ANTAS
1
editoriale
ANTAS
Quella scommessa
chiamata rinascita culturale
Porte aperte al mondo della scuola
Quando nel Marzo di quest’anno l’editore Claudio Pia mi propose la direzione di un giornale culturale
per la Sardegna confesso che avevo molti dubbi e pochissime certezze. I dubbi erano legati alla crescente
disaffezione dei lettori per il prodotto “cartaceo”e la sempre più grave crisi economica che mordeva la Sardegna
e l’Italia. Mi son chiesto se fosse davvero il momento, per un editore, di “investire” nella cultura, spesso bistrattata,
offesa e vittima di impietosi tagli di risorse. Accanto ai dubbi è, però, fortunatamente affiorata una certezza. O, se vogliamo, una visionaria scommessa proiettata nel futuro. Qual era la certezza? Semplicemente la constatazione che l’immenso
patrimonio culturale sardo andasse raccontato, fatto conoscere al mondo intero, studiato nelle scuole. In questo contesto,
poi, doveva ambiziosamente recitare un ruolo di primo piano anche il nostro giornale. E infatti Antas è nato come scommessa
“ragionata”, come osservatorio ben appostato per dare voce ai nostri tantissimi artisti, ma anche per aprire (ed è questo il mio più
grande sogno) un proficuo rapporto di collaborazione col mondo della scuola. Stiamo già muovendoci in tal senso, perché siamo
convinti che dalla scuola occorre ripartire per avviare il processo di rinascita della nostra terra.
LA COPERTINA AI TENORES “REMUNNU ‘E LOCU” DI BITTI
E sarebbe bellissimo se questo numero finisse tra i banchi scolastici per esaltare “la grande bellezza” del canto a tenore, dichiarato
dall’Unesco patrimonio immateriale dell’Umanità. La forza espressiva dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu”, i quarant’anni di una
carriera straordinaria: a loro vanno i nostri più affettuosi auguri e l’importante dedica della prima pagina di Antas. Ma nel ricchissimo
numero che ci avvicina alle feste di fine anno tributiamo un omaggio anche al grande poeta tonarese Peppino Mereu e allo straordinario pittore atzarese Antonio Corriga. Per la musica ampio spazio al jazzista Enzo Favata, a Paolo Zicconi (che ci presenta il lavoro
discografico dedicato a Luigi Tenco) al musicista emergente Perry Frank, agli Indigo Flow, ai Niera e al canto a chitarra con Bachisio
Masia. Visto il successo dei primi numeri non poteva mancare la rubrica “Donne di Sardegna”, che vede protagoniste la scrittrice
Bianca Pitzorno, la fotografa Daniela Zedda, la muralista Pina Monne e la stilista Antonella Fini. Per il teatro ospitiamo due grandi compagnie (gli Actores Alidos e i Barbariciridicoli) mentre per il cinema abbiamo incontrato Enrico Pau. Da questo numero,
inoltre, ci occupiamo di fumettistica con Ivano Cirina e delle scuole di musica con la Globemusic Academy di Oristano.
Ringraziandovi di cuore per l’attenzione con la quale ci state seguendo, vi auguro BUONE FESTE! Pierpaolo Fadda
Letterina a Babbo Natale o Gesù Bambino, fate voi!
Camminare insieme sorridendo alla vita!
Vorrei chiedere tante cose per questo Natale ma il regalo più grande noi della redazione
lo abbiamo già ricevuto: aver la possibilità di arrivare ogni due mesi a voi lettori
con le nostre pagine è di gran lunga l’emozione più grande che possiamo aspettarci anche per il prossimo anno. Buon Natale e
felice anno nuovo. Simone Riggio
03 Editoriale Pierpaolo Fadda e Simone Riggio
04 Sommario
05 In evidenza
PERSONAGGI
06 Peppino Mereu Giovanni Graziano Manca
08 Antonio Corriga Ivo Serafino Fenu
DONNE DI SARDEGNA
A N TA S
Bimestrale di musica e cultura sarda
N° 4 - Dicembre 2014 - Anno 1
EDITORE
PTM Editrice di Claudio Pia
Via dei Mestieri, 14 09095 Mogoro (OR)
Telefono 0783 463976 - Fax: 0783 463977
Email: [email protected]
Orari: dal Lun. al Ven. 09.00 - 13.00 | 14.30 - 18.30
DIRETTORE
Pierpaolo Fadda
[email protected]
ART DIRECTOR
Simone Riggio
[email protected]
CONSULENTE ALLA REDAZIONE
Manuela Polli
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Antonio Caria, Marta Cincotti, Roberta Gallo,
Alessandra Ghiani, Claudio Loi, Mary Manghina,
Giovanni Graziano Manca, Matteo Mazzuzzi, Diego
Pani, Moreno Pisano, Giulia Serra, Giacomo Serreli,
Cinzia Simbula, Deborah Succa, Salvatore Taras.
PUBBLICITA’ E PROMOZIONE
[email protected]
FOTO COPERTINA
Antonio Coppola
FOTO PAGINA ABBONAMENTI
vgstudio / 123RF Archivio Fotografico
STAMPA
PTM - Prima Tipografia Mogorese di Claudio Pia Via dei Mestieri 14 - 09095 Mogoro (OR)
©Antas 2014
tutti i diritti di produzione sono riservati
Registrazione tribunale di Oristano
n° 1/2014 del 21/05/2014
12
16
20
22
Bianca Pitzorno Alessandra Ghiani
Daniela Zedda Pierpaolo Fadda
Antonella Fini Roberta Gallo
Pina Monne Pierpaolo Fadda
GLI SPECIALI DI ANTAS
26 Tenores Remunnu ‘e Locu di Bitti Giacomo Serreli
SFUMATURE SONORE
30
34
37
38
40
42
Enzo Favata Marta Cincotti
Perry Frank Diego Pani
Niera Mary Manghina
Indigo Flow Giulia Serra
Paolo Zicconi Giacomo Serreli
Bachisio Masia Antonio Caria
FOCUS, ARTISTI IN VETRINA
44
48
50
52
54
Enrico Pau Matteo Mazzuzzi
Ivano Cirina Moreno Pisano
Actores Alidos Matteo Mazzuzzi
Barbariciridicoli Matteo Mazzuzzi
GlobeMusic Academy Pierpaolo Fadda
RECENSIONI DISCOGRAFICHE
56 4 note in libertà con i Caskanolepiramidi Diego Pani
Dipensieri Redazionale
Even Flow Pierpaolo Fadda
Riccardo lay Redazionale
Raikinas Diego Pani
Adriano Orrù, Paolo Chagas, Mauro Sambo, Silvia Corda Redazionale
Paolo Sanna, Luca Santini Claudio Loi
RECENSIONI LIBRI
60 A colazione con Silvia Sanna Deborah Succa
Brigata Sassari di Antonio Muglia Salvatore Taras
Judikes di Vindice Lecis Redazionale
Cuor di Sardegna... di Arianna Franceschi Cinzia Simbula
Ballate per seppellire un fucile di Alberto Mario Delogu Redazionale
Dalla linotype al web... di Carlo Figari Redazionale
fANTAStiche EMOZIONI
63 Il risveglio Alessandra Ghiani
Le immagini delle pagine 6, 7, 9,10, 14, 22, 23, 24, 25, 38, 54, 55, 60 sono
carenti di riferimenti riguardo i loro autori: scusandocene anticipatamente,
restiamo disponibili per l’aggiornamento dei rispettivi crediti.
Un musicista “pendolare a tempo pieno”: così si racconta Enzo Favata, di ritorno da uno dei suoi frequenti viaggi
alla scoperta di culture diverse, in cerca di intrecci che possano apportare alla sua musica jazz quel suono originale e al di fuori dei canoni.
PEPPINO
MEREU
06 12
La poesia sarda non è per tutti.
Viceversa, al giorno d’oggi si ha
l’impressione che tale forma d’arte
trovi la sua ottimale collocazione...
08
ANTONIO
CORRIGA
16
BIANCA
PITZORNO
22
PINA
MONNE
44
ENRICO
PAU
PERRY
FRANK
50
Pensi all’accabadora e ti viene in
mente una Sardegna misteriosa,
remota, quasi arcaica, fatta di piccoli
paesi e tradizioni secolari...
Con il suo stile schietto Bianca
Pitzorno ha conquistato diverse
generazioni di lettori in Italia e
all’estero...
DANIELA
ZEDDA
30
34
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ACTORES
ALIDOS
foto di Gabriele Doppiu
in evidenza
ENZO FAVATA
Personaggi
La fontana di Galusè
tanto cara al poeta
SUL FILO DELLA MEMORIA
prima parte
PEPPINO
MEREU
Quando la poesia cattura l’anima
Ripercorriamo le tappe più significative del percorso artistico
del grande poeta di Tonara
ANTAS
6
testo di Giovanni Graziano Manca
La poesia sarda non è per tutti. Viceversa, al giorno d’oggi si ha l’impressione
che tale forma d’arte trovi la sua ottimale collocazione all’interno di fasce
di predilezione che in linea di massima
afferiscono non certo alle preferenze
culturali dei giovani ma a quelle delle
persone anziane, o comunque di una
certa età, che sarebbero dunque le sole
ad apprezzarne modalità e contenuti
perché culturalmente e/o sentimentalmente più vicine alla tradizione poetica in limba . Ciò avviene nello stesso
momento in cui continua a registrarsi,
da parte delle ultime generazioni - soprattutto, viene da pensare, di quelle
che vivono in città - un non trascurabile disinteresse per tutto ciò che ha a
che fare con la lingua sarda parlata e
scritta. Fin qui niente di nuovo, sembra,
mentre anche il dibattito sull’attuazione del bilinguismo perfetto in Sardegna appare quanto meno stagnante.
Ennesimo deleterio effetto sugli inte-
ressi culturali dei giovani isolani delle
dinamiche globali, si dirà. Eppure la
scaturigine dell’immaginazione poetica dell’uomo sardo (homo poeticus
per eccellenza) risiede in qualcosa che
interessa tutti, giovani e meno giovani,
e particolarmente nella più profonda
dimestichezza del sardo stesso con la
natura circostante, con il ricordo della
vita rustica condotta dai padri e quindi
con il mettere a nudo le proprie radici
culturali, il desiderio di osservare e, in
ultima analisi, il desiderio di descrivere le cose semplici di tutti i giorni che
ognuno di noi sperimenta quotidianamente. Non a caso gli argomenti che
generalmente contraddistinguono, in
tutta la Sardegna, il poetare in limba
sono l’amore sconfinato per la propria
terra, il lavoro nei campi, le bellezze e
le ricchezze naturali del paese natio, la
nostalgia per i tempi andati, l’amicizia
e i sentimenti in tutte le loro possibili
forme. I temi del poetare possono al-
tresì essere legati al contingente e riferire avvenimenti storici più o meno
lontani nel tempo, oppure raccontare
episodi autobiografici e di vita paesana
accaduti nel recente oppure nel passato più lontano, vicende divenute ormai
leggendarie, e così via.
L’ARTE POETICA DI PEPPINO MEREU
Le poesie scritte dai nostri poeti sono
spesso contraddistinte da una straordinaria semplicità di struttura e di
linguaggio. In esse, tuttavia, non sono
certo assenti i temi dell’impegno civile
o politico e quelli che di volta in volta
vengono dettati al poeta dalla propria
coscienza universale o locale. Queste
osservazioni preliminari introducono a
una migliore comprensione dell’opera
di Peppino Mereu, grande poeta tonarese che ha nobilitato l’arte poetica in
lingua sarda. Al fine di inquadrare nella
giusta dimensione la poesia di Mereu
diremo subito che, pur non andando
LA VICENDA ESISTENZIALE
La tormentata vicenda esistenziale di
Peppino Mereu è in larga parte leggendaria e avvolta nel mistero. Sono
pochissime le notizie certe e incontrovertibili che riguardano la vita e la
morte dello sfortunato poeta. I dati di
sicura veridicità, tutti desunti da archivi pubblici, concernono le date di
nascita e di morte del poeta, la composizione della sua famiglia, il servizio
prestato presso l’Arma dei carabinieri
reali e quello, piuttosto breve, presso
il Municipio di Tonara. Quarto di sette
fratelli (i loro nomi sono Edoardo, Manfredi, Elvira, quello di mezzo Peppino,
appunto, Matilde, Rinaldo ed Emilia)
Giuseppe (Peppino), Ilario, Efisio, Antonio, Sebastiano Mereu venne alla luce
a Tonara nel primo giorno di Gennaio
del 1872. Perde entrambi i genitori prematuramente: la madre Angiolina Zedda muore a Cagliari nel 1887; il padre
Giuseppe, medico del paese, nel 1889,
per aver ingerito erroneamente una sostanza letale scambiata per liquore. Alla
morte del padre Peppino ha diciassette
anni. Si ipotizza una sua frequentazione scolastica fino alla terza elementare;
essendo Tonara villaggio sfornito di
scuole in quei primi lustri postunitari, si
propende generalmente per la tesi della formazione del tutto autodidattica
del poeta1.
Che il poeta disponesse comunque
1 - Molte delle informazioni biografiche su Mereu sono state attinte dal sito www://nuke.peppinumereu.it curato dal Collettivo Peppino Mereu,
organismo che ha avuto il merito di avere svolto,
a partire dalla seconda metà degli anni Settanta
del Novecento, una amorevole e paziente opera
di ricerca storico-biografica, oltreché di raccolta
delle opere di Mereu. Il lavoro del collettivo ha
portato alla pubblicazione dell’opera del poeta di
Tonara.
2 - Scrive Mereu in ‘A Nanni Sulis II’: ‘Deo no
isco, sos carabineris/in logu nostru prit’est chi bi
sune,/e no arrestant sos bangarrutteris./Bi cheret
una furca e una fune,/e impiccar’impiccare continu,/finas a si purgare sa Comune.’
3 - Il debito per così dire ‘stilistico’ nei confronti del Guerrini risulta particolarmente evidente
nella poesia ‘Dae una losa ismentigada’ (Da una
tomba dimenticata): 1.Non sias ingrata, no, para
sos passos,/o giovana ch’ in vid’ happ’istimadu./
Lassa sas allegrias e ispassos/e pensa chi so inoghe sepultadu./Vermes ischivos si sunt fattos rassos/de cuddos ojos chi tantu has miradu./Para,
par’un’istante, e tene cura/de cust’ ismentigada
sepoltura./2. A ti nd’ammentas, cando chi vivia/
passaimis ridend’oras interas?/Como happ’ una
trista cumpagnia/de ossos e de testas cadaveras,/
fin’ a mortu mi faghent pauria/su tremendu silenziu ‘e sas osseras./E tue non ti dignas un’istante/de
pensare ch’ inog’ has un amante!
7
molto oltre i particolarismi letterari e
le specificità formali che sono proprie
dell’espressione poetica dialettale sarda, l’opera del tonarese andrebbe apprezzata per i suoi contenuti universali
ancora validissimi e non soltanto per la
capacità intrinseca delle composizioni
poetiche di rappresentare gli aspetti
sociali ed economici della Sardegna e
della Barbagia del tempo in cui furono
scritte. Peppino Mereu era particolarmente legato a Tonara. Il suo rapporto
con il paese era viscerale e simbiotico,
espressione di un amore totalizzante
per i luoghi e le ricchezze naturali di
cui è dotato il piccolo centro montano.
In una delle sue poesie più conosciute,
quella, appunto, intitolata al suo borgo
natio, Mereu, dopo aver definito Tonara cara, santa e benedetta dalle muse,
descrive così il paesaggio che è tipico
dei luoghi che lo hanno visto venire al
mondo:
‘Majestosas muntagnas/fizas de su canudu Gennargentu,/ch’in sas virdes
campagnas/sas nucciolas bos faghent
ornamentu;/seculares castagnas/chi supervas alzades a su bentu/virdes ramos
umbrosos,/dulche nidu de cantos pibiosos://semper bos sogno, vanu/però est
custu sognu, it’amalgura!’
Con inusitata capacità di sintesi, venati
dall’amara malinconia dell’uomo che
per un motivo o per un altro è costretto
a stare lontano dal proprio villaggio, i
versi rappresentano gli aspetti più immediatamente percepibili, quelli naturalistico-ambientali di un paese e di un
territorio intero che mai hanno goduto
di grandi fortune turistiche nonostante
siano - la circostanza è ben conosciuta
dai sardi - tra i più ameni e caratteristici
dell’isola di Sardegna. Se nell’ambito
di una formazione lo possiamo desumere dalla lettura dei suoi versi. Nello
specifico, leggere l’opera poetica di
Mereu porta ad avvicinarsi confidenzialmente al suo raffinato verseggiare,
alle riflessioni in certo qual modo ‘filosofiche’ a cui il poeta si lascia andare
quando affronta argomenti di portata
universale come le sofferenze che fanno parte dell’umana esistenza, la morte
e la giustizia, e alla ricchezza descrittiva con la quale egli, con ricercato linguaggio, raffigura gesti e circostanze,
comportamenti e particolari aspetti
della quotidianità delle persone che
abitano l’amato paese. Che dovesse
aver letto molto e non solo in lingua
sarda è inoltre dimostrato da alcune
influenze letterarie che Mereu, uomo
dei suoi tempi, ha trasfuso nei suoi
versi. Ciò è accaduto soprattutto nelle
composizioni poetiche in cui il tonarese affronta argomenti di interesse più
generale, in quelle più ‘contestatarie’,
per esempio, in quelle, poi, che documentano l’approccio particolarmente
commosso e critico del poeta nei confronti delle difficoltà esistenziali dei
meno fortunati, del potere costituito e
di una giustizia che gli appare sempre
poco giusta2. Queste influenze per così
dire ‘esterne’, vengono ricondotte agli
scritti dei poeti della scapigliatura, alle
poesie di Olindo Guerrini (pseudonimo
di Lorenzo Stecchetti) 3 e, per altri versi, a Giuseppe Giusti, poeta satirico toscano vissuto tra il 1809 e il 1850, il cui
stile può essere facilmente rinvenuto
in alcune delle poesie meno intime di
Peppino, in quelle più irriverenti, pungenti e goliardiche nei confronti della
politica e del potere.
ANTAS
dell’opera di Mereu Tonara fa spesso
da sfondo, tuttavia il poetare di Peppino non si limita alla celebrazione in versi del tanto amato borgo natio. L’opera
di Mereu, infatti, è molto più complessa
di quanto possa sembrare a un primo
superficiale approccio. Vale la pena dilungarsi sugli elementi biografici, storici, letterari e contenutistici che hanno
permeato di sé l’opera del tonarese.
Essi hanno contribuito a determinare
l’alto spessore della scrittura di questa
singolare figura di poeta cantastorie a
oltre 140 dalla nascita.
Personaggi
foto di Antonello Carboni
8
ANTAS
Alla scoperta dei grandi personaggi dell’arte
ANTONIO
CORRIGA
Il sentimento del colore
A Oristano una mostra che rende omaggio a uno degli artisti più amati del
Novecento sardo. Ivo Serafino Fenu traccia un profilo artistico e umano del
grande pittore di Atzara
testo di Ivo Serafino Fenu
(Curatore della Pinacoteca comunale “Carlo Contini” di Oristano)
non si può non concordare con la lucida analisi che Salvatore Naitza tracciò
nel saggio introduttivo del catalogo
per la mostra Venticinque anni di ricerca
artistica in Sardegna (1957 – 1983) che,
contestualizzando il decennio 19571967 come cruciale per una svolta in
senso contemporaneo per l’arte sarda,
9
sviluppi dell’arte del Novecento, il secolo delle “avanguardie”, il secolo che,
molto spesso, nella sua complessa stratificazione e pluralità di voci iconoclaste o marcatamente concettuali, proprio tali elementi – or l’uno, ora l’altra
o tutti insieme – ha aborrito e ritenuto
passatisti e antistorici. In quest’ottica
Giovanni (studi anatomici),
5 agosto 1986
olio su tela, cm 92 x 74
(Collezione Fam. Corriga)
ANTAS
A tre anni dalla sua scomparsa, Oristano, con la mostra Antonio Corriga. Il
sentimento del colore, rende omaggio a
uno degli artisti più amati e collezionati
del Novecento isolano, rileggendone
la complessa personalità artistica attraverso una settantina di opere appartenenti perlopiù alla famiglia e ad
alcuni enti istituzionali e religiosi, in un
percorso che, dalla Pinacoteca “Carlo
Contini”, si dipana nei numerosi spazi
pubblici, privati e di culto, dalla sede
comunale all’aula del Consiglio provinciale, dal mercato civico alla chiesa di
San Sebastiano. Coprendo l’intero arco
della sua produzione la mostra propone una sequenza di opere pittoriche,
plastiche o legate alle cosiddette arti
minori che, più che al rigore filologico,
mira ad evidenziare quella “corrispondenza d’amorosi sensi” tra Corriga e
i luoghi, gli affetti e gli ideali politici,
sociali e religiosi che sin dagli esordi ha
contraddistinto la sua ricerca.
Colore e realtà ma, insieme, realtà del
colore e colore della realtà: questi sono,
del resto, i paradigmi entro i quali collocare la sua vicenda umana e il suo
percorso artistico iniziati, entrambi, ad
Atzara nel 1923 e conclusisi il 16 dicembre del 2011 nella casa-studio di Oristano, sua città d’adozione. Ma se questi
possono considerarsi come elementi
formali, qualificanti e caratterizzanti di
un’avventura lunga quasi settant’anni,
non va dimenticato che il teatro nel
quale tali esperienze maturarono fu la
Sardegna, terra amata, raccontata, poeticizzata con una vis romantica mai
venuta meno, dagli esordi atzaresi fino
alle sue estreme produzioni oristanesi.
Colore, realtà, Sardegna: una triade pericolosa e limitante, se rapportata agli
ANTAS
10
collocava un allora giovane
Corriga tra quegli artisti che si
posero sull’«onda lunga delle
proposte iconologiche e stilistiche partite agli inizi del secolo, tutt’altro che esaurita [e
che] appariva non solo piena
ma addirittura unica; le immagini inventate da Francesco
Ciusa, Antonio Ballero, Filippo
Figari, Giuseppe Biasi, Mario
Delitala, Mario Mossa Demurtas; confermate in modi non dissonanti
da Carmelo Floris, Pietro Antonio Manca, Stanis Dessy, Melkiorre Melis, Remo
Branca e il più giovane Giovanni Ciusa
Romagna […] legittimate dalla figura
di un buon maestro di valore nazionale
quale Felice Melis Marini; tutte costituivano un piano di rapportamento inevitabile per gli artisti che operavano,
spesso ai primi passi, in quel primo periodo. Non venivano sostanzialmente
modificate, nei valori di fondo (artistici
e narrativi), dalle personalità affermatesi nel secondo dopoguerra: da Carlo
Contini, Antonio Mura e Pietro Collu, ad
[appunto] Antonio Corriga» (S. Naitza,
1983).
Di tali valori di fondo, identitari, sociali,
folklorici, Antonio Corriga rimase sempre uno strenuo difensore col rischio,
calcolato, di apparire anacronistico,
orgogliosamente anacronistico. E allora, se per un attimo
abbandonassimo i consueti
cliché del mainstream contemporaneo e assumessimo i
valori anzidetti come termini
sui quali parametrare l’opera
dell’artista, ci accorgeremmo
Giovanni dormiente, 1969
di avere davanti ai nostri ocolio su tela, cm 60 x 80
chi una produzione coerente,
(Collezione Fam. Corriga)
spesso di altissima qualità, articolata e complessa sia in rapporto alle tecniche, sia ai temi, sia alla
stratificazione culturale, sia, infine, alla
talvolta spericolata sperimentazione
formale di un vero e proprio maestro
del colore.
C’è da chiedersi, del resto, se poteva
andar diversamente per un artista nato
e cresciuto ad Atzara, il piccolo centro
del Mandrolisai che, all’inizio del secolo
ospitò, caso unico nell’Isola, una quantità di giovani pittori costumbristi iberici – tra loro Eduardo Chicharro, Antonio
Ortiz Echagüe e Cesareo Bernardo de
Quiros – attratti dagli sfavillanti colori
del costume tradizionale femminile e
latori di un modo nuovo di dipingere
rispetto agli standard isolani. La loro
presenza attirò nel paese, tra gli altri,
Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo
Figari e il tedesco Richard Scheurlen e
sarà proprio l’insegnamento di Figari,
...ci accorgeremmo
di avere davanti
ai nostri occhi
una produzione
coerente, spesso di
altissima qualità,
articolata e
complessa...
