Lezione di geografia astronomica: sistemi di coordinate celesti, misure di distanza, movimenti della Terra (rivoluzione e rotazione). Sommario della lezione. Capitolo 1: Introduzione ai sistemi di coordinate usati in astronomia. In astronomia solitamente per specificare la posizione di un astro non si usano coordinate di tipo cartesiano (distanza lineare di un punto dagli assi) ma di tipo polare (distanza del punto dall’origine e direzione della linea di vista del punto rispetto a un asse di riferimento). Questo sistema ha il vantaggio di trattare in modo separato la direzione in cui si vede l’oggetto dalla sua distanza dall’osservatore, che spesso per oggetti astronomici è nota in modo impreciso o non è nota affatto. Tutti i sistemi di coordinate polari usati in astronomia si basano su un unico principio. La direzione nello spazio in cui si vede un astro (il vettore r che punta in direzione dell’astro, cioè l’asse che congiunge la posizione dell’astro con l’origine delle coordinate) è specificata da due angoli: il primo angolo (altezza) specifica l’altezza del vettore rispetto a un piano (xy), che viene scelto come piano di riferimento; il secondo angolo (longitudine φ) specifica la direzione della proiezione del vettore sul piano di riferimento, misurata rispetto a un asse del piano che viene scelto come origine delle longitudini (asse x). In alternativa all’altezza sul piano xy si può usare l’angolo formato con l’asse z (indicato in figura con la lettera θ); ovviamente i due angoli forniscono la stessa informazione in quanto sono complementari (la loro somma è pari a 90 gradi). Un esempio molto noto di coordinate polari è costituito dalle coordinate geografiche, longitudine e latitudine. Si tratta di coordinate definite in un sistema di riferimento solidale con la Terra, in cui si assume come piano di riferimento xy il piano dell’equatore. Il piano che passa per il centro della Terra e il punto della superficie in esame definisce un cerchio massimo sulla superficie terrestre, il meridiano locale. La longitudine del luogo è l’angolo φ formato tra il meridiano locale e un meridiano assunto convenzionalmente come origine delle longitudini, solitamente il meridiano di Greenwich, misurato in senso antiorario. La latitudine è l’altezza angolare sul piano dell’equatore della verticale locale (il segmento che congiunge il centro della Terra con il luogo considerato). In alternativa alla latitudine si può usare il suo angolo complementare, la colatitudine θ, cioè l’angolo tra la verticale locale e l’asse Z ortogonale all’equatore (che è l’asse di rotazione terrestre). Latitudine e longitudine definiscono un sistema a griglia di cerchi mutuamente ortogonali: i meridiani sono cerchi massimi (passanti per il centro della Terra) ortogonali al piano equatoriale che corrispondono all’insieme dei punti aventi uguale longitudine … … mentre i paralleli sono cerchi paralleli all’equatore che corrispondono all’insieme dei punti aventi uguale latitudine. A differenza dei meridiani, i paralleli in genere non sono cerchi massimi, cioè non passano per il centro della Terra; solo l’equatore, che può essere considerato il parallelo che corrisponde alla latitudine zero, è un cerchio massimo. Il sistema di coordinate più intuitivo per descrivere la posizione di un astro è il sistema altazimutale, che assume come piano di riferimento il piano dell’orizzonte del luogo dove si trova l’osservatore. I due angoli che definiscono il sistema altazimutale sono l’azimut (scritto anche azimuth), misurato lungo il piano dell’orizzonte (di solito in senso orario da Nord verso Est), e l’altezza sul piano dell’orizzonte. In alternativa all’altezza si usa spesso il suo angolo complementare, la distanza zenitale (lo Zenit è il punto della volta celeste esattamente sopra la verticale locale e quindi ha altezza sull’orizzonte pari a 90 gradi). A causa della rotazione terrestre la volta celeste sembra ruotare attorno a un asse che corrisponde alla direzione dell’asse di rotazione terrestre (Polo celeste). L’animazione mostra la rotazione della volta