA POLIMERASI III DI E. COLI. Subunità Numero di subunità per oloenzima Mr della subunità Gene α 2 132 000 polC (dnaE) ε 2 27 000 dnaQ (mutD) θ 2 10 000 holE τ 2 71 000 dnaX γ 2 52 000 dnaX* δ 1 35 000 holA δʹ 1 33 000 holB χ 1 15 000 holC ψ 1 12 000 holD β 4 37 000 dnaN Funzione Nucleo enzimatico Attività di polimerizzazione 3′ → 5′ Esonucleasi proofreading Dimerizzazione del nucleo enzimatico Legame stabile allo stampo Assemblaggio del clamp-loader intorno al DNA Sliding clamp richiesto per la processività della sintesi (segue) Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 5 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 6 ISBN 978-88-08-18686-7 2. il clamp loader (caricatore del morsetto), costituito dal complesso γ, composto da cinque subunità (γ, δ, δ’, χ e ψ), media l’assemblaggio del morsetto scorrevole intorno al DNA. Questa struttura, infatti, è responsabile dell’apertura/chiusura dell’anello β, processo che richiede ATP, e del distacco dell’enzima dal DNA. In questo modo il complesso della DNA polimerasi responsabile della sintesi del lagging strand (vedi oltre) può, una volta terminata la sintesi di un frammento, staccarsi dal DNA e riposizionarsi su un nuovo primer per la sintesi del frammento successivo. 3. la subunità τ. È una proteina (codificata dal gene dnaX) associata a ciascun complesso enzimatico di Pol III, capace di dimerizzare. La dimerizzazione delle subunità τ permette di mantenere legati tra loro i due nuclei enzimatici associati ai due diversi filamenti di DNA. Figura 9.5 RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLA DNA POLIMERASI III. Un nucleotide viene aggiunto all’estremità 3 Direzione della polimerizzazione 5ʹ Subunità β che forma il morsetto Nucleo replicativo della DNA Pol III Nuovo filamento di DNA 5ʹ 3ʹ 3ʹ Filamento stampo di DNA cazione. Questa idea, oltre a suggerire l’esistenza sulla molecola di DNA di un sito specifico a partire dal quale la doppia elica viene replicata, implica che altre proteine, oltre alla DNA polimerasi, siano necessarie per iniziare l’intero processo. Questo modello ha poi stimolato la ricerca e l’identificazione delle sequenze d’origine della replicazione (ori), delle proteine iniziatrici della replicazione dei cromosomi batterici e di altri repliconi della cellula (plasmidi e batteriofagi). L’identificazione di sequenze di DNA a replicazione autonoma (autonomously replicating sequences, ARS) in Saccharomyces cerevisiae è stata la prima e valida estensione dello stesso modello agli eucarioti. Negli organismi superiori, diversi siti per l’inizio della replicazione sono stati caratterizzati biochimicamente in vari organismi modello (in particolare S. cerevisiae, S. pombe, Drosophila, uomo, cavia), ma la situazione è molto complessa. In alcuni sistemi, infatti, qualsiasi sequenza di un cromosoma può promuovere la replicazione, mentre in altri sono coinvolte sequenze specifiche. Tuttavia, nonostante le differenze strutturali delle origini di replicazione eucariote, le proteine che si assemblano su queste origini durante il ciclo cellulare sono conservate nelle varie specie. Figura 9.6 -CLAMP E DNA POL III. Negli eucarioti la replicazione del DNA avviene esclusivamente in una fase specifica del ciclo cellulare (fase S o di sintesi), mentre nei batteri può estendersi anche per tutto il tempo di una divisione cellulare. Tuttavia nei procarioti l’inizio della replicazione del cromosoma è sottoposto a un rigido controllo che fa sì che il processo inizi solo in un momento definito del ciclo cellulare (► cap. 15). Nonostante alcune somiglianze, il meccanismo d’inizio della replicazione varia da un replicone all’altro sia all’interno dei procarioti sia negli eucarioti, e dipende sia dalla struttura dell’origine di questi, sia dalla natura della proteina iniziatrice e di vari fattori che intervengono nel processo di inizio. In questo capitolo esamineremo il caso di Escherichia coli come esempio generale, che a grandi linee vale per molte specie batteriche. 9.2.1 L’origine di replicazione di E. coli L’origine di replicazione del cromosoma di E. coli, detta oriC, è costituita da una regione di 250 pb in cui sono presenti diverse sequenze di legame per la proteina iniziatrice DnaA (dette DnaA box) e sequenze ripetute ricche in Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 6 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 7 ISBN 978-88-08-18686-7 Pol I, l’enzima “eureka” e le altre polimerasi Nel 1957 Arthur Kornberg e collaboratori scoprirono un’attività enzimatica presente negli estratti cellulari di E. coli in grado di catalizzare l’incorporazione di desossiribonucleotidi nella molecola di DNA. La purificazione parziale dell’estratto condusse alla dimostrazione che un’attività enzimatica poteva polimerizzare i quattro desossiribonucleotidi trifosfati (dATP, dGTP, dCTP, dTTP) in presenza di DNA e magnesio. A questo enzima fu dato il nome di DNA polimerasi. La scoperta era importante non solo per il contributo che fornirà alla biologia molecolare, ma anche per il clima culturale dell’epoca. Molti scienziati erano convinti, infatti, che la sintesi del DNA fosse così complessa da non poter essere riprodotta in vitro. Si era, tuttavia, lontani dal capire le modalità di funzionamento dell’enzima. L’aggiunta del DNA nella reazione, ad esempio, era dettata dall’idea che esso potesse funzionare da innesco (e non da stampo) per essere poi allungato nello stesso modo in cui i carboidrati allungano catene di glicogeno. Un altro motivo per aggiungere DNA nella miscela di reazione era che il DNA potesse deviare l’attività degradativa delle nucleasi presenti. Un anno dopo, tuttavia, il gruppo di Kornberg giunse a comprendere che durante la reazione il DNA fungeva da stampo per la sintesi delle nuove molecole. Il DNA sintetizzato, infatti, era caratterizzato dall’equivalenza tra il numero delle purine e quello delle pirimidine e la sua composizione in basi era influenzata dalla natura del DNA fornito. È importante segnalare che il classico modello di replicazione semi-conservativa del DNA di Meselson e Stahl sarà pubblicato solo pochi mesi dopo. Circa una decina di anni saranno necessari per ottenere l’enzima purificato e studiarne la struttura e le proprietà. Durante tutto questo periodo, tuttavia, non mancavano i punti oscuri. John Cairns (direttore del Cold Spring Harbor Laboratory), ad esempio, nutriva qualche perplessità sul fatto che l’enzima purificato da Kornberg fosse implicato nella replicazione del DNA in vivo. L’enzima, infatti, lavora in modo molto lento, con una velocità massima d’incorporazione dei dNTP di solo 20 nt s–1, e avrebbe quindi impiegato circa 7600 min (oltre 5 giorni) per replicare l’intero cromosoma di E. coli, che in condizioni ottimali si riproduce in 20 minuti. Per chiarire la natura dell’attività enzimatica scoperta da Kornberg, Cairns decise di cercare mutanti di E. coli difettivi in tale attività e di studiarne la replicazione. Una sua collaboratrice, Paula De Lucia, identificò nel 1969 un clone (su oltre 3400 colonie i cui estratti cellulari erano stati saggiati individualmente) privo di attività polimerasica, ma che mostrava una normale crescita. Questo primo mutante, chiamato polA1 (polA per polimerasi A, ma anche per Paula), è un mutante non senso che risulta maggiormente sensibile ai mutageni e agli effetti dei raggi UV e X rispetto al parentale, indicando che le cellule erano difettive nella riparazione. L’analisi del comportamento del mutante PolA1 conduceva alla conclusione che questo enzima non fosse quello coinvolto nella normale replicazione. Gli estratti cellulari di questo mutante, inoltre, conservavano una debole attività polimerasica a carico, come si scoprirà dopo, dell’attività congiunta di altre polimerasi. Altri motivi che spinsero verso la ricerca di nuove polimerasi furono che la Pol I è eccessivamente abbondante (circa 4000 molecole) per un batterio con solo due forche replicative e che l’enzima non è processivo e si dissocia dopo aver incorporato dai 2 ai 300 nucleotidi. Ma qual è il ruolo della polimerasi I e qual è la polimerasi replicativa? La Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 7 sensibilità del mutante polA1 agli UV condurrà a scoprire che l’enzima, oltre ad essere coinvolto nei meccanismi di escissione e riparazione di danni al DNA, è essenziale anche nella replicazione semiconservativa. Il suo ruolo principale è riempire i vuoti lasciati dalla rimozione degli RNA primer mediante l’aggiunta sequenziale di deossiribonucleotidi all’estremità 5′. L’enzima svolge inoltre un’importante attività di correzione degli errori di incorporazione di basi non complementari al DNA stampo (proofreading). Come si giustifica la vitalità dei mutanti polA1? Questa trova spiegazione nel fatto che poche molecole funzionali di Pol I prodotte “per errore” dal mutante polA1 sono sufficienti a garantire la funzionalità del sistema di replicazione. Questo vale anche per altri enzimi della replicazione, come ad esempio la ligasi. L’enzima Pol I è costituito da una singola subunità codificata dal gene polA. Ha attività di polimerizzazione in direzione 5′ → 3′ e di esonucleasi in direzione sia 3′ → 5′ (detta di proofreading) sia 5′ → 3′. Hans Klenow osservò che la