gabriella gentili verona - Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

GABRIELLA GENTILI VERONA
IL LASCITO CULTURALE DI UN MUSICISTA CENEDESE
Trecento anni fa, moriva Alessandro Stradella, uno dei maggiori geni musicali della sua epoca, e
mentre giustamente si celebra l'evento, sembra quanto mai opportuno ricordare, assieme alla sua, la
figura dello studioso che ha contribuito in modo decisivo alla riscoperta e alla valorizzazione della
sua opera, il musicista vittoriese Alberto Gentili.
Si tratta di una figura dalle molte sfaccettature, corrispondenti alla ampiezza culturale della sua
formazione, alla molteplicità delle sue esperienze e delle sue scelte, che assume un suo rilievo nel
panorama della scuola musicale veneta, illuminata dalle grandi personalità del passato
rinascimentale e barocco, ma complessivamente modesta in epoche più recenti, così come modesto
è stato l'apporto dato a quella scuola dagli ambienti dell'odierna Vittorio Veneto e da quello ebraico
veneto in generale.
Nato nel 1873 a Ceneda, Alberto Gentili, ultimo dei numerosi figli di un energico industriale
vittoriese, potè godere ben poco le gioie della famiglia: la sua prima educazione avvenne lontano da
casa, nel Collegio "Marco Foscarini" di Venezia dove ebbe a insegnanti uomini di alte qualità
didattiche come Zenoni, Pompeo Molmenti, Feifhofer, e dove ebbe i primi contatti con il mondo
della musica, sia pure nelle forme modeste costituite dalla presenza nella banda del collegio (Gentili
suonava uno strumento a fiato: il genis) e dalla composizione degli intermezzi per lo spettacolo
annuale della scuola.
Una netta inclinazione per la musica - lontana eredità familiare, forse, come testimonierebbe la
presenza nella Biblioteca Marciana
Gabriella G. Verona, già insegnante di clavicembalo al Conservatorio di Genova, è figlia del
personaggio di cui si parla. Fa parte di un'antica famiglia di origine veneziana, la quale risiedette a
Ceneda tra la fine del '700 e gli inizi del '900 dove operò e si distinse nel campo culturale e in quello
industriale.
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di Venezia di alcuni manoscritti per violino di un suo probabile ascendente settecentesco - fa sì che
a 19 anni Gentili intraprenda lo studio sistematico della composizione, prima a Padova, sotto la
guida di un frate, erede della tradizione contrappuntista di Padre Martini e di Padre Mattei, e
successivamente con Pollini, preparandosi così ad essere ammesso al terzo corso nel Conservatorio
di Bologna. Qui, insofferente degli insegnamenti convenzionali ispirati ad una teoria bacchettona,
ferma addirittura all'epoca pre-romantica, incapace di inquadrare autori della statura di un
Beethoven, fu apprezzato invece dal Direttore Giuseppe Martucci, che lo volle seguire come allievo
personale.
In quattro anni, a prezzo di uno sforzo intellettuale non comune, Gentili conseguiva
contemporaneamente la laurea in legge e il diploma di composizione, entrambi con il massimo dei
voti e la lode (laurea con dignità di stampa).
Le sue successive esperienze lo videro a Milano (1897) per la preparazine dei concerti diretti da
Lamoureux al Teatro Alla Scala, e poi a Monaco di Baviera, dove decise di curare il proprio
perfezionamento appoggiandosi al Direttore d'Orchestra Hermann Levy, suo lontano cugino: da
questi introdotto presso Rheinberger, che gli formò un vasto repertorio teatrale e sinfonico, curando
in particolare lo studio dell'interpretazione e degli stili.
Si deve ritenere che il periodo trascorso in uno dei centri più vitali della cultura musicale tedesca sia
stato per lui particolarmente fecondo, e per le possibilità di ascolto e per le occasioni di incontri con
compositori e direttori d'orchestra, come ad esempio Riccardo Strauss.