Maternità, 1966
olio su tela, cm 90 x 65
(Collezione Fam. Corriga)
importanti in seno alla sua formazione
e, soprattutto, rispetto agli ideali umani
e artistici anzidetti. Rimossa dall’altare
per volontà dell’Arcivescovo di allora –
in una vicenda dal sapore guareschiano
che ben restituisce, in salsa oristanese,
il clima da Guerra Fredda di quegli anni
–, ci ricorda da un lato la passione politica che ha sempre sostenuto l’uomo
e, dall’altro, quella robusta formazione accademica acquisita nel decennio
precedente. Risale infatti al 1943 il suo
trasferimento a Firenze per frequentare
l’Istituto Superiore d’Arte “Magistero di
Porta Romana”, ove conseguì il diploma; sempre nel capoluogo toscano ottenne l’abilitazione all’insegnamento e,
successivamente, frequentò l’Accademia delle Belle Arti. Se l’impostazione
ANTAS
presso l’Istituto d’Arte di Sassari, a fornire eccellenti basi tecniche al giovane
Corriga, mentre di Scheurlen assimilerà
quella pennellata sciolta e quell’esuberanza cromatica che diverranno, in
seguito – andando ben oltre la lezione
dei pur prestigiosi maestri – i suoi tratti
distintivi.
In quest’ottica il percorso espositivo
presenta lo studio preparatorio del
monumentale San Sebastiano realizzato nel 1956 per l’omonima chiesa
oristanese. La grande tela, sconosciuta ai più, è stata oggetto di un’attenta
operazione di restauro finalizzata alla
ricollocazione all’interno dell’edificio di
culto. Si tratta di un’opera “eccentrica”
rispetto alla poetica di Corriga e, tuttavia, emblematica per capire elementi
compositiva del San Sebastiano, lo studio anatomico, i contrasti cromatici rimandano a certo classicismo bolognese di marca controriformista, il volto del
santo, ispirato a studi dal vero dell’amico e, anch’egli militante politico, Gianni
Atzori, riconducono viceversa a quel
“senso di realtà” e a quell’amore per il
vero che sempre hanno supportato
l’arte di Corriga.
L’opera conferma, dunque, il ruolo
dell’artista come «mediatore naturale
tra la cultura artistica del Novecento
italiano e quella coeva sviluppatasi in
Sardegna intorno a Biasi, Floris, Dessy
etc.», «una grandiosità pittorica non
molto frequente nell’isola» e quella
«funzione di innovatore, esercitata, in
modi propri, in sintonia con artisti quali
Foiso Fois, Libero Meledina, Costantino
Spada e non molti altri, nel senso di una
storica svolta formale nella pittura isolana a partire dagli ultimi anni Quaranta e soprattutto nel decennio successivo» (S. Naitza 1991). Quegli stessi artisti
coi quali la pittura del maestro di Atzara torna a dialogare e a confrontarsi
nel percorso espositivo all’interno della
Pinacoteca comunale di Oristano: un
dialogo che gli restituisce il ruolo e l’importanza, nel panorama artistico del
Novecento isolano, di ultimo cantore
di una “sardità” resa con un “sentimento
del colore” ora lirico ora drammatico e,
al contempo, con una larghezza cromatica e un’intensità narrativa di rara forza
espressiva.
11
...ultimo
cantore di
una “sardità”
resa con un
“sentimento
del colore”
ora lirico ora
drammatico...
donne di Sardegna
Abbiamo intervistato la scrittrice sassarese
BIANCA
PITZORNO
ANTAS
12
La forza espressiva della narrazione
“Ho pubblicato il primo libro che avevo 28 anni e da allora non ho mai smesso”.
“Un messaggio ai lettori? La sorte ti concede di vivere un’unica vita. Leggendo puoi
viverne moltissime. Puoi capire gli altri e non considerarti il centro dell’universo”
testo di Alessandra Ghiani
Lei è stata insegnante, archeologa,
funzionaria Rai, ha imparato le arti
della fotografia e della pittura, ha
realizzato diversi cortometraggi. Tra
questa moltitudine di interessi e mestieri quando è emersa la passione
per la scrittura?
Lei si è dedicata con passione sia alla
letteratura per ragazzi sia a quella per adulti. Quali sono le sue due
opere, una destinata ai primi e una
ai secondi, a cui è particolarmente
legata?
Non ho preferenze. Una volta che un
libro è stato pubblicato e va in giro per
il mondo non ci penso più.
In Extraterrestre alla pari, scritto negli anni Settanta, affronta un tema
importantissimo e scomodo: quello
della disparità di genere. Se Mo, la
Nel suo sito web dichiara che l’autore che ama di più è Victor Hugo. Per
la sua sensibilità di lettrice esiste un
analogo femminile?
Di Victor Hugo ammiro sia le opere,
moltissime, sia la vita di uomo impegnato ideologicamente. Purtroppo
non c’è alcuna autrice che abbia avuto una vita pubblica così ‘di peso’ e un
così gran numero di opere. Mi piace
molto Jane Austen, mi piace Charlotte
Brönte. Mi piace George Elliot, mi piace
George Sand… Ma in confronto all’‘uomo oceano’, come chiamavano Hugo,
ciascuna di loro ha fatto molto poco
(come quantità, non come qualità).
Delle autrici contemporanee ammiro
Antonia S. Byatt e tra le italiane Melania
G. Mazzucco.
Benedetto Croce nel 1943 ha affermato: “L’arte per bambini non sarà
mai vera arte”, giudizio che ha pesato a lungo sui libri per l’infanzia. A
parer suo come è cambiata, se è accaduto, la percezione che la società e
la critica hanno della letteratura per
ragazzi?
Purtroppo non è cambiato niente. Croce riprende il giudizio di Alessandro
Manzoni: un vero artista non potrebbe
né dovrebbe scrivere pensando a un
pubblico di fanciulli, perché l’intento
pedagogico impedirebbe il fine essenziale dell’arte, che è l’imitazione del
vero (ai bambini, per educarli, bisogna
nascondere il vero e raccontare bugie?).
Manzoni scrive in una lettera: “Ainsi
le naïf, qui fait le plus grand charme
de ces sortes d’ouvrages, quand ils
ne sont qu’un jeu de l’art, devient un
écueil lorsqu’ils doivent être un moyen
d’instruction”. Ancora oggi degli scrit-
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Con il suo stile schietto Bianca Pitzorno
ha conquistato diverse generazioni di
lettori in Italia e all’estero. Fantasia, coraggio, franchezza sono gli ingredienti
dei suoi romanzi per ragazzi, in cui spiccano personaggi, quasi sempre femminili, pronti a lottare contro gli stereotipi
di una società che, come la vita, non
concede sconti neanche ai più giovani.
Insegnante per brevissimo tempo e
di malavoglia. Sono invece anche una
buona sarta, falegname e parrucchiera,
imbianchina. I miei bisnonni vennero
in Sardegna dal Piemonte come selciatori di strade (lo racconta Satta ne Il
Giorno del Giudizio), poi si arricchirono,
si fecero borghesi, e mandarono i due
figli più piccoli all’Università. Ma nella
mia famiglia non è mai stato trascurato
il lavoro manuale. Tutti sappiamo fare
qualcosa con le mani nei campi più diversi; come Robinson Crusoè saremmo
autosufficienti. Così, fin da quando ho
imparato a leggere, a sei anni, ho pensato che i libri me li sarei potuta scrivere
da sola. Di fatto, ho pubblicato il primo
che avevo a 28 anni e da allora non ho
mai smesso. Ma quella di scrittrice non
è mai stata la mia unica attività. Tempo
fa sul mio biglietto da visita avevo una
chiave inglese e un trapano.
Quale lettura, fatta da bambina, ricorda con più piacere?
La serie della danese Karin Michaëlis
che aveva per protagonista una bambina di nome Bibi. Libri intelligenti, spiritosi, profondi, civili.
ANTAS
foto di Daniela Zedda
...fin da
quando ho
imparato
a leggere, a
sei anni, ho
pensato che
i libri me li
sarei potuta
scrivere da
sola...
protagonista, dovesse vivere oggi
sulla Terra, si troverebbe meglio o
peggio rispetto al passato?
Dipende in quale paese sbarcherà. Se
in Europa, specie in quella del nord, o in
America, forse un po’ meglio. Ma pensiamo all’Asia, all’Africa, ai paesi arabi…
Meglio restarsene a Deneb.
tori per bambini non si giudica il valore
letterario dei testi, ma quello pedagogico. Li si considera non artisti ma educatori. Molti in realtà sono solo quello e
non altro. Ma anche chi scrive dei testi
letterariamente perfetti, (non avendo
paura di ‘imitare il vero’), non verrà mai
giudicato per il suo valore, solo per la
sua supposta ‘utilità’.
Da diversi anni collabora con le istituzioni culturali cubane. Quali aspetti dell’isola e dei suoi abitanti l’hanno colpita maggiormente?
Quanto prendono sul serio quello che
fanno. Quanto sono generosi, loro che
un ingiusto embargo - condannato
ogni anno da tutte le nazioni tranne gli
Usa e due loro leccapiedi - ha ridotto in
miseria. I medici cubani che, unici, sono
rimasti a soccorrere Haiti, quelli che
hanno operato gratis agli occhi, restituendo la vista a mezzo milione di poveri latino americani. Quelli che oggi si
distinguono nel combattere l’Ebola. E i
maestri che hanno sconfitto l’analfabe-
ANTAS
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Bianca Pitzorno: Cuba dieci anni dopo
La biografia Vita di Eleonora d’Arborea ha comportato lunghe e impegnative ricerche. Qual è stata la
scoperta più interessante sulla giudicessa sarda?
Un brano del testamento di suo nonno
Ugone. Agli inizi del Trecento era scontato che la prima figlia si sposasse (in
genere per alleanze dinastiche) e che
le altre si facessero monache. Ugone
quando fa testamento ha già sposato
la primogenita Bonaventura. E ne ha
fatto una malattia, perché soffriva a
vederla andare a vivere lontano. Ne ha
fatto una malattia e non si è vergognato di scriverne pubblicamente, in lettere ufficiali destinate al re d’Aragona, di
confessare questo attaccamento alla
ragazzina davanti ai potenti della terra.
Per la secondogenita Maria nel testamento dispone che, fornita di adeguata dote, vada a chiudersi in convento.
Ma aggiunge che ‘si noluerit monacari’
(se non vorrà farsi monaca), che usi la
dote per sposarsi, che faccia quello che
le pare, ‘perché ciò che a me interessa è
che sia contenta’. In quel tempo accettare che una giovane donna avesse una
volontà propria, che potesse fare delle
scelte diverse da quelle prefissate dalla
società e dalla famiglia, auspicare per
lei prima di tutto la felicità, era un atto
rivoluzionario.
Se si considera questa straordinaria
modernità nel concepire il valore femminile da parte di Ugone, si capisce
come suo figlio Mariano abbia considerato la moglie come capace di attività
politiche e l’abbia usata come ambasciatrice in delicatissime questioni. Si
capisce come Eleonora nella Carta de
Logu condanni lo stupratore a indennizzare la vittima non sposandola, ma
procurandole un marito che piaccia a
lei, e le fornisca la dote necessaria. ‘Se
la donna vuole’; ‘Se alla donna piace’.
Non era affatto scontato che ciò venisse preso in considerazione. Ma i De Serra Bas lo facevano.
...aggiungo
che i cubani
conoscono e
apprezzano
Grazia
Deledda...
tismo in meno di un anno a casa loro, e
insegnano agli altri il metodo per farlo.
Il coraggio, l’intelligenza, l’ironia delle
donne cubane. Il fatto che l’eroe a cui
si ispirano i cubani sia, prima che Josè
Martì, prima che il Che, prima che Fidel,
il Don Chisciotte di Cervantes. Il fatto
che molti di loro conoscano a memoria
I Miserabili. Il fatto che, nonostante la
mancanza di carta e di ogni mezzo materiale, come formichine da anni si siano messi d’impegno a pubblicare TUTTI i miei libri. Serve altro? Aggiungo che
i cubani conoscono e apprezzano Grazia Deledda. Con gli amici del programma ‘Mar de sueños’ abbiamo tradotto
Cosima e lo abbiamo presentato a un
seminario sulla autobiografia al femminile, cui partecipava anche Alessandro
Madesani Deledda che ho conosciuto
in quella occasione. Abbiamo proiettato Cenere interpretato da Eleonora
Duse. E da quel seminario io ho tratto
gli spunti che mi sono serviti per scrivere ‘Le bambine dell’Avana non hanno paura di niente’, sulle autobiografie
delle scrittrici cubane a partire dal 1700
al 2000.
La sua vastissima produzione ha
accompagnato la crescita di molti
bambini, in Italia e all’estero. Quali
messaggi ha voluto inviare ai suoi
giovani lettori?
L’unico messaggio che un buon libro
di narrativa comunica ai suoi lettori,
giovani o meno: la sorte ti concede di
vivere un’unica vita. Leggendo puoi viverne moltissime. Puoi capire gli altri e
non considerarti il centro dell’universo.
Sono previste, a breve, nuove pubblicazioni?
No.
ANTAS
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donne di Sardegna
donne di Sardegna
DANIELA
ZEDDA
Quando la fotografia regala emozioni
Dalla mostra al Time Center di New York al reportage
in Eritrea. E il progetto “Aldilàdelmare” che l’ha portata
in Europa per raccontare 88 storie di sardi che hanno
varcato il mare per incontrare nuovi mondi.
L’artista cagliaritana si racconta e confessa:
“Cosa mi diverte di pìù del mio lavoro?
La sfida che ingaggio con me stessa per realizzare
l’immagine che ho pensato”
testo di Pierpaolo Fadda foto di Daniela Zedda
ANTAS
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Ogni scatto della fotografa cagliaritana Daniela Zedda racconta storie. Arriva dritto al cuore. Emoziona. È una scoperta che
attrae, una brezza che ti trasporta in un viaggio affascinante.
Una carriera straordinaria, tantissime mostre personali e collettive, libri, copertine di dischi, reportage di straordinaria bellezza. In questa intervista Daniela si racconta ai lettori di Antas.
Quando è nata la passione per la fotografia?
Ho iniziato a fare fotografie per non essere fotografata, quindi il primo approccio non è stato per passione. Poi, per il mio
ventesimo compleanno, ho ricevuto una Pentax K1000. Erano
i primi anni ‘80, e Cagliari scopriva che un’impalcatura di tubi
Innocenti e qualche tavola facevano un palcoscenico, sia che
fosse l’Anfiteatro Romano, piazza San Cosimo, lo slargo di viale Europa o Marina Piccola. È iniziata lì la mia passione per la
fotografia, o meglio, ho capito che la mia passione per la musica, la danza, il teatro prendeva forma attraverso la fotografia.
Il tuo talento non è passato inosservato ai giornali sardi:
con quale testata hai iniziato a collaborare agli esordi della tua carriera fotografica?
Tutto è iniziato con il giornalista Ottavio Olita, che nell’81 mi
chiese di collaborare con la sua rivista Altair, dopo aver visto
alcune foto che avevo fatto a Parigi. La vera gavetta però l’ho
Il tuo curriculum artistico è pieno di libri, foto di copertine di dischi, mostre
personali e collettive in Sardegna,
nella Penisola, in Europa, fino ad approdare negli Stati Uniti d’America:
ci vuoi raccontare questa esperienza?
Ho avuto la fortuna di esporre a New
York due volte: la prima alla Columbia
University con un lavoro sulla Sardegna,
la seconda al Times Center con un lavoro sulla musica. È stata un’esperienza
unica: ho pensato di vivere un sogno.
Aver portato le immagini dei grandi del
jazz a casa loro aveva dell’incredibile.
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Se ti parlo del grande, indimenticabile Alberto Rodriguez, giornalista e
grande appassionato di musica jazz,
cosa ti viene in mente?
Una persona davvero unica: lavorare
con lui è stato un privilegio. Ricordo l’e-
mozione che provai la prima volta che
mi chiese una foto per la “terza pagina”
(così allora si chiamava la pagina della cultura). Cercava una foto di Ferrara;
pensavo si riferisse al sindaco cagliaritano degli anni ‘70, che non avevo mai
fotografato. Invece si riferiva al Palazzo
dei Diamanti, che casualmente avevo
nel mio modesto archivio di allora.
ANTAS
fatta con L’altro giornale. Poi è arrivata
L’Unione Sarda, con la quale collaboro
dal 1983. Da sempre ho fotografato ciò
che mi piaceva, e l’ho fatto per lavoro,
mai per hobby.
ANTAS
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Ho avuto un riscontro oltre ogni aspettativa; molti visitatori mi chiesero cosa
avrebbero potuto fare per venire in
Sardegna e prenotarsi per il prossimo
festival e ho evitato di dire che qualcosa era cambiato rispetto a quelle immagini. Devo aggiungere che per me tutte
le mostre hanno la stessa valenza, sia
che esponga a New York o per le strade
di Gavoi.
Eritrea, un viaggio emozionante per
un reportage dal quale è nato un libro, Deserti di Colori, e che credo sia
rimasto per sempre impresso nella
tua mente…
Quel lavoro è stato il frutto imprevisto
di un viaggio intrapreso per documentare i costumi tradizionali del luogo e
trasformato ben presto nella scoperta
di una dimensione altra, un aspetto
fiabesco, evocativo di personaggi e paesaggi delle Mille e una Notte in netto
contrasto con la quotidianità faticosa di
un popolo di grande orgoglio e dignità. Un lavoro affrontato con incoscienza verso i rischi, che mi ha restituito
emozioni profonde. Ancora oggi, dopo
vent’anni, mantengono intatte la loro
intensità.
Parlaci di Aldilàdelmare, 88 scatti
fotografici di personaggi sardi che
hanno, per diverse ragioni, deciso
di “varcare il mare”. Quando è nata
l’idea-progetto?
È nata da uno scambio di idee con
l’amica Giovanna Cerina, compianta
docente di letteratura italiana all’Università di Cagliari. L’intento non era
di raccontare con toni nostalgici il distacco dei sardi dalla loro terra, ma di
sottolineare l’integrazione, la fusione,
il valore dell’incontro con altri mondi.
Io volevo dimostrare, e spero di esserci
riuscita, che i difetti tipici dei sardi, fuori, si trasformano in pregi. L’ostinazione
diventa costanza, la diffidenza misura,
la timidezza affidabilità. E chi ha talento (in questo libro ce n’è tanto), riesce a
spenderlo al meglio. I testi di Maria Paola Masala, che hanno accompagnato
ciascuna fotografia, hanno poi aggiunto al libro una modalità di racconto diversa, e devo dire che lavorare con lei è
L’ostinazione
diventa costanza,
la diffidenza
misura, la
timidezza
affidabilità...
stato un vero piacere.
Una domanda tecnica: ti manca la
camera oscura? Quanto è stato difficile, per te, passare dall’analogico al
digitale?
Non sono una nostalgica: il futuro mi
sembra sempre più stimolante del passato. Mi manca però il rigore dell’approccio alla fotografia, il rispetto di
quelle regole che guidavano le scelte
del racconto fotografico.
È nota la tua passione per il ritratto,
la musica, il teatro: ce ne vuoi parlare?
Amo fotografare le persone, perdermi
nella complessità dei volti per cercare
tra le linee del viso l’intreccio dei segni
che mi aiutano a descriverne l’anima.
Non esiste la fotogenia, ma la possibilità di rendere armoniche le dissonanze
dei volti, cercando, fosse anche per una
frazione di secondo, l’equilibrio interiore. Forse per questo le persone che ho
ritratto un po’ mi appartengono e finché non incontro quello sguardo che
ricerco, non li faccio andare. Per quanto
riguarda la musica e il teatro la passione è immutata, ma per la fotografia di
spettacolo sono profondamente diverse le condizioni di ripresa e forse non ci
sono più i tecnici delle luci di una volta.
uno scippatore a Bruxelles. Non sopporto copiare, tanto meno me stessa.
La foto più difficile che hai scattato?
Rimuovo le situazioni spiacevoli. Le
immagini più difficili, sono state quelle
che ho dovuto scattare uguali una seconda volta: le prime erano finite, con
tutta la mia attrezzatura, nelle mani di
Io sono un’istintiva
e non ho segreti, ma
per fare una bella
foto bisogna saper
aspettare....
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Ci conosciamo da anni e ho sempre
ammirato la tua grande passione e
professionalità. Cosa ti diverte di più
nel tuo lavoro?
La sfida che ingaggio con me stessa per
realizzare l’immagine che ho pensato.
E la percezione di fare un lavoro mai
uguale.
Un consiglio per un giovane che si
avvicina a questa professione?
Viviamo un presente senza certezze: la
professione del fotografo è cambiata
radicalmente nel giro di pochi anni. Ma
oggi come ieri, consiglierei a un giovane fotografo di occuparsi di un solo
tema che lo appassioni davvero, con lo
scopo di realizzare un contributo importante. Non serve andare in giro per
redazioni a cercare un posto di lavoro;
bisogna creare qualcosa di personale, di originale, per essere riconosciuti
come autori. È fondamentale inventarsi
un proprio sguardo, non fare semplicemente come fanno gli altri. Non credo
molto nelle scuole; penso che quello
del fotografo sia un percorso empirico,
una cosa che bisogna inventarsi da soli.
ANTAS
Nella tua lunga carriera hai scattato
migliaia di fotografie: qual è quella
che più ti ha emozionato?
L’ultima, anzi, quella che non ho ancora
fatto. La verità vera è che io mi emoziono per ogni scatto.
Quali sono per Daniela Zedda il segreto e la conoscenza basilare per
fare una bella fotografia?
Io sono un’istintiva e non ho segreti,
ma per fare una bella foto bisogna saper aspettare. Oggi si fotografa qualsiasi cosa in ogni momento senza pensare. La sintesi del segreto forse sta in un
proverbio sardo: “Non esti a sindi scirai
chizzi, ma a inzertai s’ora”.
donne di Sardegna
ANTONELLA
FINI
foto di Daniela Cermelli per Aghera Photostudio
Moda. Coraggio e
passione, le carte
vincenti di
Il caos creativo della stilista portotorrese
Dalla vecchia macchina da cucire al gran ballo delle debuttanti.
E l’incontro col re del velluto Paolo Modolo
ANTAS
20
testo di Roberta Gallo
La moda è una rappresentazione dell’arte in cui estro e manualità si snodano nella realizzazione di ciò che in potenza
esiste già. Suscitando emozioni.Il laboratorio sartoriale della
stilista Antonella Fini scioglie, simpaticamente,ogni dubbio
sul concetto di entropia e ci proietta nel caos creativo in continua espansione della sua mente frenetica, per nulla incline
al riposo.
Del resto Antonella è un’artista. Lo è nell’animo. E ogni sua
creazione ne rispecchia la determinazione, il coraggio e la
passione per la vita. La stessa che, dopo aver infierito contro
di lei, le ha concesso una seconda possibilità. Permettendole
di realizzare il sogno di bambina: diventare una stilista ed essere riconosciuta attraverso il suo stile.
Una vecchia macchina da cucire la guida attraverso gli anni
della scuola sartoriale quando, seppur molto giovane, riesce a conciliare lo studio con la famiglia. Rincorre i suoi sogni pigiando sul pedale e, mentre affida le inquietudini agli
sconfortanti grovigli di fili, Antonella disegna, taglia e cuce,
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il richiamo della sua
terra e la riscoperta
delle proprie
radici diventa un
imperativo morale...
minare le tasche del ceto medio, il quale può ancora permettersi un abito di
alta sartoria. Ma la moda sta cambiando. Il suo concetto si sta evolvendo.
Antonella comprende che la comunicazione è fondamentale. E la sua moda,
declinata sempre al femminile, diventa
propositiva.
Nel 2006 invia forti messaggi contro
l’anoressia, a favore dell’ABA (Associazione per lo sviluppo e la ricerca su
anoressia, bulimia, obesità e disordini
alimentari) e porta in passerella modelle dalle taglie 42 e 44 sfatando il mito
della donna esile e bella, sempre nel
rispetto della personalità e delle forme
di ognuna.
