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Testo e foto
di Luciano Gerbi
U
na concretizzazione un pò sofferta quella dell’idea legata alla salita sci-alpinistica dell’Elbrus.
Idea nata come coronamento ad un progetto
più ambizioso che contemplava in prima battuta la salita all’Ararat e poi, durante il trasferimento via terra
dalla Turchia alla Russia lungo quella che è conosciuta
come la Strada Militare transcaucasica Georgiana, una
visita seppur veloce nella Svanetia alla ricerca di quelle incredibili case-torri immortalate in superbe fotografie da Vittorio Sella durante le sue varie “campagne
Caucasiche” operate più di cento anni fa.
La realtà politica attuale ci ha però impedito la possibilità di realizzare questa prima ipotesi . La crescente tensione politica tra Russia e Georgia, accusata da Mosca
di essere un compiacente asilo per gruppi terroristici
Ceceni ed arrivata fino alla minaccia di intervento armato, ha di fatto reso inagibile il transito attraverso la
Georgia.
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Sulla vetta dell’Elbrus
Incertezze su frontiere chiuse o aperte tra Turchia ed
Armenia (l’altro logico percorso di transito verso la
Russia dall’Ararat, con volo su MineralVody da Erevan)
ci hanno fatto poi ripiegare sulla possibilità di trasferimento all’Elbrus con traghetto sul mar Nero da Trabzon
a Sochi e poi di lì con treno a MineralVody e bus a
Terskol. Idea anche questa rivelatasi poi poco percorribile: non esiste un collegamento ufficiale via Mar Nero
tra Turchia e Russia . Vi è un cargo per il trasporto di
merci che sembra operare due volte la settimana , ma
orari e giorni sembrano non essere pianificati rigidamente. Una incertezza non proprio ideale per un viaggio in cui occorre prenotare mesi prima i giorni dei pernottamenti sull’Elbrus.
La ricerca di possibili connessioni di voli, rivelatasi poco logica e soprattutto estremamente dispendiosa ci ha
infine indotti alla scelta di una sola salita e, visto che
sull’Ararat ci ero già stato d’estate, si è optato per
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l’Elbrus integrando la salita sciistica con alcuni giorni di
visita a Mosca e San Pietroburgo.
Una scelta, quest’ultima, che infine si è poi potuta realizzare, anche se effettuata nell’avvelenato clima mondiale
dovuto alla guerra di invasione americana dell’Iraq , e
che comunque non è di certo da considerare come ripiego minimalista poiché da sola vale di sicuro il viaggio. Una meta che a quanto mi risulta è stata una prima
con gli sci per AnM e che penso meriti di essere meglio
conosciuta ed inquadrata nel contesto odierno.
L’Elbrus, caduta la cortina di ferro e dissoltasi la rigida
e schematica suddivisione più politica che geografica
della zona caucasica tra Europa ed Asia, sta diventando sempre più riconosciuta come la montagna più alta
d’Europa.( sintomatica è la sua collocazione tra le mitiche “seven summit” ove non compare il Monte Bianco)
Una “rivoluzione” per la nostra mentalità abituata a
vedere nel massiccio del Bianco e nelle Alpi la catena e
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Nei pressi del colle 5.300 mt.
la montagna più alta d’Europa . Una rivoluzione poiché
nella catena montana del Caucaso, che si estende per
oltre 1000 km. tra mar Nero e Mar Caspio, ci sono ben
altre cinque cime di oltre 5000 metri, otto sopra i 4800,
più molte altre che nulla hanno ad invidiare per arditezza e bellezza ai nostri più conosciuti monti.
L’Elbrus, antico vulcano con una duplice vetta, la est di
5621 mt. e la ovest di 5642 mt., ed i suoi circa 144 km
quadrati di calotta glaciale è una montagna “facile” alpinisticamente.
Si può di fatto salire da vari versanti, ma usualmente la
sua ascensione si fa per il versante meridionale unico
lato ove ci sono rifugi. Un percorso che si presta molto
bene ad una salita con gli sci. La difficoltà è data da un
lato dalla quota , ma in particolare dalle condizioni metereologiche che per gli improvvisi cambiamenti del
tempo possono rendere abbastanza pericolosa la sua
ascensione.
Un'altra “aggiunta” è poi oggi data (se non si vuole
dormire in tenda) dal dislivello che si deve coprire per
andare in vetta partendo direttamente dai barrels della
stazione Garabashi che si trovano a 3750 mt. circa
Sono 1900 metri di dislivello con uno sviluppo decisamente sul lungo. Questo da quando nel 1998 è bruciato il famoso rifugio Priut 11 posto a 4150 mt.
Oggi al suo posto vi è una capanna chiamata “diesel
hutte “. Molto più piccola del vecchio rifugio, ed in via
di completamento, sulla sua agibilità ad inizio stagione
non si ha sicurezza (questa primavera non si facevano
prenotazioni per posti a dormire e non si fornivano pasti). Una scorciatoia è fornita a molti da un gatto delle
nevi, usato come suttle fino al vecchio Priut e a volte fin
oltre. Penso però che almeno questa facilitazione non la
si possa considerare, tanto varrebbe allora farsi porta-
re in vetta facendo direttamente dell’eliski. Di certo occorre anche ammettere che pur contemplando le difficoltà sopra elencate l’ambiente della salita è complessivamente molto addomesticato e non comporta la difficoltà psicologica dovuta ad isolamento o a incertezze
sul percorso. A conti fatti noi la salita l’abbiamo programmata e poi vissuta così.
