Vite contro vento
I
Il rimedio nella tempesta
1. La nascita della meraviglia
La filosofia non è un’arte che cerca il favore popolare e non è fatta per essere
ostentata; non consiste nelle parole, ma nei fatti. Di essa non ci si vale per far
trascorrere piacevolmente le giornate, per eliminare il disgusto che viene
dall’ozio: educa e forma l’animo, regola la vita, governa le azioni, mostra ciò
che si deve o non si deve fare, siede al timone e dirige la rotta attraverso i
pericoli di un mare agitato.1
Questa frase di Seneca mette fortemente in risalto il fatto che la filosofia non
possa essere centrata solo sulla trasmissione dei contenuti storici. Sono
convinta che essa nasca dall’esigenza dell’uomo di rispondere agli interrogativi della vita più inquietanti e inesplicabili, essendo, la filosofia, come
dice Aristotele, attività teoretica “nata dal dolore e dalla meraviglia”. Riprendendo uno spunto di Platone, Aristotele sostiene che gli uomini sono spinti a
filosofare dalla “meraviglia” (tháuma) che essi provano quando, di fronte agli
accadimenti del mondo, ne ignorano le cause. Cercano quindi la filosofia
perché vogliono conoscere: chi dubita e/o si meraviglia riconosce di non
sapere. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è
evidente che ricercano il conoscere al fine di sapere e non per conseguire
qualche utilità pratica. La filosofia, dunque, non è ricerca volta al conseguimento di qualche vantaggio che sia estraneo a essa. Come diciamo che uomo
1
Seneca, Lettere a Lucilio.
17
Nicoletta Poli
libero è colui che non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre
scienze, la diciamo libera: solo la filosofia è fine a se stessa.2
Tuttavia la parola greca tháuma, che traduciamo con “meraviglia”, ha
un significato molto più intenso, poiché indica anche lo stupore attonito di
fronte a ciò che è strano, imprevedibile, orrendo, mostruoso. Se, infatti, non
si conoscono le cause di ciò che accade, allora l’accadimento delle cose è
inquietante e diventa la fonte di ogni terrore e angoscia. E anche di ogni
dolore, perché la sofferenza è insopportabile quando non è spiegabile.
Affermando che la filosofia nasce dalla meraviglia, Aristotele intende
forse dire che essa nasce dal terrore provocato dall’imprevedibilità del
divenire della vita? La tragedia greca viene alla luce proprio all’interno del
senso inaudito del divenire, evocato sin dagli inizi dal pensiero filosofico.
Conoscendo le cause del divenire, la filosofia rende prevedibile l’imprevedibile, lo inserisce nella spiegazione stabile del senso del mondo, e
quindi appronta il rimedio contro il terrore della vita.3 Così come anche la
scienza e la tecnica, che si mostrano capaci di regolare e guidare il corso
del mondo in forme e modi che stanno sotto gli occhi di tutti. Due rimedi
contro l’inquietudine, due modalità epistemologiche differenti. Mentre nel
Seicento e nel Settecento erano presenti figure di filosofi che erano anche
scienziati (valgano per tutti Cartesio e Pascal), nell’Ottocento le diverse
forme del sapere scientifico diventano sempre più indipendenti dal sapere
filosofico tradizionale e si specializzano nell’uso di linguaggi, metodi e
strumenti che sempre più si distanziano dal concettualizzare filosofico.
Crescono gruppi sociali che non vedono nella filosofia la capacità di
risolvere i problemi specifici che, di volta in volta, si stagliano sullo sfondo
del terrore della vita.
Ma torniamo ad Aristotele. Dolore e meraviglia sono le esperienze sulle
quali la filosofia, esercitando il pensiero, costruisce la conoscenza, senz’altro
scopo che conoscere. Questo in un panorama algido e inospitale: l’uomo si
troverebbe esposto all’assoluta sorpresa del niente, di un divenire che risuc2
Aristotele, Metafisica I, 2, 982b.
Nella storia della civiltà occidentale la filosofia, proprio in quanto contemplazione pura e
disinteressata delle cause del divenire, è stata il primo formidabile strumento con il quale
l’uomo dell’Occidente ha proceduto a soddisfare il proprio fondamentale interesse: la liberazione
dal terrore della vita. Al culmine della storia occidentale, l’altro grande strumento – l’altro grande
rimedio contro il terrore – è diventata l’organizzazione scientifico-tecnologica dell’esperienza.
3
18
Vite contro vento
chia il senso degli eventi i quali, dunque, si perdono, si annullano nel
siderale universo e si sottraggono in modo radicale a ogni anticipazione e
previsione. La filosofia, in tale ottica, sarebbe tesa verso una direzione di
primo acchito contraddittoria: l’epistéme,4 verità incontrovertibile che intende svelare il senso e l’origine del divenire e, al contempo, lucida analisi
dell’imprevedibilità estrema del divenire, della radicale impossibilità di
anticipare, in una legge immutabile, il divenire del mondo. Certo è che, nel
momento in cui ci si interroga, in quel preciso istante, nasce la filosofia.
Nella tempesta e nel terrore, in un divenire temibile perché incomprensibile, la filosofia si pone come una ragionevole – anche se non sempre
completamente esaustiva – risposta alle domande dell’uomo. Raffiguriamoci
la Terra nell’Universo, entro l’oscura immensità dello spazio. Al suo
confronto, essa è come un minuscolo granello di sabbia sulla cui superficie
vive un ammasso caotico, confuso e strisciante di animali che si pretendono
razionali e che hanno, per un istante, inventato la conoscenza (cfr. Nietzsche,
Su verità e menzogna in senso extramorale, 1873, pubblicato postumo). Ma
non importa, bisogna conoscere, domandare. Anzi, è proprio in questa infinita
piccolezza che si inizia a trovare la via per accrescere le proprie conoscenze.