proteolisi con tripsina della Pol I genera due frammenti: il più piccolo (34 kDa), corrispondente all’estremità N-terminale, che possiede attività esonucleasica in direzione 5′ → 3′; il frammento più grande (76 kDa, detto frammento di Klenow, molto utilizzato nei laboratori di biologia molecolare per replicare DNA in vitro), che mantiene l’attività polimerasica e quella di proofreading. Le altre polimerasi, Pol II, Pol III, Pol IV e Pol V, verranno scoperte come attività presenti negli estratti del mutante Pol I e le loro proprietà sono qui riassunte. • Pol II, codificata dal gene polB, è una proteina di 89 kDa che si accumula durante la fase stazionaria. I mutanti di questo enzima replicano normalmente il proprio materiale genetico. Questo enzima svolge, infatti, un ruolo nella riparazione dei danni del DNA in batteri in questo stato fisiologico. Ha un tasso di errore molto basso, ma è molto lento (40 nt s–1). • P ol III, come abbiamo visto in questo capitolo, è l’enzima replicativo. • P ol IV è attiva in fase stazionaria dove compete con Pol II ed è coinvolta nella riparazione di danni del DNA. L’enzima è poco fedele e produce errori di copiatura (replicazione error prone ► cap. 11). Si valuta che l’attività della Pol IV sia responsabile di circa il 50% delle mutazioni adattative durante la fase stazionaria. Pol V è il prodotto dei geni umuC e umuD, la cui espressione è indotta dai raggi UV. L’enzima interviene nei processi di riparazione di danni al DNA e ha la caratteristica d’incorporare nucleotidi senza richiedere l’appaiamento specifico delle basi con il filamento stampo. Questo processo, pertanto, permette alla replicazione di procedere nonostante la presenza di basi danneggiate che non possono essere riconosciute dal normale apparato replicativo. Il costo di questo sistema, che permette alla cellula la continuazione della replicazione, è l’introduzione di errori (► cap. 11). In conclusione, la Pol I non è l’enzima replicativo, ma merita di essere definito enzima eureka, non solo per la sua importanza nel metabolismo del DNA, ma perché a partire da questa scoperta Kornberg e i suoi collaboratori hanno fondato e sviluppato l’enzimologia della replicazione. Ad Arthur Kornberg, uno dei più grandi biochimici del XX secolo (come affermato dal suo collaboratore Robert Lehman), è stato conferito il premio Nobel per la medicina nel 1959. ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 8 ISBN 978-88-08-18686-7 ALTRE PROTEINE NECESSARIE PER LA REPLICAZIONE Le DNA elicasi Le DNA elicasi separano i due filamenti di DNA mediante la rottura dei legami idrogeno tra le basi. Queste proteine si legano a una singola elica di DNA (in una regione già “aperta”) e, procedendo in una direzione definita, scalzano l’altra elica in modo continuo (processivo) consumando una/ due molecole di ATP per ogni coppia di basi separata (fig. 9.7). In E. coli sono note due elicasi che agiscono a livello della forca replicativa del DNA. La prima, DnaB, è indispensabile per la replicazione del batterio. Forma un anello esamerico attorno all’elica stampo per la sintesi discontinua e, procedendo su questa in direzione 5′ → 3′, promuove la separazione progressiva dell’elica complementare. DnaB, inoltre, interagisce con l’enzima di innesco (priming) DnaG formando un complesso chiamato primosoma. La seconda elicasi, Rep, non è indispensabile; si lega al filamento di DNA opposto (lo stampo per la sintesi continua) e promuove, procedendo in direzione 3′ → 5′, la separazione progressiva dell’altra elica. La DNA primasi Come ricordato sopra, nessuna delle DNA polimerasi note è capace di catalizzare la formazione di un legame fosfodiestere tra due desossiribonucleosidi trifosfati producendo un di-desossiribonucleotide, mentre può formarlo con un gruppo ossidrilico fornito dall’estremità 3′–OH di un filamento di DNA o di RNA, o (come succede per iniziare la replicazione di alcuni genomi lineari) da un residuo aminoacidico di una proteina (fig. 9.8). In altri termini, le DNA polimerasi non sono capaci di iniziare de novo la sintesi di una nuova elica di DNA a partire dai precursori trifosfati e necessitano di un “innesco” (primer) per iniziare la polimerizzazione. Comunemente l’innesco viene prodotto da una RNA polimerasi che, al contrario, è capace di formare un legame fosfodiestere tra due ribonucleosidi trifosfati. L’RNA polimerasi specializzata nel produrre i primer necessari per innescare la sintesi del DNA è detta DNA primasi (in E. coli codificata da dnaG), che trascrive brevi sequenze ribonucleotidiche (25-40 residui) sull’elica di DNA stampo. La DNA polimerasi continuerà poi la 5ʹ 3ʹ sintesi aggiungendo desossiribonucleotidi al 3′–OH del primer (fig. 9.2). Per ottenere una molecola di DNA completa l’RNA primer dovrà poi essere rimosso e sostituito mediante sintesi di un frammento di DNA. Il problema che la sostituzione del primer pone alla replicazione delle estremità dei genomi lineari, e come questo sia stato risolto in vari modi, è discusso nel ► capitolo 8. Le esonucleasi Nella cellula di E. coli ci sono numerosi tipi di esonucleasi, che degradano il DNA a partire da un’estremità (desossiribo-esonucleasi). La DNA Pol III usa il primer (isseco) per iniziare la sintesi del DNA nella direzione 3′ → 5′. Tra queste l’attività esonucleasica 3′ → 5′ della Pol III è particolarmente importante. Essa è a carico della proteina DnaQ, codificata dal gene dnaQ (mutD). Questa costituisce la subunità e della polimerasi III e svolge un ruolo importante nella correzione degli errori di incorporazione (“correzione di bozze” o proofreading). Mutanti per questa attività mostrano una più elevata frequenza di mutazione spontanea e sono difettivi nel sistema di riparazione del DNA, mentre l’iperespressione del gene dnaQ abbassa di circa 100 volte la frequenza di mutazioni spontanee e di circa 10 volte la frequenza di quelle indotte da UV. Le DNA ligasi Le DNA ligasi formano un legame fosfodiestere tra l’estremità 3′–OH di un nucleotide e quella 5′-fosfato del nucleotide adiacente. Mentre le ligasi eucariote e quelle di alcuni fagi che codificano per questo enzima (ad esempio, T4 e T7) usano ATP come fonte di energia, le ligasi batteriche, curiosamente, utilizzano l’energia di idrolisi del legame fosfoanidridico del NAD generando AMP e nicotinamide, un uso insolito di questo trasportatore di elettroni. Proteine che legano DNA a singola elica Le proteine che legano DNA a singola elica (proteine SSB, Single-stranded DNA binding proteins), codificate in E. coli dal gene ssb, stabilizzano il DNA elicasi Topoisomerasi (anello girevole) Proteina che lega DNA a singola elica (SSB) Figura 9.7 STRUTTURA DELLA FORCA REPLICATIVA. La copiatura del filamento stampo del DNA richiede la separazione dei due filamenti complementari. Il legame delle proteine SSB al ssDNA impedisce transitoriamente ai filamenti complementari del DNA di appaiarsi nuovamente. Il DNA legato alle SSB è inoltre protetto dall’attacco delle nucleasi. La DNA elicasi funziona come un cuneo che s’inserisce a livello della forca replicativa dove rompe i legami idrogeno tra le basi dei complementari. L’avanzamento della forcina è facilitato dall’azione della topoisomerasi che srotola progressivamente il DNA e permette di procedere nella sintesi del DNA. (segue) Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 8 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 9 ISBN 978-88-08-18686-7 DNA a singolo filamento prodotto dall’attività delle elicasi impedendone la riassociazione con l’elica complementare e lo proteggono dall’attacco delle nucleasi. SSB è una piccola proteina (18 kDa) che, in forma tetramerica, lega selettivamente e cooperativamente il DNA a singolo filamento senza alcuna specificità di sequenza. Per questa sua proprietà le proteine SSB intervengono in vari processi come la ricombinazione e la riparazione del DNA. Le topoisomerasi Un altro problema associato alla separazione dei filamenti della molecola di DNA durante la sintesi è rappresentato dallo stato topologico del cromosoma (► cap. 8). Il superavvolgimento negativo della molecola di DNA deve essere convertito in una struttura maggiormente rilassata che consenta l’avanzamento della forca replicativa. Questa attività è svolta dalla topoisomerasi I e dalle elicasi. Successivamente il DNA neosintetizzato deve ritrovare il suo stato di avvolgimento negativo, processo assicurato dalla DNA girasi (► cap. 8). Figura 9.8 INNESCO DELLA SINTESI DI UN’ELICA DI DNA DA PARTE DELLA DNA PRIMASI. AT. In particolare vi si identificano (partendo da destra in fig. 9.9) quattro copie della DnaA box (sequenza consenso 5′–TTATC/ACAC/AA–3′) orientate in modo inverso l’una rispetto all’altra e designate come R1, R2, R4 (con alta affinità di legame per la proteina DnaA) e R3 (con debole affinità). Sono anche presenti sequenze per il legame di IHF e FIS, due proteine istone-simili (► cap. 8). A sinistra delle DnaA box c’è una regione ricca in AT denominata elemento DUE (per DNA-unwinding element) e composta da tre ripetizioni in tandem di una sequenza di 13 pb ricca in AT. L’appaiamento meno stabile delle sequenze ricche in AT favorisce la separazione dei due filamenti del DNA e l’apertura di questa regione. Il legame della proteina