ANTAS 1 editoriale ANTAS Quella scommessa chiamata rinascita culturale Porte aperte al mondo della scuola Quando nel Marzo di quest’anno l’editore Claudio Pia mi propose la direzione di un giornale culturale per la Sardegna confesso che avevo molti dubbi e pochissime certezze. I dubbi erano legati alla crescente disaffezione dei lettori per il prodotto “cartaceo”e la sempre più grave crisi economica che mordeva la Sardegna e l’Italia. Mi son chiesto se fosse davvero il momento, per un editore, di “investire” nella cultura, spesso bistrattata, offesa e vittima di impietosi tagli di risorse. Accanto ai dubbi è, però, fortunatamente affiorata una certezza. O, se vogliamo, una visionaria scommessa proiettata nel futuro. Qual era la certezza? Semplicemente la constatazione che l’immenso patrimonio culturale sardo andasse raccontato, fatto conoscere al mondo intero, studiato nelle scuole. In questo contesto, poi, doveva ambiziosamente recitare un ruolo di primo piano anche il nostro giornale. E infatti Antas è nato come scommessa “ragionata”, come osservatorio ben appostato per dare voce ai nostri tantissimi artisti, ma anche per aprire (ed è questo il mio più grande sogno) un proficuo rapporto di collaborazione col mondo della scuola. Stiamo già muovendoci in tal senso, perché siamo convinti che dalla scuola occorre ripartire per avviare il processo di rinascita della nostra terra. LA COPERTINA AI TENORES “REMUNNU ‘E LOCU” DI BITTI E sarebbe bellissimo se questo numero finisse tra i banchi scolastici per esaltare “la grande bellezza” del canto a tenore, dichiarato dall’Unesco patrimonio immateriale dell’Umanità. La forza espressiva dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu”, i quarant’anni di una carriera straordinaria: a loro vanno i nostri più affettuosi auguri e l’importante dedica della prima pagina di Antas. Ma nel ricchissimo numero che ci avvicina alle feste di fine anno tributiamo un omaggio anche al grande poeta tonarese Peppino Mereu e allo straordinario pittore atzarese Antonio Corriga. Per la musica ampio spazio al jazzista Enzo Favata, a Paolo Zicconi (che ci presenta il lavoro discografico dedicato a Luigi Tenco) al musicista emergente Perry Frank, agli Indigo Flow, ai Niera e al canto a chitarra con Bachisio Masia. Visto il successo dei primi numeri non poteva mancare la rubrica “Donne di Sardegna”, che vede protagoniste la scrittrice Bianca Pitzorno, la fotografa Daniela Zedda, la muralista Pina Monne e la stilista Antonella Fini. Per il teatro ospitiamo due grandi compagnie (gli Actores Alidos e i Barbariciridicoli) mentre per il cinema abbiamo incontrato Enrico Pau. Da questo numero, inoltre, ci occupiamo di fumettistica con Ivano Cirina e delle scuole di musica con la Globemusic Academy di Oristano. Ringraziandovi di cuore per l’attenzione con la quale ci state seguendo, vi auguro BUONE FESTE! Pierpaolo Fadda Letterina a Babbo Natale o Gesù Bambino, fate voi! Camminare insieme sorridendo alla vita! Vorrei chiedere tante cose per questo Natale ma il regalo più grande noi della redazione lo abbiamo già ricevuto: aver la possibilità di arrivare ogni due mesi a voi lettori con le nostre pagine è di gran lunga l’emozione più grande che possiamo aspettarci anche per il prossimo anno. Buon Natale e felice anno nuovo. Simone Riggio 03 Editoriale Pierpaolo Fadda e Simone Riggio 04 Sommario 05 In evidenza PERSONAGGI 06 Peppino Mereu Giovanni Graziano Manca 08 Antonio Corriga Ivo Serafino Fenu DONNE DI SARDEGNA A N TA S Bimestrale di musica e cultura sarda N° 4 - Dicembre 2014 - Anno 1 EDITORE PTM Editrice di Claudio Pia Via dei Mestieri, 14 09095 Mogoro (OR) Telefono 0783 463976 - Fax: 0783 463977 Email: [email protected] Orari: dal Lun. al Ven. 09.00 - 13.00 | 14.30 - 18.30 DIRETTORE Pierpaolo Fadda [email protected] ART DIRECTOR Simone Riggio [email protected] CONSULENTE ALLA REDAZIONE Manuela Polli HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Antonio Caria, Marta Cincotti, Roberta Gallo, Alessandra Ghiani, Claudio Loi, Mary Manghina, Giovanni Graziano Manca, Matteo Mazzuzzi, Diego Pani, Moreno Pisano, Giulia Serra, Giacomo Serreli, Cinzia Simbula, Deborah Succa, Salvatore Taras. PUBBLICITA’ E PROMOZIONE [email protected] FOTO COPERTINA Antonio Coppola FOTO PAGINA ABBONAMENTI vgstudio / 123RF Archivio Fotografico STAMPA PTM - Prima Tipografia Mogorese di Claudio Pia Via dei Mestieri 14 - 09095 Mogoro (OR) ©Antas 2014 tutti i diritti di produzione sono riservati Registrazione tribunale di Oristano n° 1/2014 del 21/05/2014 12 16 20 22 Bianca Pitzorno Alessandra Ghiani Daniela Zedda Pierpaolo Fadda Antonella Fini Roberta Gallo Pina Monne Pierpaolo Fadda GLI SPECIALI DI ANTAS 26 Tenores Remunnu ‘e Locu di Bitti Giacomo Serreli SFUMATURE SONORE 30 34 37 38 40 42 Enzo Favata Marta Cincotti Perry Frank Diego Pani Niera Mary Manghina Indigo Flow Giulia Serra Paolo Zicconi Giacomo Serreli Bachisio Masia Antonio Caria FOCUS, ARTISTI IN VETRINA 44 48 50 52 54 Enrico Pau Matteo Mazzuzzi Ivano Cirina Moreno Pisano Actores Alidos Matteo Mazzuzzi Barbariciridicoli Matteo Mazzuzzi GlobeMusic Academy Pierpaolo Fadda RECENSIONI DISCOGRAFICHE 56 4 note in libertà con i Caskanolepiramidi Diego Pani Dipensieri Redazionale Even Flow Pierpaolo Fadda Riccardo lay Redazionale Raikinas Diego Pani Adriano Orrù, Paolo Chagas, Mauro Sambo, Silvia Corda Redazionale Paolo Sanna, Luca Santini Claudio Loi RECENSIONI LIBRI 60 A colazione con Silvia Sanna Deborah Succa Brigata Sassari di Antonio Muglia Salvatore Taras Judikes di Vindice Lecis Redazionale Cuor di Sardegna... di Arianna Franceschi Cinzia Simbula Ballate per seppellire un fucile di Alberto Mario Delogu Redazionale Dalla linotype al web... di Carlo Figari Redazionale fANTAStiche EMOZIONI 63 Il risveglio Alessandra Ghiani Le immagini delle pagine 6, 7, 9,10, 14, 22, 23, 24, 25, 38, 54, 55, 60 sono carenti di riferimenti riguardo i loro autori: scusandocene anticipatamente, restiamo disponibili per l’aggiornamento dei rispettivi crediti. Un musicista “pendolare a tempo pieno”: così si racconta Enzo Favata, di ritorno da uno dei suoi frequenti viaggi alla scoperta di culture diverse, in cerca di intrecci che possano apportare alla sua musica jazz quel suono originale e al di fuori dei canoni. PEPPINO MEREU 06 12 La poesia sarda non è per tutti. Viceversa, al giorno d’oggi si ha l’impressione che tale forma d’arte trovi la sua ottimale collocazione... 08 ANTONIO CORRIGA 16 BIANCA PITZORNO 22 PINA MONNE 44 ENRICO PAU PERRY FRANK 50 Pensi all’accabadora e ti viene in mente una Sardegna misteriosa, remota, quasi arcaica, fatta di piccoli paesi e tradizioni secolari... Con il suo stile schietto Bianca Pitzorno ha conquistato diverse generazioni di lettori in Italia e all’estero... DANIELA ZEDDA 30 34 Visita www.antas.info e seguici sui maggiori social network! ACTORES ALIDOS foto di Gabriele Doppiu in evidenza ENZO FAVATA Personaggi La fontana di Galusè tanto cara al poeta SUL FILO DELLA MEMORIA prima parte PEPPINO MEREU Quando la poesia cattura l’anima Ripercorriamo le tappe più significative del percorso artistico del grande poeta di Tonara ANTAS 6 testo di Giovanni Graziano Manca La poesia sarda non è per tutti. Viceversa, al giorno d’oggi si ha l’impressione che tale forma d’arte trovi la sua ottimale collocazione all’interno di fasce di predilezione che in linea di massima afferiscono non certo alle preferenze culturali dei giovani ma a quelle delle persone anziane, o comunque di una certa età, che sarebbero dunque le sole ad apprezzarne modalità e contenuti perché culturalmente e/o sentimentalmente più vicine alla tradizione poetica in limba . Ciò avviene nello stesso momento in cui continua a registrarsi, da parte delle ultime generazioni - soprattutto, viene da pensare, di quelle che vivono in città - un non trascurabile disinteresse per tutto ciò che ha a che fare con la lingua sarda parlata e scritta. Fin qui niente di nuovo, sembra, mentre anche il dibattito sull’attuazione del bilinguismo perfetto in Sardegna appare quanto meno stagnante. Ennesimo deleterio effetto sugli inte- ressi culturali dei giovani isolani delle dinamiche globali, si dirà. Eppure la scaturigine dell’immaginazione poetica dell’uomo sardo (homo poeticus per eccellenza) risiede in qualcosa che interessa tutti, giovani e meno giovani, e particolarmente nella più profonda dimestichezza del sardo stesso con la natura circostante, con il ricordo della vita rustica condotta dai padri e quindi con il mettere a nudo le proprie radici culturali, il desiderio di osservare e, in ultima analisi, il desiderio di descrivere le cose semplici di tutti i giorni che ognuno di noi sperimenta quotidianamente. Non a caso gli argomenti che generalmente contraddistinguono, in tutta la Sardegna, il poetare in limba sono l’amore sconfinato per la propria terra, il lavoro nei campi, le bellezze e le ricchezze naturali del paese natio, la nostalgia per i tempi andati, l’amicizia e i sentimenti in tutte le loro possibili forme. I temi del poetare possono al- tresì essere legati al contingente e riferire avvenimenti storici più o meno lontani nel tempo, oppure raccontare episodi autobiografici e di vita paesana accaduti nel recente oppure nel passato più lontano, vicende divenute ormai leggendarie, e così via. L’ARTE POETICA DI PEPPINO MEREU Le poesie scritte dai nostri poeti sono spesso contraddistinte da una straordinaria semplicità di struttura e di linguaggio. In esse, tuttavia, non sono certo assenti i temi dell’impegno civile o politico e quelli che di volta in volta vengono dettati al poeta dalla propria coscienza universale o locale. Queste osservazioni preliminari introducono a una migliore comprensione dell’opera di Peppino Mereu, grande poeta tonarese che ha nobilitato l’arte poetica in lingua sarda. Al fine di inquadrare nella giusta dimensione la poesia di Mereu diremo subito che, pur non andando LA VICENDA ESISTENZIALE La tormentata vicenda esistenziale di Peppino Mereu è in larga parte leggendaria e avvolta nel mistero. Sono pochissime le notizie certe e incontrovertibili che riguardano la vita e la morte dello sfortunato poeta. I dati di sicura veridicità, tutti desunti da archivi pubblici, concernono le date di nascita e di morte del poeta, la composizione della sua famiglia, il servizio prestato presso l’Arma dei carabinieri reali e quello, piuttosto breve, presso il Municipio di Tonara. Quarto di sette fratelli (i loro nomi sono Edoardo, Manfredi, Elvira, quello di mezzo Peppino, appunto, Matilde, Rinaldo ed Emilia) Giuseppe (Peppino), Ilario, Efisio, Antonio, Sebastiano Mereu venne alla luce a Tonara nel primo giorno di Gennaio del 1872. Perde entrambi i genitori prematuramente: la madre Angiolina Zedda muore a Cagliari nel 1887; il padre Giuseppe, medico del paese, nel 1889, per aver ingerito erroneamente una sostanza letale scambiata per liquore. Alla morte del padre Peppino ha diciassette anni. Si ipotizza una sua frequentazione scolastica fino alla terza elementare; essendo Tonara villaggio sfornito di scuole in quei primi lustri postunitari, si propende generalmente per la tesi della formazione del tutto autodidattica del poeta1. Che il poeta disponesse comunque 1 - Molte delle informazioni biografiche su Mereu sono state attinte dal sito www://nuke.peppinumereu.it curato dal Collettivo Peppino Mereu, organismo che ha avuto il merito di avere svolto, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento, una amorevole e paziente opera di ricerca storico-biografica, oltreché di raccolta delle opere di Mereu. Il lavoro del collettivo ha portato alla pubblicazione dell’opera del poeta di Tonara. 2 - Scrive Mereu in ‘A Nanni Sulis II’: ‘Deo no isco, sos carabineris/in logu nostru prit’est chi bi sune,/e no arrestant sos bangarrutteris./Bi cheret una furca e una fune,/e impiccar’impiccare continu,/finas a si purgare sa Comune.’ 3 - Il debito per così dire ‘stilistico’ nei confronti del Guerrini risulta particolarmente evidente nella poesia ‘Dae una losa ismentigada’ (Da una tomba dimenticata): 1.Non sias ingrata, no, para sos passos,/o giovana ch’ in vid’ happ’istimadu./ Lassa sas allegrias e ispassos/e pensa chi so inoghe sepultadu./Vermes ischivos si sunt fattos rassos/de cuddos ojos chi tantu has miradu./Para, par’un’istante, e tene cura/de cust’ ismentigada sepoltura./2. A ti nd’ammentas, cando chi vivia/ passaimis ridend’oras interas?/Como happ’ una trista cumpagnia/de ossos e de testas cadaveras,/ fin’ a mortu mi faghent pauria/su tremendu silenziu ‘e sas osseras./E tue non ti dignas un’istante/de pensare ch’ inog’ has un amante! 7 molto oltre i particolarismi letterari e le specificità formali che sono proprie dell’espressione poetica dialettale sarda, l’opera del tonarese andrebbe apprezzata per i suoi contenuti universali ancora validissimi e non soltanto per la capacità intrinseca delle composizioni poetiche di rappresentare gli aspetti sociali ed economici della Sardegna e della Barbagia del tempo in cui furono scritte. Peppino Mereu era particolarmente legato a Tonara. Il suo rapporto con il paese era viscerale e simbiotico, espressione di un amore totalizzante per i luoghi e le ricchezze naturali di cui è dotato il piccolo centro montano. In una delle sue poesie più conosciute, quella, appunto, intitolata al suo borgo natio, Mereu, dopo aver definito Tonara cara, santa e benedetta dalle muse, descrive così il paesaggio che è tipico dei luoghi che lo hanno visto venire al mondo: ‘Majestosas muntagnas/fizas de su canudu Gennargentu,/ch’in sas virdes campagnas/sas nucciolas bos faghent ornamentu;/seculares castagnas/chi supervas alzades a su bentu/virdes ramos umbrosos,/dulche nidu de cantos pibiosos://semper bos sogno, vanu/però est custu sognu, it’amalgura!’ Con inusitata capacità di sintesi, venati dall’amara malinconia dell’uomo che per un motivo o per un altro è costretto a stare lontano dal proprio villaggio, i versi rappresentano gli aspetti più immediatamente percepibili, quelli naturalistico-ambientali di un paese e di un territorio intero che mai hanno goduto di grandi fortune turistiche nonostante siano - la circostanza è ben conosciuta dai sardi - tra i più ameni e caratteristici dell’isola di Sardegna. Se nell’ambito di una formazione lo possiamo desumere dalla lettura dei suoi versi. Nello specifico, leggere l’opera poetica di Mereu porta ad avvicinarsi confidenzialmente al suo raffinato verseggiare, alle riflessioni in certo qual modo ‘filosofiche’ a cui il poeta si lascia andare quando affronta argomenti di portata universale come le sofferenze che fanno parte dell’umana esistenza, la morte e la giustizia, e alla ricchezza descrittiva con la quale egli, con ricercato linguaggio, raffigura gesti e circostanze, comportamenti e particolari aspetti della quotidianità delle persone che abitano l’amato paese. Che dovesse aver letto molto e non solo in lingua sarda è inoltre dimostrato da alcune influenze letterarie che Mereu, uomo dei suoi tempi, ha trasfuso nei suoi versi. Ciò è accaduto soprattutto nelle composizioni poetiche in cui il tonarese affronta argomenti di interesse più generale, in quelle più ‘contestatarie’, per esempio, in quelle, poi, che documentano l’approccio particolarmente commosso e critico del poeta nei confronti delle difficoltà esistenziali dei meno fortunati, del potere costituito e di una giustizia che gli appare sempre poco giusta2. Queste influenze per così dire ‘esterne’, vengono ricondotte agli scritti dei poeti della scapigliatura, alle poesie di Olindo Guerrini (pseudonimo di Lorenzo Stecchetti) 3 e, per altri versi, a Giuseppe Giusti, poeta satirico toscano vissuto tra il 1809 e il 1850, il cui stile può essere facilmente rinvenuto in alcune delle poesie meno intime di Peppino, in quelle più irriverenti, pungenti e goliardiche nei confronti della politica e del potere. ANTAS dell’opera di Mereu Tonara fa spesso da sfondo, tuttavia il poetare di Peppino non si limita alla celebrazione in versi del tanto amato borgo natio. L’opera di Mereu, infatti, è molto più complessa di quanto possa sembrare a un primo superficiale approccio. Vale la pena dilungarsi sugli elementi biografici, storici, letterari e contenutistici che hanno permeato di sé l’opera del tonarese. Essi hanno contribuito a determinare l’alto spessore della scrittura di questa singolare figura di poeta cantastorie a oltre 140 dalla nascita. Personaggi foto di Antonello Carboni 8 ANTAS Alla scoperta dei grandi personaggi dell’arte ANTONIO CORRIGA Il sentimento del colore A Oristano una mostra che rende omaggio a uno degli artisti più amati del Novecento sardo. Ivo Serafino Fenu traccia un profilo artistico e umano del grande pittore di Atzara testo di Ivo Serafino Fenu (Curatore della Pinacoteca comunale “Carlo Contini” di Oristano) non si può non concordare con la lucida analisi che Salvatore Naitza tracciò nel saggio introduttivo del catalogo per la mostra Venticinque anni di ricerca artistica in Sardegna (1957 – 1983) che, contestualizzando il decennio 19571967 come cruciale per una svolta in senso contemporaneo per l’arte sarda, 9 sviluppi dell’arte del Novecento, il secolo delle “avanguardie”, il secolo che, molto spesso, nella sua complessa stratificazione e pluralità di voci iconoclaste o marcatamente concettuali, proprio tali elementi – or l’uno, ora l’altra o tutti insieme – ha aborrito e ritenuto passatisti e antistorici. In quest’ottica Giovanni (studi anatomici), 5 agosto 1986 olio su tela, cm 92 x 74 (Collezione Fam. Corriga) ANTAS A tre anni dalla sua scomparsa, Oristano, con la mostra Antonio Corriga. Il sentimento del colore, rende omaggio a uno degli artisti più amati e collezionati del Novecento isolano, rileggendone la complessa personalità artistica attraverso una settantina di opere appartenenti perlopiù alla famiglia e ad alcuni enti istituzionali e religiosi, in un percorso che, dalla Pinacoteca “Carlo Contini”, si dipana nei numerosi spazi pubblici, privati e di culto, dalla sede comunale all’aula del Consiglio provinciale, dal mercato civico alla chiesa di San Sebastiano. Coprendo l’intero arco della sua produzione la mostra propone una sequenza di opere pittoriche, plastiche o legate alle cosiddette arti minori che, più che al rigore filologico, mira ad evidenziare quella “corrispondenza d’amorosi sensi” tra Corriga e i luoghi, gli affetti e gli ideali politici, sociali e religiosi che sin dagli esordi ha contraddistinto la sua ricerca. Colore e realtà ma, insieme, realtà del colore e colore della realtà: questi sono, del resto, i paradigmi entro i quali collocare la sua vicenda umana e il suo percorso artistico iniziati, entrambi, ad Atzara nel 1923 e conclusisi il 16 dicembre del 2011 nella casa-studio di Oristano, sua città d’adozione. Ma se questi possono considerarsi come elementi formali, qualificanti e caratterizzanti di un’avventura lunga quasi settant’anni, non va dimenticato che il teatro nel quale tali esperienze maturarono fu la Sardegna, terra amata, raccontata, poeticizzata con una vis romantica mai venuta meno, dagli esordi atzaresi fino alle sue estreme produzioni oristanesi. Colore, realtà, Sardegna: una triade pericolosa e limitante, se rapportata agli ANTAS 10 collocava un allora giovane Corriga tra quegli artisti che si posero sull’«onda lunga delle proposte iconologiche e stilistiche partite agli inizi del secolo, tutt’altro che esaurita [e che] appariva non solo piena ma addirittura unica; le immagini inventate da Francesco Ciusa, Antonio Ballero, Filippo Figari, Giuseppe Biasi, Mario Delitala, Mario Mossa Demurtas; confermate in modi non dissonanti da Carmelo Floris, Pietro Antonio Manca, Stanis Dessy, Melkiorre Melis, Remo Branca e il più giovane Giovanni Ciusa Romagna […] legittimate dalla figura di un buon maestro di valore nazionale quale Felice Melis Marini; tutte costituivano un piano di rapportamento inevitabile per gli artisti che operavano, spesso ai primi passi, in quel primo periodo. Non venivano sostanzialmente modificate, nei valori di fondo (artistici e narrativi), dalle personalità affermatesi nel secondo dopoguerra: da Carlo Contini, Antonio Mura e Pietro Collu, ad [appunto] Antonio Corriga» (S. Naitza, 1983). Di tali valori di fondo, identitari, sociali, folklorici, Antonio Corriga rimase sempre uno strenuo difensore col rischio, calcolato, di apparire anacronistico, orgogliosamente anacronistico. E allora, se per un attimo abbandonassimo i consueti cliché del mainstream contemporaneo e assumessimo i valori anzidetti come termini sui quali parametrare l’opera dell’artista, ci accorgeremmo Giovanni dormiente, 1969 di avere davanti ai nostri ocolio su tela, cm 60 x 80 chi una produzione coerente, (Collezione Fam. Corriga) spesso di altissima qualità, articolata e complessa sia in rapporto alle tecniche, sia ai temi, sia alla stratificazione culturale, sia, infine, alla talvolta spericolata sperimentazione formale di un vero e proprio maestro del colore. C’è da chiedersi, del resto, se poteva andar diversamente per un artista nato e cresciuto ad Atzara, il piccolo centro del Mandrolisai che, all’inizio del secolo ospitò, caso unico nell’Isola, una quantità di giovani pittori costumbristi iberici – tra loro Eduardo Chicharro, Antonio Ortiz Echagüe e Cesareo Bernardo de Quiros – attratti dagli sfavillanti colori del costume tradizionale femminile e latori di un modo nuovo di dipingere rispetto agli standard isolani. La loro presenza attirò nel paese, tra gli altri, Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo Figari e il tedesco Richard Scheurlen e sarà proprio l’insegnamento di Figari, ...ci accorgeremmo di avere davanti ai nostri occhi una produzione coerente, spesso di altissima qualità, articolata e complessa... Maternità, 1966 olio su tela, cm 90 x 65 (Collezione Fam. Corriga) importanti in seno alla sua formazione e, soprattutto, rispetto agli ideali umani e artistici anzidetti. Rimossa dall’altare per volontà dell’Arcivescovo di allora – in una vicenda dal sapore guareschiano che ben restituisce, in salsa oristanese, il clima da Guerra Fredda di quegli anni –, ci ricorda da un lato la passione politica che ha sempre sostenuto l’uomo e, dall’altro, quella robusta formazione accademica acquisita nel decennio precedente. Risale infatti al 1943 il suo trasferimento a Firenze per frequentare l’Istituto Superiore d’Arte “Magistero di Porta Romana”, ove conseguì il diploma; sempre nel capoluogo toscano ottenne l’abilitazione all’insegnamento e, successivamente, frequentò l’Accademia delle Belle Arti. Se l’impostazione ANTAS presso l’Istituto d’Arte di Sassari, a fornire eccellenti basi tecniche al giovane Corriga, mentre di Scheurlen assimilerà quella pennellata sciolta e quell’esuberanza cromatica che diverranno, in seguito – andando ben oltre la lezione dei pur prestigiosi maestri – i suoi tratti distintivi. In quest’ottica il percorso espositivo presenta lo studio preparatorio del monumentale San Sebastiano realizzato nel 1956 per l’omonima chiesa oristanese. La grande tela, sconosciuta ai più, è stata oggetto di un’attenta operazione di restauro finalizzata alla ricollocazione all’interno dell’edificio di culto. Si tratta di un’opera “eccentrica” rispetto alla poetica di Corriga e, tuttavia, emblematica per capire elementi compositiva del San Sebastiano, lo studio anatomico, i contrasti cromatici rimandano a certo classicismo bolognese di marca controriformista, il volto del santo, ispirato a studi dal vero dell’amico e, anch’egli militante politico, Gianni Atzori, riconducono viceversa a quel “senso di realtà” e a quell’amore per il vero che sempre hanno supportato l’arte di Corriga. L’opera conferma, dunque, il ruolo dell’artista come «mediatore naturale tra la cultura artistica del Novecento italiano e quella coeva sviluppatasi in Sardegna intorno a Biasi, Floris, Dessy etc.», «una grandiosità pittorica non molto frequente nell’isola» e quella «funzione di innovatore, esercitata, in modi propri, in sintonia con artisti quali Foiso Fois, Libero Meledina, Costantino Spada e non molti altri, nel senso di una storica svolta formale nella pittura isolana a partire dagli ultimi anni Quaranta e soprattutto nel decennio successivo» (S. Naitza 1991). Quegli stessi artisti coi quali la pittura del maestro di Atzara torna a dialogare e a confrontarsi nel percorso espositivo all’interno della Pinacoteca comunale di Oristano: un dialogo che gli restituisce il ruolo e l’importanza, nel panorama artistico del Novecento isolano, di ultimo cantore di una “sardità” resa con un “sentimento del colore” ora lirico ora drammatico e, al contempo, con una larghezza cromatica e un’intensità narrativa di rara forza espressiva. 