centro alti studi per la difesa

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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA
ISTITUTO SUPERIORE DI STATO MAGGIORE INTERFORZE
17° CORSO SUPERIORE DI STATO MAGGIORE INTERFORZE
TESI DI GRUPPO
14° Gruppo di Lavoro - 4^ Sezione
Forze Speciali e Assistenza Militare:
opportunità, criticità e orientamenti
di un approccio indiretto alla
stabilizzazione delle aree di crisi
Anno Accademico 2014-2015
COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO
Ten. Col.
DEMBECH
Paolo
Ten. Col.
ALBANO
Livio
Ten. Col.
DE DOMENICO
Andrea
Ten. Col.
PANOZZO
Luca
C.F.
NOTARO
Armando
Magg.
AVOLI
Quirino
Magg .
FASSI
Valerio
C.C.
CARDELLICCHIO
Davide
Magg.
NOTARFRANCESCO
Arcangelo
Magg .
HANAFY ALY
Ahmed
Funz. Tec.
CROBEDDU
Stefano
Funz. Amm. PERGOLIZZI
Maria Adele
Funz. Amm. TEMPERANZA
Terenzio
II
Tutor
INDICE
1. INTRODUZIONE
Pag. 1
2.
Pag. 2
LA GUERRA OGGI
3. LA MILITARY ASSISTANCE: CONCETTI DI BASE
Pag. 4
4. ANALISI DI ALCUNI CASE STUDIES
Pag. 6
a. “Case study 1” - Lawrence d’Arabia e la Rivolta araba
Pag. 6
b. “Case study 2” - Afghanistan 2001: Task Force Dagger
Pag. 10
c. “Case study 3” - Iraq 2003: Task Force Viking
Pag. 13
5. QUALI FORZE PER LA MILITARY ASSISTANCE
Pag. 14
6. LA MILITARY ASSISTANCE: VANTAGGI, SVANTAGGI E LIMITI
Pag. 18
7. LA MILITARY ASSISTANCE 2.0
Pag. 20
8. CONCLUSIONI
Pag. 21
BIBLIOGRAFIA
Pag. 24
ELENCO DEGLI ALLEGATI:
Allegato A: Interazione tra operazioni speciali e “Irregular warfare”
Allegato B: Lawrence d'Arabia: un mito per le Forze Speciali americane
Allegato C: Storia della Military Assistance in Germania
III
1. INTRODUZIONE
Dopo il crollo del muro di Berlino e la conseguente conclusione del bipolarismo, gli Stati
Uniti si sono affermati come potenza egemone e nessun Paese o organizzazione
terroristica è effettivamente in grado di sfidarla in un conflitto armato convenzionale.
Questo ha fatto in modo che le crisi post guerra fredda vedessero l’impiego della forza
militare in modo convenzionale in quanto sembrava il terreno di scontro più congeniale.
Le conseguenze della guerra in IRAQ hanno invece messo in luce tutti i limiti di questa
scelta; i costi tanto in termini economici quanto in termini di perdite di vite umane hanno
dimostrato la vulnerabilità di un approccio convenzionale alle crisi asimmetriche. Ma
questa non è stata l’unica conseguenza. Quello che veramente è cambiato è stato il
sentire dell’opinione pubblica che di fronte all’intervento militare si chiede quali saranno
i costi dell’operazione e quanti militari non faranno più ritorno a casa. Se
paragonassimo le perdite delle prime ore dello sbarco in Normandia con quelle subite in
Iraq, il confronto non reggerebbe. Cosa è cambiato dunque? La guerra non ha più
motivazioni ideologiche di massa (l’orrore del nazismo da un lato e la civiltà dall’altro, il
comunismo contro la liberal democrazia) e, quindi, l’opinione pubblica valuta ciò che
può quantificare e pesare, vale a dire i numeri della guerra.
In questa situazione, la leadership politica ogni volta che si trova a decidere un
intervento militare deve affrontare il dilemma delle risorse, ovvero di come farlo senza
sostenere spese elevate e subire perdite di vite umane. Ecco quindi che il ricorso a un
approccio indiretto come quello della Military Assistance (MA)1 è divenuto in molti casi
l’unico modo per intervenire. Di fatto, la MA grazie alla sua principale caratteristica di
impiegare pochi uomini sul terreno ha il pregio di costare poco ed avere un “low
footprint” che consente sia di contenere le proprie perdite sia di offrire pochi bersagli al
nemico. Parlare oggi di MA, ovvero di combattere “con, attraverso, da” significa offrire al
decisore politico un approccio indiretto capace di risolvere problemi complessi con un
favorevole rapporto costo-efficacia2. L’impiego della MA, quindi, può essere
politicamente giustificabile, sia a livello di opinione pubblica, sia a livello di consenso dei
partiti, ed economicamente più fattibile e sostenibile rispetto a un impiego della forza
militare convenzionale.
Di fatto, il miglior rapporto “Cost/Effectiveness” delle operazioni svolte dalle Forze
1
Senza andare nel dettaglio e senza entrare in campi classificati, si può comunque dire che la MA è uno
dei compiti precipui delle Forze Speciali (FS), le quali potendo operare con diversi metodi (Overt, Covert
and clandestine) possono mitigare l’impatto pubblico di una operazione di MA fino ad annullarlo.
2
Joint Publication 3-05, “Special Operation”, 2014, US Department of Defence.