La filosofia risponde alle domande dell’uomo. Filosofia è dialogo. E il dialogo non è un gioco, è una cosa seria. Il dialogo, come dire, “sbroglia matasse”,
non è solo distruttivo, arriva a una sorta di “verità provvisoria”, come ben ci
insegna Socrate. È la domanda – ma non un qualsiasi domandare – che
permette di rispondere ed è all’origine della filosofia. Sostiene Heidegger:
4
Epistéme (dal greco '!($)&µ*: epi “su” e histamai “stare”, “porre”, “stabilire”) è un termine
che indica la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire,
ovvero quel sapere che si stabilisce su fondamenta sicure. Il termine epistéme viene spesso
tradotto semplicemente come “scienza” o “conoscenza” e in epoca moderna con il termine
epistemologia viene inteso lo studio storico e metodologico della scienza sperimentale e
delle sue correnti. L’epistéme per Platone rappresenta la forma più certa di conoscenza, che
assicura un sapere vero e universale. Esso può essere ottenuto in due modi: tramite
ragionamento (diánoia) o intuizione (nóesis), entrambi comunque complementari tra loro.
Come per Platone, anche per Aristotele l’epistéme rappresenta la forma di conoscenza più
certa e più vera, contrapposta all’opinione. Anche lui distinse due percorsi conoscitivi: al
livello più alto c’è l’intuizione intellettuale, capace di “astrarre” l’universale dalle realtà
empiriche, che si ha quando l’intelletto umano, non limitandosi a recepire passivamente le
impressioni sensoriali dagli oggetti, svolge un ruolo attivo che gli consente di andare oltre le
loro particolarità transitorie e di coglierne l’essenza in atto. Il secondo procedimento, enunciato
nella forma deduttiva del sillogismo, è quello della logica formale, di cui Aristotele è stato il
primo teorizzatore in Occidente.
19
Nicoletta Poli
(...) fondamentale non è il conoscere, ma il domandare, trovare la domanda
5
autentica, la domanda legittima.
E quanti soggetti andavano da Socrate e domandavano, cercavano un
rimedio alla loro inquietudine?
L’idea che la filosofia possa essere d’aiuto ai problemi dell’esistenza
non è certo nuova. L’ideale ellenistico del filosofo era quello di un medico
compassionevole la cui arte era in grado di curare numerosi tipi di sofferenza umana. Epicuro esprime un sentimento comune a tutte le scuole
dell’antichità greco-latina quando afferma che la filosofia è “terapia delle
passioni”: nata nel VII secolo a.C., non solo come conoscenza ma come
pratica di vita, nel mondo antico la filosofia era vista come lo strumento per
comprendere le ragioni del mondo e dell’essere al mondo. Ed è proprio la
figura di Socrate che fa emergere nella coscienza occidentale il richiamo
alla coscienza morale.6 Nel dialogo socratico, alla fine – dopo un lungo e
tortuoso cammino spirituale – si giunge sempre a rendere conto di sé, della
propria esistenza. Il filosofo non insegna, in questo dialogare, bensì obbliga
l’interlocutore a osservare attentamente se stesso prendendosi cura di sé, a
occuparsi dei propri progressi interiori, delle proprie involuzioni o superficialità. E parlando del dialogo con il proprio interlocutore:
(…) arrecherò il massimo beneficio cercando di persuaderlo a preoccuparsi
meno di ciò che ha che di ciò che è, per diventare eccellente e ragionevole tanto
7
quanto è possibile.
A esempio Socrate costringe Alcibiade a confessare a se stesso le proprie
mancanze, spesso fino a non ritenere più possibile comportarsi come in
passato. Nelle Nuvole Aristofane, forse influenzato dalle pratiche socratiche:
5
Heidegger, riprendendo la frase di Leibniz, considera “la prima di tutte le domande” la
seguente: “Perché vi è in generale l’essente e non il nulla?”, definendola la domanda più vasta,
più profonda e più originale.
Cfr. M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano, 1990, pagg. 13-16
6
Il Socrate storico rappresenta un enigma probabilmente insolubile, ma la sua figura, quale
è disegnata da Platone, Senofonte e Aristotele, è un fatto storico ben documentato.
Cfr. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, nuova edizione ampliata, Einaudi, 2002,
p. 43, nota 2.
7
Platone, Apologia di Socrate, 36 b-c (TP, I, pp. 61, 62).
20
Vite contro vento
Medita adesso e concentrati profondamente con tutti i mezzi, avvolgiti su te
stesso concentrandoti. Se cadi in qualche difficoltà, corri svelto in un altro
punto (…). Non ricondurre sempre il tuo pensiero a te stesso, ma lascia che
la tua mente prenda il volo nell’aria, come uno scarabeo che un filo trattiene
8
per una zampa.
Anche il dialogo con se stesso è un brivido, l’apertura di uno spazio
interstellare, del senso della propria vita sulla terra. Il prendere coscienza che il
destino umano si governi affrontando gli impedimenti con la tranquillità della
ragione, sfuggendo alle auto-difese inutili e alle reliquie dei pregiudizi del
passato. È la scelta della conoscenza, la decisione di vivere con i problemi
finché non scaturisca una luce, una sorta d’illuminazione. È la scelta di vivere
filosoficamente, come dice lo stoico Seneca:
Dobbiamo rifugiarci nella filosofia; questa disciplina ispira un sacro rispetto
non solo alle persone oneste, ma anche agli uomini non del tutto malvagi.
L’eloquenza forense e qualunque altra cosa possa avere influenza sul popolo,
crea avversari: la filosofia, invece, pacifica e, presa dalle sue occupazioni, non
può essere oggetto di disprezzo, viene anzi tenuta in considerazione in tutte
le professioni anche dagli uomini peggiori. Mai la perversità sarà tanto
potente, mai si congiurerà a tal punto contro le virtù che il nome della
filosofia non rimanga sacro e venerabile; bisogna però occuparsene con se9
rietà e moderazione.