Il decennale dell’Istituzione del Parco
Nazionale dell’Asinara offre alla giovane stilista l’occasione di ritrovarsi con
Paolo Modolo a organizzare una sfilata
d’alta moda nel suggestivo scenario di
Cala Reale “Tra sogno e realtà”,
riuscendo a superare, ancora
una volta, numerosi ostacoli. E a
sfidare se stessa.
“La talentuosa stilista sarda”,
come Antonella viene definita
dalla rivista internazionale ‘Rendez-Vous de la mode’, accanto
ai giganti dell’Olimpo sartoriale,
inizia a sentire forte il richiamo
della sua terra e la riscoperta
delle proprie radici diventa un
imperativo morale da tradurre
in abilità sartoriali.
Per ovviare alla crisi economica
- che finisce per colpire anche
il ceto più alto della sua città di
mare, ancorata alla chimica – la
stilista rivisita vecchi abiti, sollecitando così la gente a riflettere su temi come riciclaggio e
rispetto per l’ambiente. Riflette
anche sulla crisi dei valori morali e, con una sfilata di mamme
ultraquarantenni, lancia un urlo
contro il femminicidio, esortando le
donne a liberarsi dal retaggio culturale
e sociale che pretende una distinzione
di genere e di rispetto.
Intanto, per non perdere il ritmo, Antonella presenta ufficialmente la collezione “Impronte” a favore della ricerca
contro il cancro. E porta in scena pazienti oncologiche e ricercatrici.
Idealismo pragmatico, il suo. ‘Una donna di mondo’, direbbe Totò.
ANTAS
foto di Daniela Cermelli per Aghera Photostudio
foto di Daniela Cermelli per Aghera Photostudio
delineando il suo modello di donna:
colei che incontri con lo sguardo incantato della sognatrice e quella dagli
innumerevoli impegni. La stilista veste
le loro imperfezioni, le sfumature del
loro carattere. Il loro sentirsi protagoniste nel mondo. La sua griffe frizzante, romantica e seducente si ispira alla
donna degli anni ‘60 che affascina con
discrete trasparenze ed esalta le curve
con sapienti scollature.
Nel 2002 si definisce il sogno di Antonella. Veste le fanciulle del ‘Gran Ballo
delle Debuttanti’ esordendo così a livello internazionale. A Stresa si muove
leggiadra tra la maestosità del Regina
Palace Hotel e, come l’affascinante
Angelica gattopardesca, si lascia trasportare dalle coinvolgenti note del
cambiamento. Ma per la giovane artista turritana tutto è realmente mutato:
nulla è più come prima. Rientra in patria con un bagaglio di consensi e popolarità. Le emittenti nazionali la ospitano nei loro salotti, i media televisivi la
acclamano come l’unica stilista italiana
in grado di realizzare il sogno delle gio-
vani debuttanti. E così, non solo viene
riconfermata per altre tre stagioni consecutive, ma rappresenta l’Italia a Vienna con una sua creazione.
L’esigente Porto Torres è pronta a riconoscere ad Antonella il ruolo di stilista.
Dalla sua bottega in stile liberty, il luccichio dei sontuosi abiti in taffetà attira
l’attenzione dei frettolosi passanti. La
preziosa e ornata trina, quella dei più
accorti. Intanto Sorso, il suo paese natale, ne reclama le origini.
Con orgoglio risponde all’invito del “Re
del velluto”, lo stilista Paolo Modolo.
Sulla passerella di Porto Ottiolu sfilano
i suoi lunghi abiti in raffinato connubio
di tulle, taffetà e jeans. Sfumature di
passato e presente, lo stile ottocentesco redatto al moderno: è di nuovo un
trionfo.
A Porto Torres, la clientela cresce
sull’onda di una crisi che non accenna a
donne di Sardegna
22
ANTAS
PINA
MONNE
Un murales a Thiesi
Storie di vita raccontate dai Murales
A tu per tu con l’artista di Irgoli che da anni vive a Tinnura
“La mia grande passione? Ridare vita a quegli angoli di paese
dimenticati dal tempo e dall’ incuria degli uomini”
testo di Pierpaolo Fadda
Non posso fare a meno di notare che i personaggi dei tuoi
lavori sono perfetti, sembrano osservarti con curiosità.
Ma chi sono i protagonisti
...mi hanno
permesso di
realizzare progetti
di recupero di
angoli deturpati
da cartellonistica
pubblicitaria...
per questo che poi li ritraggo in modo
che siano essi stessi a raccontarsi con
quegli sguardi pieni di ricordi, talvolta
tristi o gioiosi.
Stai tappezzando i paesi della Sardegna con le tue opere che diventano
un corredo urbano “animato”: rivivono scorci suggestivi dei centri abitati. Come nasce un tuo lavoro?
Il muralismo è nato negli anni 68-70
come segno di protesta e tale è rimasto
a Orgosolo. Io, facendo parte della nuova generazione di muralisti, ho lasciato
alla carta stampata questo compito e
ho deciso di utilizzare questa grande
passione per ridare vita a quegli angoli
di paese dimenticati dal tempo e dall’
incuria degli uomini. Molti amministratori in questi ultimi 15 anni mi hanno
permesso di realizzare progetti di recupero di angoli deturpati da cartellonistica pubblicitaria, sostituendoli invece
con grossi murales che vanno ad integrarsi perfettamente con l’architettura,
la cultura e le tradizioni del luogo. Il
mio compito iniziale, quindi, è quello
di valutare la superficie dove andrò a
operare e studiare la cultura del luogo
cercando di rispettare le richieste avanzate e discusse precedentemente con
gli amministratori.
Nei tuoi lavori colpisce un
cromatismo davvero particolare. Che importanza hanno i
colori nelle tue opere?
Sono un’autodidatta e spesso
procedo in maniera istintiva,
soprattutto nella fase della colorazione. Prima stendo una
raccia del progetto sul muro,
poi riempio con passione la
mia tavolozza con i colori che
daranno plasticità alle figure
tracciate. La mia costante osservazione e rielaborazione dei
colori di tutto ciò che mi circonda mi hanno permesso di
sviluppare una capacità cromatica che potete osservare nelle
mie opere sui muri.
23
Pina Monne a Mogorella
Quando è nata la passione per la pittura e, piu in generale per l’arte?
La mia passione per l’arte è nata con
me. Sin da bambina le insegnanti della scuola materna mi sceglievano fra
tanti per realizzare grossi cartelloni. Ricordo ancora il mio stupore di fronte al
rumore dei gessi colorati sulla lavagna
guidati dalle abili mani della mia insegnante delle elementari e tuttora nella
mia mente sono quei gessi che aiutano
a creare le mie opere, un amore sfrenato per tutto ciò che è colore, forma e
poesia. Dopo il diploma, il primo impiego in un asilo nido mi ha portato a fare
le prime esperienze di insegnamento.
Ho iniziato a comprendere in quegli
anni che la mia passione per l’arte così
latente creava in me un disagio, valutando perciò l’idea di
abbandonare l’insegnamento e
di dedicarmi anima e corpo alla
pittura. Decisi di intraprendere
questa nuova strada nonostante le titubanze dei miei familiari.
Il momento determinante è stato l’incontro con i muralisti sardi, avvenuto all’età di 22 anni:
da allora qualsiasi opportunità
di lavoro che ha permesso di
esprimere la mia arte ha arricchito il mio bagaglio di esperienze.
delle tue opere?
Quest’arte di strada mi porta spesso a
vivere profonde esperienze umane. I
miei personaggi, che trovate dipinti sui
muri, sono spesso gli stessi che con me
si raccontano. Si avvicinano all’inizio timorosi, ma curiosi di capire. Ed è lì che
io rimango affascinata, dai loro volti
segnati dall’arsura del sole e del tempo. All’inizio, frenati un po’ dal timore,
raccontano se stessi e il loro vissuto
con gioia malinconica. Questo è per me
una fonte di grande ispirazione: nutro
per loro una profonda gratitudine ed è
ANTAS
Osservi i suoi murales e lo sguardo si
fissa chiaro sui protagonisti: come se
la donna sarda in costume o l’anziano
del paese che porta con sé un cesto di
ciliegie ti guardassero con piacevole
complicità. È il realismo creativo di Pina
Monne - artista di Irgoli che da anni vive
a Tinnura - che cattura l’occhio anche
più disattento e abbellisce i paesi dove
le sue mani magiche disegnano scorci
di vita affascinanti e carichi d’amarcord.
Oggi Pina Monne è una della più apprezzate muraliste della Sardegna.
Parlaci della tua collaborazione con
alcuni istituti carcerari isolani.
Qualche anno fa sono stata contattata
dalla direttrice dell’istituto penitenziario di Nuoro, la quale mi proponeva di
intraprendere un laboratorio con i ragazzi dell’istituto. Accettai con l’obiettivo di far apprendere ai ragazzi un po’
dell’arte del muralismo, ma è stata per
me una profonda esperienza umana di
reciproco scambio. Insieme ai ragazzi
abbiamo sostituito il grigio delle pareti
dei lunghi corridoi del carcere con pareti piene di colore animate da figure
allegre e solari che in qualche modo
sfondano quelle tristi mura, rendendo
meno pesante e opprimente la loro detenzione. L’opportunità alternativa data
allo stare rinchiusi nelle singole celle ha
permesso ad alcuni di loro di cimentarsi in una nuova esperienza: quella della
pittura, che diventa così arte-terapia. Il
successo dato da questi tre anni al carcere di Nuoro mi ha portato anche a
insegnare al carcere di Macomer e oggi
ho una nuova proposta per il nuovo
carcere di Bancali a Sassari. Spero che
i ragazzi abbiano fatto tesoro di questa
esperienza e che essa abbia dato loro
uno strumento in più per liberare se
stessi, pur restando in una realtà come
quella del carcere.
documentario sulla mia attività. Riguardo alla Grecia, alcuni anni fa sono stata
contattata dall’associazione internazionale dei muralisti “Carpe Diem” che risiede ad Atene per fare da madrina alla
rassegna muralistica locale. Il mio soggiorno in Grecia è durato dodici giorni e
in appena sei giorni sono riuscita a terminare un murales che ha raccontato
la tipica danza di “Miaides”, che rievoca
un rito dionisiaco. Preparato precedentemente il progetto mi sono ritrovata
ad operare su uno spazio ampio della
città di Makrinitsa, dove la cultura e le
tradizioni sono alla base del loro vivere quotidiano. Non dimenticherò mai il
calore, l’accoglienza, i profumi e i sapori
di quella terra meravigliosa, contornati
dalle note che accompagnano l’affascinante danza del Sirtaki.
Sei stata anche in Palestina…
Ancora più toccante e importante è
ANTAS
24
La tua arte ha varcato i confini nazionali: ha parlato di te la tv del Giappone e sei stata in Grecia nella cittadina
di Makrinitsa. Vuoi raccontarci queste esperienze?
La TV del Giappone ha realizzato un
...la sposa di
Ollolai farà
bella mostra
di sé nella
galleria d’arte
contemporanea
di Parigi...
Murales a Siamanna
stata per me l’esperienza in Palestina.
Grazie d un amico e collega sono stata coinvolta in un viaggio a Betlemme
per insegnare ai ragazzi palestinesi del
centro artistico salesiano. Ho notato in
loro una grande voglia di apprendere e
di confrontarsi visto che, in seguito alle
difficili condizioni socio-politiche, sono
spesso ostacolati nel loro cammino culturale di vita. Ho insegnato un po’ del
mio sapere riguardo la materia della ceramica e ci siamo impegnati nel riuscire
a portare in Sardegna un gruppo di loro
con i quali si è realizzato un murales nel
piccolo paese dove io vivo: Tinnura.
Come tema è stato scelto quello del
confronto pacifico tra le diverse culture. Tale progetto è stato seguito dal Vis
(Servizio di Volontariato Internazionale) il quale ha ritenuto, visto il successo, di farci ripetere l’esperienza l’anno
successivo. Si è creato un tale rapporto di amicizia con i ragazzi e con la responsabile del centro artistico che ancora oggi, attraverso i social network,
collaboriamo con loro e rispondiamo ai
loro quesiti tutte le volte che hanno necessità di un confronto artistico. È stato
toccante per me leggere nei loro occhi
il desiderio di libertà quando, il giorno
che siamo riusciti a portarli al mare, si
sono lanciati nel bagnasciuga. Ansiosi
come bambini desideravano dominare
quella distesa di acqua cristallina che è
il mare della nostra terra meravigliosa.
Da tempo stai sviluppando una nuova passione, quella per la ceramica..
In realtà la passione per la ceramica ha
viaggiato parallelamente a quella
della pittura e pian piano mi sono
creata un piccolo spazio nella mia
casa dove posso dare sfogo alla mia
creatività. Sin da bambina ho aiutato mia madre nella preparazione
del pane carasatu, apprendendo e
sviluppando così la capacità manipolativa. Oggi lavoro con passione
la creta creando nuove opere avvolte da smalti e brillanti cristalline
che il fuoco trasforma, regalandomi
ogni volta stupore e meraviglia.
Presto sarai ospite di un importante mostra a Londra. Ce ne vuoi
parlare?
L’anno scorso, in occasione del 50°
anniversario della fondazione Peter
Tatchell che si occupa della tutela
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno è quello che si è realizzato e che continua a realizzarsi: è quello
che mi permette di esprimere ciò che
sono, ciò che mi commuove, ciò che mi
rattrista, ciò che mi rallegra; è l’incontro
quotidiano di me stessa con gli altri ai
quali possono raccontare quanto è bella la mia terra. Sono testarda, determinata e costante nel rincorrere il mio sogno che è quello di dipingere: è il cuore
che mi guida nella continua scoperta di
questo mondo.
Pina Monne a Betlemme
25
Murales a Borutta
ANTAS
dei diritti umani (di cui fa parte anche
Elton John) sono stata invitata a realizzare 5 ritratti, tra i quali quelli di Elton
John, Eather Peace e Marc Almond. Ho
presentato le mie opere al teatro Royal
di Norwich e il ricavato è stato devoluto
in beneficenza. Quest’anno una gallerista ha notato i miei lavori e porterà alcune delle mie opere a Londra nel mese
di Marzo. Altre mie due opere saranno
esposte nella galleria nazionale di San
Pietroburgo a Dicembre e una tela a
olio raffigurante la sposa di Ollolai farà
bella mostra di sé nella galleria d’arte
contemporanea di Parigi nel mese di
Gennaio.
foto di Antonio Coppola
gli speciali di Antas
TENORES
REMUNNU ‘E LOCU
DI BITTI
Dopo 40 anni il futuro è adesso
Un successo planetario, la nomina a Cavalieri della Repubblica, l’incontro
con Peter Gabriel. E un ricambio generazionale nel segno della continuità
ANTAS
26
testo di Giacomo Serreli
Recentemente la Real World, per celebrare i 25 anni di attività,
ha distribuito un cofanetto di tre CD con una selezione di 48
brani estratti dai diversi lavori discografici pubblicati dall’etichetta votata alla world music fondata da Peter Gabriel in
sintonia con i festival Womad.
Nel CD n. 2 c’è anche T’amo del gruppo di canto a tenore Remunnu ‘e Locu di Bitti, estratto dall’album S’amore e mama
che il quartetto incise nel 1996, segnando anche l’esordio delle produzioni del nostro Paese in quell’ampio catalogo internazionale di musiche del mondo; il disco, per intenderci, nella
cui foto di copertina emergono, accanto a Daniele Cossellu e
Mario Pira, le presenze di Tancredi Tucconi e Piero Sanna.
E stringe il cuore, oggi, pensare che questo tributo indiretto dell’etichetta discografica inglese ai 40 anni di attività del
gruppo bittese avvenga in un momento in cui registriamo
l’assenza, per motivi diversi, di due dei componenti e promotori iniziali di quell’avventura.
Piero Sanna, “Pi Zero”, come lo chiamavano, ci ha lasciato agli
inizi dell’anno in silenzio e in modo improvviso, cogliendoci impreparati, e resta difficile capacitarsi che possa essersi
foto di Gabriele Doppiu
spenta la sua voce.
Tancredi, per motivi di salute,
aveva abbandonato nel 2002, sostituito da Pierluigi Giorno, dopo
che di quell’organico aveva fatto
parte sin dai tardi anni Cinquanta
per rientrarvi nel 1965, in seguito
a un periodo di emigrazione in
Svizzera.
Di quel nucleo iniziale, di 40 e più
anni fa, resta così il solo Daniele
Cossellu, perché anche Salvatore
Bandinu - scomparso da qualche
anno - stabilmente con il gruppo
dal 1965, aveva lasciato l’attività
artistica nel 1994 consentendo
l’arrivo di Mario Pira, muratore
con sei anni di emigrazione a
Parma che si era fatto le ossa in un altro gruppo bittese: quello intitolato a
Diego Mele.
In quella formazione c’era anche Dino
Ruiu, l’ultimo arrivato in seno al tenore Remunnu ‘e Locu, per rilevare Piero
Sanna dopo la sua morte.
Oggi il gruppo, superato il trauma di
una perdita così dolorosa, ha ripreso
il cammino affidandosi con immutata
coerenza all’ultraottantenne Daniele
Cossellu, che ne aveva sancito gli esordi
dopo aver imitato durante l’adolescenza in vicinato “sas troppas” degli adulti
che si fermavano a cantare.
Era allora un canto comunitario, praticato universalmente anche nel primo
dopoguerra, e la pratica proseguiva
anche quando i giovani si incontravano
assieme durante il periodo di leva militare.
Quel primo gruppo messo insieme da
Cossellu non tardò a ottenere i primi significativi successi con il terzo premio
alla Sagra del Redentore nel 1957.
Solo nel 1973 il gruppo si organizza in
maniera professionale con la nascita
della Pro Loco, di cui Cossellu è presidente. Ha una sede fissa dove si esercita ed è ancora Cossellu a impostare
una certa selezione e ricerca culturale,
grazie anche ai contatti con gli anziani
del paese. Due in particolare, i fratelli
Pascale e Juanne Pittalis, saranno fondamentali nel tramandarle al gruppo
dando al giovane tenore timbro, cadenza, stile ma anche carattere.
Dopo quello di Santu Miali, il gruppo
assume l’attuale denominazione nel
1974, in omaggio al poeta Raimondo
Delogu vissuto nella seconda metà
adattamenti o compromessi ispirati da
certe regole del mercato, anche discografico: perché il CD registrato per la
Real World 18 anni fa ci offre la natura
più genuina di quel canto, con una operazione per così dire eticamente corretta, che ha tenuto inalterato un marchio
sonoro, facilmente riconoscibile e subito riconducibile al quel gruppo.
I tenores hanno continuato, cioè, a essere autentici “contoneris” anche quando si trattava di esibirsi in un grande
teatro all’estero, vivendo la loro caratteristica fondamentale, ovvero essere l’espressione di una cultura propriamente bittese anche quando si trovavano
lontani dal loro paese; sono, insomma,
viva espressione di una genuina solidità culturale.
E questo ha consentito loro di sopravvivere per cosi tanti anni, anche dopo la
sbornia dell’attenzione rivolta a queste
espressioni culturali subalterne, proposte persino in strutture ritenute borghesi, degli anni Sessanta.
Che la lezione del tenore Remunnu
27
...negli anni
Ottanta storiche
tournée negli
Stati Uniti, in
Argentina, in
Australia...
ANTAS
dell’Ottocento nel rione di Cadone.
Due anni dopo arriva la produzione
della prima cassetta; quattro anni dopo
la prima esibizione all’estero a Vienna
per l’Europeade del folklore; negli anni
Ottanta storiche tournée negli Stati
Uniti, in Argentina, in Australia per lo
spettacolo “Far away wave”.
La svolta importante matura a metà
anni Novanta, dopo la conquista del
titolo di “Maestri del folklore” (1992), il
“Premio Europa” della Fondazione F.V.S.
di Amburgo (1996) e l’uscita di un disco
per una etichetta elvetica (1993), con la
partecipazione, nel 1995, ai festival Womad promossi da Peter Gabriel dapprima a Caceres, in Spagna, poi a Reading,
in Inghilterra, e in anni successivi anche
a Singapore e Nuova Zelanda.
Sono i primi artisti italiani in assoluto (con Gesuino Deiana dei Cordas et
Cannas) a esibirsi in quella prestigiosa
vetrina.
Queste performances sono accompagnate da momenti di didattica con
workshop e laboratori, unitamente al
disco che abbiamo ricordato in apertura e alle ”raccomandazioni” fornite da
Frank Zappa, che nel 1993 si dichiarava
colpito da quelle voci che aveva sentito
su una cassetta qualche anno prima,
e danno una rilevanza e una notorietà
planetarie al gruppo che veniva dal
cuore della Sardegna.
Il gruppo non si è sottratto neanche a
progetti sperimentali nell’ambito del
jazz o della world music (con Ornette
Coleman, Hughes de Courson, Enzo
Favata solo per citarne alcuni) rimanendo tuttavia sempre fedele a se stesso,
coerente e rispettoso propositore di
una tradizione intaccabile da furbeschi
...nell’amore e
nel rispetto di un
patrimonio culturale
cosi radicato e
condiviso nella
comunità bittese.
de pache, ormai risalente al 2004, con
dodici brani registrati in “su cuile de Calavrina de Vitzi,” cosi caro a Piero Sanna;
il DVD Voci ancestrali della Sardegn”, uscito nel 2011, nel quale il gruppo è ripreso
foto di Stefania Urru
foto di Attila Kleb
‘e Locu sia ancora ispirata al rispetto di
questo straordinario patrimonio senza
indulgere a facili edulcorazioni, è ribadito dalle tappe più recenti di questa quarantennale carriera.
Dall’apertura, nel luglio del 2005 a Bitti, del museo multimediale del canto
a tenore, alla loro nomina a cavalieri
dell’ordine al merito della Repubblica,
nel marzo del 2008; dall’impegno per
l’istituzione di una scuola per il canto a
tenore in paese al sostegno per il riconoscimento di questo particolare stile
vocale da parte dell’Unesco come patrimonio dell’umanità; lezione, questa, che
traspare anche nelle ultime produzioni
artistiche del gruppo. L’album Caminos
I 40 anni di carriera nel
ricordo di Daniele Cossellu
ANTAS
28
Quel magico incontro con Peter Gabriel
Quando nel 1974 mi venne l’idea di creare una formazione di Canto a tenore,
posso dire con orgoglio e tanta felicità
di non avere incontrato grandi difficoltà. Avendo un ottimo affiatamento col
basso (Batore Bandinu) e con la contra
(Tancredi Tucconi), non mi restava che
cercare un buon cantatore e cioè sa
oche, il solista. Doveva avere alcune
caratteristiche essenziali: ottime corde
vocali, ma anche un buon carattere e
la disponibilità a mettere in prima fila il
Canto a Tenore. Questa scelta cadde su
Piero Sanna: conoscevo molto bene le
sue abitudini e la sua bravura e Piero accettò con entusiasmo tutte le condizioni
che gli avevo esposto. Era nata col nome
Tenores di Bitti la nostra prima, storica
formazione: Cossellu Tucconi, Bandinu
e Sanna. C’era grande entusiasmo tra
noi e senza perdere tempo iniziammo
a prepararci per incidere il nostro primo
lavoro, che nacque alcuni mesi dopo.
Eravamo al settimo cielo. Il lavoro ebbe
in un concerto tenuto al teatro Juvarra
di Torino, caratterizzato da una serie di
interviste in cui i componenti spiegano
caratteristiche e contenuti del canto a
tenore: un ultimo lascito, in sintonia con
un percorso non interrotto, nel quale
Daniele Cossellu ha dimostrato una straordinaria forza d’animo per guidare in
prima persona, tra momenti così difficili
che hanno segnato anche la sua vita familiare, quel necessario rinnovamento e
cambiamento di organico che trae linfa
da chi ha sin qui costruito questi preziosi 40 anni di attività, nell’amore e nel
rispetto di un patrimonio culturale cosi
radicato e condiviso nella comunità bittese.
ottimi riscontri da parte della critica e
degli etnomusicologi come Pietro Sassu
che, di fatto, è stato colui che ci ha scoperti.