DnaA a quest’ultima conduce a un’ulteriore separazione dei due filamenti di DNA a livello di oriC. L’origine contiene, inoltre, 11 copie della sequenza palindromica 5′–GATC–3′ (otto di queste si trovano in posizioni molto conservate in varie specie). Questi siti sono riconosciuti dalla desossiadenosina metiltransferasi (Dam), un Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 9 enzima che metila i residui di adenina in posizione N6 (mA) nel DNA. Immediatamente dopo la replicazione, solo le sequenze sull’elica stampo conterranno mA, mentre le A della nuova elica saranno metilate successivamente. Lo stato transitorio di emimetilazione di questi siti al momento della replicazione della regione oriC gioca un ruolo importante nel controllo della replicazione (► Regolazione dell’inizio della replicazione nei batteri e ► cap. 15). La proteina DnaA Il primo mutante letale condizionale (mutante termosensibile, ts) isolato in E. coli alla fine degli anni ’60 era difettivo nella replicazione del DNA e identificò il gene dnaA. In seguito furono isolati numerosi altri mutanti termosensibili incapaci di replicare il DNA, riconosciuti come tali per il fatto che, trasferiti alla temperatura non permissiva (42-44 °C), smettevano di incorporare precursori del DNA (timidina triziata) in macromolecole. Questi mutanti potevano essere distinti in ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 10 ISBN 978-88-08-18686-7 Siti di legame per DnaA (DnaA box, 9 pb) Regione ricca in AT (ripetizioni in tandem di 13-meri) 5ʹ — G A T C T N T T N T T T T — 3ʹ 3ʹ — C TA G A N A A N A A A A — 5ʹ Sequenza consenso del 13-meri HU e IHF Primasi Proteine di DnaA + ATP SSB Proteina DnaC ADP ATP Primasi DnaG ATP Elicasi DnaB Complesso DnaB-DnaC DnaC SSB Figura 9.9 INIZIO DELLA REPLICAZIONE DI E. COLI A LIVELLO DI oriC. La parte superiore della figura riporta gli elementi strutturali della regione oriC, quella inferiore mostra il ruolo di questi nell’inzio della replicazione. (1) La proteina DnaA si lega alle sequenze DnaA box in modo cooperativo. L’energia derivante dall’idrolisi dell’ATP (dalla sua attività ATPasica) è utilizzata per srotolare la doppia elica del DNA a livello delle sequenze ricche in AT. DnaA si associa a una delle DnaA box. Questo evento promuove il legame cooperativo delle altre molecole di DnaA complessate all’ATP sulle altre DnaA box. L’energia derivante dall’idrolisi dell’ATP è utilizzata dalla proteina DnaA per denaturare le tre regioni di 13 pb ricche in AT e separare i due filamenti di DNA. (2) La permanenza della struttura ad occhiello con i filamenti separati è facilitata dai legami di questo con le proteine SSB e permette all’elicasi DnaB di rompere i legami H e l’avanzamento della forca replicativa. A questo stadio si forma un aggregato di circa 30 molecole di DnaA legato alle DnaA box ripetute di oriC e questa regione del DNA si arrotola sulla superficie del complesso, reazione facilitata dalle proteine HU e IHF. Il complesso DnaA-DNA, in presenza di ATP, continua a separare progressivamente i due filamenti di DNA fino a raggiungere le tre sequenze ripetute ricche in AT. Si forma in questo modo una regione di ssDNA, un complesso aperto di 45 pb. Dopo questi eventi, DnaA conduce due esameri dell’elicasi DnaB associata a DnaC a legare ognuno su ogni filamento del complesso aperto formando una struttura nucleoproteica specializzata detta complesso di pre-innesco (prepriming). La proteina DnaC viene quindi rilasciata dal complesso. L’attività dell’elicasi DnaB in direzione 5′ → 3′ accoppia l’idrolisi dell’ATP con lo srotolamento del DNA a livello della forca replicativa. (3) La primasi DnaG innesca la sintesi dell’RNA primer. Dopo un’ulteriore separazione delle eliche del DNA, i due filamenti sono ricoperti da tetrameri delle proteine SSB, il cui ruolo è proteggere il ssDNA e contrastare la tendenza all’appaiamento delle basi. La forca replicativa che si è così formata permette il reclutamento della primasi DnaG e di Pol III, la sintesi del primo innesco a RNA e l’avvio della replicazione. Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 10 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 11 ISBN 978-88-08-18686-7 REGOLAZIONE DELL’INIZIO DELLA REPLICAZIONE NEI BATTERI 1. un dominio N-terminale coinvolto nella oligomerizzazione DnaA-DnaA e interazioni DnaA-DnaB; 2. una regione flessibile che può essere deleta senza compromettere la funzionalità della proteina, ma che potrebbe servire in particolari condizioni di crescita; Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 11 3. una regione per il legame all’ATP, implicata nell’oligomerizzazione della proteina; 4. un dominio C-terminale che si lega al DNA. 9.2.2 L’inizio della replicazione a oriC Le molteplici funzioni di DnaA sono tutte dipendenti dalla capacità di questa proteina di riconoscere e legare le DnaA box non solo presenti in oriC ma anche associate ad alcuni promotori, tra cui lo stesso promotore di dnaA. Il riconoscimento delle DnaA box in oriC da parte di questa proteina conduce al suo assemblaggio in un complesso nucleoproteico, un pentamero di DnaA associato al DNA, chiamato complesso d’inizio. La distorsione della molecola di DNA che si crea nel complesso d’inizio è un prerequisito per il successivo assemblaggio del primosoma, un complesso multiproteico necessario per la sintesi degli inneschi a RNA (fig. 9.9 e ► Il primosoma nei batteri). Legandosi alle DnaA box presenti nelle regioni del promotore, DnaA agisce anche come Ceppo selvatico 30 °C incorporata due classi: mutanti a blocco lento (tra cui dnaAts) e mutanti a blocco rapido (fig. 9.10). Nei primi, dopo trasferimento a temperatura non permissiva, la sintesi del DNA continuava per la durata di un ciclo di replicazione, mentre nei secondi si arrestava quasi istantaneamente. Questo diverso fenotipo ha permesso di ipotizzare, in accordo con il modello del replicone, che nei mutanti a blocco lento fossero mutati geni implicati nel controllo dell’inizio del processo di replicazione, mentre nei mutanti a blocco rapido fossero alterate funzioni necessarie per la polimerizzazione. Infatti, dopo la transizione dalla temperatura permissiva a quella non permissiva di un mutante nel processo di inizio (come dnaAts), nelle cellule in cui la replicazione è già iniziata essa continua fino a completare la duplicazione del cromosoma. Questo perché la proteina iniziatrice non è richiesta per continuare nella sintesi di DNA, che si arresterà solo una volta terminata la replicazione del cromosoma, non potendo ripartire un nuovo ciclo. Al contrario, nei mutanti in geni implicati nella polimerizzazione l’arresto della replicazione in condizioni non permissive sarà immediato. La proteina DnaA fa parte di una famiglia di proteine ubiquitarie con attività di ATPasi, denominate AAA+ (ATPases Associated with various cellular Activities) che hanno alcuni motivi strutturali comuni. Molte di queste sono coinvolte nell’inizio della replicazione e in altre funzioni del metabolismo del DNA. Proteine che contengono il motivo strutturale AAA+ spesso interagiscono per formare strutture circolari multimeriche. Per quanto riguarda DnaA, la proteina è costituita da quattro domini funzionali: cystis, al contrario, non ci sono regioni con parecchie DnaA box; inoltre in questi cianobatteri la delezione del gene codificante per DnaA non è letale. La replicazione di questi organismi non è nota, ma il fatto che il gene dnaA non sia essenziale indica che l’inizio della sua replicazione deve procedere mediante una via diversa. La proteina iniziatrice DnaA è stata trovata in tutti i batteri fino ad ora studiati e il confronto di oltre 100 differenti DnaA ha rivelato simili l’organizzazione in 4 domini e l’attività. Oltre alla forte conservazione della proteina DnaA nei procarioti, la sua controparte è stata ritrovata negli eucarioti come subunità che riconosce il complesso d’inizio della replicazione negli eucarioti. Quanto descritto suggerisce che l’elemento critico della regolazione della replicazione per la maggior parte delle specie batteriche è la proteina DnaA. 3H-timidina L’inizio della replicazione è un passaggio critico a livello del quale viene attuato un rigido controllo che integra il ciclo di replicazione del DNA con il ciclo cellulare (► par. 3.8). I due elementi principali del processo d’inizio della replicazione sono la proteina DnaA e le sequenze bersaglio ori. In questa scheda analizzeremo se il modello descritto per E. coli è estendibile ad altre specie batteriche e toccheremo alcuni problemi connessi al controllo della replicazione in sistemi batterici diversi da quelli più studiati. Molti batteri appartenenti a vari generi hanno origini di replicazione che variano in dimensioni, numero delle DnaA box ed estensione delle regioni ricche in AT. In tutti i casi analizzati (ad eccezione di Synechocystis, un genere dei Cianobatteri) tutte le origini sono caratterizzate dal possedere parecchie DnaA box per il legame della proteina iniziatrice e una regione ricca in AT che facilita la formazione del complesso aperto. In Synecho- 42 °C Blocco lento: mutanti in geni necessari per “iniziare” la replicazione Blocco rapido: mutanti in geni necessari per “far procedere” la replicazione Tempo Figura 9.10 IDENTIFICAZIONE DEI GENI NECESSARI PER LA REPLICAZIONE. ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 12 ISBN 978-88-08-18686-7 IL PRIMOSOMA NEI BATTERI Il primosoma è il complesso proteico responsabile dello srotolamento processivo dei due filamenti del DNA e della sintesi del primo innesco durante la replicazione. I componenti essenziali che lo costituiscono sono l’elicasi, la primasi e altre proteine ausiliarie. Alcuni costituenti del primosoma svolgono, inoltre, un importante ruolo, come vedremo, nel fare ripartire la replicazione quando questa è bloccata da eventi che ne ostacolano la normale progressione (danni della molecola di DNA e altri eventi). Nei batteri i primosomi differiscono per la natura del sito del loro assemblaggio e le proteine che lo riconoscono e per alcune proteine accessorie (► tab. 9.4). Il termine di primosome è stato coniato da Ken-ichi Arai e A. Kornberg nel 1981, per descrivere il complesso multiproteico necessario per iniziare la replicazione di φX174, un fago a DNA circolare a singolo filamento. Il ssDNA circolare di φX174 (forma SS) è un substrato ideale per studiare il processo di inizio della replicazione e identificare le proteine necessarie per convertirlo nell’intermedio a doppio filamento (detta forma replicativa, RF). Questo processo richiede la presenza nel genoma virale di una specifica sequenza, chiamata pas (primosome assembly site) dove si assemblano le proteine del primosoma di φX174, codificate dall’ospite batterico, che sono: le SSB che ricoprono il DNAss, un complesso di tre proteine (PriA, PriB, PriC, DnaT, DnaB e DnaC) richieste per assemblare queste proteine in un complesso detto pre-primosoma che viene completato con l’associazione della primasi DnaG che sintetizza l’RNA primer PriA e funge da impalcatura alle altre proteine che si assemblano in modo ordinato a livello di una piccola regione a forcina del ssDNA. Le proteine PriA, PriB e PriC di E. coli, nonostante il loro coinvolgimento nella replicazione di φX174, non sono necessarie per la normale replicazione del batterio anche se svolgono un ruolo importante. Mutanti del gene priA, infatti, hanno una ridotta vitalità e mostrano un’elevata frequenza di arresto della replicazione con forche che non giungono a termine. Inoltre le cellule di questi batteri presentano un fenotipo filamentoso (dovuto a inibizione della divisione cellulare), maggiore sensibilità agli UV ed espressione costitutiva fattore trascrizionale che può condurre alla repressione di alcuni geni, all’attivazione di altri e all’autoregolazione della propria espressione. 9.2.3 Meccanismi di controllo dell’inizio della replicazione In E. coli sono noti almeno tre meccanismi che assicurano il controllo di oriC: il sequestro transitorio di oriC, la disponibilità della proteina DnaA e l’inattivazione di DnaA. Questi meccanismi sono generalmente presenti in molti altri batteri. Riassumeremo pertanto la situazione in E. coli e segnaleremo le differenze presenti in alcune altre specie batteriche. Il sequestro dell’origine di replicazione a livello della membrana è operato dalla proteina SeqA. Questa proteina lega preferenzialmente sequenze GATC emimetilate, una condizione presente nel DNA neosintetizzato, nella regione oriC. Subito dopo la replicazione si genera uno stato di emimetilazione in del “sistema SOS” (► cap. 11), difetti nel sistema di ricombinazione omologa e nella riparazione del DNA. Quanto illustrato solleva l’interrogativo sul ruolo delle proteine Pri per E. coli. PriA, che è quella più studiata e la più conservata evolutivamente, è una proteina multifunzionale con attività di ATPasi, elicasi e traslocasi. PriB lega il ssDNA sul quale si assembla il complesso PriA-PriB-DNAss. Vari studi hanno mostrato che PriA è fondamentale in E. coli per la ripresa della replicazione in cellule in cui questa funzione è transitoriamente bloccata. In tutti gli organismi esistono sistemi di controllo della corretta esecuzione del ciclo cellulare (detti checkpoint). In presenza di anomalie, come ad esempio l’impedimento della progressione della forca replicativa, questi sistemi possono bloccare la progressione del ciclo inducendo processi che rimuovono l’anomalia e permettono la ripresa del ciclo. La frequenza con cui la replicazione si arresta in condizioni naturali non è nota, ma sappiamo che molteplici fattori possono ostacolare la progressione della forca replicativa: sequenze danneggiate, sequenze in fase di trascrizione, regioni in corso di riparazione ecc. Nei batteri la ripresa della replicazione alle forche replicative bloccate avviene attraverso varie vie. Tabella 9.4 COMPOSIZIONE DEL PRIMOSOMA IN ESCHERICHIA COLI. Proteine Gene Organizzazione Peso molecolare (kDa) PriA priA Monomero 76 PriB priB Dimero 11,5 PriC priC Monomero 23 DnaT dnaT Trimero 22 DnaB dnaB Esamero 50 DnaC dnaC Monomero 29 DnaG dnaG Monomero 60 cui il filamento stampo è metilato mentre quello copiato non lo è ancora (► cap. 15, fig. 9.11). Un altro fattore di controllo è la disponibilità delle molecole di DnaA a livello di oriC. Questa è regolata dal numero di copie di datA (DnaA titration A), un locus genomico situato a circa 470 kb da oriC cui possono legarsi circa 300 molecole di DnaA in competizione con oriC. Quando la forca replicativa attraversa questo sito, il numero di copie della sequenza datA aumenta sequestrando nuove molecole di DnaA che in tal modo saranno meno disponibili per oriC. Data la distanza di datA da oriC, questa titolazione di DnaA avviene parecchi minuti dopo l’inizio della replicazione e contribuisce a dilazionare la formazione di nuovi complessi di inizio. Infine, l’idrolisi dell’ATP legata converte la forma attiva della proteina iniziatrice, DnaA-ATP, nella forma inattiva DnaAADP. Questo processo è stimolato dallo sliding clamp (morsetto) della Pol III. Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 12 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 13 ISBN 978-88-08-18686-7 Figura 9.11 IL CONTROLLO DELL’INIZIO DELLA REPLICAZIONE DEL DNA. La replicazione del cromosoma è controllata durante il ciclo cellulare attraverso diverse vie di regolazione (che differiscono nelle varie specie) e che agiscono a livello della proteina iniziatrice e sull’origine di replicazione. (a) In E. coli e B. subtilis la proteina iniziatrice DnaA si lega ad oriC e avvia la replicazione. Questa proteina può legare sia ADP sia ATP ma è solo questa seconda forma quella attiva. Vari processi nella cellula controllano la concentrazione e il legame di DnaA-ATP ad oriC tra questi, l’attività della proteina Hda che esercita un controllo negativo. Per prevenire il reinizio della replicazione il complesso ADP-Hda e il morsetto del replisoma promuovono l’idrolisi del complesso DnaA-ATP in DnaA-ADP inattivo (la natura dell’interazione Hda-DnaA non è nota). (b) In B. subtilis, il gene yabA codifica per un regolatore negativo dell’inizio della replicazione. Proteine omologhe a YabA sono state trovate in molte specie di batteri Gram-positivi. YabA agisce sulla processività del β-clamp della DNA polimerasi e modula l’attività di DnaA (il meccanismo non è ancora chiarito). (c) In C. crescentus (► cap. 15) il regolatore del ciclo cellulare CtrA, si lega all’origine di replicazione Cori e inibisce l’inizio della replicazione. La degradazione di CtrA al momento giusto del ciclo cellulare regola la replicazione. a) Escherichia coli SeqA datA oriC PdnaA dnaA dnaN DARS1 e DARS2 DiaA DnaA-ADP DnaA-ATP Replisoma Hda Morsetto SpoOA b) Bacillus subtilis parS oriC Soj PdnaA dnaA dnaN DnaD ATP Replisoma YabA Morsetto CtrA c) Caulobacter crescentus PdnaA Replisoma dnaA Cori ATP HdaA Morsetto Esaminiamo ora la partecipazione di questi meccanismi di regolazione nelle varie specie batteriche. Il processo di sequestro di oriC è presente, oltre che in E. coli, in altri Enterobatteri e in molti altri generi (Agrobacterium tumefaciens, Brucella abortus, Caulobacter crescentus, Rhizobium meliloti e Rickettsia prowazekii). La titolazione della proteina DnaA, mediante un cluster di siti ad alta affinità per DnaA localizzati fuori della regione oriC, è coinvolta nella regolazione dell’inizio della replicazione di altri batteri, come S. coelicolor. È stato osservato, ad esempio, che delezioni di questo cluster causano cicli di replicazione più frequenti. L’inattivazione del complesso DnaA-ATP mediante idrolisi dell’ATP è presente in tutti i batteri che hanno il gene dnaA (Bacillus subtilis, Helicobacter pylori, Mycobacterium tuberculosis, Streptomyces coelicolor, Thermus thermophilus e Thermotoga maritima). In genere tutti i geni dnaA sequenziati codificano per un motivo AAA+ responsabile del legame e dell’idrolisi dell’ATP. Questo stesso motivo è anche presente in proteine che iniziano la replicazione dei cromosomi eucarioti e negli archei. Il legame e l’idrolisi dell’ATP agisce come un commutaMateriale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 13 tore universale che regola l’inizio della replicazione di tutti gli organismi viventi. Tuttavia poco è noto sul meccanismo o sui meccanismi di inattivazione dell’iniziatore. 