Senza la filosofia l’anima è malata. Nessuno può vivere felicemente
senza l’amore per la saggezza. Solo con questo atteggiamento, che è quello
di guardare sempre all’insieme e alla universalità, il tháuma si può trasformare in empatia con il dolore proprio e dell’universo intero, aprendosi al
mondo della libertà e della profonda comunicazione con la propria e altrui
umanità. Solo con il dominio di sé, secondo Seneca, ci si può sottrarre alla
oppressione dei propri incauti desideri:
Noi diciamo che c’è una successione di cause cui il fato è concatenato: tale
è la successione dei desideri: nascono l’uno dall’altro. Ti sei cacciato in un
sistema di vita che mai porrà fine da sé alle tue miserie e alla tua schiavitù:
8
Aristofane, Nuvole, 700-706, 761-763 in V. Coulon, H. Van Daele, Aristophanes, Les
belles Lettres, Parigi, 1948-1958).
9
Seneca, Lettere a Lucilio, Libro II, 11.
21
Nicoletta Poli
sottrai al giogo il collo ormai consunto; meglio un taglio netto che una
10
continua oppressione.
I progressi interiori non si misurano in base ai discorsi o agli scritti, ma
in base alla fermezza d’animo e al controllo delle passioni. La filosofia insegna ad agire, non solo a parlare e argomentare, ed esige che la vita non sia
in discrasia con le parole. L’uomo che fugge la fatica e non dimostra un
coraggio crescente di fronte alle difficoltà non è né forte né valoroso. Il
vero bene viene dagli onesti propositi, dalle rette azioni, dal disprezzo del
caso, da una coerente filosofia di vita. E ancora Seneca:
Sono pochi quelli che decidono di sé e delle proprie cose a ragion veduta:
gli altri, come gli oggetti che galleggiano nei fiumi, non avanzano: vengono
trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati più lentamente da una corrente
più debole, altri trascinati con maggiore violenza, altri deposti vicino alla
riva da una corrente meno forte, altri gettati in mare dall’impeto delle acque.
Dobbiamo, perciò stabilire che cosa vogliamo e perseverare nei nostri propositi.
La vera forza d’animo non la mettono in luce le dispute filosofiche e le
conversazioni letterarie, le parole raccolte dall’insegnamento dei saggi e i
11
discorsi eruditi: anche gli uomini più vili sono capaci di parole coraggiose.
Non si può sfuggire al destino, si può solo vincerlo. E ancora:
Perché vogliamo ingannarci? Non viene dall’esterno il nostro male: è dentro
di noi, sta nelle nostre stesse viscere e, perciò difficilmente possiamo guarire:
12
ignoriamo di essere malati.
Dunque indubbiamente la filosofia aiuta a correggere noi stessi, poiché
ci traghetta a un bene che possediamo per sempre: la virtù. E la virtù non si
disimpara. Essa è secondo natura, mentre i vizi sono ostili e avversi. Ed ecco
il potere taumaturgico della filosofia:
Ma solo la filosofia può destarci, può scuoterci dal nostro sonno profondo:
dedicati a lei completamente, tu ne sei degno ed essa è degna di te: stringetevi
l’uno all’altra. Respingi tutto il resto con forza, apertamente; non ci si può
10
Seneca, Lettere a Lucilio, Libro III, 10.
Ibidem, Libro III, 8.
12
Ibidem, Libro V, 4.
11
22
Vite contro vento
dedicare alla filosofia di tanto in tanto. (…) Metti da parte ogni impedimento e
dedicati alla saggezza: nessuno può arrivarvi se ha mille impegni. La filosofia
esercita il suo potere; il tempo lo accorda lei, non lo riceve da noi; non è
un’attività accessoria, ma fondamentale; è padrona, ci sta dappresso e ci
comanda. (…) Dice la filosofia per ogni cosa: “Non ho intenzione di accettare il
tempo che vi avanza: voi avrete quello che io stessa rifiuterò”. Rivolgile tutta la
tua attenzione, stalle vicino, venerala: ci sarà un grande divario tra te e gli altri;
sarai superiore di molto a tutti gli uomini e gli dèi non saranno di molto
superiori a te. Chiedi quale differenza ci sarà tra te e loro? Vivranno più a lungo.
(…) Ma c’è qualcosa in cui il saggio può essere superiore a Dio: egli non teme
nulla per merito della sua natura, il saggio per merito suo. (…) Ecco una gran
cosa, avere la debolezza di un uomo e la tranquillità di un dio. È incredibile la
forza della filosofia nel respingere ogni attacco della sorte. Nessun’arma si
conficca nel suo corpo; è ben difesa e salda; certi dardi li neutralizza e, come se
fossero colpi leggeri, li para con le pieghe dell’ampia veste, altri li rende vani e
13
li respinge contro chi li aveva scagliati.
Insomma, se uno vuole essere felice si convinca che l’unico bene è la
virtù e che bisogna filosofare affinché si possa raggiungere.
Se l’anima è al sicuro, possiamo essere colpiti, non catturati.
14
Non esiste filosofia senza virtù né virtù senza filosofia. La filosofia è
ricerca di virtù, ma attraverso la virtù stessa; e la virtù non può esistere
senza la ricerca di sé, né la ricerca della virtù senza la virtù. La filosofia è
teoretica e pratica insieme: osserva e contemporaneamente agisce. Della
filosofia, però, non ci si dovrà vantare praticandola con insolenza e arroganza.
Un grande insegnamento, quello di Seneca. La filosofia, intesa come ciò che
forma e plasma l’animo, dà ordine alla vita, dirige le azioni, (…) siede al timone
15
e regola la rotta attraverso i pericoli di un mare in tempesta
offre conforto e rimedio all’uomo davanti al nulla e all’orrore del mondo,
concentrandosi sulla propria vita per governarla meglio. E ciò non esclude la
conoscenza del mondo, ma solleva l’uomo dalla pesantezza delle verità incon13
Ibidem, Libro VI, 8, 9, 10, 11, 12.
Ibidem, Libro VIII, 19.
15
Ibidem, Libro XVI, 3.
14
23
Nicoletta Poli
trovertibili. Dall’incommensurabile e irraggiungibile perfezione della sua vita.