Sono infatti di quel periodo, accanto ad una intensa attività di direzione (concerti e opere a
Montecarlo, Menton, Bologna ecc.) la composizione di un'opera in un atto, "Natale", su libretto
tedesco, e il successo nel concorso per secondo direttore, indetto dal Teatro Imperiale di
Wiesbaden, evento che comportò ovviamente il trasferimento in quella città e nuove, dirette
esperienze nel campo operistico.
Si trattò comunque di una permanenza relativamente breve, perché nel 1900, essendo l'opera
"Natale" inclusa nel cartellone del Teatro di Corte a Monaco di Baviera, Gentili rinuncia al posto
per seguire la preparazione del proprio lavoro, che, in un'ottima esecuzione, ottenne il più
lusinghiero successo. Nello stesso anno, tuttavia, la morte del padre e conseguenti gravi problemi di
ordine familiare obbligarono Gentili a rientrare in Italia e ad abbandonare l'attività musicale. I suoi
fratelli, tutti più anziani di lui, benché uomini di innegabile cultura, fecero pressione perché egli si
avviasse ad una carriera di tipo pratico. Ed ecco Gentili stabilirsi a Roma, come addetto alla sezione
brevetti della ditta fondata dall'Ing. Firlanini, operante nel campo dei motori e delle ricerche per
mezzi di trasporto: di questo contatto con il mondo della tecnica, vissuto comunque in modo non
superficiale, è testimonianza la costruzione da parte di Gentili di un
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apparecchio, il "Ritmografo", in grado di registrare elettricamente ampiezza e durata dei movimenti
di un direttore d'orchestra e di riprodurli visivamente. Salutata con interesse da personaggi come
Joachim, Busoni, Tosti, Ochs, Levy, Fleischer ecc., l'invenzione veniva poi acquistata da una
compagnia americana. Nel 1904, otteneva un secondo brevetto, un tasto telegrafico celere. La
velocità di riproduzione e trasformazione grafica, in caratteri normali, era tale da precorrere i tempi
sulla trasmissione telegrafica.
Sempre rimanendo nel campo dei brevetti, Gentili si trasferiva poi a Londra, dove riprendeva
parallelamente l'attività creativa, musicando il libretto per l'opera comica "Bufere estive" del poeta e
scrittore inglese De Lara.
Ma di nuovo motivi familiari - la malattia e la morte del fratello Ettore - lo richiamavano in Italia
per un periodo particolarmente infelice: questa volta però, concluse le complicate vicende della
successione, Gentili tornava in Germania per svolgere, in un ambiente già positivamente
conosciuto, la sua attività di musicista come insegnante e come compositore.
Di questo periodo è la pubblicazione di liriche e composizioni a più voci su testi tedeschi e delle
due opere "Natale" (presso Kessler di Treviri) e "Bufere estive" (presso Feuchtinger, di Stuttgart).
La messa in scena di quest'ultima opera al Politeama Chiarella di Torino nel 1912, era l'occasione
per un ulteriore e definitivo trasferimento: rientrato in Italia per assistere alla rappresentazione,
Gentili si sposava e si stabiliva in quella Torino da cui non si sarebbe più allontanato.
Lo scoppio della prima guerra mondiale aveva per Gentili - ormani non più in età di essere
chiamato alle armi - l'effetto di isolarlo da quegli ambienti musicali tedeschi con cui aveva stabilito
i rapporti più consistenti: fu forse questa condizione di isolamento a far riaffiorare in lui gli
interrogativi giovanili e con essi lo stimolo a ricercare una struttura teorica capace di abbracciare,
accanto alla produzione "classica", anche le esperienze della musica contemporanea.
Furono anni di impegno totale, il cui esito, il trattato dal titolo "Nuova Teorica dell'Armonia" si
proponeva in sostanza di far confluire le esigenze della libertà creativa in una vasta intelaiatura retta
da una costante e indefettibile logica.
Dall'inizio del secolo, o da poco prima, nei centri dove la cultura procedeva all'avanguardia, i
musicisti non erano rimasti estranei ai rivolgimenti che nuovi indirizzi scientifici andavan
imprimendo a tutte le correnti del pensiero. Nel campo musicale, questi rivolgimenti venivano in
luce ad opera del viennese Schònberg e della sua scuola, in particolare, con cui si verificava il
distacco da tutti quei postulati che avevano regolato la composizione musicale negli ultimi due
secoli.