Valutate le molte variabili dovute a impossibilità di potere prenotare direttamente i pernottamenti, alla incertezza legata alla agibilità dei rifugi sul percorso e con
un gruppo composto da 12 persone ho reputato necessario appoggiarmi ad un referente locale. Referente trovato su internet in una agenzia che pareva ( e come si è
poi dimostrata ) molto affidabile , la Pilgrim Tours che ci
ha forniti di tutti gli apporti logistici sia sulla montagna
che nelle fasi di trasferimento ed acclimatamento.
Questa la scansione cronologica del viaggio con la sua
relazione più dettagliata.
Arrivo a Mosca il 27 aprile. Il 28 volo interno di due ore
Mosca – MineralVody. All’aeroporto incontro con il referente della Pilgrim, nel nostro caso come concordato
è una Guida alpina. In bus in circa quattro ore da Mindvody raggiungiamo la nostra base presso l’albergo Ceghet nella federata repubblica Russa di Kabardino Balkaria.( nessuna formalità o controllo per il transito).
L’albergo, una grande costruzione statale anni 70, sta
purtroppo andando a pezzi privo di manutenzione. Nel
piazzale vicino all’albergo vi è una vecchia seggiovia
di cui utilizziamo il giorno seguente il primo troncone
(da 2000 a 2700 metri) per la prima gita di allenamento al monte Ceghet. Il Ceghet ha la cima sciistica a
3480 metri ed è in particolare un magnifico belvedere
sull’Elbrus e sul suo versante di salita.
Il 30 aprile salpiamo per l’Elbrus. In bus alla frazione di
Interno dei “Barrels”
Azau (4 km dall’albergo) e di lì un primo troncone di
una più che stagionata funivia ci porta dai 2300 ai
3000 metri. Di lì un secondo tronco alla stazione Mir,
3500 mt, ove vi è un piccolo museo a ricordo di avvenimenti successi nella zona durante la seconda guerra
mondiale. Dalla Mir una seggiovia porta infine alla stazione Garabashi a 3750 mt. dove sono posti una dozzina di grandi cisterne metalliche che fungono da rifugi. Ogni cilindro ha cinque comodi posti letto più un
avancorpo con mensole ove è possibile, se attrezzati del
necessario, cucinarsi in proprio i pasti ed è fornito di luce e di una stufa elettrica. Comodità che rendono il soggiorno veramente confortevole nonostante i cilindri siano in pratica sommersi dalla neve. L’aspetto negativo è
dato dal fatto che fino a qui pare di essere a Plateau
Rosà e sulle sue piste da discesa. La stazione sciistica
sull’Elbrus è luogo frequentato dalla borghesia e dai novelli ricchi russi ed è solo volgendo in su lo sguardo, verso la cima dell’Elbrus che si supera il disappunto legato
all’affollamento. Comunque presi i nostri posti nel primo pomeriggio decidiamo con Alik , la nostra guida ,
di fare una sgambata di allenamento fino ai resti del
vecchio Priut 11. Uno strappo iniziale e poi un percorso sul lungo ci portano in circa un’ora e mezzo ai ruderi
del rifugio e alla vicina nuova capanna ancora in fase
di ultimazione anche se in parte già operante.
Il primo maggio lo festeggiamo prima con una abbondante colazione fatta in uno dei cilindri adibito a mensa per i gruppi organizzati e gestiti da agenzia e poi
salendo in una splendida giornata come allenamento fino alle Rocce Pastukhov a circa 4650 mt. Tutto è filato
bene fino ad ora e nessuno del gruppo sta soffrendo per
la quota. Il tempo si mantiene al meglio e decidiamo allora stringendo i tempi di cercare di fare la salita il giorno dopo.
2 Maggio. Sveglia antelucana alle 2 e partenza alle
2,30. Ci scontriamo subito con un freddo notevole che
per fortuna non è accentuato dal vento. Saliamo regolari e i primi raggi del sole ci raggiungono che siamo
già alle rocce Pastukhov. Qui la parete si raddrizza un
poco e inizia il lunghissimo diagonale che passando
sotto la cima Est porta alla sella tra le due vette ed ove
poco sotto vi sono i ruderi in legno di un bivacco ormai
collassato. Il traverso è segnalato da canne e picchetti
che permettono in caso di non visibilità di mantenere la
direzione senza abbassarsi nella sottostante vasta zona, crepacciata e seraccata, ove in passato si sono consumate parecchie tragedie dovute al maltempo ed alla
perdita del giusto percorso.