11 ...ultimo cantore di una “sardità” resa con un “sentimento del colore” ora lirico ora drammatico... donne di Sardegna Abbiamo intervistato la scrittrice sassarese BIANCA PITZORNO ANTAS 12 La forza espressiva della narrazione “Ho pubblicato il primo libro che avevo 28 anni e da allora non ho mai smesso”. “Un messaggio ai lettori? La sorte ti concede di vivere un’unica vita. Leggendo puoi viverne moltissime. Puoi capire gli altri e non considerarti il centro dell’universo” testo di Alessandra Ghiani Lei è stata insegnante, archeologa, funzionaria Rai, ha imparato le arti della fotografia e della pittura, ha realizzato diversi cortometraggi. Tra questa moltitudine di interessi e mestieri quando è emersa la passione per la scrittura? Lei si è dedicata con passione sia alla letteratura per ragazzi sia a quella per adulti. Quali sono le sue due opere, una destinata ai primi e una ai secondi, a cui è particolarmente legata? Non ho preferenze. Una volta che un libro è stato pubblicato e va in giro per il mondo non ci penso più. In Extraterrestre alla pari, scritto negli anni Settanta, affronta un tema importantissimo e scomodo: quello della disparità di genere. Se Mo, la Nel suo sito web dichiara che l’autore che ama di più è Victor Hugo. Per la sua sensibilità di lettrice esiste un analogo femminile? Di Victor Hugo ammiro sia le opere, moltissime, sia la vita di uomo impegnato ideologicamente. Purtroppo non c’è alcuna autrice che abbia avuto una vita pubblica così ‘di peso’ e un così gran numero di opere. Mi piace molto Jane Austen, mi piace Charlotte Brönte. Mi piace George Elliot, mi piace George Sand… Ma in confronto all’‘uomo oceano’, come chiamavano Hugo, ciascuna di loro ha fatto molto poco (come quantità, non come qualità). Delle autrici contemporanee ammiro Antonia S. Byatt e tra le italiane Melania G. Mazzucco. Benedetto Croce nel 1943 ha affermato: “L’arte per bambini non sarà mai vera arte”, giudizio che ha pesato a lungo sui libri per l’infanzia. A parer suo come è cambiata, se è accaduto, la percezione che la società e la critica hanno della letteratura per ragazzi? Purtroppo non è cambiato niente. Croce riprende il giudizio di Alessandro Manzoni: un vero artista non potrebbe né dovrebbe scrivere pensando a un pubblico di fanciulli, perché l’intento pedagogico impedirebbe il fine essenziale dell’arte, che è l’imitazione del vero (ai bambini, per educarli, bisogna nascondere il vero e raccontare bugie?). Manzoni scrive in una lettera: “Ainsi le naïf, qui fait le plus grand charme de ces sortes d’ouvrages, quand ils ne sont qu’un jeu de l’art, devient un écueil lorsqu’ils doivent être un moyen d’instruction”. Ancora oggi degli scrit- 13 Con il suo stile schietto Bianca Pitzorno ha conquistato diverse generazioni di lettori in Italia e all’estero. Fantasia, coraggio, franchezza sono gli ingredienti dei suoi romanzi per ragazzi, in cui spiccano personaggi, quasi sempre femminili, pronti a lottare contro gli stereotipi di una società che, come la vita, non concede sconti neanche ai più giovani. Insegnante per brevissimo tempo e di malavoglia. Sono invece anche una buona sarta, falegname e parrucchiera, imbianchina. I miei bisnonni vennero in Sardegna dal Piemonte come selciatori di strade (lo racconta Satta ne Il Giorno del Giudizio), poi si arricchirono, si fecero borghesi, e mandarono i due figli più piccoli all’Università. Ma nella mia famiglia non è mai stato trascurato il lavoro manuale. Tutti sappiamo fare qualcosa con le mani nei campi più diversi; come Robinson Crusoè saremmo autosufficienti. Così, fin da quando ho imparato a leggere, a sei anni, ho pensato che i libri me li sarei potuta scrivere da sola. Di fatto, ho pubblicato il primo che avevo a 28 anni e da allora non ho mai smesso. Ma quella di scrittrice non è mai stata la mia unica attività. Tempo fa sul mio biglietto da visita avevo una chiave inglese e un trapano. Quale lettura, fatta da bambina, ricorda con più piacere? La serie della danese Karin Michaëlis che aveva per protagonista una bambina di nome Bibi. Libri intelligenti, spiritosi, profondi, civili. ANTAS foto di Daniela Zedda ...fin da quando ho imparato a leggere, a sei anni, ho pensato che i libri me li sarei potuta scrivere da sola... protagonista, dovesse vivere oggi sulla Terra, si troverebbe meglio o peggio rispetto al passato? Dipende in quale paese sbarcherà. Se in Europa, specie in quella del nord, o in America, forse un po’ meglio. Ma pensiamo all’Asia, all’Africa, ai paesi arabi… Meglio restarsene a Deneb. tori per bambini non si giudica il valore letterario dei testi, ma quello pedagogico. Li si considera non artisti ma educatori. Molti in realtà sono solo quello e non altro. Ma anche chi scrive dei testi letterariamente perfetti, (non avendo paura di ‘imitare il vero’), non verrà mai giudicato per il suo valore, solo per la sua supposta ‘utilità’. Da diversi anni collabora con le istituzioni culturali cubane. Quali aspetti dell’isola e dei suoi abitanti l’hanno colpita maggiormente? Quanto prendono sul serio quello che fanno. Quanto sono generosi, loro che un ingiusto embargo - condannato ogni anno da tutte le nazioni tranne gli Usa e due loro leccapiedi - ha ridotto in miseria. I medici cubani che, unici, sono rimasti a soccorrere Haiti, quelli che hanno operato gratis agli occhi, restituendo la vista a mezzo milione di poveri latino americani. Quelli che oggi si distinguono nel combattere l’Ebola. E i maestri che hanno sconfitto l’analfabe- ANTAS 14 Bianca Pitzorno: Cuba dieci anni dopo La biografia Vita di Eleonora d’Arborea ha comportato lunghe e impegnative ricerche. Qual è stata la scoperta più interessante sulla giudicessa sarda? Un brano del testamento di suo nonno Ugone. Agli inizi del Trecento era scontato che la prima figlia si sposasse (in genere per alleanze dinastiche) e che le altre si facessero monache. Ugone quando fa testamento ha già sposato la primogenita Bonaventura. E ne ha fatto una malattia, perché soffriva a vederla andare a vivere lontano. Ne ha fatto una malattia e non si è vergognato di scriverne pubblicamente, in lettere ufficiali destinate al re d’Aragona, di confessare questo attaccamento alla ragazzina davanti ai potenti della terra. Per la secondogenita Maria nel testamento dispone che, fornita di adeguata dote, vada a chiudersi in convento. Ma aggiunge che ‘si noluerit monacari’ (se non vorrà farsi monaca), che usi la dote per sposarsi, che faccia quello che le pare, ‘perché ciò che a me interessa è che sia contenta’. In quel tempo accettare che una giovane donna avesse una volontà propria, che potesse fare delle scelte diverse da quelle prefissate dalla società e dalla famiglia, auspicare per lei prima di tutto la felicità, era un atto rivoluzionario. Se si considera questa straordinaria modernità nel concepire il valore femminile da parte di Ugone, si capisce come suo figlio Mariano abbia considerato la moglie come capace di attività politiche e l’abbia usata come ambasciatrice in delicatissime questioni. Si capisce come Eleonora nella Carta de Logu condanni lo stupratore a indennizzare la vittima non sposandola, ma procurandole un marito che piaccia a lei, e le fornisca la dote necessaria. ‘Se la donna vuole’; ‘Se alla donna piace’. Non era affatto scontato che ciò venisse preso in considerazione. Ma i De Serra Bas lo facevano. ...aggiungo che i cubani conoscono e apprezzano Grazia Deledda... tismo in meno di un anno a casa loro, e insegnano agli altri il metodo per farlo. Il coraggio, l’intelligenza, l’ironia delle donne cubane. Il fatto che l’eroe a cui si ispirano i cubani sia, prima che Josè Martì, prima che il Che, prima che Fidel, il Don Chisciotte di Cervantes. Il fatto che molti di loro conoscano a memoria I Miserabili. Il fatto che, nonostante la mancanza di carta e di ogni mezzo materiale, come formichine da anni si siano messi d’impegno a pubblicare TUTTI i miei libri. Serve altro? Aggiungo che i cubani conoscono e apprezzano Grazia Deledda. Con gli amici del programma ‘Mar de sueños’ abbiamo tradotto Cosima e lo abbiamo presentato a un seminario sulla autobiografia al femminile, cui partecipava anche Alessandro Madesani Deledda che ho conosciuto in quella occasione. Abbiamo proiettato Cenere interpretato da Eleonora Duse. E da quel seminario io ho tratto gli spunti che mi sono serviti per scrivere ‘Le bambine dell’Avana non hanno paura di niente’, sulle autobiografie delle scrittrici cubane a partire dal 1700 al 2000. La sua vastissima produzione ha accompagnato la crescita di molti bambini, in Italia e all’estero. Quali messaggi ha voluto inviare ai suoi giovani lettori? L’unico messaggio che un buon libro di narrativa comunica ai suoi lettori, giovani o meno: la sorte ti concede di vivere un’unica vita. Leggendo puoi viverne moltissime. Puoi capire gli altri e non considerarti il centro dell’universo. Sono previste, a breve, nuove pubblicazioni? No. ANTAS 15 donne di Sardegna donne di Sardegna DANIELA ZEDDA Quando la fotografia regala emozioni Dalla mostra al Time Center di New York al reportage in Eritrea. E il progetto “Aldilàdelmare” che l’ha portata in Europa per raccontare 88 storie di sardi che hanno varcato il mare per incontrare nuovi mondi. L’artista cagliaritana si racconta e confessa: “Cosa mi diverte di pìù del mio lavoro? La sfida che ingaggio con me stessa per realizzare l’immagine che ho pensato” testo di Pierpaolo Fadda foto di Daniela Zedda ANTAS 16 Ogni scatto della fotografa cagliaritana Daniela Zedda racconta storie. Arriva dritto al cuore. Emoziona. È una scoperta che attrae, una brezza che ti trasporta in un viaggio affascinante. Una carriera straordinaria, tantissime mostre personali e collettive, libri, copertine di dischi, reportage di straordinaria bellezza. In questa intervista Daniela si racconta ai lettori di Antas. Quando è nata la passione per la fotografia? Ho iniziato a fare fotografie per non essere fotografata, quindi il primo approccio non è stato per passione. Poi, per il mio ventesimo compleanno, ho ricevuto una Pentax K1000. Erano i primi anni ‘80, e Cagliari scopriva che un’impalcatura di tubi Innocenti e qualche tavola facevano un palcoscenico, sia che fosse l’Anfiteatro Romano, piazza San Cosimo, lo slargo di viale Europa o Marina Piccola. È iniziata lì la mia passione per la fotografia, o meglio, ho capito che la mia passione per la musica, la danza, il teatro prendeva forma attraverso la fotografia. Il tuo talento non è passato inosservato ai giornali sardi: con quale testata hai iniziato a collaborare agli esordi della tua carriera fotografica? Tutto è iniziato con il giornalista Ottavio Olita, che nell’81 mi chiese di collaborare con la sua rivista Altair, dopo aver visto alcune foto che avevo fatto a Parigi. La vera gavetta però l’ho Il tuo curriculum artistico è pieno di libri, foto di copertine di dischi, mostre personali e collettive in Sardegna, nella Penisola, in Europa, fino ad approdare negli Stati Uniti d’America: ci vuoi raccontare questa esperienza? Ho avuto la fortuna di esporre a New York due volte: la prima alla Columbia University con un lavoro sulla Sardegna, la seconda al Times Center con un lavoro sulla musica. È stata un’esperienza unica: ho pensato di vivere un sogno. Aver portato le immagini dei grandi del jazz a casa loro aveva dell’incredibile. 17 Se ti parlo del grande, indimenticabile Alberto Rodriguez, giornalista e grande appassionato di musica jazz, cosa ti viene in mente? Una persona davvero unica: lavorare con lui è stato un privilegio. Ricordo l’e- mozione che provai la prima volta che mi chiese una foto per la “terza pagina” (così allora si chiamava la pagina della cultura). Cercava una foto di Ferrara; pensavo si riferisse al sindaco cagliaritano degli anni ‘70, che non avevo mai fotografato. Invece si riferiva al Palazzo dei Diamanti, che casualmente avevo nel mio modesto archivio di allora. ANTAS fatta con L’altro giornale. Poi è arrivata L’Unione Sarda, con la quale collaboro dal 1983. Da sempre ho fotografato ciò che mi piaceva, e l’ho fatto per lavoro, mai per hobby. ANTAS 18 Ho avuto un riscontro oltre ogni aspettativa; molti visitatori mi chiesero cosa avrebbero potuto fare per venire in Sardegna e prenotarsi per il prossimo festival e ho evitato di dire che qualcosa era cambiato rispetto a quelle immagini. Devo aggiungere che per me tutte le mostre hanno la stessa valenza, sia che esponga a New York o per le strade di Gavoi. Eritrea, un viaggio emozionante per un reportage dal quale è nato un libro, Deserti di Colori, e che credo sia rimasto per sempre impresso nella tua mente… Quel lavoro è stato il frutto imprevisto di un viaggio intrapreso per documentare i costumi tradizionali del luogo e trasformato ben presto nella scoperta di una dimensione altra, un aspetto fiabesco, evocativo di personaggi e paesaggi delle Mille e una Notte in netto contrasto con la quotidianità faticosa di un popolo di grande orgoglio e dignità. Un lavoro affrontato con incoscienza verso i rischi, che mi ha restituito emozioni profonde. Ancora oggi, dopo vent’anni, mantengono intatte la loro intensità. Parlaci di Aldilàdelmare, 88 scatti fotografici di personaggi sardi che hanno, per diverse ragioni, deciso di “varcare il mare”. Quando è nata l’idea-progetto? È nata da uno scambio di idee con l’amica Giovanna Cerina, compianta docente di letteratura italiana all’Università di Cagliari. L’intento non era di raccontare con toni nostalgici il distacco dei sardi dalla loro terra, ma di sottolineare l’integrazione, la fusione, il valore dell’incontro con altri mondi. Io volevo dimostrare, e spero di esserci riuscita, che i difetti tipici dei sardi, fuori, si trasformano in pregi. L’ostinazione diventa costanza, la diffidenza misura, la timidezza affidabilità. E chi ha talento (in questo libro ce n’è tanto), riesce a spenderlo al meglio. I testi di Maria Paola Masala, che hanno accompagnato ciascuna fotografia, hanno poi aggiunto al libro una modalità di racconto diversa, e devo dire che lavorare con lei è L’ostinazione diventa costanza, la diffidenza misura, la timidezza affidabilità... stato un vero piacere. Una domanda tecnica: ti manca la camera oscura? Quanto è stato difficile, per te, passare dall’analogico al digitale? Non sono una nostalgica: il futuro mi sembra sempre più stimolante del passato. Mi manca però il rigore dell’approccio alla fotografia, il rispetto di quelle regole che guidavano le scelte del racconto fotografico. È nota la tua passione per il ritratto, la musica, il teatro: ce ne vuoi parlare? Amo fotografare le persone, perdermi nella complessità dei volti per cercare tra le linee del viso l’intreccio dei segni che mi aiutano a descriverne l’anima. Non esiste la fotogenia, ma la possibilità di rendere armoniche le dissonanze dei volti, cercando, fosse anche per una frazione di secondo, l’equilibrio interiore. Forse per questo le persone che ho ritratto un po’ mi appartengono e finché non incontro quello sguardo che ricerco, non li faccio andare. Per quanto riguarda la musica e il teatro la passione è immutata, ma per la fotografia di spettacolo sono profondamente diverse le condizioni di ripresa e forse non ci sono più i tecnici delle luci di una volta. uno scippatore a Bruxelles. Non sopporto copiare, tanto meno me stessa. La foto più difficile che hai scattato? Rimuovo le situazioni spiacevoli. Le immagini più difficili, sono state quelle che ho dovuto scattare uguali una seconda volta: le prime erano finite, con tutta la mia attrezzatura, nelle mani di Io sono un’istintiva e non ho segreti, ma per fare una bella foto bisogna saper aspettare.... 19 Ci conosciamo da anni e ho sempre ammirato la tua grande passione e professionalità. Cosa ti diverte di più nel tuo lavoro? La sfida che ingaggio con me stessa per realizzare l’immagine che ho pensato. E la percezione di fare un lavoro mai uguale. Un consiglio per un giovane che si avvicina a questa professione? Viviamo un presente senza certezze: la professione del fotografo è cambiata radicalmente nel giro di pochi anni. Ma oggi come ieri, consiglierei a un giovane fotografo di occuparsi di un solo tema che lo appassioni davvero, con lo scopo di realizzare un contributo importante. Non serve andare in giro per redazioni a cercare un posto di lavoro; bisogna creare qualcosa di personale, di originale, per essere riconosciuti come autori. È fondamentale inventarsi un proprio sguardo, non fare semplicemente come fanno gli altri. Non credo molto nelle scuole; penso che quello del fotografo sia un percorso empirico, una cosa che bisogna inventarsi da soli. ANTAS Nella tua lunga carriera hai scattato migliaia di fotografie: qual è quella che più ti ha emozionato? L’ultima, anzi, quella che non ho ancora fatto. La verità vera è che io mi emoziono per ogni scatto. Quali sono per Daniela Zedda il segreto e la conoscenza basilare per fare una bella fotografia? Io sono un’istintiva e non ho segreti, ma per fare una bella foto bisogna saper aspettare. Oggi si fotografa qualsiasi cosa in ogni momento senza pensare. La sintesi del segreto forse sta in un proverbio sardo: “Non esti a sindi scirai chizzi, ma a inzertai s’ora”. donne di Sardegna ANTONELLA FINI foto di Daniela Cermelli per Aghera Photostudio Moda. Coraggio e passione, le carte vincenti di Il caos creativo della stilista portotorrese Dalla vecchia macchina da cucire al gran ballo delle debuttanti. E l’incontro col re del velluto Paolo Modolo ANTAS 20 testo di Roberta Gallo La moda è una rappresentazione dell’arte in cui estro e manualità si snodano nella realizzazione di ciò che in potenza esiste già. Suscitando emozioni.Il laboratorio sartoriale della stilista Antonella Fini scioglie, simpaticamente,ogni dubbio sul concetto di entropia e ci proietta nel caos creativo in continua espansione della sua mente frenetica, per nulla incline al riposo. Del resto Antonella è un’artista. Lo è nell’animo. E ogni sua creazione ne rispecchia la determinazione, il coraggio e la passione per la vita. La stessa che, dopo aver infierito contro di lei, le ha concesso una seconda possibilità. Permettendole di realizzare il sogno di bambina: diventare una stilista ed essere riconosciuta attraverso il suo stile. Una vecchia macchina da cucire la guida attraverso gli anni della scuola sartoriale quando, seppur molto giovane, riesce a conciliare lo studio con la famiglia. Rincorre i suoi sogni pigiando sul pedale e, mentre affida le inquietudini agli sconfortanti grovigli di fili, Antonella disegna, taglia e cuce, 21 il richiamo della sua terra e la riscoperta delle proprie radici diventa un imperativo morale... minare le tasche del ceto medio, il quale può ancora permettersi un abito di alta sartoria. Ma la moda sta cambiando. Il suo concetto si sta evolvendo. Antonella comprende che la comunicazione è fondamentale. E la sua moda, declinata sempre al femminile, diventa propositiva. Nel 2006 invia forti messaggi contro l’anoressia, a favore dell’ABA (Associazione per lo sviluppo e la ricerca su anoressia, bulimia, obesità e disordini alimentari) e porta in passerella modelle dalle taglie 42 e 44 sfatando il mito della donna esile e bella, sempre nel rispetto della personalità e delle forme di ognuna. Il decennale dell’Istituzione del Parco Nazionale dell’Asinara offre alla giovane stilista l’occasione di ritrovarsi con Paolo Modolo a organizzare una sfilata d’alta moda nel suggestivo scenario di Cala Reale “Tra sogno e realtà”, riuscendo a superare, ancora una volta, numerosi ostacoli. E a sfidare se stessa. “La talentuosa stilista sarda”, come Antonella viene definita dalla rivista internazionale ‘Rendez-Vous de la mode’, accanto ai giganti dell’Olimpo sartoriale, inizia a sentire forte il richiamo della sua terra e la riscoperta delle proprie radici diventa un imperativo morale da tradurre in abilità sartoriali. Per ovviare alla crisi economica - che finisce per colpire anche il ceto più alto della sua città di mare, ancorata alla chimica – la stilista rivisita vecchi abiti, sollecitando così la gente a riflettere su temi come riciclaggio e rispetto per l’ambiente. Riflette anche sulla crisi dei