Guido De Monticelli Regista, è attualmente direttore artistico del Teatro Stabile della Sardegna. Ha firmato i suoi spettacoli di prosa nei principali teatri e festival italiani. Ha affrontato autori quali Kleist, Shakespeare, Pirandello, Sofocle, Euripide, Kafka, Bulgakov, Pinter, Lessing, Gogol’, Calderon de la Barca, Cervantes, Dostoevskij, Ostrovskij, Marivaux, Wedekind, Ibsen, Rosso di San Secondo, Buzzati. Per la lirica, dal Festival della Valle d’Itria, al Rossini Opera Festival, dal Teatro dell’Opera Di Roma, alla Scala, alla Fenice di Venezia, al São Carlos di Lisbona, è regista di opere di Rossini, Puccini, Donizetti, Massenet, Mascagni, Paisiello, Cherubini, Leo, Traetta, Giordano. È vincitore del Premio Abbiati per la miglior regia. Ultimamente ha messo in scena Peer Gynt di Ibsen per il teatro che dirige. La Banca Popolare di Sondrio in collaborazione con la Commissione Cultura del Comune di Bormio presenta Ibsen e le montagne di G u id o D e M o n t i c e l l i regista Informazioni [email protected] - Tel. 0342 528 467 Stampa: Tipografia Bettini - Sondrio Bormio Sala Conferenze - Succursale di Bormio della Banca Popolare di Sondrio, via Roma 131 Martedì 30 luglio 2013, ore 21.00 Invito Avventure di un contafrottole per le creste ghiacciate del nord Peer Gynt di Ibsen portato in scena dal Teatro Stabile della Sardegna conduce guido de monticelli coordina leo schena voce recitante mira andriolo Peer, il protagonista del Peer Gynt ibseniano, è un inventore di storie. O meglio: è un ladro di storie. Ed è, di volta in volta, il narratore o il personaggio, o tutti e due insieme. «Peer, tu menti!». È mamma Aase che si rivolge al figlio scapestrato che le sta raccontando proprio della sua ultima prodigiosa cavalcata in groppa a una renna su per le creste ghiacciate del nord, sul filo del precipizio. E di quando la renna scivolò nell’abisso, e tutti e due, cavalcatura e cavaliere, precipitarono nel vuoto a rotta di collo. E di come, nel precipitare, lui, Peer, scorse nel fondo qualcosa di bianco che luccicava, e pareva il ventre di una renna, ed era «la nostra immagine riflessa dalle acque del lago» che stava sotto, e che dal fondo saliva alla superficie «con la stessa velocità con cui noi precipitavamo». La montagna, per Ibsen, è, insieme, sentiero di fantasticheria, scalata verso le più inerpicate vette d’elevazione spirituale, continuo rischio di precipizio nell’abisso dell’autoannientamento.