9.2.4 L’inizio della replicazione di batteri con più cromosomi Il controllo della replicazione dei batteri con più cromosomi (► cap. 15) è molto meno conosciuto rispetto agli organismi con un singolo cromosoma. Il sistema maggiormente studiato è quello di Vibrio cholerae. I due cromosomi di questo batterio replicano in modo sincrono nonostante le loro diverse dimensioni, le differenze nelle loro origini e nel processo d’inizio. Il sito oriCI di V. cholerae somiglia all’oriC di E. coli, mentre oriCII ha peculiarità comuni ad alcuni plasmidi. oriCII possiede una ripetizione interna di 12 pb e due geni che fiancheggiano l’origine. Uno di questi codifica per la proteina RctB che lega specificamente oriCII e ne controlla la replicazione. DnaA e RctB sembrano controllare indipendentemente l’inizio della replicazione rispettivamente dei due cromosomi chrI e chrII in quanto la sovraproduzione sperimentale di DnaA o RctB ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 14 ISBN 978-88-08-18686-7 promuove esclusivamente più inizi del cromosoma I o del cromosoma II ma non di ambedue. In che modo l’inizio della replicazione dei due cromosomi sia coordinata non è noto. Pur avendo scarsa somiglianza di sequenza con oriCI, oriCII contiene una singola DnaA box oltre a parecchie sequenze GATC, bersagli della metiltransferasi Dam. Anche se DnaA non inizia la replicazione del cromosoma II, la sua presenza, seppur in concentrazione minima, è richiesta per l’attivazione dell’inizio della replicazione di questo cromosoma. Una simile situazione è osservata in alcuni plasmidi (come RK2) che, pur codificando per proprie proteine iniziatrici, richiedono DnaA. L’abbondanza di siti per la metilasi Dam in oriCI e oriCII di V. cholerae e la presenza dei geni seqA e dam suggerisce che questi fattori possono mediare il coordinamento della replicazione in modo simile ad E. coli; tuttavia fattori addizionali non ancora noti probabilmente sono richiesti per coordinare le attività di DnaA e RctB. Poco è noto sui segnali che legano il ciclo intracellulare di batteri patogeni e simbionti con quello dell’ospite. È stato recentemente mostrato nel caso di M. tuberculosis che l’inizio della replicazione di questo batterio è regolato da un sistema di trasduzione del segnale (costituito da due proteine MtrA-MtrB) attivato dall’interazione ospite-patogeno. In M. tuberculosis MtrA regola la replicazione inducendo l’espressione di dnaA. La proliferazione di M. tuberculosis in vivo dipende in parte dal rapporto MtrA fosforilata su MtrA non fosforilata. Un caso estremo è quello di alcuni endosimbionti obbligati degli insetti (Wigglesworthia glossinidia e varie specie del genere Blochmannia) che hanno perso il gene dnaA. Non si possono, quindi, escludere vie alternative per l’inizio della replicazione di questi batteri. 9.3 Innesco della sintesi e allungamento del DNA L’inizio della copiatura del filamento stampo e la continuazione della sintesi del DNA sono due processi complessi che richiedono l’intervento di molte proteine. Per comprendere la complessità del sistema dobbiamo tenere presenti alcune caratteristiche della DNA polimerasi (direzionalità di polimerizzazione 5′ → 3′; necessità di un primer) e del DNA (doppia elica con filamenti antiparalleli). Per iniziare la replicazione di una molecola di DNA occorre svolgere progressivamente le due eliche; la DNA primasi, procedendo sull’elica stampo in direzione 3′ → 5′, polimerizza un primer a RNA con polarità 5′ → 3′. L’estremità 3′–OH del primer funge da innesco per la DNA polimerasi, che può sintetizzare il nuovo filamento di DNA in direzione 5′ → 3′ complementare allo stampo su cui si muove. Virtualmente, la sintesi di questo filamento (detto filamento guida o leading strand) può continuare indefinitamente; di fatto, la sintesi si interrompe di tanto in tanto e riprende con un nuovo innesco. La replicazione del filamen- to complementare, che viene spiazzato progressivamente in direzione 5′ → 3′ dalla forca replicativa, richiede invece un meccanismo più complesso in quanto viene copiato a tratti in modo retrogrado man mano che è reso disponibile dal progredire della replicazione dell’altro filamento. Infatti la DNA primasi e poi la DNA polimerasi sintetizzano il nuovo filamento a partire da un sito prossimale alla forca replicativa e procedono in direzione opposta a questa. Nel frattempo un nuovo tratto di elica stampo sarà reso disponibile dal procedere della forca replicativa e la sintesi riprenderà, 1,5-2 kb più avanti, con un nuovo primer e un nuovo tratto di DNA (fig. 9.2). Questo filamento è replicato in modo discontinuo (generando frammenti lunghi 1,5-2 kb detti frammenti di Okazaki, da Reiji e Tsuneko Okazaki che li osservarono per primi) e leggermente ritardato (lagging strand) rispetto all’altro. È da tener presente che in un replisoma che avanza verso una forca replicativa ciascun filamento funge da stampo per un diverso complesso enzimatico Pol III (fig. 9.4). Durante la sintesi del DNA, gli RNA primer dei filamenti leading e lagging devono essere rimossi e sostituiti con frammenti a DNA. Una ribonucleasi speciale, la RNAsi H, è responsabile della degradazione degli RNA presenti tra i frammenti di Okazaki. La Pol I a sua volta copia il filamento stampo e aggiunge deossiribonucleotidi all’estremità 5′ del frammento di Okazaki, colmando il tratto a singola elica. Al termine del processo la DNA ligasi salda covalentemente il frammento neosintetizzato al frammento di Okazaki adiacente. Il replisoma Il replisoma completo è localizzato sulla forcina di replicazione ed è costituito dalla primasi (DnaG), dall’elicasi (DnaB) e dall’oloenzima DNA polimerasi III (Pol III). L’oloenzima Pol III è formato da due corpi enzimatici (uno per ogni filamento stampo) uniti fra loro da un dimero della subunità τ (fig. 9.5). Esamineremo qui il ruolo e la cooperazione delle attività di questi enzimi a livello del macchinario di replicazione. L’attività congiunta della elicasi e della primasi La primasi DnaG è reclutata a livello della forca di replicazione mediante un’associazione con l’elicasi DnaB. Successivamente, un dimero della subunità β di Pol III è guidato a innescare la replicazione in modo ATP dipendente. Il processo è catalizzato dalle subunità γ in assenza del nucleo enzimatico della polimerasi, che successivamente si unisce al complesso. Nel replisoma così assemblato, il complesso DnaB-DnaG interagisce con la Pol III attraverso la subunità τ che assicura anche la comunicazione tra i due nuclei dell’oloenzima Pol III. Queste interazioni accoppiano le attività del replisoma e assicurano la sintesi coordinata dei due filamenti stampo (figg. 9.4 e 9.9). L’associazione diretta della primasi con l’elicasi è alla base della coregolazione delle funzioni di questi enzimi. La primasi, infatti, incrementa sia l’attività di ATP sintetasi sia quella di elicasi di DnaB. Nello stesso modo, DnaB può modulare tutte le attività di DnaG, così come la lunghezza dei primer sintetiz- Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 14 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 ISBN 978-88-08-18686-7 Materiale online - CAPITOLO 9 15 L’assemblaggio ciclico della primasi e DNA polimerasi III sul lagging strand e sintesi dei frammenti di Okazaki Il complesso della DNA polimerasi III si forma a livello del primer in modo ordinato e gerarchico. Terminata la sintesi del primer, i due anelli dello sliding clamp si assemblano uno sul leading strand, l’altro sul lagging strand e questo processo richiede ATP. Ad ognuno di questi anelli si associano, successivamente, il clamp loader e il nucleo enzimatico della DNA polimerasi III. In questo processo, mentre il complesso rimane costantemente legato al DNA sul leading strand per catalizzare una polimerizzazione continua, sul lagging strand esso è ripetutamente rilasciato e riassociato al DNA per sintetizzare ciascun frammento di Okazaki successivo. La sintesi di un frammento di Okazaki è iniziata, quindi, al termine della sintesi del primer, dopodiché la primasi si dissocia per sintetizzare un nuovo primer. La sintesi ciclica dei primer e dei frammenti di Okazaki del lagging strand richiede alcuni eventi che vengono qui di seguito riassunti: 2. il monomero della polimerasi del lagging strand si dissocia dal frammento di Okazaki e il β-clamp si associa a un nuovo primer. In questo modo la polimerasi può posizionarsi con un altro sliding clamp sul primer successivo. In questo sistema quindi il macchinario di replicazione è permanentemente posizionato a livello della forcina di replicazione, dove può espletare la sua attività in modo efficiente. 