valori morali e, con una sfilata di mamme ultraquarantenni, lancia un urlo contro il femminicidio, esortando le donne a liberarsi dal retaggio culturale e sociale che pretende una distinzione di genere e di rispetto. Intanto, per non perdere il ritmo, Antonella presenta ufficialmente la collezione “Impronte” a favore della ricerca contro il cancro. E porta in scena pazienti oncologiche e ricercatrici. Idealismo pragmatico, il suo. ‘Una donna di mondo’, direbbe Totò. ANTAS foto di Daniela Cermelli per Aghera Photostudio foto di Daniela Cermelli per Aghera Photostudio delineando il suo modello di donna: colei che incontri con lo sguardo incantato della sognatrice e quella dagli innumerevoli impegni. La stilista veste le loro imperfezioni, le sfumature del loro carattere. Il loro sentirsi protagoniste nel mondo. La sua griffe frizzante, romantica e seducente si ispira alla donna degli anni ‘60 che affascina con discrete trasparenze ed esalta le curve con sapienti scollature. Nel 2002 si definisce il sogno di Antonella. Veste le fanciulle del ‘Gran Ballo delle Debuttanti’ esordendo così a livello internazionale. A Stresa si muove leggiadra tra la maestosità del Regina Palace Hotel e, come l’affascinante Angelica gattopardesca, si lascia trasportare dalle coinvolgenti note del cambiamento. Ma per la giovane artista turritana tutto è realmente mutato: nulla è più come prima. Rientra in patria con un bagaglio di consensi e popolarità. Le emittenti nazionali la ospitano nei loro salotti, i media televisivi la acclamano come l’unica stilista italiana in grado di realizzare il sogno delle gio- vani debuttanti. E così, non solo viene riconfermata per altre tre stagioni consecutive, ma rappresenta l’Italia a Vienna con una sua creazione. L’esigente Porto Torres è pronta a riconoscere ad Antonella il ruolo di stilista. Dalla sua bottega in stile liberty, il luccichio dei sontuosi abiti in taffetà attira l’attenzione dei frettolosi passanti. La preziosa e ornata trina, quella dei più accorti. Intanto Sorso, il suo paese natale, ne reclama le origini. Con orgoglio risponde all’invito del “Re del velluto”, lo stilista Paolo Modolo. Sulla passerella di Porto Ottiolu sfilano i suoi lunghi abiti in raffinato connubio di tulle, taffetà e jeans. Sfumature di passato e presente, lo stile ottocentesco redatto al moderno: è di nuovo un trionfo. A Porto Torres, la clientela cresce sull’onda di una crisi che non accenna a donne di Sardegna 22 ANTAS PINA MONNE Un murales a Thiesi Storie di vita raccontate dai Murales A tu per tu con l’artista di Irgoli che da anni vive a Tinnura “La mia grande passione? Ridare vita a quegli angoli di paese dimenticati dal tempo e dall’ incuria degli uomini” testo di Pierpaolo Fadda Non posso fare a meno di notare che i personaggi dei tuoi lavori sono perfetti, sembrano osservarti con curiosità. Ma chi sono i protagonisti ...mi hanno permesso di realizzare progetti di recupero di angoli deturpati da cartellonistica pubblicitaria... per questo che poi li ritraggo in modo che siano essi stessi a raccontarsi con quegli sguardi pieni di ricordi, talvolta tristi o gioiosi. Stai tappezzando i paesi della Sardegna con le tue opere che diventano un corredo urbano “animato”: rivivono scorci suggestivi dei centri abitati. Come nasce un tuo lavoro? Il muralismo è nato negli anni 68-70 come segno di protesta e tale è rimasto a Orgosolo. Io, facendo parte della nuova generazione di muralisti, ho lasciato alla carta stampata questo compito e ho deciso di utilizzare questa grande passione per ridare vita a quegli angoli di paese dimenticati dal tempo e dall’ incuria degli uomini. Molti amministratori in questi ultimi 15 anni mi hanno permesso di realizzare progetti di recupero di angoli deturpati da cartellonistica pubblicitaria, sostituendoli invece con grossi murales che vanno ad integrarsi perfettamente con l’architettura, la cultura e le tradizioni del luogo. Il mio compito iniziale, quindi, è quello di valutare la superficie dove andrò a operare e studiare la cultura del luogo cercando di rispettare le richieste avanzate e discusse precedentemente con gli amministratori. Nei tuoi lavori colpisce un cromatismo davvero particolare. Che importanza hanno i colori nelle tue opere? Sono un’autodidatta e spesso procedo in maniera istintiva, soprattutto nella fase della colorazione. Prima stendo una raccia del progetto sul muro, poi riempio con passione la mia tavolozza con i colori che daranno plasticità alle figure tracciate. La mia costante osservazione e rielaborazione dei colori di tutto ciò che mi circonda mi hanno permesso di sviluppare una capacità cromatica che potete osservare nelle mie opere sui muri. 23 Pina Monne a Mogorella Quando è nata la passione per la pittura e, piu in generale per l’arte? La mia passione per l’arte è nata con me. Sin da bambina le insegnanti della scuola materna mi sceglievano fra tanti per realizzare grossi cartelloni. Ricordo ancora il mio stupore di fronte al rumore dei gessi colorati sulla lavagna guidati dalle abili mani della mia insegnante delle elementari e tuttora nella mia mente sono quei gessi che aiutano a creare le mie opere, un amore sfrenato per tutto ciò che è colore, forma e poesia. Dopo il diploma, il primo impiego in un asilo nido mi ha portato a fare le prime esperienze di insegnamento. Ho iniziato a comprendere in quegli anni che la mia passione per l’arte così latente creava in me un disagio, valutando perciò l’idea di abbandonare l’insegnamento e di dedicarmi anima e corpo alla pittura. Decisi di intraprendere questa nuova strada nonostante le titubanze dei miei familiari. Il momento determinante è stato l’incontro con i muralisti sardi, avvenuto all’età di 22 anni: da allora qualsiasi opportunità di lavoro che ha permesso di esprimere la mia arte ha arricchito il mio bagaglio di esperienze. delle tue opere? Quest’arte di strada mi porta spesso a vivere profonde esperienze umane. I miei personaggi, che trovate dipinti sui muri, sono spesso gli stessi che con me si raccontano. Si avvicinano all’inizio timorosi, ma curiosi di capire. Ed è lì che io rimango affascinata, dai loro volti segnati dall’arsura del sole e del tempo. All’inizio, frenati un po’ dal timore, raccontano se stessi e il loro vissuto con gioia malinconica. Questo è per me una fonte di grande ispirazione: nutro per loro una profonda gratitudine ed è ANTAS Osservi i suoi murales e lo sguardo si fissa chiaro sui protagonisti: come se la donna sarda in costume o l’anziano del paese che porta con sé un cesto di ciliegie ti guardassero con piacevole complicità. È il realismo creativo di Pina Monne - artista di Irgoli che da anni vive a Tinnura - che cattura l’occhio anche più disattento e abbellisce i paesi dove le sue mani magiche disegnano scorci di vita affascinanti e carichi d’amarcord. Oggi Pina Monne è una della più apprezzate muraliste della Sardegna. Parlaci della tua collaborazione con alcuni istituti carcerari isolani. Qualche anno fa sono stata contattata dalla direttrice dell’istituto penitenziario di Nuoro, la quale mi proponeva di intraprendere un laboratorio con i ragazzi dell’istituto. Accettai con l’obiettivo di far apprendere ai ragazzi un po’ dell’arte del muralismo, ma è stata per me una profonda esperienza umana di reciproco scambio. Insieme ai ragazzi abbiamo sostituito il grigio delle pareti dei lunghi corridoi del carcere con pareti piene di colore animate da figure allegre e solari che in qualche modo sfondano quelle tristi mura, rendendo meno pesante e opprimente la loro detenzione. L’opportunità alternativa data allo stare rinchiusi nelle singole celle ha permesso ad alcuni di loro di cimentarsi in una nuova esperienza: quella della pittura, che diventa così arte-terapia. Il successo dato da questi tre anni al carcere di Nuoro mi ha portato anche a insegnare al carcere di Macomer e oggi ho una nuova proposta per il nuovo carcere di Bancali a Sassari. Spero che i ragazzi abbiano fatto tesoro di questa esperienza e che essa abbia dato loro uno strumento in più per liberare se stessi, pur restando in una realtà come quella del carcere. documentario sulla mia attività. Riguardo alla Grecia, alcuni anni fa sono stata contattata dall’associazione internazionale dei muralisti “Carpe Diem” che risiede ad Atene per fare da madrina alla rassegna muralistica locale. Il mio soggiorno in Grecia è durato dodici giorni e in appena sei giorni sono riuscita a terminare un murales che ha raccontato la tipica danza di “Miaides”, che rievoca un rito dionisiaco. Preparato precedentemente il progetto mi sono ritrovata ad operare su uno spazio ampio della città di Makrinitsa, dove la cultura e le tradizioni sono alla base del loro vivere quotidiano. Non dimenticherò mai il calore, l’accoglienza, i profumi e i sapori di quella terra meravigliosa, contornati dalle note che accompagnano l’affascinante danza del Sirtaki. Sei stata anche in Palestina… Ancora più toccante e importante è ANTAS 24 La tua arte ha varcato i confini nazionali: ha parlato di te la tv del Giappone e sei stata in Grecia nella cittadina di Makrinitsa. Vuoi raccontarci queste esperienze? La TV del Giappone ha realizzato un ...la sposa di Ollolai farà bella mostra di sé nella galleria d’arte contemporanea di Parigi... Murales a Siamanna stata per me l’esperienza in Palestina. Grazie d un amico e collega sono stata coinvolta in un viaggio a Betlemme per insegnare ai ragazzi palestinesi del centro artistico salesiano. Ho notato in loro una grande voglia di apprendere e di confrontarsi visto che, in seguito alle difficili condizioni socio-politiche, sono spesso ostacolati nel loro cammino culturale di vita. Ho insegnato un po’ del mio sapere riguardo la materia della ceramica e ci siamo impegnati nel riuscire a portare in Sardegna un gruppo di loro con i quali si è realizzato un murales nel piccolo paese dove io vivo: Tinnura. Come tema è stato scelto quello del confronto pacifico tra le diverse culture. Tale progetto è stato seguito dal Vis (Servizio di Volontariato Internazionale) il quale ha ritenuto, visto il successo, di farci ripetere l’esperienza l’anno successivo. Si è creato un tale rapporto di amicizia con i ragazzi e con la responsabile del centro artistico che ancora oggi, attraverso i social network, collaboriamo con loro e rispondiamo ai loro quesiti tutte le volte che hanno necessità di un confronto artistico. È stato toccante per me leggere nei loro occhi il desiderio di libertà quando, il giorno che siamo riusciti a portarli al mare, si sono lanciati nel bagnasciuga. Ansiosi come bambini desideravano dominare quella distesa di acqua cristallina che è il mare della nostra terra meravigliosa. Da tempo stai sviluppando una nuova passione, quella per la ceramica.. In realtà la passione per la ceramica ha viaggiato parallelamente a quella della pittura e pian piano mi sono creata un piccolo spazio nella mia casa dove posso dare sfogo alla mia creatività. Sin da bambina ho aiutato mia madre nella preparazione del pane carasatu, apprendendo e sviluppando così la capacità manipolativa. Oggi lavoro con passione la creta creando nuove opere avvolte da smalti e brillanti cristalline che il fuoco trasforma, regalandomi ogni volta stupore e meraviglia. Presto sarai ospite di un importante mostra a Londra. Ce ne vuoi parlare? L’anno scorso, in occasione del 50° anniversario della fondazione Peter Tatchell che si occupa della tutela Qual è il tuo sogno nel cassetto? Il mio sogno è quello che si è realizzato e che continua a realizzarsi: è quello che mi permette di esprimere ciò che sono, ciò che mi commuove, ciò che mi rattrista, ciò che mi rallegra; è l’incontro quotidiano di me stessa con gli altri ai quali possono raccontare quanto è bella la mia terra. Sono testarda, determinata e costante nel rincorrere il mio sogno che è quello di dipingere: è il cuore che mi guida nella continua scoperta di questo mondo. Pina Monne a Betlemme 25 Murales a Borutta ANTAS dei diritti umani (di cui fa parte anche Elton John) sono stata invitata a realizzare 5 ritratti, tra i quali quelli di Elton John, Eather Peace e Marc Almond. Ho presentato le mie opere al teatro Royal di Norwich e il ricavato è stato devoluto in beneficenza. Quest’anno una gallerista ha notato i miei lavori e porterà alcune delle mie opere a Londra nel mese di Marzo. Altre mie due opere saranno esposte nella galleria nazionale di San Pietroburgo a Dicembre e una tela a olio raffigurante la sposa di Ollolai farà bella mostra di sé nella galleria d’arte contemporanea di Parigi nel mese di Gennaio. foto di Antonio Coppola gli speciali di Antas TENORES REMUNNU ‘E LOCU DI BITTI Dopo 40 anni il futuro è adesso Un successo planetario, la nomina a Cavalieri della Repubblica, l’incontro con Peter Gabriel. E un ricambio generazionale nel segno della continuità ANTAS 26 testo di Giacomo Serreli Recentemente la Real World, per celebrare i 25 anni di attività, ha distribuito un cofanetto di tre CD con una selezione di 48 brani estratti dai diversi lavori discografici pubblicati dall’etichetta votata alla world music fondata da Peter Gabriel in sintonia con i festival Womad. Nel CD n. 2 c’è anche T’amo del gruppo di canto a tenore Remunnu ‘e Locu di Bitti, estratto dall’album S’amore e mama che il quartetto incise nel 1996, segnando anche l’esordio delle produzioni del nostro Paese in quell’ampio catalogo internazionale di musiche del mondo; il disco, per intenderci, nella cui foto di copertina emergono, accanto a Daniele Cossellu e Mario Pira, le presenze di Tancredi Tucconi e Piero Sanna. E stringe il cuore, oggi, pensare che questo tributo indiretto dell’etichetta discografica inglese ai 40 anni di attività del gruppo bittese avvenga in un momento in cui registriamo l’assenza, per motivi diversi, di due dei componenti e promotori iniziali di quell’avventura. Piero Sanna, “Pi Zero”, come lo chiamavano, ci ha lasciato agli inizi dell’anno in silenzio e in modo improvviso, cogliendoci impreparati, e resta difficile capacitarsi che possa essersi foto di Gabriele Doppiu spenta la sua voce. Tancredi, per motivi di salute, aveva abbandonato nel 2002, sostituito da Pierluigi Giorno, dopo che di quell’organico aveva fatto parte sin dai tardi anni Cinquanta per rientrarvi nel 1965, in seguito a un periodo di emigrazione in Svizzera. Di quel nucleo iniziale, di 40 e più anni fa, resta così il solo Daniele Cossellu, perché anche Salvatore Bandinu - scomparso da qualche anno - stabilmente con il gruppo dal 1965, aveva lasciato l’attività artistica nel 1994 consentendo l’arrivo di Mario Pira, muratore con sei anni di emigrazione a Parma che si era fatto le ossa in un altro gruppo bittese: quello intitolato a Diego Mele. In quella formazione c’era anche Dino Ruiu, l’ultimo arrivato in seno al tenore Remunnu ‘e Locu, per rilevare Piero Sanna dopo la sua morte. Oggi il gruppo, superato il trauma di una perdita così dolorosa, ha ripreso il cammino affidandosi con immutata coerenza all’ultraottantenne Daniele Cossellu, che ne aveva sancito gli esordi dopo aver imitato durante l’adolescenza in vicinato “sas troppas” degli adulti che si fermavano a cantare. Era allora un canto comunitario, praticato universalmente anche nel primo dopoguerra, e la pratica proseguiva anche quando i giovani si incontravano assieme durante il periodo di leva militare. Quel primo gruppo messo insieme da Cossellu non tardò a ottenere i primi significativi successi con il terzo premio alla Sagra del Redentore nel 1957. Solo nel 1973 il gruppo si organizza in maniera professionale con la nascita della Pro Loco, di cui Cossellu è presidente. Ha una sede fissa dove si esercita ed è ancora Cossellu a impostare una certa selezione e ricerca culturale, grazie anche ai contatti con gli anziani del paese. Due in particolare, i fratelli Pascale e Juanne Pittalis, saranno fondamentali nel tramandarle al gruppo dando al giovane tenore timbro, cadenza, stile ma anche carattere. Dopo quello di Santu Miali, il gruppo assume l’attuale denominazione nel 1974, in omaggio al poeta Raimondo Delogu vissuto nella seconda metà adattamenti o compromessi ispirati da certe regole del mercato, anche discografico: perché il CD registrato per la Real World 18 anni fa ci offre la natura più genuina di quel canto, con una operazione per così dire eticamente corretta, che ha tenuto inalterato un marchio sonoro, facilmente riconoscibile e subito riconducibile al quel gruppo. I tenores hanno continuato, cioè, a essere autentici “contoneris” anche quando si trattava di esibirsi in un grande teatro all’estero, vivendo la loro caratteristica fondamentale, ovvero essere l’espressione di una cultura propriamente bittese anche quando si trovavano lontani dal loro paese; sono, insomma, viva espressione di una genuina solidità culturale. E questo ha consentito loro di sopravvivere per cosi tanti anni, anche dopo la sbornia dell’attenzione rivolta a queste espressioni culturali subalterne, proposte persino in strutture ritenute borghesi, degli anni Sessanta. Che la lezione del tenore Remunnu 27 ...negli anni Ottanta storiche tournée negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia... ANTAS dell’Ottocento nel rione di Cadone. Due anni dopo arriva la produzione della prima cassetta; quattro anni dopo la prima esibizione all’estero a Vienna per l’Europeade del folklore; negli anni Ottanta storiche tournée negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia per lo spettacolo “Far away wave”. La svolta importante matura a metà anni Novanta, dopo la conquista del titolo di “Maestri del folklore” (1992), il “Premio Europa” della Fondazione F.V.S. di Amburgo (1996) e l’uscita di un disco per una etichetta elvetica (1993), con la partecipazione, nel 1995, ai festival Womad promossi da Peter Gabriel dapprima a Caceres, in Spagna, poi a Reading, in Inghilterra, e in anni successivi anche a Singapore e Nuova Zelanda. Sono i primi artisti italiani in assoluto (con Gesuino Deiana dei Cordas et Cannas) a esibirsi in quella prestigiosa vetrina. Queste performances sono accompagnate da momenti di didattica con workshop e laboratori, unitamente al disco che abbiamo ricordato in apertura e alle ”raccomandazioni” fornite da Frank Zappa, che nel 1993 si dichiarava colpito da quelle voci che aveva sentito su una cassetta qualche anno prima, e danno una rilevanza e una notorietà planetarie al gruppo che veniva dal cuore della Sardegna. Il gruppo non si è sottratto neanche a progetti sperimentali nell’ambito del jazz o della world music (con Ornette Coleman, Hughes de Courson, Enzo Favata solo per citarne alcuni) rimanendo tuttavia sempre fedele a se stesso, coerente e rispettoso propositore di una tradizione intaccabile da furbeschi ...nell’amore e nel rispetto di un patrimonio culturale cosi radicato e condiviso nella comunità bittese. de pache, ormai risalente al 2004, con dodici brani registrati in “su cuile de Calavrina de Vitzi,” cosi caro a Piero Sanna; il DVD Voci ancestrali della Sardegn”, uscito nel 2011, nel quale il gruppo è ripreso foto di Stefania Urru foto di Attila Kleb ‘e Locu sia ancora ispirata al rispetto di questo straordinario patrimonio senza indulgere a facili edulcorazioni, è ribadito dalle tappe più recenti di questa quarantennale carriera. Dall’apertura, nel luglio del 2005 a Bitti, del museo multimediale del canto a tenore, alla loro nomina a cavalieri dell’ordine al merito della Repubblica, nel marzo del 2008; dall’impegno per l’istituzione di una scuola per il canto a tenore in paese al sostegno per il riconoscimento di questo particolare stile vocale da parte dell’Unesco come patrimonio dell’umanità; lezione, questa, che traspare anche nelle ultime produzioni artistiche del gruppo. L’album Caminos I 40 anni di carriera nel ricordo di Daniele Cossellu ANTAS 28 Quel magico incontro con Peter Gabriel Quando nel 1974 mi venne l’idea di creare una formazione di Canto a tenore, posso dire con orgoglio e tanta felicità di non avere incontrato grandi difficoltà. Avendo un ottimo affiatamento col basso (Batore Bandinu) e con la contra (Tancredi Tucconi), non mi restava che cercare un buon cantatore e cioè sa oche, il solista. Doveva avere alcune caratteristiche essenziali: ottime corde vocali, ma anche un buon carattere e la disponibilità a mettere in prima fila il Canto a Tenore. Questa scelta cadde su Piero Sanna: conoscevo molto bene le sue abitudini e la sua bravura e Piero accettò con entusiasmo tutte le condizioni che gli avevo esposto. Era nata col nome Tenores di Bitti la nostra prima, storica formazione: Cossellu Tucconi, Bandinu e Sanna. C’era grande entusiasmo tra noi e senza perdere tempo iniziammo a prepararci per incidere il nostro primo lavoro, che nacque alcuni mesi dopo. Eravamo al settimo cielo. Il lavoro ebbe in un concerto tenuto al teatro Juvarra di Torino, caratterizzato da una serie di interviste in cui i componenti spiegano caratteristiche e contenuti del canto a tenore: un ultimo lascito, in sintonia con un percorso non interrotto, nel quale Daniele Cossellu ha dimostrato una straordinaria forza d’animo per guidare in prima persona, tra momenti così difficili che hanno segnato anche la sua vita familiare, quel necessario rinnovamento e cambiamento di organico che trae linfa da chi ha sin qui costruito questi preziosi 40 anni di attività, nell’amore e nel rispetto di un patrimonio culturale cosi radicato e condiviso nella comunità bittese. ottimi riscontri da parte della critica e degli etnomusicologi come Pietro Sassu che, di fatto, è stato colui che ci ha scoperti. L’INCONTRO CON PETER GABRIEL Il nome dei Tenores di Bitti iniziò a riscuotere grandi successi in Sardegna, ma ben presto anche nel resto della Penisola, fino a varcare i confini nazionali. Parlavano di noi la stampa e televisione nazionale, le personalità del mondo della cultura e il nostro canto venne accolto e studiato con grande attenzione da musicisti di fama mondiale. Sarebbe lungo citarli tutti ma, in questo spazio dedicato ai nostri 40 anni di attività, vorrei ricordare un nome che ci è molto caro: quello di Peter Gabriel. Peter è uno straordinario artista che ha valorizzato e fatto conoscere in tutto il mondo quella che viene comunemente definita World Music, musica del mondo. Per noi fu una grande sorpresa quando, senza averci mai visto prima, ci ha chiamato per incidere un compact disc nella sua sala d’incisione in Inghilterra: questo CD