Ciò che tormentava il Gentili, però, consisteva nel problema di dare un inquadramento teorico ai
procedimenti adottati come eccezioni alle regole dai grandi del passato da Beethoven in poi, e
universal
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mente accettati come "licenze poetiche". L'impostazione del suo lavoro, destinato a svolgersi, più
che altro, come studio per lui stesso, era quella della ricerca analitica. Di questo passo, il Gentili si
portò molto avanti nella formulazione di soluzioni valide, ma, sia per la mole del lavoro svolto, sia
per l'attaccamento ai canoni che imbrigliavano le teorie tradizionali, egli non seppe resistere alla
tentazione di schematizzare in un sistema le sue concezioni.
Non era sulla base di una teoria delimitata che il corso della musica procedeva nel nuovo clima
storico. La musica viva seguiva le trasformazioni che gli eventi e la diversa "forma mentis", di
generazione in generazione, rendevano ineluttabili, com'è sempre avvenuto.
Purtroppo questo flusso sorpassava la trattazione del Gentili che, pur dischiudendo orizzonti di una
vastità mai concepita nel campo dell'armonia, non lasciava aperto il discorso a sviluppi
extraarmonici.
Ciò malgrado, alcuni autori di indiscussa fama, come ad esempio Reger, Karg-Elert ed altri, sul
volgere del secolo, ritenevano possibile superare la crisi del primo Novecento senza rompere con i
principi di fondo dell'armonia tonale. Le loro composizioni, infatti, rispecchiano con evidenza certi
lati dell'ambito tonale amplificato come teorizzato dal Gentili.
Il futuro dirà se l'attuale invincibile e dilagante passione per lo stile barocco, che ha stimolato e
sviluppato negli ultimi decenni lo spirito di ricerca, rendendo possibile la rinascita su larga scala
delle complessità contrappuntistiche e armoniche del '600-'700, coniugata con l'abito scientifico che
esige strutture e forme della massima chiarezza e che si proietta in tutti i campi dello scibile, non si
avvii alla riscoperta di una porta privilegiata per uscire dalla caotica ricerca di un via nuova e che
questa porta sia un giorno identificata nella teoria del Gentili.
Le fratture operate nel campo compositivo dalla scuola viennese, come si è detto più sopra,
dovevano stringere il cerchio d'interesse attorno a quest'opera.
Per parecchi, decenni comunque, il Trattato, per la sua importanza, riscosse non poca e non
trascurabile approvazione in Europa, in America ecc.. Ancora negli anni sessanta-settanta, una
musicista israeliana, Heinke Piattelli, entusiasta, ne preparò la traduzione in giapponese, basandosi
su quella inglese.
Il primo a capire il valore di un simile lavoro era stato il compositore G.F. Ghedini, che ottenne in
breve l'interessamento dell'editore Bocca. Malgrado le non lievi difficoltà pratiche, il trattato venne
pubblicato e vide la luce nel 1925.
Uno tra i più significativi apprezzamenti venne da Toscanini, pochi mesi dopo. Quando Gentili lo
incontrò per offrirgli una copia del volume, Toscanini dimostrò di conoscerlo già a fondo e disse di
considerarlo una pietra miliare nella storia della musica.
Nel 1927 fu tributato al Gentili un riconoscimento ufficiale, costituito da un premio annuale
decretato dal Ministero dell'Economia
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Nazionale, per la migliore opera di scienza e di cultura.
