RAVENNA La città dei mosaici Non è solo la città dei mosaici. Spesso oscurata dalle più famose città d'arte italiane, Ravenna conserva un patrimonio artistico che permette di compiere un magnifico viaggio nella storia dell'arte del primo Medioevo, essendo stata per ben tre volte capitale di tre diversi regni. Come una macchina del tempo, Ravenna ci riporta indietro ai secoli bui dell'Impero Romano, continuando il suo viaggio nel regno degli Ostrogoti e dei Bizantini, giungendo fino all'epoca romanica. Ravenna è grande testimonianza dell'affermazione dell'arte paleocristiana ed anche grande prova di come gli imperatori bizantini la preferirono a Costantinopoli e alle altre città orientali, per stabilire qui le loro residenze. Incrocio di culture diverse, Ravenna è una delle poche città italiane che ospita ancora tracce dell'arte barbarica , ormai divenuta quasi una rarità, oltre ai celeberrimi mosaici bizantini, di cui è praticamente l'unica detentrice. La storia di Ravenna Il vastissimo periodo storico di massimo splendore di Ravenna si può dividere in tre fasi, ma prima di immergersi in questo viaggio, è necessario fare alcune premesse per poter inquadrare cronologicamente il periodo. L'ascesa di Ravenna iniziò dopo la morte dell'imperatore romano Teodosio (395 DC), che lasciò in eredità ai figli Arcadio e Onorio l'impero romano ormai separato in due. Il primo scelse l'Oriente, stabilendosi a Costantinopoli, mentre l'altro preferì l'Occidente designando Ravenna quale capitale del proprio impero, che durò fino al 476 DC, anno in cui l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augusto, fu deposto dal generale barbaro Odoacre. Costui, dopo essersi messo agli ordini dell'imperatore d'Oriente Zenone, dovette fronteggiare l'attacco degli Ostrogoti guidati da Teodorico, che nel 493 sconfisse definitivamente Odoacre e si impossessò di Ravenna, creando in Italia un nuovo regno romano-barbarico, in collaborazione con l'aristocrazia latina già presente. In effetti però nel 493 terminò la prima corrente artistica che influenzò la città, infatti possiamo affermare che lo splendore di Ravenna iniziò proprio durante gli ultimi anni crisi dell'impero romano d'Occidente. PRIMA FASE DI RAVENNA- PERIODO ROMANO (402-493 DC) Durante questo periodo, Ravenna vide soccombere l'immenso impero romano e fu soggiogata da Odoacre, ma le opere principali di questo periodo non appartengono a lui, ma bensì agli ultimi imperatori romani. In questo periodo domina lo stile artistico paleocristiano, infatti l'affermarsi di tale stile era stato agevolato dal Consiglio di Nicea, che in quel periodo aveva cercato di eliminare le prime sette che si erano formate. Questo consiglio cristiano ha influenzato molto la città anche nei secoli successivi, come vedremo in seguito. SECONDA FASE DI RAVENNA- PERIODO GOTICO (495-540 DC) Dopo che Odoacre fu sconfitto nel 493, il re dei Goti Teodorico prese il potere della città. Essendo molto legato al popolo romano (era stato ostaggio dell'imperatore), governò in collaborazione con i latini. Nonostante ciò, dal punto di vista religioso Ravenna risulta divisa in due: infatti Teodorico e i Goti erano ariani (non riconoscevano la Trinità) mentre i romani erano cristiani. Durante questo periodo prevarrà lo stile artistico ariano-barbarico, anche se i pochi esemplari verranno “censurati” dai successori cristiani. La doppia faccia del carattere di Teodorico è testimoniata in maniera evidente nelle opere da lui commissionate. TERZA FASE DI RAVENNA- PERIODO BIZANTINO (540-751 DC) Il periodo bizantino è quello che ha marcato di più Ravenna ed è quello su cui vale la pena spendere qualche parola in più. Nel 535 salì al trono d'Oriente l'imperatore Giustiniano, il celebre sovrano che cercò di ristabilire un unico grande impero romano. Egli diede il via ad una campagna militare in Italia, per riconquistare il suolo italiano, detta guerra gotico-bizantina. Nel 540 il generale bizantino Belisario sconfisse Teodorico e riconquistò Ravenna. Dopo questa guerra però l'Italia era talmente debole che divenne una delle tante province dell'impero, governata da un esarca, che risiedeva proprio a Ravenna. Essendo quindi capitale della provincia italiana, essa divenne importante a tal punto che si iniziò ad abbellirla quasi come Costantinopoli. C'è da dire infatti che il 70% delle opere dell'arte bizantina si trova a Ravenna. Questa