1
Speciali (FS) comparato con quelle delle Forze Armate (F.A.) convenzionali, è
facilmente evidenziabile; basti pensare che l’intera operazione Enduring Freedom ha
coinvolto circa 60.000 uomini per una durata di circa 10 anni e che, invece, per
un’operazione
dall’altissimo
valore
strategico
(che
ha
consentito
anche
il
raggiungimento di obiettivi politici), ovvero l’uccisione di Osama Bin Laden, sono bastati
circa 100 uomini impiegati per 12 ore. Il confronto, seppur semplificato, fa intuire quanto
sia importante per un decisore, a qualsiasi livello, valutare positivamente l’impiego delle
FS in termini di “Cost/Effectiveness”.
L’oggetto della presente tesi è quello di esaminare la MA, valutarne i risultati in tre “case
studies”, capirne i vantaggi, gli svantaggi e i limiti, e darne un’interpretazione nell’ottica
dei conflitti moderni e di intervento nelle cosiddette aree di crisi, allo scopo di
consegnare al Committente una visione interforze della disciplina in argomento,
nell’ambito di una più ampia discussione, già in corso in altre sedi istituzionali, e
orientata alla stesura di direttive sulla stessa MA3.
2. LA GUERRA OGGI
Per comprendere al meglio le opportunità che la MA può offrire è necessario
soffermarsi sull’analisi della guerra attuale, le cui caratteristiche sono del tutto nuove
rispetto a quelle delle guerre storiche precedenti. La prima novità è la seguente.
La guerra è passata in questi ultimi sessant’anni dall’essere prima una questione tra
Stati, poi una questione interna a uno Stato (guerre civili, inter-etniche), fino ad arrivare
oggi con l’essere una questione tra gli Stati e le organizzazioni terroristiche.
Al-Quaeda, l’ISIS (Islamic State of Iraq and Syria) sono infatti organizzazioni che si
contrappongono militarmente agli Stati, i cui apparati bellici sono ancora organizzati per
una guerra di tipo “classico” (ci sono 2 nemici che si contrappongono in condizione di
sostanziale equilibrio). Tale concetto è stato ribaltato da una visione della guerra che
oggi viene definita “ineguale”4 proprio per le caratteristiche intrinseche degli sfidanti che
si confrontano. Quindi, di fronte alla guerra attuale, gli Stati si trovano in evidente
difficoltà e in ritardo (che non è sul piano tecnologico ma concettuale), determinando
una dicotomia tra il nostro modo di concepire la guerra e quello del nemico.
L’elemento dicotomico-strategico più importante è lo scontro che coinvolge due civiltà
3
Questa tesi, compresi i case studies, si basa fondamentalmente su documenti open source italiani e siti
internet in lingua inglese, tedesca e araba.
4
Cfr. Alessandro COLOMBO, “La Guerra Ineguale. Pace e violenza nel tramonto della società
internazionale”, edizione Il Mulino, 2006.
2
diametralmente opposte in cui il ruolo della posta in gioco messa sul piatto diventa
fondamentale. Se nel mondo occidentale sembra ormai relegata alle sole FF.AA. che
partecipano ai conflitti veri e propri, nei nostri nemici risiede nella loro stessa esistenza.
In termini più specifici, tale dicotomia fa si che nella nostra civiltà l’opinione pubblica non
riesce a condividere le ragioni della guerra ed è sempre più consistente un generale
senso di disimpegno verso l’impiego della forza militare perché considerato, come già
detto in precedenza, costoso sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista delle
perdite di vite umane. Inoltre, la crisi economica degli ultimi anni ha alimentato questo
modo di sentire. In sostanza, le società sviluppate e avanzate hanno una scarsa
predisposizione alla “mobilitazione di massa” e i nostri politici, sempre attenti alle
logiche del consenso, hanno incanalato lo sviluppo dello strumento militare in modo
che, anche quando c’è la guerra, la popolazione possa percepirla come qualcosa di
lontano dalla vita quotidiana. I politici, infatti, tendono spesso a presentare la parola
guerra accostata ad una parola diametralmente opposta, tipo “guerra umanitaria”5,
poiché l’opinione pubblica non è sempre disposta ad accettare un intervento in caso
contrario.
Dire che la guerra è umanitaria permette al decisore di agire sulle logiche del consenso.
Da qui la nascita delle Forze Armate professionali e lo sviluppo di una tecnologia
militare capace di vincere in poco tempo e con poche perdite. Dall’altra parte ci
troviamo, invece, di fronte a una società o a dei gruppi in cui la mobilitazione di massa
non è un “vulnus”, ma il più importante asset strategico, nel senso che per loro è
importante che la guerra duri il più a lungo possibile, cercando di evitare di affrontare
l’avversario in una battaglia decisiva che li vedrebbe sicuramente soccombenti. Per loro
le vittime subite, siano esse militari che civili, non sono un fattore umano da
salvaguardare ma da utilizzare per la loro propaganda politica e religiosa.
Altro elemento caratterizzante la guerra ineguale, rispetto alle guerre combattute nel
passato, è l’esistenza di una differenza spaziale nel conflitto moderno; da un lato i Paesi
sviluppati e democratici cercano di segregare la guerra lontano da casa, dall’altro il
nemico cerca di portargliela in casa con atti terroristici indiscriminati o con la semplice
minaccia di essi. Lo scopo è chiaro, colpire la nostra opinione pubblica e mettere in crisi
un sistema caratterizzato dal quieto vivere e dal benessere diffuso (anche se poi la
società ha dimostrato di essere in grado di reagire, come si è visto con l’evento delle
5
Cfr. Libro intervista di Federico Rampini a Massimo D’Alema, “Kosovo: gli italiani e la guerra”,
Mondadori editore, 1999.
3
“Torri Gemelle” nel 2001).
