Untitled - Aracne editrice

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A
Maurizio Moscone
Dal mondo a Dio
Aracne editrice
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via Sotto le mura, 
 Canterano (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: maggio 
In memoria di padre Battista Mondin
Indice

Introduzione
Parte I
Ermeneutica odierna

Capitolo I
L’ermeneutica di Vattimo e di Rorty
.. Parlare di metafisica oggi,  – .. L’ermeneutica odierna: la realtà
non esiste,  – .. L’ermeneutica odierna: Dio non esiste, .

Capitolo II
L’ermeneutica di Gadamer
.. Gadamer, il padre dell’ermeneutica contemporanea,  – .. L’ermeneutica dell’arte,  – .. L’ermeneutica della storia,  – .. L’ermeneutica del linguaggio,  – .. Nell’ermeneutica di Gadamer è assente
un criterio di verità. La critica di Hirsch, .

Capitolo III
Da Heidegger a Derrida
.. Heidegger, il padre del relativismo odierno,  – .. Derrida: tutto è
linguaggio, .
Parte II
Fenomenologia e metafisica

Capitolo I
Heidegger e la riabilitazione della metafisica
.. La metafisica è possibile,  – .. La metafisica è possibile come
fenomenologia,  – .. La metafisica dell’essere, .

Indice

Parte III
Metafisica aristotelico–tomistica

Capitolo I
Ontologia
.. Il principio di non contraddizione,  – .. Il principio di non contraddizione (PNC) secondo Severino, san Tommaso d’Aquino e Heidegger.
Un confronto critico,  – .. L’ente,  – .. Il concetto di ente è analogico,  – .. Ente come trascendentale,  – .. Ente come sostanza e
come accidente,  – .. Ente come essenza,  – .. Ente come atto e
potenza. Il divenire degli enti,  – .. Materia e forma: la composizione
dei corpi, .

Capitolo II
Teologia razionale
.. L’originalità della metafisica di san Tommaso d’Aquino,  – .. Dio:
il Donatore dell’essere del mondo,  – .. Dio non è un ente: l’equivoco di Heidegger,  – .. Dire Dio,  – .. Gli attributi negativi di
Dio,  – .. Gli attributi positivi di Dio,  – .. L’agire di Dio “fuori”
di Dio,  – .. Il mistero del male, .

Indice degli Autori
Introduzione∗
L’epoca odierna è caratterizzata, come afferma Vattimo, dall’affermazione dell’ermeneutica, intesa come Koiné universale , come il
linguaggio comune della nostra epoca.
L’ermeneutica ha oggi fatto proprio l’enunciato di Nietzsche, secondo cui “non ci sono fatti, solo interpretazioni” per cui esiste non
la realtà ma la sua interpretazione, che varia storicamente ed è sempre
relativa alla visione del mondo di colui che interpreta.
Non esiste la realtà in sé che può essere conosciuta e alla quale la
ragione umana si deve adeguare per distinguere il vero dal falso, il
buono dal cattivo, il bello dal brutto, perché le interpretazioni della
verità sono molteplici e infinite,e dipendono dalle pre–comprensioni
dei soggetti interpretanti, per cui non si può affermare che esistono
verità assolute.
È visto quindi con sospetto chi sostiene di conoscere la Verità di
qualsiasi ordine (ontologico, teologico, morale) ed è accusato di intransigenza e di dogmatismo perché impedisce il dialogo interpersonale,
il cui presupposto è la ricerca del consenso, il quale è reso possibile soltanto dall’ermeneutica, la quale non impone la verità, poiché
questa, afferma Vattimo, “è solo il risultato del dialogo storico tra le
persone: non siamo d’accordo perché abbiamo trovato l’essenza della
realtà, ma diciamo che abbiamo trovato l’essenza della realtà quando
∗
Parte di questo libro è stata pubblicata sulla rivista «Zenit», con una serie di articoli.
. Cfr. G.V, L’herméneutique comme nouvelle koiné. Éthique de l’interpretation, La
Decouverte, Paris , pp. –.
. F. Nietzsche scrive: “Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: «ci sono
soltanto fatti», direi: no, proprio ì fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non
possiamo constatare nessun fatto «in sé»; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere.
«Tutto è soggettivo», dite voi; ma già questa è un’interpretazione, il «soggetto» non è
niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato
dopo. È infine necessario mettere ancora l’interprete dietro l’interpretazione? Già questo
è invenzione, ipotesi. [. . . ] Il mondo è interpretabile in modi diversi, non ha dietro di sé
un senso, ma innumerevoli sensi. «Prospettivismo»” (F. N, Frammenti postumi
–, fr. , in Opere di Nietzsche, Adelphi, Milano , pp. –).