iniqua distribuzione è probabilmente dovuta al fatto che in Oriente i rapporti con gli Arabi erano diventati talmente ostili che i bizantini avevano acquisito da loro la pratica dell'iconoclastia, che consisteva nella distruzione delle opere religiose. Di conseguenza, mentre a Costantinopoli si ristruttura la basilica di Santa Sofia, Ravenna viene continuamente abbellita e arricchita di capolavori. Il primo trentennio della terza fase è quello più ricco di opere; al governo della città c'è Massimiano, arcivescovo-esarca che sostituisce Giustiniano. Particolarità dell'arte bizantina è l'esagerato uso dell'oro e delle decorazioni all'interno, mentre l'esterno è spoglio ed austero, oltre alla grande quantità di mosaici. Le figure diventano piatte ed inespressive, come nei precedenti periodi, proprio perché in gran parte del Medioevo l'importante dell'arte era trasmettere un messaggio, non eccellere in estetica. I monumenti del periodo romano-paleocristiano IL MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA Il mausoleo di Galla Placidia, figlia di Teodosio, è la prima tappa del viaggio attraverso Ravenna. Costruita nel V secolo DC, l a costruzione, un tempo facente parte di un nartece della chiesa di Santa Croce (non più esistente), presenta una pianta a forma di croce greca, con quattro volte sui bracci e una cupola nell'incrocio tra di essi. L'esterno dell'edificio, molto semplice e spoglio poiché costituito solamente da mattoni, fa ampio uso di forme geometriche (tra cui alcuni archi ciechi). La cupola, non visibile dall'esterno, è protetta da una struttura piramidale detta tiburio, che la fa apparire come una modesta torretta in muratura. L'interno invece è di una stupefacente ricchezza ornamentale (questo contrasto potrebbe essere paragonato al contrasto tra il corpo spoglio e l'animo ricco); infatti ogni centimetro di muro è ricoperto di marmi pregiati e mosaici. Affascinante è l'annientamento della forma architettonica: ogni spigolo viene arrotondato e le pareti diventano supporti per le decorazioni. La cupola copre una vano centrale con un mantello blu notte di lapislazzuli punteggiato di stelle dorate. Queste, ordinate in modo concentrico,sembrano essere liberato dalla croce gemmata posta al centro, mentre agli angoli sono poste figure apocalittiche degli Evangelisti. Al di sotto della cupola troviamo coppie di Santi, mentre le volte a botte dei quattro bracci sono ornate con decorazioni geometriche. Interessate è l'accenno di prospettiva che si può notare nella raffigurazione di due Santi posti di fronte all'ingresso; in mezzo ad essi c'è una fontana, il tutto coperto da una conchiglia che funge da catino absidale. Nella lunetta posta sotto questo mosaico c'è un'altra figura: una armadio aperto contenente i Vangeli e un incendio che divampa, mentre una Santo (probabilmente Lorenzo) si affretta sul fuoco, come a voler testimoniare la sua fede bruciando nel martirio. In sintesi, questo mosaicista bizantino in queste raffigurazioni ha voluto mantenere uno stile ancora “classico”, ed essendo il mausoleo dell'imperatrice, ha scelto figure auliche e tipicamente ellenistiche e orientali. IL BATTISTERO DEGLI ORTODOSSI Il Battistero degli Ortodossi, o Battistero Neoniano, fu iniziato dal vescovo Orso nel 400 circa, che completò la porzione inferiore, e fu completato dal vescovo Neone nel 450, che concluse le murature della fascia alta e la cupola. L'edificio ha pianta ottagonale con absidi su quattro lati ed è coperto da una calotta nascosta da un tiburio. L'esterno, come nel mausoleo di Galla Placidia, è austero e spoglio, coperto di mattoni, mosso appena dalle absidi sporgenti e da alcuni archetti. Sugli otto lati troviamo delle finestre centinate (sormontate da un arco). L'interno invece è ricchissimo e diviso in tre sezioni: le due inferiori comprendono un doppio ordine di arcate che corrono lungo i lati, mentre la parte superiore è costituita dalla sola cupola. Gli archi delle fasce inferiori poggiano su dei pulvini, tronchi di piramide rovesciati. Le arcate della sezione basamentale che non introducono le nicchie sono coperte di marmi e porfidi, mentre le arcate della fascia mediana ospitano una triplice archeggiatura in stucco, dove nell'archetto centrale troviamo la finestra, ed in quelle laterali figure femminili in bassorilievo. La cupola è completamente mosaicata. La fastosa e complessa decorazione si organizza