celeste quando si osserva il cielo verso occidente, cioè dalla parte dove gli astri tramontano. L’altezza del polo sull’orizzonte è uguale alla latitudine del luogo da cui si sta osservando, in questo esempio circa 45 gradi. Questa fotografia del cielo notturno è stata scattata puntando la macchina fotografica (fissata a un treppiede) in direzione nord e usando un tempo di posa di alcune ore. Le immagini delle stelle appaiono come “strisciate” per effetto della rotazione della volta celeste. Come si vede, il moto di ogni stella è un arco di cerchio che ha per centro il Polo nord, l’unico punto che rimane fermo durante la rotazione. La stella più vicina al Polo nord visibile nella fotografia, che compie un arco di raggio molto piccolo, è la Stella Polare. Il moto diurno degli astri (cioè il moto apparente delle stelle dovuto alla rotazione terrestre) consiste in una traiettoria circolare sulla volta celeste che ha per centro il Polo. Alla latitudine di Milano (circa 45 gradi) tutte le stelle che hanno una distanza dal Polo inferiore a 45 gradi percorrono quindi nell’arco della giornata un cerchio completo che si trova tutto sopra l’orizzonte, quindi non tramontano mai (anche se naturalmente di giorno risultano invisibili a causa della luminosità del cielo); si dice che queste stelle sono circumpolari. Le stelle con distanza dal Polo superiore a 45 gradi invece percorrono cerchi che intersecano l’orizzonte e quindi nascono e tramontano. L’aspetto della rotazione diurna e la distinzione tra stelle circumpolari e non circumpolari naturalmente dipende dalla latitudine del luogo da cui si osserva. Se ci si trova al Polo nord, il polo celeste è allo zenit e tutti gli astri percorrono cerchi paralleli all’orizzonte, cioè la loro altezza sull’orizzonte è costante: tutte le stelle sono circumpolari. Al contrario se ci si trova all’Equatore il Polo celeste si trova sulla linea dell’orizzonte e tutte le stelle percorrono cerchi verticali. Quindi all’equatore tutte le stelle tramontano: non esistono stelle circumpolari. Nota: per l’interpretazione della figura, tenete conto che è disegnata mettendo in alto il Polo nord, quindi il piano dell’orizzonte risulta verticale. Se questa orientazione vi confonde, pensate di ruotare la figura di 90 gradi in senso antiorario. Le coordinate altazimutali sono comode in quanto descrivono la posizione di un astro rispetto a punti di riferimento facilmente individuabili dall’osservatore (orizzonte, verticale, direzione del Nord geografico). Tuttavia, poiché la volta celeste ruota rispetto alla Terra, le coordinate di una stella cambiano nel corso della giornata; inoltre le coordinate altazimutali dipendono dal luogo da cui si osserva. In molti casi è quindi più comodo usare un sistema di riferimento solidale con la volta celeste invece che con la Terra. Esistono diversi sistemi di questo tipo, ma il più usato è quello che utilizza come piano di riferimento il piano equatoriale terrestre; ciò è possibile perché l’asse di rotazione terrestre e quindi il piano equatoriale terrestre sono immobili rispetto alla sfera celeste. Le coordinate angolari definite in questo modo vengono chiamate ascensione retta (angolo misurato sul piano dell’equatore, analogo alla longitudine terrestre) e declinazione (angolo sopra il piano equatoriale, analogo alla latitudine). Come punto di riferimento sull’equatore celeste, origine per la misura dell’ascensione retta, si usa uno dei due punti di intersezione tra l’equatore celeste e il piano dell’orbita apparente del Sole intorno alla Terra (eclittica), e precisamente il cosiddetto punto vernale o primo dell’Ariete o punto , che corrisponde alla posizione occupata dal Sole all’equinozio di primavera. Nota: come si vede dalla figura, l’ascensione retta viene spesso misurata non in gradi ma in ore. Non si tratta naturalmente di ore di tempo, ma di una unità di misura alternativa degli angoli che risulta dalla divisione dell’angolo giro in 24 (ore) parti invece che in 360 (gradi); considerata come misura angolare, 1 ora corrisponde a 15 gradi. L’ascensione