Il silenzio è d’oro1
Tirato per i capelli – si fa per dire – da Luigi Gallo, ex dipendente Caritas attualmente assessore
comunale a Bolzano e segretario provinciale di Rifondazione comunista, vorrei approfittarne per
scrivere alcune riflessioni sul rapporto tra stampa locale e potere politico locale, in questa
particolare e paradossale provincia così forti e così importanti. Nell’intervista pubblicata martedì 7
novembre ho espresso alcune considerazioni su uno degli aspetti paradossali della situazione
politica locale, dove una minoranza nazionale/maggioranza locale si prende il lusso di scegliere da
vent’anni la classe politica e dirigente del gruppo linguistico che è maggioranza nazionale e
minoranza locale, facendogli poi fare delle magre figure. Il bravo giornalista ha perfettamente
espresso alcune mie considerazioni sull’argomento, che spaziavano dalla mancanza di una classe
dirigente degli altoatesini, alla delegittimazione della politica del Centrosinistra che è sempre
subalterna a chi la coopta nei centri decisionali in qualità di vice di tutto, agli errori storici della
vecchia destra che ha fatto battaglie assurde contro l’autonomia e non contro il suo uso distorto,
contro il bilinguismo e non contro il patentino, contro i tedeschi e non contro il partito etnico che li
rappresenta, ecc. fino agli ultimi anni, quando ha chiesto, invano, al governo nazionale di cui faceva
parte l’assurdo riconoscimento dello status di minoranza nazionale degli altoatesini, richiesta
inconcepibile finché l’SVP non riuscirà, anche con l’autonomia dinamica, a raggiungere l’obiettivo
dell’autodeterminazione, come richiesto da tutti i suoi sindaci, consiglieri provinciali e
parlamentari, spostando nuovamente i confini. Parlando della necessità di confrontarsi
continuamente nel tempo e nello spazio per comprendere le ragioni di malcontento delle
popolazioni ho ricordato che anche in Piazza Gries ci sono dei sudtirolesi che si lamentano, come
hanno fatto per il traffico quest’estate, ma che mi sembra che nell’hit parade dei disagi quello delle
classi popolari, quasi tutti italiani, che nei loro quartieri si vedono insediare l’inceneritore ed i
campi nomadi – accusati poi di essere dei razzisti anche da Rifondazione comunista - mi sembra
cosa ben peggiore, perché a questo mondo tutto è relativo, a parte l’imbecillità umana, come
avrebbe detto Einstein.
Gallo, considerando evidentemente poco significative queste considerazioni, ha preso carta e penna
per attaccarmi per avere implicitamente appoggiato, “cadendo nel più bieco qualunquismo tirando
in ballo qualche frase ad effetto sui “nomadi”, le tesi populiste e xenofobe della destra italiana e
tedesca – Unitalia, Lega, Freiheitlichen, ma potremmo aggiungere alla lista il partito di Roland Atz,
che proponeva di gasare i nomadi, di Oswald Ellecosta, che considera gli italiani un gruppo da
civilizzare, di Bruno Hosp, che affermava la necessità di rivendicare il diritto alla Leitkultur
tedesca, tutti esponenti di spicco del partito che ha recentemente cooptato anche i Verdi e
Rifondazione in consiglio comunale, pur di non governare con i partiti più votati degli altoatesini –
citando anche lo scalpore giornalistico ed il conseguente nazionalismo dovuto a suo dire dagli
articoli dai quali risulta che la maggior parte degli studenti extracomunitari è iscritta nelle scuole
italiane, argomenti che hanno messo in difficoltà anche la sua collega Gnecchi, che
conseguentemente ha deciso da oltre un anno di non intrattenere rapporti col giornale «Alto Adige».
Sul fatto che sia necessario attuare politiche di integrazione dei nomadi e degli extracomunitari
penso non ci siano dubbi tra le persone civili e non razziste; sulle modalità nascono delle notevoli
differenziazioni. Quando penso che l’SVP per decenni non ha voluto l’iscrizione nelle proprie
scuole nemmeno degli altoatesini e non vuole riconoscere che ci siano mistilingue nella società
locale, né tantomeno pensare di costruire scuole bilingui, e vedo che l’assessora provinciale italiana
è orgogliosa del fatto che quasi tutti gli extracomunitari si iscrivano nelle scuole di lingua italiana,
altrimenti destinate alla chiusura, soprattutto in periferia – dimenticandosi che tutti i mistilingue,
così come gli altoatesini delle classi sociali che se lo possono permettere, frequentano scuole
tedesche e si dichiarano tedeschi ai censimenti, continuando a spostare risorse al gruppo sempre più
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Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» l’11 novembre 2006.
forte e potente – mi viene da pensare che la classe dirigente altoatesina sia scelta dall’SVP come
commissario liquidatore del proprio gruppo linguistico. In Alto Adige, soprattutto a Bolzano, c’è il
rischio che le scuole italiane – che dopo 30 anni di secondo Statuto non hanno ancora raggiunto
l’obbiettivo di un buon livello di insegnamento della seconda lingua, della storia e della geografia
del territorio - in futuro siano frequentate soprattutto dai figli degli stranieri e degli altoatesini che
non hanno la possibilità di scegliere per i propri figli altre strade, aggiungendo nuovo razzismo nei
confronti degli stranieri al vecchio nazionalismo nei confronti dei sudtirolesi. Razzismo e
nazionalismo che vanno sicuramente combattuti, ma proprio per questo anche capiti e prevenuti.