Come dire, con Lahav:
una migliore comprensione della tua visione del mondo, cioè del modo in cui
concepisci te stesso e il tuo ambiente, ti aprirà probabilmente nuovi modi di
16
relazionarti a te stesso e al tuo mondo.
Una comprensione relativa al senso della vita e della morte, alla paura di
soffrire, all’inestirpabile voglia di sperare, di comunicare, ma anche di
guardarsi indietro, dicendo che la nostra vita è consapevolmente dignitosa e
che, dunque, la morte non può che inchinarvisi per celebrarla:
Lo vedi
la vita è questa
l’originaria tenzone fra la terra e il cielo
il seme e il vecchio
e tu testardo sali verso lo stellato sogno
e implori che non ti sia tolto nulla
di quanto già non ti sia stato tolto
ché tonda è la vita
immacolata e lorda è la vita
cosa pagheresti per versare lacrime senza sentir dolore
e adagiarti sulle primavere di sole
col tempo che non passa
che dice
eccoti
ora ritorna il languore
il bianco amore che solo potrebbe
niente è perduto
puoi ancora avere un figlio sparger di dorati semi il cosmo
fischiar nell’erba all’infinito
imporporare di pii gerani le tue mani
ma non vedi quanto tutto questo è poco
puoi solo girare nell’universo
e inventare tante parole
macigni di parole
parole come pietre
pietre come parole di alberi
alberi come mattoni di piogge
16
L. Ran, Comprendere la vita, Apogeo, Milano, 2004, pp. 20-21.
24
Vite contro vento
piogge come pietre di mattoni fatti di alberi
e a rincorrer tutto ti perdi
ché tutto s’insassa nel tondo
ché le primavere non arrestano il corso
quelle lunghissime ore a confidar nella morte
quella morte che sola
d’un tratto
restituisce intera la vita
e irrepetibile
unica
17
t’innalza nel marmo.
Un ritorno dell’io alla coscienza della propria unicità, a un io liberato,
aperto all’universalità e all’oggettività. E alla morte. Quasi una conversione,
un cambiamento di visione della propria e dell’altrui vita in una cornice di
attenzione a se stesso, di vigilanza su una sorta di virtù cosmica. Un uomo
vigile che si meraviglia, prova un brivido solare davanti al subbuglio del
mondo, ma che è sempre perfettamente cosciente non solo di ciò che fa, ma
anche di ciò che è, ossia della sua posizione in quel cosmo e del suo rapporto
con il thauma e la morte. Vite contro vento, sempre messe alla prova, ma
come coraggiosi fari nella tempesta che sfidano mareggiate e venti forti.
2. La nascita della filosofia nella polis
Qual è l’ambito della consulenza filosofica e del consulente filosofo?
La sua finalità non è estranea all’ambito filosofico anche quando
incontra nel dialogo forme di disagio, di disadattamento e di sofferenza
esistenziale. Formulato in estrema sintesi, l’ambito specifico della consulenza
filosofica è costituito dall’approfondimento, l’esplicitazione e l’interpretazione
del senso della vita e dell’esistenza individuale in quanto tale, ossia nella
sua totalità fenomenica e nel suo divenire. È un’azione filosofica che opera
sui concetti e sulle idee, in base al presupposto che, spesso, i disagi dipendono da una visione distorta della realtà. Rappresenta, per così dire, un
luogo ove parlare delle questioni umane, esistenziali e impossibili da defi-
17
N. Poli, Tu che non ritorni, raccolta di poesie inedite di prossima pubblicazione.
25
Nicoletta Poli
nire una volta per tutte, un luogo ove fare le domande kantiane riformulate da
Gerd Achenbach:
Che cosa so? Che cosa faccio? Che cosa spero? Chi sono?
18
Come sostiene Foucault, l’analisi dell’archeologia delle scienze umane
non è basata sulla storia delle idee e/o su modelli scientifici, ma è piuttosto
uno studio che cerca di scoprire cosa ha reso possibile conoscenze e teorie,
su quale base si è costituito il sapere, su quale “a priori” storico sono
venute alla luce determinate idee, si sono sviluppate determinate scienze e
si sono create determinate filosofie di vita. La consulenza filosofica procede
cercando di comprendere quali sono i presupposti sui quali un soggetto ha
costruito la propria vita: credenze, abitudini, dolori, talenti, desideri, idee
del proprio sé e del mondo, del senso del divenire e del suo essere uomo
all’interno della sua polis, del suo luogo concreto in cui lavora, esercita
diritto di cittadinanza, forma una famiglia… Insomma, su quali presupposti
ha basato il suo stile di vita, la sua filosofia, la sua epistéme. Ognuno, come
Atlante, regge sulle spalle la volta del cielo o il globo terrestre in base alla
propria visione del mondo ed è necessario reinterpretarla quando essa
diventi un peso più che una conquista o una bussola. A questo serve il filosofare. A questo serve il consulente filosofo, che sostiene il consultante nel
fare chiarezza nella sua vita, nel lavorare con modalità proprie per migliorare la qualità della sua esistenza. Questo utilizzando la filosofia nella sua
accezione più significativa, seppur suggestiva, ossia intendendola come
dialogo. Come ben sostiene Neri Pollastri:
(...) in altre parole, ho proposto di considerare che “filosofia” non stia a
significare in primo luogo “contenuti del sapere”, teorie, Weltanschauungen o
strumenti logico-argomentativi, certo a essa necessari, ma mai sufficienti a
darne una definizione condivisa – bensì la sua processualità – il filosofare – e il
suo motore interno – il quale, sin dalle origini nella antica Grecia, è costituito
dalla critica orientata alla comprensione, dal dubbio metodico, dall’epoché
19
esplorativa... In breve, dal socratico sapere di non sapere.