Stante questa situazione, e in considerazione delle passate esperienze, appare
evidente quanto sia inappropriato scegliere un approccio diretto, che richiederebbe un
intervento massiccio in termini di personale per un lungo periodo, piuttosto che
adottarne uno indiretto come la MA che, invece, consente di ridurre il coinvolgimento
delle FF.AA. a una sola parte della componente militare costituita dalle Forze Speciali e
renderebbe l’attività sostenibile e efficace.
3. LA MILITARY ASSISTANCE: CONCETTI DI BASE
Parlare di MA significa parlare di un fenomeno molto complesso il cui esito è più sulla
dimensione politica che su quella militare. Con la MA si influenzano i Paesi, si cambiano
i regimi, si può selezionare la leadership di una nazione.
Military Advisors o Combat Advisors sono termini ormai di uso comune nelle moderne
operazioni militari e vengono utilizzati per indicare quei soldati che sono stati inviati in
un Paese straniero per aiutare quel Paese con la propria organizzazione militare. Il
vantaggio politico di questo approccio consiste nel minimizzare i rischi di subire feriti e/o
vittime e innescare un escalation della crisi locale.
Ciò detto, la MA nella dimensione militare strategica significa combattere “con,
attraverso, da” una milizia o Forza regolare di un Paese in crisi (destabilizzato)6.
Per essere più chiari, il combattere “con, attraverso, da” significa che lo Stato A
costruisce la capacità dello Stato B di risolvere militarmente un problema la cui
soluzione giova a entrambe le parti. A livello tattico operare “con” vuol dire che lo Stato
A coopera fianco a fianco con lo Stato B impiegando le proprie forze, fornendo capacità,
supportando la volontà e partecipando agli scontri sul terreno. Rappresenta l’opzione
più palese di MA e che come tale è quella che presenta il maggior rischio per i politici.
Operare “attraverso” significa che lo Stato A lavora dietro la scena, non direttamente sul
campo, fornendo allo Stato B capacità, mezzi, addestratori e consiglieri. E’ questa
un’opzione che riduce il coinvolgimento di un Paese in una guerra a poche unità che
non sono neanche coinvolte negli scontri.
Infine, l’operare “da” vuol dire che lo Stato B raggiunge autonomamente un obiettivo
dello Stato A senza alcun coinvolgimento di quest’ultimo sulla dimensione militare.
Quanto detto ci consente di fare un passo avanti e definire esattamente il catalogo delle
attività salienti della MA, individuate in Training, Advising e Mentoring/Partnering.
6
Joint Publication 3-05, “Special Operation”, 2014, US Department of Defence.
4
Prima di descriverle velocemente è importante cogliere un dato numerico-oggettivo.
Trattasi di attività che a fronte di un impiego limitato di soldati specializzati dello Stato A
sul terreno sono in grado di muovere centinaia, se non addirittura migliaia, di uomini
dello Stato B.
Questa è l’essenza del “low footprint” di questo approccio indiretto. Meno quantificabile
è il “low cost” dell’operazione poiché esso dipende da quanto equipaggiamento,
materiali e supporti specializzati (CAS, ISTAR, elicotteri, ecc.) sono necessari per lo
Stato B. Certo, in linea generale, se anziché far combattere delle milizie dello Stato B, lo
Stato A impiegasse le proprie forze regolari, s’intuisce facilmente che il costo per
quest’ultimo sarebbe decisamente maggiore.
Training, Advising e Mentoring/partnering7 cosa sono allora?
Il Training sono quelle attività che addestrano gli individui e le unità sull’impiego tattico,
forniscono assistenza ai Comandanti del livello tattico, dotano le milizie di TTPs
(Tattiche, Tecniche e Procedure).
L’Advising si rivolge a uno Stato fornendo consulenza ed “expertise” per raggiungere
obiettivi strategici o operativi.
Il Mentoring/Partnering sono attività condotte da piccoli team di esperti di settore a cui
viene ordinato di lavorare da vicino con i miliziani o le forze regolari di un Paese al fine
di fornire “guidance” e direzione8.
A questo punto è opportuno cogliere che la MA ha un ruolo anche nelle operazioni di
Insurgency o Counter-Insurgency poiché le modalità di esecuzione di queste particolari
forme di conflitto asimmetrico si sovrappongono alla MA e talvolta il confine diviene
piuttosto sfumato, cioè diventa difficile capire se un operazione è del tipo
Unconventional Warfare o MA. Infatti se ci soffermassimo ad analizzare le forze sul
terreno troveremmo in entrambi i casi delle milizie indigene coadiuvate da Forze militari
di un altro Paese. In tale contesto le pubblicazioni americane cercano di dipanare alcuni
dubbi delineando dei confini che in realtà le Organizzazioni Internazionali e altri Paesi
occidentali preferiscono mantenere sfumati9.
Nel paragrafo che segue, attraverso l’analisi di tre “case studies”, si cercherà di dare
forma empirica ai concetti fin qui espressi.
7
Military Assistance Handbook, 2014.
Joint Publication 3-24, “Counter insurgency”, 2014, US Department of Defence.
9
La pubblicazione AJP – 3.5 classifica la relazione tra FS e Irregular Warfare a seconda che il Paese in
cui si opera è una Hostile Nation State oppure Friendly Nation State. Vds. approfondimento Allegato A.
8
5
4. L’ANALISI DI ALCUNI CASE STUDIES
La storia militare è densa di eventi che per caratteristiche e tecniche sono assimilabili a
una strategia di approccio indiretto come la MA. Per esempio, tanto i Francesi quanto
gli Inglesi ampliarono le loro conquiste nel nuovo continente arruolando, ma più spesso
costringendo, gli indiani a combattere al loro fianco. Lo stesso Nicolò Machiavelli nel “Il
Principe” richiamava gli eserciti, anche quelli più forti, a non sottovalutare l’importanza
di combattere col favore di milizie locali10. Clausewitz ebbe a dire “quel popolo che
saprà valersi della guerra partigiana in modo razionale verrà a trovarsi in relativo
vantaggio rispetto a quelli che la trascurano”11.