secondo due fasce concentriche gravitanti intorno ad un nucleo centrale. In quella inferiore ricorrono architetture prospettiche di stampo ellenistico, alternate da delle esedre su cui si affacciano vedute del giardino dell'Eden, mentre nella fascia mediana, sopra il prato alternato da piante di acanto, ci sono i dodici Apostoli vestiti da senatori romani con corone in testa. Nel nucleo centrale è raffigurato il Battesimo di Cristo, con le tipiche figure del Battista e del Salvatore. Sulla destra si può notare una personificazione del Giordano. Nonostante il mosaico è caratterizzato da un certo naturalismo, le figure rimangono appiattite dalla marcata linea rossa che l'artista ha tracciato per segnare i contorni e distinguerle dal cielo dorato. Lo scopo di questo mosaico consisteva nel fatto che quando il fedele, dopo aver ricevuto il rito del Battesimo, alzava gli occhi al cielo, vedeva riassunte tutte le verità del proprio credo. Il Battistero è definito degli Ortodossi perché inizialmente la chiesa si definiva sia cattolica (universale) che ortodossa (giusta), di conseguenza il vero nome dovrebbe essere Battistero dei Giusti. I monumenti del periodo gotico-ariano LA CHIESA DI SANT'APOLLINARE NUOVO La basilica di Sant'Apollinare Nuovo fu fatta erigere da Teodorico nel 505 per dare un luogo di culto alla sua gente. In sostanza, questa chiesa era la cappella palatina del palazzo reale di cui è rimasto solo il nartece (propriamente detto ardica). L'edificio è diviso in tre navate: quella centrale si conclude con un abside semicircolare ed è divisa dalle altre due da archi a tutto sesto sorretti da pulvini. I mosaici presenti appartengono ad epoche differenti, infatti quelli commissionati da Teodorico (che era ariano), furono rimossi dal vescovo Agnello in periodo bizantino quando la chiesa fu definitivamente consacrata al culto cattolico. Le decorazioni dividono le pareti della navata centrale in tre parti. Nella fascia inferiore della parete destra troviamo la rappresentazione del Palazzo di Teodorico in prospettiva ribaltata: l'artista, per guadagnare spazio, ha rappresentato le ali del palazzo sulla stessa retta del portale d'ingresso. Sullo sfondo del mosaico sono raffigurati vari edifici che corrispondono alla veduta di Ravenna e del porto di Classe. Dal palazzo partono poi due cortei, a destra quello dei Santi Martiri, che si dirigono verso il Cristo in trono affiancato da quattro angeli, a sinistra quello delle Sante Vergini, che vanno verso il trono della Vergine con il bambino, accompagnate dai Re Magi. Essendo questi cortei opera di artisti bizantini posteri, possiamo trarre da questo mosaico la maggior parte dei caratteri peculiari di questo stile artistico: la ripetitività dei gesti, la bidimensionalità delle figure, la fissità degli sguardi ma anche la ricchezza immensa dei costumi e la monocromia degli sfondi, dove prevale l'oro. Interessante curiosità riguardo al Palazzo di Teodorico: tra le arcate, al posto dei drappi, prima erano raffigurati i cortigiani del sovrano ostrogotico, ma poi tali personaggi sono stati rimossi dai successori, che volevano cancellare tutte le tracce dell'arianesimo. IL BATTISTERO DEGLI ARIANI Questo battistero era battistero di una chiesa ariana detta basilica dello Spirito Santo, non più esistente. Questa struttura è di notevole importanza perché si tratta dell'unico battistero conosciuto costruito propriamente per il culto ariano in Italia. L'esterno dell'edificio è come sempre in mattoni e per nulla decorato. L'interno si presenta stranamente spoglio, con la muratura a vista e privo di arredi. La presenza della vasca battesimale è ricordata oggi solo da una lastra marmorea rotonda al centro dell'edificio. La cupola è invece completamente decorata a mosaico. La superficie decorata è più piccola rispetto a quella del Battistero Neoniano e l'organizzazione decorativa meno complessa, con solo due registri circolari. Al centro si trova una rappresentazione del battesimo di Cristo con Giovanni Battista, la personificazione del fiume Giordano e la colomba dello Spirito Santo. Nel registro più esterno si trova il trono vuoto dell'etimasia (che rinvia alla seconda venuta del Cristo) e i dodici apostoli in atto di offrire corone con le mani coperte, divisi da esili palme. Anche la palma possedeva una simbologia legata ai Salmi, dove si dice che «come fiorirà la palma, così farà il