18
19
G. Achenbach, La consulenza filosofica, Apogeo, Milano, 2004, p. 37.
N. Pollastri, Il pensiero e la vita, op. cit., p. 129.
26
Vite contro vento
Insomma, “un processo libero e autoguidato”20 che trova in itinere il
proprio metodo e giustificazione. Un filosofare critico, continuamente disposto al dialogo e alla messa in discussione dei principi da cui magari si era
partiti, stimolato da una complessa e costante improvvisazione del filo del
pensiero, consapevole delle ovvietà e a loro ostile, aperto alla meraviglia,
talvolta critico, talvolta molesto, ma sempre permeato da un forte spirito di
ricerca. Per arrivare dove? Dove forse la profezia si auto-avvera? O in un
luogo ospitale ove ci si può distendere, sapendo che nessuno ci potrà colpire?
Oppure in un luogo del pensiero ove il labirinto non è un passaggio da
evitare, ma da accogliere come opportunità per poter conoscere e comprendere meglio il mondo? La consulenza filosofica non sana, non lenisce, non
aiuta la persona a “modellizzare” il suo male per poi restituirsi delle risposte
certe. È invece più simile a un labirinto dialogico che il filosofo stimola
continuamente, che infiamma, per dirla con Achenbach:
non troviamo in essa un alleggerimento dei problemi (…) essa procura il
21
combustibile per infiammarli.
Il filosofo destabilizza, ricompone, destabilizza nuovamente, riprogetta il
pensiero e lo demolisce subito dopo fino alla rimessa in discussione dei principi da cui è partito. Egli rende come tracciabile una mancanza, una
(...) sensazione che nelle loro vite manchi qualcosa dotato di un significato
22
più alto.
Solo nel momento in cui si rende visibile tale mancanza la domanda
diventa filosofica. Così diventano non evitabili le seguenti domande, che
fanno tesoro, oltre che dei testi di Viktor Frankl, anche di quelli di Pietro
Giordano, Romano Madera e Claudio Widmann:23 qual è il mio “lager”?
Qual è il mio destino, cioè il lager inevitabile a cui sono destinato? E qual
20
N. Pollastri, “Filosofia, nient’altro che filosofia” in Filosofia praticata, Girolamo editore,
Trapani, 2008, p. 25.
21
G. Achenbach, La consulenza filosofica, op. cit., p. 86.
22
R. Lahav, Comprendere la vita, Apogeo, Milano, 2004, p. 167.
23
Sono letture filosoficamente ed esistenzialmente importanti: V. Frankl, Uno psicologo nei
lager, Ares, 1999; P. Giordano, Logoanalisi, Città Nuova Editrice, 1992; R. Madera, Il nudo
piacere di vivere, Mondadori, 2006; C. Widmann, Sul destino, Edizioni Magi, 2006.
27
Nicoletta Poli
è, nonostante esso, anzi IN esso, il mio compito, quali sono le mete e i
valori che danno senso alla mia vita e la rendono degna di essere vissuta,
anzi la rendono comunque gioiosa? Come soddisfo la mia volontà di senso?
Sono, nonostante il destino, felice (perché o sono felice ora o non lo sarò
mai)? Quanto partecipo consapevolmente e attivamente al fluire degli eventi?
Funziono e basta oppure vivo? Quanto sono libero, nonostante il destino?
Sono oppure no più forte del destino? Sperimento il nudo piacere di vivere?
Riconosco i miei reali bisogni naturali e necessari? Sono capace, nonostante il destino, di guardare avanti? E cosa vedo? E quando mi guardo indietro,
nonostante eventuali errori o colpe, invece di recriminare e di avere rimpianti, colgo quale senso hanno avuto le mie esperienze? Colgo in che modo
mi hanno fatto diventare quel che sono? Colgo cosa hanno apportato alla
mia vita?
Fare filosofia significa fare pratica del pensiero critico, della domanda
perché? e del chiedere ragione. Chiedere ragione di ciò che è stato fatto e
chiedere evidenza, di nuovo ragione, di ciò che è stato detto: chiedere giustificazione. Ma è solo questo? Forse no, l’uomo si deve sentire significante.
Un assunto fondamentale della teoria e della pratica logoterapeutiche elaborate da Viktor Frankl24 è che la persona, per essere pienamente se stessa,
soprattutto deve dare soddisfazione alla sua volontà di senso: ciò avviene
quando la si mette a fuoco e si perseguono scopi e valori della propria
esistenza e quando si progetta, si trascende, dando senso alla propria vita.
L’esercizio “i miei lager”, così come la consulenza filosofica, invita la
persona a scoprire le proprie risorse anche in situazioni limite, caratterizzate
da estrema sofferenza (Viktor Frankl, poiché ebreo, era passato da Auschwitz
e, nonostante il contesto, aveva sperimentato la possibilità di trovare scopi
e valori, quindi senso, a prescindere dalle condizioni limite dal punto di
vista materiale e psichico). La motivazione principale dell’uomo non è, come
diceva Freud, il principio del piacere, né la volontà di potenza, bensì “la
volontà di significato”, il desiderio di trovare un senso, uno scopo alla
propria vita. Il male del nostro tempo, spesso, è proprio la frustrazione
esistenziale che può anche portare alla disperazione, alla depressione e a
24
La sua opera Uno psicologo nei lager racconta la sua deportazione e le sue osservazioni
sulla forza di volontà dimostrata da coloro che erano riusciti a trovare un senso alla loro
esistenza. Vedasi V. Frankl, Uno psicologo nei lager, op. cit.
28
Vite contro vento
guai peggiori. Da tali premesse riecheggiano queste parole suggestive, sempre
di Frankl:
Che cos’è, dunque, l’uomo? Noi l’abbiamo conosciuto come forse nessun’altra
generazione precedente; l’abbiamo conosciuto nel campo di concentramento,
in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro potere,
fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l’uomo può “avere”, ma ciò
che l’uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l’uomo nella sua
essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos’è, dunque,
25
l’uomo? domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è.