s’intitolò S’amore e mama. Peter è davvero un uomo straordinario: promise di venirci a trovare in Sardegna per dimostrare tutta la sua stima per noi e in effetti mantenne la parola data. Arrivò a Bitti accompagnato dal musicista Gesuino Deiana e venne a trovarci nelle nostre case: assaggiò con particolare gusto il formaggio del compianto Piero Sanna e il vino di mia produzione, che definì “eccellente”. foto di Antonio Coppola foto di Matteo Setzu SEMPRE UNITI Come sono stati questi primi 40 anni dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu”? Bellissimi. Abbiamo ricevuto onoreficenze importanti e premi prestigiosi, abbiamo portato i nostri canti a Tenore in giro per il mondo ma… Sapete qual è la cosa più bella che voglio sottolineare? In tutte le formazioni dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu” c’è sempre stata grande unione, compattezza e rispetto reciproco: forse è questo il nostro più grande segreto. Tanielle Cossellu 29 I FESTEGGIAMENTI PER I 40 ANNI Con viva emozione lo scorso Settembre abbiamo festeggiato i quarant’anni di attività dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu”. Bitti si è vestita a festa. La mattina al Cinema Ariston ci hanno dedicato parole bellissime Natalino Piras, Paolo Pillonca e Bachisio Bandinu. Poi nel pomeriggio si è svolto il Festival del Canto a Tenore e della musica itinerante per le vie del paese e infine, la sera, la conclusione della festa. Nel grande palco , di fronte a una folla immensa numerosi artisti sardi ci hanno tributato un caloroso e commovente omaggio. È stata una giornata indimenticabile. ANTAS I CAMBI DI FORMAZIONE Col passare degli anni i Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu” hanno cambiato formazione: Batore Bandinu nel 1994 lasciò per ragioni di salute (e venne sostituito da Mario Pira), mentre nel 2002 a Tancredi Tucconi subentrò il giovane Pierluigi Giorno. E nel tristissimo mese di Gennaio di quest’anno è morto prematuramente Piero Sanna, sostituito da Dino Ruiu. sfumature sonore ENZO FAVATA Il musicista viaggiatore Il jazzista algherese ci guida alla scoperta di storie curiose provenienti da terre lontane. “Un termine per definirmi? Sono un agitatore culturale” ANTAS 30 testo di Marta Cincotti Un musicista “pendolare a tempo pieno”, così si racconta Enzo Favata, di ritorno da uno dei suoi frequenti viaggi alla scoperta di culture diverse, in cerca di intrecci che possano apportare alla sua musica jazz quel suono originale e al di fuori dei canoni. Perché ciò che viene fuori dal suo percorso non è solo un musicista, un compositore, un jazzista atipico, ma, come piace dire a lui con un termine che cerca di inglobare i tanti aspetti, “un agitatore culturale”. Il suo obiettivo è sì suonare, creare musica, interagire con differenti discipline artistiche, ma anche pensare al contesto sociale, guardare il mondo attraverso uno sguardo diverso, porsi dei problemi legati al senso delle cose, leggere le cose che nascono dalla società in cui si vive, cercare con la musica di far pensare e condividere nella propria terra le proprie esperienze nate attraverso il viaggio. Tutto questo per lui è suono e ce lo racconta ora, appena tornato dall’Africa, dove ha suonato con alcuni dei più importanti musicisti di Zimbabwe ed Etiopia raccogliendo quelle sensazioni e quelle esperienze che diventeranno la sua musica. Cosa rappresenta per te il viaggio? «Il viaggio è la tematica principale della mia particolare musica jazz, da sempre molto impressionistica e cinematica; per In qualche modo il tuo è un punto di vista privilegiato nella scoperta di un luogo. «Si, nei miei viaggi ho la fortuna di catturare delle realtà dal di dentro e spesso con l’aiuto delle persone del luogo cerco di avere lo sguardo con una prospettiva diversa. Inizio dai posti foto di Gabriele Doppiu di semplice quotidianità, come mercati e strade dove il traffico pedonale è importante: guardare la gente che affronta la giornata in luoghi culturalmente distanti dal mio mi aiuta a capirne l’essenza. Luoghi dove ascoltare la musicalità della lingua, il silenzio di spazi-luoghi come il profondo Nord, il ritmo delle metropoli sudamericane e africane, l’affascinante ed ordinata complessità di Manhattan, sono ingredienti in un frullatore che metabolizza queste mie conoscenze ed alla fine tutto è musica: basta saper ascoltare». Ti porti a casa qualcosa da questi viaggi? «Una testimonianza dei tanti miei viaggi e delle culture che ho incontrato è una mia collezione di 120 strumenti a fiato raccolti in tutto il mondo. Per anni li ho cercati nei vari Paesi e ne è nata una mostra itinerante da un’idea di Enedina Sanna, a cura di Isola dei Suoni. Sono davvero pezzi di una bellezza unica e poi le storie dietro ogni strumento sono speciali». Raccontaci una di queste storie. «Ve ne racconto due. Ci trovavamo a suonare in Giappone al Festival Jazz di Tokyo. Avevamo la fortuna di essere ospiti per tutto il periodo del festival, e un giorno andammo in una bottega artigiana. Il costruttore, prima di vendermi lo strumento, uno shakuhachi (il flauto della musica classica giapponese, ndr), mi offrì il te e, con l’aiuto di un amico giapponese interprete, chiacchierammo per un po’ seduti alla giapponese davanti un tavolino bassissimo. Alla fine capii che voleva solo essere si- ANTAS 31 foto di Gabriele Doppiu ...mi appassiona scoprire luoghi e cose nuove, e così è anche nella mia piccola isola... questo spesso quando inizio un concerto preparo il pubblico raccontando il mio modo di intendere la musica. E il risultato è che ogni concerto e ogni disco sono un viaggio interiore, che attraversa mondi apparentemente lontani. Questo è l’aspetto filosofico della mia musica; poi c’è l’aspetto pratico, che mi tocca affrontare (con piacere) molto spesso. Alzarsi alle 4 del mattino, fare 11 ore di aereo, non sentirsi più le gambe, trasportare a spalla i tuoi strumenti, perdere le valige, passare ore ed ore negli aeroporti, trovarsi in 24 ore da +30 a -20 gradi, file interminabili ai controlli, all’uscita dell’aeroporto un altro paio di ore in auto, per poi trovarsi davanti a un pubblico sconosciuto e, in un attimo, riprendersi totalmente ed essere felici di trasmettere la propria esperienza musicale. È una fatica che ho sempre affrontato con passione: per me viaggiare significa fotografare, registrare con la mente tutto quel che vivo per poi tirarlo fuori nella musica e nelle altre esperienze artistiche che mi appassionano. Viaggio da quasi 30 anni in lungo e largo per il mondo; mi appassiona scoprire luoghi e cose nuove, e così è anche nella mia piccola isola, dove da tre anni il viaggio che faccio è intorno ai tramonti della Sardegna in una continua scoperta di nuovi luoghi». Favata-Tuku-Zanisi in una foto di viaggio ANTAS 32 Fuori dall’Italia esiste un mondo musicale simile, spesso con gli stessi conflitti ma differenti problematiche. curo che lo strumento sarebbe andato a un musicista che lo avrebbe suonato e custodito, e solo dopo essersi sincerato di ciò mi diede lo strumento, che ancora oggi è uno dei pezzi più belli della mia collezione. La seconda storia appartiene al Cairo. Nell’ora della terza preghiera, nel quartiere degli artigiani, cercavo un oud, il liuto arabo, tra le tante piccole botteghe, e dopo averne acquistato uno da un artigiano, mi imbatto in una bottega di strumenti antichi, dove per curiosità chiedo se hanno strumenti a fiato tradizionali: il proprietario tira fuori da un cassetto un rotolo di vecchia stoffa al cui interno c’è un nay (flauto tradizionale egiziano in canna, ndr) annerito dal tempo e dall’uso. Le notizie della famiglia che lo aveva venduto riportavano che lo strumento apparteneva a un loro prozio, un vecchio cammelliere che si dilettava a suonarlo durante viaggi e trasferimenti con il cammello; lo teneva sempre in una tasca della sella. Quel flauto ancora oggi, a distanza di dodici anni, ha l’odore tipico della pelle di cammello, ma ha un suono meraviglioso e sono felice che sia passato dalle mani di un viaggiatore a un altro, cosi come si passavano una volte le storie, i canti e le gesta». In questi anni di intensa attività musicale e giri intorno al mondo che idea ti sei fatto della musica e dei musicisti fuori dall’Italia? «Fuori dall’Italia esiste un mondo musicale simile, spesso con gli stessi conflitti ma differenti problematiche. Si hanno più possibilità di un confronto con il pubblico e un aiuto lo danno i media, che non ostacolano la pluralità con la proposta monotematica della musica, ma radio e tv sono molto più aperti all’alternanza delle proposte e i Festival spesso sono aperti alle novità. Buona parte del jazz europeo, di cui gli italiani e noi sardi non abbiamo nulla da invidiare, ha una rete di connessioni davvero importante. In Paesi come la Germania, la Francia, la Norvegia, per esempio, la circolazione delle proposte artistiche è molto stimolante: nel nord dell’Europa esistono realmente delle “autostrade culturali” che connettono un grande network artistico, mentre l’Italia è ferma e alla poca lungimiranza di molti festival spesso manca una visione e le proposte finiscono per stancare il pubblico. Un altro grave danno per la musica è il tremendo “Patto di stabilità”: le prime cose da sacrificare sono sempre l’arte e la musica, per cui molti musicisti italiani emigrano. Anche io sono stato molto tentato di farlo, ma la forza interiore che mi dà quest’Isola mi trattiene e preferisco fare il pendolare a tempo pieno. Un altro mondo musicale al di fuori dell’Europa e che conosco abbastanza spesso nasce dagli scontri tra le diverse culture avvenuti nel tempo, che hanno generato dei generi crossover straordinari. Cito due esperienze che ho incontrato nel giro di un anno: passando dai fiordi del nord della Norvegia, dove ho incontrato musicisti che hanno fuso il jazz con l’esperienza della musica rock psichedelica ed elettronica, reinventando un linguaggio ed un suono, per poi arrivare in due nazioni africane, Zimbabwe, dove il jazz e la musica pop si fondono insieme ai suoni della mbira, uno strumento tradizionale, e l’Etiopia, con lo splendore della musica pop e del jazz etiope. Vi raccomando davvero di andare ad ascoltare musicisti come Alemaju Mulatu Astatke ed Addis Acoustic Ensemble». Da queste tue esperienze nascono spesso collaborazioni musicali interessanti e nuove, ti abbiamo visto in tour di recente qui in Sardegna con una band dello Zimbabwe, ma sono tanti i nomi con cui suoni e hai suonato. «In quasi 30 anni ho indagato le differenze culturali, i contrasti tra diverse musiche e modi di pensare la musica: il mio rapporto con l’improvvisazione di stampo jazzistico e gli altri generi o modi di fare musica è stato ed è questo. Tutto è suono sin dalle prime esperienze con la musica di quest’Isola per passare poi all’Argentina, ai Balcani, alla musica Gnawa, quella dell’Africa Nera ed etiope, la musica classica indiana, irachena, persino i nomadi del deserto algerino, la musica elettronica, quella contemporanea, la musica sacra, e naturalmente il jazz. Ci sono tante esperienze con altri artisti internazionali, come per esempio Dino Saluzzi, ban- La cosa speciale della musica secondo me è l’incontro e il coinvolgimento: se non c’è quello non può esistere il resto... Quali sono i prossimi progetti? «A fine novembre sono andato in studio, dopo un’estate piena di concerti, con il mio nuovo quartetto acustico composto da Enrico Zanisi al piano - ha 24 anni ma vi assicuro che è davvero il nuovo astro nascente del pianismo in Italia - UT Gandhi alla batteria e Danilo Gallo al contrabbasso. Con loro ho voluto riprendere alcuni brani della grande stagione del periodo latino-americano del Quintetto Atlantico, con cui feci 300 concerti in giro per il mondo in solo due anni e mezzo. Dopo i primi concerti mi sono reso conto che questo quartetto aveva una chiave davvero diversa nell’affrontare i materiali musicali, dovuto probabilmente alle differenti grandi personalità che si scontrano e si incontrano attraverso strade interne del subconscio: per questo ho deciso di chiamare il quartetto Enzo Favata Inner Roads. La cosa speciale della musica secondo me è l’incontro e il coinvolgimento: se non c’è quello non può esistere il resto. Durante la registrazione abbiamo suonato con grande interplay e dalle cuffie monitor credo che ognuno di noi abbia sentito scorrere l’anima della musica. Siamo gente abituata ai concerti e alle registrazioni, ma quando abbiamo ascoltato l’intera registrazione alla fine dei mixaggi, allora abbiamo sentito che quel che era venuto fuori era una cosa speciale. Per fine anno abbiamo in programma una tournée a Dicembre e faremo alcuni concerti anche in Sardegna. Presto, nel 2015, uscirà il disco». 33 In che modo unisci la tua creatività e le contaminazioni musicali nei tuoi progetti? «Mi piace il gioco dei contrasti. È impe- gnativo e richiede conoscenza e studio, sia della tecnica sia dei materiali sonori, come anche dei contesti in cui nascono. La curiosità è importante: se non si è curiosi non si ha voglia di conoscere e approfondire. E credo che in fondo anche il talento non sia altro che una summa di conoscenza delle culture, capacità strumentali, idee innovative, creatività e soprattutto apertura mentale. Io credo che nella musica oggi si debba conoscere a fondo e apprezzare i vari linguaggi musicali; si deve amare la musica nella sua globalità e imparare a “sfruttarne” le diversità per creare un proprio linguaggio,ì: solo così si può uscire dall’omologazione.» ANTAS E poi c’è la Sardegna e tanti artisti isolani con cui collabori da molti anni. Certo, in Sardegna ho collaborato con tantissimi artisti, cito alcuni folclorici della mia Isola, suonatori di launeddas come Luigi Lai, l’organetto di Totore Chessa, cori a Cuncordu di Castelsardo, Santu Lussurgiu, Cuglieri, Orosei, cori a Tenores come quello di Orosei per arrivare ai Tenores di Bitti Remunnu ‘e Locu, per i quali apro una piccola parentesi. Loro sono il gruppo di musica tradizionale sarda con cui ho la maggior longevità di collaborazione sin dal 1997, abbiamo fatto davvero tanti concerti e progetti insieme come “La versione Sinfonica di Voyage en Sardaigne”, “Metropole Orkest” di Amsterdam, un viaggio anche questo nella Sardegna epica, rafforzato dalla versione per orchestra sinfonica e poi l’ultimo “The new Village“ un visionario viaggio tra il Villaggio e La Metropoli per eccellenza New York. Lavorare con loro è sempre stato molto piacevole, all’inizio abbiamo impiegato un po’ di tempo per trovare la strada di comunicazione tra differenti generi, ma poi in questi quindici anni abbiamo raggiunto dei risultati davvero notevoli. Di loro ho un ricordo meraviglioso di quell’eterno bambino pastore Piero Sanna, la più grande voce della storia del canto a tenore ed ho una sua storia nel cuore, che una volta mi raccontò, quella di come imparò ad appassionarsi al canto: aveva 9 anni quando passo la prima notte di guardia nell’ovile del padre, era atterrito dalla paura, e allora iniziò a farsi passare il timore cercando di cantare muttos ed altre cose e pian piano il terrore di quella notte passò. foto di Ziga Koritnik doneòn argentino con cui è stato molto facile per le affinità di interessi e la reciproca curiosità. Con lui ho realizzato quel piccolo capolavoro che è stato “Boghes and Voices” il primo incontro tra la vocalità polifonica sacra della Sardegna, la musica del bandoneòn e i sassofoni. Ricordo ancora con emozione la prima di quello spettacolo il 3 dicembre del 1999 con una Basilica di Bonaria talmente piena da costringere a chiudere le porte, mentre la musica sacra, tra arcaico e moderno, si rifletteva nel buio della chiesa e tra le navate: io, Dino e il Cuncordu di Castelsardo eravamo illuminati da piccoli fasci di luce come se la luna avesse riservato dei raggi speciali per quella musica in quella notte.» sfumature sonore Intervista al chitarrista e compositore iglesiente PERRY FRANK ANTAS 34 I paesaggi sonori di Ambient music, alternative rock, musica elettroacustica d’avanguardia: ecco Francesco Nicola Perra testo di Diego Pani foto di Laura Serra Negli anni Novanta ho maturato e ampliato i miei gusti musicali... Militi in altre formazioni, come i Cheyenne Last Spirit. Farti “le ossa” sul palco con dietro una band ha influito sulla tua produzione solista? Credo essenzialmente di no, perché sono cose talmente diverse che non possono essere paragonate, né dal punto di vista dell’esperienza né da quello dell’approccio live. Suonare con i Cheyenne è un’altra cosa, appartiene a un altro aspetto del mio carattere. Mentre col gruppo si ragiona in quattro e bisogna sempre scendere a compromessi, nel mio mondo sono il dittatore di me stesso: decido tutto io e ovviamente ne prendo le conseguenze. Come avviene la scrittura dei tuoi brani? Da dove parti per costruire i tuoi “paesaggi”? In questi otto anni ho cambiato spesso modalità di scrittura. All’inizio molti dei miei pezzi nascevano dalla tastiera, dal MicroKorg e dal piano. Costruivo poi gli arrangiamenti tramite loop station, drum machine e chitarra, senza pensare alla futura dimensione live. Molte volte ho dovuto rinunciare a suonare dal vivo brani che amavo ma che risultavano troppo complessi per un set solista e proprio per questo motivo e ho sempre riservato al mio progetto una dimensione limitata allo studio e alla pubblicazione sul web. Col passare degli anni ho capito l’importanza del concerto, ma soprattutto ho realizzato che suonare la mia musica dal vivo mi diverte davvero tanto, forse anche più di scriverla e registrarla. Ho puntato quindi su arrangiamenti più semplici e improntati sulla sola chitarra, in modo da poterli riprodurre facilmente dal vivo, senza l’utilizzo di basi. L’idea per scrivere un nuovo pezzo arriva quasi sempre da improvvisazioni, ma mi capita anche di “sognare” letteralmente un pezzo, pensarlo con varie combinazioni di effetti ancor prima di suonarlo. Parto spesso da un titolo o un argomento di cui mi sono informato prima e ne compongo un possibile accompagnamento sonoro; altre volte invece il titolo del brano 35 Quando Nicola Perra ha deciso di divenire Perry Frank? Il progetto Perry Frank è nato ufficialmente nel 2006, quando già componevo musica sempre più strumentale, riducendo al minimo i versi cantati. Col passare del tempo ho trovato le parole sempre più superflue. Ogni verso che scrivevo mi sembrava già sentito, banale. Questo riflette il mio pensiero sulla musica rock-pop in generale: tutto è già stato in qualche modo detto, cantato e scritto; le strutture delle canzoni strofa-ritornello-ponte sono sempre le stesse già da un po’. Anche per questo ho trovato libertà nello scrivere e suonare musica strumentale, l’ambient e le sue infinite possibilità sonore. Avevo diversi nomi per questo progetto, ma alla fine ho voluto renderlo più personale usando il mio stesso nome “inglesizzato”. Qual è stato il tuo primo approccio alla musica? I tuoi primi ascolti? Ho cominciato ad ascoltare musica da bambino: Beatles, Rolling Stones, Beach Boys. Poi ho scoperto i Pink Floyd e mi sono innamorato del loro sound. Da adolescente mi sono poi appassionato alle produzioni di Brian Eno. Il suo modo di concepire la musica mi ha aperto un mondo bellissimo e sconfinato quanto l’universo. Negli anni Novanta ho maturato e ampliato i miei gusti musicali, passando attraverso vari generi come il blues e il jazz o band come i King Crimson, i Tangerine Dream, gli Zombies, i Kinks. È nei primi anni del Duemila che mi sono indirizzato sempre più verso l’ambient ascoltando gruppi come Boards of Canada o Sigur Ros. In generale, tuttora ascolto moltissima musica di diversa estrazione. ANTAS Il mio unico contributo al numero di Antas precedente a questo che state leggendo riguardava un disco che mi aveva colpito particolarmente. Music to disappear del chitarrista e compositore Perry Frank mi aveva in qualche modo rapito, trasportato in una dimensione squisitamente musicale attraverso un songwriting denso, dove l’ambient music rigorosamente strumentale sembrava esser dotata di parole. L’universo compositivo del musicista iglesiente, all’anagrafe Francesco Nicola Perra, è quanto mai complesso; trova giovamento dalla passione per l’alternative rock ma si ammanta di suggestioni più vicine all’universo dei cosiddetti “paesaggi sonori”, dalla già citata ambient music fino alla musica elettroacustica d’avanguardia. Sono questi gli ingredienti di Soundscape Box I, nuovo capitolo discografico licenziato in autunno dall’etichetta Tranquillo Records, divisione italiana dell’etichetta irlandese Psychonavigation Records. Del nuovo disco, dei progetti in corso, del rapporto tra la sua musica e il territorio iglesiente, ho potuto discutere direttamente con Perry Frank. arriva dopo varie prove. Com’è avvenuta la genesi del nuovo Soundscape Box I ? L’idea del disco è strettamente legata al progetto Ruins + Regrets (un documentario sulle vecchie rovine minerarie del Sulcis Iglesiente) e alla sua soundtrack. Diversi brani dell’album sono stati ideati per il progetto e solo successivamente ho capito che potevo direttamente costruirci un nuovo disco. Ho scritto tutto il materiale nell’arco di un anno e mezzo, nel periodo in cui mi sono dedicato alla raccolta delle informazioni sui vari villaggi abbandonati e alle riprese del Video-Documentary-Clip. 36 ANTAS Domanda di rito sui progetti futuri: cosa ha in serbo Perry Frank per i prossimi mesi? Sul fronte discografico continuo le collaborazioni internazionali: un mio brano inedito, Shardana, sarà contenuto nella compilation IdealChill VI, pubblicata dalla Idealmusik (l’etichetta che nel 2012 ha pubblicato Music to Disappear), appuntamento annuale per gli estimatori tedeschi della musica ambient/chillout. Per quanto riguarda la musica dal vivo, sto provando a lavorare sempre di più sulle mie performance e sui contesti in cui queste si svolgono, cercando innanzitutto luoghi adatti per poter esprimermi al meglio. Mi accorgo spesso di essere contro corrente rispetto a quelle che sono le tendenze del momento. Spesso per via della mia musica rimango tagliato fuori da parecchi contesti, ma questo è per me un incoraggiamento a trovare sempre nuovi spazi per potermi proporre e migliorare. 