L’INCONTRO CON PETER GABRIEL
Il nome dei Tenores di Bitti iniziò a riscuotere grandi successi in Sardegna,
ma ben presto anche nel resto della Penisola, fino a varcare i confini nazionali.
Parlavano di noi la stampa e televisione
nazionale, le personalità del mondo della cultura e il nostro canto venne accolto e studiato con grande attenzione
da musicisti di fama mondiale. Sarebbe
lungo citarli tutti ma, in questo spazio
dedicato ai nostri 40 anni di attività,
vorrei ricordare un nome che ci è molto caro: quello di Peter Gabriel. Peter è
uno straordinario artista che ha valorizzato e fatto conoscere in tutto il mondo
quella che viene comunemente definita
World Music, musica del mondo. Per noi
fu una grande sorpresa quando, senza
averci mai visto prima, ci ha chiamato
per incidere un compact disc nella sua
sala d’incisione in Inghilterra: questo
CD s’intitolò S’amore e mama. Peter è
davvero un uomo straordinario: promise di venirci a trovare in Sardegna per
dimostrare tutta la sua stima per noi e
in effetti mantenne la parola data. Arrivò a Bitti accompagnato dal musicista
Gesuino Deiana e venne a trovarci nelle nostre case: assaggiò con particolare
gusto il formaggio del compianto Piero
Sanna e il vino di mia produzione, che
definì “eccellente”.
foto di Antonio Coppola
foto di Matteo Setzu
SEMPRE UNITI
Come sono stati questi primi 40 anni
dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu”?
Bellissimi. Abbiamo ricevuto onoreficenze importanti e premi prestigiosi,
abbiamo portato i nostri canti a Tenore
in giro per il mondo ma… Sapete qual
è la cosa più bella che voglio sottolineare? In tutte le formazioni dei Tenores
di Bitti “Remunnu ‘e Locu” c’è sempre
stata grande unione, compattezza e
rispetto reciproco: forse è questo il nostro più grande segreto.
Tanielle Cossellu
29
I FESTEGGIAMENTI PER I 40 ANNI
Con viva emozione lo scorso Settembre
abbiamo festeggiato i quarant’anni di
attività dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e
Locu”. Bitti si è vestita a festa. La mattina al Cinema Ariston ci hanno dedicato
parole bellissime Natalino Piras, Paolo
Pillonca e Bachisio Bandinu. Poi nel pomeriggio si è svolto il Festival del Canto
a Tenore e della musica itinerante per
le vie del paese e infine, la sera, la conclusione della festa. Nel grande palco ,
di fronte a una folla immensa numerosi
artisti sardi ci hanno tributato un caloroso e commovente omaggio. È stata
una giornata indimenticabile.
ANTAS
I CAMBI DI FORMAZIONE
Col passare degli anni i Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu” hanno cambiato
formazione: Batore Bandinu nel 1994
lasciò per ragioni di salute (e venne sostituito da Mario Pira), mentre nel 2002
a Tancredi Tucconi subentrò il giovane
Pierluigi Giorno. E nel tristissimo mese
di Gennaio di quest’anno è morto prematuramente Piero Sanna, sostituito
da Dino Ruiu.
sfumature sonore
ENZO
FAVATA
Il musicista viaggiatore
Il jazzista algherese ci guida alla scoperta di storie curiose provenienti
da terre lontane. “Un termine per definirmi? Sono un agitatore culturale”
ANTAS
30
testo di Marta Cincotti
Un musicista “pendolare a tempo pieno”, così si racconta Enzo
Favata, di ritorno da uno dei suoi frequenti viaggi alla scoperta di culture diverse, in cerca di intrecci che possano apportare
alla sua musica jazz quel suono originale e al di fuori dei canoni.
Perché ciò che viene fuori dal suo percorso non è solo un musicista, un compositore, un jazzista atipico, ma, come piace dire
a lui con un termine che cerca di inglobare i tanti aspetti, “un
agitatore culturale”. Il suo obiettivo è sì suonare, creare musica,
interagire con differenti discipline artistiche, ma anche pensare
al contesto sociale, guardare il mondo attraverso uno sguardo
diverso, porsi dei problemi legati al senso delle cose, leggere le
cose che nascono dalla società in cui si vive, cercare con la musica di far pensare e condividere nella propria terra le proprie esperienze nate attraverso il viaggio.
Tutto questo per lui è suono e ce lo racconta ora, appena tornato
dall’Africa, dove ha suonato con alcuni dei più importanti musicisti di Zimbabwe ed Etiopia raccogliendo quelle sensazioni e
quelle esperienze che diventeranno la sua musica.
Cosa rappresenta per te il viaggio?
«Il viaggio è la tematica principale della mia particolare musica jazz, da sempre molto impressionistica e cinematica; per
In qualche modo il tuo è un punto di
vista privilegiato nella scoperta di un
luogo.
«Si, nei miei viaggi ho la fortuna di
catturare delle realtà dal di dentro e
spesso con l’aiuto delle persone del
luogo cerco di avere lo sguardo con
una prospettiva diversa. Inizio dai posti
foto di Gabriele Doppiu
di semplice quotidianità, come mercati
e strade dove il traffico pedonale è importante: guardare la gente che affronta la giornata in luoghi culturalmente
distanti dal mio mi aiuta a capirne l’essenza. Luoghi dove ascoltare la musicalità della lingua, il silenzio di spazi-luoghi come il profondo Nord, il ritmo delle metropoli sudamericane e africane,
l’affascinante ed ordinata complessità
di Manhattan, sono ingredienti in un
frullatore che metabolizza queste mie
conoscenze ed alla fine tutto è musica:
basta saper ascoltare».
Ti porti a casa qualcosa da questi
viaggi?
«Una testimonianza dei tanti miei viaggi e delle culture che ho incontrato è
una mia collezione di 120 strumenti a
fiato raccolti in tutto il mondo. Per anni
li ho cercati nei vari Paesi e ne è nata
una mostra itinerante da un’idea di
Enedina Sanna, a cura di Isola dei Suoni. Sono davvero pezzi di una bellezza
unica e poi le storie dietro ogni strumento sono speciali».
Raccontaci una di queste storie.
«Ve ne racconto due. Ci trovavamo a
suonare in Giappone al Festival Jazz di
Tokyo. Avevamo la fortuna di essere
ospiti per tutto il periodo del festival,
e un giorno andammo in una bottega
artigiana. Il costruttore, prima di vendermi lo strumento, uno shakuhachi
(il flauto della musica classica giapponese, ndr), mi offrì il te e, con l’aiuto di
un amico giapponese interprete, chiacchierammo per un po’ seduti alla giapponese davanti un tavolino bassissimo.
Alla fine capii che voleva solo essere si-
ANTAS
31
foto di Gabriele Doppiu
...mi appassiona
scoprire luoghi
e cose nuove,
e così è anche
nella mia
piccola isola...
questo spesso quando inizio un concerto preparo il pubblico raccontando
il mio modo di intendere la musica. E
il risultato è che ogni concerto e ogni
disco sono un viaggio interiore, che
attraversa mondi apparentemente lontani. Questo è l’aspetto filosofico della
mia musica; poi c’è l’aspetto pratico,
che mi tocca affrontare (con piacere)
molto spesso. Alzarsi alle 4 del mattino,
fare 11 ore di aereo, non sentirsi più le
gambe, trasportare a spalla i tuoi strumenti, perdere le valige, passare ore ed
ore negli aeroporti, trovarsi in 24 ore
da +30 a -20 gradi, file interminabili ai
controlli, all’uscita dell’aeroporto un altro paio di ore in auto, per poi trovarsi
davanti a un pubblico sconosciuto e,
in un attimo, riprendersi totalmente ed
essere felici di trasmettere la propria
esperienza musicale. È una fatica che
ho sempre affrontato con passione:
per me viaggiare significa fotografare,
registrare con la mente tutto quel che
vivo per poi tirarlo fuori nella musica e
nelle altre esperienze artistiche che mi
appassionano. Viaggio da quasi 30 anni
in lungo e largo per il mondo; mi appassiona scoprire luoghi e cose nuove,
e così è anche nella mia piccola isola,
dove da tre anni il viaggio che faccio è
intorno ai tramonti della Sardegna in
una continua scoperta di nuovi luoghi».
Favata-Tuku-Zanisi in una foto di viaggio
ANTAS
32
Fuori dall’Italia
esiste un mondo
musicale simile,
spesso con gli stessi
conflitti ma differenti
problematiche.
curo che lo strumento sarebbe andato
a un musicista che lo avrebbe suonato
e custodito, e solo dopo essersi sincerato di ciò mi diede lo strumento, che ancora oggi è uno dei pezzi più belli della
mia collezione.
La seconda storia appartiene al Cairo.
Nell’ora della terza preghiera, nel quartiere degli artigiani, cercavo un oud, il
liuto arabo, tra le tante piccole botteghe, e dopo averne acquistato uno da
un artigiano, mi imbatto in una bottega di strumenti antichi, dove per curiosità chiedo se hanno strumenti a fiato
tradizionali: il proprietario tira fuori da
un cassetto un rotolo di vecchia stoffa
al cui interno c’è un nay (flauto tradizionale egiziano in canna, ndr) annerito
dal tempo e dall’uso. Le notizie della
famiglia che lo aveva venduto riportavano che lo strumento apparteneva a
un loro prozio, un vecchio cammelliere che si dilettava a suonarlo durante
viaggi e trasferimenti con il cammello;
lo teneva sempre in una tasca della sella. Quel flauto ancora oggi, a distanza di
dodici anni, ha l’odore tipico della pelle
di cammello, ma ha un suono meraviglioso e sono felice che sia passato dalle mani di un viaggiatore a un altro, cosi
come si passavano una volte le storie, i
canti e le gesta».
In questi anni di intensa attività musicale e giri intorno al mondo che
idea ti sei fatto della musica e dei
musicisti fuori dall’Italia?
«Fuori dall’Italia esiste un mondo musicale simile, spesso con gli stessi conflitti ma differenti problematiche. Si
hanno più possibilità di un confronto
con il pubblico e un aiuto lo danno i
media, che non ostacolano la pluralità
con la proposta monotematica della
musica, ma radio e tv sono molto più
aperti all’alternanza delle proposte e i
Festival spesso sono aperti alle novità.
Buona parte del jazz europeo, di cui gli
italiani e noi sardi non abbiamo nulla
da invidiare, ha una rete di connessioni
davvero importante. In Paesi come la
Germania, la Francia, la Norvegia, per
esempio, la circolazione delle proposte
artistiche è molto stimolante: nel nord
dell’Europa esistono realmente delle
“autostrade culturali” che connettono
un grande network artistico, mentre l’Italia è ferma e alla poca lungimiranza di
molti festival spesso manca una visione
e le proposte finiscono per stancare il
pubblico. Un altro grave danno
per la musica è il tremendo “Patto di stabilità”: le prime cose da
sacrificare sono sempre l’arte e
la musica, per cui molti musicisti italiani emigrano. Anche
io sono stato molto tentato di
farlo, ma la forza interiore che
mi dà quest’Isola mi trattiene
e preferisco fare il pendolare a
tempo pieno. Un altro mondo
musicale al di fuori dell’Europa e
che conosco abbastanza spesso
nasce dagli scontri tra le diverse culture avvenuti nel tempo,
che hanno generato dei generi
crossover straordinari. Cito due
esperienze che ho incontrato
nel giro di un anno: passando
dai fiordi del nord della Norvegia, dove ho incontrato musicisti che hanno fuso il jazz con
l’esperienza della musica rock
psichedelica ed elettronica, reinventando un linguaggio ed un suono, per
poi arrivare in due nazioni africane,
Zimbabwe, dove il jazz e la musica pop
si fondono insieme ai suoni della mbira,
uno strumento tradizionale, e l’Etiopia,
con lo splendore della musica pop e del
jazz etiope. Vi raccomando davvero di
andare ad ascoltare musicisti come Alemaju Mulatu Astatke ed Addis Acoustic
Ensemble».
Da queste tue esperienze nascono
spesso collaborazioni musicali interessanti e nuove, ti abbiamo visto in
tour di recente qui in Sardegna con
una band dello Zimbabwe, ma sono
tanti i nomi con cui suoni e hai suonato.
«In quasi 30 anni ho indagato le differenze culturali, i contrasti tra diverse
musiche e modi di pensare la musica:
il mio rapporto con l’improvvisazione
di stampo jazzistico e gli altri generi o
modi di fare musica è stato ed è questo. Tutto è suono sin dalle prime esperienze con la musica di quest’Isola per
passare poi all’Argentina, ai Balcani, alla
musica Gnawa, quella dell’Africa Nera
ed etiope, la musica classica indiana,
irachena, persino i nomadi del deserto
algerino, la musica elettronica, quella
contemporanea, la musica sacra, e naturalmente il jazz. Ci sono tante esperienze con altri artisti internazionali,
come per esempio Dino Saluzzi, ban-
La cosa speciale
della musica
secondo me è
l’incontro e il
coinvolgimento: se
non c’è quello non
può esistere il resto...
Quali sono i prossimi progetti?
«A fine novembre sono andato in studio, dopo un’estate piena di concerti,
con il mio nuovo quartetto acustico
composto da Enrico Zanisi al piano - ha
24 anni ma vi assicuro che è davvero il
nuovo astro nascente del pianismo in
Italia - UT Gandhi alla batteria e Danilo
Gallo al contrabbasso. Con loro ho voluto riprendere alcuni brani della grande stagione del periodo latino-americano del Quintetto Atlantico, con cui
feci 300 concerti in giro per il mondo
in solo due anni e mezzo. Dopo i primi
concerti mi sono reso conto che questo
quartetto aveva una chiave davvero diversa nell’affrontare i materiali musicali, dovuto probabilmente alle differenti
grandi personalità che si scontrano e
si incontrano attraverso strade interne
del subconscio: per questo ho deciso di
chiamare il quartetto Enzo Favata Inner
Roads. La cosa speciale della musica
secondo me è l’incontro e il coinvolgimento: se non c’è quello non può
esistere il resto. Durante la registrazione abbiamo suonato con grande
interplay e dalle cuffie monitor credo che ognuno di noi abbia sentito
scorrere l’anima della musica. Siamo
gente abituata ai concerti e alle registrazioni, ma quando abbiamo
ascoltato l’intera registrazione alla
fine dei mixaggi, allora abbiamo
sentito che quel che era venuto
fuori era una cosa speciale. Per fine
anno abbiamo in programma una
tournée a Dicembre e faremo alcuni
concerti anche in Sardegna. Presto,
nel 2015, uscirà il disco».
33
In che modo unisci la tua creatività e
le contaminazioni musicali nei tuoi
progetti?
«Mi piace il gioco dei contrasti. È impe-
gnativo e richiede conoscenza e studio,
sia della tecnica sia dei materiali sonori,
come anche dei contesti in cui nascono. La curiosità è importante: se non si
è curiosi non si ha voglia di conoscere
e approfondire. E credo che in fondo
anche il talento non sia altro che una
summa di conoscenza delle culture,
capacità strumentali, idee innovative,
creatività e soprattutto apertura mentale. Io credo che nella musica oggi si
debba conoscere a fondo e apprezzare
i vari linguaggi musicali; si deve amare
la musica nella sua globalità e imparare
a “sfruttarne” le diversità per creare un
proprio linguaggio,ì: solo così si può
uscire dall’omologazione.»
ANTAS
E poi c’è la Sardegna e tanti artisti
isolani con cui collabori da molti
anni.
Certo, in Sardegna ho collaborato con
tantissimi artisti, cito alcuni folclorici
della mia Isola, suonatori di launeddas
come Luigi Lai, l’organetto di Totore
Chessa, cori a Cuncordu di Castelsardo,
Santu Lussurgiu, Cuglieri, Orosei, cori a
Tenores come quello di Orosei per arrivare ai Tenores di Bitti Remunnu ‘e Locu,
per i quali apro una piccola parentesi.
Loro sono il gruppo di musica tradizionale sarda con cui ho la maggior longevità di collaborazione sin dal 1997,
abbiamo fatto davvero tanti concerti
e progetti insieme come “La versione
Sinfonica di Voyage en Sardaigne”, “Metropole Orkest” di Amsterdam, un viaggio anche questo nella Sardegna epica,
rafforzato dalla versione per orchestra
sinfonica e poi l’ultimo “The new Village“ un visionario viaggio tra il Villaggio
e La Metropoli per eccellenza New York.
Lavorare con loro è sempre stato molto
piacevole, all’inizio abbiamo impiegato
un po’ di tempo per trovare la strada
di comunicazione tra differenti generi,
ma poi in questi quindici anni abbiamo
raggiunto dei risultati davvero notevoli. Di loro ho un ricordo meraviglioso
di quell’eterno bambino pastore Piero
Sanna, la più grande voce della storia
del canto a tenore ed ho una sua storia
nel cuore, che una volta mi raccontò,
quella di come imparò ad appassionarsi al canto: aveva 9 anni quando passo
la prima notte di guardia nell’ovile del
padre, era atterrito dalla paura, e allora
iniziò a farsi passare il timore cercando
di cantare muttos ed altre cose e pian
piano il terrore di quella notte passò.
foto di Ziga Koritnik
doneòn argentino con cui è stato molto facile per le affinità di interessi e la
reciproca curiosità. Con lui ho realizzato quel piccolo capolavoro che è stato
“Boghes and Voices” il primo incontro
tra la vocalità polifonica sacra della Sardegna, la musica del bandoneòn e i sassofoni. Ricordo ancora con emozione la
prima di quello spettacolo il 3 dicembre
del 1999 con una Basilica di Bonaria talmente piena da costringere a chiudere
le porte, mentre la musica sacra, tra arcaico e moderno, si rifletteva nel buio
della chiesa e tra le navate: io, Dino e il
Cuncordu di Castelsardo eravamo illuminati da piccoli fasci di luce come se la
luna avesse riservato dei raggi speciali
per quella musica in quella notte.»
sfumature sonore
Intervista al chitarrista e
compositore iglesiente
PERRY
FRANK
ANTAS
34
I paesaggi sonori di
Ambient music, alternative rock, musica elettroacustica
d’avanguardia: ecco Francesco Nicola Perra
testo di Diego Pani foto di Laura Serra
Negli anni Novanta
ho maturato e
ampliato i miei
gusti musicali...
Militi in altre formazioni, come i
Cheyenne Last Spirit. Farti “le ossa”
sul palco con dietro una band ha influito sulla tua produzione solista?
Credo essenzialmente di no, perché
sono cose talmente diverse che non
possono essere paragonate, né dal
punto di vista dell’esperienza né da
quello dell’approccio live. Suonare con
i Cheyenne è un’altra cosa, appartiene
a un altro aspetto del mio carattere.
Mentre col gruppo si ragiona in quattro
e bisogna sempre scendere a compromessi, nel mio mondo sono il dittatore
di me stesso: decido tutto io e ovviamente ne prendo le conseguenze.
Come avviene la scrittura dei tuoi
brani? Da dove parti per costruire i
tuoi “paesaggi”?
In questi otto anni ho cambiato spesso modalità di scrittura. All’inizio molti
dei miei pezzi nascevano dalla tastiera,
dal MicroKorg e dal piano. Costruivo poi
gli arrangiamenti tramite loop station,
drum machine e chitarra, senza pensare
alla futura dimensione live. Molte volte ho dovuto rinunciare a suonare dal
vivo brani che amavo ma che risultavano troppo complessi per un set solista e
proprio per questo motivo e ho sempre
riservato al mio progetto una dimensione limitata allo studio e alla pubblicazione sul web. Col passare degli anni
ho capito l’importanza del concerto,
ma soprattutto ho realizzato che suonare la mia musica dal vivo mi diverte
davvero tanto, forse anche più di scriverla e registrarla. Ho puntato quindi su
arrangiamenti più semplici e improntati sulla sola chitarra, in modo da poterli
riprodurre facilmente dal vivo, senza
l’utilizzo di basi. L’idea per scrivere un
nuovo pezzo arriva quasi sempre da
improvvisazioni, ma mi capita anche di
“sognare” letteralmente un pezzo, pensarlo con varie combinazioni di effetti
ancor prima di suonarlo. Parto spesso
da un titolo o un argomento di cui mi
sono informato prima e ne compongo
un possibile accompagnamento sonoro; altre volte invece il titolo del brano
35
Quando Nicola Perra ha deciso di divenire Perry Frank?
Il progetto Perry Frank è nato ufficialmente nel 2006, quando già componevo musica sempre più strumentale,
riducendo al minimo i versi cantati. Col
passare del tempo ho trovato le parole
sempre più superflue. Ogni verso che
scrivevo mi sembrava già sentito, banale. Questo riflette il mio pensiero sulla
musica rock-pop in generale: tutto è
già stato in qualche modo detto, cantato e scritto; le strutture delle canzoni
strofa-ritornello-ponte sono sempre le
stesse già da un po’. Anche per questo
ho trovato libertà nello scrivere e suonare musica strumentale, l’ambient e
le sue infinite possibilità sonore. Avevo
diversi nomi per questo progetto, ma
alla fine ho voluto renderlo più personale usando il mio stesso nome “inglesizzato”.
Qual è stato il tuo primo approccio
alla musica? I tuoi primi ascolti?
Ho cominciato ad ascoltare musica da
bambino: Beatles, Rolling Stones, Beach
Boys. Poi ho scoperto i Pink Floyd e mi
sono innamorato del loro sound. Da
adolescente mi sono poi appassionato
alle produzioni di Brian Eno. Il suo modo
di concepire la musica mi ha aperto un
mondo bellissimo e sconfinato quanto
l’universo. Negli anni Novanta ho maturato e ampliato i miei gusti musicali,
passando attraverso vari generi come il
blues e il jazz o band come i King Crimson, i Tangerine Dream, gli Zombies, i
Kinks. È nei primi anni del Duemila che
mi sono indirizzato sempre più verso
l’ambient ascoltando gruppi come Boards of Canada o Sigur Ros. In generale,
tuttora ascolto moltissima musica di diversa estrazione.
ANTAS
Il mio unico contributo al numero di
Antas precedente a questo che state
leggendo riguardava un disco che mi
aveva colpito particolarmente. Music to
disappear del chitarrista e compositore
Perry Frank mi aveva in qualche modo
rapito, trasportato in una dimensione squisitamente musicale attraverso
un songwriting denso, dove l’ambient
music rigorosamente strumentale sembrava esser dotata di parole. L’universo
compositivo del musicista iglesiente,
all’anagrafe Francesco Nicola Perra, è
quanto mai complesso; trova giovamento dalla passione per l’alternative
rock ma si ammanta di suggestioni
più vicine all’universo dei cosiddetti
“paesaggi sonori”, dalla già citata ambient music fino alla musica elettroacustica d’avanguardia. Sono questi gli
ingredienti di Soundscape Box I, nuovo
capitolo discografico licenziato in autunno dall’etichetta Tranquillo Records,
divisione italiana dell’etichetta irlandese Psychonavigation Records. Del nuovo
disco, dei progetti in corso, del rapporto tra la sua musica e il territorio iglesiente, ho potuto discutere direttamente con Perry Frank.
arriva dopo varie prove.
Com’è avvenuta la genesi del nuovo
Soundscape Box I ?
L’idea del disco è strettamente legata al
progetto Ruins + Regrets (un documentario sulle vecchie rovine minerarie del
Sulcis Iglesiente) e alla sua soundtrack.
Diversi brani dell’album sono stati ideati per il progetto e solo successivamente ho capito che potevo direttamente
costruirci un nuovo disco. Ho scritto
tutto il materiale nell’arco di un anno e
mezzo, nel periodo in cui mi sono dedicato alla raccolta delle informazioni sui
vari villaggi abbandonati e alle riprese
del Video-Documentary-Clip.
36
ANTAS
Domanda di rito sui progetti futuri:
cosa ha in serbo Perry Frank per i
prossimi mesi?
Sul fronte discografico continuo le
collaborazioni internazionali: un mio
brano inedito, Shardana, sarà contenuto nella compilation IdealChill VI,
pubblicata dalla Idealmusik (l’etichetta che nel 2012 ha pubblicato Music
to Disappear), appuntamento annuale
per gli estimatori tedeschi della musica
ambient/chillout. Per quanto riguarda la
musica dal vivo, sto provando a lavorare sempre di più sulle mie performance
e sui contesti in cui queste si svolgono,
cercando innanzitutto luoghi adatti
per poter esprimermi al meglio. Mi accorgo spesso di essere contro corrente
rispetto a quelle che sono le tendenze del momento. Spesso per via della
mia musica rimango tagliato fuori da
parecchi contesti, ma questo è per me
un incoraggiamento a trovare sempre
nuovi spazi per potermi proporre e migliorare.
