LINGUAGGIO
PROGNOSI
RISERVATA
PER IL
congiuntivo
ITALIANO
Se ne parla da tempo, a volte anche a sproposito.
Ma il congiuntivo non sta morendo, non per ora,
almeno. Tutto sta a saperlo usare quando serve e a
lasciarlo da parte quando non serve
Federica Pellegrino
o stato di salute del congiuntivo italiano preoccupa anche il
mondo anglosassone. Gerry
T.M. Altmann, docente alla
York University, nel suo recente saggio
La scalata di Babele (Feltrinelli), lancia
un grido d’allarme: molte lingue sono a
rischio di estinzione e molte altre invece
si stanno impoverendo, come l’italiano in
cui è in declino l’uso del congiuntivo. Sulla questione i linguisti nazionali sono divisi: dopo aver trascorso anni al capezzale dell’illustre malato, alcuni non trovano di meglio che suonare la campana
a morto, altri, invece, basandosi su dati
concreti, osservano che il congiuntivo si
mantiene vitale nei contesti che lo vedono obbligatorio, e il fatto stesso che ogni
il giornale del dirigente
L
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Federica Pellegrino, diplomata in logopedia a Padova, è autrice di numerose pubblicazioni sulla semplificazione del linguaggio
burocratico
singola violazione della norma sollevi un
vespaio di polemiche sta a dimostrare
quanto esso sia radicato nella coscienza
dei parlanti.
È evidente che la veridicità o meno di
queste posizioni può comportare delle
conseguenze operative anche nel campo
della scrittura controllata, dove uno dei
precetti è appunto quello di preferire l’indicativo al congiuntivo.
Vediamo, allora, come stanno le cose.
Verba volant…
La contrazione del congiuntivo a favore
dell’indicativo è un dato di fatto che emerge con prepotenza nel parlato e che sembra non risparmiare nessuno. Ma contrariamente a quanto credono i puristi da salotto e il popolo di Seattle questa volta
non è colpa dell’incuria degli italiani, né
della globalizzazione di una società sempre più anglofona. Il fenomeno dell’eliminazione del congiuntivo, debole al
nord, molto forte al centro-sud, ha origini remote, rintracciabili già in testi siciliani del ’300 e dipende dalle caratteristiche stesse di questo modo verbale, il più
fragile tra quelli diversi dall’indicativo.
Fragile perché ha un sistema di desinenze
poco differenziato, che non si presta a essere ricordato con facilità e può naturalmente ingenerare confusioni. Un esempio
classico è rappresentato dai noti vadi e vadino, di fantozziana memoria, che circolano senza pudore sulle nostre strade: “Vadi sempre dritto e poi giri a sinistra”.
Fragile anche perché non dà un contributo forte alla semantica del verbo. Infatti, mentre l’indicativo presenta un fatto nella sua realtà, il congiuntivo espri-
vare all’accordo”. Questo è il prezzo che
si paga all’emotività: la politica parla con
il cuore, non con la grammatica. Chi tenta di parlare con la grammatica, interpretandola in modo del tutto personale,
però, è il tanto blasonato mondo del calcio. Perdonatemi la digressione – lo ammetto, è un goal a porta vuota parlare
della lingua del Totti nazionale – ma il capitano della Roma, ultimamente, manca
più spesso la palla che il congiuntivo, visto che è il suo modo verbale passe-partout, buono per tutte le occasioni; in una
recente intervista ha dichiarato con orgoglio: “penso che chi possa reggere i 90
minuti arriverà fino in fondo”. Qualcuno
dovrebbe spiegare a lui e ad altri che
estendere il congiuntivo a contesti che
non lo richiedono non renderà giustizia
a tutti i congiuntivi massacrati dall’uso,
ed è una scelta linguistica che la grammatica dell’italiano non approva.
… Scripta manent
Grazie al cielo, l’oscillazione quasi spregiudicata tra congiuntivo e indicativo,
che si realizza nel parlato, non si pratica
nella scrittura, sia perché la comunicazione scritta è più formale di quella orale, sia perché i testi scritti restano agli atti, eventualmente esposti al pubblico ludibrio. Infatti, qualsiasi mutamento linguistico che si affaccia nel parlato trova
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me l’allontanamento dalla realtà e, in alcuni casi, segnala il rapporto di dipendenza sintattica tra due frasi. Ma se il
parlante non avverte più chiaramente
questa sottile funzione, tende ad alternare il congiuntivo all’indicativo in base a
fattori che non sono più sintattici ma stilistici: l’uno caratterizza lo stile formale,
l’altro quello informale.