36 Quanto il tuo territorio ispira la tua musica? Non riesco a immaginare di scrivere in altri territori. Mi piace fare lunghe passeggiate lungo la costa, nelle campagne, prendere ispirazione dallo splendido paesaggio spesso martoriato del Sulcis, forse anche per questo ricco del fascino misterioso che lascia ampi spazi all’immaginazione. Molte persone mi hanno consigliato di trasferirmi all’e- stero, dove la mia musica sicuramente è più apprezzata, ma il problema è che non riesco a pensare alla mia musica se non qui in Sardegna. ANTAS Puoi parlarmi meglio del progetto Ruins + Regrets? L’idea del progetto è nata circa due anni fa e si è sviluppata lentamente. Volevo realizzare un video per valorizzare in qualche modo le vecchie strutture in balia del tempo e dei vandali che popolano il panorama del mio territorio. Dopo vari sopralluoghi e dopo essermi documentato, sono rimasto incantato dal loro fascino e dalle storie legate a ognuno dei villaggi abbandonati. È nata così l’idea del Video-Documentary-Clip, cioè un non-videoclip di accompagnamento ai miei brani che avesse il taglio del documentario. Il titolo del progetto deriva dall’unione dei due brani che aprono e chiudono il nuovo album e che hanno lo stesso tema musicale. Gioca sul significato di rimpianto associato al rudere, come di un qualcosa che è stato, poteva continuare a essere ma non è più. Quel che rimane di una storia sono i ricordi e i rimpianti lasciati logorare dal tempo, lentamente dimenticati, come i ruderi. È difficile trovare idee per un videoclip di musica ambient, sia per via del genere poco commerciale, sia per la durata spesso non propriamente “radiofonica”. A mio parere questo è uno dei pochi modi per renderlo “appetibile” anche a chi non propriamente ascolta queste musiche. foto di Antonio Baldino sfumature sonore Non est fazile, il nuovo sound dei “...la neviera è un luogo dove si conserva la neve per tenere in fresco cibi e bevande....è un po’ quello che facciamo anche noi con il nostro progetto: conserviamo la nostra lingua portandola al cospetto dei nostri giorni con una nuova veste... NIERA.” qualche mese prima non delude le attese. In poco tempo viene distribuita gran parte delle copie prodotte, il pop raffinato e ricercato che si fonde in una veste originale con i testi in sardo conquista da subito una bella fetta di pubblico e il primo concerto live lo conferma. La location è la stessa Ittiri che ha visto nascere e crescere i Niera, dove il 12 settembre una piazza e un palco hanno regalato ai 7 ragazzi sensazioni inaspettate. “Fra tutti gli spazi disponibili abbiamo scelto il cuore della città, Piazza Marconi, una scelta mirata e in un certo senso simbolica”; uno spazio che ha accolto quella sera migliaia di persone. Ospite dell’esordio ufficiale una madrina “alicantina”, Pilar Arejo, giovane promessa spagnola, che ha eseguito accompagnata dalla band alcuni brani del suo album A Cielo Abierto, tra cui Libre, tradotta in sardo per l’occasione da Salvatore Chessa. Durante il live i Niera non si sono risparmiati e hanno riproposto le loro canzoni rispecchian- do esattamente le versioni “da studio” del cd. Tutto rigorosamente dal vivo, senza deludere affatto le aspettative. Ma la sorpresa più grande è stata per la band:”Suonare le nostre canzoni e vedere tutta quella gente cantarle una dopo l’altra d un solo mese dell’uscita del disco è già un sogno realizzato”. Incredibile il riscontro di pubblico ottenuto in così poco tempo: “Ci è servito per recuperare un po’ di autostima nelle nostre capacità e su tutto il progetto”. Ovviamente chiedo quale sia stato il momento più toccante, e la risposta è stata unanime: “L’emozione più forte? Con l’ultimo brano in scaletta, No est fatzile, quando la voce del pubblico è riuscita a sovrastare le migliaia di watt dell’impianto”. Una prova generale perfetta in attesa del primo tour dei Niera per le piazze dell’Isola che partirà la prossima stagione estiva, supportato dall’Agenzia di Spettacolo “La Girandola” di Olbia. ANTAS Una piazza. Un palco. Parole che per chi fa musica possono significare tanto e regalare soddisfazioni ed emozioni uniche. Simboli che evocano sogni realizzati e ancora da raggiungere. Ed è ciò che hanno rappresentato per i NIERA, agli esordi quest’anno con il primo lavoro discografico dall’omonimo titolo. Il percorso per arrivare a questa prima tappa non è stato semplice. E non lo è mai per chi, con pochi mezzi a disposizione (il disco è autoprodotto) ma con un’enorme voglia di fare, si cimenta a creare qualcosa dal nulla. Dopo due anni intensi, il 5 agosto si concretizza ciò per cui Salvatore Chessa e Alessandro Damini (chitarre), con Angelo Pinna e Antonio Faedda (tastiere e synt.), Alberto Santoru (batterie) e Antonio Doro (basso) insieme a Luca Mascia (voce) hanno tanto lavorato. Il cd Niera, con 10 tracce completamente inedite, è finalmente una realtà tangibile. E il successo preannunciato già dal lancio del singolo No est Fatzile 37 testo di Mary Manghina sfumature sonore foto di Barbara Cossu Conosciamo il gruppo musicale di Bolotana Architetture sonore sotto un cielo indaco ANTAS 38 testo di Giulia Serra C’è la buona musica, quella fatta di sperimentazione e ricerca. C’è la passione pura e travolgente, quella che fa passare intere serate al chiuso di una saletta a cercare la vibrazione giusta. C’è la particolarità di una voce profonda e sinuosa che sfiora e graffia, nelle recondite profondità dell’anima, chi ascolta. Ci sono i contenuti, nei testi colmi di riflessione e stimoli, di desiderio impellente e spinte antitetiche, in un oscillare spericolato che va dal distruttivo al rigenerativo, dal bruciante istinto vitale all’inevitabile anelito di morte. Tutto questo, condensato dentro un percorso sempre in crescendo, sono gli Indigo Flow, giovane e interessante gruppo musicale nato a Bolotana nel gennaio 2013. Quattro i componenti di questa formazione che, ridisegnando i contorni delle emozioni più intime e sviscerando i tremolii impalpabili dell’anima, tessono le trame di un nuovo percorso musicale che ha tutte le potenzialità per guardare in alto e osare: Fabio e Matteo Proietti, due fratelli legati dall’amore per la musica e da una costante tensione creativa, alla ricerca di sempre nuove formule da sperimentare, mescolare ed assemblare, il primo alla batteria, il secondo alla chitarra; Luca Mastinu, emergente scrittore tenacemente immerso nell’inferno avvinghiante delle sue creazioni letterarie, a ispezionare gli intricati e angoscianti meandri della mente umana, appassionato bassista alla ricerca di una sintesi liberatoria e appagante tra suono e parola; Michela Becciu, voce potente ed emozionale, luminosa e carica di un mistero inafferrabile che rapisce e cattura, trascinando violentemente in uno spazio altro, intimista ed alieno, dai colori intensi ed accecanti. Un miscuglio di personalità ed energie che hanno dato vita ad un gruppo sinergico, che ha nella essenzialità di ogni suo componente il suo tratto dominante ed imprescindibile. Così ogni pezzo è il risultato di un lavoro collettivo, che non si arrende alla sufficienza ma combina, amalgama, elabora, fonde e cesella fino a ottenere un estratto emotivo-musicale originale e coinvolgente. “Componiamo per noi stessi – ci confessa Matteo Proietti perché prima di tutto dobbiamo soddisfare le nostre esigenze, le nostre emozioni. Tutti pensano che siano le dimensioni dal vivo a generare le sensazioni più forti, ma non sempre questo è del tutto vero: anche in sala si provano moltissime emozioni. Sentire buona musica che esce da te è l’emozione più grande che si possa sentire”- dice sottolineando l’importanza e la magia della creazione musicale. “Vorrei che rimanesse impresso a chi ascolta anche un solo dettaglio al quale ci si può affezionare - dice Michela come un giro di basso che cambia da una strofa all’altra imprimendo una spinta più travolgente”. I pezzi degli Indigo subiscono diverse e 39 ...il risultato è la mescolanza e la fusione di diversi generi, con un’oscillazione che va dal rock alternativo al metal, passando per il progressive... E poi c’è il dolore dell’individuo, quello che vive schiacciato dentro ciascuno di noi, che talvolta si manifesta brutalmente, abbatte le barriere protettive e conduce alla follia: “Anneliese è il pezzo che ha sancito la vera nascita degli Indigo Flow ed è il brano a cui siamo più legati, perché è stata la prima vera creazione collettiva: un po’ per volta, partendo da zero, ciascuno con il suo contributo, siamo riusciti a costruire una canzone nella quale potevano e sono confluite le influenze di tutti” ci dice Luca Mastinu non nascondendo una certa soddisfazione per il titolo scelto, che richiama idealmente una vecchia storia accaduta nella Germania del 1976 alla quale lo scrittore è particolarmente affezionato, la cui protagonista, Anneliese, era una donna posseduta dal demonio. “Nel testo - dice Michela Becciu, che del brano è l’autrice - ho cercato di incanalare uno stato di ansia molto intenso, e forse ci sono riuscita se Luca ha percepito in quelle parole la forza occulta di un plausibile discorso lucido di una posseduta”. Noi possiamo dire che in questo pezzo c’è davvero tutta l’energia degli Indigo e che quell’ansia è come “il tocco delle sue labbra: un inferno apparente” che sprigiona tutta la potenza di questo giovane gruppo bolotanese proiettato verso un futuro di crescita: “Il nostro sogno e il prossimo obiettivo da realizzare è quello di registrare un album” dicono all’unisono i ragazzi.E noi, che non abbiamo resistito e ci siamo fatti travolgere cedendo al flusso indaco, lo attendiamo con trepidazione. ANTAS numerose influenze, tante almeno quanti sono i gusti dei suoi componenti: il risultato è la mescolanza e la fusione di diversi generi, con un’oscillazione che va dal rock alternativo al metal, passando per il progressive. La demo oggi disponibile, autoprodotta dal gruppo e registrata nella Sala Spazio Musica “Luca Longu” di Bolotana, contiene cinque pezzi intensi nei quali si condensano spinte contrapposte e spunti riflessivi. Il brano (In)Attesa ci conduce dentro un corpo percepito e vissuto come una prigione dalla forza malvagia, che inibisce il respiro e stronca il desiderio di una libertà altra, capace di andare al di là dei conformismi imposti e accettati supinamente, oltre “la favola della genetica” che “ancora dà la spinta” alla nostra civiltà e dentro la quale l’uomo, in un tentativo disperato “dietro la parola a proteggersi ancora si ostina”; in Foglie la narrazione di un’insonnia beffarda ci ricorda che “è tempo di essere”, mentre Un fiore che porta il tuo nome che quando ormai tutto è perduto e non rimane nulla “fingere, sai, non funziona più”. foto di Gabriele Doppiu personaggi PAOLO ZICCONI L’omaggio a Luigi Tenco L’artista algherese reinterpreta nel suo nuovo disco il repertorio meno conosciuto del grande cantautore ANTAS 40 testo di Giacomo Serreli Paolo Zicconi aveva esordito discograficamente nel 1999 con Andiras, un lavoro nel quale traspariva intensamente la su impostazione di “cantante colto” attraverso una rivisitazione, quasi “lirica”, di motivi popolari della tradizione sarda e della sua Alghero. Cambia registro quasi tre lustri dopo, nel 2013, con un lavoro interamente dedicato a Luigi Tenco che prende il titolo di In qualche parte del mondo, che è anche uno dei brani più “sognanti” del repertorio del cantautore genovese. Un amore che parte da lontano, il suo per Luigi Tenco. Il primo incontro risale al 1967 quando, ancora ragazzino, venne colpito da quella morte drammatica e insieme misteriosa avvenuta durante il Festival di Sanremo; in quella, cioè, che era la più importante vetrina della televisione e della musica leggera italiana. Dopo il diploma in Conservatorio, i numerosi corsi e stage di canto e una carriera nella musica lirica, questo progetto rappresenta dunque un ritorno alle origini ma con approcci nuovi, tipici di un cantante che ha alternato la musica lirica con l’esperienza etnica, particolarmente ricca e importante, della Sardegna, e con l’amore per la canzone d’autore. Luigi Tenco in questo CD viene rappresentato attraverso die- 41 sui primi effetti del consumismo figlio del boom anni Sessanta che Tenco aveva affidato alla sua penna. Cosi come è sulla fisarmonica che adatta il tono severo della sua voce a quell’impietoso quadretto, che suona di straordinaria attualità, dipinto nella Ballata della vita sociale. Questo lavoro, in sintesi, vuole dimostrare che Luigi Tenco è non solo attuale nei temi e nelle costruzioni armoniche, ma anche che durante una carriera brevissima, durata soli sei anni, ha trattato tutti quegli aspetti che poi saranno altri, dopo di lui, ad affrontare ed esaltare. Aspetti, questi, che fanno di Luigi Tenco una sorta di apripista della canzone d’autore italiana. Il lavoro gode del beneplacito della Famiglia Tenco. Anzi la stessa Patrizia Tenco ricorda la sua genesi, in una giornata di fine maggio del 2010 in una casa di campagna a Alghero. “In quella casa - scrive nelle note del booklet che accompagnano il CD ascoltando Paolo Zicconi cantare accompagnandosi con il pianoforte, si concretizzò il progetto di questo appassionato e sincero omaggio a Luigi, frutto di un lavoro e di un impegno che Paolo e i musicisti che lo hanno accompagnato hanno svolto con grande passione e con il rispetto e la dedizione che possono nascere solo dalla professionalità e da una pura, onesta intenzione”. Progetto reso possibile dall’intervento di musicisti di diversa estrazione, che spaziano dal jazz al pop-rock fino alla musica brasiliana. Vi hanno suonato Paolo Zuddas (percussioni, batteria), Riccardo Collu (batteria), Sergio Fadda (basso elettrico e arrangiamenti), Salvatore Maltana e Nicola Murenu (contrabbasso), Claudio Catalli e Fabio Manconi (fisarmonica), Gian Mario Solinas (organo Hammond), Marcello Peghin, Davide Salvatore Masu (chitarre), Roberto Giglio (pianoforte e arrangiamenti), Mauro Uselli (flauto traverso), Emanuele Dau (tromba e flicorno). Il libretto che completa il digipack è arricchito dalle illustrazioni di Maria Vittoria Conconi, pittrice dell’universo femminile, quello che caratterizza buona parte della produzione tenchiana. ANTAS Progetto reso possibile dall’intervento di musicisti di diversa estrazione, che spaziano dal jazz al pop-rock fino alla musica brasiliana... foto di Marco Fulghieri ci brani, tra i meno conosciuti ma non meno belli, in un percorso che propone le canzoni d’amore visto nelle varie fasi della vita: da quella fanciullesca de Il mio regno a quella adolescenziale de Il tempo passò, o del brano che dà il titolo all’intero lavoro, fino all’amore de La ballata dell’amore, quello più maturo e sofferto di Com’è difficile, Guarda se io e Se sapessi come fai, nel quale l’organo Hammond imprime energia e caratteri pienamente vintage. Già da quei brani, pur se figli di una formazione ancora agli inizi, si avverte lo spessore compositivo della scrittura del cantautore ligure. Testi dai toni fiabeschi, e la delicatezza strumentale ne esalta i contorni tra il pianismo di Roberto Giglio (che con Sergio Fadda firma gli arrangiamenti), i passaggi di fisarmonica di Claudio Catalli, i soffusi arpeggi di Marcello Peghin alla chitarra o i mai invasivi inserimenti del flauto di Mauro Uselli. Ma c’è, brillantissimo, anche l’uso del flicorno del giovane Emanuele Dau, di straordinaria intensità in Com’è difficile o luminoso nel finale di Se sapessi come fai. E c’è anche il Tenco diverso dallo stereotipo di “cantautore triste” che ne ha caratterizzato e alimentato il mito: quello delle ballate ironiche, in cui è evidente una forma pur embrionale di canzone teatro. E così ne La ballata della moda Tenco prende di mira il mondo della pubblicità e ironizza sugli “utenti” meno smaliziati, mentre ne La ballata della vita sociale affronta il tema della corruzione. Così come non manca il riferimento al rock, genere presente anche nella produzione di Tenco, che pure ha nel jazz la sua matrice musicale. Zicconi è abilissimo nell’appropriarsi in maniera molto originale di quei motivi e interpretarli con la padronanza e la personalità di un navigato chansonnier. Nella Ballata della moda il suo è un approccio quasi teatrale all’incalzante progresso narrativo di quel brano e Zicconi è efficace, in un ruolo quasi da cantastorie, nel rivestirlo dell’ironia e dell’amara considerazione personaggi Canto a chitarra. Siamo andati a Bonnanaro per conoscere BACHISIO MASIA Il chitarrista virtuoso dell’arpeggio testo di Antonio Caria - foto di Maurizio Corda ANTAS 42 Specie in questi ultimi trent’anni, nelle gare a chitarra l’accompagnamento dei cantadores è affidato a chitarristi che utilizzano il plettro per suonare. Ciò non vale quando si parla di Bachisio Masia, l’unico chitarrista rimasto a utilizzare l’arpeggio, ovvero il solo tocco delle dita sulle corde. È ormai raro sentire una gara accompagnata dallo stile che è stato prima dei fratelli Ignazio e Peppino Secchi di Sorso e poi di Adolfo e Bruno Merella ma, nelle rare occasioni in cui avviene, si ritorna indietro di tanti anni e si ha il piacere di ascoltare un tipo di accompagnamento che attualmente, per un motivo o per un altro, è preso in scarsa considerazione. ANTAS ha incontrato l’ultimo dei chitarristi ad arpeggio. Bachisio, parlaci del tuo approccio con la chitarra e con il canto sardo. A casa c’era mio padre che suonava la chitarra. Ogni sera, terminata la giornata lavorativa, era solito imbracciarla e suonare un paio di accordi. Sinceramente da piccolo non ero molto appassionato del canto a chitarra: preferivo altri generi musicali, ma gli accordi “sardi” erano sempre presenti in me. Uscivo spesso con mio padre quando andava a fare le serenate con gli amici e qualche volta mi capitò di accompagnare qualche voce. Quando avevo circa 18 anni ascoltai per caso un 45 giri in cui era incisa la famosa disisperada O mama isconsolada cantata da Mario Scanu accompagnato dal fratello Giovanni (chitarrista ad arpeggio, NdA): fu la “scintilla” che mi fece intuire il fascino e le potenzialità del canto a chitarra. Fondamentale è stato per te l’incontro con il grande Adolfo Merella. Sottolineo che ho imparato da mio padre i fondamenti dell’accompagnamento. Una volta, però, approfondita la conoscenza del canto sardo, seguivo spesso Adolfo Merella nelle gare a chitarra. Sentivo grande ammirazione per lui, tanto che andavo a casa sua per imparare e approfondire il suo metodo di accompagnamento. Ho bene impressa una sua affermazione: «La chitarra devi portatela anche a letto». Sono sicuro che avesse sempre la chitarra in mano. Un uomo straordinario, dal quale ho appreso alcune cose fondamentali: l’utilizzo particolare della mano sinistra, i suoi movimenti, il tocco delle corde con le dita ma soprattutto il rispetto verso il canto. Sottolineo che ho appreso alcuni passaggi anche da due chitarristi bonnanaresi: zio Giovanni Battista Saba, noto Trobea, e zio Gigino Soggiu. Ricordi la prima volta che sei salito sul palco? Sì: a Torralba, mi pare nel 1978. Accompagnai due “grandi” del canto sardo quali Francesco Cubeddu di Bulzi e Giovannino Casu. L’occasione mi fu offerta proprio da zio Francesco. Un’altra gara che ricordo bene è quella svoltasi a Bonnanaro nel 1981 per la festa di Santa Barbara, durante la quale accompagnai Giovannino Casu, Francesco Cubeddu di Bulzi e Mario Scanu. La ricordo bene per il fatto che, pur di far esibire Mario Scanu, avevo rinunciato al compenso della gara, anche se, alla fine, il comitato mi riconobbe un compenso. Parlaci del tuo lavoro discografico con Daniele Giallara. È stato veramente una sorpresa per me. La conoscenza con Daniele è avvenuta grazie a un’altra passione che ci lega, il canto corale, dato che lui fa parte del coro di Cuglieri e io, da tanti anni, di quello di Bonnanaro. L’idea di fare il cd era stata sua e mi aveva chiesto di accompagnarlo. Accettai con entusiasmo, riconoscendo a Daniele doti interpretative e una sensibilità artistica fuori dal comune. Il cd è stato inciso nel 2003 per la casa discografica Frorias. È stata una bella esperienza: i canti e le parole sono stati scelti personalmente da Daniele. Una cosa interessante è che nella copertina del cd c’è una fotografia fatta da me che ritrae la vecchia chitarra di mio padre, costruita nel 1946 da un artigiano di Sassari. Secondo te perché l’arpeggio è trascurato nel canto sardo? Un’obiezione che non è raro sentire di questi tempi è che anche Merella, nelle sue esibizioni, fosse accompagnato da un fisarmonicista. Vero! Ma pochissime volte, in quanto lo stile ad arpeggio veniva e viene tuttora limitato, quasi soffocato, dalla fisarmonica. Purtroppo quest’anno si sono svolte solo quattro gare con la tecnica dell’arpeggio. ...l’unico chitarrista rimasto a utilizzare l’arpeggio, ovvero il solo tocco delle dita sulle corde. 