Vite contro vento I Il rimedio nella tempesta 1. La nascita della meraviglia La filosofia non è un’arte che cerca il favore popolare e non è fatta per essere ostentata; non consiste nelle parole, ma nei fatti. Di essa non ci si vale per far trascorrere piacevolmente le giornate, per eliminare il disgusto che viene dall’ozio: educa e forma l’animo, regola la vita, governa le azioni, mostra ciò che si deve o non si deve fare, siede al timone e dirige la rotta attraverso i pericoli di un mare agitato.1 Questa frase di Seneca mette fortemente in risalto il fatto che la filosofia non possa essere centrata solo sulla trasmissione dei contenuti storici. Sono convinta che essa nasca dall’esigenza dell’uomo di rispondere agli interrogativi della vita più inquietanti e inesplicabili, essendo, la filosofia, come dice Aristotele, attività teoretica “nata dal dolore e dalla meraviglia”. Riprendendo uno spunto di Platone, Aristotele sostiene che gli uomini sono spinti a filosofare dalla “meraviglia” (tháuma) che essi provano quando, di fronte agli accadimenti del mondo, ne ignorano le cause. Cercano quindi la filosofia perché vogliono conoscere: chi dubita e/o si meraviglia riconosce di non sapere. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. La filosofia, dunque, non è ricerca volta al conseguimento di qualche vantaggio che sia estraneo a essa. Come diciamo che uomo 1 Seneca, Lettere a Lucilio. 17 Nicoletta Poli libero è colui che non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: solo la filosofia è fine a se stessa.2 Tuttavia la parola greca tháuma, che traduciamo con “meraviglia”, ha un significato molto più intenso, poiché indica anche lo stupore attonito di fronte a ciò che è strano, imprevedibile, orrendo, mostruoso. Se, infatti, non si conoscono le cause di ciò che accade, allora l’accadimento delle cose è inquietante e diventa la fonte di ogni terrore e angoscia. E anche di ogni dolore, perché la sofferenza è insopportabile quando non è spiegabile. Affermando che la filosofia nasce dalla meraviglia, Aristotele intende forse dire che essa nasce dal terrore provocato dall’imprevedibilità del divenire della vita? La tragedia greca viene alla luce proprio all’interno del senso inaudito del divenire, evocato sin dagli inizi dal pensiero filosofico. Conoscendo le cause del divenire, la filosofia rende prevedibile l’imprevedibile, lo inserisce nella spiegazione stabile del senso del mondo, e quindi appronta il rimedio contro il terrore della vita.3 Così come anche la scienza e la tecnica, che si mostrano capaci di regolare e guidare il corso del mondo in forme e modi che stanno sotto gli occhi di tutti. Due rimedi contro l’inquietudine, due modalità epistemologiche differenti. Mentre nel Seicento e nel Settecento erano presenti figure di filosofi che erano anche scienziati (valgano per tutti Cartesio e Pascal), nell’Ottocento le diverse forme del sapere scientifico diventano sempre più indipendenti dal sapere filosofico tradizionale e si specializzano nell’uso di linguaggi, metodi e strumenti che sempre più si distanziano dal concettualizzare filosofico. Crescono gruppi sociali che non vedono nella filosofia la capacità di risolvere i problemi specifici che, di volta in volta, si stagliano sullo sfondo del terrore della vita. Ma torniamo ad Aristotele. Dolore e meraviglia sono le esperienze sulle quali la filosofia, esercitando il pensiero, costruisce la conoscenza, senz’altro scopo che conoscere. Questo in un panorama algido e inospitale: l’uomo si troverebbe esposto all’assoluta sorpresa del niente, di un divenire che risuc2 Aristotele, Metafisica I, 2, 982b. Nella storia della civiltà occidentale la filosofia, proprio in quanto contemplazione pura e disinteressata delle cause del divenire, è stata il primo formidabile strumento con il quale l’uomo dell’Occidente ha proceduto a soddisfare il proprio fondamentale interesse: la liberazione dal terrore della vita. Al culmine della storia occidentale, l’altro grande strumento – l’altro grande rimedio contro il terrore – è diventata l’organizzazione scientifico-tecnologica dell’esperienza. 3 18 Vite contro vento chia il senso degli eventi i quali, dunque, si perdono, si annullano nel siderale universo e si sottraggono in modo radicale a ogni anticipazione e previsione. La filosofia, in tale ottica, sarebbe tesa verso una direzione di primo acchito contraddittoria: l’epistéme,4 verità incontrovertibile che intende svelare il senso e l’origine del divenire e, al contempo, lucida analisi dell’imprevedibilità estrema del divenire, della radicale impossibilità di anticipare, in una legge immutabile, il divenire del mondo. Certo è che, nel momento in cui ci si interroga, in quel preciso istante, nasce la filosofia. Nella tempesta e nel terrore, in un divenire temibile perché incomprensibile, la filosofia si pone come una ragionevole – anche se non sempre completamente esaustiva – risposta alle domande dell’uomo. Raffiguriamoci la Terra nell’Universo, entro l’oscura immensità dello spazio. Al suo confronto, essa è come un minuscolo granello di sabbia sulla cui superficie vive un ammasso caotico, confuso e strisciante di animali che si pretendono razionali e che hanno, per un istante, inventato la conoscenza (cfr. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, 1873, pubblicato postumo). Ma non importa, bisogna conoscere, domandare. Anzi, è proprio in questa infinita piccolezza che si inizia a trovare la via per accrescere le proprie conoscenze. La filosofia risponde alle domande dell’uomo. Filosofia è dialogo. E il dialogo non è un gioco, è una cosa seria. Il dialogo, come dire, “sbroglia matasse”, non è solo distruttivo, arriva a una sorta di “verità provvisoria”, come ben ci insegna Socrate. È la domanda – ma non un qualsiasi domandare – che permette di rispondere ed è all’origine della filosofia. Sostiene Heidegger: 4 Epistéme (dal greco '!