Il metodo di combattere “con, attraverso, da” ha quindi origini storiche antiche.
Di seguito verranno proposti tre casi di studio in cui la MA è stata impiegata come
approccio indiretto: la rivolta araba del 1916 guidata da T.E. Lawrence; la guerra in
Afghanistan del 2001 per liberare l’Afghanistan dal regime dei Talebani del Mullah
Omar; l’invasione dell’Iraq del 2003 e il ruolo delle Forze curde. Si tratta quindi di tre
casi che cronologicamente dimostrano come le caratteristiche salienti della MA (low
cost, low footprint) si sono mantenute inalterate e come un tale tipo di approccio
indiretto può conseguire risultati strategici al pari dell’impiego di forze convenzionali.
a. “Case study 1” - Lawrence d’Arabia e la Rivolta araba
Nel 1916 la 1° Guerra Mondiale era nel pieno del suo svolgimento. Si fronteggiavano
da un lato i Francesi, gli Italiani, gli Inglesi e i Russi, dall’altra i Tedeschi e i Turchi.
Essendo chiaro a tutti che la guerra sul fronte occidentale non avrebbe prodotto
effetti, data la situazione di immobilità dovuta alla guerra di trincea, l’attenzione si
spostò sul fronte orientale; in particolare sulla necessità di portare fuori dal conflitto
l’impero Ottomano che, controllando il mar Nero, impediva il trasferimento di materiali
dall’Inghilterra verso l’impero Russo. Londra tentò di ripristinare le comunicazioni
effettuando un operazione anfibia nello stretto dei Dardanelli12, il cui risultato fu un
fallimento, circa 250.000 uomini persero la vita. Al di là dell’insuccesso militare,
rimaneva per gli Inglesi il problema di come aprire un altro fronte contro i Turchi in
10
Nicolò Machiavelli, Il Principe, Cap. III Sui Principati misti “[…. Perché sempre, ancora che uno sia
fortissimo in su li eserciti, ha bisogno del favore de provinciali a entrare in una provincia],1532.
11
Karl von Clausewitz, “Della Guerra”, 1832.
12
La campagna dei Dardanelli, conosciuta anche come campagna di Gallipoli o battaglia di Çanakkale
(dal turco: Çanakkale Savaşı), fu congeniata da W. Churchill in qualità di primo Lord del Mare (25 aprile
1915 - 9 gennaio 1916) – cfr. www.gov.uk/government/history/past-prime-ministers/Winston-Churchill.
6
modo da alleggerire la concentrazione delle loro forze sul Mar Nero e nella Russia
Zarista.
Fu proprio in seguito al fallimento di un approccio diretto e convenzionale, come
quello della sconfitta dei Dardanelli, che gli Inglesi presero in considerazione di aprire
un nuovo fronte contro i Turchi appoggiando il malcontento degli arabi nei confronti
dell’impero Ottomano nella penisola Araba. Qui i Turchi controllavano le città della
Mecca e Medina più alcuni punti strategici sulla costa come la città di Aqaba.
I nazionalisti turchi del Partito riformista dei Giovani Turchi avevano assunto la guida
dell'Impero Ottomano già dal 1908, lasciando al sultano Abdul Hamid II un potere
puramente formale. La politica ottomana cambiò e si accrebbe la discriminazione nei
confronti delle componenti non-turche dell'Impero. Gli Ottomani si allearono nel 1914
con gli Imperi centrali nella 1° Guerra Mondiale. Molti nazionalisti arabi che si
trovavano a Damasco e a Beirut furono arrestati, torturati e giustiziati dagli ottomani.
Gli arabi furono anche minacciati dalla costruzione delle ferrovia del Ḥijāz che i
Turchi pensavano potesse aiutare il loro esercito a spostare più facilmente truppe e
materiali più in profondità nei paesi arabi (la ferrovia fu infine realizzata sotto il
sultanato di Abdul Hamid II ma il suo impatto sulla guerra fu trascurabile sotto il
governo del Comitato Unione e Progresso).
A causa di questi motivi, lo Sharif al-Ḥusayn ibn ʿAlī, Sceicco della Mecca e nuovo
capo dei nazionalisti arabi, concluse un'alleanza con il Regno Unito e la Francia
contro gli Ottomani verso l'8 giugno 1916 (la data precisa è alquanto dibattuta). Le
forze arabe furono affidate al comando dei suoi figli ʿAbd Allāh e Faysal.
Il Governo britannico in Egitto immediatamente distaccò un giovane Ufficiale perché
lavorasse con gli arabi.
Quest'uomo era il Capitano T.E. Lawrence, noto poi come Lawrence d'Arabia13.
Fu così che T.E. Lawrence, profondo conoscitore della cultura araba, venne inviato
come consigliere militare presso Faysal. In questa fase Lawrence ebbe soprattutto il
compito di valutare concretamente la fattibilità della rivolta, individuare le potenzialità
di Faysal come leader, conquistarne “il cuore e le menti” (per usare un espressione
13
Personaggio chiave per la nascita delle moderne tecniche di guerra non convenzionale, ai danni dei
turchi in Egitto nel corso delle prima Guerra Mondiale, fu il celeberrimo Thomas Edward Lawrence,
meglio noto come “Lawrence d’ Arabia”. Nato a Tremadog il 16 agosto 1888 e figlio di un galantuomo
anglo-irlandese, Lawrence arrivò nel 1911 in Medioriente, per esercitare la propria professione di
archeologo. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914, fu arruolato dai servizi segreti britannici e
venne inviato al Cairo (Egitto). Nel 1916 fu trasferito a Gedda (Arabia Saudita), per far scoppiare le rivolta
araba contro i turchi, allora al potere in Arabia ed alleati della Germania.