43 I motivi sono tanti: innanzitutto, stranamente, i suonatori ad arpeggio hanno la presunzione di essere invitati esclusivamente per far conoscere e sentire il proprio modo di suonare e trascurano le pubbliche relazioni. Un altro fattore deriva dall’introduzione della fisarmonica come secondo strumento della gara: dovendo essa entrare in sintonia con la chitarra, toglie spazio all’improvvisazione e questo comporta che i due strumenti si debbano accordare sui tempi, sul ritmo e sulle variazioni. ANTAS Nel 2004 hai avuto l’onore di poterti esibire negli studi di Radio France a Parigi. Sì, è stata un’esperienza davvero emozionante. Fui invitato da Edouard Fauré Caul- Fauty, giovane etmusicologo francese nonché mio carissimo amico, che ha compiuto importanti studi sul canto sardo. Per l’occasione fu invitato anche il chitarrista Bruno Maludrottu, che suona con l’ausilio del plettro, mentre i cantadores erano Daniele Giallara, Francesco Demuru ed Emanuele Bazzoni. Sottolineo che l’uditorio era composto quasi esclusivamente da studiosi internazionali. focus personaggi cinema Tra Collinas e Cagliari nasce L’ACCABADORA il nuovo film del regista ENRICO PAU Storia di Annetta, una donna emarginata e fragile che, da un piccolo villaggio della Sardegna, arriva in città proprio nel momento in cui iniziano i bombardamenti del 1943 ANTAS 44 testo di Matteo Mazzuzzi - foto di © FILM KAIROS realizzate da Nicola Casamassima Pensi all’accabadora e ti viene in mente una Sardegna misteriosa, remota, quasi arcaica, fatta di piccoli paesi e tradizioni secolari. La mente viaggia verso un’identità fumosa dentro confini tracciati con mano tremante da leggende e incertezze storiche. Colei che finisce, accompagnando uomini e donne malati al termine di un’agonia diventata insopportabile, è una figura che stuzzica l’immaginazione, suscitando dibattiti e giudizi. Ne è cosciente Enrico Pau, il regista cagliaritano alle prese in questi mesi con la lavorazione del film L’Accabadora (uscita prevista nella prima parte del 2015). Sa che il pericolo è quello di perdersi in un labirinto di elucubrazioni storiche e antropologiche che distraggono dal racconto del film: «Si potrebbe pensare a una pagina antica della nostra Isola, a uno scenario di tradizioni sarde - racconta Pau - la realtà del film è diversa». Dunque che film è L’Accabadora? È un film ambientato a Cagliari durante i bombardamenti del 1943. Racconta la storia di una donna che, da un piccolo villaggio della Sardegna, arriva in città proprio nel momento in cui iniziano i bombardamenti. Nessun tentativo di ricerca identitaria? No, non c’è nessun desiderio o fascinazione per temi facilmente identitari e stereotipati. Lo considero un racconto sul passaggio dal mondo arcaico alla modernità, che nella nostra città è paradossalmente e tragicamente arrivata attraverso le bombe. È la storia di una donna che vive un cambiamento, chiusa com’era in un mondo lontano. Una crescita segnata da una serie di avvenimenti legati soprattutto all’apparizione di una sua nipote, figlia della sorella, che entra nella sua vita in maniera forte. bellissima. Quando nasce il progetto di questo film? All’incirca nel 2007. Abbiamo presentato un progetto per lo sviluppo della sceneggiatura, depositando poi titolo e sceneggiatura al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali,e ricevendo un finanziamento importante. Dopo di che abbiamo catturato l’attenzione di Film Kairos, Mammoth Film, Rai e dell’Irish Film Board. Co-produttore è anche il Banco di Sardegna, in regime di tax credit. Inoltre la sceneggiatura ha avuto un finanziamento da MEDIA, la struttura europea di finanziamento per il cinema. Dal punto di vista strettamente visivo, che immagine del territorio emerge in questo lavoro? Per certi versi è una Sardegna fiamminga, vermeriana. Anche fotograficamente abbiamo fatto un lavoro di accentuazione degli aspetti luministici che nella nostra Isola sono estremamente importanti; una luce molto particolare, con dei contrasti molto forti. Qual è stato lo spunto da cui sei partito per realizzare questo film? Nel 2003 ho fatto un laboratorio a Santu Lussurgiu con alcuni studenti di cinema. Quell’ambiente mi ha suggerito di cominciare a lavorare su questo argomento. Tra l’altro in un periodo in cui nessuno se ne era occupato: c’era solo il saggio sull’accabadora di Bucarelli. L’antropologia ufficiale, forse giustamente, non lo vede come un tema fondamentale perché non ci sono documenti. Tuttavia è un personaggio affascinante da un punto di vista narrativo. Con Antonia Iaccarino e Igort, un fumettista, abbiamo iniziato a scrivere un soggetto. Poi io e Antonia abbiamo scritto la sceneggiatura. Considerando anche i tuoi precedenti lavori, Pesi leggeri e Jimmy della Collina, emerge un filo conduttore che è quello dell’emarginazione dei personaggi. Si tratta di una tematica che tu rivedi anche in L’Accabadora? L’accabadora è emarginata dal suo ruo- lo. Se fossero mai esistite, queste pratiche si tramandavano di madre in figlia anche in maniera spietata e crudele. Dare la morte a qualcuno, seppure con un atto di pietà, è un gesto di estrema forza, che richiama la capacità di porsi in un territorio di decisione che non spetta certamente all’uomo. Annetta, Dare la morte a qualcuno, seppure con un atto di pietà, è un gesto di estrema forza... ANTAS Oltre a essere ambientato nella Cagliari del 1943, il film è stato girato a Collinas. È il magnifico villaggio della prima parte del film: un posto che conserva ancora una natura legata al passato, ma senza quei toni di folklore isolano. Tra l’altro è una situazione produttiva straordinaria, perché tutto il paese ci ha adottato ed è stata un’esperienza 45 Nella stesura della sceneggiatura vi siete riferiti a qualche testo o documento sulla figura dell’accabadora? È di totale invenzione. Spesso dico che noi chiediamo quello che gli scrittori chiedono ai lettori: sospendere l’incredulità e provare a concentrarsi su una storia che esiste per i 90 minuti del film: un meccanismo classico di attivazione del gioco fantastico della narrazione. la protagonista del film, è un personaggio emarginato, e la fuga dal paesino per arrivare a Cagliari segna una rottura col passato. Rispetto agli altri film, però, non c’è un vero tema del riscatto. Solo individualmente, attraverso l’amore nelle sue varie forme, c’è una via di fuga e la scoperta di sé. Quanto pensi che L’Accabadora possa aprirsi a un contesto non sardo? Questo film per sua natura è una co-produzione internazionale. Accanto ad attori importanti come Donatella Finocchiaro ci sono anche artisti internazionali come Barry Ward, protagonista dell’ultimo film di Ken Loach. Penso che dovremmo sempre misurarci con storie importanti e ambiziose, provando a essere più aperti verso il mondo. Nel cinema mi sembra che ci stiamo riuscendo, perché abbiamo un pubblico che va oltre la Sardegna. ANTAS 46 La Sardegna resta tuttavia un punto fisso nei tuoi lavori. Avere un pubblico sardo è una cosa che dà una grande sicurezza. Mi dà una forza enorme sapere che ci sono persone nella nostra Isola che amano quello che facciamo. È qualcosa che nasce in un trato moltissimi festival importanti nel mondo; i nostri film sono apprezzati, hanno l’attenzione di critica e pubblico con una varietà di temi e racconti che va dal comico al drammatico. Se avessimo maggiori risorse potremmo far diventare il cinema un’industria sostenibile che potrebbe dare visibilità e lavoro all’Isola. Col cinema si può vivere e i film lasciano ricadute economiche sul territorio, come è successo con la mia produzione a Cagliari. tessuto che tu conosci, di cui fai parte, di cui tu sei una fibra. L’appartenenza a questo microcosmo è fondamentale. Come giudichi il fermento cinematografico che proviene dalla nostra Isola? È quasi un fenomeno da studiare. Se fossimo un piccolo paese saremmo un caso. Con i nostri registi abbiamo cen- Pensi che il film verrà presentato in qualche festival? Sinceramente non lo so. Siamo in fase di montaggio e sarebbe bello pensare di andare a un festival. Al di là di questo, però, dobbiamo essere contenti di essere riusciti a terminare le riprese, con tante difficoltà e in solo cinque settimane. Abbiamo fatto un piccolo miracolo di cui ovviamente devo ringraziare tutti: i tanti sardi coinvolti, la produzione, chi ci ha messo nelle condizioni di lavorare, la troupe che è stata straordinaria e gli attori, tutti grandi professionisti. Per un regista è un privilegio lavorare con attori così. ANTAS 47 focus fumetto Si cerca un editore per dar vita alla storia di Kirru e i suoi amici che tra torri nuragiche e ancestrali misteri popolano i disegni realizzati da IVANO CIRINA Un fumetto per raccontare la cultura sarda ANTAS 48 testo di Moreno Pisano La storia sarda attraversa un momento di grande vivacità grazie ai sempre più curiosi e appassionati che studiano le origini e le vicissitudini del popolo isolano. Recentemente, anche grazie alla musealizzazione dei primi giganti di Monti Prama e a diversi studi che provano a riscrivere la storia della nostra Isola, si potrebbe affermare la grandezza della civiltà nuragica alla pari dei popoli che prima della nascita di Cristo hanno popolato il Mediterraneo. In attesa che la storia onori il glorioso passato, la Sardegna ha sempre avuto difficoltà ad affermare le proprie radici, sia dentro che fuori dall’Isola ed è ancora difficile veicolarne nel modo corretto e incisivo i contenuti. Se vogliamo conoscere chi eravamo ci rimangono da consultare i libri nelle biblioteche o immergerci nella letteratura sarda che, attraverso la narrazione ,ci ripor- ta al passato. Tra le idee innovative che grazie alla tecnologia ci permettono di accorciare le distanze tra noi e il passato c’è quella della narrazione a fumetti di Ivano Cirina, 27enne di Suelli che, oltre ad appassionarsi e a visitare i luoghi-simbolo della nostra cultura, ha utilizzato l’abilità nel disegno per dare anima a una storia in grado di riportarci nel passato attraverso un fumetto. Nelle vignette la storia di Kirru Kaska 49 Leggi tutte le tavole della Demo di Kirru Kaska sulla versione digitale di Antas scaricabile da www.portreview.it ANTAS - nome ispirato agli studi di Leonardo Melis - ambientata in una Sardegna di metà Ottocento dove emergono gli abiti tradizionali, gli antichi mestieri e le tipiche abitazioni che fanno da sfondo alle avventure di Kirru, bambino vivace e curioso, e dei suoi compagni, alla ricerca di ancestrali misteri legati alle migliaia di torri che svettano in tutta l’Isola. Un percorso che mette nelle mani del lettore il passato attraverso un’avventura degna di un fumetto Manga, dove alla tipicità delle ambientazioni si coniuga la fantasia, che porta immaginare ciò che le nostre leggende ci tramandano dalla notte dei tempi. Una fantasia che porta la cultura del passato nel nostro futuro, adeguandosi ai mezzi di comunicazione e alla velocità con cui oggi abbiamo bisogno di ricevere informazioni. Uno strumento di conoscenza per tutte le età, capace di parlare un linguaggio semplice e accessibile non solo per gli addetti ai lavori. Nella ricerca dei toponimi che contraddistinguono il fumetto, Ivano Cirina ha scoperto anche l’origine del suo cognome che, sempre secondo gli studi di Leonardo Melis, si ritrova tra i re Shardana di Cirpo e nelle miniere di rame, in particolare Funtana Raminosa, dove è stato rinvenuto il toponimo “Cirina”. Un lavoro, quello di Ivano, passato sui libri ma non solo: le visite sul campo tra i nuraghi, in particolare all’ombra del Piscu, o battendo i sentieri che portano ai recenti scavi delle tombe prenuragiche di Pranu Siara e il continuo confronto con studiosi e ricercatori l’hanno portato a mettersi al servizio della riscoperta della Sardegna con l’arte del disegno e del fumetto. Quale sorte e quali ambizioni per strisce che aspettano di uscire dalla tavole custodite dentro un pc e prendere vita sulla carta? “Per ora attendo un editore che voglia scommettere sul progetto senza nessuna pretesa, ma con l’ambizione di essere parte di uno dei tanti piccoli contributi in grado di ricordarci e di farci conoscere in forme diverse chi eravamo - dice Ivano Cirina - con la speranza che Kirru diventi per la Sardegna ciò che altri celebri fumetti come Tex Willer sono diventati per il Texas, oppure un vero e proprio simbolo di promozione dell’Isola attraverso i suoi prodotti esportati in tutto il mondo”. ACTORES ALIDOS Un viaggio appassionante tra teatro, musica e danza ANTAS 50 testo di Matteo Mazzuzzi Quando si oltrepassano le porte d’ingresso del Teatro Centrale Alidos di Quartu, si avverte una sensazione particolare. Le tonalità di rosso che caratterizzano pareti, mobili e tendaggi tradiscono una passione pervasiva, che si mostra chiara e limpida nel corridoio di accesso alla sala. Ai lati della camminata infatti, due grandi librerie accolgono circa 5000 volumi e 1000 documenti audio e video che costituiscono un vero e proprio centro di documentazione sullo spettacolo: «Ci siamo trasferiti da Cagliari nel 1995 affittando questo cinema abbandonato che abbiamo ristrutturato e rinnovato, senza un euro dalle istituzioni, per renderlo un teatro» racconta Gianfranco Angei, direttore artistico della Compagnia Teatro Actores Alidos. Il rinnovamento d’altronde è nella genetica del gruppo quartese. A partire dal nome (“teatro di attori che si rinnovano”, dall’antico logudorese) per arrivare alla poetica teatrale, capace negli ultimi 30 anni di scrivere pagine importanti sui più rinomati palcoscenici internazionali. L’ultima ha ancora l’inchiostro fresco: il 5 dicembre, al Teatro Toursky di Marsiglia fondato dal grande Leo Ferrè, ha fatto il suo debutto internazionale la nuova produzione “Mobilit-azione”, una visione dell’arte e del mondo ispirata all’espressionismo che grida la sua voglia di salvare il teatro e la cultura. UNA STORIA LUNGA TRENT’ANNI Sin dalla fondazione, nei primi anni Ottanta, la produzione di spettacoli è la principale attività della compagnia: «Non si tratta mai di semplici messe in scena ma di creazione per assecondare le esigenze mie e delle persone con cui lavoro» spiega Angei mentre sfoglia il catalogo degli spettacoli. Il repertorio degli Actores Alidos è un campionario sulle varie espressività dell’attore. Alcuni dicono si tratti solo di teatro di corpo, ma Angei non è d’accordo: «In primo luogo non escludiamo la parola. Nello spettacolo “Medea”, ad esempio, la parola è elemento importante che s’incontra e si scontra con la musica che diventa a sua volta personaggio. Alcuni, poi, dopo aver visto lo spettacolo “Paristoria”, incentrato sulle leggende e tradizione della Sardegna, ci hanno definito addirittura come compagnia di teatro danza». C’è poi il filone del teatro ragazzi: “Zitti zitti”, allestimento del 2013, ha vinto il premio del pubblico al Fringe Festival di Roma. «Personalmente - spiega Angei - mi viene difficile mettermi un’etichetta, ma con orgoglio posso dire che forse siamo l’unica compagnia in Italia che si è affermata a livello internazionale sia nella musi- Laras de coraddu - foto di Maurizio Beretta focus teatro Il direttore artistico Gianfranco Angei racconta la straordinaria storia trentennale degli Nata ufficialmente nel 1982, la Cooperativa Teatro Actores Alidos si occupa di teatro di ricerca e sperimentazione ed è riconosciuta come compagnia professionale di interesse nazionale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali fin dal 1985. Dal 2001, inoltre, è riconosciuta come teatro d’innovazione per la ricerca e sperimentazione. Sono oltre 35 gli spettacoli prodotti e circuitati in territorio nazionale e internazionali. Oltre ad aver partecipato a prestigiosi festival internazionali in Italia e all’Estero (Portogallo, Spagna, Francia, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Danimarca, Belgio, Austria, Polonia, Finlandia, Repubblica Ceca, Albania, Norvegia, Olanda, Gran Bretagna, Irlanda, Egitto, Grecia), il gruppo ha ottenuto importanti riconoscimenti tra cui il recente 1° premio al Festival Concorso Malzhaus di Plauen in Germania, il Premio Maria Carta in Sardegna e il terzo posto nel Festival Concorso Teatro Ragazzi di Padova. Valeria Pilia e Paolo Fresu in Medea foto Michele Losito 51 Paristoria - foto di Priamo Tolu CANTI DELLE DONNE SARDE Cifra estetica fondamentale della compagnia è, come detto, la capacità di mescolare diversi linguaggi espressivi. Non ultimo il canto, a cui è legata una delle più note e premiate produzioni, Canti delle donne sarde. «Nel 2001 - racconta Angei - iniziammo una ricerca a carattere antropologico sulla Sardegna, approfondendo anche le conoscenze sulla musica. Fummo anche stimolati dalla direttrice di un festival in Francia che ci suggerì di presentare uno spettacolo maggiormente legato ai canti». La forte componente femminile della compagnia fa virare subito il lavoro sui canti delle BIO ANTAS ORGANIZZAZIONE E DIDATTICA La compagnia ha anche una tradizione di attività organizzative di rilievo: «Quando nel 1986 portammo gli Els Comediants, uno dei gruppi più importanti a livello mondiale - ricorda Angei - ci furono 20mila spettatori. Ma posso citare anche nomi della musica come Michael Nyman. Sono attività che organizziamo sempre meno a causa dei tagli che obbligano a fare le cose senza tenere conto del disegno artistico che si vuole perseguire». Stesso destino per la didattica teatrale, ma per motivi diversi: «In passato invitavamo spesso artisti importanti a fare laboratori e stage. Ora i maestri teatrali sembrano proliferare a dismisura. Ma non rinunciamo a insegnare. Facciamo scuola nel vero senso della parola: i maestri della nostra compagnia dedicano il proprio tempo ai giovani che vogliono fare gli attori professionisti, chiedendo in cambio massima disponibilità a fare studi seri e regolari e a lavorare con noi. Non è semplice fare una scelta così». donne in Sardegna, tradizionalmente monodici, ma rielaborati dall’attrice Valeria Pilia in chiave polifonica: «Le donne sarde cantavano di tutto ma mai in pubblico: ninne nanne e filastrocche per i bambini, canzoni d’amore, di scherzo, canti ecclesiastici e funebri e durante il lavoro». Il successo dello spettacolo è grandissimo. Nel 2005 la Finisterre, una delle case discografiche italiane più importanti nella world music, cura la produzione del primo CD, Canti delle donne sarde, che cattura subito l’attenzione della critica internazionale con l’ingresso nella top ten della rivista internazionale Folk Roots e nella play list della BBC. Nello stesso anno arriva la partecipazione al Womex, la più importante vetrina mondiale della world music. E poi il tour in tutta Europa, con la compagnia, spesso unica rappresentante dell’Italia ai festival internazionali, a suscitare il plauso e l’interesse di pubblico e addetti ai lavori. Come Vinicio Capossela: dopo aver ammirato un concerto del gruppo, il cantautore italiano decide prima di inserire il brano Calipso, scritto da Valeria Pilia, nel disco Marinai, profeti e balene, e poi invita la stessa Pilia e altre due cantanti nel suo tour 2011, nel ruolo di coriste e attrici. E ora, a gennaio, l’uscita del nuovo CD con alcuni importanti ospiti: i Tenores di Bitti, Ambrogio Sparagna, direttore dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, e Sainkho Namtchylak, artista asiatica capace di emettere due note contemporaneamente. Una nuova pagina è pronta per essere scritta. Mobilit-azione - foto di Maurizio Beretta ca, sia nel teatro». focus teatro Una piacevole chiacchierata con la più importante compagnia teatrale del Centro Sardegna BARBARICIRIDICOLI Comicità d’autore e ricerca sociale ANTAS 52 testo di Matteo Mazzuzzi foto di I Barbariciridicoli Leggendo superficialmente la storia de I Barbariciridicoli non si notano particolari differenze rispetto alla genesi di altre compagnie teatrali. Il gruppo barbaricino nasce 1993 dall’iniziativa del regista e direttore artistico Agostino Belloni, che riunisce gli allievi dei laboratori teatrali organizzati nei comuni di Orani e Ottana. Negli anni l’attività si estende sul territorio e, anche attualmente, la compagnia è costituita esclusivamente da giovani barbaricini cresciuti all’interno dei laboratori. Un percorso normale che, tuttavia, se contestualizzato nel tempo e nel luogo, rivela tutte le peculiarità che hanno fatto de I Barbariciridicoli la più importante realtà teatrale del centro-Sardegna. LA POETICA NEL NOME. Il nome è l’elemento fondamentale che riassume con semplicità le caratteristiche essenziali della compagnia. C’è la connotazione geografica, per rivendicare sin dall’inizio l’appartenenza ai piccoli comuni della Sardegna centrale, un territorio privo di una solida tradizione teatrale: «Non solo professionale ma anche amatoriale - specifica Tino Belloni -. Fare teatro in quel periodo era un po’ un’eresia e la mia scelta di fare prima l’attore e poi il regista risultava anomala. Come era anomala la presenza di una compagnia in piccoli paesi come Orani e Ottan,a che dava lavoro ad alcune persone». E poi c’è l’aggettivo, “ridicoli”, così irriverente e autoironico, ma che nasconde significati profondi. Il primo è collegato LIMBA A TEATRO. Scelta importante è stata anche quella di portare in scena la lingua sarda, elemento caratterizzante dei gruppi amatoriali piuttosto che Tino Belloni Scelta importante è stata anche quella di portare in scena la lingua sarda... Gli attori Fabio Milia, Gianni Putzu, Francesca Pinna, Carlo Paletta, Rosa Virdis e Lina Manai nello spettacolo ‘Su sindigu pro una die’ di Francesca Pinna e Tino Belloni politica, ha vinto il secondo premio nella sezione poesia e prosa in sardo dell’edizione 2013 del Premio Gramsci: «Ci ha fatto molto piacere, perché spesso si pensa che teatro comico sia sinonimo di disimpegnato. Questo riconoscimento, invece, testimonia qualcosa di diverso». CIRCOLO VIRTUOSO E FUTURO. Gli effetti del lavoro sul territorio stanno dando i frutti sperati: alcuni elementi della compagnia si muovono anche al di fuori del gruppo ed è cresciuto il fermento teatrale. Inoltre, se nei primi anni era normale avere un continuo ricambio di artisti e collaboratori (dovuto anche alle difficoltà economiche), attualmente il gruppo si è strutturato con elementi stabili che collaborano da oltre un decennio. Ma per Belloni la cosa più importante è stato il riconoscimento della gente: «I primi tempi ci guardavano un po’ così. Ora la gente segue con piacere le nostre attività. Soprattutto Orani è un paese che ha creduto moltissimo in noi». Adesso in programma c’è una nuova produzione incentrata sulle favole dei fratelli Grimm e sui personaggi ormai stufi dei loro ruoli classici, e un progetto di formazione teatrale con il Gal Marghine rivolto ai ragazzi delle scuole per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari del territorio. Il 2015 è alle porte. 