($)&µ*: epi “su” e histamai “stare”, “porre”, “stabilire”) è un termine che indica la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che si stabilisce su fondamenta sicure. Il termine epistéme viene spesso tradotto semplicemente come “scienza” o “conoscenza” e in epoca moderna con il termine epistemologia viene inteso lo studio storico e metodologico della scienza sperimentale e delle sue correnti. L’epistéme per Platone rappresenta la forma più certa di conoscenza, che assicura un sapere vero e universale. Esso può essere ottenuto in due modi: tramite ragionamento (diánoia) o intuizione (nóesis), entrambi comunque complementari tra loro. Come per Platone, anche per Aristotele l’epistéme rappresenta la forma di conoscenza più certa e più vera, contrapposta all’opinione. Anche lui distinse due percorsi conoscitivi: al livello più alto c’è l’intuizione intellettuale, capace di “astrarre” l’universale dalle realtà empiriche, che si ha quando l’intelletto umano, non limitandosi a recepire passivamente le impressioni sensoriali dagli oggetti, svolge un ruolo attivo che gli consente di andare oltre le loro particolarità transitorie e di coglierne l’essenza in atto. Il secondo procedimento, enunciato nella forma deduttiva del sillogismo, è quello della logica formale, di cui Aristotele è stato il primo teorizzatore in Occidente. 19 Nicoletta Poli (...) fondamentale non è il conoscere, ma il domandare, trovare la domanda 5 autentica, la domanda legittima. E quanti soggetti andavano da Socrate e domandavano, cercavano un rimedio alla loro inquietudine? L’idea che la filosofia possa essere d’aiuto ai problemi dell’esistenza non è certo nuova. L’ideale ellenistico del filosofo era quello di un medico compassionevole la cui arte era in grado di curare numerosi tipi di sofferenza umana. Epicuro esprime un sentimento comune a tutte le scuole dell’antichità greco-latina quando afferma che la filosofia è “terapia delle passioni”: nata nel VII secolo a.C., non solo come conoscenza ma come pratica di vita, nel mondo antico la filosofia era vista come lo strumento per comprendere le ragioni del mondo e dell’essere al mondo. Ed è proprio la figura di Socrate che fa emergere nella coscienza occidentale il richiamo alla coscienza morale.6 Nel dialogo socratico, alla fine – dopo un lungo e tortuoso cammino spirituale – si giunge sempre a rendere conto di sé, della propria esistenza. Il filosofo non insegna, in questo dialogare, bensì obbliga l’interlocutore a osservare attentamente se stesso prendendosi cura di sé, a occuparsi dei propri progressi interiori, delle proprie involuzioni o superficialità. E parlando del dialogo con il proprio interlocutore: (…) arrecherò il massimo beneficio cercando di persuaderlo a preoccuparsi meno di ciò che ha che di ciò che è, per diventare eccellente e ragionevole tanto 7 quanto è possibile. A esempio Socrate costringe Alcibiade a confessare a se stesso le proprie mancanze, spesso fino a non ritenere più possibile comportarsi come in passato. Nelle Nuvole Aristofane, forse influenzato dalle pratiche socratiche: 5 Heidegger, riprendendo la frase di Leibniz, considera “la prima di tutte le domande” la seguente: “Perché vi è in generale l’essente e non il nulla?”, definendola la domanda più vasta, più profonda e più originale. Cfr. M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano, 1990, pagg. 13-16 6 Il Socrate storico rappresenta un enigma probabilmente insolubile, ma la sua figura, quale è disegnata da Platone, Senofonte e Aristotele, è un fatto storico ben documentato. Cfr. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, nuova edizione ampliata, Einaudi, 2002, p. 43, nota 2. 7 Platone, Apologia di Socrate, 36 b-c (TP, I, pp. 61, 62). 20 Vite contro vento Medita adesso e concentrati profondamente con tutti i mezzi, avvolgiti su te stesso concentrandoti. Se cadi in qualche difficoltà, corri svelto in un altro punto (…). Non ricondurre sempre il tuo pensiero a te stesso, ma lascia che la tua mente prenda il volo nell’aria, come uno scarabeo che un filo trattiene 8 per una zampa. Anche il dialogo con se stesso è un brivido, l’apertura di uno spazio interstellare, del senso della propria vita sulla terra. Il prendere coscienza che il destino umano si governi affrontando gli impedimenti con la tranquillità della ragione, sfuggendo alle auto-difese inutili e alle reliquie dei pregiudizi del passato. È la scelta della conoscenza, la decisione di vivere con i problemi finché non scaturisca una luce, una sorta d’illuminazione. È la scelta di vivere filosoficamente, come dice lo stoico Seneca: Dobbiamo rifugiarci nella filosofia; questa disciplina ispira un sacro rispetto non solo alle persone oneste, ma anche agli uomini non del tutto malvagi. L’eloquenza forense e qualunque altra cosa possa avere influenza sul popolo, crea avversari: la filosofia, invece, pacifica e, presa dalle sue occupazioni, non può essere oggetto di disprezzo, viene anzi tenuta in considerazione in tutte le professioni anche dagli uomini peggiori. Mai la perversità sarà tanto potente, mai si congiurerà a tal punto contro le virtù che il nome della filosofia non rimanga sacro e venerabile; bisogna però occuparsene con se9 rietà e moderazione. Senza la filosofia l’anima è malata. Nessuno può vivere felicemente senza l’amore per la saggezza. Solo con questo atteggiamento, che è quello di guardare sempre all’insieme e alla universalità, il tháuma si può trasformare in empatia con il dolore proprio e dell’universo intero, aprendosi al mondo della libertà e della profonda comunicazione con la propria e altrui umanità. Solo con il dominio di sé, secondo Seneca, ci si può sottrarre alla oppressione dei propri incauti desideri: Noi diciamo che c’è una successione di cause cui il fato è concatenato: tale è la successione dei desideri: nascono l’uno dall’altro. Ti sei cacciato in un sistema di vita che mai porrà fine da sé alle tue miserie e alla tua schiavitù: 8 Aristofane, Nuvole, 700-706, 761-763 in V. Coulon, H. Van Daele, Aristophanes, Les belles Lettres, Parigi, 1948-1958). 