7
tipica delle Forze Speciali impegnate in missioni di MA)14. Egli ebbe subito l’intuizione
di capire che, sebbene la penisola araba fosse frammentata in diverse tribù, l’idea di
affrancamento dall’impero Ottomano le avrebbe rese ideologicamente coese, mentre
sul terreno avrebbe impiegato volta per volta quelle tribù stanziate nei territori ove vi
erano gli obiettivi da colpire. Molto semplicemente, T.E. Lawrence valutò il livello
motivazionale di queste milizie, ritenendo che chi combatte per la libertà lotterà per
rimanere vivo poiché da morto non ne godrebbe. Convintosi quindi della possibilità di
poter condurre la rivolta, Lawrence si concentrò su come sviluppare l’azione. Anche
qui la sua decisione è un esempio di avvicinamento all’approccio indiretto.
Secondo una logica lineare la rivolta avrebbe dovuto concentrarsi su Medina per poi
avanzare verso la Palestina, ma questo avrebbe significato impegnare le milizie
arabe contro le trincee turche e le loro mitragliatrici e, valutato quanto accadeva in
Europa sul fronte Francese, comprese che questa non poteva essere la tattica
vincente. Decise quindi di prendere Medina indirettamente, occupando i porti sul Mar
Rosso e bloccando la ferrovia del Hijaz che collegava la città all’impero Ottomano.
Ciò costrinse gli ottomani a inviare sempre maggiori unità militari a protezione della
ferrovia e a riparare i danni apportati dagli arabi di Faysal e da Lawrence. In pratica,
Lawrence intuì che con questa azione Medina avrebbe perso qualsiasi importanza
strategica e, anzi, si sarebbe trasformata in un inutile pozzo senza fondo per le
risorse dei nemici. Ecco quello che Lawrence scrisse al riguardo nei suoi appunti
sulla guerriglia e nei Sette Pilastri della Saggezza: “Un pomeriggio mi svegliai da un
sonno pesante, madido di sudore e divorato dalle pulci chiedendomi a che ci serviva
Medina in definitiva. Ormai bloccavamo la ferrovia ed essi la difendevano soltanto. Il
presidio di Medina restava accovacciato nelle trincee e distruggeva le proprie
possibilità di movimento mangiando gli animali che non sapevano più come nutrire.
Li avevamo privati della possibilità di farci danno e ora volevamo impadronirci della
loro città. Ma per farci cosa? Restando lì i Turchi erano inoffensivi, farli prigionieri
avrebbe comportato il costo del cibo e delle sentinelle in Egitto, se fossero stati spinti
a Nord verso la Siria, si sarebbero uniti al grosso del loro esercito che bloccava gli
inglesi nel Sinai. Sotto tutti gli aspetti andavano bene lì dov’erano, a loro importava
Medina e volevano difenderla. Liberi di farlo!”.
14
La capacità di interfacciarsi con la cultura locale, gli valse la fedeltà dei Leader del luogo, iniziando una
guerriglia con l’impiego di tecniche di combattimento a cavallo, tradizionalmente arabe. Tale campagna,
giocò un ruolo decisivo per la successiva conquista della Siria e della Palestina da parte britannica.
8
Lawrence sosteneva, infatti, che l'azione di profondità può e deve scombinare
completamente la geometria di una campagna regolare: “è agendo sullo scenario nel
suo insieme che si disorienta l'avversario”. La vittoria si deve piuttosto a un'azione
intellettiva, a un cambiamento arbitrario di prospettiva, che non sfida la forza del
nemico, ma la vanifica, la aggira e la rende inutile. Se un particolare punto
geometrico sulla mappa del teatro bellico è di importanza strategica, la vittoria non
consiste necessariamente nel riuscire a espugnare quel punto, in cui il nemico si
sente inattaccabile, quanto piuttosto nel modificare la mappa intera per renderlo di
secondaria importanza. Spostare l'azione altrove, insistere su altri punti, andarsene
da un'altra parte e lasciare il nemico trincerato a difesa di un luogo divenuto
inservibile e inutile.
Quella di Lawrence è una strategia della sottrazione. Il nemico non va combattuto,
ma abbandonato e disorientato (“Se il nemico non ti vede, contro chi spara?”).
Si ritorna dunque alla questione primaria. E’ possibile vincere una guerra senza
combattere battaglie e spargere sangue? Lawrence ne è profondamente convinto.
Tutta la sua idea di guerriglia si fonda sull'assenza, sul conflitto a distanza,
sull'invisibilità, che consentirà ai guerriglieri di mantenere sempre l'iniziativa, e
automaticamente la toglierà all'avversario.
Con questi presupposti strategici, il 6 luglio del 1916 Lawrence, dopo un audace
attacco condotto dal lato di terra - dal quale non si temevano azioni militari, visto che
s'affacciava sulla steppa (bādiyya), conquistò il porto della cittadina di Aqaba (i cui
cannoni erano rivolti verso il mare). Aqaba rivestiva notevole interesse per i britannici
in quanto base di rifornimento della Forza di Spedizione Egiziana (Egyptian
Expeditionary Force), come pure per la Rivolta Araba.
Più avanti nell'anno, i guerrieri arabi effettuarono limitate incursioni contro le posizioni
ottomane per agevolare l'offensiva invernale del Generale Allenby contro la linea
difensiva turca Gaza-Bersheeba. Le vittorie di Allenby portarono direttamente alla
presa di Gerusalemme poco prima di Natale del 1917.