53 COMICITÀ E RICERCA. Le sperimentazioni all’interno del genere comico hanno portato la compagnia barbaricina all’utilizzo di formulazioni teatrali innovative. Lo spettacolo “Skabaretch” del 2001, ad esempio, presenta un linguaggio basato su tecniche di formazione applicate nei laboratori: «Si tratta di vera improvvisazione, con creazione di scene in base a carte teatrali estratte davanti al pubblico che indicano elementi quali il personaggio, l’azione e l’ambiente». È attraverso questo spettacolo che la compagnia approda a linguaggi inediti e originali: la scena in ostrogotzo e la pantomima sonora. Nella scena in ostrogotzo gli attori adottano una lingua inesistente inventata sul momento: per certi versi un’estremizzazione del grammelot di Dario Fo, autore molto caro alla compagnia. Tuttavia il Premio Nobel lombardo fa riferimento a una commistione di dialetti esistenti e fornisce i presupposti della scena per aiutare lo spettatore: «Noi invece spiega Belloni - abbiamo costruito uno spettacolo in cui dall’inizio alla fine non c’è una parola in nessuna lingua esistente. E il significato della storia passa naturalmente attraverso le azioni mimiche». Azioni mimiche che sono al centro anche della pantomima sonora a cui si accosta il commento di suoni creato da un attore rumorista. delle compagnie professionali: «È vero - dice Belloni - che il sardo può limitare la possibilità di veicolare lo spettacolo, ma nel nostro territorio è un livello di comunicazione efficace». Da “Manichinzuzù”, primo spettacolo in limba nel 1999, la strada percorsa è tanta: l’ultima produzione, “Su sindigu pro una die”, scritta a quattro mani con Francesca Pinna e riguardante l’attualità e la corruzione ANTAS al genere teatrale privilegiato, quello comico: «Soprattutto nella prima fase abbiamo scelto un genere maggiormente popolare per avvicinare un pubblico non abituato al teatro - racconta Belloni - Tuttavia siamo sempre stati attenti a fare teatro comico, ma impegnato su importanti tematiche sociali, proponendole con un linguaggio diretto e semplice». Il secondo significato ha invece contorni più sociologici: «La cultura nuorese ha sempre avuto un manto di severità e di estrema compostezza e rigidità. Accostare al nome di barbaricini l’aggettivo “ridicolo”, era in qualche modo deflagratorio. L’abbiamo fatto per contestare uno stereotipo culturale, mostrando come il barbaricino abbia maschere diverse, capaci di far ridere con leggerezza». focus accademia GLOBEMUSIC ACADEMY Serena Veraldi ha fondato a Oristano la Una scuola di musica per costruirsi un futuro La giovane fondatrice ha le idee chiare e una grande voglia di scommettere sulla musica come prospettiva di crescita professionale. Per conoscere meglio la sua storia l’abbiamo intervistata ANTAS 54 testo di Pierpaolo Fadda Quando è nata la scuola e cosa ti ha portato a lasciare Milano per trasferirti a Oristano? La mia passione per l’Isola magica, come la chiamo io, è sempre stata parecchio forte, così forte che nell’agosto 2011, per la prima volta inizio a pensare ad un possibile trasferimento, ad un cambio di vita totale. La prima idea di GlobeMusic Academy nasce durante quell’estate, sulla strada tra Alghero e Bosa. La Musica ha costantemente fatto parte della mia vita e il mio lavoro si è sempre svolto in ambito musicale, in particolare in quello dell’educazione e della formazione. Nell’ottobre 2013 il sogno si realizza. Lascio Milano, con un progetto ben preciso e una sola idea nella testa: mettere a frutto la mia esperienza e aprire una scuola di Musica moderna a Oristano. Nella primavera del 2014, GlobeMusic Academy apre final- mente i battenti. Nasce la scuola di Musica a Oristano! Di cosa si occupa la Globe Music Academy? GlobeMusic Academy è una scuola di Musica moderna, che propone corsi rivolti a principianti ed esperti. Le attività si articolano tra lezioni di gruppo o individuali, ponendo particolare attenzione al confronto e allo scambio fra musicisti. GlobeMusic nasce con il preciso intento di diventare un punto di riferimento per tutti gli amanti della Musica, proponendo non solo lezioni, ma anche workshop, seminari, incontri, concerti e collaborazioni. Per esempio, abbiamo organizzato a Settembre il seminario “La tecnica al servizio dell’espressività” a cura di Andrea Rodini (vocal coach di X–Factor, docente Sanremo Lab, autore e produttore a Sanremo); abbiamo appena concluso con successo in collaborazione con La casa della Musica di Oristano il Serena Veraldi con Franco Mussida Il saluto ai sardi di Franco Mussida, chitarrista e compositore. Serena è stata la responsabile della segreteria del Cpm Music Institute di Milano per molti anni. Ha lavorato con passione e serietà organizzativa lasciando in tutti, allievi e dirigenti, un ricordo vivo e affettuoso. La sua passione per la Musica e per la didattica maturata in Cpm l’ha portata a proseguire l’avventura nella vostra bella regione. La stima reciproca ha fatto il resto. Siamo davvero contenti di poterla sostenere in questo suo nuovo ruolo di responsabilità nella sua struttura GlobeMusic. Uno spazio che vuole operare con gli stessi principi di libertà e apertura del Cpm che con i suoi 30 anni di lavoro ha lasciato un segno forte nel sistema didattico musicale italiano. Tanti auguri per questo tuo nuovo inizio Serena e un abbraccio ai miei tanti amici Sardi. Franco Mussida Attualmente quanti sono i corsi? GlobeMusic propone un’ampia gamma di corsi tra cui scegliere. Nello specifico abbiamo corsi di livello base e avanzato per gli strumenti Chitarra, Batteria, Pianoforte e Tastiere, seguiti rispettivamente da Alessio Lisci, Maurizio Vizilio e Nicola Piredda, tutti e tre certificati e abilitati CPM Music Institute. Per la sezione Basso e Contrabbasso lavoriamo con Davide Mereu e Tancredi Emmi, entrambi ottimi insegnanti e impegnati in diversi progetti, anche di livello internazionale. I corsi di Canto sono curati da Maura Nardelli, giovane diplomata CPM e cantante professionista e Mino Mereu, cantante, autore e docente, con esperienza decennale in performance live e lavori in studio. La sezione dedicata alla Produzione Musicale è diretta da Giangi Cappai, dj producer e songwriter di fama internazionale. L’ultimo corso che abbiamo introdotto è quello dedicato alla Chitarra Flamenca, di cui si occupa mio marito Marcello Porceddu, musicista di grande sensibilità. Proponiamo poi corsi speciali per bambini, a cura di Maura Nardelli e Manuela Fanari, in collaborazione con l’Asilo d’infanzia Il piccolo Principe di Oristano. Per completare lo studio della tecnica e della pratica sui vari strumenti, l’allievo può poi scegliere tra corsi di teoria musicale, solfeggio, ear training, canto corale, pianoforte complementare. Qual è il legame tra la Globe Music Academy e il prestigioso CPM Music Institute - centro professione musica di Milano? Dal 2008 al 2013 ho lavorato come Responsabile della sezione Corsi al CPM e ho avuto modo di assorbire la filosofia e la metodologia di lavoro di questo luogo, che non è una semplice scuola, ma “Musica a 360°”. Il progetto GlobeMusic è nato anche grazie al lavoro di affiancamento, ai momenti di confronto e all’aiuto dello staff CPM e di Franco Mussida, il quale ha partecipato all’inaugurazione di maggio, facendo da padrino e presentando la Scuola e i corsi al pubblico. Come Network CPM, GlobeMusic Academy ha la possibilità di offrire agli allievi un percorso formativo certificato ed esclusivo, anche grazie all’uso delle Enciclopedie Didattiche e degli Insegnanti abilitati. Usate uno slogan molto forte: “Per il tuo futuro scegli la musica”. Ce lo spieghi meglio? Di musica si può vivere. Come per qualsiasi altra professione vale la regola dell’impegno, dello studio, della costanza e della passione. GlobeMusic Academy aiuta e prepara gli allievi al mondo del lavoro come musicisti. Senza dimenticarci che la Musica è gioia e divertimento! Qual è il sogno nel cassetto di Serena Veraldi? Di sogni dal cassetto ne ho già fatti uscire molti, forse perché ci ho creduto tanto… Se un giorno Mick Jagger volesse affacciarsi alla porta di GlobeMusic, ecco, a quel punto penso che non avrei più nulla da sognare… forse! 55 Nella scuola, per vostra precisa scel- ta, gli insegnanti sono sardi: ce ne vuoi parlare? La scelta di coinvolgere personale del territorio è stata da subito parte integrante del progetto: la Scuola per me deve essere un punto di aggregazione, inserita nel tessuto sociale, non solo delle stanze dove si tengono le lezioni. È imprescindibile che gli insegnanti e i collaboratori siano del luogo. Il tempo mi ha dato ragione. Uno dei punti di maggior forza di GlobeMusic è costituito dal gruppo dei nostri docenti. Persone speciali, sia dal punto di vista professionale che da quello umano. Fin dal nostro primo incontro ho capito di poter contare su figure professionali affidabili e propositive. Sono tutti ottimi musicisti e insegnanti (le due cose spesso non vanno di pari passo!). Alcuni di loro sono molto giovani ma già vantano esperienze professionali decennali. Anche per loro la scuola è un luogo dove passare ore piacevoli, dove poter studiare e lavorare anche su progetti personali, oltre che essere a disposizione degli allievi, per lezioni e consulenze. Ogni allievo è seguito personalmente nel proprio percorso di studi, trovando nel docente un fermo e costante punto di riferimento. ANTAS workshop “Gli strumenti dello strumento Voce” condotto dal nostro docente di canto Mino Mereu. Il 14 dicembre ospiteremo Daniele Russo, noto batterista di Cagliari, per un incontro dedicato a cassa e rullante, mentre stiamo già lavorando per il Concerto natalizio, che coinvolgerà insegnanti e allievi, previsto per Sabato 27 Dicembre a LaTà, famoso locale di musica dal vivo di Oristano. recensione dischi 4 NOTE IN LIBERTÀ con i Caskanolepiramidi CASKANOLEPIRAMIDI Dipingimistoccelo 2014 - Autoprodotto Dipingimistoccelo è il primo disco dei Caskanolepiramidi, la prima prova sulla lunga durata, registrata e pubblicata autonomamente dalla band di Solarussa dopo ben cinque anni di attività. Esordio discografico rilassato per un gruppo che in questi anni ha girato i bar, i concorsi, le feste di paese di tutta la Sardegna presentando un’inedita proposta musicale. Dipingimistoccelo è uscito nell’estate del 2014, quale migliore stagione per dare alle stampe un disco divertente, solare, senza troppe velleità intellettuali ma pervaso invece da una vena espressiva allegra e giocherellona. Testi stralunati in Italiano (ma anche in sardo in Topo is now), demenziali, che rasentano spesso il nonsense, sostenuti da strumentali che strizzano l’occhio al rock’n’roll così come al pop, ma non disdegnano richiami blues (Sognando Alain Delon) e citazioni artistiche tra le più disparate (ascoltare l’incipit di Cazzy a Mary per credere). I riferimenti sono ovviamente quelli famosi: Elio e le Storie Tese, Skiantos (soprattutto a livello testuale) ma personalmente, ascoltando gli stop della prima Nostalgia D’Estate o il finale veloce di Fuck the Stone sono portato a ricordare molto più velocemente i Paolino Paperino Band di Pislas (1993). Completa l’opera l’azzeccatissima cover di Una fetta di limone dei due corsari Gaber/Jannacci e una buona produzione dei suoni curata completamente dal chitarrista e produttore di Cabras Andrea Cutri. Ma conosciamo meglio il mondo un po’ pazzo dei Caskanolepiramidi facendo qualche domanda ai diretti interessati. [Diego Pani] ANTAS 56 foto di Massimo “PirMax” Piras primo periodo dei CSP, che ne delimitano un primo ciclo. L’ispirazione spesso arriva dalla voglia di far cose non banali. Ci piace essere irriverenti. Non abbiamo la presunzione di essere originali, ma sicuramente facciamo qualcosa che il panorama musicale sardo in genere non offre. La gente si diverte ai nostri concerti e questo per noi è già un grande successo. Quale incredibile storia si cela dietro la nascita di una band come Caskanolepiramidi? Tu non ci crederai mai, ma in realtà, all’inizio, non doveva nascere un gruppo. È stato un incontro occasionale e casuale che piano piano s’è tramutato in una storia che ha anche dell’incredibile, ma che fondamentalmente è normalissima. All’inizio eravamo in tre a ballare Lally Gally adesso siamo in sette a suonare il TranquiFunkie. Fare musica divertendoci è il Massimo Comun Denominatore, che ci accomuna, CI lega e CI tiene insieme da ormai un CI-nquennio! E Dipingimistoccelo? Da dove arriva l’ispirazione per i brani che compongono il disco? Dipingimistoccelo in realtà non nasce da un’unica ispirazione: vuole essere più che altro una raccolta dei brani nati durante il Se dovessi trovare un motivo in particolare che vi spinge a suonare insieme quale sarebbe? La voglia di divertirci insieme. I CSP sono prima di tutto un gruppo di amici che fanno musica insieme. Le nostre prove spesso si trasformano in lunghissime jam sessions in compagnia degli amici sempre presenti in saletta. Queste situazioni talvolta forniscono l’ispirazione per la costruzione di nuovi brani e ci restituiscono quella carica in più, importantissima per la nostra attività. Progetti futuri? Dopo Dipingimistoccelo conquisterete il mondo? Per la conquista del mondo abbiamo appena trovato un tutorial serio su REDTUBE, che consigliamo a tutti. Siamo impegnati nella stesura del nostro secondo album, che sarà molto diverso dal primo per idee, suoni e strutture. Stiamo già collaudando alcuni brani dal vivo per capire l’impatto che possono avere con il pubblico. Contemporaneamente, grazie a nuove collaborazioni sviluppate con amici appassionati di film-making, stiamo gettando le basi per la realizzazione dei primi videoclip legati ai brani del disco. Ne sentirete parlare presto. [Diego Pani] DIPENSIERI Non colleziono farfalle 2014 – Autoprodotto Genere: rock/cantautorato Dipensieri è una band musicalmente eclettica che attinge in maniera personalissima dal rock e dalla tradizione cantautorale italiana. Da un’idea di Davide Cadelano il progetto ha attraversato diverse forme fino a trovare una stabile line up in tempi recenti. Il primo album, Non colleziono farfalle (ottobre 2014) racchiude in quattordici brani tutto il carattere poliedrico della band: le composizioni e gli arrangiamenti spaziano dal rock più genuino ad ambientazioni acustiche più intime, giungendo a scenari più vicini al rock progressivo e all’elettroacustica e, perché no, strizzando l’occhio al pop più schietto. L’uomo e la natura sono i soggetti principali all’interno dei testi di questo disco: viaggi e percorsi umani a volte intrecciati al mondo dei sogni. Storie personali di uomini e donne ritratti nelle proprie lotte quotidiane, nelle esperienze di vita che hanno, come orizzonte comune, la speranza di farcela, di uscirne fuori, la volontà di non arrendersi mai. Cantautore raffinato dalla voce graffiante, Davide Cadelano ha raccolto, durante la sua carriera musicale solista, diversi riconoscimenti importanti, come il Premio Letterario Anselmo Spiga come cantautore italiano. Nel settembre 2013 ha aperto il concerto a due importanti artisti come Diego Mancino e Riccardo Sinigallia, ricavando una discreta attenzione di pubblico e critica. Importante merito nella crescita musicale dei Dipensieri è stato l’ingresso nel 2011 di Lorenzo Lepori (già chitarrista e autore all’interno della band Lame a foglia d’oltremare), che ha aggiunto colori inaspettati all’interno delle scelte compositive. Così come la vena più genuinamente rock è andata rinforzandosi sempre più con l’arrivo di Simone De Muro, batterista di lunga esperienza e di grande ecletticità. La formazione ha trovato poi una più recente stabilità con Massimo Cadeddu (anch’egli già componente delle Lame a foglia d’oltremare), bassista di ampie vedute musicali e dalla tecnica duttile. Redazionale Antas EVEN FLOW Flower Paths 2014 – Autoprodotto Genere: rock/progressive Dopo lo splendido album Ancient Memories aspettavamo con curiosità il nuovo lavoro discografico dei sassaresi Even Flow. E bisogna dire che l’attesa è stata premiata: Flower Paths è un Ep di grandissimo impatto, per certi versi sorprendente: un album diverso dal precedente lavoro, dove le atmosfere acustiche trovano ampi spazi in un’architettura sonora estremamente variegata. Del resto in Flower Paths troviamo collaborazioni prestigiose con Mark Zonder, ex batterista dei Fates Warning, pioniere del progressive metal anni ‘90, Matt Guillory, tastierista e collaboratore di James Labrie, leader e voce storica dei Dream Theater e di Mike Lepond bassista dei Symphony X, band di fama mondiale e successori dei Dream Theater per la scena progressive metal anni 2000. Apre il lavoro discografico Fly, col talentuoso Matt Guillory che dà una visione e un arrangiamento del brano estremamente moderno. Negli assoli di chitarra emergono spunti arabo/ spagnoli molto belli che rendono il brano vivo, con un ritornello melodico estremamente accattivante. Buon inizio, senza alcun dubbio, ma le sorprese non sono finite. Arriva Strong e irrompe nel disco un funky-rock che cattura e affascina: un riff portante di chitarra e il basso di Mike Lepond, bassista dei Symphony X, che fa vibrare l’anima. A metà brano notevole un break strumentale di batteria, coadiuvato da un assolo di chitarra mozzafiato. Sun è la ballad dell›Ep, estremamente fruibile all’ascolto con eccellenti intermezzi di synth che regalano al brano una straordinaria bellezza. Sorprese finite? Nemmeno per sogno. Arriva Captive Ballons, un brano introspettivo della band, quello forse più cupo e meno solare, a tratti sperimentale, ma con un ritornello calibrato al punto giusto che entra facilmente in testa. Chiude il lavoro la superba She’s Always A Woman: gli Even Flow ci hanno regalato una cover di Billy Joel con un loro arrangiamento personale. Una perla che chiude un Ep che conferma in pieno il valore e l’eclettismo della band, che si prepara a una tournée europea. Pierpaolo Fadda RICCARDO LAY Percorsi (Live) 2014 – Autoprodotto, distribuzione Tronos Genere: jazz/world music Contrabbassista e compositore sassarese da sempre in bilico fra free jazz e atmosfere più etniche, fondatore con Antonello Salis dei Cadmo e poi autore di alcune fra le pagine più belle dell’etno-jazz isolano (con il disco Totem che ne è forse la vetta espressiva), Riccardo Lay torna con un bel cd live (“Percorsi” il titolo, quasi a rivendicare una sorta di “summa” della lunga carriera), registrato nel corso del Festival jazz di S.Anna Arresi due estati fa. La formula è quella del contrabbasso-solo, con un’equa ripartizione fra arco e pizzicato, con la presenza però di un brano cantato, la “Gobbura”, brano tradizionale in dialetto sassarese, città dove Lay è nato e a cui è legatissimo , e di numerosi interventi vocali, altra peculiarità del musicista, che contribuiscono a rendere il disco godibile anche ai non addetti ai lavori. Non si tratta certo di un disco facile all’ascolto, ma il gusto melodico di Lay, il parco utilizzo di loop station e live electronics, conferiscono al lavoro una orecchiabilità di fondo che rende ottimo merito all’esecutore. Buona parte dei brani sono già editi in dischi precedenti come Totem e Frammenti, ma la lunga suite inedita Tormenti Metropolitani, anch’essa fra Sardegna e sperimentazione di stampo free, è forse il brano migliore del cd. La cifra del lavoro è il grande amore di Lay per la sua terra, dove è recentemente tornato a vivere: echi di ballo, launeddas, canto a chitarra, compaiono nelle diverse tracce di cui si compone il lavoro, così assolutamente jazz, ma allo stesso tempo così etnico. Un cd per riscoprire uno dei musicisti più validi mai prodotti dall’isola, uno dei pochi che può vantarsi di avere fra I propri fans niente meno che il grande Pat Metheny.Il disco, autoprodotto, è distribuito da Tronos: http://www.tronos.it/ Redazionale Antas RAIKINAS ANTAS 58 (T) R.I.P. 2014 – Electric Valley Records Genere: stoner rock La Sardegna si riconferma terra florida per lo stoner rock. Su Antas ci siamo già occupati di band isolane dedite al desert sound di matrice americana, ed eccoci di nuovo alle prese con una formazione fortemente debitrice di quel suono arido, cupo, venuto fuori dalle sessions di inizi anni ’90 registrate al Rancho de la Luna da gruppi come Across the River, Kyuss, Queens of the Stone Age. Quello che stupisce però, è che la band non tenta semplicemente di assimilare e riproporre la lezione impartita dai gruppi americani di riferimento, ma cerca più caparbiamente di creare un interessante sound proprio, filtrando lo stoner rock attraverso umori e momenti diversi, dal doom anni ’70 a reminiscenze post-grunge (Tears of Fire mi fa quasi pensare ai Soundgarden). All’impronta data dal suono dei brani, i Raikinas aggiungono chiare suggestioni testuali rimandanti la loro terra: la Sardegna diviene così luogo ancestrale denso di storia, miti e leggende, perfetto per ambientare un “viaggio onirico verso la redenzione” (a detta della stessa band) che permane queste dieci tracce componenti (T)R.I.P. Il disco è la seconda prova dei Raikinas, band di Ossi (SS) formatasi nel 2008 con alle spalle diversi concerti dentro e fuori la Sardegna. In partenza quasi una metal band, i ragazzi di Ossi hanno nel tempo sviluppato una predilezione per lo stoner rock e il rock psichedelico di matrice Settanta, ispirazione cardine che ha mosso la scrittura del nuovo lavoro. Il disco scorre cupo, con una sezione ritmica spesso in primo piano, gonfia di frequenze basse, in molti casi l’elemento germinatore dei riff poi ripresi dalle chitarre e ripetuti in maniera ossessiva, come vuole la tradizione dello stoner rock. Le melodie vocali sono ben costruite ma non di facilissima presa: servono più ascolti per apprezzarne appieno la potenza espressiva. Ottimi i saliscendi dinamici, soprattutto per quanto riguarda IV e Into the Void. Bellissima la traccia finale Soon (Bette Blues), un grande prova heavy blues, appunto. Forse la produzione poteva beneficiare di una maggiore attenzione e cura dei dettagli in fase di mixaggio e edit, spingendo maggiormente l’acceleratore su questi bei brani. Bellissimo disco, sono ansioso di sentirlo suonato dal vivo. Diego Pani ADRIANO ORRÙ, PAULO CHAGAS, MAURO SAMBO, SILVIA CORDA Palimpsest Pan y Rosas Discos - 2014 Genere: ricerca, sperimentazione, improjazz Questo progetto è un miracolo della rete e dei social network che, al di là di tutto, garantiscono scambi tra artisti e velocità di comunicazione prima impossibili, con bassi costi e tempistiche quasi in tempo reale (oltre alla possibilità infinita di accedere a conoscenze ed esperienze in ogni parte del mondo). Palimpsest nasce proprio in questa direzione: uno scambio di files via web e l’uso creativo di tecnologie digitali che si prestano a interfacciare suoni e umori abbattendo le barriere spazio-temporali. L’artefice e il coordinatore del progetto è Adriano Orrù, contrabbassista ben noto negli ambienti della ricerca musicale (non solo jazz) che ha deciso di riprendere a frequentare il basso elettrico (suo primo amore di gioventù) e ha chiesto ad altri musicisti (o meglio amici, come lui li definisce) di aggiungere le loro idee alle diverse tracce che sono state spedite via web e viceversa, con una continua sovrapposizione di strati e livelli. Gli amici di cui si diceva sono Mauro Sambo (percussionista veneziano), Silvia Corda (pianista e compositrice che da queste parti non ha bisogno di presentazioni), Paulo Chagas (improvvisatore volontario di provenienza portoghese). Il tutto confezionato e supportato dall’etichetta Pan y Rosas di Chicago che ha messo a disposizione (per politica aziendale) le tracce sul proprio sito con la possibilità di scaricarle secondo la