9 Seneca, Lettere a Lucilio, Libro II, 11. 21 Nicoletta Poli sottrai al giogo il collo ormai consunto; meglio un taglio netto che una 10 continua oppressione. I progressi interiori non si misurano in base ai discorsi o agli scritti, ma in base alla fermezza d’animo e al controllo delle passioni. La filosofia insegna ad agire, non solo a parlare e argomentare, ed esige che la vita non sia in discrasia con le parole. L’uomo che fugge la fatica e non dimostra un coraggio crescente di fronte alle difficoltà non è né forte né valoroso. Il vero bene viene dagli onesti propositi, dalle rette azioni, dal disprezzo del caso, da una coerente filosofia di vita. E ancora Seneca: Sono pochi quelli che decidono di sé e delle proprie cose a ragion veduta: gli altri, come gli oggetti che galleggiano nei fiumi, non avanzano: vengono trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati più lentamente da una corrente più debole, altri trascinati con maggiore violenza, altri deposti vicino alla riva da una corrente meno forte, altri gettati in mare dall’impeto delle acque. Dobbiamo, perciò stabilire che cosa vogliamo e perseverare nei nostri propositi. La vera forza d’animo non la mettono in luce le dispute filosofiche e le conversazioni letterarie, le parole raccolte dall’insegnamento dei saggi e i 11 discorsi eruditi: anche gli uomini più vili sono capaci di parole coraggiose. Non si può sfuggire al destino, si può solo vincerlo. E ancora: Perché vogliamo ingannarci? Non viene dall’esterno il nostro male: è dentro di noi, sta nelle nostre stesse viscere e, perciò difficilmente possiamo guarire: 12 ignoriamo di essere malati. Dunque indubbiamente la filosofia aiuta a correggere noi stessi, poiché ci traghetta a un bene che possediamo per sempre: la virtù. E la virtù non si disimpara. Essa è secondo natura, mentre i vizi sono ostili e avversi. Ed ecco il potere taumaturgico della filosofia: Ma solo la filosofia può destarci, può scuoterci dal nostro sonno profondo: dedicati a lei completamente, tu ne sei degno ed essa è degna di te: stringetevi l’uno all’altra. Respingi tutto il resto con forza, apertamente; non ci si può 10 Seneca, Lettere a Lucilio, Libro III, 10. Ibidem, Libro III, 8. 12 Ibidem, Libro V, 4. 11 22 Vite contro vento dedicare alla filosofia di tanto in tanto. (…) Metti da parte ogni impedimento e dedicati alla saggezza: nessuno può arrivarvi se ha mille impegni. La filosofia esercita il suo potere; il tempo lo accorda lei, non lo riceve da noi; non è un’attività accessoria, ma fondamentale; è padrona, ci sta dappresso e ci comanda. (…) Dice la filosofia per ogni cosa: “Non ho intenzione di accettare il tempo che vi avanza: voi avrete quello che io stessa rifiuterò”. Rivolgile tutta la tua attenzione, stalle vicino, venerala: ci sarà un grande divario tra te e gli altri; sarai superiore di molto a tutti gli uomini e gli dèi non saranno di molto superiori a te. Chiedi quale differenza ci sarà tra te e loro? Vivranno più a lungo. (…) Ma c’è qualcosa in cui il saggio può essere superiore a Dio: egli non teme nulla per merito della sua natura, il saggio per merito suo. (…) Ecco una gran cosa, avere la debolezza di un uomo e la tranquillità di un dio. È incredibile la forza della filosofia nel respingere ogni attacco della sorte. Nessun’arma si conficca nel suo corpo; è ben difesa e salda; certi dardi li neutralizza e, come se fossero colpi leggeri, li para con le pieghe dell’ampia veste, altri li rende vani e 13 li respinge contro chi li aveva scagliati. Insomma, se uno vuole essere felice si convinca che l’unico bene è la virtù e che bisogna filosofare affinché si possa raggiungere. Se l’anima è al sicuro, possiamo essere colpiti, non catturati. 14 Non esiste filosofia senza virtù né virtù senza filosofia. La filosofia è ricerca di virtù, ma attraverso la virtù stessa; e la virtù non può esistere senza la ricerca di sé, né la ricerca della virtù senza la virtù. La filosofia è teoretica e pratica insieme: osserva e contemporaneamente agisce. Della filosofia, però, non ci si dovrà vantare praticandola con insolenza e arroganza. Un grande insegnamento, quello di Seneca. La filosofia, intesa come ciò che forma e plasma l’animo, dà ordine alla vita, dirige le azioni, (…) siede al timone 15 e regola la rotta attraverso i pericoli di un mare in tempesta offre conforto e rimedio all’uomo davanti al nulla e all’orrore del mondo, concentrandosi sulla propria vita per governarla meglio. E ciò non esclude la conoscenza del mondo, ma solleva l’uomo dalla pesantezza delle verità incon13 Ibidem, Libro VI, 8, 9, 10, 11, 12. Ibidem, Libro VIII, 19. 15 Ibidem, Libro XVI, 3. 