Nel 1918 la sua manovra sussidiaria continuò con ancora maggior impeto attaccando
colonne di rifornimento e ancora le linee ferroviarie turche di Megiddo in meno di
dieci giorni di combattimento. Lawrence e le sue truppe arabe anticiparono il
Generale inglese a Damasco per ricevere la resa ufficiale dei Turchi (30 settembre
1918). Alla fine della guerra, la Forza di Spedizione Egiziana aveva posto sotto
9
controllo quelli che oggi sono gli Stati di Israele, Giordania, Libano, gran parte della
Penisola Araba e del sud della Siria.
Ciò che non riuscì a un esercito organizzato e ben equipaggiato con la battaglia dei
Dardanelli, fu invece il capolavoro di una milizia meno organizzata ed equipaggiata
ma fortemente motivata, ottimamente guidata (o per dirla in termini militari moderni,
militarmente assistita dall’Inghilterra tramite il Capitano T.E. Lawrence).
“Lawrence d’ Arabia” viene, per questo, ricordato quale precursore di quelle tecniche
di guerra non convenzionale, che vedono un operatore interfacciarsi con le
popolazioni locali di un’area, per porre in essere l’allestimento e l’addestramento di
una forza in grado di rovesciare uno Stato. Il punto di forza del guerrigliero risiede
prima nella capacità di contagiare con le proprie idee la popolazione civile, che
nell’efficacia dell’azione militare diretta. Il conflitto non è fisico, ma morale, politico.
Lawrence descrive che: “La rivolta deve avere una popolazione amica, non in modo
attivo, ma bendisposta al punto di non rivelare i movimenti dei ribelli al nemico.
Convertire ogni individuo in essere amichevole”. I capisaldi delle sue teorie sono
quindi due, la mobilità, come migliore forma di difesa e il pensiero, come migliore
forma d’attacco. Sottrarre i bersagli al nemico e “convertire ogni individuo in essere
amichevole” sono le chiavi della vittoria15.
Quanto sopra rappresenta un esempio di come la MA combattendo “con, attraverso,
da” possa raggiungere risultati strategici senza impegnare massivamente le proprie
forze attraverso un approccio indiretto.
b. “Case study 2” - Afghanistan 2001: Task Force Dagger
Dopo gli attacchi dell’11 Settembre 2001 il Presidente Bush dichiarò la guerra
globale al terrore e il primo bersaglio individuato fu l’Afghanistan accusato di ospitare
Osama Bin Laden. Memori della campagna sovietica del 1979-1989 in cui
nonostante l’impiego di circa 650.000 uomini l’Armata Rossa era rimasta
impantanata, il Segretario di Stato Donald Rumsfeld e il Generale Frank non
volevano occupare il Paese con una forza d’entità consistente; inoltre, un’operazione
convenzionale avrebbe richiesto lunghi preparativi e l’amministrazione Bush non era
disposta ad aspettare. Il CENTRAL COMMAND16 (CENTCOM) affidò allo Special
15
16
Cfr. T.E. Lawrence, “I sette pilastri della saggezza”, 1926 e “Guerriglia”, 1929.
Il Central Command è il comando USA che ha competenza sulle operazioni in Asia Centrale.
10
Operation Command (SOCCENT) il compito di sviluppare una campagna veloce da
implementare e che coinvolgesse il minimo delle forze militari USA.
La proposta del SOCCENT fu quella di combattere “con, attraverso, da” le milizie
anti-talebane presenti in Afghanistan, assistite militarmente da piccole unità di Forze
Speciali del 5° Special Force Group (SFG). Anche in questo caso a fronte di una
approccio convenzionale come quello dell’Armata Rossa, si vedrà come con un
dispositivo infinitamente più piccolo con caratteristiche riassumibili come “low
footprint” e “low cost” è possibile raggiungere obiettivi strategici di alta valenza
operativo-militare.
Un mese dopo l’attacco alle Torri Gemelle, il 5° Special Force Group si schierò a
Karish Konabad in Uzbekistan dove era stato preceduto dal 16° Special Operation
Wing che aveva il compito di condurre operazioni Combat Search and Rescue in
supporto alla campagna aerea. Il Comandante del 5° SFG, Col. Mulholland, assunse
il comando della Joint Special Operation Task Force (TF) “Dagger” che si venne a
costituire insieme al 16°. La TF Dagger aveva un’organizzazione molto più
complessa di quella di Lawrence, ne facevano parte il 5° Special Force Group, il 112°
Signal Battalion, il 160° Special Operation Aviation Regiment, il 4° Psycological
Operation Group, il 96° Civil Affairs Battalion, oltre alla componente USAF del 16°
Wing, del 9° Special Operation Squadron, e il 23° Special Tactics Team. Il primo
passo fu come nel precedente case study, prendere contatto con la galassia antitalebana, individuare i leader più influenti e capaci, valutare le loro milizie. La TF
Dagger decise di puntare su 2 leaders locali, il Generale Rashid Dostum17 e
Mohammed Fahim Khan18, quest’ultimo aveva preso il posto del famoso
Comandante Massoud19 noto come il “Leone del Panjshir”. Il 20 ottobre 2001, dopo
17
Il General Rashid Dostum, leader della comunità uzbeka nel nord dell’Afghanistan, è rimasto ad Ankara
(Turchia) durante il periodo talebano sino a quando, ad aprile 2001, il Comandante Massoud chiese il suo
rientro per organizzare un secondo fronte anti-talebano nell’ambito dell’Alleanza del nord.