In seguito alla risonanza ottenuta dalla pubblicazione del trattato, Gentili fu chiamato a coprire,
all'Università di Torino, la cattedra di Storia della Musica, istituita per la prima volta in una Facoltà
di Lettere e Filosofia, dopo quattro secoli di assenza delle discipline musicali dai programmi degli
Atenei italiani. Mancava comunque qualsiasi modello di un corso come quello che il Gentili doveva
svolgere, poichè - come egli stesso ricordò nella sua prolusione - gl'insegnanti condotti in un
passato ormai lontano riguardavano essenzialmente i problemi tecnici della musica, come la
semiografia, la misurazione degli intervalli, le teorie modali, le regole del contrappunto, ecc. Dal
secolo XIV al XVI, nella Facoltà Universitarie, tra i Lectores di Arti liberali superiori del
Quadrivium era compreso quello di Scienza musicale. Nomi grandi e celebrati avevano tenuto
allora quelle cattedre: a Padova De Beldemandis, a Bologna Ramis de Pareja, a Pavia l'insigne
Franchino Gaffurio, personaggi tutti individuabili più come teorici e trattatisti che come storici.
Qualcuno potrebbe domandarsi quale sia la differenza fra l'insegnamento di storia della musica in
un Conservatorio e quello in una Università. Se l'alunno di Conservatorio possiede delle nozioni
tecniche collegate alla manualità strumentale o, per gli allievi di composizione e d'organo, una certa
conoscenza di taluni problemi, lo studente universitario, talvolta digiuno di nozioni tecniche, si
pone su un livello culturale che esige tutt'altra impostazione di un insegnamento che deve associare
l'estetica alla storia ed alla stilistica della musica, senza isolarla dai processi evolutivi delle altre
discipline della Facoltà. La mancanza di una preparazione specifica nello studente poneva seri
problemi, specialmente per la necessità di integrare l'insegnamento con esemplificazioni che Gentili
esponeva direttamente, avendo potuto introdurre, non senza contrasti, un pianoforte nelle austere
aule di Via Po.
La nuova materia di insegnamento veniva così progressivamente acquistando una sua definizione
nel quadro di una facoltà contrassegnata da una tradizione positivista, e in cui ancora facevano
spicco figure di studiosi come Annibale Pastore, Lionello Venturi, insegnante di Storia dell'Arte,
Ferdinando Neri, Vittorio Cian ed altri dal nome insigne.
Non si trattava di offrire agli studenti una semplice integrazione informativa, ma di metterli a
contatto diretto con il mondo della musica con il quale la più gran parte di loro non aveva avuto
alcun rapporto sistematico. Il gradimento per il corso fu testimoniato sia dalla entità delle frequenze,
sia dalla scelta, che parecchi operarono, di svolgere la tesi di laurea in Storia della Musica. Uno di
questi fu Massimo Mila, che alla musica doveva dedicare poi l'intera sua attività, fino a ricoprire la
stessa cattedra dalla quale aveva insegnato Gentili, e accanto a lui Luigi Ronga, che pure avrebbe
tenuto cattedre universitarie di grande importanza per la Storia della Musica.
Negli stessi anni Gentili tenne altri corsi su argomenti musicali va
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ri, tra i quali va ricordato quello alla Radio Italiana (allora E.I.A.R.), subito dopo la fondazione della
prima stazione emittente di Torino; quelle all'Università Popolare, quello alla Società Pro Cultura
Femminile ecc., e s'interessò pure alla formazione di un gruppo corale (Stefano Tempia) ed al suo
inquadramento concertistico.
Gentili tenne la cattedra per tredici anni, perseguendo l'elevato fine con la più disinteressata
passione.
Come tanti altri fili essenziali al tessuto della cultura italiana di quel periodo, anche l'insegnamento
di Gentili doveva essere troncato da un giorno all'altro dalla servile assurdità delle leggi razziali,
tragica premessa al dramma che si sarebbe consumato nel giro di pochi anni. Per un certo periodo,
breve, la cattedra di storia della musica fu affidata ad un altro docente, poi la materia scomparve dai
programmi della Facoltà.
Un capitolo particolare dell'attività di Alberto Gentili è quello legato alla vicenda degli antichi
manoscritti musicali entrati per opera sua nel patrimonio della Biblioteca Nazionale di Torino.
Al Direttore della Biblioteca, Luigi Torri, era stata richiesta, nel 1926, la stima di una partita di
volumi depositata in un collegio tenuto da religiosi, nel Monferrato, e poiché veniva segnalata, tra i
libri, l'esistenza di materiale musicale, egli aveva chiesto a Gentili di collaborare con lui.