retta e la declinazione definiscono sulla volta celeste una griglia di coordinate attraverso cerchi mutuamente ortogonali, analoghi al sistema di meridiani e paralleli sulla Terra. Se idealmente si potesse visualizzare la griglia di coordinate definite da ascensione retta e declinazione, questa sarebbe ovviamente solidale con le stelle fisse e quindi si vedrebbe ruotare insieme alla volta celeste nel corso della giornata. Ogni stella fissa ha una posizione sulla volta celeste che è identificata da una coppia di coordinate (ascensione retta e declinazione) che non cambiano nel tempo; naturalmente queste coordinate potrebbero essere trasformate in coordinate altazimutali (valori di azimut e altezza), ma questa trasformazione dipende dalla posizione geografica e dall’ora del giorno. Capitolo 2: Unità di misura e metodi per la misurazione di distanze astronomiche. Gli oggetti astronomici hanno dimensioni molto maggiori di quelle del mondo con cui siamo quotidianamente in contatto. Per farsene un’idea approssimata forse è utile trasformare le distanze chilometriche in tempi di percorrenza di un ipotetico viaggio aereo, supponendo per semplicità di usare un aereo con velocità di crociera di 1000 km/h; a questa velocità una distanza pari al raggio della Terra verrebbe percorsa in poco più di 6 ore, e la circonferenza terrestre (giro del mondo) in 40 ore. Alla stessa velocità la distanza Terra-Luna corrisponde a 16 giorni di viaggio, e la distanza Terra-Sole a 17 anni. È chiaro che per esprimere le distanze dei corpi celesti, anche i più vicini a noi come i pianeti del Sistema Solare, il chilometro non è un’unità di misura adatta … … per cui gli astronomi hanno introdotto altre unità di misura. All’interno del Sistema Solare si usa l’unità astronomica (simbolo AU, dall’inglese Astronomical Unit) , definita come il valore medio della distanza Terra-Sole. Nettuno, il pianeta più lontano, si trova a circa 30 AU dal Sole (molto approssimativamente questo numero potrebbe essere considerato come il raggio del Sistema Solare). Le stelle più vicine al Sole si trovano però a distanze molto superiori (almeno decine di migliaia di volte più grandi), tanto grandi da rendere scomodo l’uso dell’Unità Astronomica. Per esprimere le distanze stellari si usa un’altra unità: l’anno luce, definito come la distanza percorsa dalla luce (che si muove a circa 300 mila chilometri al secondo) in un anno. Un anno luce corrisponde a più di 60 mila unità astronomiche. Le distanze delle stelle più vicine sono dell’ordine di pochi anni luce. Il diametro della Via Lattea, la galassia in cui si trova il nostro Sistema Solare, è di circa 100 mila anni luce. Le galassie distano tra loro milioni di anni luce, e l’Universo ha un raggio di circa 13 miliardi di anni luce. La galassia M31 (“galassia di Andromeda”) è una delle galassie più vicina alla nostra, tanto da essere visibile anche a occhio nudo. Ha un diametro di più di 200 mila anni luce e dista da noi 2,5 milioni di anni luce. Le galassie del cosiddetto “gruppo locale”, di cui fa parte anche la nostra Galassia, sono distribuite in una zona di pochi milioni di anni luce di diametro. Come si misurano le distanze tra i corpi celesti? I più grandi radiotelescopi possono essere usati come radar, inviando un fascio di onde radio verso un corpo celeste e misurando il tempo impiegato da esso per andare e tornare. Questo metodo richiede fasci di onde radio tanto più potenti quanto più l’oggetto è lontano e in pratica può essere usato solo per i corpi del Sistema Solare più vicini a noi (fino a una distanza massima di poche unità astronomiche). Per oggetti più distanti si usa il metodo della parallasse, nome tecnico usato per indicare un fenomeno ottico molto semplice, e cioè che l’allineamento tra oggetti vicini e lontani cambia a seconda della posizione dell’osservatore. Ad esempio la posizione apparente di un albero vicino rispetto a uno sfondo lontano cambia quando mi sposto di lato. Analogamente la posizione di una stella vicina cambia rispetto allo sfondo delle stelle più lontane nel corso dello