18
Il Generale Mohammed Fhaim Khan, braccio destro del Comandante Massoud nella Panjshir Valley,
quando il 9 settembre 2001 questi fu ucciso, divenne il Ministro della Difesa dell’Alleanza afghana del
nord contro i talebani.
19
Il Comandante Massoud combatté i Talebani per due anni prima di abbandonare Kabul nel settembre
1996. Con la conquista di Kabul da parte dei Talebani Massoud ripiegò nella valle del Panjshir, dove
ingaggiò una dura resistenza che gli valse il soprannome di "Leone del Panjshir"
A partire dal 1996, quindi, la struttura militare di Massoud, riunita sotto l'insegna dell’Alleanza del nord
tornò ad operare secondo gli schemi su cui aveva basato la sua vittoria sull'invasore sovietico. La
strategia ridiventò indiretta e principi strategici come mobilità e indifferenza alla perdita momentanea di
spazio tornarono ad imperare tra i ranghi delle milizie del Panjshir. Prima dell’11 settembre 2001, la
resistenza offerta alle offensive dei Talebani da parte del sistema militare di Massoud tornò ad essere
efficace e, così com'era accaduto nel corso degli anni Ottanta, l'operato degli uomini del Panjshir fu
determinante nel sancire la sconfitta, politica prima ancora che militare del movimento talebano.
11
soli dieci giorni dall’arrivo, furono infiltrati i primi due team di Forze Speciali con il
compito di unirsi alle milizie dei due leaders.
Per dare un’idea delle forze in campo, a fronte di circa 24 operatori FS dell’USA vi
erano qualcosa come 20.000 miliziani pronti a essere guidati in combattimento
contro i Talebani. Dopo solo 24 ore, come coordinato con Dostum e Khan, i Green
Berrets20 e STS (Special Tactics Squadron)21, guidarono le prime missioni Close Air
Support di questa campagna. Questi attacchi impressionarono molto i miliziani
dell’Alleanza del Nord e così questo piccolo manipolo di soldati USA cominciò a
conquistarne il cuore e le menti, migliorarne le capacità tattiche al punto di poter
intraprendere prima del previsto operazioni di combattimento più impegnative come
la presa di Mazar-i Sharif e del suo aeroporto. Grazie al supporto di fuoco aereo
dell’USAF guidato dagli operatori FS sul terreno, la città venne liberata dopo circa 8
giorni di combattimento. Ebbe così inizio la fine del regime dei Talebani. In tale
ambito, gli USA considerano la presa di Mazar-i Sharif l’esempio tipico di
“Unconventional Warfare in Afghanistan” e in particolare la battaglia in questione
viene ricordata come la prima grande vittoria dell’offensiva di terra dell’operazione
Enduring Freedom22. Questo perché la fase iniziale di Enduring Freedom era
costituita da qualche centinaio di FS dell’Esercito americano, supportati dal potere
aereo e che assistevano l’Alleanza del nord e successivamente anche dall’Alleanza
del sud per sconfiggere i talebani in 49 giorni.
Ritornando all’argomento pregnante della tesi, anche questo è un esempio concreto
di come la scelta di un approccio indiretto abbia consentito agli USA il pieno
raggiungimento dell’obiettivo senza venir meno alle esigenze politiche interne, che
volendo evitare il fantasma di un secondo Vietnam, avevano posto il requisito di
impiegare pochi uomini. Tutti sappiamo che, caduto il regime talebano in
Afghanistan, fu deciso l’impiego di rilevanti forze convenzionali ed è, pertanto,
20
I Green Berrets sono le unità di Forze Speciali della US ARMY specializzate in operazioni MA e
Insurgency. A tal fine ogni Reggimento di Green Berrets viene specializzato ad operare in determinate
aeree del mondo.
21
Gli Special Tactics Squadron sono unità delle Forze Speciali della US AIR Force particolarmente
specializzati nella guida del fuoco aereo.
22
Nella notte del 19 ottobre 2001, le forze speciali americane si congiunsero con quelle del Generale
Dostun per riconquistare la città di Mazar-i Sharif. Gli operatori rimasero stupiti dallo scoprire che la
milizia afghana si muoveva ancora con i cavalli. La sorpresa fu ancora più evidente quando subito dopo
l’attacco aereo americano, la milizia effettuò una carica di cavalleria contro i talebani realizzando una
singolare combinazione di condotte di guerra di generazioni diverse (tecnologia aerea da una parte e
guerra a cavallo) di assoluta efficacia. I talebani si ritirarono subito dopo da Mazar-i Sharif.
12
iniziata una costosa e sanguinosa guerra non ancora conclusa, ma ciò non toglie
nulla ai risultati raggiunti dalla TF Dagger.
c. “Case study 3”- Iraq 2003: Task Force Viking
La seconda guerra del Golfo iniziò il 20 Marzo del 2003 con l’invasione dell’Iraq da
parte di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America. L’obiettivo
era la deposizione di Saddam Hussein, visto con ostilità dagli USA poiché sospettato
di aver avviato un programma di sviluppo di armi di distruzione di massa e di aver
avuto un ruolo negli ultimi atti di terrorismo internazionale. Saddam fu deposto
rapidamente il 15 Aprile del 2003. Tutte le principali città erano nelle mani della
coalizione e il 1° Maggio 2003 il presidente Bush proclamò concluse le operazioni
militari su larga scala. L’idea di implementare un’operazione di MA a favore dei Curdi
stanziati nel Nord dell’Iraq era già stata valutata nel corso della 1° Guerra del Golfo e
proposta dall’USSOCOM (United States Special Operations Command), al Generale
Schwarzkopf ma non tenuta in considerazione.