Esaminato il catalogo dei volumi, giunto in un secondo tempo, che elencava, per la quasi totalità,
manoscritti musicali senza identificazione, Gentili arguiva la possibile presenza di qualche pezzo
rilevante e, per evitare il proseguimento delle trattative già avviate tra il Collegio e noti antiquari,
otteneva che l'intera partita fosse trasferita alla Biblioteca. Toccarono dunque a lui il privilegio e
l'emozione di portare alla luce quei volumi dalle antiche, preziose rilegature, nei quali egli andava
via via riconoscendo lo stile di alcuni grandi autori del sei e settecento. A volte nomi famosi erano
scritti all'inizio e alla fine di un brano, ma ben spesso risultavano rilegati assieme fogli di carta
differenti, recanti più grafie musicali diverse tra loro e anche probabili copie dell'epoca, il che
rendeva arduo il lavoro di identificazione.
Benché le sue esperienze si fossero svolte in gran parte in altri settori della cultura musicale, Gentili
non aveva tuttavia trascurato lo studio delle musiche antiche: ancora nel 1911 - 12 egli aveva
compiuto ricerche alla Biblioteca Estense di Modena; ne fan fede alcune sue elaborazioni di
musiche colà esistenti in manoscritto originale.
Sulla base dunque della propria preparazione e di un intenso lavoro di analisi e di riscontro, egli
giunse a formulare una serie di attribuzioni del più alto interesse: i nomi di Vivaldi, di Stradella, di
Traetta, di Gasparini e di altri autori insigni stavano a testimoniare l'altissimo valore della raccolta
che Gentili aveva potuto esplorare e che, d'accordo con Luigi Torri, era ben deciso a non vedere
sottrarre alla Biblioteca Nazionale.
A fronte della insensibilità della burocrazia ministeriale, incapace
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di reperire i fondi necessari all'acquisto, la soluzione fu offerta, non prima che Gentili avesse
sondato tutte le altre eventualità di acquisto e donazione da parte di privati, da un amico di Gentili,
Roberto Foà, che provvide al dono, intitolando la raccolta alla memoria di un suo Figlio scomparso.
L'indiscutibile prestigio degli autori presenti nella collezione doveva richiamare su di essa
l'interesse degli studiosi e della stampa internazionale. Tuttavia la composizione del materiale,
caratterizzata da discontinuità e incompletezza della numerazione dei volumi, lasciava aperta una
questione di fondamentale importanza circa la possibile esistenza del materiale corrispondente ai
numeri mancanti.
Con rigorosa logica, Gentili aveva dunque avanzato l'ipotesi che si trattasse non di una raccolta
organica, bensì del troncone di una ben più vasta raccolta, smembrata forse da persone incompetenti
per qualche divisione di eredità. Ipotesi confermata, dopo una lunga e avventurosa ricerca attraverso
biblioteche ed archivi, dal ritrovamento di precise notizie sulla provenienza del primo gruppo di
libri, già proprietà dei Marchesi Durazzo di Genova, discendenti di un collezionista settecentesco,
ambasciatore della Repubblica di Genova a Vienna e, molto più tardi, ambasciatore dell'Impero
Austriaco a Venezia.
Presso quella stessa famiglia si era potuto constatare, non senza notevoli difficoltà durante alcuni
anni, l'esistenza dell'altro troncone della raccolta. Anche questa volta, in seguito all'azione di
Gentili, fu possibile ottenere l'intervento di un donatore privato, Filippo Giordano, di Torino, e
riunire così nella Biblioteca Nazionale un blocco di documenti musicali per lo più sconosciuti, di
altissima rilevanza nel panorama della musica barocca e rinascimentale.