Come dire: cerchiamo di essere orgogliosamente umani, accogliendo in
noi qualsiasi evento passato o futuro, spolpandolo fino a corroderne il
significato ovvio, fino a tirarne fuori il succo della vita dalle varie sfaccettature. Sono convinta che in consulenza filosofica, come in varie attività
artistiche, la passione sia il motore. Ma anche la passione deve avere una
radice, deve nascere da qualcosa, come scrive Boris Pasternak:26
(...) voglio dunque scorgere le cause del motore umano, udire il primo scoppio
silenzioso, scorgere la prima scintilla che brucia chissà quale sangue e di quale
colore sia (...).
Nel dialogo filosofico tra consulente/consultante, insieme, questi due liberi
pensatori cercano di arrivare a una maggiore e più profonda comprensione
della propria vita. E ancora Boris Pasternak:27
In ogni cosa ho voglia di arrivare sino alla sostanza. Nel lavoro, cercando
la mia strada, nel tumulto del cuore. Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione, sino ai motivi, sino alle radici, sino al midollo. Eternamente aggrappandomi al filo dei destini, degli avvenimenti, sentire, amare,
vivere, pensare eventuali scoperte.
Gli individui che vivono in modo problematico alcuni passaggi critici
della loro esistenza e sentono l’esigenza di riflettere sulla propria concezione del mondo, provando a introdurre miglioramenti/rinnovamenti secondo
25
V. Frankl, Homo patiens. Soffrire con dignità, a cura di E. Fizzotti, Queriniana, Brescia, 2007.
B. Pasternak, Poesie, a cura di A. Maria Ripellino, Einaudi, Torino, 2011.
27
Ibidem.
26
29
Nicoletta Poli
logica e razionalità, intraprendono, nella consulenza filosofica, un percorso
per giungere alla consapevolezza del proprio procedere metacognitivo, che
servirà, in seguito, a procedere da soli. Il dialogo serve ad aiutare il consultante in un viaggio personale la cui meta è prettamente soggettiva e
consiste in un’evoluzione della visione del mondo. Ma perché il dialogo
abbia successo vi deve essere la massima libertà e sincera intenzione di
avviarsi insieme al filosofo verso il percorso migliorativo, che apre a nuovi
mondi, a nuove prospettive, che fa guadagnare punti di vista inediti per
migliorare la qualità della propria vita. La consulenza filosofica è, a mio
parere, destinata a coloro che desiderano affrontare un discorso personale
di crescita ed evoluzione senza la pretesa di arrivare a una verità assoluta,
algida, in un certo senso auto-viziata. Come scrive T. W. Adorno:
(...) la verità non è qualcosa di stabile, che si tiene in mano e si può portare
tranquillamente a casa (…). La verità è sempre qualcosa di eccezionalmente
28
fragile (...).
Questo percorso, costellato di tante domande, verità provvisorie come
punti fermi in divenire, può rendere visibile la caverna di platonica memoria,
governata da ombre e false credenze. Come scrive Cosentino:
Un filosofo può rendere più visibile la caverna in cui ognuno di noi si trova, ma
si auto-sospende dall’additarne la via di uscita. Indirettamente può aiutare a
comprendere le direzioni che imboccano vicoli ciechi e bloccano il movimento
verso l’uscita, ma lascia che ognuno autonomamente trovi (o inventi) la sua
uscita per poi, di nuovo, aiutare a percepire le pareti della nuova caverna in cui
29
ci si è cacciati.
Il consulente filosofo non è necessariamente chiamato a rendere migliori
le cose o ad aiutare a eliminare i problemi, ma piuttosto a renderli comprensibili nella loro complessità, in modo che il consultante possa vivere con
essi, piuttosto che contro o a dispetto di essi. Il filosofo non scaccia il problema, ma cerca di cavalcarlo e di socializzarlo nella comunità:
28
29
T. W. Adorno, Terminologia filosofica, tr. it. di A. Solmi, Einaudi, Torino,1975, p. 77
A. Cosentino, Filosofia come pratica sociale, Apogeo, 2008, seconda di copertina.
30
Vite contro vento
(...) Una conoscenza non socializzata e completamente scissa dall’azione
politica rischia di trasformarsi in sterile fuga nella contemplazione di un
30
Essere tanto separato dal mondo quanto inutile al mondo.
Il risultato di un dialogo, in consulenza filosofica, è il lavoro comune
del consultante e del consulente, è un appassionato “pensare insieme”. E mi
piace molto che sia così, perché è come se la pratica del filosofare individuale si trasferisse nella polis: essa fu un modello di struttura tipicamente e
solamente greca che prevedeva l’attiva partecipazione dei cittadini alla vita
politica. In contrapposizione alle altre città-stato antiche, la peculiarità della
polis non era tanto la forma di governo democratica od oligarchica, ma
l’isonomia, ossia il fatto che tutti i cittadini soggiacessero alle stesse norme
di diritto, secondo una concezione che identificava l’ordine naturale
dell’universo (kósmos) con le leggi della città. Leggi che erano concepite
come un riflesso della legge universale preposta a governo del mondo.
L’armonia tra la polis e gli individui che la componevano era così il riflesso
di quella esistente in natura fra il tutto e le sue singole parti. In virtù di una
tale corrispondenza, l’uomo greco era portato a sentirsi organicamente
inserito nella sua comunità. Ognuno trovava la propria realizzazione nella
partecipazione alla vita collettiva e nella costruzione del bene comune.31 Mi
piace pensare che questo modello di armonia tra polis e kósmos possa
essere un fine nobile e importante all’interno della nostra società, in cui il
filosofo, in quest’epoca di superficialità e orrore, possa indurre a un ritorno
alla riflessione, al silenzio della propria coscienza, alla consapevolezza del
divenire. Una mission nella nostra Italia nell’epoca di Mappo, come ben
spiegavano alcuni rappresentanti del buddismo medievale giapponese32
ritenendo che il mondo fosse entrato in un’epoca di decadenza (Mappo),
30
Ibidem, p. 2.
AA.VV., Polis e cosmo in Platone, a cura di E. Rudolph, trad. di E. Cattanei, Vita e
Pensiero, Milano, 1997.