Introduzione
siamo d’accordo” . Questo modo di pensare si è diffuso nella cultura
occidentale ed ha delle ripercussioni sul piano politico e istituzionale,
per cui vengono approvate delle leggi che sono contrarie al diritto
naturale, come quella sull’aborto, sul matrimonio tra omosessuali con
possibilità di adozione, sull’eutanasia, ecc.
Il diritto naturale viene negato perché anche il concetto di natura
viene considerato un modo di interpretare la realtà che, sviluppatosi
soprattutto nel pensiero greco–medioevale, non ha più alcun valore
nella cultura odierna, la quale si è emancipata dal retaggio del passato
ed elabora continuamente nuovi diritti, rispondenti ai bisogni e ai
desideri dei singoli.
Di fronte a questa situazione, la ragione umana deve prendere
atto che non è una luce che può illuminare la realtà e permettere di
conoscerla veramente? Oppure deve riconoscere di essere stata oscurata
da false dottrine che le hanno offuscato la vista?
Questo libro intende rispondere a queste domande.
Nella prima parte vengono presentate le teorie filosofiche di Vattimo e di Rorty, considerate rappresentative dell’ermeneutica odierna.
Vattimo è il testimone autorevole della filosofia che si è sviluppata
nell’Europa centrale ed è l’erede della fenomenologia di Heidegger.
Rorty ha avuto il merito di coniugare il pragmatismo americano
con l’ermeneutica, che è nata e si è sviluppata soprattutto in Francia,
Germania e Italia.
L’ermeneutica di questi due autori “si appoggia — come scrive
giustamente Grondin — sulla celebre formula «l’essere che può essere
compreso è linguaggio»” elaborata da Gadamer.
Nel libro è quindi analizzato il pensiero di questo filosofo, considerato il “padre dell’ermeneutica” e punto di riferimento essenziale di
Vattimo , e di Rorty.
In particolare, viene preso in esame Verità e metodo, perché in questa
opera viene presentata un’idea di interpretazione che è assente nelle
. G. V, Quale futuro aspetta la religione dopo la metafisica?, in R. R, G. V, Il futuro della religione. Solidarietà, carità, ironia, a cura di S. Zabala, Garzanti, Milano
, p. .
. J. G, L’herméneutique, Presses Universitaires de France, Paris , p. .
. Vattimo conosce molto bene, oltre le opere di Heidegger, anche quelle di Gadamer,
del quale ha tradotto dal Tedesco all’Italiano Verità e metodo; cfr. H.G. G, Verità e
metodo, traduzione e apparati di G. Vattimo, Bompiani, Milano 
Introduzione

altre filosofie e la cui fecondità ha consentito lo sviluppo delle odierne
teorie ermeneutiche.
La chiave di lettura per potere valutare l’originalità dell’ermeneutica gadameriana è costituita dal concetto di Verstehen. Questo termine
in Italiano viene tradotto con “comprensione” e, nell’accezione gadameriana, significa la possibilità dell’essere umano di orientarsi nel
mondo storico in cui vive. Questa possibilità non deve essere intesa
in senso intellettualistico come un’attività razionale tramite la quale
l’uomo conosce la realtà. Il Verstehen, infatti, antecede la distinzione tra
teoria e prassi ed è la capacità specifica dell’uomo di sapersi orientare
nel suo contesto storico e di rapportarsi alle cose.
Il Verstehen è un atteggiamento esistenziale che, secondo il filosofo,
è la condizione di possibilità dell’esperienza estetica, storica e linguistica, che sono oggetto, reciprocamente, dell’ermeneutica dell’arte,
della storia e del linguaggio.
L’esplicitazione del Verstehen è l’“interpretazione” (Auslegung): quest’ultima infatti sviluppa, elaborandole, le virtualità insite nel Verstehen,
sul quale si fonda.
L’interpretazione è quindi l’articolazione della comprensione storica che l’essere umano ha delle cose. L’interpretazione è quindi necessariamente di carattere storico, quindi sempre relativa ai diversi
contesti storici.
Hirsch, uno studioso di critica letteraria, ha giustamente affermato
che Gadamer ha elaborato una teoria ermeneutica essenzialmente
relativistico–storicistica che impedisce la conoscenza della verità.
L’origine di questa ermeneutica relativistica è individuabile nell’antropologia gadameriana, che riflette fedelmente quella esposta in
Essere e tempo da Heidegger, di cui Gadamer è stato discepolo.
Secondo Heidegger l’esistenza è un “progetto gettato”, cioè, come
afferma giustamente Vattimo, secondo il filosofo tedesco l’essere
umano “può entrare in rapporto con gli enti in quanto è già sempre
gettato in una certa apertura storica, cioè in quanto dispone già sempre
di un insieme storicamente dato di criteri, di norme, di pre–giudizi in
base ai quali l’ente gli si fa accessibile” .
L’uomo, “gettato” nel mondo storico in cui vive, interpreta la realtà
con i linguaggi veicolati dalle culture di appartenenza e si compren. G. V, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma–Bari  , p. .