spostamento ciclico della Terra lungo la sua orbita attorno al Sole. Questo tipo di parallasse viene detta parallasse annuale in quanto il movimento apparente della stella presenta un andamento periodico che si ripete di anno in anno. Si tenga presente che la maggior parte delle stelle sono così lontane che la loro parallasse è praticamente nulla, cioè formano uno sfondo immobile che costituisce un buon riferimento per valutare lo spostamento delle poche stelle più vicine a noi. L’effetto di parallasse risulta tanto maggiore quanto più la stella è vicina al Sole. Lo spostamento angolare dovuto all’effetto di parallasse può essere misurato, e da questa misura si può calcolare direttamente la distanza della stella (dato che la misura dello spostamento dell’osservatore, cioè il diametro dell’orbita terrestre, è nota). Una stella che ha una parallasse di un secondo d’arco ha una distanza dal Sole pari a circa 200 mila unità astronomiche, cioè poco più di 3 anni luce. Questa lunghezza è spesso usata in astronomia come unità di misura delle distanze, con il nome di parsec, in alternativa all’annoluce. Capitolo 3: Il movimento orbitale dei pianeti, le leggi di Keplero e il movimento orbitale della Terra. Il movimento orbitale dei pianeti è stato descritto per la prima volta in modo esatto da Johannes Kepler ed è espresso dalle famose tre leggi che da lui prendono il nome. Keplero scoprì le tre leggi in modo puramente empirico, analizzando le precise osservazioni delle posizioni dei pianeti (soprattutto Marte) che erano state raccolte dal suo maestro Tycho Brahe (1546-1601) e trovando per tentativi la legge matematica che meglio le descriveva. La prima legge di Keplero dice che ogni pianeta descrive intorno al Sole un’orbita periodica di forma ellittica, di cui il Sole occupa uno dei fuochi. Si noti che questa legge dice anche implicitamente che: a) la traiettoria dei pianeti si svolge in un piano, in quanto l’ellisse è una curva piana; b) la traiettoria dei pianeti è chiusa, cioè il pianeta ad ogni giro intorno al Sole ripercorre la stessa traiettoria del giro precedente. L’ellisse è una curva matematica che può essere descritta come un cerchio schiacciato lungo una dimensione: le sue dimensioni sono descritte dal semiasse maggiore a e dal semiasse minore b. Il grado di “schiacciamento” dell’ellisse è descritto da una grandezza che si chiama eccentricità e che può avere valori compresi tra 0 e 1. Un’ellisse con eccentricità uguale a zero ha il semiasse maggiore uguale al semiasse minore e quindi si riduce a un cerchio. Al crescere dell’eccentricità lo schiacciamento dell’ellisse diventa sempre più grande e il semiasse minore si riduce. Quando l’eccentricità arriva a 1, l’ellisse degenera in un segmento (il semiasse minore ha lunghezza nulla). I fuochi dell’ellisse (uno dei quali costituisce la posizione occupata dal Sole) sono due punti posti simmetricamente ai lati del centro lungo l’asse maggiore. La distanza dei fuochi dal centro è tanto maggiore quanto maggiore è l’eccentricità; in un’ellisse di eccentricità nulla (cerchio) i due fuochi vengono a coincidere nel centro. Poiché il Sole non si trova al centro dell’orbita del pianeta, ma in uno dei fuochi, ne consegue che la distanza Sole-pianeta varia nel corso della rivoluzione; il punto dell’orbita più vicino al Sole si chiama perielio, quello più lontano afelio. La seconda legge di Keplero descrive la velocità con cui i pianeti si muovono lungo la loro orbita, che non è costante ma cambia in maniera tale che l’area spazzata dal segmento che congiunge il Sole al pianeta (raggio vettore) descrive aree uguali in tempi uguali. Ad esempio nella figura l’area dei due settori ellittici AB-Sole e C-D-Sole è la stessa: perciò il pianeta percorre il tratto di orbita A-B nello stesso tempo in cui percorre il tratto C-D. Una conseguenza immediata di questa legge è che la velocità del pianeta lungo la propria orbita è tanto più grande quanto più esso è vicino al Sole; in particolare la velocità è massima al perielio e minima all’afelio. La terza legge di Keplero