1. il clamp loader, in presenza di ATP, subisce un cambiamento conformazionale che aprendone la struttura permette il suo distacco dal DNA ed il suo successivo assemblaggio su un nuovo primer; Lo stesso tipo di meccanismo permette alla subunità β della polimerasi III di associarsi con le altre DNA polimerasi di E. coli (I, II, IV e V), con la DNA ligasi e con MutS. zati dalla primasi e la specificità dell’inizio. DnaG è debolmente attiva in vitro e il tasso massimo di sintesi è di 3 primer per ora. DnaB è essenziale in vitro affinché la replicazione proceda con il tasso di sintesi osservato in vivo. L’importanza dell’interazione tra l’elicasi e la primasi è testimoniata dal fatto che in alcuni sistemi virali, come nel batteriofago T7, i geni codificanti per l’elicasi e la primasi sono fusi dando luogo alla sintesi di un unico polipeptide. Poiché in una cellula di E. coli ci sono solo 50-100 molecole di primasi ma migliaia di frammenti di Okazaki, DnaG deve essere riciclata da ogni primer per i diversi cicli di sintesi successive. La progressione del replisoma lungo il DNA L’attività di polimerizzazione in direzione 5′ → 3′ della DNA polimerasi e l’antiparallelismo dei due filamenti da copiare implicano che i due monomeri della DNA polimerasi “procedano” in senso opposto l’uno rispetto all’altro. Una ventina d’anni fa il modello dominante della sintesi del DNA prevedeva che la DNA polimerasi passasse velocemente e ripetutamente da un filamento all’altro. Questo modello rendeva difficile capire come la sintesi potesse essere coordinata sui due filamenti. Bruce Alberts e collaboratori proposero nel 1983 un modello alternativo, detto modello a trombone, che prevede che il lagging strand formi un’ansa in modo tale da permettere la colocalizzazione e l’orientamento di una subunità della DNA polimerasi nella stessa direzione di quella presente sul leading strand cosicché, in modo concertato, i due complessi possano procedere in direzione 5′ → 3′ (figg. 9.4 e 9.12). Questo modello elegante ha trovato sostegno nel fatto che le due Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 15 Il completamento della replicazione richiede infine i seguenti eventi: 1. l’escissione degli RNA primer; 2. iI riempimento degli spazi lasciati dalla rimozione dell’RNA primer mediante l’aggiunta sequenziale di desossiribonucleotidi all’estremità 5′–OH complementari allo stampo. Per questa sintesi è coinvolta la polimerasi I; 3. il legame tra due basi adiacenti saldato dalla DNA ligasi. subunità della polimerasi sono, come abbiamo visto, fisicamente legate e in dati citologici sulla colocalizzazione delle due polimerasi. Fedeltà della replicazione durante l’allungamento La replicazione del DNA dei batteri è molto accurata. Si stima che gli errori nell’incorporazione delle basi durante la replicazione siano prodotti con frequenze comprese tra 10–4 e 10–6, mentre quelli dovuti a inserzioni di coppie di basi tra 10–8 e 10–6. Questo basso tasso di errore è attribuibile a: 1. selezione termodinamica delle basi ai fini di un corretto appaiamento; 2. contributo della DNA polimerasi nella selezione corretta delle basi da aggiungere; 3. attività esonucleasica della DNA polimerasi che, in caso di incorporazione di una base errata, degrada in direzione 3′ → 5′ il filamento neosintetizzato rimuovendo le basi appaiate scorrettamente. 9.4 Terminazione e risoluzione (separazione) dei nuovi cromosomi La replicazione del cromosoma di E. coli termina a livello di una regione di terminazione di 350 kb fiancheggiata da dieci siti di terminazione di 23 pb (siti ter) orientati diversamente su entrambi i lati della regione di terminazione (fig. 9.3). La proteina Tus si lega ai siti ter e arresta la progressione delle forche replicative mediante un blocco dell’attività dell’elicasi DnaB. ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 16 ISBN 978-88-08-18686-7 a) 3 3 5 5 Filamento a replicazione immediata 3 3 5 5 3 3 3 3 Filamenti parentali Filamento a replicazione ritardata 5 3 5 3 Figura 9.12 LA REPLICAZIONE CONTINUA E QUELLA DISCONTINUA DEL DNA. (a) Le proprietà della DNA polimerasi (direzionalità della polimerizzazione 5′ → 3′ e necessità d’un innesco) si traducono con una replicazione che procede in modo differenziale per le due eliche del DNA (una continua, l’altra discontinua). (b) La differenza di polarità dei due filamenti impone alla DNA polimerasi di funzionare in opposte direzioni per i due filamenti. Per permettere alla DNA polimerasi di sintetizzare i due filamenti del DNA nella stessa direzione e nel senso del movimento della forcina replicativa, il filamento lagging forma un’ansa che orienta il tratto di DNA in sintesi nella stessa direzione del filamento leading. 5 5 Frammenti di Okazaki Movimento della forca replicativa b) 3 Dimero di DNA polimerasi 5 Filamento a replicazione immediata 3 3 3 Filamento a replicazione ritardata 5 3 5 3 5 Filamenti parentali 5 Frammenti di Okazaki Movimento della forca replicativa Un simile meccanismo è presente in molti altri batteri; tuttavia né i siti ter né le proteine coinvolte nella terminazione mostrano una conservazione filogenetica. Il controllo della terminazione è comunque un processo importante. I due cromosomi fratelli potrebbero trovarsi, infatti, al termine della replicazione intrecciati uno con l’altro oppure fusi insieme in un dimero a causa di eventi di ricombinazione e devono quindi essere monomerizzati in vista della ripartizione dei cromosomi nelle due cellule figlie (► cap. 15). 9.5La replicazione degli elementi extracromosomali e il suo controllo I plasmidi e i genomi virali hanno una replicazione autonoma, sono cioè repliconi indipendenti rispetto al cromosoma della cellula che li ospita. L’apparato deputato alla loro replicazione può essere costituito interamente da proteine batteriche, da proteine codificate dall’elemento stesso, o da una combinazione di fattori di replicazione codificati sia dal genoma del batterio ospite sia dall’elemento extracromosomale. Anche nei plasmidi la replicazione procede nelle tre fasi: inizio, a livello di un’origine specifica, allungamento del polimero e terminazione. Alcuni plasmidi hanno più di un’origine di replicazione, ma in genere solo una è richiesta per la replicazione vegetativa, mentre l’altra è attiva in particolari situazioni, come ad esempio durante il trasferimento coniugativo del DNA (► cap. 12). Per l’apertura del DNA al sito ori nella fase d’inizio della replicazione, molti plasmidi necessitano, oltre alle proteine richieste per l’inizio della replicazione del batterio (DnaA, HU e IHF, nel caso di plasmidi di E. coli), anche proteine codificate dal plasmide. Il controllo del numero delle copie del DNA plasmidico coinvolge vari tipi di meccanismi ed è dipendente da elementi strutturali e da proteine codificate dal plasmide. In questo capitolo ci limiteremo a una breve sintesi sulla replicazione di alcuni plasmidi modello, rinviando al ► capitolo 17 per quella dei batteriofagi. 9.5.1 La replicazione del fattore F La replicazione plasmidica è stata ben studiata per il fattore F, e in particolare per alcuni suoi derivati costruiti in vitro mediante delezioni. Questi derivati (chiamati mini F) che contengono solo 9 kb del DNA di F conservano una replicazione autonoma Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 16 ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 17 ISBN 978-88-08-18686-7 e hanno permesso di effettuare una “fine dissezione” dei geni e dei siti necessari per la replicazione F. Altri costrutti portatori delle funzioni per il controllo del numero delle copie, partizione e incompatibilità sono stati importanti per chiarire il meccanismo alla base di queste funzioni (fig. 9.13a). Il replicone F possiede due origini di replicazione: oriT attiva durante il trasferimento coniugativo (► cap. 12) e oriV (oriF) l’origine vegetativa della replicazione plasmidica. Il sito oriV (fig. 9.13a) consiste in due dnaA box riconosciute dalla proteina iniziatrice del batterio DnaA, una regione ricca in AT, una regione di 13 nucleotidi ripetuti omologa a quella di oriC del batterio seguita da quattro sequenze DR di 19 pb (chiamate iteroni) a cui si lega la proteina iniziatrice RepE codificata dal plasmide. Il gene codificante per RepE (repE) è localizzato vicino a oriV. Il legame della proteina RepE, sotto forma di monomero, ai quattro iteroni di oriV causa un ripiegamento di questa regione (fig. 9.13b) che induce localmente una separazione dei due filamenti del DNA che si estende dalla sequenza ripetuta fino alla regione ricca in AT. Alla separazione dei filamenti del DNA, e alla stabilità di questa struttura, cooperano le proteine dell’ospite HU e DnaA. Come per il cromosoma batterico, questa fase di apertura della doppia elica del DNA è essenziale per dare inizio alla replicazione del plasmide F. Un altro fattore critico per l’inizio della replicazione è la concentrazione di RepE che modula anche la frequenza degli inizi di replicazione del fattore F. Il livello cellulare di RepE è regolato da RepE stessa e dal livello di trascrizione del suo gene. RepE generalmente esiste come omodimero e sotto questa forma è inattivo per l’inizio della replicazione ma attivo per la regolazione del gene (repressione autogena). La conversione del dimero di RepE in monomero (forma attiva per l’inizio della replicazione) è operata da alcune proteine chaperon. L’allungamento della sintesi del DNA del fattore F e di molti altri plasmidi (così pure quello virale) procede attraverso due diverse strutture replicative che può assumere il DNA; una è definita theta (θ) ed è quella tipica del cromosoma batterico, l’altra è detta sigma (σ) o a rolling circle (cerchio rotante). Le differenze tra queste risiedono nel modo in cui i genomi sono replicati. Nel primo caso, il plasmide o il fago viene replicato sotto forma di genoma circolare; nel secondo, l’innesco è generato dal taglio di un filamento della doppia elica e la replicazione procede mediante l’estensione