32
Secondo il monaco giapponese Nichiren Daishonin nell’epoca di Mappo non è più valido
l’insegnamento buddista secondo cui diverse vie possono coesistere per diverse persone.
Mappo è il terzo periodo in cui è diviso il tempo che segue la morte di Buddha Shakyamuni:
nel Primo Giorno della Legge – Shoho – l’insegnamento di Shakyamuni è trasmesso direttamente
al cuore delle persone. Il Medio Giorno della Legge – Zoho – è il periodo in cui inizia la
corruzione dell’insegnamento e il compromesso con le autorità politiche. Il terzo periodo –
Mappo appunto, che segue di duemila anni la morte di Shakyamuni – è quello in cui la
corruzione è totale e ci sono anche conflitti tra i monaci.
31
31
Nicoletta Poli
cominciata – secondo l’opinione prevalente – nel 1052. Nella tempesta dell’epoca di Mappo ogni ragionamento filosofico diventa sociale. Mai come
oggi è necessario pensare la pratica filosofica con uno sguardo capace di
tenere insieme la condizione del non-filosofo e quella del filosofo.33 La
filosofia, a mio parere, deve vivere nella polis e nutrirsi d’impegno civile.
Ma come possiamo essere attivi in una polis – tanto più perseguendo quel
modello di armonia tra polis e kósmos – se non ci si sente pienamente
responsabili e consapevoli della propria vita? Lo stesso Platone, se ha
orientato verso gli oggetti trascendenti l’eros filosofico, non ha mai negato
alla filosofia un ruolo sociale e politico. E Socrate aveva posto nel risveglio
della coscienza morale il fulcro della sua pratica. La consulenza filosofica
dunque si presenta come esercizio di riflessione che mette in discussione
l’ordine dei valori, delle credenze e delle norme dell’individuo; il quale,
dopo tale messa in discussione, dovrà uscire, riversarsi nel cosmo siderale e
confrontarsi con il mondo da essere libero. E chissà se quel cosmo siderale
potrà, un giorno, trasformarsi in una polis accogliente e sinergica con tutti
gli esseri umani… Ma prima di confrontarsi con il mondo dovrà riflettere
profondamente nella sua nuova caverna, patendo anche il freddo e il gelo,
prendendosi filosoficamente cura della vita dei propri pensieri:
Si deve essere pronti ad ardere nella propria fiamma: com’è possibile
34
rinnovarsi senza prima essere divenuti cenere?
3. L’uscita nel mare aperto
Sono un uomo, e niente di ciò che è umano lo giudico a me estraneo.35
Seneca ci fa riflettere – in veste di consulenti filosofici – sul fatto che chi
filosofa si deve occupare della VITA, del nostro ESSERCI come esseri
umani nel mondo. Un esserci nel mondo in cui presenzia la vita in tutte le
sue sfaccettature: dal dolore alla gioia, dalla finitezza della nostra fisicità
alla incommensurabilità della nostra mente, dalle reazioni emotive alla
infinita ricchezza del mondo fino alle azioni di tipo educativo nei confronti
33
A. Cosentino, Filosofia come pratica sociale, op. cit.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Longanesi, Milano, 1956.
35
Seneca, Lettere a Lucilio.
34
32
Vite contro vento
della società e della stessa psiche dell’individuo. Proprio in relazione a
quest’ultima tematica – presente in consulenza come lavoro filosofico con
il consultante per arrivare a una comprensione della realtà più completa e
coerente – il filosofo consulente può utilizzare esercizi di riflessione, di
meditazione al fine di far recuperare al soggetto una sua significatività
consapevolizzata nel mondo, una sua dignità di pensatore e di agente
indispensabile alla dinamica complessa di questo “terramondo”. Il filosofo
consulente è come se facesse partorire o, meglio, semplicemente mettere in
luce, stimolare nel consultante, una sorta di fame di vita, di sana ebbrezza
di vita. Insomma una
36
vita quasi incorporea condensata in gocce dai secoli.
Come se si ricominciasse ogni giorno, filosofando, a rivivere la propria vita
pensandola, vivendola nuovamente proprio come afferma Rainer Maria Rilke:
(...) Riviverla un’altra volta, quella realtà apparsami là sotto; ripeterla un
po’ diversa, un po’ trasformata, ma rifacendomi da principio; ascoltarne la
37
conferma dalla mia stessa voce (...).
È un’opportunità – la consulenza filosofica – per rimettersi in gioco e
progettare il proprio futuro rifiutando bigottismi e luoghi comuni di ogni
genere, da quello culturale a quello religioso, di costume e di stile di vita.
Niente perversità culturali, niente -ismi, niente omologazione. La filosofia è
rivoluzionaria di default, poiché niente è ovvio, niente è cristallizzato in
una specie di urna morbosa e difensiva di un pensiero assoluto. Alla base
c’è un “dialogo dialogante”. Qualcosa che, ogni volta, rimette in discussione
lo stesso dialogo, il quale si osserva muoversi, articolarsi, arrivare a una
sorta di meta per poi porsene un’altra e un’altra ancora:
(...) quanto più mutavo d’abiti, tanto più venivo acquistando la certezza d’essere
io. Sentivo crescere, via via, in me sempre più la baldanza; mi slanciavo sempre
38
più in alto, perché la mia agilità nel ripossedermi, era fuor di dubbio (...).
36
R. Maria Rilke, I quaderni di Laurids Brigge, trad. it. di F. Ramondino, TEA, Milano, 1988, p. 76.
Ibidem, p. 87.
38
Ibidem, p. 96.