descrive una relazione tra le dimensioni dell’orbita dei pianeti (cioè il semiasse maggiore delle rispettive ellissi) e il loro periodo orbitale. Si noti che questo problema riguarda il confronto tra i periodi orbitali di pianeti distinti, che si muovono su orbite di dimensioni diverse, e non ha nulla a che vedere con la seconda legge, che dice invece come varia la velocità di un singolo pianeta in punti diversi della sua orbita. Facendo una tabella delle dimensioni delle orbite e dei periodi di rivoluzione dei diversi pianeti del Sistema Solare si vede chiaramente come il periodo orbitale aumenta al crescere della distanza dal Sole (semiasse maggiore dell’orbita) anche se non esiste tra le due grandezze una relazione di proporzionalità: ad esempio il semiasse maggiore dell’orbita di Giove è circa 5 volte maggiore di quello della Terra, ma il suo periodo orbitale è quasi 12 volte maggiore. Keplero ha scoperto (con la sua terza legge) che la relazione tra semiasse maggiore e periodo orbitale coinvolge l’uso di potenze: il rapporto tra i quadrati dei periodi orbitali di due pianeti è uguale al rapporto tra i cubi dei rispettivi semiassi maggiori. Nota: per chi conosce le proprietà dei logaritmi, questa relazione appare come una retta di pendenza 2/3 su un grafico in cui entrambi gli assi siano in scala logaritmica. Come abbiamo detto, Keplero scoprì le sue tre leggi semplicemente per via sperimentale, cioè osservando come i pianeti si muovono, senza tuttavia essere in grado di spiegare perché essi si muovono così. La comprensione del motivo per cui i pianeti seguono le leggi di Keplero fu un’impresa intellettuale importantissima che richiese quasi un secolo e che gettò le basi della scienza occidentale come la conosciamo oggi. Le sue tappe principali furono la scoperta della legge fondamentale della dinamica ad opera di Galileo e la scoperta della legge di gravitazione universale da parte di Newton. La prima tappa fondamentale fu la scoperta, fatta da Galileo, del fatto che le influenze esterne (le forze) che agiscono sul movimento di un corpo non producono la sua velocità, ma solo una variazione di velocità; detto in termini più precisi, la forza non è proporzionale alla velocità ma alla accelerazione (variazione di velocità per unità di tempo). La nozione aristotelicoscolastica, accettata fino ai tempi di Galileo, che la velocità dipende direttamente dalla forza deriva da osservazioni tratte dalle esperienze di ogni giorno (un oggetto si sposta fino a che lo spingo; se cesso di spingerlo si ferma) che però si riferiscono a un mondo dominato dalle forze d’attrito. Se si riesce a eliminare l’attrito, totalmente o parzialmente (per esempio studiando il moto di biglie che rotolano su una superficie liscia) ci si accorge che i corpi lasciati a se stessi tendono a mantenere una velocità costante (legge di inerzia), e che una forza è necessaria per variare la loro velocità in qualsiasi modo (sia per accelerarli, sia per rallentarli o fermarli, sia per deviarli). Senza questo concetto fondamentale era impossibile anche semplicemente porsi le domande corrette che permetterebbero di iniziare lo studio della dinamica dei pianeti. Infatti la meccanica aristotelica porterebbe a cercare una forza che spinge i pianeti lungo la loro traiettoria circolare, cioè una forza tangenziale; secondo la meccanica galileiana è invece necessario cercare una forza che abbia l’effetto di deviare la traiettoria del pianeta, che di per sé sarebbe rettilinea, facendola curvare verso il Sole, cioè una forza centripeta. A Newton si deve la scoperta della forza attrattiva richiesta per mantenere il pianeta su un’orbita ellittica. Newton scoprì che tutti i corpi si attraggono reciprocamente con una forza proporzionale al prodotto delle loro masse e che diminuisce come il reciproco del quadrato della loro distanza. Come la Terra attrae verso il suo centro tutti gli oggetti posti nelle sue vicinanze, anche il Sole nello stesso modo attrae i pianeti. Sviluppando appositamente nuove tecniche di calcolo estremamente raffinate (quello che oggi si