14 23 Nicoletta Poli trovertibili. Dall’incommensurabile e irraggiungibile perfezione della sua vita. Come dire, con Lahav: una migliore comprensione della tua visione del mondo, cioè del modo in cui concepisci te stesso e il tuo ambiente, ti aprirà probabilmente nuovi modi di 16 relazionarti a te stesso e al tuo mondo. Una comprensione relativa al senso della vita e della morte, alla paura di soffrire, all’inestirpabile voglia di sperare, di comunicare, ma anche di guardarsi indietro, dicendo che la nostra vita è consapevolmente dignitosa e che, dunque, la morte non può che inchinarvisi per celebrarla: Lo vedi la vita è questa l’originaria tenzone fra la terra e il cielo il seme e il vecchio e tu testardo sali verso lo stellato sogno e implori che non ti sia tolto nulla di quanto già non ti sia stato tolto ché tonda è la vita immacolata e lorda è la vita cosa pagheresti per versare lacrime senza sentir dolore e adagiarti sulle primavere di sole col tempo che non passa che dice eccoti ora ritorna il languore il bianco amore che solo potrebbe niente è perduto puoi ancora avere un figlio sparger di dorati semi il cosmo fischiar nell’erba all’infinito imporporare di pii gerani le tue mani ma non vedi quanto tutto questo è poco puoi solo girare nell’universo e inventare tante parole macigni di parole parole come pietre pietre come parole di alberi alberi come mattoni di piogge 16 L. Ran, Comprendere la vita, Apogeo, Milano, 2004, pp. 20-21. 24 Vite contro vento piogge come pietre di mattoni fatti di alberi e a rincorrer tutto ti perdi ché tutto s’insassa nel tondo ché le primavere non arrestano il corso quelle lunghissime ore a confidar nella morte quella morte che sola d’un tratto restituisce intera la vita e irrepetibile unica 17 t’innalza nel marmo. Un ritorno dell’io alla coscienza della propria unicità, a un io liberato, aperto all’universalità e all’oggettività. E alla morte. Quasi una conversione, un cambiamento di visione della propria e dell’altrui vita in una cornice di attenzione a se stesso, di vigilanza su una sorta di virtù cosmica. Un uomo vigile che si meraviglia, prova un brivido solare davanti al subbuglio del mondo, ma che è sempre perfettamente cosciente non solo di ciò che fa, ma anche di ciò che è, ossia della sua posizione in quel cosmo e del suo rapporto con il thauma e la morte. Vite contro vento, sempre messe alla prova, ma come coraggiosi fari nella tempesta che sfidano mareggiate e venti forti. 2. La nascita della filosofia nella polis Qual è l’ambito della consulenza filosofica e del consulente filosofo? La sua finalità non è estranea all’ambito filosofico anche quando incontra nel dialogo forme di disagio, di disadattamento e di sofferenza esistenziale. Formulato in estrema sintesi, l’ambito specifico della consulenza filosofica è costituito dall’approfondimento, l’esplicitazione e l’interpretazione del senso della vita e dell’esistenza individuale in quanto tale, ossia nella sua totalità fenomenica e nel suo divenire. È un’azione filosofica che opera sui concetti e sulle idee, in base al presupposto che, spesso, i disagi dipendono da una visione distorta della realtà. Rappresenta, per così dire, un luogo ove parlare delle questioni umane, esistenziali e impossibili da defi- 17 N. Poli, Tu che non ritorni, raccolta di poesie inedite di prossima pubblicazione. 25 Nicoletta Poli nire una volta per tutte, un luogo ove fare le domande kantiane riformulate da Gerd Achenbach: Che cosa so? Che cosa faccio? Che cosa spero? Chi sono? 18 Come sostiene Foucault, l’analisi dell’archeologia delle scienze umane non è basata sulla storia delle idee e/o su modelli scientifici, ma è piuttosto uno studio che cerca di scoprire cosa ha reso possibile conoscenze e teorie, su quale base si è costituito il sapere, su quale “a priori” storico sono venute alla luce determinate idee, si sono sviluppate determinate scienze e si sono create determinate filosofie di vita. La consulenza filosofica procede cercando di comprendere quali sono i presupposti sui quali un soggetto ha costruito la propria vita: credenze, abitudini, dolori, talenti, desideri, idee del proprio sé e del mondo, del senso del divenire e del suo essere uomo all’interno della sua polis, del suo luogo concreto in cui lavora, esercita diritto di cittadinanza, forma una famiglia… Insomma, su quali presupposti ha basato il suo stile di vita, la sua filosofia, la sua epistéme. Ognuno, come Atlante, regge sulle spalle la volta del cielo o il globo terrestre in base alla propria visione del mondo ed è necessario reinterpretarla quando essa diventi un peso più che una conquista o una bussola. A questo serve il filosofare. A questo serve il consulente filosofo, che sostiene il consultante nel fare chiarezza nella sua vita, nel lavorare con modalità proprie per migliorare la qualità della sua esistenza. Questo utilizzando la filosofia nella sua accezione più significativa, seppur suggestiva, ossia intendendola come dialogo. Come ben sostiene Neri Pollastri: (...) in altre parole, ho proposto di considerare che “filosofia” non stia a significare in primo luogo “contenuti del sapere”, teorie, Weltanschauungen o strumenti logico-argomentativi, certo a essa necessari, ma mai sufficienti a darne una definizione condivisa – bensì la sua processualità – il filosofare – e il suo motore interno – il quale, sin dalle origini nella antica Grecia, è costituito dalla critica orientata alla comprensione, dal dubbio metodico, dall’epoché 19 esplorativa... In breve, dal socratico sapere di non sapere. 18 19 G. Achenbach, La consulenza filosofica, Apogeo, Milano, 2004, p. 37. N. Pollastri, Il pensiero e la vita, op. cit., p. 129. 