giusto», cioè la pianta fiorisce quando sembra ormai morta, come i martiri che avranno la loro ricompensa in Paradiso. La raffigurazione è orientata per essere vista dal battezzando che stava all'interno della vasca rivolto verso l'altare ad oriente (oggi non più presente). Ai lati dell'etimasia ci sono gli apostoli Pietro e Paolo. Pietro, con le mani velate, in segno di rispetto secondo la tradizione orientale, offre le chiavi. Paolo porge i rotoli con le sue lettere; sul velo che gli copre le mani è rappresentato un fuso. Si tratta di un richiamo al lavoro. Rispetto all'analoga rappresentazione nel battistero Neoniano, più antica di circa mezzo secolo, la rappresentazione è qui semplice, con figure piuttosto statiche e ripetitive nella postura e nell'aspetto, che indossano solo l'alba e i volumi appiattiti. Spicca l'affermazione dominante del fondo oro, che si stava imponendo in tutto il mondo mediterraneo come veicolo per rappresentazioni più astratte e simboliche, inondate da una luce ultraterrena. Nel Battistero Neoniano il fondo è di un blu intenso e i volti degli apostoli sono maggiormente caratterizzati e più plastici nella resa formale, elementi che rimandano all'arte classica. IL MAUSOLEO DI TEODORICO Il mausoleo di Teodorico, che ospita le sue spoglie, è forse l'edificio che ne rappresenta meglio la personalità. Innanzitutto non si può non notare l'incredibile differenza tra l'esterno di questo mausoleo e l'esterno degli altri edifici finora visitati: questo ricorda quasi un edifico di epoca romana ed è proprio la parte più interessante e significativa, aspetto unico tra i monumenti di Ravenna. La struttura, a pianta decagonale, è totalmente in pietra d'Istria ed è divisa in tre parti: la parte inferiore, attraversata da arcate a tutto sesto, sembra in stile romano; la parte di mezzo è decorata in gusto barbarico, come testimonia il particolare fregio ad intreccio; mentre l'ultima fascia,è composta interamente dalla cupola. Aspetto interessante della cupola è il fatto che essa sia un unico pezzo di pietra d'Istria lavorato su misura (questo conferma la perdita di capacità di costruire una cupola direttamente sul cantiere) e, si dice, sia stata trasportata fin sul luogo allagando le zone circostanti. L'esterno del mausoleo è particolarmente importante perché ci trasmette come Teodorico abbia voluto lasciare al futuro un'immagine ben chiara della sua persona “divisa a metà tra Gotica e romana” e dei suoi buoni rapporti che egli aveva con i romani. Anche il fatto che questo edificio si trovi qualche kilometro fuori dalla città è giustificato da Teodorico come il non voler “inquinare” la città con monumenti non prettamente utili alla società, mentalità tipica dell'architettura romana. Una misteriosa leggenda avvolge il mausoleo di Teodorico: si racconta infatti che un fulmine abbia colpito la cupola, prelevato il corpo di Teodorico dal sarcofago in porfido rosso che ospitava la salma e lo abbia posto su un cavallo, il quale ha galoppato fino in Sicilia e ha gettato il cadavere nell'Etna. Se si osserva bene la cupola si può ancora notare una piccola crepa… I monumenti del periodo bizantino LA BASILICA DI SAN VITALE Costruita nel 532 e consacrata da Massimiano nel 547, questa chiesa è un vero capolavoro dell'arte bizantina antica, paragonabile alla chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli. L'edificio ha pianta ottagonale, preceduta in origine da un quadriportico, di cui oggi rimane solo un nartece tangente ad uno degli spigoli. L'esterno è simile alla maggior parte dei monumenti di Ravenna: spoglio, austero, costruito con mattoni e murature a vista. Aspetto però interessante dell'esterno è la complessa compenetrazione di solidi geometrici che compongono gli spazi. All'interno, all'ottagono perimetrale se ne aggiunge un altro i cui lati si dispiegano come a petali di fiore aprendosi in esedre con due file di arcatelle sovrapposte, mentre lo spazio centrale è sovrastato da una cupola semisferica. La basilica di San Vitale presenta tre ingressi, quello centrale, essendo in linea con il presbiterio, ci permette di capire che l'abside della basilica è costituito proprio da questo fiore ottagonale posto al centro dell'edificio. L'ingresso centrale è affiancato da due piccoli ambienti caratteristici dell'architettura bizantina: a destra il diaconicon, riservato alla conservazione degli oggetti per la preparazione