chiama calcolo differenziale e integrale) Newton riuscì a dimostrare che le tre leggi di Keplero erano una conseguenza matematica inevitabile della legge della dinamica di Galileo e della legge di attrazione universale. Le leggi di Keplero valgono esattamente solo per un pianeta che sia soggetto solo all’attrazione del Sole; questa condizione si verifica perfettamente solo per i sistemi binari (composti da una stella e un pianeta o da due stelle). In realtà nel nostro Sistema Solare i pianeti si attraggono reciprocamente tra di loro, anche se questa forza è molto più piccola dell’attrazione solare (il pianeta più grande, Giove, ha una massa che è solo un millesimo di quella del Sole). Questa piccola forza aggiuntiva all’attrazione solare produce delle piccole perturbazioni alle orbite dei pianeti, che quindi seguono traiettorie che non sono più esattamente ellissi o, detto in altri termini, sono ellissi che si deformano lentamente nel tempo. In generale per effetto delle perturbazioni planetarie tutti i parametri che caratterizzano l’ellisse (semiasse maggiore, eccentricità, inclinazione e giacitura del piano orbitale) variano nel tempo. Ad esempio la linea degli apsidi (la linea immaginario che congiunge il Sole al perielio, il punto dell’orbita più vicino al Sole) ruota lentamente nel tempo: per effetto delle perturbazioni, l’orbita non è più una traiettoria chiusa. Animazione che illustra schematicamente il movimento della linea degli apsidi si un pianeta per effetto delle perturbazioni planetarie. Grafico che illustra la variazione di eccentricità orbitale di uno dei pianeti principali per effetto delle perturbazioni degli altri pianeti, su un periodo di 2 milioni di anni. Grafico che illustra la variazione dell’inclinazione dell’orbita di uno dei pianeti principali per effetto delle perturbazioni degli altri pianeti, su un periodo di 2 milioni di anni. Capitolo 4: Il movimento di rotazione della Terra. La dinamica del moto di rotazione di un corpo è soggetta a leggi che sono simili a quelle che governano il moto di traslazione. La rotazione di un corpo è descrivibile per mezzo di una quantità, chiamata momento angolare (oppure momento di quantità di moto), che molto approssimativamente potrebbe essere descritta come la sua “quantità di rotazione”, oppure anche la sua “inerzia rotazionale”, cioè la misura della sua tendenza a opporsi a cambiamenti di velocità di rotazione. Il momento angolare è uguale al prodotto della velocità angolare di rotazione per il momento di inerzia del corpo, che a sua volta è il prodotto della massa del corpo per la distanza a cui la massa si trova rispetto all’asse di rotazione (questa definizione vale per un corpo puntiforme; per un corpo composito il momento di inerzia è la somma dei prodotti delle masse dei diversi elementi che lo compongono, ciascuna moltiplicata per la sua distanza dall’asse di rotazione). Il momento di inerzia di un corpo è quindi una caratteristica della sua struttura fisica, non del suo stato di moto. La legge di inerzia per un corpo rotante prescrive che il momento angolare di un corpo non soggetto a forze esterne non cambia (è costante nel tempo). Si noti che questo implica che la velocità angolare di rotazione è costante solo se il momento di inerzia del corpo non cambia (ad esempio per un corpo rigido). Se un corpo rotante, non soggetto a forze esterne, si contrae (la distanza delle sue parti dal centro di rotazione diminuisce), la sua velocità di rotazione aumenta per la conservazione del momento angolare. Quando un corpo in rotazione è sottoposto a forze esterne, il suo momento angolare può cambiare; questo effetto non dipende solo dall’intensità della forza, ma anche dalla sua direzione e dal punto in cui è applicata. Una forza applicata direttamente sull’asse di rotazione non ha alcun effetto sulla rotazione stessa (mentre naturalmente ha un effetto sul moto di traslazione); anche una forza applicata in un punto esterno all’asse di rotazione ma diretta verso l’asse stesso non ha alcun effetto. In definitiva ciò che provoca una variazione di