36
Quanto il tuo territorio ispira la tua
musica?
Non riesco a immaginare di scrivere in
altri territori. Mi piace fare lunghe passeggiate lungo la costa, nelle campagne, prendere ispirazione dallo splendido paesaggio spesso martoriato del
Sulcis, forse anche per questo ricco del
fascino misterioso che lascia ampi spazi all’immaginazione. Molte persone mi
hanno consigliato di trasferirmi all’e-
stero, dove la mia musica sicuramente
è più apprezzata, ma il problema è che
non riesco a pensare alla mia musica se
non qui in Sardegna.
ANTAS
Puoi parlarmi meglio del progetto
Ruins + Regrets?
L’idea del progetto è nata circa due
anni fa e si è sviluppata lentamente. Volevo realizzare un video per valorizzare
in qualche modo le vecchie strutture
in balia del tempo e dei vandali che
popolano il panorama del mio territorio. Dopo vari sopralluoghi e dopo
essermi documentato, sono rimasto
incantato dal loro fascino e dalle storie
legate a ognuno dei villaggi abbandonati. È nata così l’idea del Video-Documentary-Clip, cioè un non-videoclip di
accompagnamento ai miei brani che
avesse il taglio del documentario. Il
titolo del progetto deriva dall’unione
dei due brani che aprono e chiudono
il nuovo album e che hanno lo stesso
tema musicale. Gioca sul significato di
rimpianto associato al rudere, come di
un qualcosa che è stato, poteva continuare a essere ma non è più. Quel che
rimane di una storia sono i ricordi e i
rimpianti lasciati logorare dal tempo,
lentamente dimenticati, come i ruderi.
È difficile trovare idee per un videoclip
di musica ambient, sia per via del genere poco commerciale, sia per la durata
spesso non propriamente “radiofonica”.
A mio parere questo è uno dei pochi
modi per renderlo “appetibile” anche
a chi non propriamente ascolta queste
musiche.
foto di Antonio Baldino
sfumature sonore
Non est fazile, il nuovo sound dei
“...la neviera è un luogo dove si conserva la neve per tenere in fresco cibi e bevande....è un po’ quello che facciamo anche noi con il nostro progetto: conserviamo la
nostra lingua portandola al cospetto dei nostri giorni con una nuova veste... NIERA.”
qualche mese prima non delude le attese. In poco tempo viene distribuita
gran parte delle copie prodotte, il pop
raffinato e ricercato che si fonde in una
veste originale con i testi in sardo conquista da subito una bella fetta di pubblico e il primo concerto live lo conferma. La location è la stessa Ittiri che ha
visto nascere e crescere i Niera, dove
il 12 settembre una piazza e un palco
hanno regalato ai 7 ragazzi sensazioni
inaspettate. “Fra tutti gli spazi disponibili
abbiamo scelto il cuore della città, Piazza
Marconi, una scelta mirata e in un certo senso simbolica”; uno spazio che ha
accolto quella sera migliaia di persone.
Ospite dell’esordio ufficiale una madrina “alicantina”, Pilar Arejo, giovane
promessa spagnola, che ha eseguito
accompagnata dalla band alcuni brani
del suo album A Cielo Abierto, tra cui
Libre, tradotta in sardo per l’occasione
da Salvatore Chessa. Durante il live i
Niera non si sono risparmiati e hanno
riproposto le loro canzoni rispecchian-
do esattamente le versioni “da studio”
del cd. Tutto rigorosamente dal vivo,
senza deludere affatto le aspettative.
Ma la sorpresa più grande è stata per la
band:”Suonare le nostre canzoni e vedere tutta quella gente cantarle una dopo
l’altra d un solo mese dell’uscita del disco
è già un sogno realizzato”. Incredibile il
riscontro di pubblico ottenuto in così
poco tempo: “Ci è servito per recuperare
un po’ di autostima nelle nostre capacità e su tutto il progetto”. Ovviamente
chiedo quale sia stato il momento più
toccante, e la risposta è stata unanime:
“L’emozione più forte? Con l’ultimo brano
in scaletta, No est fatzile, quando la voce
del pubblico è riuscita a sovrastare le migliaia di watt dell’impianto”.
Una prova generale perfetta in attesa
del primo tour dei Niera per le piazze
dell’Isola che partirà la prossima stagione estiva, supportato dall’Agenzia di
Spettacolo “La Girandola” di Olbia.
ANTAS
Una piazza. Un palco. Parole che per chi
fa musica possono significare tanto e
regalare soddisfazioni ed emozioni uniche. Simboli che evocano sogni realizzati e ancora da raggiungere.
Ed è ciò che hanno rappresentato per
i NIERA, agli esordi quest’anno con il
primo lavoro discografico dall’omonimo titolo. Il percorso per arrivare a
questa prima tappa non è stato semplice. E non lo è mai per chi, con pochi
mezzi a disposizione (il disco è autoprodotto) ma con un’enorme voglia di
fare, si cimenta a creare qualcosa dal
nulla. Dopo due anni intensi, il 5 agosto si concretizza ciò per cui Salvatore
Chessa e Alessandro Damini (chitarre),
con Angelo Pinna e Antonio Faedda
(tastiere e synt.), Alberto Santoru (batterie) e Antonio Doro (basso) insieme a
Luca Mascia (voce) hanno tanto lavorato. Il cd Niera, con 10 tracce completamente inedite, è finalmente una realtà
tangibile. E il successo preannunciato
già dal lancio del singolo No est Fatzile
37
testo di Mary Manghina
sfumature sonore
foto di Barbara Cossu
Conosciamo il gruppo
musicale di Bolotana
Architetture sonore
sotto un cielo indaco
ANTAS
38
testo di Giulia Serra
C’è la buona musica, quella fatta di sperimentazione e ricerca.
C’è la passione pura e travolgente, quella che fa passare intere
serate al chiuso di una saletta a cercare la vibrazione giusta.
C’è la particolarità di una voce profonda e sinuosa che sfiora
e graffia, nelle recondite profondità dell’anima, chi ascolta. Ci
sono i contenuti, nei testi colmi di riflessione e stimoli, di desiderio impellente e spinte antitetiche, in un oscillare spericolato che va dal distruttivo al rigenerativo, dal bruciante istinto
vitale all’inevitabile anelito di morte.
Tutto questo, condensato dentro un percorso sempre in crescendo, sono gli Indigo Flow, giovane e interessante gruppo
musicale nato a Bolotana nel gennaio 2013.
Quattro i componenti di questa formazione che, ridisegnando i contorni delle emozioni più intime e sviscerando i tremolii impalpabili dell’anima, tessono le trame di un nuovo
percorso musicale che ha tutte le potenzialità per guardare in
alto e osare: Fabio e Matteo Proietti, due fratelli legati dall’amore per la musica e da una costante tensione creativa, alla
ricerca di sempre nuove formule da sperimentare, mescolare
ed assemblare, il primo alla batteria, il secondo alla chitarra;
Luca Mastinu, emergente scrittore tenacemente immerso
nell’inferno avvinghiante delle sue creazioni letterarie, a ispezionare gli intricati e angoscianti meandri della mente umana, appassionato bassista alla ricerca di una sintesi liberatoria
e appagante tra suono e parola; Michela Becciu, voce potente
ed emozionale, luminosa e carica di un mistero inafferrabile
che rapisce e cattura, trascinando violentemente in uno spazio altro, intimista ed alieno, dai colori intensi ed accecanti.
Un miscuglio di personalità ed energie che hanno dato vita
ad un gruppo sinergico, che ha nella essenzialità di ogni suo
componente il suo tratto dominante ed imprescindibile.
Così ogni pezzo è il risultato di un lavoro collettivo, che non
si arrende alla sufficienza ma combina, amalgama, elabora,
fonde e cesella fino a ottenere un estratto emotivo-musicale
originale e coinvolgente.
“Componiamo per noi stessi – ci confessa Matteo Proietti perché prima di tutto dobbiamo soddisfare le nostre esigenze, le nostre emozioni. Tutti pensano che siano le dimensioni
dal vivo a generare le sensazioni più
forti, ma non sempre questo è del tutto
vero: anche in sala si provano moltissime emozioni. Sentire buona musica
che esce da te è l’emozione più grande
che si possa sentire”- dice sottolineando l’importanza e la magia della creazione musicale.
“Vorrei che rimanesse impresso a chi
ascolta anche un solo dettaglio al quale ci si può affezionare - dice Michela come un giro di basso che cambia da
una strofa all’altra imprimendo una
spinta più travolgente”.
I pezzi degli Indigo subiscono diverse e
39
...il risultato è la mescolanza
e la fusione di diversi generi,
con un’oscillazione che va
dal rock alternativo al metal,
passando per il progressive...
E poi c’è il dolore dell’individuo, quello
che vive schiacciato dentro ciascuno
di noi, che talvolta si manifesta brutalmente, abbatte le barriere protettive e
conduce alla follia:
“Anneliese è il pezzo che ha sancito la
vera nascita degli Indigo Flow ed è il
brano a cui siamo più legati, perché è
stata la prima vera creazione collettiva: un po’ per volta, partendo da zero,
ciascuno con il suo contributo, siamo
riusciti a costruire una canzone nella
quale potevano e sono confluite le influenze di tutti” ci dice Luca Mastinu
non nascondendo una certa soddisfazione per il titolo scelto, che richiama
idealmente una vecchia storia accaduta nella Germania del 1976 alla quale lo
scrittore è particolarmente affezionato,
la cui protagonista, Anneliese, era una
donna posseduta dal demonio.
“Nel testo - dice Michela Becciu, che del
brano è l’autrice - ho cercato di incanalare uno stato di ansia molto intenso,
e forse ci sono riuscita se Luca ha percepito in quelle parole la forza occulta
di un plausibile discorso lucido di una
posseduta”. Noi possiamo dire che in
questo pezzo c’è davvero tutta l’energia
degli Indigo e che quell’ansia è come “il
tocco delle sue labbra: un inferno apparente” che sprigiona tutta la potenza
di questo giovane gruppo bolotanese
proiettato verso un futuro di crescita:
“Il nostro sogno e il prossimo obiettivo
da realizzare è quello di registrare un album” dicono all’unisono i ragazzi.E noi,
che non abbiamo resistito e ci siamo
fatti travolgere cedendo al flusso indaco, lo attendiamo con trepidazione.
ANTAS
numerose influenze,
tante almeno quanti
sono i gusti dei suoi
componenti: il risultato è la mescolanza
e la fusione di diversi
generi, con un’oscillazione che va dal rock
alternativo al metal,
passando per il progressive.
La demo oggi disponibile, autoprodotta
dal gruppo e registrata nella Sala Spazio
Musica “Luca Longu”
di Bolotana, contiene
cinque pezzi intensi
nei quali si condensano spinte contrapposte e spunti riflessivi.
Il brano (In)Attesa ci
conduce dentro un
corpo percepito e
vissuto come una prigione dalla forza malvagia, che inibisce il respiro e stronca il
desiderio di una libertà altra, capace di
andare al di là dei conformismi imposti
e accettati supinamente, oltre “la favola
della genetica” che “ancora dà la spinta”
alla nostra civiltà e dentro la quale l’uomo, in un tentativo disperato “dietro la
parola a proteggersi ancora si ostina”; in
Foglie la narrazione di un’insonnia beffarda ci ricorda che “è tempo di essere”,
mentre Un fiore che porta il tuo nome
che quando ormai tutto è perduto e
non rimane nulla “fingere, sai, non funziona più”.
foto di Gabriele Doppiu
personaggi
PAOLO
ZICCONI
L’omaggio a Luigi Tenco
L’artista algherese reinterpreta nel suo nuovo disco il repertorio
meno conosciuto del grande cantautore
ANTAS
40
testo di Giacomo Serreli
Paolo Zicconi aveva esordito discograficamente nel 1999 con
Andiras, un lavoro nel quale traspariva intensamente la su
impostazione di “cantante colto” attraverso una rivisitazione,
quasi “lirica”, di motivi popolari della tradizione sarda e della
sua Alghero.
Cambia registro quasi tre lustri dopo, nel 2013, con un lavoro
interamente dedicato a Luigi Tenco che prende il titolo di In
qualche parte del mondo, che è anche uno dei brani più “sognanti” del repertorio del cantautore genovese.
Un amore che parte da lontano, il suo per Luigi Tenco. Il primo incontro risale al 1967 quando, ancora ragazzino, venne
colpito da quella morte drammatica e insieme misteriosa
avvenuta durante il Festival di Sanremo; in quella, cioè, che
era la più importante vetrina della televisione e della musica
leggera italiana.
Dopo il diploma in Conservatorio, i numerosi corsi e stage di
canto e una carriera nella musica lirica, questo progetto rappresenta dunque un ritorno alle origini ma con approcci nuovi, tipici di un cantante che ha alternato la musica lirica con
l’esperienza etnica, particolarmente ricca e importante, della
Sardegna, e con l’amore per la canzone d’autore.
Luigi Tenco in questo CD viene rappresentato attraverso die-
41
sui primi effetti del consumismo figlio
del boom anni Sessanta che Tenco aveva affidato alla sua penna.
Cosi come è sulla fisarmonica che
adatta il tono severo della sua voce a
quell’impietoso quadretto, che suona
di straordinaria attualità, dipinto nella
Ballata della vita sociale.
Questo lavoro, in sintesi, vuole dimostrare che Luigi Tenco è non solo
attuale nei temi e nelle costruzioni armoniche, ma anche che durante una
carriera brevissima, durata soli sei anni,
ha trattato tutti quegli aspetti che poi
saranno altri, dopo di lui, ad affrontare
ed esaltare. Aspetti, questi, che fanno
di Luigi Tenco una sorta di apripista
della canzone d’autore italiana.
Il lavoro gode del beneplacito della
Famiglia Tenco. Anzi la stessa Patrizia Tenco ricorda la sua genesi, in una
giornata di fine maggio del 2010 in
una casa di campagna a Alghero.
“In quella casa - scrive nelle note del
booklet che accompagnano il CD ascoltando Paolo Zicconi cantare accompagnandosi con il pianoforte, si concretizzò il progetto
di questo appassionato e sincero omaggio a Luigi, frutto di
un lavoro e di un impegno che
Paolo e i musicisti che lo hanno
accompagnato hanno svolto
con grande passione e con il
rispetto e la dedizione che possono nascere solo dalla professionalità e da una pura, onesta
intenzione”.
Progetto reso possibile dall’intervento di musicisti di diversa
estrazione, che spaziano dal
jazz al pop-rock fino alla musica
brasiliana.
Vi hanno suonato Paolo Zuddas
(percussioni, batteria), Riccardo
Collu (batteria), Sergio Fadda
(basso elettrico e arrangiamenti), Salvatore Maltana e Nicola
Murenu (contrabbasso), Claudio Catalli e Fabio Manconi (fisarmonica), Gian Mario Solinas
(organo Hammond), Marcello
Peghin, Davide Salvatore Masu
(chitarre), Roberto Giglio (pianoforte e arrangiamenti), Mauro
Uselli (flauto traverso), Emanuele Dau (tromba e flicorno).
Il libretto che completa il digipack è arricchito dalle illustrazioni di Maria Vittoria Conconi,
pittrice dell’universo femminile, quello
che caratterizza buona parte della produzione tenchiana.
ANTAS
Progetto
reso possibile
dall’intervento
di musicisti di
diversa estrazione,
che spaziano dal
jazz al pop-rock
fino alla musica
brasiliana...
foto di Marco Fulghieri
ci brani, tra i meno conosciuti ma non
meno belli, in un percorso che propone le canzoni d’amore visto nelle varie
fasi della vita: da quella fanciullesca de
Il mio regno a quella adolescenziale de
Il tempo passò, o del brano che dà il titolo all’intero lavoro, fino all’amore de
La ballata dell’amore, quello più maturo e sofferto di Com’è difficile, Guarda se io e Se sapessi come fai, nel quale
l’organo Hammond imprime energia e
caratteri pienamente vintage.
Già da quei brani, pur se figli di una
formazione ancora agli inizi, si avverte
lo spessore compositivo della scrittura
del cantautore ligure.
Testi dai toni fiabeschi, e la delicatezza strumentale ne esalta i contorni tra
il pianismo di Roberto Giglio (che con
Sergio Fadda firma gli arrangiamenti), i
passaggi di fisarmonica di Claudio Catalli, i soffusi arpeggi di
Marcello Peghin alla chitarra o i
mai invasivi inserimenti del flauto di Mauro Uselli.
Ma c’è, brillantissimo, anche
l’uso del flicorno del giovane
Emanuele Dau, di straordinaria
intensità in Com’è difficile o luminoso nel finale di Se sapessi
come fai.
E c’è anche il Tenco diverso dallo stereotipo di “cantautore triste” che ne ha caratterizzato e
alimentato il mito: quello delle
ballate ironiche, in cui è evidente una forma pur embrionale di
canzone teatro. E così ne La ballata della moda Tenco prende di
mira il mondo della pubblicità
e ironizza sugli “utenti” meno
smaliziati, mentre ne La ballata
della vita sociale affronta il tema
della corruzione. Così come non
manca il riferimento al rock, genere presente anche nella produzione di Tenco, che pure ha
nel jazz la sua matrice musicale.
Zicconi è abilissimo nell’appropriarsi in maniera molto originale di quei motivi e interpretarli
con la padronanza e la personalità di un navigato chansonnier.
Nella Ballata della moda il suo
è un approccio quasi teatrale all’incalzante progresso narrativo di quel
brano e Zicconi è efficace, in un ruolo quasi da cantastorie, nel rivestirlo
dell’ironia e dell’amara considerazione
personaggi
Canto a chitarra. Siamo
andati a Bonnanaro per
conoscere
BACHISIO
MASIA
Il chitarrista virtuoso dell’arpeggio
testo di Antonio Caria - foto di Maurizio Corda
ANTAS
42
Specie in questi ultimi trent’anni, nelle
gare a chitarra l’accompagnamento dei
cantadores è affidato a chitarristi che
utilizzano il plettro per suonare. Ciò
non vale quando si parla di Bachisio
Masia, l’unico chitarrista rimasto a utilizzare l’arpeggio, ovvero il solo tocco
delle dita sulle corde. È ormai raro sentire una gara accompagnata dallo stile
che è stato prima dei fratelli Ignazio e
Peppino Secchi di Sorso e poi di Adolfo
e Bruno Merella ma, nelle rare occasioni
in cui avviene, si ritorna indietro di tanti anni e si ha il piacere di ascoltare un
tipo di accompagnamento che attualmente, per un motivo o per un altro, è
preso in scarsa considerazione. ANTAS
ha incontrato l’ultimo dei chitarristi ad
arpeggio.
Bachisio, parlaci del tuo approccio
con la chitarra e con il canto sardo.
A casa c’era mio padre che suonava la
chitarra. Ogni sera, terminata la giornata lavorativa, era solito imbracciarla
e suonare un paio di accordi. Sinceramente da piccolo non ero molto appassionato del canto a chitarra: preferivo altri generi musicali, ma gli accordi
“sardi” erano sempre presenti in me.
Uscivo spesso con mio padre quando
andava a fare le serenate con gli amici
e qualche volta mi capitò di accompagnare qualche voce. Quando avevo circa 18 anni ascoltai per caso un 45 giri
in cui era incisa la famosa disisperada
O mama isconsolada cantata da Mario
Scanu accompagnato dal fratello Giovanni (chitarrista ad arpeggio, NdA): fu
la “scintilla” che mi fece intuire il fascino
e le potenzialità del canto a chitarra.
Fondamentale è stato per te l’incontro con il grande Adolfo Merella.
Sottolineo che ho imparato da mio
padre i fondamenti dell’accompagnamento. Una volta, però, approfondita
la conoscenza del canto sardo, seguivo
spesso Adolfo Merella nelle gare a chitarra. Sentivo grande ammirazione per
lui, tanto che andavo a casa sua per imparare e approfondire il suo metodo di
accompagnamento. Ho bene impressa
una sua affermazione: «La chitarra devi
portatela anche a letto». Sono sicuro
che avesse sempre la chitarra in mano.
Un uomo straordinario, dal quale ho
appreso alcune cose fondamentali: l’utilizzo particolare della mano sinistra,
i suoi movimenti, il tocco delle corde
con le dita ma soprattutto il rispetto
verso il canto. Sottolineo che ho appreso alcuni passaggi anche da due chitarristi bonnanaresi: zio Giovanni Battista
Saba, noto Trobea, e zio Gigino Soggiu.
Ricordi la prima volta che sei salito
sul palco?
Sì: a Torralba, mi pare nel 1978. Accompagnai due “grandi” del canto sardo
quali Francesco Cubeddu di Bulzi e Giovannino Casu. L’occasione mi fu offerta
proprio da zio Francesco. Un’altra gara
che ricordo bene è quella svoltasi a
Bonnanaro nel 1981 per la festa di Santa
Barbara, durante la quale accompagnai
Giovannino Casu, Francesco Cubeddu
di Bulzi e Mario Scanu. La ricordo bene
per il fatto che, pur di far esibire Mario
Scanu, avevo rinunciato al compenso
della gara, anche se, alla fine, il comitato mi riconobbe un compenso.
Parlaci del tuo lavoro discografico
con Daniele Giallara.
È stato veramente una sorpresa per me.
La conoscenza con Daniele è avvenuta
grazie a un’altra passione che ci lega, il
canto corale, dato che lui fa parte del
coro di Cuglieri e io, da tanti anni, di
quello di Bonnanaro. L’idea di fare il cd
era stata sua e mi aveva chiesto di accompagnarlo. Accettai con entusiasmo,
riconoscendo a Daniele doti interpretative e una sensibilità artistica fuori dal
comune. Il cd è stato inciso nel 2003
per la casa discografica Frorias. È stata
una bella esperienza: i canti e le parole
sono stati scelti personalmente da Daniele. Una cosa interessante è che nella
copertina del cd c’è una fotografia fatta
da me che ritrae la vecchia chitarra di
mio padre, costruita nel 1946 da un artigiano di Sassari.
Secondo te perché l’arpeggio è trascurato nel canto sardo?
Un’obiezione che non è raro sentire
di questi tempi è che anche Merella,
nelle sue esibizioni, fosse accompagnato da un fisarmonicista.
Vero! Ma pochissime volte, in quanto lo
stile ad arpeggio veniva e viene tuttora limitato, quasi soffocato, dalla fisarmonica. Purtroppo quest’anno si sono
svolte solo quattro gare con la tecnica
dell’arpeggio.
...l’unico chitarrista
rimasto a utilizzare
l’arpeggio, ovvero il
solo tocco delle dita
sulle corde.
43
I motivi sono tanti: innanzitutto, stranamente, i suonatori ad arpeggio hanno
la presunzione di essere invitati esclusivamente per far conoscere e sentire il
proprio modo di suonare e trascurano
le pubbliche relazioni. Un altro fattore
deriva dall’introduzione della fisarmonica come secondo strumento della
gara: dovendo essa entrare in sintonia
con la chitarra, toglie spazio all’improvvisazione e questo comporta che i due
strumenti si debbano accordare sui
tempi, sul ritmo e sulle variazioni.
ANTAS
Nel 2004 hai avuto l’onore di poterti
esibire negli studi di Radio France a
Parigi.