delle celebrazioni, a sinistra la protesis, che ospita il pane ed il vino consacrati. Una tra le tante peculiarità di San Vitale è la diversa sensazione che il visitatore proverà entrando dai diversi ingressi: se si entra da quelli laterali, lo spazio sembrerà circolare e avvolgente, mentre entrando da quello centrale, l'impressione sarà quella di attraversare una basilica classica cristiana, lunga e dritta. Per quanto riguarda le decorazioni, le più importanti sono le pale d'altare mosaicate del presbiterio, che raffigurano Giustiniano, il vescovo Massimiano e l'imperatrice Teodora, moglie di Giustiniano, accompagnati dai cortigiani e dalle dame. Dal punto di vista narrativo il mosaico rappresenta un fatto mai avvenuto: raffigura i sovrani all'offertorio durante la consacrazione della basilica, anche se Giustiniano e Teodora non vennero mai a Ravenna. La tecnica d realizzazione di tali mosaici è alquanto schematica e stilizzata: innanzitutto la prospettiva della porta con la tenda scostata è molto insolita, quasi insensata, e le figure, piatte ed inespressive ma dai costumi ricchissimi, sembrano quasi gemme incastonate sullo sfondo. Nella rappresentazione di Giustiniano invece manca completamente un'ambientazione di sfondo, il che complica notevolmente la concezione dello spazio. La basilica di San Vitale è famosa per gli spettacolari giochi di luce che si creano all'interno, generati dalle molteplici finestre e dalla posizione storta e disordinata dell'oro nei mosaici, che così riflette la luce diffusa. A testimonianza di ciò, dentro la chiesa c'è un'iscrizione che recita: “Se la luce non è nata qui, allora qui è stata vinta e fatta prigioniera” LA CHIESA DI SANT'APOLLINARE IN CLASSE La chiesa di Sant'Apollinare in Classe, situata nell'omonima località poco fuori Ravenna, è un altro esempio dell'arte bizantina che troviamo nella città. In particolare, la parte che più ripropone i tipici aspetti dell'arte orientale è il catino absidale, realizzato nel 549, anno in cui la chiesa fu consacrata. L'abside è inquadrata da un arco trionfale sulla cui sommità, in mezzo ad un cielo plumbeo e tempestato di nuvole apocalittiche, compare un busto di Cristo verso cui convergono 12 pecorelle, simboleggianti gli Apostoli. All'interno invece la raffigurazione è divisa in due parti. In alto campeggia una croce gemmata in mezzo ad un cielo stellato, che in questo caso simboleggia la Trasfigurazione. Infatti sullo sfondo dal quale emerge la mano di Dio, il Cristo rivela la sua vera natura divina alle apparizioni dei profeti Elia e Mosè (ai lati del crocifisso) e degli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni (rappresentati dalle tre pecorelle sotto la croce). Nonostante la Trasfigurazione non fosse un tema molto comune in Occidente, questo soggetto fu ripreso in epoca bizantina come affermazione contro l'arianesimo, non ancora completamente sconfitto. Nella porzione inferiore del catino troviamo la figura di Sant'Apollinare, primo vescovo di Ravenna, seguito da un gregge di pecore (i fedeli) ed intento a pregare. Il Santo, in posizione frontale, è rivolto verso il popolo di fedeli di Ravenna, come a fare da intermediario con Dio. Lo sfondo della raffigurazione segue un tema naturalistico, sembra quasi un giardino fiorito, ma non c'è distinzione tra il prato verde e il cielo dorato, di conseguenza lo spazio è ancora più bidimensionale e le figure ancora più piatte. La lavorazione dell'oro Nei mosaici bizantini viene spesso usato l’oro, materiale sottile e facilmente lavorabile. La lavorazione più comune di questo prezioso materiale è la lavorazione a foglia. Le sottilissime foglie d’oro sono raccolte in albi quadrati e coperte con strati di pergamena. Per riuscire a ritagliare la foglia, viene posto l’albo su un cuscino e, tramite una lama sottilissima e molto affilata, si effettuano le incisioni. Per poter poi trasportare la foglia senza rovinarla, essa viene ricoperta con una miscela di colla e bolo, una terra rossa molto fine; dopodiché mediante un pennello strofinato su del grasso, la foglia si attacca ad esso grazie all’elettrostaticità. L’oro verrà poi attratto da un altro strato di miscuglio posto nel luogo dove poi dovrà restare, e li rimarrà attaccato. Questo metodo nasce dall’incontro tra i romani e i barbari, i quali erano molto abili nella lavorazione dell’oro. Gli altri monumenti di Ravenna LA BASILICA DI