momento angolare non è la forza in sé ma il suo momento torcente, cioè il prodotto della componente della forza ortogonale all’asse di rotazione per la distanza del punto di applicazione dall’asse. A volte la dinamica del moto di rotazione di un corpo non è intuitiva come quella del moto di traslazione. Consideriamo ad esempio il comportamento di un rotatore simmetrico (trottola). Se la trottola non fosse soggetta a forze esterne, il suo asse di rotazione sarebbe immobile e la sua velocità di rotazione costante. In realtà sappiamo che l’asse di rotazione di una trottola si muove secondo una traiettoria conica. Questo moto, chiamato di precessione, è dovuto alla forza di attrazione terrestre verso il basso. In termini molto semplificati il meccanismo è questo: la gravità tenderebbe a inclinare il corpo lateralmente, cioè a farlo ruotare secondo un asse di rotazione orizzontale; questo cambiamento di momento angolare (orizzontale) si somma al momento angolare posseduto dal corpo (inclinato rispetto alla verticale) producendo uno spostamento laterale dell’asse di rotazione. L’unica forza esterna in grado di influenzare la rotazione della Terra è l’attrazione gravitazionale di altri corpi celesti, principalmente la Luna (perché è il più vicino) e il Sole (perché ha la massa più grande). L’efficienza di una forza esterna nel provocare variazioni di rotazione dipende strettamente dalla forma del corpo soggetto alla forza. Un corpo esattamente sferico non avrebbe nessuna variazione di rotazione, perché ogni forza di attrazione esterna che agisce su una sua parte sarebbe esattamente controbilanciata da una uguale forza agente su un’altra parte uguale disposta simmetricamente rispetto all’asse di rotazione. La Terra tuttavia non è una sfera perfetta: il suo raggio in direzione di uno dei poli è leggermente inferiore al raggio equatoriale. La forma della Terra è quindi quella di un ellissoide di rotazione, cioè una sfera leggermente schiacciata ai poli che tuttavia mantiene una simmetria attorno al suo asse di rotazione. In altre parole, l’equatore e tutti i paralleli sono cerchi perfetti; tutti i meridiani sono ellissi aventi il semiasse maggiore più lungo del semiasse minore di circa 21 km. In termini più approssimativi si parla di rigonfiamento equatoriale terrestre. La particolare simmetria della forma della Terra (simmetria attorno all’asse di rotazione ma non intorno a ogni altro asse non passante per i poli) fa sì che l’attrazione gravitazionale degli altri astri non possa produrre nessun momento torcente parallelo all’asse di rotazione, ma solo un momento torcente ortogonale ad esso. La Terra si trova cioè in una situazione analoga a quella di una trottola e quindi è soggetta a un moto di precessione. La precessione della Terra (chiamata lunisolare perché prodotta principalmente dall’attrazione gravitazionale del Sole e della Luna) consiste in un movimento dell’asse di rotazione lungo una traiettoria che ha la forma di un cono di apertura pari all’inclinazione dell’equatore sul piano orbitale del Sole e della Luna (circa 23 gradi e mezzo). Questo movimento è molto lento: un ciclo di precessione si svolge in circa 26 mila anni. Per effetto della precessione la posizione del polo di rotazione si muove lungo una traiettoria circolare sulla volta celeste. Il polo nord, che oggi si trova molto vicino alla Stella Polare (nella costellazione dell’Orsa Minore), in passato è transitato attraverso costellazioni diverse. L’attrazione dei corpi esterni (ad esempio della Luna) produce anche il fenomeno delle maree. Poiché l’attrazione lunare è diretta verso il centro della Luna e diminuisce all’aumentare della distanza da esso, essa ha una direzione e una intensità differente in punti diversi della Terra: ad esempio è più forte nel punto della superficie terrestre posto immediatamente sotto la Luna e più debole nel punto diametralmente opposto. Il valore medio dell’attrazione lunare (corrispondente all’attrazione in un punto vicino al centro della Terra) è controbilanciato esattamente dalla forza centrifuga generata