Introduzione
de quindi come Vattimo e Rorty, e gran parte dei filosofi odierni,
accettano l’affermazione di Gadamer, secondo cui “l’essere che può
essere compreso è linguaggio”, “per trarne la conclusione — scrive
Grondin — che è illusorio pretendere che la nostra comprensione
si riferisca a una realtà oggettiva che potrebbe essere raggiunta dal
nostro linguaggio” . Secondo questi filosofi “il linguaggio dovrebbe
rinunciare all’idea di un’adeguazione del pensiero al reale” .
Dal linguaggio non si esce: esso non detiene una referenza a una
dimensione extra–linguistica. Il linguaggio è intrascendibile, quindi è
inconoscibile la realtà extra–linguistica.
A queste conclusioni è pervenuto Derrida, il quale afferma che il
linguaggio, come insieme di segni, non si rapporta alla realtà, perché il
segno, come tale, non ha una referenza a una dimensione extra–segnica,
cioè al reale.
L’antropologia elaborata da Heidegger, e approfondita da Gadamer,
ha posto le premesse per i successivi sviluppi attuati da Vattimo, Rorty
e Derrida.
È necessario sottolineare che nel Verstehen è presente quella che
Gadamer chiama la Zusammengehörigkeit, termine che in Italiano è
tradotto “coappartenenza”. Con questo concetto il filosofo vuole significare che colui che indaga è coinvolto esistenzialmente nell’oggetto
indagato, quindi soggetto e oggetto si “coappartengono”.
Ciò spiega perché in questo tipo filosofia (oggi maggioritaria) ogni
riflessione è originata da un’esperienza personale e soggettiva della
realtà, essenzialmente a–tematica e pre–concettuale, a differenza da
quanto avviene nella ricerca scientifica e in quella metafisica, nella
quale viene “posta tra parentesi” l’esistenza vissuta del ricercatore per
costituire, in modo rigoroso, l’oggetto di ricerca ed il metodo ad esso
corrispondente. Questa operazione riduttiva attuata dalla scienza e
dalla metafisica permette di determinare l’oggetto tramite il metodo e
viceversa, istituendo un rapporto circolare tra il primo e il secondo.
Nella seconda parte del libro, tramite un’analisi del linguaggio,
viene mostrato come una delle sue funzioni fondamentali sia quella
“referenziale”, per cui è necessario entrare nel linguaggio per scoprire
che esso rimanda alla realtà di cui è espressione.
. J. G, L’herméneutique, cit., p. .
. Ibidem.
Introduzione

La realtà può essere denominata in molte maniere, a seconda del
punto di vista secondo il quale la si analizza.
Una stessa realtà può essere detta in molti modi in relazione al
linguaggio utilizzato per esprimerla. Così, ad esempio, per la botanica
il fiore è l’organo riproduttivo delle Angiosperme, per la letteratura
è il simbolo della gioia e dell’amore. Non ha senso chiedersi se ha
ragione la botanica o la letteratura perché sono linguaggi diversi che si
riferiscono alla stessa cosa.
La “cosa” è la stessa e i modi di dirla sono differenti, ma questi
modi di dire non sono arbitrari perché ciascuno di essi coglie un
significato che è insito nella realtà di cui si parla.
Molteplici sono i significati che informano ogni realtà, ma ne esiste
uno che è al fondamento di tutti gli altri e tolto il quale tutti gli altri si
annientano. È il significato “ente”.
Il fiore in tanto può essere l’organo riproduttivo delle Angiosperme
per i botanici o il simbolo della gioia per i poeti in quanto è un ente,
cioè “qualcosa che è” (e non un nulla) e ogni realtà, dalla più semplice
alla più complessa, implica in se stessa il significato “ente”.
Ogni realtà (un uomo, un animale, un vegetale, un minerale) è un
ente e ogni scienza, come diceva Aristotele, è scienza dell’ente perché
una scienza del ni–ente è un assurdo, ma esiste una filosofia che studia
l’ente non secondo aspetti specifici come fanno tutte le scienze, ma
propriamente in quanto ente. Questa filosofia che ha per oggetto di
indagine l’ente in quanto ente è la metafisica.
La metafisica è possibile, contrariamente a quanto aveva sostenuto
Kant, ed è stato Heidegger a riproporre il discorso metafisico in Essere e
tempo, indipendentemente dalle sue intenzioni. Infatti, identificando il
concetto di fenomeno con quello di ente, il filosofo riapre il discorso
metafisico perché la scienza dell’ente in quanto ente è la metafisica; la
quale è rifondabile fenomenologicamente. Utilizzando il metodo fenomenologico, descritto nel paragrafo VII di Essere e tempo, nel libro viene
presentato un percorso fenomenologico che conduce all’affermazione
della differenza ontologica tra l’Essere assoluto e gli enti.
Nella terza parte del libro viene proposta una lettura fenomenologica della metafisica aristotelico–tomistica, mostrando la validità delle
sue tesi.
La metafisica tomistica utilizza molti concetti aristotelici, come
ad esempio: sostanza–accidenti, materia–forma, atto–potenza, ma a