continua dell’estremità 3′–OH del DNA. Molti virus e plasmidi codificano per proteine che tagliano in modo specifico il legame fosfodiesterico lungo la catena polinucleotidica, generando un’estremità 3′–OH per l’innesco della sintesi e rimpiazzando così l’attività della primasi. Un’elicasi srotola il filamento di DNA tagliato così da allontanare il filamento dallo stampo, mentre avviene l’estensione dal 3′–OH libero per la copiatura del filamento circolare intatto. Alcuni genomi possono alternare queste due modalità di replicazione. Il fattore F e altri plasmidi affini, ad esempio, repli- oriF Regione ricca in AT a) DnaA-box Ripetizione invertita Iteroni 13mero incC iteroni RepE TTGTGACAAATTGCCCTTT Dimero RepE incC b) ori represso Figura 9.13 INIZIO DELLA REPLICAZIONE DEL FATTORE F E CONTROLLO DEL NUMERO DELLE COPIE. (a) L’origine oriF possiede due DnaA box riconosciute dalla proteina batterica DnaA; una regione ricca in AT; una regione di 13 nucleotidi ripetuti omologa a oriC del cromosoma batterico seguita da quattro sequenze DR di 19 pb che legano la proteina iniziatrice RepE. (b) Il legame di RepE in questa regione causa un ripiegamento del DNA che apre l’origine e ne separa i due filamenti del DNA. Questa apertura consente, come nel caso del cromosoma batterico, l’inizio della replicazione. Il controllo del numero delle copie del fattore F è assicurato da un meccanismo detto di “ammanettamento”, Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 17 che sfrutta l’affinità di legame della proteina RepE (oltre che per l’origine) per sequenze ripetute esterne all’origine chiamate iteroni. A bassa concentrazione di plasmide e di RepE, questa proteine lega preferenzialmente all’origine di replicazione. Un aumento della concentrazione di plasmide e di RepA conduce a un legame di questa proteina anche a livello degli iteroni. Un ulteriore incremento di plasmidi e di RepE provoca un “ammanettamento” del DNA per dimerizzazione dei monomeri di RepE legati al DNA. La struttura prodotta dall’ammanettamento impedisce la replicazione e l’incremento del numero delle copie del plasmide. ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 18 ISBN 978-88-08-18686-7 cano secondo il modello θ durante la replicazione vegetativa, mentre durante il trasferimento coniugativo del DNA lo fanno secondo il modello σ. 9.5.2 La replicazione di ColE1 ColE1 può essere considerato come modello per lo studio della replicazione di molti plasmidi presenti nella famiglia delle Enterobacteriaceae. La replicazione di ColE1 non coinvolge proteine codificate dal plasmide. ColE1 utilizza, infatti, per la propria replicazione le proteine dell’ospite. Una regione del plasmide di 600 nucleotidi contiene l’origine di replicazione (oriV) e da questa origine parte la replicazione che procede in modo unidirezionale. La replicazione di ColE1 dipende dalla sintesi di un RNA di circa 700 nucleotidi (chiamato RNA II o pre-primer) che parte da un promotore a monte di oriV (fig. 9.14a). Quando il trascritto giunge a livello di oriV, si forma un ibrido RNA-DNA. L’RNA viene quindi tagliato dalla RNasi H, un’endoribonucleasi che taglia l’RNA appaiato al DNA (H sta per hybrid). L’enzima taglia l’RNA II e lo riduce a una molecola di circa 550 nucleotidi la cui estremità 3′–OH funge da primer per la DNA Pol I (fig. 9.14b). L’RNA II è anche il bersaglio di un piccolo RNA complementare (RNA antisenso, detto RNA I) che permette di controllare il numero delle copie del plasmide per cellula (fig. 9.14c). Durante la replicazione, che procede in modo unidirezionale secondo il modello θ, l’estensione del DNA del leading strand e la sintesi discontinua del lagging strand sono invece a carico di Pol III, mentre il movimento della forca di replicazione è promosso dalla girasi che partecipa all’apertura del dsDNA. Lo studio della replicazione in vivo e in vitro di ColE1, in mutanti difettivi per Pol I o RNasi H, o ambedue le attività enzimatiche, ha evidenziato tuttavia che, oltre alla modalità descritta sopra, ColE1 sfrutta altre due vie d’inizio della replicazione. In assenza della RNasi H, infatti, il 3′ dell’RNA II non processato può ancora essere utilizzato dalla DNA Pol I come primer per la sintesi del filamento leading anche se con minor efficienza. In assenza della RNasi H e di Pol I, il filamento non trascritto, che si trova a singola elica a causa della trascrizione dell’RNA II, può fungere da stampo per primasi e Pol III e promuovere così l’inizio della sintesi del lagging strand. 9.5.3 Il controllo del numero delle copie del DNA I plasmidi finora esaminati utilizzano per regolare direttamente o indirettamente la loro replicazione meccanismi di controllo negativo che si esercita a livello dell’inizio della replicazione. Il risultato del controllo del tasso d’inizio della replicazione è che ogni plasmide ha un suo numero di copie caratteristico all’interno della cellula (1-2 copie per i plasmidi di tipo F, 10100 copie per altri). Varie strategie sono utilizzate per controllare il numero di copie di cromosomi e plasmidi; a due di queste, chiamate iteron binding (legame a sequenze reiterate) e inhibitor-target (inibitore e bersaglio), sono riconducibili molti plasmidi. Si tratta nei due casi di meccanismi che permetto- no la replicazione quando l’elemento di controllo negativo è dilui­to in seguito all’accrescimento cellulare. Nel meccanismo detto di “legame all’iterone”, una sequenza di circa 20 pb ripetuta in serie nella stessa direzione (iteron, iterone) sul genoma costituisce il principale determinante in cis per il controllo della replicazione. In plasmidi (come il fattore F) sottoposti a questo tipo di controllo, questi iteroni sono loca- a) PRNA II oriV -445 -555 O PRNA I RNA I 108 nt b) RNA II ori DNA 5′ 3′ RNA-pol RNasi H RNA II RNasi H DNA 5′ 3′ RNA-pol DNA-Pol I DNA 5′ 3′ RNA-pol RNA II c) RNA I DNA 5′ 3′ RNA-pol Figura 9.14 CONTROLLO DELLA REPLICAZIONE DEL PLASMIDE COLE1. (a) Organizzazione del sito di inizio della replicazione oriV. La trascrizione dal promotore PRNA II procede oltre oriV producendo un trascritto lungo, RNA II; quella da PRNA I genera un piccolo RNA “antisenso” complementare al 5′ di RNA II. (b) L’RNA II rimane appaiato al DNA stampo a livello del sito oriV. l’RNasi H taglia l’RNA II in un sito preciso generando un’estremità 3′–OH che funge dal innesco per la DNA Poli I. (c) Se l’RNA I è appaiato al 5′ dell’RNA II, la formazione dell’ibrido RNA-DNA a oriV è sfavorita e non si genera così l’innesco per la DNA Pol I. Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 18 RNA II ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 19 ISBN 978-88-08-18686-7 lizzati vicino a ori e al gene rep che codifica per l’iniziatore della replicazione plasmidica. Si pensa che gli iteroni controllino la replicazione competendo per Rep con i siti di legame della proteina presenti in ori. Nel meccanismo inibitore-bersaglio, un RNA antisenso controlla negativamente l’inizio della replicazione. Il bersaglio di questo RNA antisenso in alcuni casi è l’RNA messaggero che codifica per la proteina Rep, necessaria per iniziare la replicazione plasmidica, in altri è l’RNA che serve da primer per la DNA polimerasi, o un suo precursore. In ogni caso, l’appaiamento dell’RNA antisenso regolatore con l’RNA bersaglio inibisce, con meccanismi diversi, l’attività del bersaglio. Nel caso della replicazione di ColE1, ad esempio, il meccanismo inibitore-bersaglio dipende dall’RNA antisenso RNA I che interferisce con la maturazione dell’RNA II. L’RNA I, un piccolo RNA di circa 100 nt, viene trascritto in senso opposto alla direzione di RNA II da un promotore localizzato tra il promotore di RNA II e l’origine di replicazione. Questo RNA è pertanto complementare all’RNA II e forma un ibrido RNA-RNA stabile che interferisce con l’appaiamento dell’RNA II con il DNA e quindi con il processamento dell’RNA II da parte dell’RNasi H e la formazione del primer, inibendo così l’inizio della replicazione di ColE1 (fig. 9.14b). La replicazione di ColE1 è regolata anche dalla proteina plasmidica Rop, una piccola proteina di 63 aa che favorisce il legame di RNA I con RNA II e contribuisce quindi a inibire la replicazione. Il livello dei due inibitori (RNA I e Rop) aumenta con l’aumentare del numero di copie del plasmide, per cui si crea un meccanismo di retroazione (feed back) negativa che controlla il numero di copie per cellula. Delezioni del gene rop si traducono con un aumento del numero delle copie del plasmide. È il caso, ad esempio, del plasmide pBR322 (un derivato di un plasmide della famiglia ColE1, geneticamente rop+, molto noto per essere stato il primo vettore utilizzato per clonare DNA in vitro), con circa 15 copie per cellula, mentre il numero di copie di pUC18, un suo derivato privo del gene rop, è dell’ordine di 70 per cellula. Oltre ai due modelli descritti (F e ColE1) sono stati riscontrati diversi altri meccanismi di replicazione e del suo controllo. 