Di particolare rilievo, sia per la genialità delle opere sia per la loro consistenza, il materiale
vivaldiano. Di questo Autore si conoscevano le composizioni conservate nella biblioteca di Dresda,
ma altri lavori e soprattutto la massima parte dei concerti per strumenti vari, l'opera sacra e quella
teatrale erano del tutto sconosciuti e si ritenevano definitivamente scomparsi. Fu indubbio effetto
del ritrovamento la grande e giustificata diffusione delle opere di questo Autore, oggi considerato
fra i massimi talenti musicali della sua epoca, e fu merito del Gentili aver dato inizio alla
pubblicazione sistematica dei testi più importanti delle Collezioni in una apposita collana edita da
Casa Ricordi e da lui diretta, sino a quando le leggi razziali non troncarono la sua attività anche in
questo campo.
Nei pochi anni in cui poté dedicarsi alle musiche delle Collezioni, Gentili provvide alla scelta di
quelle opere che maggiormente gli apparvero degne di essere date alle stampe, previo il necessario,
impegnativo lavoro di trascrizione, di armonizzazione e di attribuzione a certi strumenti, dato che il
più delle volte i manoscritti, come in uso all'epoca della loro redazione, contenevano solamente le
linee melodiche, vocali o strumentali e una pura traccia della parte accompagnamentale. Per i
concerti solistici egli chiamò a collaborare insigni strumentisti.
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Personalmente, Gentili si era occupato di alcune composizioni degli autori più sopra nominati, oltra
a Vivaldi, ma in particolar modo si era dedicato a uno dei massimi gioielli scoperti: l'opera "Forza
d'Amor Paterno" di Alessandro Stradella, di cui si aveva notizia, ma il cui testo musicale era stato
considerato irrimediabilmente perduto.
Con queste pubblicazioni di capolavori tratti dalle Raccolte, Gentili dava un contributo
fondamentale, da un lato al chiarirsi delle posizioni culturali che un musicista contemporaneo può
assumere nell'elaborazione di opere del passato, dall'altro al rinnovamento dell'interesse che da
allora si è continuamente accresciuto concentrandosi per larga parte sulla produzione di Vivaldi,
autore che proprio a partire dal ritrovamento dei fondi torinesi aveva richiamato l'attenzione degli
studiosi e del pubblico.
Dal 1938 alla fine della guerra, Gentili rimase quindi emarginato, rispetto a quelli che erano stati gli
elementi portanti della sua attività: coinvolto nei pericoli e nei disagi di quel periodo, trovò tuttavia
la forza per riprendere, nel 1943 -44, la sua "Nuova Teorica dell'Armonia" curandone una nuova
redazione, più agile della prima, nella quale confermava e perfezionava i fondamenti che in quella
avevano trovato espressione.
A guerra finita, il nuovo testo sarebbe stato pubblicato dalla Casa Editrice "Genio", divenuta poi
"Suvini e Zerboni". Nella stessa epoca, la Facoltà di Lettere dell'Università di Torino offriva a
Gentili di riprendere il suo insegnamento, sia pure per l'ormai brevissimo periodo che lo separava
dal raggiungimento dei limiti d'età. Questo motivo e la stanchezza per le molte traversie superate lo
sconsigliarono dall'accettare.
Egli preferì dedicarsi ancora alle musiche antiche e alla composizione di qualche lavoro orchestrale
originale proprio. Ottenne, tra l'altro, la prima esecuzione moderna dell'opera di Stradella, "Forza
d'Amor Paterno", radiotrasmessa dalla R.A.I. nella sua elaborazione. Fu questa esecuzione,
avvenuta nel 1953, una delle ultime gioie da lui gustate, dopo le molte amarezze degli anni
precedenti: nel settembre dell'anno successivo, infatti, ormai ottantunenne, Alberto Gentili chiudeva
a Torino la sua nobile, laboriosa esistenza.
Nel 1957 il ministero della Pubblica Istruzione decretava alla sua memoria la medaglia d'oro per
meriti nel campo della Cultura, dell'Arte e della Scuola.
Ma il riconoscimento più significativo e duraturo è quello venuto nel 1979 dalla Città di Vittorio
Veneto che ha voluto intitolare al suo nome una via nel rione SS. Pietro e Paolo su proposta del
consigliere Sergio Santorio.
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