26 Vite contro vento Insomma, “un processo libero e autoguidato”20 che trova in itinere il proprio metodo e giustificazione. Un filosofare critico, continuamente disposto al dialogo e alla messa in discussione dei principi da cui magari si era partiti, stimolato da una complessa e costante improvvisazione del filo del pensiero, consapevole delle ovvietà e a loro ostile, aperto alla meraviglia, talvolta critico, talvolta molesto, ma sempre permeato da un forte spirito di ricerca. Per arrivare dove? Dove forse la profezia si auto-avvera? O in un luogo ospitale ove ci si può distendere, sapendo che nessuno ci potrà colpire? Oppure in un luogo del pensiero ove il labirinto non è un passaggio da evitare, ma da accogliere come opportunità per poter conoscere e comprendere meglio il mondo? La consulenza filosofica non sana, non lenisce, non aiuta la persona a “modellizzare” il suo male per poi restituirsi delle risposte certe. È invece più simile a un labirinto dialogico che il filosofo stimola continuamente, che infiamma, per dirla con Achenbach: non troviamo in essa un alleggerimento dei problemi (…) essa procura il 21 combustibile per infiammarli. Il filosofo destabilizza, ricompone, destabilizza nuovamente, riprogetta il pensiero e lo demolisce subito dopo fino alla rimessa in discussione dei principi da cui è partito. Egli rende come tracciabile una mancanza, una (...) sensazione che nelle loro vite manchi qualcosa dotato di un significato 22 più alto. Solo nel momento in cui si rende visibile tale mancanza la domanda diventa filosofica. Così diventano non evitabili le seguenti domande, che fanno tesoro, oltre che dei testi di Viktor Frankl, anche di quelli di Pietro Giordano, Romano Madera e Claudio Widmann:23 qual è il mio “lager”? Qual è il mio destino, cioè il lager inevitabile a cui sono destinato? E qual 20 N. Pollastri, “Filosofia, nient’altro che filosofia” in Filosofia praticata, Girolamo editore, Trapani, 2008, p. 25. 21 G. Achenbach, La consulenza filosofica, op. cit., p. 86. 22 R. Lahav, Comprendere la vita, Apogeo, Milano, 2004, p. 167. 23 Sono letture filosoficamente ed esistenzialmente importanti: V. Frankl, Uno psicologo nei lager, Ares, 1999; P. Giordano, Logoanalisi, Città Nuova Editrice, 1992; R. Madera, Il nudo piacere di vivere, Mondadori, 2006; C. Widmann, Sul destino, Edizioni Magi, 2006. 27 Nicoletta Poli è, nonostante esso, anzi IN esso, il mio compito, quali sono le mete e i valori che danno senso alla mia vita e la rendono degna di essere vissuta, anzi la rendono comunque gioiosa? Come soddisfo la mia volontà di senso? Sono, nonostante il destino, felice (perché o sono felice ora o non lo sarò mai)? Quanto partecipo consapevolmente e attivamente al fluire degli eventi? Funziono e basta oppure vivo? Quanto sono libero, nonostante il destino? Sono oppure no più forte del destino? Sperimento il nudo piacere di vivere? Riconosco i miei reali bisogni naturali e necessari? Sono capace, nonostante il destino, di guardare avanti? E cosa vedo? E quando mi guardo indietro, nonostante eventuali errori o colpe, invece di recriminare e di avere rimpianti, colgo quale senso hanno avuto le mie esperienze? Colgo in che modo mi hanno fatto diventare quel che sono? Colgo cosa hanno apportato alla mia vita? Fare filosofia significa fare pratica del pensiero critico, della domanda perché? e del chiedere ragione. Chiedere ragione di ciò che è stato fatto e chiedere evidenza, di nuovo ragione, di ciò che è stato detto: chiedere giustificazione. Ma è solo questo? Forse no, l’uomo si deve sentire significante. Un assunto fondamentale della teoria e della pratica logoterapeutiche elaborate da Viktor Frankl24 è che la persona, per essere pienamente se stessa, soprattutto deve dare soddisfazione alla sua volontà di senso: ciò avviene quando la si mette a fuoco e si perseguono scopi e valori della propria esistenza e quando si progetta, si trascende, dando senso alla propria vita. L’esercizio “i miei lager”, così come la consulenza filosofica, invita la persona a scoprire le proprie risorse anche in situazioni limite, caratterizzate da estrema sofferenza (Viktor Frankl, poiché ebreo, era passato da Auschwitz e, nonostante il contesto, aveva sperimentato la possibilità di trovare scopi e valori, quindi senso, a prescindere dalle condizioni limite dal punto di vista materiale e psichico). La motivazione principale dell’uomo non è, come diceva Freud, il principio del piacere, né la volontà di potenza, bensì “la volontà di significato”, il desiderio di trovare un senso, uno scopo alla propria vita. Il male del nostro tempo, spesso, è proprio la frustrazione esistenziale che può anche portare alla disperazione, alla depressione e a 24 La sua opera Uno psicologo nei lager racconta la sua deportazione e le sue osservazioni sulla forza di volontà dimostrata da coloro che erano riusciti a trovare un senso alla loro esistenza. Vedasi V. Frankl, Uno psicologo nei lager, op. cit. 28 Vite contro vento guai peggiori. Da tali premesse riecheggiano queste parole suggestive, sempre di Frankl: Che cos’è, dunque, l’uomo? Noi l’abbiamo conosciuto come forse nessun’altra generazione precedente; l’abbiamo conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro potere, fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l’uomo può “avere”, ma ciò che l’uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l’uomo nella sua essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos’è, dunque, 25 l’uomo? domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è. Come dire: cerchiamo di essere orgogliosamente umani, accogliendo in noi qualsiasi evento passato o futuro, spolpandolo fino a corroderne il significato ovvio, fino a tirarne fuori il