9.5.4 La replicazione dei cromosomi lineari La presenza di cromosomi lineari nella cellula pone due tipi di problemi: come proteggere il DNA lineare dall’attacco delle esonucleasi e, problema ancor più complicato, come replicare le estremità stesse che richiedono meccanismi specifici senza i quali la replicazione condurrebbe a una progressiva riduzione delle dimensioni della molecola di DNA. Infatti la necessità di un innesco per la DNA polimerasi e la sintesi unidirezionale 5′ → 3′ creano problemi alla replicazione di queste molecole. Se la sintesi di una nuova elica di DNA a partire da un’estremità avviene grazie a un primer a RNA, al termine della replicazione le due molecole risultanti presentano estremità ibride RNA-DNA. Successivamente i primer verrebbero rimossi e Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 19 comunque non potrebbero fungere da stampo per le DNA polimerasi, per cui le estremità 5′ delle due eliche nuove risulterebbero più corte (con le estremità 3′ dei due filamenti vecchi che rimarrebbero a singola elica). Al ciclo di replicazione successivo, i filamenti vecchi darebbero origine a molecole come quelle ora descritte, mentre quelli nuovi (cui è stato rimosso l’innesco a RNA al 5′) produrrebbero una molecola più corta di quella originaria (fig. 9.15). Diverse strategie sono state sviluppate nei procarioti (inclusi elementi genetici accessori) per risolvere questi due problemi. La protezione delle estremità del DNA in molti casi è assicurata convertendo la forma lineare in una circolare chiusa covalentemente oppure, per alcuni batteriofagi, inibendo esonucleasi specifiche. In altri casi cromosomi e plasmidi lineari, come quelli di Borrelia, hanno le estremità chiuse covalentemente (fig. 9.16), mentre nel caso di Streptomyces una proteina lega covalentemente e protegge le estremità dei cromosomi e dei plasmidi lineari. La conversione del DNA lineare in una struttura chiusa è il destino del DNA infettante di molti batteriofagi. Nel caso di λ, ad esempio, il DNA lineare, appena entra nella cellula, ver- Origine Filamento Filamento 5ʹ 3ʹ 3ʹ 5ʹ 5ʹ 3ʹ 3ʹ 5ʹ 5ʹ 3ʹ 3ʹ 5ʹ 5ʹ 3ʹ 5ʹ Gap 3ʹ 3ʹ Gap 3ʹ 5ʹ 5ʹ 5ʹ 5ʹ 3ʹ 3ʹ 3ʹ 5ʹ 5ʹ 3ʹ Figura 9.15 I PROBLEMI POSTI DALLA REPLICAZIONE DEI CROMOSOMI LINEARI. La sintesi di molecole di DNA lineari genera molecole sorelle ognuna delle quali porta al 5′ l’RNA primer. Questi primers sono rimossi dall’esonucleasi che agisce in direzione 5′ → 3′ generando un DNA a singolo filamento che non può essere riparato o copiato da alcuna DNA Pol nota. In assenza, quindi, di meccanismi specifici la replicazione dei cromosomi lineari genererebbe ad ogni ciclo molecole di DNA sempre più corte. ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 Materiale online - CAPITOLO 9 20 ISBN 978-88-08-18686-7 rà chiuso covalentemente e sarà replicato secondo due tipi di modalità, in una prima fase la replicazione theta (θ), e successivamente quella sigma (σ). In altri batteriofagi, come Mu, il DNA lineare è chiuso mediante una proteina legata covalentemente al DNA, mentre in altri il DNA forma per ricombinazione lunghe molecole composte da genomi multipli dette concatameri (► cap. 17). L’innesco della replicazione dei cromosomi lineari avviene secondo modalità che variano nei diversi organismi. Negli eucarioti una classe specifica di enzimi (telomerasi) riconosce e replica le estremità dei cromosomi (telomeri). Le telomerasi sono enzimi ribonucleoproteici (RNP), costituiti da una RNA telomerasi (TER), da una trascrittasi inversa (TERT) e da parecchi altri componenti che variano nei diversi gruppi di eucarioti. La subunità a RNA dell’enzima include una breve regione stampo che viene copiata nella sequenza telomerica del DNA. Rimandiamo per questo argomento a un testo di biologia molecolare. Nei procarioti sono note due tipologie diverse di molecole di DNA lineare, che vengono replicate secondo modalità diverse (► cap. 8, fig. 9.16). Un primo tipo è costituito dalle molecole di DNA lineare con le estremità 3′ e 5′ dei due filamenti complementari legate covalentemente tra loro. Hanno questa configurazione i cromosomi dei batteri appartenenti al genere Borrelia e i loro plasmidi lineari e il DNA intracellulare di N15, un batteriofago di E. coli che replica come molecola lineare. Sono noti anche virus animali (tra cui il virus vaccinico) con DNA di questo tipo. Il meccanismo preciso di replicazione di queste molecole non è ancora chiarito, ma è evidente che l’uso di inneschi a RNA per replicare questa struttura non porta ad accorciamento dei telomeri. Secondo un ipotetico modello, la replicazione di una molecola di questo potrebbe produrre un intermedio circolare con due copie del genoma congiunte testa-testa e un enzima (detto protelomerasi, ossia telomerasi procariota) separerebbe le due copie rigenerando le estremità chiuse covalentemente. Il secondo tipo di genomi lineari nei batteri è costituito dai cromosomi lineari degli Streptomiceti, da molti plasmidi linea­ri presenti in questo gruppo e da batteriofagi della famiglia di φ29, un fago di Bacillus subtilis e altri fagi di Streptococcus pneumoniae, ma anche virus animali come gli adenovirus. Questi hanno una proteina (terminal protein, TP) legata covalentemente a ciascuna estremità 5′ del genoma. La proteina TP funge da primer per la replicazione, fornendo come innesco per la DNA polimerasi un residuo OH di una sua specifica serina, treonina o tirosina, rimanendo poi legata covalentemente all’estremità 5′ della nuova elica (fig. 9.16b). Nel caso del cromosoma degli streptomiceti, la replicazione bidirezionale procede a partire da un’origine di replicazione localizzata all’interno del genoma, e le proteine terminali sembrano implicate solo nella replicazione dei telomeri. Per genomi più piccoli, come quello del fago di φ29 e di alcuni plasmidi, la duplicazione di ciascuna elica inizia dalla TP ad ogni estremità e attraversa l’intero genoma. a) L Inizio della replicazione L R Molecole replicate Lʹ L Giunzione Rʹ R Risoluzione del telomero L R L R b) ori TP TP TP TP TP TP TP TP TP TP Figura 9.16 LA REPLICAZIONE DEI PLASMIDI LINEARI DI BORRELIA E STREPTOMYCES. (a) Modello di replicazione di molecole di DNA lineari con estremità chiuse covalentemente (telomeri a forcina). Esempio: Borrelia. La replicazione che parte dal sito ori forma un dimero “testa-testa” che viene risolto da una “protelomerasi” (telomerasi procariota). (b) Modello di replicazione di molecole di DNA lineari con proteina terminale (TP). Esempio: Streptomyces. Ad ogni ciclo replicativo due nuove TP si associano alle estremità della molecola e forniscono l’innesco alla DNA polimerasi per aggiungere il primo desossiribonucleotide e replicare così le regioni telomeriche. La replicazione che parte dai telomeri potrà congiungersi alla replicazione che parte da un sito ori interno. Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 20 R ori ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07 ISBN 978-88-08-18686-7 9.6La replicazione negli Archaea La replicazione degli Archaea è una sorta di mosaico tra il sistema eucariote e quello batterico cui si aggiungono aspetti specifici. In questi ultimi anni alcuni Archaea hanno fornito modelli di studio attraenti per la replicazione del DNA in quanto contengono una versione semplificata, ma omologa, al core del macchinario di replicazione eucariote. Un esempio di studio di questo macchinario di replicazione è quello dell’ipertermofilo Sulfolobus solfataricus. Questo microrganismo è un buon sistema modello per lo studio della replicazione degli Archaea: può crescere in laboratorio in aerobiosi, in terreno liquido o solido a temperature comprese tra 75-80 °C e a un pH di 2 o 3, condizioni in cui le sue proteine sono molto stabili. S. solfataricus, come molti archei, ha un solo cromosoma circolare che, contrariamente ai batteri, può contenere più origini di replicazione attive (come nel caso dei cromosomi lineari degli eucarioti con più origini). Quasi tutti gli Archaea possiedono almeno un omologo delle proteine iniziatrici eucariote Orc1 e Cdc6, coinvolte nella formazione del complesso pre-replicativo (pre-RC). Per quanto riguarda il replisoma, gli aspetti più noti sono i seguenti: Materiale collegato a Dehò, Galli - Biologia dei microrganismi - II ed. 266-268_Cap09_Deho_web.indd 21 Materiale online - CAPITOLO 9 21 1. L’elicasi in Sulfolobus, chiamata MCM (mini-chromosomes maintenance), è omologa a quella di S. cerevisiae dove è stata inizialmente identificata in base al comportamento di alcuni mutanti incapaci di mantenere stabilmente minicromosomi nella cellula, suggerendo un ruolo di queste proteine nella replicazione. MCM è un’elicasi esamerica necessaria per la progressione della forca replicativa. Negli eucarioti l’esamero è costituito da sei subunità diverse, mentre negli Archaea le subunità sono identiche. 2. La primasi in S. solfataricus è un complesso di due proteine (PriS e PriL) omologhe a quelle eucariote. È presente anche un omologo della primasi DnaG batterica, la cui funzione, tuttavia, non è nota. 3. In S. solfataricus ci sono tre polimerasi della famiglia B (Pol B1, B2 e B3) affini alle polimerasi eucariote, ma poco è noto circa la loro attività in vivo. Questi enzimi purificati hanno bassa affinità per il DNA e se ne dissociano frequentemente durante la sintesi. L’incremento della processività dell’enzima durante la replicazione è accoppiato a uno sliding clamp specializzato che circonda il DNA senza legarlo strettamente. ©2014 CEA - Casa Editrice Ambrosiana 01/09/14 09:07