SAN FRANCESCO L'attuale basilica di San Francesco sorge nel luogo di una chiesa più antica. Questa venne costruita poco dopo il 450 per volere del vescovo di Ravenna Neone ed era dedicata ai santi apostoli Pietro e Paolo, e per questo chiamata anche Chiesa degli Apostoli. Tra la seconda metà del IX secolo e il secolo successivo, l'edificio del V secolo venne demolito e sostituito da una chiesa più grande. Contemporaneamente, venne costruita anche un'alta torre campanaria. La nuova chiesa, chiamata San Pietro Maggiore, passò all'ordine francescano nel 1261 e, in tale occasione, venne dedicata a san Francesco d'Assisi; nel 1321, vi furono celebrate le esequie di Dante Alighieri. Tra i secoli XVII e XVIII, la chiesa venne più volte restaurata ed arricchita con decorazioni e altari barocchi. Il restauro più importante fu quello condotto nel 1793 da Pietro Zumaglini. Nel 1810, l'attiguo convento francescano venne soppresso ed espropriato dalle autorità napoleoniche. Dopo la partenza forzata dei frati, la chiesa rimase aperta al culto sotto la cura del clero secolare. Tra il 1918 e il 1921, in vista del VI centenario della morte di Dante, venne radicalmente restaurata eliminando tutte le aggiunte barocche e riportandola ad uno stile quanto più vicino all'originale. La cripta è stata restaurata anche nel 1926 e nel 1970. I Frati Minori Conventuali hanno potuto fare ritorno soltanto nel 1949, risiedendo non più presso l'antico convento (oggi proprietà della Cassa di Risparmio di Ravenna), ma in un edificio dalla parte opposta della basilica, dove hanno adattato anche gli ambienti parrocchiali. Infatti l'Archidiocesi di Ravenna aveva scelto la basilica come sede parrocchiale nel corso del XIX con il titolo di Parrocchia di San Pietro Maggiore in San Francesco. Descrizione Esterno Piazza San Francesco La facciata della chiesa è a salienti, con paramento murario in mattoni a vista. Al centro si apre il semplice portale con arco a tutto sesto e sopra di esso si apre una bifora. Ai due lati, in corrispondenza delle navate laterali, vi sono, a pavimento, due sarcofagi antichi in marmo. Sulla destra della facciata, si innalza la torre campanaria del IX secolo, fortemente rimaneggiata nel 1921. In questa occasione, vennero riordinati i tre ordini di finestre: una bifora nell'ordine inferiore, una trifora in quello mediano ed una quadrifora in quello superiore, per ciascun lato. La croce in ferro posta alla sua sommità raggiunge i 32,60 metri. Interno Interno Il sarcofago di Liberio III, V secolo All'interno, la basilica di San Francesco è lunga 46,5 metri ed è suddivisa in tre navate da due serie di archi a tutto sesto sorretti da dodici colonne di spoglio per lato. L'attuale pavimento sorge 3,50 metri più in alto rispetto a quello originario, e ciò è messo in evidenza nei pressi del presbiterio. Sui due lati della base del campanile che danno all'interno della chiesa, sono presenti vari reperti antichi, tra cui due frammenti di un sarcofago o di un altare a cassa; a fianco a questi vi sono un affresco staccato, frammento di una Crocifissione di Pietro da Rimini, e frammenti di un mosaico dell'VIII secolo provenienti probabilmente dalla Basilica di Sant'Agata Maggiore. Lungo la navata destra, si aprono tre cappelle laterali: la prima, costruita nel 1525, presenta i resti di un affresco trecentesco sulla parete di destra ed un ricco ingresso in stile rinascimentale sorretto da due colonne con capitelli finemente scolpiti; la terza cappella, invece, risale al 1532 con rimaneggiamenti successivi e presenta una cupola affrescata, di Andrea Barbiani e, sull'altare, il dipinto Madonna col Bambino fra i santi Sebastiano, Rocco, Francesca e Camilla Dal Corno, opera di Gaspare Sacchi. Nella cappella di San Liberio, sul lato opposto, era conservata la celebre statua giacente del giovane condottiero Guidarello Guidarelli, opera di Tullio Lombardo traslata nella Galleria Nazionale: "Giace la statua del defunto, chiusa nell'involucro rigido dell'armatura, le mani congiunte sulla spada, volta di tre quarti allo spettatore la testa, come tronco d'albero abbattuto", così la descrive A. Venturi nella Storia dell'arte italiana. In fondo alla navata centrale si trova l'abside, esternamente eptagonale ed internamente semicircolare. Essa è interamente occupata dal presbiterio, che si trova più in alto rispetto al pavimento delle navate. Al centro, si trova