È del tutto fisiologico, allora, che un giornalista al Tg2, tra gli affanni del dopo elezioni, dica “Buttiglione ritiene che la vittoria di Schroeder indebolisce la posizione europea”; ed è altrettanto fisiologico che il segretario della Cisl, Pezzotta, a
proposito dell’art. 18, dichiari sconsolato “Io non credo che stasera si può arri-
poi un freno alla sua diffusione proprio
nello scritto, il quale, severo custode della norma, lo accoglie con fredda lentezza e non necessariamente è disposto a
promuoverlo.
E se saltasse qualche congiuntivo anche
nella scrittura? Non facciamone un
dramma, anche perché potrebbe non
essere un errore. La lingua, infatti, non
è una strada a senso unico e spesso ci
offre modi diversi – tutti ugualmente
legittimi – per raggiungere lo stesso
obiettivo. Vale la pena sapere, dunque,
che esistono dei casi in cui il congiuntivo può essere sostituito dall’indicativo senza alterare il senso del messaggio,
senza urtare la sensibilità dei parlanti
più attenti e, soprattutto, rispettando la
grammatica.
Uno di questi è rappresentato dalla formulazione di ipotesi. In italiano è possibile esprimere il periodo ipotetico sia con
il congiuntivo e il condizionale, sia con
l’indicativo. Nel primo caso, si presume
che gli eventi messi in relazione non siano reali (si parla appunto di periodo ipotetico dell’irrealtà):
Se avessi le ali volerei.
Nel secondo caso, invece, si presume che
la relazione esistente tra gli eventi considerati sia di tipo causale (si parla allora
di periodo ipotetico della realtà):
Se non risulta possibile alcuna soluzione alternativa, o se la soluzione predisposta dall’organizzatore viene rifiutata dal consumatore per seri e giustificati motivi, l’organizzatore fornirà un
mezzo di trasporto equivalente a
quello originario.
Nell’ipotesi in cui, prima della
partenza, l’organizzatore comunichi per iscritto la propria impossibilità a fornire uno o più dei
servizi oggetto del pacchetto turistico, il consumatore potrà
esercitare il diritto di riacquisire
la somma già pagata.
Il registro formale, però, usa esprimere il
periodo ipotetico della realtà con il congiuntivo:
non lo è con se, congiunzione semplice
che si accompagna all’indicativo, di significato equivalente alle precedenti ma
di uso comune:
Se non risultasse possibile alcuna
soluzione alternativa, o se la soluzione predisposta dall’organizzatore fosse rifiutata dal consumatore per seri e giustificati
motivi, l’organizzatore fornirà
un mezzo di trasporto equivalente a quello originario.
Se, prima della partenza, l’organizzatore comunica per iscritto
la propria impossibilità a fornire
uno o più dei servizi oggetto del
pacchetto turistico, il consumatore può esercitare il diritto di
riacquisire la somma già pagata.
È evidente, allora, che la scelta del modo
verbale dipende qui dalla prospettiva assunta dal parlante, dal suo atteggiamento nei confronti della comunicazione: se
il parlante avverte le due prospettive,
quella reale e quella irreale, come equivalenti, userà indifferentemente l’indicativo o il congiuntivo. C’è, poi, un’altra situazione che permette di schivare il congiuntivo ed è subordinata alla scelta delle congiunzioni, cioè quegli elementi
che collegano due o più frasi. Se, infatti,
il congiuntivo è d’obbligo con congiunzioni complesse come qualora, nel caso in cui,
sempre che, nell’ipotesi in cui:
Per concludere, nel momento in cui le
tecniche di scrittura controllata suggeriscono l’uso dell’indicativo – in contesti che non violano la norma grammaticale – propongono una misura a sostegno del lettore, per il quale il congiuntivo, modo verbale poco frequente e poco
differenziato, potrebbe rivelarsi un
ostacolo alla comprensione di un testo
amministrativo.
Ma gli estensori di testi amministrativi
sono tenuti a conoscere i contesti d’uso
di entrambi i modi verbali, per poter decidere, di volta in volta, quale funziona
e quale no.
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