37
33
Nicoletta Poli
Nella vita vi sarebbe la possibilità di trasmutare in svariate metamorfosi
infinite. Perché mai allora privarsi di questo piacere se ciò potrebbe far
approdare a un io solido, a un’intima e profonda padronanza di sé, a una
maggiore consapevolezza del sé? Un esserci nel mondo che rimette in
gioco tutte le nostre risorse latenti, spesso sconosciute. Un rivedere, rivisitare la propria vita, il proprio “circolo vizioso”, trovando un’uscita verso
l’esterno, verso l’ebbrezza del mondo, fuori dalla caverna di platonica
memoria. Alla ricerca di altri cosmi spirituali, aperti a incontrare genti di
altre terre, di altri pianeti. Non sono d’accordo con chi39 – citando Heidegger40
– invita i propri consultanti a immaginare tale percorso come un tragitto
circolare che non conduce da nessuna parte, ma che indurrebbe altresì a un
“eterno ritorno” sui propri passi, per cui la questione nodale non starebbe
nell’uscir fuori dal circolo, bensì nello starvi dentro nella maniera giusta.
Sarebbe come dire – tornando a Platone – che il fine della consulenza filosofica è quello di rendere più confortevole al consultante la vita nella caverna.
Oppure che impari bene a conoscere la caverna in cui vive per poter stare
meglio con se stesso. Dunque dovrebbe forse continuare a convivere con le
proprie ombre, con le proprie illusioni?
Di contro, graficamente, il percorso me lo raffiguro così:
Una sorta di percorso circolare in cui staziona l’uomo, che, a un certo
punto, trova un’uscita verso l’esterno (la freccia). Un’uscita dell’uomo dal
circolo vizioso, che non necessariamente significa la risoluzione del problema.
Un’uscita che prende forma e voce e che induce il consultante a interrogarsi:
39
AA.VV., Filosofia praticata, op. cit., p. 87.
M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1990, p. 194: “Se si vede in questo circolo
un circolo vizioso e se si mira ad evitarlo o semplicemente lo si sente come un’irrimediabile
imperfezione, si fraintende la comprensione da capo a fondo”.
40
34
Vite contro vento
Ma è tutta qui la mia vita? Non ci dovrebbe essere qualcosa di più? La mia
41
vita non potrebbe essere più ricca, più grande, più profonda di quel che è?
È una voce interiore che si affaccia nel nostro quotidiano e che ci fa
intuire l’esistenza possibile di un altro modo di essere. Un richiamo metafisico al nostro sentirci esseri significanti come diceva Frankl? Una voce
imperiosa proveniente dall’anima che ci incita a non mentire più? Si mente,
a volte, per proteggersi. Ma il gioco diventa crudele. È come attraversare il
deserto con un uomo ferito sulle spalle che forse non avrà futuro. L’uomo
ferito siamo noi stessi. Noi che ci priviamo del mare aperto, del vento sulla
schiuma dell’onda. Noi che viviamo nella polvere, in mezzo a piante
assetate di respiro, tra gli insetti sotterrati nel mare, tra la voglia di ombra.
La voglia di non vedere. La bugia della vita. Quell’uscita è il mare aperto,
un nuovo modo di vedere il mondo e noi stessi nel mondo. Illuminante a tal
proposito è Lahav:
Ci si potrebbe chiedere perché le persone dovrebbero cercare la consulenza
filosofica se non per risolvere i problemi specifici. Penso che la risposta sia che
ovunque le persone cercano di migliorarsi, di vivere una vita più profonda, più
ricca, migliore, più significativa (…). Non lo fanno per risolvere qualche
problema particolare, ma per un bisogno di nuovi orizzonti di senso e di
42
saggezza. (…) È qui che s’inserisce la consulenza filosofica.
Talvolta, quando una persona chiede della consulenza filosofica e inizia
il percorso non sa dove andrà, è spinto dal disagio, dalla paura di non uscire
più dal suo circolo vizioso. Spesso va da un consulente filosofico perché si
sente come il nulla, un nulla fitto e inesistente, come se avesse una rivoltella
puntata nella gola. La sfida è migliorare la propria persona fino a sostituire
quella rivoltella puntata metaforicamente nella gola con uno scopo nella
vita. Con una “missione nella gola”. Una missione che possa liberare la
persona da pertugi angusti e oscuri per realizzare una vita più piena. Come
insegnavano gli stoici e in particolare Marco Aurelio, che sognava una vita
in accordo con il logos cosmico. Per fare ciò bisogna meditare, riflettere,
forgiare una sorta di cittadella interiore che non viene scalfita dalle tempeste
41
42
R. Lahav, Oltre la filosofia. Alla ricerca della saggezza, Apogeo, Milano, 2010, p. 9.
R. Lahav, Comprendere la vita, op. cit., pp. 156-157.
35
Nicoletta Poli
della vita. Non sono le cose che turbano l’anima, ma è piuttosto l’anima
stessa che introduce nelle cose stesse le proprie inquietudini e i propri turbamenti. Non sono le cose che modificano l’anima, ma l’anima stessa che, se
vuole, può modificare le cose stesse, il loro valore:
Se ti addolori per una cosa esterna, non è questa cosa a turbarti, ma il tuo
43
giudizio sulla cosa (VIII 47).
Come nei Pensieri di Marco Aurelio, ove c’è un preciso nesso strutturale, una chiave sistematica consistente in alcune regole di vita relative a
tre tematiche particolari, così, in consulenza filosofica, i punti nodali della
vita su cui riflettere sono: il rapporto tra l’individuo e il proprio pensiero, il
rapporto dell’uomo con il divenire del mondo e la natura, il rapporto tra
l’individuo e gli altri uomini. Sono tematiche alte, ma alto deve essere – a
mio modesto parere – l’obiettivo di un filosofo consulente, che, pur prestandosi a vagare per territori semplici o – al contrario – perigliosi e complessi,
deve avere sempre presente una sola e unica cosa: la filosofia. Ed essere
legato al monito di Marco Aurelio:
(...) Mantieniti semplice, buono, puro, serio, senza orpelli, amico del giusto,
pio, benevolo, affettuoso, tenace nel compiere il tuo dovere. Lotta per
rimanere tale quale la filosofia ha voluto renderti (VI 30, 1-3).44
43
P. Hadot, La cittadella interiore. Introduzione ai “Pensieri” di Marco Aurelio, V&P,
1996, p. X.
44
Ibidem, p. 41.
36