l'altare maggiore, costituito dal sarcofago del vescovo Liberio III degli inizi del V secolo, che presenta, sui due lati lunghi, cinque figure entro archi sorretti da colonne tortili. Alle spalle dell'altare vi è il coro ligneo scolpito. Cripta La cripta Al disotto del presbiterio si trova la cripta del IX-X secolo, raggiungibile tramite una doppia rampa di scale ed avente come ingresso una piccola finestra ad arco da cui è possibile vedere la cripta senza accedervi. La cripta è a tre navate e coperta con volte a crociera sorrette da quattro colonnine con semplici capitelli geometrici. Sul pavimento, vi sono gli antichi mosaici, risistemati nel 1977; tra questi un'iscrizione che ricorda l'originaria destinazione dell'ambiente, ovvero quella di accogliere le spoglie del vescovo Neone. Trovandosi sotto il livello del mare l'acqua invade la Cripta come fosse una piccola piscina, dove nuotano anche diversi pesci creando un bellissimo effetto suggestivo. Dietro la finestra di accesso alla cripta si trova il marmoreo sarcofago di Neone, vescovo di Ravenna nella seconda metà del V secolo e costruttore dalla primitiva chiesa del V secolo. LA TOMBA DI DANTE Costruita nel biennio 1780-81 dall'architetto Camillo Morigia su commissione del cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga ed al di sopra della tomba quattrocentesca eretta dal podestà veneto di Ravenna Bernardo Bembo, la tomba, a pianta quadrata, è a forma di tempietto neoclassico coronato da una piccola cupola. Separato dalla strada da una stretta delimitazione, presenta una facciata esterna molto semplice, con una porta sovrastata dallo stemma arcivescovile del Cardinal Gonzaga, e sulla cui architrave è scritto, semplicemente e in latino: DANTIS POETAE SEPULCRUM. Descrizione La tomba vera e propria, tutta rivestita di marmi e stucchi, consiste in un sarcofago di età romana con sopra scolpito (sempre in latino) l'epitaffio in versi dettato da Bernardo Canaccio nel 1366): "IURA MONARCHIAE SUPEROS PHLAEGETONTA LACUSQUE / LUSTRANDO CECINI FATA VOLVERUNT QUOUSQUE SED QUIA PARS CESSIT MELIORIBUS HOSPITA CASTRIS / ACTOREMQUE SUUM PETIIT FELICIOR ASTRIS HIC CLAUDOR DANTES PATRIIS EXTORRIS AB ORIS / QUEM GENUIT PARVI FLORENTIA MATER AMORIS" (traduzione: "I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte (gli Inferi) visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, (io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore"). Al di sopra del sepolcro (rimasto praticamente lo stesso quattrocentesco), vi è un pregevole bassorilievo del 1483, opera di Pietro Lombardo, raffigurante Dante pensoso davanti ad un leggio. Ai piedi del sarcofago vi è una ghirlanda in bronzo donata nel 1921 dai reduci della Grande Guerra. Sul soffitto arde perennemente una lampada votiva settecentesca, alimentata da olio d'oliva dei colli toscani che è donato da Firenze ogni anno il 14 settembre (anniversario della morte del poeta). Sulla parete destra, una lapide in marmo ricorda i vari restauri della tomba, e la sua sistemazione con decorazione marmorea nel 1921. Sui pennacchi delle volte dovevano essere raffigurati Virgilio, Brunetto Latini, Cangrande della Scala e Guido Novello da Polenta anche se non vennero mai realizzati. Sull'esterno del monumento, a destra, un cancello conduce nel recinto di Braccioforte facente parte dell'attiguo Convento di San Francesco, ove si tennero i funerali di Dante ed ove il poeta fu originariamente sepolto. Attualmente, la tomba è Monumento Nazionale, ed attorno ad essa è stata istituita una zona di rispetto e di silenzio chiamata Zona dantesca. Nel 200607 la tomba è stata sottoposta ad accurato restauro, e la facciata è stata completamente ridipinta. La vicenda delle spoglie di Dante Nemmeno da morto Dante poté godere di quella stabilità che aveva tanto vagheggiato negli ultimi, tormentatissimi anni di esilio. Il giorno dopo il decesso, il corpo del poeta fu sepolto nello stesso sarcofago in cui si trova tuttora, ma che era allora posto lungo la strada, all'esterno del chiostro di Braccioforte sopra nominato. Alla fine del XV secolo il podestà veneto di Ravenna Bernardo Bembo spostò il sepolcro sul lato ovest del chiostro stesso. I fiorentini dopo pochi anni cominciarono a reclamare a Ravenna le reliquie del loro cittadino più illustre. Un "rischio" che parve diventare certezza quando sul soglio pontificio ascesero due papi fiorentini, entrambi