succo della vita dalle varie sfaccettature. Sono convinta che in consulenza filosofica, come in varie attività artistiche, la passione sia il motore. Ma anche la passione deve avere una radice, deve nascere da qualcosa, come scrive Boris Pasternak:26 (...) voglio dunque scorgere le cause del motore umano, udire il primo scoppio silenzioso, scorgere la prima scintilla che brucia chissà quale sangue e di quale colore sia (...). Nel dialogo filosofico tra consulente/consultante, insieme, questi due liberi pensatori cercano di arrivare a una maggiore e più profonda comprensione della propria vita. E ancora Boris Pasternak:27 In ogni cosa ho voglia di arrivare sino alla sostanza. Nel lavoro, cercando la mia strada, nel tumulto del cuore. Sino all’essenza dei giorni passati, sino alla loro ragione, sino ai motivi, sino alle radici, sino al midollo. Eternamente aggrappandomi al filo dei destini, degli avvenimenti, sentire, amare, vivere, pensare eventuali scoperte. Gli individui che vivono in modo problematico alcuni passaggi critici della loro esistenza e sentono l’esigenza di riflettere sulla propria concezione del mondo, provando a introdurre miglioramenti/rinnovamenti secondo 25 V. Frankl, Homo patiens. Soffrire con dignità, a cura di E. Fizzotti, Queriniana, Brescia, 2007. B. Pasternak, Poesie, a cura di A. Maria Ripellino, Einaudi, Torino, 2011. 27 Ibidem. 26 29 Nicoletta Poli logica e razionalità, intraprendono, nella consulenza filosofica, un percorso per giungere alla consapevolezza del proprio procedere metacognitivo, che servirà, in seguito, a procedere da soli. Il dialogo serve ad aiutare il consultante in un viaggio personale la cui meta è prettamente soggettiva e consiste in un’evoluzione della visione del mondo. Ma perché il dialogo abbia successo vi deve essere la massima libertà e sincera intenzione di avviarsi insieme al filosofo verso il percorso migliorativo, che apre a nuovi mondi, a nuove prospettive, che fa guadagnare punti di vista inediti per migliorare la qualità della propria vita. La consulenza filosofica è, a mio parere, destinata a coloro che desiderano affrontare un discorso personale di crescita ed evoluzione senza la pretesa di arrivare a una verità assoluta, algida, in un certo senso auto-viziata. Come scrive T. W. Adorno: (...) la verità non è qualcosa di stabile, che si tiene in mano e si può portare tranquillamente a casa (…). La verità è sempre qualcosa di eccezionalmente 28 fragile (...). Questo percorso, costellato di tante domande, verità provvisorie come punti fermi in divenire, può rendere visibile la caverna di platonica memoria, governata da ombre e false credenze. Come scrive Cosentino: Un filosofo può rendere più visibile la caverna in cui ognuno di noi si trova, ma si auto-sospende dall’additarne la via di uscita. Indirettamente può aiutare a comprendere le direzioni che imboccano vicoli ciechi e bloccano il movimento verso l’uscita, ma lascia che ognuno autonomamente trovi (o inventi) la sua uscita per poi, di nuovo, aiutare a percepire le pareti della nuova caverna in cui 29 ci si è cacciati. Il consulente filosofo non è necessariamente chiamato a rendere migliori le cose o ad aiutare a eliminare i problemi, ma piuttosto a renderli comprensibili nella loro complessità, in modo che il consultante possa vivere con essi, piuttosto che contro o a dispetto di essi. Il filosofo non scaccia il problema, ma cerca di cavalcarlo e di socializzarlo nella comunità: 28 29 T. W. Adorno, Terminologia filosofica, tr. it. di A. Solmi, Einaudi, Torino,1975, p. 77 A. Cosentino, Filosofia come pratica sociale, Apogeo, 2008, seconda di copertina. 30 Vite contro vento (...) Una conoscenza non socializzata e completamente scissa dall’azione politica rischia di trasformarsi in sterile fuga nella contemplazione di un 30 Essere tanto separato dal mondo quanto inutile al mondo. Il risultato di un dialogo, in consulenza filosofica, è il lavoro comune del consultante e del consulente, è un appassionato “pensare insieme”. E mi piace molto che sia così, perché è come se la pratica del filosofare individuale si trasferisse nella polis: essa fu un modello di struttura tipicamente e solamente greca che prevedeva l’attiva partecipazione dei cittadini alla vita politica. In contrapposizione alle altre città-stato antiche, la peculiarità della polis non era tanto la forma di governo democratica od oligarchica, ma l’isonomia, ossia il fatto che tutti i cittadini soggiacessero alle stesse norme di diritto, secondo una concezione che identificava l’ordine naturale dell’universo (kósmos) con le leggi della città. Leggi che erano concepite come un riflesso della legge universale preposta a governo del mondo. L’armonia tra la polis e gli individui che la componevano era così il riflesso di quella esistente in natura fra il tutto e le sue singole parti. In virtù di una tale corrispondenza, l’uomo greco era portato a sentirsi organicamente inserito nella sua comunità. Ognuno trovava la propria realizzazione nella partecipazione alla vita collettiva e nella costruzione del bene comune.31 Mi piace pensare che questo modello di armonia tra polis e kósmos possa essere un fine nobile e importante all’interno della nostra società, in cui il filosofo, in quest’epoca di superficialità e orrore, possa indurre a un ritorno alla riflessione, al silenzio della propria coscienza, alla consapevolezza del divenire. Una mission nella nostra Italia nell’epoca di Mappo, come ben spiegavano alcuni rappresentanti del buddismo medievale giapponese32 ritenendo che il mondo fosse entrato in un’epoca di decadenza (Mappo), 30 Ibidem, p. 2. AA.VV., Polis e cosmo in Platone, a cura di E. Rudolph, trad. di E. Cattanei, Vita e Pensiero, Milano, 1997. 