Sì, è stata un’esperienza davvero emozionante. Fui invitato da Edouard Fauré Caul- Fauty, giovane etmusicologo
francese nonché mio carissimo amico,
che ha compiuto importanti studi sul
canto sardo. Per l’occasione fu invitato
anche il chitarrista Bruno Maludrottu, che suona con l’ausilio del plettro,
mentre i cantadores erano Daniele
Giallara, Francesco Demuru ed Emanuele Bazzoni. Sottolineo che l’uditorio
era composto quasi esclusivamente da
studiosi internazionali.
focus
personaggi
cinema
Tra Collinas
e Cagliari nasce
L’ACCABADORA
il nuovo film del regista
ENRICO PAU
Storia di Annetta, una donna emarginata e fragile che, da un piccolo villaggio della Sardegna,
arriva in città proprio nel momento in cui iniziano i bombardamenti del 1943
ANTAS
44
testo di Matteo Mazzuzzi - foto di © FILM KAIROS realizzate da Nicola Casamassima
Pensi all’accabadora e ti viene in mente una Sardegna misteriosa, remota, quasi arcaica, fatta di piccoli paesi e tradizioni
secolari. La mente viaggia verso un’identità fumosa dentro
confini tracciati con mano tremante da leggende e incertezze
storiche. Colei che finisce, accompagnando uomini e donne
malati al termine di un’agonia diventata insopportabile, è
una figura che stuzzica l’immaginazione, suscitando dibattiti
e giudizi. Ne è cosciente Enrico Pau, il regista cagliaritano alle
prese in questi mesi con la lavorazione del film L’Accabadora
(uscita prevista nella prima parte del 2015). Sa che il pericolo
è quello di perdersi in un labirinto di elucubrazioni storiche
e antropologiche che distraggono dal racconto del film: «Si
potrebbe pensare a una pagina antica della nostra Isola, a uno
scenario di tradizioni sarde - racconta Pau - la realtà del film
è diversa».
Dunque che film è L’Accabadora?
È un film ambientato a Cagliari durante i bombardamenti del
1943. Racconta la storia di una donna che, da un piccolo villaggio della Sardegna, arriva in città proprio nel momento in
cui iniziano i bombardamenti.
Nessun tentativo di ricerca identitaria?
No, non c’è nessun desiderio o fascinazione per temi facilmente identitari e stereotipati. Lo considero un racconto sul
passaggio dal mondo arcaico alla modernità, che nella nostra
città è paradossalmente e tragicamente arrivata attraverso le
bombe. È la storia di una donna che vive un cambiamento,
chiusa com’era in un mondo lontano. Una crescita segnata da
una serie di avvenimenti legati soprattutto all’apparizione di
una sua nipote, figlia della sorella, che entra nella sua vita in
maniera forte.
bellissima.
Quando nasce il progetto di questo
film?
All’incirca nel 2007. Abbiamo presentato un progetto per lo sviluppo della
sceneggiatura, depositando poi titolo
e sceneggiatura al Ministero dei Beni
e delle Attività Culturali,e ricevendo
un finanziamento importante. Dopo
di che abbiamo catturato l’attenzione
di Film Kairos, Mammoth Film, Rai e
dell’Irish Film Board. Co-produttore è
anche il Banco di Sardegna, in regime
di tax credit. Inoltre la sceneggiatura ha
avuto un finanziamento da MEDIA, la
struttura europea di finanziamento per
il cinema.
Dal punto di vista strettamente visivo, che immagine del territorio
emerge in questo lavoro?
Per certi versi è una Sardegna fiamminga, vermeriana. Anche fotograficamente abbiamo fatto un lavoro di accentuazione degli aspetti luministici che
nella nostra Isola sono estremamente
importanti; una luce molto particolare,
con dei contrasti molto forti.
Qual è stato lo spunto da cui sei partito per realizzare questo film?
Nel 2003 ho fatto un laboratorio a
Santu Lussurgiu con alcuni studenti di
cinema. Quell’ambiente mi ha suggerito di cominciare a lavorare su questo
argomento. Tra l’altro in un periodo in
cui nessuno se ne era occupato: c’era
solo il saggio sull’accabadora di Bucarelli. L’antropologia ufficiale, forse giustamente, non lo vede come un tema
fondamentale perché non ci sono documenti. Tuttavia è un personaggio
affascinante da un punto di vista narrativo. Con Antonia Iaccarino e Igort, un
fumettista, abbiamo iniziato a scrivere
un soggetto. Poi io e Antonia abbiamo
scritto la sceneggiatura.
Considerando anche i tuoi precedenti lavori, Pesi leggeri e Jimmy della
Collina, emerge un filo conduttore
che è quello dell’emarginazione dei
personaggi. Si tratta di una tematica
che tu rivedi anche in L’Accabadora?
L’accabadora è emarginata dal suo ruo-
lo. Se fossero mai esistite, queste pratiche si tramandavano di madre in figlia
anche in maniera spietata e crudele.
Dare la morte a qualcuno, seppure con
un atto di pietà, è un gesto di estrema
forza, che richiama la capacità di porsi
in un territorio di decisione che non
spetta certamente all’uomo. Annetta,
Dare la morte a
qualcuno, seppure
con un atto di pietà,
è un gesto di estrema
forza...
ANTAS
Oltre a essere ambientato nella Cagliari del 1943, il film è stato girato
a Collinas.
È il magnifico villaggio della prima
parte del film: un posto che conserva
ancora una natura legata al passato,
ma senza quei toni di folklore isolano.
Tra l’altro è una situazione produttiva
straordinaria, perché tutto il paese ci
ha adottato ed è stata un’esperienza
45
Nella stesura della sceneggiatura vi
siete riferiti a qualche testo o documento sulla figura dell’accabadora?
È di totale invenzione. Spesso dico che
noi chiediamo quello che gli scrittori
chiedono ai lettori: sospendere l’incredulità e provare a concentrarsi su una
storia che esiste per i 90 minuti del film:
un meccanismo classico di attivazione
del gioco fantastico della narrazione.
la protagonista del film, è un personaggio emarginato, e la fuga dal paesino
per arrivare a Cagliari segna una rottura
col passato. Rispetto agli altri film, però,
non c’è un vero tema del riscatto. Solo
individualmente, attraverso l’amore
nelle sue varie forme, c’è una via di fuga
e la scoperta di sé.
Quanto pensi che L’Accabadora possa aprirsi a un contesto non sardo?
Questo film per sua natura è una
co-produzione internazionale. Accanto
ad attori importanti come Donatella Finocchiaro ci sono anche artisti internazionali come Barry Ward, protagonista
dell’ultimo film di Ken Loach. Penso
che dovremmo sempre misurarci con
storie importanti e ambiziose, provando a essere più aperti verso il mondo.
Nel cinema mi sembra che ci stiamo riuscendo, perché abbiamo un pubblico
che va oltre la Sardegna.
ANTAS
46
La Sardegna resta tuttavia un punto
fisso nei tuoi lavori.
Avere un pubblico sardo è una cosa che
dà una grande sicurezza. Mi dà una forza enorme sapere che ci sono persone
nella nostra Isola che amano quello che
facciamo. È qualcosa che nasce in un
trato moltissimi festival importanti nel
mondo; i nostri film sono apprezzati,
hanno l’attenzione di critica e pubblico
con una varietà di temi e racconti che
va dal comico al drammatico. Se avessimo maggiori risorse potremmo far
diventare il cinema un’industria sostenibile che potrebbe dare visibilità e lavoro all’Isola. Col cinema si può vivere e
i film lasciano ricadute economiche sul
territorio, come è successo con la mia
produzione a Cagliari.
tessuto che tu conosci, di cui fai parte,
di cui tu sei una fibra. L’appartenenza
a questo microcosmo è fondamentale.
Come giudichi il fermento cinematografico che proviene dalla nostra
Isola?
È quasi un fenomeno da studiare. Se
fossimo un piccolo paese saremmo un
caso. Con i nostri registi abbiamo cen-
Pensi che il film verrà presentato in
qualche festival?
Sinceramente non lo so. Siamo in fase
di montaggio e sarebbe bello pensare
di andare a un festival. Al di là di questo, però, dobbiamo essere contenti
di essere riusciti a terminare le riprese,
con tante difficoltà e in solo cinque settimane. Abbiamo fatto un piccolo miracolo di cui ovviamente devo ringraziare
tutti: i tanti sardi coinvolti, la produzione, chi ci ha messo nelle condizioni di
lavorare, la troupe che è stata straordinaria e gli attori, tutti grandi professionisti. Per un regista è un privilegio
lavorare con attori così.
ANTAS
47
focus fumetto
Si cerca un editore per dar vita alla storia di Kirru e i suoi amici che
tra torri nuragiche e ancestrali misteri popolano i disegni realizzati da
IVANO
CIRINA
Un fumetto per raccontare la cultura sarda
ANTAS
48
testo di Moreno Pisano
La storia sarda attraversa un momento
di grande vivacità grazie ai sempre più
curiosi e appassionati che studiano le
origini e le vicissitudini del popolo isolano. Recentemente, anche grazie alla
musealizzazione dei primi giganti di
Monti Prama e a diversi studi che provano a riscrivere la storia della nostra
Isola, si potrebbe affermare la grandezza della civiltà nuragica alla pari
dei popoli che prima della nascita di
Cristo hanno popolato il Mediterraneo.
In attesa che la storia onori il glorioso
passato, la Sardegna ha sempre avuto
difficoltà ad affermare le proprie radici,
sia dentro che fuori dall’Isola ed è ancora difficile veicolarne nel modo corretto e incisivo i contenuti. Se vogliamo
conoscere chi eravamo ci rimangono
da consultare i libri nelle biblioteche
o immergerci nella letteratura sarda
che, attraverso la narrazione ,ci ripor-
ta al passato. Tra le idee innovative
che grazie alla tecnologia ci permettono di accorciare le distanze tra noi e
il passato c’è quella della narrazione a
fumetti di Ivano Cirina, 27enne di Suelli
che, oltre ad appassionarsi e a visitare i
luoghi-simbolo della nostra cultura, ha
utilizzato l’abilità nel disegno per dare
anima a una storia in grado di riportarci
nel passato attraverso un fumetto.
Nelle vignette la storia di Kirru Kaska
49
Leggi tutte le tavole
della Demo di
Kirru Kaska sulla
versione digitale di
Antas scaricabile da
www.portreview.it
ANTAS
- nome ispirato agli studi di Leonardo
Melis - ambientata in una Sardegna di
metà Ottocento dove emergono gli
abiti tradizionali, gli antichi mestieri e le
tipiche abitazioni che fanno da sfondo
alle avventure di Kirru, bambino vivace e curioso, e dei suoi compagni, alla
ricerca di ancestrali misteri legati alle
migliaia di torri che svettano in tutta l’Isola. Un percorso che mette nelle mani
del lettore il passato attraverso un’avventura degna di un fumetto Manga,
dove alla tipicità delle ambientazioni
si coniuga la fantasia, che porta immaginare ciò che le nostre leggende ci
tramandano dalla notte dei tempi. Una
fantasia che porta la cultura del passato
nel nostro futuro, adeguandosi ai mezzi di comunicazione e alla velocità con
cui oggi abbiamo bisogno di ricevere
informazioni. Uno strumento di conoscenza per tutte le età, capace di parlare un linguaggio semplice e accessibile
non solo per gli addetti ai lavori. Nella
ricerca dei toponimi che contraddistinguono il fumetto, Ivano Cirina ha scoperto anche l’origine del suo cognome
che, sempre secondo gli studi di Leonardo Melis, si ritrova tra i re Shardana di Cirpo e nelle miniere di rame, in
particolare Funtana Raminosa, dove è
stato rinvenuto il toponimo “Cirina”. Un
lavoro, quello di Ivano, passato sui libri
ma non solo: le visite sul campo tra i nuraghi, in particolare all’ombra del Piscu,
o battendo i sentieri che portano
ai recenti scavi delle tombe prenuragiche di Pranu Siara e il continuo
confronto con studiosi e ricercatori
l’hanno portato a mettersi al servizio della riscoperta della Sardegna
con l’arte del disegno e del fumetto.
Quale sorte e quali ambizioni per
strisce che aspettano di uscire dalla
tavole custodite dentro un pc e prendere vita sulla carta? “Per ora attendo
un editore che voglia scommettere
sul progetto senza nessuna pretesa,
ma con l’ambizione di essere parte di
uno dei tanti piccoli contributi in grado di ricordarci e di farci conoscere in
forme diverse chi eravamo - dice Ivano
Cirina - con la speranza che Kirru diventi per la Sardegna ciò che altri celebri
fumetti come Tex Willer sono diventati
per il Texas, oppure un vero e proprio
simbolo di promozione dell’Isola attraverso i suoi prodotti esportati in tutto
il mondo”.
ACTORES
ALIDOS
Un viaggio appassionante tra
teatro, musica e danza
ANTAS
50
testo di Matteo Mazzuzzi
Quando si oltrepassano le porte d’ingresso del Teatro Centrale Alidos di Quartu, si avverte una sensazione particolare. Le
tonalità di rosso che caratterizzano pareti, mobili e tendaggi
tradiscono una passione pervasiva, che si mostra chiara e limpida nel corridoio di accesso alla sala. Ai lati della camminata infatti, due grandi librerie accolgono circa 5000 volumi e
1000 documenti audio e video che costituiscono un vero e
proprio centro di documentazione sullo spettacolo: «Ci siamo
trasferiti da Cagliari nel 1995 affittando questo cinema abbandonato che abbiamo ristrutturato e rinnovato, senza un euro
dalle istituzioni, per renderlo un teatro» racconta Gianfranco
Angei, direttore artistico della Compagnia Teatro Actores Alidos. Il rinnovamento d’altronde è nella genetica del gruppo
quartese. A partire dal nome (“teatro di attori che si rinnovano”, dall’antico logudorese) per arrivare alla poetica teatrale,
capace negli ultimi 30 anni di scrivere pagine importanti sui
più rinomati palcoscenici internazionali. L’ultima ha ancora
l’inchiostro fresco: il 5 dicembre, al Teatro Toursky di Marsiglia
fondato dal grande Leo Ferrè, ha fatto il suo debutto internazionale la nuova produzione “Mobilit-azione”, una visione
dell’arte e del mondo ispirata all’espressionismo che grida la
sua voglia di salvare il teatro e la cultura.
UNA STORIA LUNGA TRENT’ANNI Sin dalla fondazione, nei
primi anni Ottanta, la produzione di spettacoli è la principale
attività della compagnia: «Non si tratta mai di semplici messe
in scena ma di creazione per assecondare le esigenze mie e delle
persone con cui lavoro» spiega Angei mentre sfoglia il catalogo degli spettacoli. Il repertorio degli Actores Alidos è un
campionario sulle varie espressività dell’attore. Alcuni dicono
si tratti solo di teatro di corpo, ma Angei non è d’accordo: «In
primo luogo non escludiamo la parola. Nello spettacolo “Medea”, ad esempio, la parola è elemento importante che s’incontra
e si scontra con la musica che diventa a sua volta personaggio.
Alcuni, poi, dopo aver visto lo spettacolo “Paristoria”, incentrato sulle leggende e tradizione della Sardegna, ci hanno definito
addirittura come compagnia di teatro danza». C’è poi il filone
del teatro ragazzi: “Zitti zitti”, allestimento del 2013, ha vinto
il premio del pubblico al Fringe Festival di Roma. «Personalmente - spiega Angei - mi viene difficile mettermi un’etichetta,
ma con orgoglio posso dire che forse siamo l’unica compagnia
in Italia che si è affermata a livello internazionale sia nella musi-
Laras de coraddu - foto di Maurizio Beretta
focus teatro
Il direttore artistico Gianfranco Angei racconta la straordinaria storia trentennale degli
Nata ufficialmente nel 1982, la Cooperativa Teatro Actores Alidos si occupa
di teatro di ricerca e sperimentazione
ed è riconosciuta come compagnia
professionale di interesse nazionale dal
Ministero per i Beni e le Attività Culturali fin dal 1985. Dal 2001, inoltre,
è riconosciuta come teatro d’innovazione per la ricerca e sperimentazione.
Sono oltre 35 gli spettacoli prodotti e
circuitati in territorio nazionale e internazionali. Oltre ad aver partecipato
a prestigiosi festival internazionali in
Italia e all’Estero (Portogallo, Spagna,
Francia, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Danimarca, Belgio, Austria,
Polonia, Finlandia, Repubblica Ceca,
Albania, Norvegia, Olanda, Gran
Bretagna, Irlanda, Egitto, Grecia), il
gruppo ha ottenuto importanti riconoscimenti tra cui il recente 1° premio al
Festival Concorso Malzhaus di Plauen
in Germania, il Premio Maria Carta
in Sardegna e il terzo posto nel Festival
Concorso Teatro Ragazzi di Padova.
Valeria Pilia e Paolo Fresu in Medea foto Michele Losito
51
Paristoria - foto di Priamo Tolu
CANTI DELLE DONNE SARDE Cifra
estetica fondamentale della compagnia
è, come detto, la capacità di mescolare
diversi linguaggi espressivi. Non ultimo il canto, a cui è legata una delle più
note e premiate produzioni, Canti delle
donne sarde. «Nel 2001 - racconta Angei - iniziammo una ricerca a carattere
antropologico sulla Sardegna, approfondendo anche le conoscenze sulla musica.
Fummo anche stimolati dalla direttrice
di un festival in Francia che ci suggerì
di presentare uno spettacolo maggiormente legato ai canti». La forte componente femminile della compagnia
fa virare subito il lavoro sui canti delle
BIO
ANTAS
ORGANIZZAZIONE E DIDATTICA La
compagnia ha anche una tradizione di
attività organizzative di rilievo: «Quando nel 1986 portammo gli Els Comediants, uno dei gruppi più importanti a livello
mondiale - ricorda Angei - ci furono
20mila spettatori. Ma posso citare anche
nomi della musica come Michael Nyman.
Sono attività che organizziamo sempre
meno a causa dei tagli che obbligano a
fare le cose senza tenere conto del disegno artistico che si vuole perseguire».
Stesso destino per la didattica teatrale,
ma per motivi diversi: «In passato invitavamo spesso artisti importanti a fare
laboratori e stage. Ora i maestri teatrali
sembrano proliferare a dismisura. Ma
non rinunciamo a insegnare. Facciamo
scuola nel vero senso della parola: i maestri della nostra compagnia dedicano
il proprio tempo ai giovani che vogliono
fare gli attori professionisti, chiedendo in
cambio massima disponibilità a fare studi seri e regolari e a lavorare con noi. Non
è semplice fare una scelta così».
donne in Sardegna, tradizionalmente
monodici, ma rielaborati dall’attrice Valeria Pilia in chiave polifonica: «Le donne sarde cantavano di tutto ma mai in
pubblico: ninne nanne e filastrocche per
i bambini, canzoni d’amore, di scherzo,
canti ecclesiastici e funebri e durante il
lavoro». Il successo dello spettacolo
è grandissimo. Nel 2005 la Finisterre,
una delle case discografiche italiane
più importanti nella world music, cura
la produzione del primo CD, Canti delle donne sarde, che cattura subito l’attenzione della critica internazionale
con l’ingresso nella top ten della rivista
internazionale Folk Roots e nella play
list della BBC. Nello stesso anno arriva
la partecipazione al Womex, la più importante vetrina mondiale della world
music. E poi il tour in tutta Europa, con
la compagnia, spesso unica rappresentante dell’Italia ai festival internazionali, a suscitare il plauso e l’interesse
di pubblico e addetti ai lavori. Come
Vinicio Capossela: dopo aver ammirato un concerto del gruppo, il
cantautore italiano decide prima di inserire il brano Calipso,
scritto da Valeria Pilia, nel disco
Marinai, profeti e balene, e poi
invita la stessa Pilia e altre due
cantanti nel suo tour 2011, nel
ruolo di coriste e attrici. E ora,
a gennaio, l’uscita del nuovo
CD con alcuni importanti ospiti: i Tenores di Bitti, Ambrogio
Sparagna, direttore dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di
Roma, e Sainkho Namtchylak,
artista asiatica capace di emettere due
note contemporaneamente. Una nuova pagina è pronta per essere scritta.
Mobilit-azione - foto di Maurizio Beretta
ca, sia nel teatro».
focus teatro
Una piacevole chiacchierata con la più importante compagnia teatrale del Centro Sardegna
BARBARICIRIDICOLI
Comicità d’autore e ricerca sociale
ANTAS
52
testo di Matteo Mazzuzzi foto di I Barbariciridicoli
Leggendo superficialmente la storia de I Barbariciridicoli non si notano particolari differenze rispetto alla genesi di
altre compagnie teatrali. Il gruppo barbaricino nasce 1993
dall’iniziativa del regista e direttore artistico Agostino Belloni, che riunisce gli allievi dei laboratori teatrali organizzati
nei comuni di Orani e Ottana. Negli anni l’attività si estende
sul territorio e, anche attualmente, la compagnia è costituita
esclusivamente da giovani barbaricini cresciuti all’interno dei
laboratori. Un percorso normale che, tuttavia, se contestualizzato nel tempo e nel luogo, rivela tutte le peculiarità che hanno fatto de I Barbariciridicoli la più importante realtà teatrale
del centro-Sardegna.
LA POETICA NEL NOME. Il nome è l’elemento fondamentale
che riassume con semplicità le caratteristiche essenziali della
compagnia. C’è la connotazione geografica, per rivendicare
sin dall’inizio l’appartenenza ai piccoli comuni della Sardegna
centrale, un territorio privo di una solida tradizione teatrale:
«Non solo professionale ma anche amatoriale - specifica Tino
Belloni -. Fare teatro in quel periodo era un po’ un’eresia e la mia
scelta di fare prima l’attore e poi il regista risultava anomala.
Come era anomala la presenza di una compagnia in piccoli paesi come Orani e Ottan,a che dava lavoro ad alcune persone».
E poi c’è l’aggettivo, “ridicoli”, così irriverente e autoironico,
ma che nasconde significati profondi. Il primo è collegato
LIMBA A TEATRO. Scelta importante è
stata anche quella di portare in scena
la lingua sarda, elemento caratterizzante dei gruppi amatoriali piuttosto che
Tino Belloni
Scelta importante è
stata anche quella
di portare in scena
la lingua sarda...
Gli attori Fabio Milia, Gianni Putzu,
Francesca Pinna, Carlo Paletta, Rosa
Virdis e Lina Manai nello spettacolo ‘Su
sindigu pro una die’ di Francesca Pinna
e Tino Belloni
politica, ha vinto il secondo premio
nella sezione poesia e prosa in sardo
dell’edizione 2013 del Premio Gramsci:
«Ci ha fatto molto piacere, perché spesso
si pensa che teatro comico sia sinonimo
di disimpegnato. Questo riconoscimento,
invece, testimonia qualcosa di diverso».
CIRCOLO VIRTUOSO E FUTURO. Gli
effetti del lavoro sul territorio stanno
dando i frutti sperati: alcuni elementi
della compagnia si muovono anche
al di fuori del gruppo ed è cresciuto il
fermento teatrale. Inoltre, se nei primi
anni era normale avere un continuo ricambio di artisti e collaboratori (dovuto anche alle difficoltà economiche), attualmente il gruppo si è strutturato con
elementi stabili che collaborano da oltre un decennio. Ma per Belloni la cosa
più importante è stato il riconoscimento della gente: «I primi tempi ci guardavano un po’ così. Ora la gente segue con
piacere le nostre attività. Soprattutto
Orani è un paese che ha creduto moltissimo in noi». Adesso in programma c’è
una nuova produzione incentrata sulle
favole dei fratelli Grimm e sui personaggi ormai stufi dei loro ruoli classici,
e un progetto di formazione teatrale
con il Gal Marghine rivolto ai ragazzi
delle scuole per la valorizzazione dei
prodotti agroalimentari del territorio. Il
2015 è alle porte.
53
COMICITÀ E RICERCA. Le sperimentazioni all’interno del genere comico
hanno portato la compagnia barbaricina all’utilizzo di formulazioni teatrali
innovative. Lo spettacolo “Skabaretch”
del 2001, ad esempio, presenta un linguaggio basato su tecniche di formazione applicate nei laboratori: «Si tratta
di vera improvvisazione, con creazione di
scene in base a carte teatrali estratte davanti al pubblico che indicano elementi
quali il personaggio, l’azione e l’ambiente». È attraverso questo spettacolo
che la compagnia approda a linguaggi
inediti e originali: la scena in ostrogotzo
e la pantomima sonora. Nella scena
in ostrogotzo gli attori adottano una
lingua inesistente inventata sul momento: per certi versi un’estremizzazione del grammelot di Dario Fo, autore
molto caro alla compagnia. Tuttavia il
Premio Nobel lombardo fa riferimento
a una commistione di dialetti esistenti e fornisce i presupposti della scena
per aiutare lo spettatore: «Noi invece spiega Belloni - abbiamo costruito uno
spettacolo in cui dall’inizio alla fine non
c’è una parola in nessuna lingua esistente. E il significato della storia passa naturalmente attraverso le azioni mimiche».