filosofia Creative Commons. Il risultato finale è affascinante: dieci duetti che vedono il basso elettrico di Orrù come costante resistenziale e l’aiuto, sentito e commovente, degli altri musicisti. Una tecnica che ricorda lontanamente quella utilizzata dal surrealismo francese, nota come “cadavre exquis” o cadavere eccellente: un giochino per carta e matita dove ogni partecipante apporta un proprio contributo senza conoscere il lavoro degli altri. In questo caso si lavora allo scoperto e il risultato finale ci regala dieci tracce che nascono da sintonie nascoste, lontane ma percepibili. Si sente la comune frequentazione di ascolti e l’approccio libero e creativo alla materia musicale. Il titolo del progetto (così come la grafica di copertina curata da Giampaolo Gerra) vuole richiamare l’antica tradizione della scrittura che utilizzava la stessa tavoletta per infinite versioni che, stratificandosi, idealmente creano una pagina senza tempo, statica ma in continua mutazione. Ed è lo stesso che fanno i quattro musicisti che, partendo da una base iniziale, continuano a sovrapporre idee e contenuti. Il passo dalla tavoletta di cera alle tecnologie digitali non è poi così lungo. Tutto torna, tutto rivive e si sedimenta negli spazi della nostra percezione. Basta crederci. Claudio Loi PAOLO SANNA, LUCA SANTINI Elementi Setola di maiale - 2014 Genere: ricerca, sperimentazione, improvvisazione Paolo Sanna è prolifico: ha bisogno di comunicare e di far sentire le sue voci. Ha anche bisogno di confrontarsi e scontrarsi con il mondo: quello fisico delle cose ma anche quello immateriale delle sensazioni e delle idee. La sua produzione è ricca, diversificata, mutevole, difficile da seguire, ma sempre riconoscibile e coerente. È il rumore (anzi i rumori) di un artigiano che ogni giorno percuote la sua coscienza; che in ogni momento volge lo sguardo altrove per capire e riflettere. Tutto questo è possibile grazie all’apporto e al comune sentire di altri artisti come lui (e in questi anni gli scambi sono molteplici e diffusi oltre i confini della sua isola) e di organizzatori di idee come quelli dell’etichetta Setola di Maiale: pregiata collezione di “musiche non convenzionali” dove Sanna ha trovato casa e le giuste coordinate per esprimere i suoi tormenti musicali. Stefano Giusti, animatore dell’etichetta, ha piena fiducia in Paolo Sanna (l’uomo e l’artista) e il rapporto si esprime ormai oltre la semplice collaborazione musicale. E il connubio con Luca Santini (altro attento esploratore di universi musicali di stanza a Rovereto, profondo Nord) è perfetto proprio perché nasce da una lingua comune e dalla stessa volontà di creare senza protocolli, senza prenotazioni o noiosi copioni da rispettare. Elementi (ultima produzione di Sanna targata Setola) è tutto questo ma anche altro: è ricerca musicale umana e vera, a volte sofferta, spesso indigesta, ma sempre materica e reale, senza subdole sofisticazioni. Si sente in queste 9 tracce il bisogno impellente e primario di sentirsi/ascoltarsi a vicenda, di guardarsi e studiarsi. Una filosofia estetica molto lontana dalla frammentaria e disumana socialità creata dalle nuove tecnologie. Questa è materia che brucia e si consuma, che si trasforma e rinasce sotto nuove forme. Ed è proprio per questo che i silenzi sono altrettanto preziosi rispetto alle masse organiche prodotte dagli oggetti: il silenzio è creazione esso stesso, materia sottratta, annullata, da ricostruire (il buon Cage aveva capito tutto). Per Paolo Sanna (tutta la sua opera lo testimonia ma anche la sua attività di divulgatore e insegnante) la creazione artistica ha senso solo se tra le parti in causa vi è la possibilità di uno scambio reciproco e continuo: non solo tra i musicisti ma anche con chi consumerà questi brani. Quindi uno sforzo enorme per connettersi con le oscure trame del pensiero e dei desideri di chi partecipa all’evento. Questo disco contiene tutti questi elementi: passione, sofferenza, rischio, intelligenza, gioia e dolore. Anzi, come dicevano gli Area: gioia e rivoluzione. Claudio Loi 59 59 ANTAS ANTAS focus eventi recensioni libri SILVIA SANNA Maestra del mio quor Anno 2014 Freschi di Caracò Editore (a cura di Francesco Abate). Illustrazioni di Carmine Luino EURO 12,00 eBook: EURO 5,99 Silvia Sanna, 1981, sassarese, autrice di Fabrizio De André: storie, memorie ed echi letterari(Effepi), 00 giorni sull’isola dei cassintegrati (Il maestrale), Piciocus (Caracò), Una bomber (Caracò) e co-fondatrice di Voltalacarta Editrici, è docente di Laboratori di Storytelling, Editoria e Scrittura creativa. Con l’Associazione “Ponti non muri” si occupa del progetto “Adozioni a distanza” con l’orfanotrofio La Crèche di Betlemme. Maestra del mio quor (Caracò) è l’ironico diario di una mastra alle prime armi. Protagonisti assoluti “i nani”: non creature fantastiche, ma piccoli alunni che con la loro spontaneità e innocenza conquistano il lettore, così come hanno fatto con la stessa maestra. L’autrice, con il suo racconto in prima persona, ci proietta nel mondo della scuola italiana, dove le supplenti vengono chiamate la mattina, le materie d’insegnamento sono una scatola chiusa con contenuto a sorpresa e c’è poco, anzi pochissimo, spazio per la personalizzazione dell’insegnamento. Silvia, maestra un po’ “imbranata” e innamorata del suo mestiere, ci ricorda come i ruoli sociali non dovrebbero mai essere così definiti e quanto i bambini, con la loro genuinità, siano dei veri maestri di vita. Parte del ricavato delle vendite del libro andrà all’orfanotrofio La Crèche di Betlemme. (Deborah Succa) A COLAZIONE CON... SILVIA SANNA sono maestri: molti sono lì per caso, molti perché non c’era alternativa e molti altri, per fortuna, sono lì per scelta. ANTAS ANTAS 60 Com’è nata l’idea di scrivere questo libro? In modo anomalo: da uno scambio serrato di e-mail durato un anno. La mia prima esperienza di insegnamento annuale è stata faticosa: due volte alla settimana mi svegliavo alle 5 del mattino, prendevo due pullman per raggiungere la scuola, facevo lezione, correvo a prendere gli altri due pullman e arrivavo a casa alle 17, stanchissima ma adrenalinica. Mi sedevo e scrivevo una lunga e-mail con il resoconto della giornata, poi la inviavo ad amici, professori, maestri di vita. Avevo bisogno di sfogarmi, condividere gli episodi divertenti, ma soprattutto quei piccoli e grandi dolori di cui le maestre spesso si fanno carico e portano a casa. Quello scambio di e-mail è diventato Maestra del mio quor e spero che condividere quel carico con i lettori possa dare spunti di riflessione. Qualcuno dei protagonisti si è riconosciuto? Ancora non lo so. Però spero, qualunque sia la reazione, che questo libro possa far riflettere chi si riconoscerà. Il mio è il parere di una persona, di una donna, non di una maestra con una grande esperienza alle spalle. Ma le visioni dall’esterno, spesso, svelano scenari ai quali per abitudine non si fa più caso. Mi diverte l’idea che i miei bambini, ora grandicelli, possano riconoscersi tra queste pagine. Maestre si nasce o si diventa? Credo che sia un percorso di crescita umana e professionale che non ha fine e non può averla. Non si entra in classe già da maestri, anche perché la vera lezione la fanno i bambini, non tu. Puoi avere tutta la preparazione acquisita in anni di studi, ma rimarrai sempre spiazzata davanti alle domande dei bambini: sono geniali e sorprendenti. Paradossalmente posso dire che i bambini sono stati i miei maestri, mi hanno insegnato per esempio a non complicarmi la vita, a usare parole semplici, a farmi capire da tutti. Allo stesso tempo, però, credo che la capacità o l’istinto di essere maestri o guide di qualcuno sia già insito in chi poi va a fare questo mestiere con gioia. Sottolineo “con gioia”. Non tutti gli insegnanti Cosa manca alla scuola di oggi? I mezzi, la comunicazione e il sostegno. Per mezzi intendo materiale didattico, strumenti, denaro. Per comunicazione intendo che chi arriva lì da supplente, per esempio, la maggior parte delle volte non sa neanche quale materia deve insegnare, in quale aula e soprattutto se in classe ci sono bambini con disagi comportamentali o mentali. Arrivi lì e da subito devi capire quali sono gli assetti di quella classe, rischiando di fare danni. È una responsabilità enorme. Per sostegno intendo il sostegno psicologico per tutti: bambini, maestre e genitori. Non siamo psicologi, non sappiamo come ci si comporta davanti a un bambino che lancia i banchi fuori dalla finestra o che parla con le proprie dita o che piange appena sente la parola “pipì”. Dovrebbe esserci uno sportello di ascolto in ogni scuola, per tutti, garantendo supporto e privacy per grandi e piccoli. È come spalancare la finestra al mattino, trovarsi di fronte un panorama conosciuto ma avere improvvisamente voglia di guardarlo con occhi diversi, quasi come un turista desideroso di cogliere ogni particolare, sentire suoni e profumi; gustare sapori e racconti di una terra, la Sardegna, affascinante quanto misteriosa, fiera, generosa e sicura di sé. Come una madre che «quando le sbatti la porta in faccia trascinandoti una valigia, non piange. Sogghigna. E pensa: tornerai presto, non puoi stare ALBERTO MARIO DELOGU Ballate per seppellire un fucile Anno 2014 pp. 150 Ethos Edizioni EURO 16,00 “A leggere questa breve e bellissima raccolta di ballate viene proprio da pensare che la Sardegna (e quindi il mondo intero) abbia ancora un grande bisogno di poesia; e di scrivere e riscriversi in tutte e lingue che sa; perché più gente ci può seguire nella nostra strada, meno rischiamo di perderci”. Forse basterebbe questo estratto dalla prefazione scritta dal bravissimo scrittore Alessandro De Roma per descrivere il nuovo libro di Alberto Mario Delogu. Un libro di “ballate”, nate in diverse lingue (quat- CARLO FIGARI Dalla linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini ad oggi e l’avventura di Video On Line Anno 2014 pp. 240 Cuec Edizioni EURO 20,00 La crisi della stampa, il calo delle vendite e il crollo della pubblicità; ma anche l’avvento dei giornali on line e dei siti web che aprono nuovi orizzonti di interesse e rivoluzionarie prospettive per le aziende editoriali. Tutti argomenti trattati con impareggiabile maestrìa nel saggio Dalla Linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini ad oggi e l’avventura di Video On Line, scritto dal vicedirettore de L’Unione Sarda Carlo Figari. Un libro rivolto ai giovani aspiranti giornalisti, a chi per un qualsiasi motivo è interessato all’editoria sar- tro, esattamente: sardo, italiano, inglese e francese) in un arco di tempo di quasi un decennio, trasposte (non tradotte!) nelle altre tre lingue. Le Ballate per seppellire un fucile (con introduzioni del già citato Alessandro De Roma e di Giacomo Mameli) sono poemi da recitare e da cantare, storie di guerra, di soprusi e liberazioni, di fame di pane e di pace, d’identità malintese, sradicamenti e privilegi e di eroi senza fucile. Da Se sapessi, vincitrice del premio Gramsci 2006 per la poesia sarda, alla Ballata per seppellire un fucile, preghiera laica su fondale mediterraneo, passando per la cruda e struggente Le sue mani che guarivano, la subdola Servi, la tecnologica Inchinatevi, l’ipocrita Florelatívide, la patriottica Identità e l’aristocratica Destini di culla. Il libro è stato pubblicato all’attivissima casa editrice Ethos. L’AUTORE - Alberto Mario DeLogu è nato in Sardegna e vive a Montreal, in Canada. È stato caporedattore dei settimanali Insieme a Montreal e Trentagiorni a Toronto. Collabora con La Nuova Sardegna, dove gestisce il blog Sardinians. Ha pubblicato le raccolte poetiche La biodiversità delle parole (2003), Cetre appese (2004), Transamanti (2006) e il romanzo epistolare Sardignolo (2010). (Redazionale Antas) da, ai docenti che aderiscono al progetto nazionale “Il Quotidiano in classe”, agli studenti universitari delle discipline umanistiche e di Scienze della Comunicazione. Partendo dall’attuale grave momento dell’editoria nazionale, che ha colpito anche i media sardi, Carlo Figari ripercorre la storia dei giornali in Sardegna, dalle Gazzette del Settecento ai primi veri quotidiani di fine Ottocento. Dalle vicende de L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna che hanno superato i 120 anni di vita, alle numerose e spesso velleitarie iniziative dei quotidiani aperti e poi chiusi nell’ultimo trentennio. Un capitolo riassume il progetto nazionale “Il Quotidiano in classe” che, da oltre un decennio, si è esteso a gran parte delle scuole superiori anche dell’Isola. La seconda parte del volume è dedicata interamente all’avventura di Video On Line, il primo provider italiano ed europeo di internet e a L’Unione Sarda, che è stato il primo giornale on line in Italia. Tra il 1994 e il 1996 Cagliari fu al centro di un esperimento di portata internazionale: il giornale sardo fu davvero un pioniere del web e Video On Line un fenomeno straordinario. Un libro che rende omaggio a un gruppo di sperimentatori visionari, dall’editore Nicola Grauso ai tecnici che collaborarono al progetto, a tutti coloro che diedero vita a una stagione irripetibile. (Redazionale Antas) 61 Anno 2014 pp. 246 Edizioni della Sera, Roma EURO 13,00 lontano da me». Già dalle prime battute, il libro Cuor di Sardegna, scritto dall’iglesiente Arianna Franceschi per la Eds, Edizioni della Sera, evoca emozioni e magie. Le prime sono quelle che, con prepotenza, invogliano a rivedere luoghi già conosciuti ma, forse, osservati distrattamente; ad apprezzare la bellezza che trasuda dai paesi più piccoli alle città, dalla natura generosa e dalle tradizioni, dalla cucina che regala sapori e arte. Cuor di Sardegna invoglia a conoscere e anche a riflettere: persino di argomenti delicati come le lotte sindacali e le servitù militari, il dramma delle alluvioni o una delle malattie, la sclerosi multipla, che ha scelto la Sardegna come uno dei luoghi “privilegiati”. Ma Arianna racconta tutto con la delicatezza e la poesia di una Sarda (le piace usare sempre la lettera maiuscola quando parla della sua Isola e degli abitanti), consapevole della sua appartenenza e orgogliosa della sua identità. Ed è poesia l’augurio che fa ai suoi conterranei: «A ogni Sardo auguro di imparare a riconoscere gli odori e i suoni della sua terra. Di saperli riconoscere tra infiniti altri, di farsi accompagnare da loro e di portarli con sé ovunque. Di non rinnegarli mai, né sminuirli o maltrattarli». (Cinzia Simbula) ANTAS ANTAS ARIANNA FRANCESCHI Cuor di Sardegna - storie dell’Isola che incanta ANTONIO MUGLIA BRIGATA SASSARI, ritratti di soldati/ retratos de soldados S’annu 2013 Carlo Delfino Editore pp. 197 Euro 25,00 Est unu libru chi andat a pingellu cun su bilinguismu de custa rubrica. Sos «ritratos de soldados» chi su giornalista Antonio Muglia faghet a sos militares de sa Brigata Tàtari ispogiant, si gasi si podet nàrrere, suta de metàfora, 88 òmines e fèminas chi sunt suta sa divisa de sa gloriosa unidade militare sarda. Intre sas pàginas si annotant sas caras, sas miradas de custa gente chi bidet sa morte in ogros, in su mentres de sas missiones. 88 fotografias e 88 pensamentos, unu pro su mègius momentu de cuntentesa, e TRADUZIONE - È un libro che va a pennello con il bilinguismo di questa rubrica. I «ritratti di soldati» che il giornalista Antonio Muglia fa ai militari della Brigata Sassari spogliano, se così si può dire, metaforicamente, 88 uomini e donne che stanno sotto la divisa della gloriosa unità militare sarda. Tra le pagine si osservano i volti, gli sguardi di questa gente che vede la morte in faccia durante le missioni. 88 fotografie e 88 pensieri, uno per il principale momento di felicità, e l’altro per il momento più brutto, quello di paura vissuta in azione o durante uno scontro in Iraq o in Afghanistan, in Kosovo o in Bosnia, o in altri teatri difficili sparsi per il mondo. La prefazione dello storico Manlio Brigaglia chiarisce il senso dell’opera: il primo libro interamente fotografico sulla Brigata, ma anche il primo bilingue. È stato invece mio l’onere di tradurre tutti i testi in sardo, cosa VINDICE LECIS Judikes ANTAS ANTAS 6262 Anno 2014 pp. 288 Edizioni Condaghes Euro 20,00 Dopo Buiakesos e Il Condaghe segreto, con Judikes si completa la trilogia che il giornalista e scrittore Vindice Lecis ha dedicato all’età giudicale. E come negli altri romanzi di Lecis l’invenzione narrativa si intreccia con una puntigliosa ricerca storica. Nella Sardegna di fine XII secolo l’impresa disperata per liberare Prunisinda, moglie del giudice logudorese, dalle segrete di Guglielmo di Calari, in guerra con Costantino di Torres, potrebbe sovvertire i rapporti di forza tra sovrani. Il giudice callaritano è una figura dominante e inquieta, un sovrano di grande levatura Custa la leghimus in sardu s’àteru pro su momentu prus feu, de timoria bìvida in atzione o in carchi isparatòriu in Iraq o in Afghànistan, in Kòsovo o in Bòsnia, o in àteros teatros difìtziles de su mundu. Sa prefazione de s’istòricu Mànlio Brigàglia acrarit su sensu de s’òpera, chi est su primu libru fotogràficu intreu subra sa Brigata, ma finas su primu bilìngue. Est istadu meu, s’ònere de traduire totu sos testos in limba sarda, cosa non semper fàtzile cunsiderada sa resistèntzia de tantos intelletuales contra a sa normativa proposta dae sa Regione Sardigna in su 2006 cun sa Lsc. Batallas meda sunt istadas cumbàtidas finas in custu campu, dae linguistas e intelletuales, non cun mitras e cannones ma cun pinnas e pabiros. In sa post-fatzione apo proadu a ispiegare sos critèrios de tradutzione, e s’importàntzia chi at àpidu su sardu in sas trintzeas in sa Prima Gherra Mundiale. Tando sa limba nostra fiat impreada dae sos soldados comente unu còdighe, pro non si fàghere a cumprèndere dae sos inimigos àustro-ungàricos, si puru custos esserent resessidos a intendere sas comunicatziones. non sempre facile, considerata la resistenza di tanti intellettuali contro le normative proposte dalla Regione Sardegna nel 2006 mediante la Lsc. Molte battaglie sono state combattute anche in questo campo, da linguisti ed esperti, non con mitra o cannoni ma con carta e penna. Nella post-fazione ho provato a spiegare i criteri di traduzione e l’importanza che ha avuto il sardo nelle trincee durante la Prima Guerra Mondiale. Allora “sa limba” era utilizzata dai soldati come un codice per non farsi capire dai nemici austro-ungarici, benché questi fossero riusciti a intercettare le comunicazioni. (Salvatore Taras) e di smisurata ambizione che, successivamente all’occupazione del castello del Goceano, invade l’Arborea e la Gallura facendo prigionieri Pietro I a Oristano e Odolina con la figlia Elena a Civita. Ma deve fare i conti, non molto tempo dopo, con Comita di Torres, costretto dopo una pace umiliante con Pisa a cercare sostegno nel papa Innocenzo III. Nel romanzo un figlio cerca la madre che non ha mai conosciuto, trovando però una verità insospettabile. E anche una giovane donna appare disposta a tutto pur di vivere la sua storia d’amore con l’uomo che ama. Sullo sfondo, gli intrighi dell’arcivescovo di Pisa Ubaldo Lanfranchi e la figura dell’arcivescovo di Torres Biagio, nominato dal Papa. Emerge anche la juighissa Sinispella, moglie di Comita di Torres, sorella di Pietro d’Arborea e madre di Ugo Poncho de Bas, una figura di donna enigmatica e generosa, capace di scelte estreme. Poi tre morti eccellenti a Saccargia: un eccidio dai mandanti oscuri mette in discussione equilibri e rapporti di forza. Judikes è il nuovo romanzo della Sardegna giudicale, una delle più importanti epoche della nostra storia. (redazionale Antas) fANTAStiche emozioni foto di Donovan Frau Le firme di Antas Alessandra Ghiani Scrittrice, blogger, articolista. Scrive per Antas e Mediterranea online IL RISVEGLIO cia scura delle nuvole intente a nascondere l’azzurro del cielo, seguito da un boato cupo e minaccioso. Il sole ritirò i suoi artigli roventi, come un felino che riposa quieto dopo un lungo peregrinare; il ballo in nero del temporale stava per avere inizio. Dapprima furono poche grandi gocce, pesanti come macigni sulla terra assetata. Poi, con un ritmo che si fece sempre più incalzante, la sinfonia di elementi intonò la marcia trionfale della pioggia che distende e disseta. Rivoli d’acqua empirono i solchi della terra, sciogliendo a fatica l’arsura che ne aveva sfibrato la compattezza primitiva. Un velo impermeabile aveva ostruito la sua capacità di assorbire l’umore amico, occorreva tempo per riuscire nuovamente ad assaporarne la linfa ristoratrice. Pian piano il vento si fece brezza e la pioggia violenta divenne docile come un agnello. Passarono i giorni, e di nuovo il sole tornò a mostrare il suo volto e ad abbracciare la terra con un calore che avvolgeva senza mortificare. Un germoglio si fece strada dalle cavità scure del suolo per emergere vigoroso e turgido a mostrare il suo colore. Era il verde della rinascita che, lavato via il torpore sterile dell’estate, riprendeva il suo percorso sulla strada meravigliosamente infinita della vita. ANTAS La terra scura era arida e spenta. Nulla si muoveva, solo il sibilo del vento, secco e tagliente, consolava quella distesa brulla, priva di colore. Il sole, spietato, riverberava il suo calore su ogni zolla, fessura e crepa. Tra le grinze del suolo una formica impavida trascinava un grosso seme sopravvissuto, chissà come, alla voracità degli uccelli. Piccola e determinata, mostrava con fierezza la sua caparbietà. Le zampette si muovevano veloci, come se il suo tempo stesse per scadere, come se dalla sua impresa dipendesse la vita del formicaio. A poca distanza un corvo setacciava col becco le sterpaglie rinsecchite dall’arsura, in cerca di qualche avanzo di carogna vittima del sole o di qualche predatore. Il cielo era limpido come acqua di sorgente, seppur sbiadito dall’intensa luminosità che tutto avvolgeva. Poi, in lontananza oltre le montagne, un tumulto di nembi cominciò a inscurirsi. Cumuli paffuti e gonfi si univano gli uni agli altri in un sodalizio che preannunciava tempesta ma che, a quella distesa arida come sale, pareva un’intensa promessa d’amore. Il respiro del vento si fece più rapido, sferzate di maestrale scesero dalle montagne del settentrione, feroci e affilate come lame appena forgiate. Un lampo di luce illuminò la pan- 63 La nostra Alessandra Ghiani ci regala un racconto emozionante e carico di speranza...