32 Secondo il monaco giapponese Nichiren Daishonin nell’epoca di Mappo non è più valido l’insegnamento buddista secondo cui diverse vie possono coesistere per diverse persone. Mappo è il terzo periodo in cui è diviso il tempo che segue la morte di Buddha Shakyamuni: nel Primo Giorno della Legge – Shoho – l’insegnamento di Shakyamuni è trasmesso direttamente al cuore delle persone. Il Medio Giorno della Legge – Zoho – è il periodo in cui inizia la corruzione dell’insegnamento e il compromesso con le autorità politiche. Il terzo periodo – Mappo appunto, che segue di duemila anni la morte di Shakyamuni – è quello in cui la corruzione è totale e ci sono anche conflitti tra i monaci. 31 31 Nicoletta Poli cominciata – secondo l’opinione prevalente – nel 1052. Nella tempesta dell’epoca di Mappo ogni ragionamento filosofico diventa sociale. Mai come oggi è necessario pensare la pratica filosofica con uno sguardo capace di tenere insieme la condizione del non-filosofo e quella del filosofo.33 La filosofia, a mio parere, deve vivere nella polis e nutrirsi d’impegno civile. Ma come possiamo essere attivi in una polis – tanto più perseguendo quel modello di armonia tra polis e kósmos – se non ci si sente pienamente responsabili e consapevoli della propria vita? Lo stesso Platone, se ha orientato verso gli oggetti trascendenti l’eros filosofico, non ha mai negato alla filosofia un ruolo sociale e politico. E Socrate aveva posto nel risveglio della coscienza morale il fulcro della sua pratica. La consulenza filosofica dunque si presenta come esercizio di riflessione che mette in discussione l’ordine dei valori, delle credenze e delle norme dell’individuo; il quale, dopo tale messa in discussione, dovrà uscire, riversarsi nel cosmo siderale e confrontarsi con il mondo da essere libero. E chissà se quel cosmo siderale potrà, un giorno, trasformarsi in una polis accogliente e sinergica con tutti gli esseri umani… Ma prima di confrontarsi con il mondo dovrà riflettere profondamente nella sua nuova caverna, patendo anche il freddo e il gelo, prendendosi filosoficamente cura della vita dei propri pensieri: Si deve essere pronti ad ardere nella propria fiamma: com’è possibile 34 rinnovarsi senza prima essere divenuti cenere? 3. L’uscita nel mare aperto Sono un uomo, e niente di ciò che è umano lo giudico a me estraneo.35 Seneca ci fa riflettere – in veste di consulenti filosofici – sul fatto che chi filosofa si deve occupare della VITA, del nostro ESSERCI come esseri umani nel mondo. Un esserci nel mondo in cui presenzia la vita in tutte le sue sfaccettature: dal dolore alla gioia, dalla finitezza della nostra fisicità alla incommensurabilità della nostra mente, dalle reazioni emotive alla infinita ricchezza del mondo fino alle azioni di tipo educativo nei confronti 33 A. Cosentino, Filosofia come pratica sociale, op. cit. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Longanesi, Milano, 1956. 35 Seneca, Lettere a Lucilio. 34 32 Vite contro vento della società e della stessa psiche dell’individuo. Proprio in relazione a quest’ultima tematica – presente in consulenza come lavoro filosofico con il consultante per arrivare a una comprensione della realtà più completa e coerente – il filosofo consulente può utilizzare esercizi di riflessione, di meditazione al fine di far recuperare al soggetto una sua significatività consapevolizzata nel mondo, una sua dignità di pensatore e di agente indispensabile alla dinamica complessa di questo “terramondo”. Il filosofo consulente è come se facesse partorire o, meglio, semplicemente mettere in luce, stimolare nel consultante, una sorta di fame di vita, di sana ebbrezza di vita. Insomma una 36 vita quasi incorporea condensata in gocce dai secoli. Come se si ricominciasse ogni giorno, filosofando, a rivivere la propria vita pensandola, vivendola nuovamente proprio come afferma Rainer Maria Rilke: (...) Riviverla un’altra volta, quella realtà apparsami là sotto; ripeterla un po’ diversa, un po’ trasformata, ma rifacendomi da principio; ascoltarne la 37 conferma dalla mia stessa voce (...). È un’opportunità – la consulenza filosofica – per rimettersi in gioco e progettare il proprio futuro rifiutando bigottismi e luoghi comuni di ogni genere, da quello culturale a quello religioso, di costume e di stile di vita. Niente perversità culturali, niente -ismi, niente omologazione. La filosofia è rivoluzionaria di default, poiché niente è ovvio, niente è cristallizzato in una specie di urna morbosa e difensiva di un pensiero assoluto. Alla base c’è un “dialogo dialogante”. Qualcosa che, ogni volta, rimette in discussione lo stesso dialogo, il quale si osserva muoversi, articolarsi, arrivare a una sorta di meta per poi porsene un’altra e un’altra ancora: (...) quanto più mutavo d’abiti, tanto più venivo acquistando la certezza d’essere io. Sentivo crescere, via via, in me sempre più la baldanza; mi slanciavo sempre 38 più in alto, perché la mia agilità nel ripossedermi, era fuor di dubbio (...). 36 R. Maria Rilke, I quaderni di Laurids Brigge, trad. it. di F. Ramondino, TEA, Milano, 1988, p. 76. Ibidem, p. 87. 38 Ibidem, p. 96. 