della famiglia Medici: Leone X (1513-1521) e Clemente VII (1523-34). Il primo, a seguito di una supplica caldeggiata anche da Michelangelo, concesse nel 1519 ai suoi concittadini il permesso di prelevare le ossa del poeta per portarle a Firenze; ma quando la delegazione toscana aprì il sarcofago, le ossa erano sparite. I frati francescani infatti, poco tempo prima, avevano praticato, dal retrostante chiostro, un buco nel muro e nel sarcofago per "mettere in salvo" i resti del poeta, che consideravano come uno di essi. A nulla valsero le suppliche di restituzione. Lo stesso sarcofago fu poi trasferito nello stesso chiostro e gelosamente sorvegliato: basti pensare che, quando nel 1692 fu effettuata la manutenzione della tomba, gli operai dovettero lavorare sorvegliati dalle guardie. Le ossa erano state racchiuse nel 1677 in una cassetta dal priore del convento Antonio Sarti, e furono rimesse nell'urna originaria solo nel 1781, quando cioè il Morigia costruì l'attuale mausoleo, parte integrante dell'annesso convento. Quando nel 1810 il convento fu soppresso per ordine di Napoleone Bonaparte, i frati nascosero nuovamente la cassetta con le ossa, per evitare che le truppe d'occupazione se ne impadronissero e la vendessero come bottino di guerra. Fu murata nell'attiguo oratorio del chiostro di Braccioforte. I frati lasciarono la città. Della cassetta si perse notizia. Così, dall'inizio dell'Ottocento, tutti coloro che vennero a Ravenna per rendere omaggio a Dante ignorarono che il suo sepolcro fosse vuoto. Le ossa del sommo poeta furono ritrovate casualmente da un operaio il 27 maggio 1865 durante i lavori di restauro per il VI centenario della sua nascita. Se non finirono in un ossario comune si dovette all'intervento di un giovane studente, Anastasio Matteucci (poi divenuto uno stimato notaio) che lesse e interpretò la dicitura sulla cassetta che iniziava con le parole: OSSA DANTIS...[1] La salma fu ricomposta, esposta al pubblico per qualche mese in un'urna di cristallo e quindi ritumulata all'interno del tempietto del Morigia, in una cassa di noce protetta da un cofano di piombo. Durante la seconda guerra mondiale la cassetta fu nuovamente nascosta per evitare che i bombardamenti la distruggessero. Fu prelevata dal tempietto il 23 marzo 1944 e ricollocata il 19 dicembre 1945; durante questo periodo, venne sepolta poco distante dal mausoleo sotto un tumulo coperto da vegetazione, oggi contrassegnato da una lapide. A Firenze, nella (finora vana) speranza che le reliquie fossero restituite, fu eretto nel 1829, in stile anch'esso neoclassico, un grande cenotafio in Santa Croce, raffigurante il poeta seduto e pensoso, innalzato in gloria dall'Italia, mentre la Poesia piange, china sul sarcofago. LA CAPPELLA DI SANT'ANDREA Unico monumento di natura ortodossa ad essere stato costruito durante il regno di Teodorico, la Cappella Arcivescovile, conosciuta anche come Cappella di Sant'Andrea, è l'antico oratorio dell'Episcopio ravennate, voluta dal Vescovo Pietro II e dedicata a San Pietro Crisologo, arcivescovo di Ravenna dal 433 al 450. La cappella fu allestita nel 495. La Cappella Arcivescovile si presenta con una pianta a forma di croce, dotata di un vestibolo completamente marmoreo nella parte inferiore e ricco di mosaici di straordinaria unicità in quella superiore. Molto evidente è il messaggio antiariano contenuto nell'opera musiva dell'atrio, che rappresenta il Cristo Guerriero, con la Croce sulla spalla, nell'atto di schiacciare le belve dell'eresia, atto di rivendicazione ideologica contro l'allora dominante governo politico dell'ariano Teodorico. Nelle volte a vela spiccano le immagini dei quattro arcangeli della tradizione biblica più antica – Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele – che reggono un clipeo con il Monogramma Cristologico, immersi fra racemi abitati (cioè popolati da animali, in questo caso piccoli uccelli, simbolo del contesto paradiasiaco), mentre negli spazi di risulta si collocano i simboli dei quattro Evangelisti, rappresentati con i loro rispettivi libri evangelici, a sottolineare che l'autentica fede cristiana è quella ortodossa. Nei sottararchi sono rappresentati busti di Cristo, di sei santi (a destra) e sei sante (a sinistra) dell'età dei martiri, ulteriore messaggio che evidenzia la natura ortodossa di questo monumento così significativo per l'arte ravennate dell'era teodoriciana.