dal moto orbitale del sistema Terra-Luna. Sulla superficie terrestre la combinazione della forza centrifuga e dell’attrazione lunare diretta danno una forza risultante (chiamata forza mareale) che, a seconda del punto considerato, è diretta verso l’esterno o verso l’interno. La forza mareale produce una deformazione della superficie terrestre che segue l’andamento della direzione della forza stessa, cioè un rigonfiamento di forma ellittica (una specie di “sigaro”) che ha il suo asse maggiore orientato nella direzione del corpo che produce la marea (la Luna e il Sole). Il rigonfiamento mareale agisce sia sulla terra solida (che ha un certo grado di elasticità e quindi è deformabile), sia soprattutto sulle masse liquide (oceani). Le maree hanno una periodicità di circa 12 ore perché la superficie terrestre, nel corso della sua rotazione giornaliera, incontra il rigonfiamento mareale in due posizioni antitetiche. L’asse di rotazione terrestre si sposta non solo rispetto alle stelle fisse (precessione lunisolare) ma anche rispetto alla superficie della Terra: il punto della superficie terrestre che corrisponde al polo di rotazione non è fisso ma si muove. Questo movimento è molto piccolo (dell’ordine di pochi metri) e provoca una leggera variazione della latitudine di tutti i punti della superficie terrestre. Fin dai tempi più antichi la velocità di rotazione della Terra è stata considerata costante, ed anzi la lunghezza del giorno è stata assunta come riferimento per la misura dei tempi. In epoca recente si è però osservato che anche la velocità di rotazione terrestre è soggetta a variazioni per effetto delle quali la lunghezza del giorno cambia di quantità molto piccola, dell’ordine dei millesimi di secondo. Come si è visto, a causa della simmetria di rotazione della forma terrestre le perturbazioni gravitazionali esterne non possono causare alcuna variazione della velocità di rotazione (solo cambiamenti nella direzione dell’asse di rotazione). Le variazioni della lunghezza del giorno sono invece prodotte da due cause distinte: le ridistribuzioni di masse sulla Terra e l’attrito mareale. Per quanto riguarda la prima causa bisogna osservare che l’atmosfera e l’oceano sono in continuo movimento, e in particolare esistono sistemi di circolazione dei venti che si muovono parallelamente all’equatore con una velocità che varia a seconda della stagione. Questi sistemi di circolazione posseggono quindi un proprio momento angolare variabile che viene periodicamente scambiato con quello proprio della terra solida in modo da mantenere costante il momento angolare totale del sistema terra+atmosfera. Un effetto analogo è prodotto da sistemi stagionali di correnti oceaniche. Questi fenomeni hanno un andamento principalmente stagionale ma sono abbastanza irregolari, e sono responsabili delle variazioni a corto periodo (da pochi giorni fino ad alcuni anni) della lunghezza del giorno. Se si osservano le variazioni della rotazione terrestre del giorno su tempi più lunghi (decenni o secoli) si vede però che esiste anche una generale tendenza all’allungamento del giorno. Il rallentamento progressivo della rotazione terrestre è dovuto principalmente all’attrito prodotto dalle maree oceaniche. Poiché il fondo degli oceani non è liscio, il rigonfiamento mareale non è allineato perfettamente con la direzione dei corpi che lo producono (Luna e Sole), ma ha uno sfasamento dovuto al fatto che la Terra trascina per attrito la marea nella direzione della sua rotazione. L’attrazione gravitazionale tra la Luna e il rigonfiamento mareale così sfasato ha due effetti: da un lato produce un rallentamento della rotazione terrestre (cioè un allungamento progressivo della durata del giorno), dall’altro produce una forza che spinge la Luna nel senso del suo moto orbitale, provocando il suo progressivo allontanamento dalla Terra. Il frenamento del moto di rotazione causato dall’attrito mareale è il motivo per cui molti satelliti nel Sistema Solare (tra cui la Luna stessa) rivolgono sempre la stessa faccia al pianeta attorno a cui sono in orbita.