Chi si vanta della presenza così numerosa dei bambini stranieri nelle scuole italiane, facendo di
necessità virtù, senza rendersi volutamente conto che da anni le iscrizioni alle scuole italiane sono
almeno del 4% inferiori rispetto alle dichiarazioni al censimento, potrebbe forse approfittare di
questa situazione e dell’autonomia scolastica per progettare un sistema scolastico dove ognuno ed
ogni gruppo possa sentirsi realmente garantito nella/e propria/e cultura/e ed interessato alle diverse
culture. Difficile da farsi con chi culturalmente, politicamente e statutariamente, ha sempre lottato
contro ogni “ibridazione e contaminazione” etnica, nega l’esistenza dei mistilingue e minaccia di
ricorrere a Vienna per difendere la presunta sacralità dell’articolo 19 dello Statuto ogniqualvolta si
propongono nuove metodologie didattiche. A queste lapalissiane considerazioni l’assessora
“competente” ha fatto notare che la presenza degli stranieri è da considerarsi una risorsa e non un
problema. Questione di punti di vista, ovviamente. C’è un metodo semplice ma efficace per vedere
se questi sono una risorsa: basta vedere se l’SVP chiede l’applicazione rigida della proporzionale
sugli stranieri iscritti nelle scuole, come solitamente fa quando si tratta di spartirsi le risorse vere, le
chanche di vita: i finanziamenti, i posti di lavoro, le case. Ma visto che non solamente non chiede
l’applicazione della proporzionale, ma lascia che la maggior parte di questi vada nelle scuole
italiane, siamo portati a pensare che questi non siano una risorsa ma un problema sociale che va
affrontato puntando sicuramente sull’integrazione e non sull’esclusione o la ghettizzazione, ma
accompagnando queste belle dichiarazioni da robusti stanziamenti di risorse umane ed economiche
nel settore della scuola.
In una terra caratterizzata da una ancora forte divisione etnica del lavoro e del territorio ogni scelta
politica ha anche conseguenze etniche. Fare un campo nomadi a Firmian non ha le stesse
conseguenze che farlo a San Maurizio; fare un inceneritore a Bolzano non è come farlo a Falzes. Se
i Verdi di Bolzano, unici al mondo, sono favorevoli all’inceneritore e mettono poi in lista alle
elezioni comunali l’assessore verde che l’ha voluto ed il leader del comitato che lo combatte, sono
destinati a perdere consenso elettorale sia tra la corrente di governo sia tra quella di movimento,
come è accaduto lo scorso anno alle due tornate elettorali comunali di Bolzano. Se poi i Verdi di
Bolzano si oppongono al referendum sull’inceneritore “per evitare che vinca ancora la destra,
come è accaduto al referendum sul nome della piazza, compagni”, dimostrano di avere una
considerazione della democrazia diretta quantomeno singolare. E’ proprio a causa di queste
politiche, che vorrebbero essere un argine al successo elettorale oramai ventennale del Centrodestra,
ma che invece ne costituiscono la causa principale, che il giornale «Alto Adige» diventa un punto di
riferimento per una comunità che ha perso ogni speranza di avere una rappresentanza politica
dignitosa, rappresentanza politica che spesso passa dalle grida di piazza antisistemiche, quando sta
all’opposizione, alle grida contro chi protesta, quando sta al governo, accusando il popolo di essere
in balia di intellettuali e giornalisti fomentatori, nazionalisti, razzisti e fascisti.
La diversa considerazione nei confronti dei sentimenti nazionali delle popolazioni non solo non è
elettoralmente redditizia per il Centrosinistra, che da vent’anni perde consensi, progettualità,
considerazione sociale, potere politico reale, ma è anche politicamente e culturalmente sbagliata, e
costituisce il presupposto del razzismo. Pensare che i sentimenti nazionali di alcuni gruppi vadano
considerati importanti e rispettabili, così come i partiti etnici che li rappresentano, e che i sentimenti
nazionali di un altro gruppo non siano rispettabili finché i partiti che li rappresentano o che fingono
di farlo non sono cooptati nei centri decisionali dai partiti etnici “buoni e rispettabili“ poteva essere
accettabile in condizioni di emergenza e per breve periodo vent’anni fa, ma ora è diventata una
farsa politica che viene continuamente punita in termini elettorali.
A chi, a sinistra e tra i Verdi, dice giustamente che i sentimenti nazionali non sono degli elementi
biologici ma delle costruzioni culturali, ricordo l’importanza politica e sociale di tali costruzioni,
soprattutto tra la gente povera materialmente e culturalmente, e l’importanza di capire come sono
state costruite queste identità e di come potrebbero essere trasformate con progetti politici e
culturali concreti e non con ipocriti appelli retorici alla convivenza, che non risultano meno
fastidiosi della retorica nazionalista. A chi cinicamente ricorda che ormai le identità etniche sono
uno dei possibili criteri di spartizione delle risorse ricordo che non spetta ad uno degli attori sociali
nominare il rappresentante dell’altro gruppo, pena la sensazione per gli appartenenti all’altro gruppo
di sentirsi esclusi dal gioco ed il desiderio di riscatto alla prima occasione dove si sceglie
nettamente tra il bianco e il nero, sia essa un referendum o un ballottaggio.
La sicurezza e la pari dignità dei gruppi costituisce il presupposto e non la conseguenza della
convivenza e per superare giustamente la spartizione etnica del potere bisognerebbe prima arrivarci
veramente.
E’ la semplicità, così difficile a farsi. Come il comunismo, avrebbe detto Brecht.
Bolzano, 9 novembre 2006.
Giorgio Delle Donne