37 33 Nicoletta Poli Nella vita vi sarebbe la possibilità di trasmutare in svariate metamorfosi infinite. Perché mai allora privarsi di questo piacere se ciò potrebbe far approdare a un io solido, a un’intima e profonda padronanza di sé, a una maggiore consapevolezza del sé? Un esserci nel mondo che rimette in gioco tutte le nostre risorse latenti, spesso sconosciute. Un rivedere, rivisitare la propria vita, il proprio “circolo vizioso”, trovando un’uscita verso l’esterno, verso l’ebbrezza del mondo, fuori dalla caverna di platonica memoria. Alla ricerca di altri cosmi spirituali, aperti a incontrare genti di altre terre, di altri pianeti. Non sono d’accordo con chi39 – citando Heidegger40 – invita i propri consultanti a immaginare tale percorso come un tragitto circolare che non conduce da nessuna parte, ma che indurrebbe altresì a un “eterno ritorno” sui propri passi, per cui la questione nodale non starebbe nell’uscir fuori dal circolo, bensì nello starvi dentro nella maniera giusta. Sarebbe come dire – tornando a Platone – che il fine della consulenza filosofica è quello di rendere più confortevole al consultante la vita nella caverna. Oppure che impari bene a conoscere la caverna in cui vive per poter stare meglio con se stesso. Dunque dovrebbe forse continuare a convivere con le proprie ombre, con le proprie illusioni? Di contro, graficamente, il percorso me lo raffiguro così: Una sorta di percorso circolare in cui staziona l’uomo, che, a un certo punto, trova un’uscita verso l’esterno (la freccia). Un’uscita dell’uomo dal circolo vizioso, che non necessariamente significa la risoluzione del problema. Un’uscita che prende forma e voce e che induce il consultante a interrogarsi: 39 AA.VV., Filosofia praticata, op. cit., p. 87. M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1990, p. 194: “Se si vede in questo circolo un circolo vizioso e se si mira ad evitarlo o semplicemente lo si sente come un’irrimediabile imperfezione, si fraintende la comprensione da capo a fondo”. 40 34 Vite contro vento Ma è tutta qui la mia vita? Non ci dovrebbe essere qualcosa di più? La mia 41 vita non potrebbe essere più ricca, più grande, più profonda di quel che è? È una voce interiore che si affaccia nel nostro quotidiano e che ci fa intuire l’esistenza possibile di un altro modo di essere. Un richiamo metafisico al nostro sentirci esseri significanti come diceva Frankl? Una voce imperiosa proveniente dall’anima che ci incita a non mentire più? Si mente, a volte, per proteggersi. Ma il gioco diventa crudele. È come attraversare il deserto con un uomo ferito sulle spalle che forse non avrà futuro. L’uomo ferito siamo noi stessi. Noi che ci priviamo del mare aperto, del vento sulla schiuma dell’onda. Noi che viviamo nella polvere, in mezzo a piante assetate di respiro, tra gli insetti sotterrati nel mare, tra la voglia di ombra. La voglia di non vedere. La bugia della vita. Quell’uscita è il mare aperto, un nuovo modo di vedere il mondo e noi stessi nel mondo. Illuminante a tal proposito è Lahav: Ci si potrebbe chiedere perché le persone dovrebbero cercare la consulenza filosofica se non per risolvere i problemi specifici. Penso che la risposta sia che ovunque le persone cercano di migliorarsi, di vivere una vita più profonda, più ricca, migliore, più significativa (…). Non lo fanno per risolvere qualche problema particolare, ma per un bisogno di nuovi orizzonti di senso e di 42 saggezza. (…) È qui che s’inserisce la consulenza filosofica. Talvolta, quando una persona chiede della consulenza filosofica e inizia il percorso non sa dove andrà, è spinto dal disagio, dalla paura di non uscire più dal suo circolo vizioso. Spesso va da un consulente filosofico perché si sente come il nulla, un nulla fitto e inesistente, come se avesse una rivoltella puntata nella gola. La sfida è migliorare la propria persona fino a sostituire quella rivoltella puntata metaforicamente nella gola con uno scopo nella vita. Con una “missione nella gola”. Una missione che possa liberare la persona da pertugi angusti e oscuri per realizzare una vita più piena. Come insegnavano gli stoici e in particolare Marco Aurelio, che sognava una vita in accordo con il logos cosmico. Per fare ciò bisogna meditare, riflettere, forgiare una sorta di cittadella interiore che non viene scalfita dalle tempeste 41 42 R. Lahav, Oltre la filosofia. Alla ricerca della saggezza, Apogeo, Milano, 2010, p. 9. R. Lahav, Comprendere la vita, op. cit., pp. 156-157. 35 Nicoletta Poli della vita. Non sono le cose che turbano l’anima, ma è piuttosto l’anima stessa che introduce nelle cose stesse le proprie inquietudini e i propri turbamenti. Non sono le cose che modificano l’anima, ma l’anima stessa che, se vuole, può modificare le cose stesse, il loro valore: Se ti addolori per una cosa esterna, non è questa cosa a turbarti, ma il tuo 43 giudizio sulla cosa (VIII 47). Come nei Pensieri di Marco Aurelio, ove c’è un preciso nesso strutturale, una chiave sistematica consistente in alcune regole di vita relative a tre tematiche particolari, così, in consulenza filosofica, i punti nodali della vita su cui riflettere sono: il rapporto tra l’individuo e il proprio pensiero, il rapporto dell’uomo con il divenire del mondo e la natura, il rapporto tra l’individuo e gli altri uomini. Sono tematiche alte, ma alto deve essere – a mio modesto parere – l’obiettivo di un filosofo consulente, che, pur prestandosi a vagare per territori semplici o – al contrario – perigliosi e complessi, deve avere sempre presente una sola e unica cosa: la filosofia. Ed essere legato al monito di Marco Aurelio: (...) Mantieniti semplice, buono, puro, serio, senza orpelli, amico del giusto, pio, benevolo, affettuoso, tenace nel compiere il tuo dovere. Lotta per rimanere tale quale la filosofia ha voluto renderti (VI 30, 1-3).44 43 P. Hadot, La cittadella interiore. Introduzione ai “Pensieri” di Marco Aurelio, V&P, 1996, p. X. 44 Ibidem, p. 41. 36