Azioni mimiche che sono al centro
anche della pantomima sonora a cui si
accosta il commento di suoni creato da
un attore rumorista.
delle compagnie professionali: «È vero
- dice Belloni - che il sardo può limitare la
possibilità di veicolare lo spettacolo, ma
nel nostro territorio è un livello di comunicazione efficace». Da “Manichinzuzù”,
primo spettacolo in limba nel 1999, la
strada percorsa è tanta: l’ultima produzione, “Su sindigu pro una die”, scritta
a quattro mani con Francesca Pinna e
riguardante l’attualità e la corruzione
ANTAS
al genere teatrale privilegiato, quello
comico: «Soprattutto nella prima fase
abbiamo scelto un genere maggiormente popolare per avvicinare un pubblico
non abituato al teatro - racconta Belloni - Tuttavia siamo sempre stati attenti a
fare teatro comico, ma impegnato su importanti tematiche sociali, proponendole
con un linguaggio diretto e semplice». Il
secondo significato ha invece contorni
più sociologici: «La cultura nuorese ha
sempre avuto un manto di severità e di
estrema compostezza e rigidità. Accostare al nome di barbaricini l’aggettivo
“ridicolo”, era in qualche modo deflagratorio. L’abbiamo fatto per contestare uno
stereotipo culturale, mostrando come il
barbaricino abbia maschere diverse, capaci di far ridere con leggerezza».
focus accademia
GLOBEMUSIC
ACADEMY
Serena Veraldi ha fondato a Oristano la
Una scuola di musica per costruirsi un futuro
La giovane fondatrice ha le idee chiare e una grande voglia di scommettere
sulla musica come prospettiva di crescita professionale.
Per conoscere meglio la sua storia l’abbiamo intervistata
ANTAS
54
testo di Pierpaolo Fadda
Quando è nata la scuola e cosa ti ha portato a lasciare Milano per trasferirti a Oristano?
La mia passione per l’Isola magica, come la chiamo io, è sempre stata parecchio forte, così forte che nell’agosto 2011, per
la prima volta inizio a pensare ad un possibile trasferimento, ad un cambio di vita totale. La prima idea di GlobeMusic
Academy nasce durante quell’estate, sulla strada tra Alghero
e Bosa.
La Musica ha costantemente fatto parte della mia vita e il mio
lavoro si è sempre svolto in ambito musicale, in particolare in
quello dell’educazione e della formazione.
Nell’ottobre 2013 il sogno si realizza. Lascio Milano, con un
progetto ben preciso e una sola idea nella testa: mettere a
frutto la mia esperienza e aprire una scuola di Musica moderna a Oristano.
Nella primavera del 2014, GlobeMusic Academy apre final-
mente i battenti. Nasce la scuola di Musica a Oristano!
Di cosa si occupa la Globe Music Academy?
GlobeMusic Academy è una scuola di Musica moderna, che
propone corsi rivolti a principianti ed esperti. Le attività si articolano tra lezioni di gruppo o individuali, ponendo particolare attenzione al confronto e allo scambio fra musicisti.
GlobeMusic nasce con il preciso intento di diventare un punto di riferimento per tutti gli amanti della Musica, proponendo non solo lezioni, ma anche workshop, seminari, incontri,
concerti e collaborazioni.
Per esempio, abbiamo organizzato a Settembre il seminario
“La tecnica al servizio dell’espressività” a cura di Andrea Rodini (vocal coach di X–Factor, docente Sanremo Lab, autore e
produttore a Sanremo); abbiamo appena concluso con successo in collaborazione con La casa della Musica di Oristano il
Serena Veraldi con Franco Mussida
Il saluto ai sardi di Franco Mussida,
chitarrista e compositore.
Serena è stata la responsabile della
segreteria del Cpm Music Institute di
Milano per molti anni.
Ha lavorato con passione e serietà organizzativa lasciando in tutti, allievi e
dirigenti, un ricordo vivo e affettuoso.
La sua passione per la Musica e per la
didattica maturata in Cpm l’ha portata
a proseguire l’avventura nella vostra
bella regione. La stima reciproca ha
fatto il resto.
Siamo davvero contenti di poterla sostenere in questo suo nuovo ruolo di
responsabilità nella sua struttura GlobeMusic. Uno spazio che vuole operare
con gli stessi principi di libertà e apertura del Cpm che con i suoi 30 anni di
lavoro ha lasciato un segno forte nel
sistema didattico musicale italiano.
Tanti auguri per questo tuo nuovo inizio Serena e un abbraccio ai miei tanti
amici Sardi.
Franco Mussida
Attualmente quanti sono i corsi?
GlobeMusic propone un’ampia gamma
di corsi tra cui scegliere. Nello specifico
abbiamo corsi di livello base e avanzato per gli strumenti Chitarra, Batteria,
Pianoforte e Tastiere, seguiti rispettivamente da Alessio Lisci, Maurizio Vizilio
e Nicola Piredda, tutti e tre certificati e
abilitati CPM Music Institute.
Per la sezione Basso e Contrabbasso
lavoriamo con Davide Mereu e Tancredi Emmi, entrambi ottimi insegnanti e
impegnati in diversi progetti, anche di
livello internazionale.
I corsi di Canto sono curati da Maura Nardelli, giovane diplomata CPM e
cantante professionista e Mino Mereu,
cantante, autore e docente, con esperienza decennale in performance live e
lavori in studio. La sezione dedicata alla
Produzione Musicale è diretta da Giangi Cappai, dj producer e songwriter di
fama internazionale. L’ultimo corso che
abbiamo introdotto è quello dedicato
alla Chitarra Flamenca, di cui si occupa
mio marito Marcello Porceddu, musicista di grande sensibilità.
Proponiamo poi corsi speciali per bambini, a cura di Maura Nardelli e Manuela
Fanari, in collaborazione con l’Asilo d’infanzia Il piccolo Principe di Oristano.
Per completare lo studio della tecnica
e della pratica sui vari strumenti, l’allievo può poi scegliere tra corsi di teoria
musicale, solfeggio, ear training, canto
corale, pianoforte complementare.
Qual è il legame tra la Globe Music
Academy e il prestigioso CPM Music
Institute - centro professione musica
di Milano?
Dal 2008 al 2013 ho lavorato come Responsabile della sezione Corsi al CPM e
ho avuto modo di assorbire la filosofia
e la metodologia di lavoro di questo
luogo, che non è una semplice scuola,
ma “Musica a 360°”.
Il progetto GlobeMusic è nato anche
grazie al lavoro di affiancamento, ai
momenti di confronto e all’aiuto dello
staff CPM e di Franco Mussida, il quale ha partecipato all’inaugurazione di
maggio, facendo da padrino e presentando la Scuola e i corsi al pubblico.
Come Network CPM, GlobeMusic Academy ha la possibilità di offrire agli allievi un percorso formativo certificato
ed esclusivo, anche grazie all’uso delle
Enciclopedie Didattiche e degli Insegnanti abilitati.
Usate uno slogan molto forte: “Per
il tuo futuro scegli la musica”. Ce lo
spieghi meglio?
Di musica si può vivere.
Come per qualsiasi altra professione
vale la regola dell’impegno, dello studio, della costanza e della passione.
GlobeMusic Academy aiuta e prepara
gli allievi al mondo del lavoro come
musicisti.
Senza dimenticarci che la Musica è gioia e divertimento!
Qual è il sogno nel cassetto di Serena
Veraldi?
Di sogni dal cassetto ne ho già fatti
uscire molti, forse perché ci ho creduto
tanto…
Se un giorno Mick Jagger volesse affacciarsi alla porta di GlobeMusic, ecco,
a quel punto penso che non avrei più
nulla da sognare… forse!
55
Nella scuola, per vostra precisa scel-
ta, gli insegnanti sono sardi: ce ne
vuoi parlare?
La scelta di coinvolgere personale
del territorio è stata da subito parte
integrante del progetto: la Scuola per
me deve essere un punto di aggregazione, inserita nel tessuto sociale, non
solo delle stanze dove si tengono le
lezioni. È imprescindibile che gli insegnanti e i collaboratori siano del luogo.
Il tempo mi ha dato ragione.
Uno dei punti di maggior forza di GlobeMusic è costituito dal gruppo dei
nostri docenti. Persone speciali, sia
dal punto di vista professionale che da
quello umano.
Fin dal nostro primo incontro ho capito di poter contare su figure professionali affidabili e propositive. Sono tutti
ottimi musicisti e insegnanti (le due
cose spesso non vanno di pari passo!).
Alcuni di loro sono molto giovani ma
già vantano esperienze professionali
decennali.
Anche per loro la scuola è un luogo
dove passare ore piacevoli, dove poter
studiare e lavorare anche su progetti
personali, oltre che essere a disposizione degli allievi, per lezioni e consulenze.
Ogni allievo è seguito personalmente
nel proprio percorso di studi, trovando
nel docente un fermo e costante punto
di riferimento.
ANTAS
workshop “Gli strumenti dello strumento Voce” condotto dal nostro docente di
canto Mino Mereu.
Il 14 dicembre ospiteremo Daniele Russo, noto batterista di Cagliari, per un incontro dedicato a cassa e rullante, mentre stiamo già lavorando per il Concerto
natalizio, che coinvolgerà insegnanti e
allievi, previsto per Sabato 27 Dicembre a LaTà, famoso locale di musica dal
vivo di Oristano.
recensione dischi
4 NOTE IN LIBERTÀ con i Caskanolepiramidi
CASKANOLEPIRAMIDI
Dipingimistoccelo
2014 - Autoprodotto
Dipingimistoccelo è il primo disco dei Caskanolepiramidi, la prima prova sulla lunga
durata, registrata e pubblicata autonomamente dalla band di Solarussa dopo ben cinque
anni di attività. Esordio discografico rilassato per un gruppo che in questi anni ha girato
i bar, i concorsi, le feste di paese di tutta la Sardegna presentando un’inedita proposta
musicale. Dipingimistoccelo è uscito nell’estate del 2014, quale migliore stagione per dare
alle stampe un disco divertente, solare, senza troppe velleità intellettuali ma pervaso
invece da una vena espressiva allegra e giocherellona. Testi stralunati in Italiano (ma
anche in sardo in Topo is now), demenziali, che rasentano spesso il nonsense, sostenuti
da strumentali che strizzano l’occhio al rock’n’roll così come al pop, ma non disdegnano
richiami blues (Sognando Alain Delon) e citazioni artistiche tra le più disparate (ascoltare
l’incipit di Cazzy a Mary per credere). I riferimenti sono ovviamente quelli famosi: Elio e le Storie Tese, Skiantos (soprattutto a livello
testuale) ma personalmente, ascoltando gli stop della prima Nostalgia D’Estate o il finale veloce di Fuck the Stone sono portato a
ricordare molto più velocemente i Paolino Paperino Band di Pislas (1993). Completa l’opera l’azzeccatissima cover di Una fetta di
limone dei due corsari Gaber/Jannacci e una buona produzione dei suoni curata completamente dal chitarrista e produttore di
Cabras Andrea Cutri. Ma conosciamo meglio il mondo un po’ pazzo dei Caskanolepiramidi facendo qualche domanda ai diretti
interessati. [Diego Pani]
ANTAS
56
foto di Massimo “PirMax” Piras
primo periodo dei CSP, che ne delimitano un primo ciclo. L’ispirazione spesso
arriva dalla voglia di far cose non banali.
Ci piace essere irriverenti. Non abbiamo
la presunzione di essere originali, ma sicuramente facciamo qualcosa che il panorama musicale sardo in genere non
offre. La gente si diverte ai nostri concerti e questo per noi è già un grande
successo.
Quale incredibile storia si cela dietro la nascita di una band
come Caskanolepiramidi?
Tu non ci crederai mai, ma in realtà, all’inizio, non doveva nascere
un gruppo. È stato un incontro occasionale e casuale che piano
piano s’è tramutato in una storia che ha anche dell’incredibile,
ma che fondamentalmente è normalissima. All’inizio eravamo in
tre a ballare Lally Gally adesso siamo in sette a suonare il TranquiFunkie. Fare musica divertendoci è il Massimo Comun Denominatore, che ci accomuna, CI lega e CI tiene insieme da ormai un
CI-nquennio!
E Dipingimistoccelo? Da dove arriva l’ispirazione per i brani
che compongono il disco?
Dipingimistoccelo in realtà non nasce da un’unica ispirazione:
vuole essere più che altro una raccolta dei brani nati durante il
Se dovessi trovare un motivo in particolare che vi spinge a suonare insieme quale sarebbe?
La voglia di divertirci insieme. I CSP
sono prima di tutto un gruppo di amici che fanno musica insieme. Le nostre
prove spesso si trasformano in lunghissime jam sessions in compagnia degli
amici sempre presenti in saletta. Queste
situazioni talvolta forniscono l’ispirazione per la costruzione di nuovi brani e ci
restituiscono quella carica in più, importantissima per la nostra
attività.
Progetti futuri? Dopo Dipingimistoccelo conquisterete il
mondo?
Per la conquista del mondo abbiamo appena trovato un tutorial
serio su REDTUBE, che consigliamo a tutti. Siamo impegnati nella stesura del nostro secondo album, che sarà molto diverso dal
primo per idee, suoni e strutture. Stiamo già collaudando alcuni
brani dal vivo per capire l’impatto che possono avere con il pubblico. Contemporaneamente, grazie a nuove collaborazioni sviluppate con amici appassionati di film-making, stiamo gettando
le basi per la realizzazione dei primi videoclip legati ai brani del
disco. Ne sentirete parlare presto. [Diego Pani]
DIPENSIERI
Non colleziono farfalle
2014 – Autoprodotto
Genere: rock/cantautorato
Dipensieri è una band musicalmente eclettica che attinge in maniera personalissima
dal rock e dalla tradizione cantautorale italiana. Da un’idea di Davide Cadelano il progetto ha attraversato diverse forme fino a
trovare una stabile line up in tempi recenti.
Il primo album, Non colleziono farfalle (ottobre 2014) racchiude in quattordici brani
tutto il carattere poliedrico della band: le
composizioni e gli arrangiamenti spaziano dal rock più genuino ad ambientazioni
acustiche più intime, giungendo a scenari
più vicini al rock progressivo e all’elettroacustica e, perché no, strizzando l’occhio al
pop più schietto. L’uomo e la natura sono
i soggetti principali all’interno dei testi di
questo disco: viaggi e percorsi umani a
volte intrecciati al mondo dei sogni. Storie
personali di uomini e donne ritratti nelle
proprie lotte quotidiane, nelle esperienze
di vita che hanno, come orizzonte comune, la speranza di farcela, di uscirne fuori, la
volontà di non arrendersi mai. Cantautore
raffinato dalla voce graffiante, Davide Cadelano ha raccolto, durante la sua carriera
musicale solista, diversi riconoscimenti
importanti, come il Premio Letterario Anselmo Spiga come cantautore italiano. Nel
settembre 2013 ha aperto il concerto a due
importanti artisti come Diego Mancino e
Riccardo Sinigallia, ricavando una discreta
attenzione di pubblico e critica. Importante merito nella crescita musicale dei Dipensieri è stato l’ingresso nel 2011 di Lorenzo
Lepori (già chitarrista e autore all’interno
della band Lame a foglia d’oltremare), che
ha aggiunto colori inaspettati all’interno
delle scelte compositive.
Così come la vena più genuinamente rock
è andata rinforzandosi sempre più con
l’arrivo di Simone De Muro, batterista di
lunga esperienza e di grande ecletticità. La
formazione ha trovato poi una più recente
stabilità con Massimo Cadeddu (anch’egli
già componente delle Lame a foglia d’oltremare), bassista di ampie vedute musicali e dalla tecnica duttile.
Redazionale Antas
EVEN FLOW
Flower Paths
2014 – Autoprodotto
Genere: rock/progressive
Dopo lo splendido album Ancient Memories
aspettavamo con curiosità il nuovo lavoro discografico dei sassaresi Even Flow. E bisogna
dire che l’attesa è stata premiata: Flower Paths è un Ep di grandissimo impatto, per certi
versi sorprendente: un album diverso dal
precedente lavoro, dove le atmosfere acustiche trovano ampi spazi in un’architettura
sonora estremamente variegata. Del resto in
Flower Paths troviamo collaborazioni prestigiose con Mark Zonder, ex batterista dei Fates Warning, pioniere del progressive metal
anni ‘90, Matt Guillory, tastierista e collaboratore di James Labrie, leader e voce storica
dei Dream Theater e di Mike Lepond bassista
dei Symphony X, band di fama mondiale e
successori dei Dream Theater per la scena
progressive metal anni 2000. Apre il lavoro
discografico Fly, col talentuoso Matt Guillory che dà una visione e un arrangiamento
del brano estremamente moderno. Negli
assoli di chitarra emergono spunti arabo/
spagnoli molto belli che rendono il brano
vivo, con un ritornello melodico estremamente accattivante. Buon inizio, senza alcun
dubbio, ma le sorprese non sono finite. Arriva Strong e irrompe nel disco un funky-rock
che cattura e affascina: un riff portante di
chitarra e il basso di Mike Lepond, bassista
dei Symphony X, che fa vibrare l’anima. A
metà brano notevole un break strumentale di batteria, coadiuvato da un assolo di
chitarra mozzafiato. Sun è la ballad dell›Ep,
estremamente fruibile all’ascolto con eccellenti intermezzi di synth che regalano al
brano una straordinaria bellezza. Sorprese
finite? Nemmeno per sogno. Arriva Captive
Ballons, un brano introspettivo della band,
quello forse più cupo e meno solare, a tratti
sperimentale, ma con un ritornello calibrato
al punto giusto che entra facilmente in testa.
Chiude il lavoro la superba She’s Always A
Woman: gli Even Flow ci hanno regalato una
cover di Billy Joel con un loro arrangiamento
personale. Una perla che chiude un Ep che
conferma in pieno il valore e l’eclettismo
della band, che si prepara a una tournée europea.
Pierpaolo Fadda
RICCARDO LAY
Percorsi (Live)
2014 – Autoprodotto, distribuzione
Tronos
Genere: jazz/world music
Contrabbassista e compositore sassarese
da sempre in bilico fra free jazz e atmosfere più etniche, fondatore con Antonello
Salis dei Cadmo e poi autore di alcune fra
le pagine più belle dell’etno-jazz isolano
(con il disco Totem che ne è forse la vetta
espressiva), Riccardo Lay torna con un bel
cd live (“Percorsi” il titolo, quasi a rivendicare una sorta di “summa” della lunga carriera), registrato nel corso del Festival jazz
di S.Anna Arresi due estati fa. La formula è
quella del contrabbasso-solo, con un’equa
ripartizione fra arco e pizzicato, con la presenza però di un brano cantato, la “Gobbura”, brano tradizionale in dialetto sassarese,
città dove Lay è nato e a cui è legatissimo
, e di numerosi interventi vocali, altra peculiarità del musicista, che contribuiscono
a rendere il disco godibile anche ai non
addetti ai lavori. Non si tratta certo di un
disco facile all’ascolto, ma il gusto melodico di Lay, il parco utilizzo di loop station e
live electronics, conferiscono al lavoro una
orecchiabilità di fondo che rende ottimo
merito all’esecutore. Buona parte dei brani sono già editi in dischi precedenti come
Totem e Frammenti, ma la lunga suite inedita Tormenti Metropolitani, anch’essa fra
Sardegna e sperimentazione di stampo
free, è forse il brano migliore del cd.
La cifra del lavoro è il grande amore di
Lay per la sua terra, dove è recentemente
tornato a vivere: echi di ballo, launeddas,
canto a chitarra, compaiono nelle diverse tracce di cui si compone il lavoro, così
assolutamente jazz, ma allo stesso tempo
così etnico. Un cd per riscoprire uno dei
musicisti più validi mai prodotti dall’isola,
uno dei pochi che può vantarsi di avere fra
I propri fans niente meno che il grande Pat
Metheny.Il disco, autoprodotto, è distribuito da Tronos: http://www.tronos.it/
Redazionale Antas
RAIKINAS
ANTAS
58
(T) R.I.P.
2014 – Electric Valley Records
Genere: stoner rock
La Sardegna si riconferma terra florida per
lo stoner rock. Su Antas ci siamo già occupati di band isolane dedite al desert sound
di matrice americana, ed eccoci di nuovo
alle prese con una formazione fortemente
debitrice di quel suono arido, cupo, venuto fuori dalle sessions di inizi anni ’90
registrate al Rancho de la Luna da gruppi
come Across the River, Kyuss, Queens of the
Stone Age. Quello che stupisce però, è che
la band non tenta semplicemente di assimilare e riproporre la lezione impartita dai
gruppi americani di riferimento, ma cerca
più caparbiamente di creare un interessante sound proprio, filtrando lo stoner rock
attraverso umori e momenti diversi, dal
doom anni ’70 a reminiscenze post-grunge
(Tears of Fire mi fa quasi pensare ai Soundgarden). All’impronta data dal suono dei
brani, i Raikinas aggiungono chiare suggestioni testuali rimandanti la loro terra:
la Sardegna diviene così luogo ancestrale
denso di storia, miti e leggende, perfetto
per ambientare un “viaggio onirico verso la
redenzione” (a detta della stessa band) che
permane queste dieci tracce componenti (T)R.I.P. Il disco è la seconda prova dei
Raikinas, band di Ossi (SS) formatasi nel
2008 con alle spalle diversi concerti dentro e fuori la Sardegna. In partenza quasi
una metal band, i ragazzi di Ossi hanno nel
tempo sviluppato una predilezione per lo
stoner rock e il rock psichedelico di matrice
Settanta, ispirazione cardine che ha mosso
la scrittura del nuovo lavoro. Il disco scorre cupo, con una sezione ritmica spesso in
primo piano, gonfia di frequenze basse, in
molti casi l’elemento germinatore dei riff
poi ripresi dalle chitarre e ripetuti in maniera ossessiva, come vuole la tradizione dello stoner rock. Le melodie vocali sono ben
costruite ma non di facilissima presa: servono più ascolti per apprezzarne appieno
la potenza espressiva. Ottimi i saliscendi
dinamici, soprattutto per quanto riguarda
IV e Into the Void. Bellissima la traccia finale
Soon (Bette Blues), un grande prova heavy
blues, appunto. Forse la produzione poteva
beneficiare di una maggiore attenzione e
cura dei dettagli in fase di mixaggio e edit,
spingendo maggiormente l’acceleratore
su questi bei brani. Bellissimo disco, sono
ansioso di sentirlo suonato dal vivo.
Diego Pani
ADRIANO ORRÙ, PAULO
CHAGAS, MAURO SAMBO,
SILVIA CORDA
Palimpsest
Pan y Rosas Discos - 2014
Genere: ricerca, sperimentazione,
improjazz
Questo progetto è un miracolo della rete e dei
social network che, al di là di tutto, garantiscono
scambi tra artisti e velocità di comunicazione
prima impossibili, con bassi costi e tempistiche
quasi in tempo reale (oltre alla possibilità infinita di
accedere a conoscenze ed esperienze in ogni parte
del mondo). Palimpsest nasce proprio in questa
direzione: uno scambio di files via web e l’uso
creativo di tecnologie digitali che si prestano a
interfacciare suoni e umori abbattendo le barriere
spazio-temporali. L’artefice e il coordinatore del
progetto è Adriano Orrù, contrabbassista ben noto
negli ambienti della ricerca musicale (non solo
jazz) che ha deciso di riprendere a frequentare il
basso elettrico (suo primo amore di gioventù) e ha
chiesto ad altri musicisti (o meglio amici, come lui
li definisce) di aggiungere le loro idee alle diverse
tracce che sono state spedite via web e viceversa,
con una continua sovrapposizione di strati e
livelli. Gli amici di cui si diceva sono Mauro Sambo
(percussionista veneziano), Silvia Corda (pianista e
compositrice che da queste parti non ha bisogno
di presentazioni), Paulo Chagas (improvvisatore
volontario di provenienza portoghese). Il tutto
confezionato e supportato dall’etichetta Pan y
Rosas di Chicago che ha messo a disposizione
(per politica aziendale) le tracce sul proprio sito
con la possibilità di scaricarle secondo la filosofia
Creative Commons. Il risultato finale è affascinante:
dieci duetti che vedono il basso elettrico di Orrù
come costante resistenziale e l’aiuto, sentito e
commovente, degli altri musicisti. Una tecnica
che ricorda lontanamente quella utilizzata dal
surrealismo francese, nota come “cadavre exquis”
o cadavere eccellente: un giochino per carta e
matita dove ogni partecipante apporta un proprio
contributo senza conoscere il lavoro degli altri. In
questo caso si lavora allo scoperto e il risultato
finale ci regala dieci tracce che nascono da
sintonie nascoste, lontane ma percepibili. Si sente
la comune frequentazione di ascolti e l’approccio
libero e creativo alla materia musicale. Il titolo del
progetto (così come la grafica di copertina curata
da Giampaolo Gerra) vuole richiamare l’antica
tradizione della scrittura che utilizzava la stessa
tavoletta per infinite versioni che, stratificandosi,
idealmente creano una pagina senza tempo,
statica ma in continua mutazione. Ed è lo stesso
che fanno i quattro musicisti che, partendo da
una base iniziale, continuano a sovrapporre idee
e contenuti. Il passo dalla tavoletta di cera alle
tecnologie digitali non è poi così lungo. Tutto
torna, tutto rivive e si sedimenta negli spazi della
nostra percezione. Basta crederci.
