Le domande poste da Parmenide, Platone e Aristotele sono ancora

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A) Brani sottoposti agli Studenti nell’A. A 2014/2015
«Poiché la rivelazione può, per lo meno, comprendere in sé anche la religione della ragione pura,
ma questa religione non può reciprocamente contenere in sé l’elemento storico della rivelazione, io
potrò, allora, considerare la rivelazione come una sfera più vasta di fede, che include in sé la
religione della pura ragione come una sfera più ristretta (non come due circoli esterni l’uno all’altro,
ma come due circoli concentrici); il filosofo, in quanto insegnante secondo la ragion pura (in base a
puri princìpi a priori), si deve tenere dentro i limiti dell’ultima sfera e, quindi, vi deve fare
astrazione da ogni esperienza. Da questo punto di vista, io posso fare un secondo tentativo, cioè
prendere come punto di partenza una rivelazione ammessa come tale e, facendo astrazione dalla
religione della ragion pura (in quanto costituisce un sistema sussistente di per sé), considerare la
rivelazione, in quanto sistema storico, nei suoi concetti morali in modo frammentario, e vedere se,
in questo modo, si è ricondotti al medesimo sistema razionale puro di religione» (I. Kant, Seconda
Prefazione a La religione nei limiti della semplice ragione, 1794).
«Gli intellettuali si sviluppano lentamente, molto più lentamente di qualsiasi altro gruppo sociale,
per la stessa loro natura e funzione storica. Essi rappresentano tutta la tradizione culturale di un
popolo, vogliono riassumerne e sintetizzarne tutta la storia (…). Pensare possibile che esso possa,
come massa, rompere con tutto il passato per porsi completamente sul terreno di una nuova
ideologia, è assurdo. È assurdo per gli intellettuali come massa, e forse assurdo anche per
moltissimi intellettuali presi individualmente, nonostante tutti gli onesti sforzi che essi fanno e
vogliono fare. Ora a noi interessano gli intellettuali come massa, e non solo come individui. È certo
importante e utile per il proletariato che uno o più intellettuali, individualmente, aderiscano al suo
programma e alla sua dottrina, si confondano col proletariato, ne diventino e se ne sentano parte
integrante. Il proletariato, come classe, è povero di elementi organizzativi, non ha e non può
formarsi un proprio strato di intellettuali che molto lentamente, molto faticosamente e solo dopo la
conquista del potere statale. Ma è anche importante e utile che nella massa degli intellettuali si
determini una frattura a carattere organico, storicamente caratterizzata: che si formi, come
formazione di massa, una tendenza di sinistra, nel significato moderno della parola, cioè orientata
verso il proletariato rivoluzionario» (A. Gramsci, La questione meridionale, Antologia di scritti, a
cura di F. De Felice e V. Parlato, Roma 1972, pp. 159-160).
«Quando si parla di “senso politico” si pensa subito al senso della convenienza, dell’opportunità,
della realtà, di ciò che è adatto allo scopo, e simili. E si considerano forniti di senso politico coloro
che a quel modo operano o a quel modo giudicano l’altrui operare e, per contrario, privi di senso
politico quegli altri, che diversamente si comportano, ancorché abbondino di morali intenzioni e si
accendano a nobilissimi ideali. È irragionevole dunque - con siffatto riconoscimento, si può dire,
quotidiano, - ripugnare poi alla dottrina che l’azione politica non sia altro che azione guidata dal
senso dell’utile, indirizzata ad un fine di utilità, e che per sé non possa qualificarsi né morale né
immorale. Forse il motivo della ripugnanza, in ispecial modo a quest’ultima proposizione, è da
riporre nell’inconsapevole sostituzione che si suol fare del concetto dell’utile con quello
dell’egoistico; quantunque già Aristotele ammonisse a non confondere l’amore di sé col cattivo
amore di sé, e quantunque tutto lo svolgimento del pensiero moderno, e le molteplici discipline
formatesi intorno all’operare pratico dell’uomo, inculchino questa differenza e redimano il concetto
dell’utile» (B. Croce, Etica e politica, Bari 1967, p. 171).
«La storia della filosofia è profondamente diversa da quella della scienza. Le dottrine passate e
abbandonate non hanno più per la scienza significato vitale; e quelle ancora valide fanno parte del
suo corpo vivente e non c’è bisogno di rivolgersi alla storia per apprenderle e farle proprie. In
filosofia la considerazione storica è invece fondamentale; una filosofia del passato, se è stata
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veramente filosofia, non è un errore abbandonato e morto, ma una fonte perenne di insegnamento e
di vita. In essa si è incarnata ed espressa la persona del filosofo, non solo in ciò che aveva di più
suo, nella singolarità della sua esperienza di pensiero e di vita, ma nei suoi rapporti con gli altri e
col mondo in cui egli visse. E alla persona dobbiamo rivolgerci per riscoprire il senso vitale di ogni
dottrina. Dobbiamo fissare in ogni dottrina il centro intorno al quale gravitarono gli interessi
fondamentali del filosofo, e che è insieme il centro della sua personalità di uomo e di pensatore.
Dobbiamo far rivivere davanti a noi il filosofo nella sua realtà di persona storica per intendere
chiaramente, attraverso l’oscurità dei secoli obliosi o le tradizioni deformanti, la sua parola
autentica, che ancora può servirci di orientamento e di guida» (N. Abbagnano Storia della filosofia,
Torino 1961, Prefazione, pp. XV-XVI).
B) Temi sottoposti agli Studenti nell’A. A 2014/2015
«Quali sono a suo parere i principali problemi che assillano l’umanità odierna sul piano
dell’etica?».
«In che modo, oggi, possono configurarsi i rapporti tra scienza e filosofia?».
«In che modo, oggi, possono configurarsi i rapporti tra religione e filosofia?».
«A suo parere, quali relazioni debbono sussistere tra riflessione filosofica e prassi politica?».
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