Sopra le rocce purtroppo la neve lascia il posto a larRuderi “priut 11”
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ghe zone gelate che inducono i più a rinunciare a salire con gli sci ed a continuare a piedi. Solo in tre li portano ancora in spalla e sarà alla fine solo uno a portarli
fino in vetta. Questo traverso è sovente spoglio di neve;
per fare tutta la salita con gli sci occorre avere avuto la
fortuna di una recente nevicata con assenza di vento
per alcuni giorni. Infatti gli impetuosi venti primaverili
operano una potente azione ablativa e solo le precipitazioni di fine maggio e inizio giugno, composte da nevi più pesanti ripristinano un manto nevoso più cospicuo. A quelle date però la montagna è spoglia di neve
a quote più basse e ciò rende meno interessante la salita sciistica. Il traverso è veramente interminabile ed il
raggiungere i resti del bivacco a quota 5320 mette un
po’ tutti alla prova. Per fortuna il tempo è bello ed una
lunga sosta aiuta quasi tutti a recuperare. Infine solo
due, non a posto fisicamente, decidono di rientrare.
Si prosegue sul pendio che si raddrizza notevolmente
ed in una altra ora e mezzo, dopo una serie di frustanti anticime, ci ritroviamo finalmente, nove ore circa dopo la partenza, a stringerci la mano attorno al cippo di
vetta a 5642 mt.
Una grande soddisfazione di gruppo e gli occhi che si
riempiono di un panorama eclatante di ghiacci e di vette con la superba cima dell’Uschba a fare da impareggiabile regina. Orgia di foto prima della discesa ed in
particolare la foto del gruppo cui tutti hanno tenuto particolarmente a cuore. La foto fatta in vetta attorno alla
bandiera della Pace.
Una vetta dalla quale all’orizzonte si poteva scorgere la
martoriata terra Cecena. Una terra dove proprio il giorno dopo la nostra partenza da Mindvody c’è stato un
nuovo e grave attentato dinamitardo con il suo consueto corollario di vittime innocenti. Piccolo simbolo il nostro, forse, ma testimonianza di un comune sentire che
ha reso ancora più unito e partecipe il gruppo durante
tutto il viaggio; un gruppo composto da persone che
credono che “il viaggio” possa essere una grande occasione di conoscenza e di confronto oltre che di svago
e soddisfazioni legate al raggiungimento di mete alpinistiche.
Dalla vetta infine la lunga discesa e il ritorno ai barrels
13 ore dopo la partenza.
A questo punto in altri luoghi si sarebbe scesi a valle, ma qui occor-
L’Uschba
rendo fare un piano cui poi ci si deve attenere, avendo
preso in considerazione la possibilità del brutto tempo
o di un maggior soggiorno di acclimatamento ed avendo fissato i pernottamenti ed i servizi ai barrels per cinque notti ci ritroviamo con due altri giorni da spendere
in loco.
Di conseguenza il mattino dopo la salita lo passiamo in
completo relax concedendoci poi solo il pomeriggio
una discesa fino al primo troncone della funivia per bere una birra e dopo per la visita del museo bellico alla
stazione Mir.
L’ultimo giorno, su proposta di Alik che non ha reputato esaurito il suo compito solo con la salita effettuata, ci
facciamo una lunga gita ad anello che ci fa attraversare poco sotto le zone crepacciate , all’altezza del vecchio Priut, tutto il versante meridionale. Un ambiente
molto più severo di quello della via di salita che ci da
modo di ammirare l’Elbrus da altre angolazioni e di
buttare lo sguardo da colli che danno sulla vicina
Circassia. Una gita fatta tra sole e nubi che oggi coprono una vetta che appare solo a tratti sotto la spinta
di venti furiosi.
Il cinque maggio infine lasciamo la montagna e usando
degli impianti scendiamo a valle seguiti da neve e pioggia che ci avevano fino ad allora veramente graziati.
Veloce il ritorno a Mosca e visita di un paio di giorni al-
la capitale russa . Poi trasferimento e conclusione del
viaggio a San Pietroburgo visitando a passo di carica,
sotto imperio di una guida stakanovistica, prima
l’Hermitage e poi una città sfavillante di restauri attuati
in occasione delle celebrazioni dei 300 anni della sua
fondazione.
Luccichii e belletti che rapiscono gli occhi e che sono,
purtroppo, anche metafora di una società che forse solo verticisticamente ha scelto la prassi occidentale della
cosiddetta “liberalizzazione del mercato”. Una società
ove sotto una crosta di ricchezza appannaggio di pochi
si sta riducendo veramente per molti il tenore di vita,
con l’obbligo di barcamenarsi nella ricerca di più occupazioni giornaliere per sbarcare il cosiddetto “lunario”
e per potere guadagnare quel minimo indispensabile a
non varcare quella soglia statistica che consegna alla
povertà . Una soglia che fino a “ieri” era ancora considerato compito dello stato aiutare a non varcare, ma di
cui oggi pare si stiano perdendo le tracce.
Il passare da uno stato coercitivo ad una stato iper libelarista (a livello economico) forse non coincide per i più
con un miglioramento. Una altra occasione questa a
che le riflessioni e i confronti nati attraverso i viaggi non
si isteriliscano in fumosi ricordi, ma vivi e presenti possano essere di stimolo e guida nelle scelte di vita e nella prassi quotidiana.
Alba alle rocce Pastokhov
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