Introduzione
differenza da quella aristotelica è una metafisica dell’essere e non della
sostanza, come afferma giustamente Mondin:
San Tommaso d’Aquino, apparentemente, della metafisica dà la stessa definizione di Aristotele: Metaphisica considerat ens et ea quae consequuntur ipsum
(in Metaph. Proem.). Ma l’accordo è semplicemente apparente. Infatti, se
è pur vero che sia Aristotele sia san Tommaso d’Aquino concepiscono la
metafisica come studio dell’ente in quanto tale, il loro modo di intendere la reduplicativa in quanto ente è profondamente diversa. Infatti ciò che
per Aristotele costituisce l’ente in quanto ente è la sostanza, perché essa
sola possiede l’entità in modo completo e autonomo. Così tutta l’indagine
metafisica di Aristotele cammina in direzione della sostanza. Invece per
san Tommaso d’Aquino ciò che costituisce l’ente in quanto ente è l’essere,
poiché per definizione l’ente non è altro che ciò che possiede l’essere (id
quod habet esse), ciò che partecipa all’essere (id quod partecipat esse) .
Il confronto costante con i testi, non soltanto di san Tommaso
d’Aquino ma anche di filosofi tomisti contemporanei, ha permesso di
valutare criticamente questa corrente filosofica e di costatare quanto
sia attuale il pensiero dell’Aquinate e quanto sia necessario il suo studio
per non essere “sballottati qua e là da qualsiasi vento di dottrina” e
per poter acquisire, sul piano razionale, delle conoscenze valide sulla
realtà del mondo e di Dio.
L’oggetto di indagine della metafisica è il mondo, che viene analizzato nel modo più radicale possibile, e per spiegare la sua esistenza la metafisica deve necessariamente affermare un Fondamento, un
Principio, che renda ragione del suo essere.
La metafisica è propriamente ontologia nella misura in cui si occupa
dell’ente mondano dal punto di vista trascendentale e categoriale; ma
nel momento stesso in cui si interroga sulla causa dell’essere degli
enti, assume la fisionomia della teologia razionale.
La metafisica è quindi come un Giano bifronte, che, come ontologia, ha il volto rivolto al mondo, e come teologia razionale (o
teologia filosofica, o teologia naturale) ha il volto rivolto a Dio, del
quale afferma, in modo incontrovertibile, non soltanto l’esistenza, ma
anche gli attributi, come ad esempio: l’infinità, l’eternità, la bontà;
. B. M, Tommaso d’Aquino. Teologo Filosofo Esegeta, Veant, Roma , p. . Il
corsivo è nel testo. Così anche in seguito; salvo diversa indicazione.
. Ef ,.
Introduzione

nella consapevolezza che di Dio “non possiamo indagare come egli
sia, ma piuttosto come non sia” . perché Egli è il Mistero che, per
amore, dona continuamente l’essere al mondo intero e a ogni singolo
ente, dal più infimo al più nobile.
Alcuni paragrafi del libro sono dedicati al confronto tra la metafisica
aristotelico–tomistica e quella di Severino e alla confutazione delle
critiche mosse da Heidegger alla metafisica, evidenziando come il
filosofo abbia frainteso il senso che l’essere assume nel pensiero di
san Tommaso d’Aquino, riducendo tutta la ricchezza del concetto di
Essere con quello di ente comune.
. T ’A, Somma Teologica, I, q. , Introduzione.
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