Claudio Loi
PAOLO SANNA, LUCA
SANTINI
Elementi
Setola di maiale - 2014
Genere: ricerca, sperimentazione,
improvvisazione
Paolo Sanna è prolifico: ha bisogno di comunicare e di far sentire le sue voci. Ha anche bisogno di confrontarsi e scontrarsi con il mondo:
quello fisico delle cose ma anche quello immateriale delle sensazioni e delle idee. La sua
produzione è ricca, diversificata, mutevole, difficile da seguire, ma sempre riconoscibile e coerente. È il rumore (anzi i rumori) di un artigiano che ogni giorno percuote la sua coscienza;
che in ogni momento volge lo sguardo altrove
per capire e riflettere. Tutto questo è possibile
grazie all’apporto e al comune sentire di altri
artisti come lui (e in questi anni gli scambi sono
molteplici e diffusi oltre i confini della sua isola)
e di organizzatori di idee come quelli dell’etichetta Setola di Maiale: pregiata collezione di
“musiche non convenzionali” dove Sanna ha
trovato casa e le giuste coordinate per esprimere i suoi tormenti musicali. Stefano Giusti,
animatore dell’etichetta, ha piena fiducia in
Paolo Sanna (l’uomo e l’artista) e il rapporto si
esprime ormai oltre la semplice collaborazione
musicale. E il connubio con Luca Santini (altro attento esploratore di universi musicali di
stanza a Rovereto, profondo Nord) è perfetto
proprio perché nasce da una lingua comune e
dalla stessa volontà di creare senza protocolli,
senza prenotazioni o noiosi copioni da rispettare. Elementi (ultima produzione di Sanna targata Setola) è tutto questo ma anche altro: è
ricerca musicale umana e vera, a volte sofferta,
spesso indigesta, ma sempre materica e reale,
senza subdole sofisticazioni. Si sente in queste 9 tracce il bisogno impellente e primario
di sentirsi/ascoltarsi a vicenda, di guardarsi e
studiarsi. Una filosofia estetica molto lontana
dalla frammentaria e disumana socialità creata
dalle nuove tecnologie. Questa è materia che
brucia e si consuma, che si trasforma e rinasce
sotto nuove forme. Ed è proprio per questo
che i silenzi sono altrettanto preziosi rispetto
alle masse organiche prodotte dagli oggetti:
il silenzio è creazione esso stesso, materia sottratta, annullata, da ricostruire (il buon Cage
aveva capito tutto). Per Paolo Sanna (tutta la
sua opera lo testimonia ma anche la sua attività di divulgatore e insegnante) la creazione
artistica ha senso solo se tra le parti in causa
vi è la possibilità di uno scambio reciproco e
continuo: non solo tra i musicisti ma anche con
chi consumerà questi brani. Quindi uno sforzo
enorme per connettersi con le oscure trame
del pensiero e dei desideri di chi partecipa
all’evento. Questo disco contiene tutti questi
elementi: passione, sofferenza, rischio, intelligenza, gioia e dolore. Anzi, come dicevano gli
Area: gioia e rivoluzione.
Claudio Loi
59
59
ANTAS
ANTAS
focus eventi
recensioni libri
SILVIA SANNA
Maestra del mio quor
Anno 2014
Freschi di Caracò Editore
(a cura di Francesco
Abate). Illustrazioni di
Carmine Luino
EURO 12,00
eBook: EURO 5,99
Silvia Sanna, 1981, sassarese, autrice di Fabrizio De André:
storie, memorie ed echi letterari(Effepi), 00 giorni sull’isola dei
cassintegrati (Il maestrale), Piciocus (Caracò), Una bomber (Caracò)
e co-fondatrice di Voltalacarta Editrici, è docente di Laboratori
di Storytelling, Editoria e Scrittura creativa. Con l’Associazione
“Ponti non muri” si occupa del progetto “Adozioni a distanza” con
l’orfanotrofio La Crèche di Betlemme.
Maestra del mio quor (Caracò) è l’ironico diario di una mastra
alle prime armi. Protagonisti assoluti “i nani”: non creature
fantastiche, ma piccoli alunni che con la loro spontaneità e
innocenza conquistano il lettore, così come hanno fatto con la
stessa maestra. L’autrice, con il suo racconto in prima persona,
ci proietta nel mondo della scuola italiana, dove le supplenti
vengono chiamate la mattina, le materie d’insegnamento sono
una scatola chiusa con contenuto a sorpresa e c’è poco, anzi
pochissimo, spazio per la personalizzazione dell’insegnamento.
Silvia, maestra un po’ “imbranata” e innamorata del suo mestiere,
ci ricorda come i ruoli sociali non dovrebbero mai essere così
definiti e quanto i bambini, con la loro genuinità, siano dei veri
maestri di vita.
Parte del ricavato delle vendite del libro andrà all’orfanotrofio La
Crèche di Betlemme. (Deborah Succa)
A COLAZIONE CON...
SILVIA SANNA
sono maestri: molti sono lì per caso, molti perché non c’era
alternativa e molti altri, per fortuna, sono lì per scelta.
ANTAS
ANTAS
60
Com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
In modo anomalo: da uno scambio serrato di e-mail durato un anno.
La mia prima esperienza di insegnamento annuale è stata faticosa:
due volte alla settimana mi svegliavo alle 5 del mattino, prendevo
due pullman per raggiungere la scuola, facevo lezione, correvo a
prendere gli altri due pullman e arrivavo a casa alle 17, stanchissima
ma adrenalinica. Mi sedevo e scrivevo una lunga e-mail con il
resoconto della giornata, poi la inviavo ad amici, professori, maestri
di vita. Avevo bisogno di sfogarmi, condividere gli episodi divertenti,
ma soprattutto quei piccoli e grandi dolori di cui le maestre spesso si
fanno carico e portano a casa. Quello scambio di e-mail è diventato
Maestra del mio quor e spero che condividere quel carico con i lettori
possa dare spunti di riflessione.
Qualcuno dei protagonisti si è riconosciuto?
Ancora non lo so. Però spero, qualunque sia la reazione, che
questo libro possa far riflettere chi si riconoscerà. Il mio è il parere
di una persona, di una donna, non di una maestra con una grande
esperienza alle spalle. Ma le visioni dall’esterno, spesso, svelano
scenari ai quali per abitudine non si fa più caso. Mi diverte l’idea
che i miei bambini, ora grandicelli, possano riconoscersi tra queste
pagine.
Maestre si nasce o si diventa?
Credo che sia un percorso di crescita umana e professionale
che non ha fine e non può averla. Non si entra in classe già da
maestri, anche perché la vera lezione la fanno i bambini, non tu.
Puoi avere tutta la preparazione acquisita in anni di studi, ma
rimarrai sempre spiazzata davanti alle domande dei bambini: sono
geniali e sorprendenti. Paradossalmente posso dire che i bambini
sono stati i miei maestri, mi hanno insegnato per esempio a non
complicarmi la vita, a usare parole semplici, a farmi capire da tutti.
Allo stesso tempo, però, credo che la capacità o l’istinto di essere
maestri o guide di qualcuno sia già insito in chi poi va a fare questo
mestiere con gioia. Sottolineo “con gioia”. Non tutti gli insegnanti
Cosa manca alla scuola di oggi?
I mezzi, la comunicazione e il sostegno. Per mezzi intendo materiale
didattico, strumenti, denaro. Per comunicazione intendo che chi
arriva lì da supplente, per esempio, la maggior parte delle volte
non sa neanche quale materia deve insegnare, in quale aula e
soprattutto se in classe ci sono bambini con disagi comportamentali
o mentali. Arrivi lì e da subito devi capire quali sono gli assetti di
quella classe, rischiando di fare danni. È una responsabilità enorme.
Per sostegno intendo il sostegno psicologico per tutti: bambini,
maestre e genitori. Non siamo psicologi, non sappiamo come ci
si comporta davanti a un bambino che lancia i banchi fuori dalla
finestra o che parla con le proprie dita o che piange appena sente
la parola “pipì”. Dovrebbe esserci uno sportello di ascolto in ogni
scuola, per tutti, garantendo supporto e privacy per grandi e piccoli.
È come spalancare la finestra al mattino, trovarsi di fronte un
panorama conosciuto ma avere improvvisamente voglia di
guardarlo con occhi diversi, quasi come un turista desideroso
di cogliere ogni particolare, sentire suoni e profumi; gustare
sapori e racconti di una terra, la Sardegna, affascinante quanto
misteriosa, fiera, generosa e sicura di sé. Come una madre che
«quando le sbatti la porta in faccia trascinandoti una valigia,
non piange. Sogghigna. E pensa: tornerai presto, non puoi stare
ALBERTO MARIO DELOGU
Ballate per seppellire un
fucile
Anno 2014
pp. 150
Ethos Edizioni
EURO 16,00
“A leggere questa breve e bellissima raccolta di ballate viene
proprio da pensare che la Sardegna (e quindi il mondo intero)
abbia ancora un grande bisogno di poesia; e di scrivere e riscriversi in tutte e lingue che sa; perché più gente ci può seguire
nella nostra strada, meno rischiamo di perderci”. Forse basterebbe questo estratto dalla prefazione scritta dal bravissimo scrittore Alessandro De Roma per descrivere il nuovo libro di Alberto
Mario Delogu. Un libro di “ballate”, nate in diverse lingue (quat-
CARLO FIGARI
Dalla linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini ad
oggi e l’avventura di Video
On Line
Anno 2014
pp. 240
Cuec Edizioni
EURO 20,00
La crisi della stampa, il calo delle vendite e il crollo della pubblicità;
ma anche l’avvento dei giornali on line e dei siti web che aprono
nuovi orizzonti di interesse e rivoluzionarie prospettive per le aziende editoriali. Tutti argomenti trattati con impareggiabile maestrìa
nel saggio Dalla Linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini
ad oggi e l’avventura di Video On Line, scritto dal vicedirettore
de L’Unione Sarda Carlo Figari. Un libro rivolto ai giovani aspiranti
giornalisti, a chi per un qualsiasi motivo è interessato all’editoria sar-
tro, esattamente: sardo, italiano, inglese e francese) in un arco
di tempo di quasi un decennio, trasposte (non tradotte!) nelle
altre tre lingue. Le Ballate per seppellire un fucile (con introduzioni del già citato Alessandro De Roma e di Giacomo Mameli)
sono poemi da recitare e da cantare, storie di guerra, di soprusi e liberazioni, di fame di pane e di pace, d’identità malintese,
sradicamenti e privilegi e di eroi senza fucile. Da Se sapessi, vincitrice del premio Gramsci 2006 per la poesia sarda, alla Ballata
per seppellire un fucile, preghiera laica su fondale mediterraneo,
passando per la cruda e struggente Le sue mani che guarivano, la
subdola Servi, la tecnologica Inchinatevi, l’ipocrita Florelatívide, la
patriottica Identità e l’aristocratica Destini di culla. Il libro è stato
pubblicato all’attivissima casa editrice Ethos.
L’AUTORE - Alberto Mario DeLogu è nato in Sardegna e vive a
Montreal, in Canada. È stato caporedattore dei settimanali Insieme a Montreal e Trentagiorni a Toronto. Collabora con La Nuova Sardegna, dove gestisce il blog Sardinians. Ha pubblicato le
raccolte poetiche La biodiversità delle parole (2003), Cetre appese (2004), Transamanti (2006) e il romanzo epistolare Sardignolo (2010). (Redazionale Antas)
da, ai docenti che aderiscono al progetto nazionale “Il Quotidiano
in classe”, agli studenti universitari delle discipline umanistiche e di
Scienze della Comunicazione.
Partendo dall’attuale grave momento dell’editoria nazionale, che ha
colpito anche i media sardi, Carlo Figari ripercorre la storia dei giornali in Sardegna, dalle Gazzette del Settecento ai primi veri quotidiani di fine Ottocento. Dalle vicende de L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna che hanno superato i 120 anni di vita, alle numerose e spesso
velleitarie iniziative dei quotidiani aperti e poi chiusi nell’ultimo trentennio. Un capitolo riassume il progetto nazionale “Il Quotidiano in
classe” che, da oltre un decennio, si è esteso a gran parte delle scuole
superiori anche dell’Isola. La seconda parte del volume è dedicata
interamente all’avventura di Video On Line, il primo provider italiano ed europeo di internet e a L’Unione Sarda, che è stato il primo
giornale on line in Italia. Tra il 1994 e il 1996 Cagliari fu al centro di
un esperimento di portata internazionale: il giornale sardo fu davvero un pioniere del web e Video On Line un fenomeno straordinario.
Un libro che rende omaggio a un gruppo di sperimentatori visionari,
dall’editore Nicola Grauso ai tecnici che collaborarono al progetto, a
tutti coloro che diedero vita a una stagione irripetibile.
(Redazionale Antas)
61
Anno 2014
pp. 246
Edizioni della Sera, Roma
EURO 13,00
lontano da me».
Già dalle prime battute, il libro Cuor di Sardegna, scritto
dall’iglesiente Arianna Franceschi per la Eds, Edizioni della
Sera, evoca emozioni e magie. Le prime sono quelle che, con
prepotenza, invogliano a rivedere luoghi già conosciuti ma,
forse, osservati distrattamente; ad apprezzare la bellezza che
trasuda dai paesi più piccoli alle città, dalla natura generosa e
dalle tradizioni, dalla cucina che regala sapori e arte.
Cuor di Sardegna invoglia a conoscere e anche a riflettere: persino
di argomenti delicati come le lotte sindacali e le servitù militari, il
dramma delle alluvioni o una delle malattie, la sclerosi multipla,
che ha scelto la Sardegna come uno dei luoghi “privilegiati”. Ma
Arianna racconta tutto con la delicatezza e la poesia di una Sarda
(le piace usare sempre la lettera maiuscola quando parla della
sua Isola e degli abitanti), consapevole della sua appartenenza e
orgogliosa della sua identità.
Ed è poesia l’augurio che fa ai suoi conterranei: «A ogni Sardo
auguro di imparare a riconoscere gli odori e i suoni della sua
terra. Di saperli riconoscere tra infiniti altri, di farsi accompagnare
da loro e di portarli con sé ovunque. Di non rinnegarli mai, né
sminuirli o maltrattarli».
(Cinzia Simbula)
ANTAS
ANTAS
ARIANNA FRANCESCHI
Cuor di Sardegna - storie
dell’Isola che incanta
ANTONIO MUGLIA
BRIGATA SASSARI,
ritratti di soldati/
retratos de
soldados
S’annu 2013
Carlo Delfino Editore
pp. 197
Euro 25,00
Est unu libru chi andat a pingellu cun su bilinguismu de custa
rubrica. Sos «ritratos de soldados» chi su giornalista Antonio Muglia faghet a sos militares de sa Brigata Tàtari ispogiant, si gasi si
podet nàrrere, suta de metàfora, 88 òmines e fèminas chi sunt
suta sa divisa de sa gloriosa unidade militare sarda. Intre sas pàginas si annotant sas caras, sas miradas de custa gente chi bidet sa
morte in ogros, in su mentres de sas missiones. 88 fotografias e
88 pensamentos, unu pro su mègius momentu de cuntentesa, e
TRADUZIONE - È un libro che va a pennello con il bilinguismo
di questa rubrica. I «ritratti di soldati» che il giornalista Antonio
Muglia fa ai militari della Brigata Sassari spogliano, se così si può
dire, metaforicamente, 88 uomini e donne che stanno sotto la divisa della gloriosa unità militare sarda. Tra le pagine si osservano
i volti, gli sguardi di questa gente che vede la morte in faccia durante le missioni. 88 fotografie e 88 pensieri, uno per il principale
momento di felicità, e l’altro per il momento più brutto, quello di
paura vissuta in azione o durante uno scontro in Iraq o in Afghanistan, in Kosovo o in Bosnia, o in altri teatri difficili sparsi per il
mondo. La prefazione dello storico Manlio Brigaglia chiarisce il
senso dell’opera: il primo libro interamente fotografico sulla Brigata, ma anche il primo bilingue.
È stato invece mio l’onere di tradurre tutti i testi in sardo, cosa
VINDICE LECIS
Judikes
ANTAS
ANTAS
6262
Anno 2014
pp. 288
Edizioni Condaghes
Euro 20,00
Dopo Buiakesos e Il Condaghe segreto, con Judikes si completa
la trilogia che il giornalista e scrittore Vindice Lecis ha dedicato
all’età giudicale. E come negli altri romanzi di Lecis l’invenzione
narrativa si intreccia con una puntigliosa ricerca storica.
Nella Sardegna di fine XII secolo l’impresa disperata per liberare
Prunisinda, moglie del giudice logudorese, dalle segrete di Guglielmo di Calari, in guerra con Costantino di Torres, potrebbe
sovvertire i rapporti di forza tra sovrani. Il giudice callaritano è
una figura dominante e inquieta, un sovrano di grande levatura
Custa la leghimus in sardu
s’àteru pro su momentu prus feu, de timoria bìvida in atzione o
in carchi isparatòriu in Iraq o in Afghànistan, in Kòsovo o in Bòsnia, o in àteros teatros difìtziles de su mundu. Sa prefazione de
s’istòricu Mànlio Brigàglia acrarit su sensu de s’òpera, chi est su
primu libru fotogràficu intreu subra sa Brigata, ma finas su primu
bilìngue.
Est istadu meu, s’ònere de traduire totu sos testos in limba sarda,
cosa non semper fàtzile cunsiderada sa resistèntzia de tantos intelletuales contra a sa normativa proposta dae sa Regione Sardigna in su 2006 cun sa Lsc. Batallas meda sunt istadas cumbàtidas
finas in custu campu, dae linguistas e intelletuales, non cun mitras e cannones ma cun pinnas e pabiros. In sa post-fatzione apo
proadu a ispiegare sos critèrios de tradutzione, e s’importàntzia
chi at àpidu su sardu in sas trintzeas in sa Prima Gherra Mundiale.
Tando sa limba nostra fiat impreada dae sos soldados comente
unu còdighe, pro non si fàghere a cumprèndere dae sos inimigos
àustro-ungàricos, si puru custos esserent resessidos a intendere
sas comunicatziones.
non sempre facile, considerata la resistenza di tanti intellettuali
contro le normative proposte dalla Regione Sardegna nel 2006
mediante la Lsc. Molte battaglie sono state combattute anche in
questo campo, da linguisti ed esperti, non con mitra o cannoni
ma con carta e penna. Nella post-fazione ho provato a spiegare
i criteri di traduzione e l’importanza che ha avuto il sardo nelle
trincee durante la Prima Guerra Mondiale. Allora “sa limba” era
utilizzata dai soldati come un codice per non farsi capire dai nemici austro-ungarici, benché questi fossero riusciti a intercettare
le comunicazioni.
(Salvatore Taras)
e di smisurata ambizione che, successivamente all’occupazione
del castello del Goceano, invade l’Arborea e la Gallura facendo
prigionieri Pietro I a Oristano e Odolina con la figlia Elena a Civita. Ma deve fare i conti, non molto tempo dopo, con Comita
di Torres, costretto dopo una pace umiliante con Pisa a cercare
sostegno nel papa Innocenzo III. Nel romanzo un figlio cerca la
madre che non ha mai conosciuto, trovando però una verità insospettabile. E anche una giovane donna appare disposta a tutto
pur di vivere la sua storia d’amore con l’uomo che ama.
Sullo sfondo, gli intrighi dell’arcivescovo di Pisa Ubaldo Lanfranchi e la figura dell’arcivescovo di Torres Biagio, nominato
dal Papa. Emerge anche la juighissa Sinispella, moglie di Comita
di Torres, sorella di Pietro d’Arborea e madre di Ugo Poncho de
Bas, una figura di donna enigmatica e generosa, capace di scelte
estreme.
Poi tre morti eccellenti a Saccargia: un eccidio dai mandanti
oscuri mette in discussione equilibri e rapporti di forza. Judikes è
il nuovo romanzo della Sardegna giudicale, una delle più importanti epoche della nostra storia.
(redazionale Antas)
fANTAStiche emozioni
foto di Donovan Frau
Le firme di Antas
Alessandra Ghiani
Scrittrice, blogger,
articolista. Scrive per Antas
e Mediterranea online
IL RISVEGLIO
cia scura delle nuvole intente a nascondere l’azzurro del cielo,
seguito da un boato cupo e minaccioso.
Il sole ritirò i suoi artigli roventi, come un felino che riposa
quieto dopo un lungo peregrinare; il ballo in nero del temporale stava per avere inizio.
Dapprima furono poche grandi gocce, pesanti come macigni sulla terra assetata. Poi, con un ritmo che si fece sempre
più incalzante, la sinfonia di elementi intonò la marcia trionfale della pioggia che distende e disseta.
Rivoli d’acqua empirono i solchi della terra, sciogliendo a
fatica l’arsura che ne aveva sfibrato la compattezza primitiva.
Un velo impermeabile aveva ostruito la sua capacità di assorbire l’umore amico, occorreva tempo per riuscire nuovamente ad assaporarne la linfa ristoratrice.
Pian piano il vento si fece brezza e la pioggia violenta divenne docile come un agnello. Passarono i giorni, e di nuovo
il sole tornò a mostrare il suo volto e ad abbracciare la terra
con un calore che avvolgeva senza mortificare.
Un germoglio si fece strada dalle cavità scure del suolo per
emergere vigoroso e turgido a mostrare il suo colore. Era il
verde della rinascita che, lavato via il torpore sterile dell’estate, riprendeva il suo percorso sulla strada meravigliosamente
infinita della vita.
ANTAS
La terra scura era arida e spenta. Nulla si muoveva, solo il
sibilo del vento, secco e tagliente, consolava quella distesa
brulla, priva di colore. Il sole, spietato, riverberava il suo calore
su ogni zolla, fessura e crepa.
Tra le grinze del suolo una formica impavida trascinava un
grosso seme sopravvissuto, chissà come, alla voracità degli
uccelli. Piccola e determinata, mostrava con fierezza la sua
caparbietà. Le zampette si muovevano veloci, come se il suo
tempo stesse per scadere, come se dalla sua impresa dipendesse la vita del formicaio.
A poca distanza un corvo setacciava col becco le sterpaglie
rinsecchite dall’arsura, in cerca di qualche avanzo di carogna
vittima del sole o di qualche predatore.
Il cielo era limpido come acqua di sorgente, seppur sbiadito dall’intensa luminosità che tutto avvolgeva.
Poi, in lontananza oltre le montagne, un tumulto di nembi
cominciò a inscurirsi. Cumuli paffuti e gonfi si univano gli uni
agli altri in un sodalizio che preannunciava tempesta ma che,
a quella distesa arida come sale, pareva un’intensa promessa
d’amore.
Il respiro del vento si fece più rapido, sferzate di maestrale scesero dalle montagne del settentrione, feroci e affilate
come lame appena forgiate. Un lampo di luce illuminò la pan-
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La nostra Alessandra Ghiani ci regala un racconto emozionante e carico di speranza...