Fu così che nelle fasi di pianificazione della 2° Guerra del Golfo venne ripresa l’idea
di utilizzare le milizie Curde nel nord dell’Iraq contro l’esercito di Saddam in modo da
costringerlo a dividere le sue forze. La situazione dei Curdi era decisamente
migliorata grazie ai risultati ottenuti da una missione internazionale23 attivate a favore
della minoranza curda dopo la 1° Guerra del Golfo.
Quando la TF Viking giunse nel Marzo del 2003, ad attenderla vi erano circa 70.000
Peshmerga24. La TF Viking era stata costituita nel luglio del 2002 ed era composta
dal 10° Special Force Group, dal 404° Civil Affairs Battalion, dalla Task Force 7
Special Boat Squadron inglese e dal 352° Special Operation Group.
In seguito al rifiuto della Turchia di dare supporto all’invasione del Paese il
CENTCOM decise di impiegare la TF Viking per entrare nel nord dell’Iraq al fianco
dei Curdi in modo da ingaggiare le 13 divisioni che Saddam aveva rischierato,
evitando così che una parte di esse potesse essere ridestinata alla difesa di
Baghdad. Come per Lawrence, si trattava di aprire un secondo fronte utilizzando una
milizia locale, quella curda, che aveva profondi sentimenti di rivalsa nei confronti del
Rais iracheno.
Il piano sviluppato prevedeva un operazione su tre linee d’azione:
23
24
Operation Provide Confort.
Peshmerga: nominativo con il quale in lingua curda ci si riferisce alla milizia curda.
13
- Air Interdiction contro due divisioni della Guardia Repubblicana e una Divisione
corazzata;
- operazioni delle milizie nelle città chiave con il supporto di fuoco aereo con
armamento di precisione guidato da terra;
- raccolta di informazioni e sviluppo di piani per prevenire lo spostamento verso sud
delle divisioni di Saddam.
La prima operazione ebbe luogo il 28 Marzo 2003 contro il campo terroristico di
Ansar Al Islam nel nord-est dell’Iraq, dove si riteneva avessero trovato rifugio
numerosi terroristi di Al-Qaeda. L’obiettivo fu raggiunto il 30 marzo attraverso l’uso
sinergico del 10° SF Group la milizia Peshmerga e il supporto del fuoco aereo. In
particolare il rapporto nella forza di assalto tra soldati USA e milizia curda consisteva
in circa due unità delle FS ogni trecentosessanta Peshmerga. Anche le successive
operazioni furono della stessa portata e gli obiettivi iniziali della campagna furono
pienamente raggiunti.
I successi della TF Viking così come quelli della TF Dagger in Afghanistan si basano
su una positiva e rapida integrazione con le milizie locali, conseguita molto tempo
prima delle operazioni e, precisamente, per gli uomini della TF Dagger negli anni
ottanta quando le Forze Speciali furono utilizzate per aiutare i mujaheddin a
respingere l’invasione russa in Afghanistan, per quelli della Viking negli anni della
Operation Provide Confort, operazione internazionale per mettere fine ai massacri
etnici commessi da Saddam Hussein. In questi anni infatti si erano creati dei legami
molto forti e a tutti i livelli tra i Green Berrets e i Peshmerga, per cui nel corso della
seconda Guerra del Golfo si trattò soltanto di riprendere un rapporto interrotto,
poiché “il cuore e le menti” dei curdi erano già stati conquistati in precedenza.
5. QUALI FORZE PER LA MILITARY ASSISTANCE
La comparazione dei tre case studies analizzati evidenziano una caratteristica
fondamentale comune che è quella del tipo di soldato che serve in queste operazioni.
Normalmente la MA, insieme alla ricognizione speciale e alle azioni dirette, è un
compito d’istituto per tutti i reparti delle Forze Speciali25. Ciò è, evidentemente, la
conseguenza delle esperienze della 2° Guerra Mondiale dove gli alleati ricorsero su
vasta scala ad infiltrare, dietro le linee nemiche, personale militare destinato a prendere
25
Pubblicazione NATO MC 437/2 “Military Committee Special Operation Policy”.
14
contatto con le forze partigiane. Già nel 194126 i britannici infatti avevano escogitato il
piano “Jedburgh” per appoggiare le forze partigiane nell’Europa occupata.
I Jedburgh insieme con poche altre Forze Speciali, create più o meno nella stessa
epoca, furono il primo esempio concreto di una forza militare in uniforme addestrata ed
equipaggiata per unire e dirigere le operazioni dei partigiani irregolari in territorio
nemico, ovvero di una forza concepita per la condotta di una guerra del tipo “con”, cioè
al fianco dei miliziani europei. Poco più di trecento uomini (un terzo di un normale
battaglione di fanteria) dettero un contributo centrale per lo sbarco in Normandia
guidando il Maquis27 francese contro i tedeschi. Gli uomini che componevano quelle
squadre furono attentamente selezionati in base a delle caratteristiche ben specifiche,
diverse da quelle del soldato comune, poiché questi uomini avrebbero potuto contare
solo su stessi. Non esisteva per loro una reale possibilità di rientrare nelle linee amiche,
né di essere curati se feriti.
Questa eredità ha fatto sì che, terminata la guerra, il compito di condurre operazioni di
Assistenza Militare vedesse le Forze Speciali come le uniche unità che possedevano i
requisiti e la mentalità necessaria per operare isolatamente e in piccoli gruppi in
territorio nemico e che soprattutto avevano già maturato un’esperienza nel settore.
Da questo breve excursus storico è già possibile identificare alcune caratteristiche
individuali del personale destinato a operazioni di MA: elevata capacità di adattamento,
autocontrollo, buon livello culturale, attitudine fisica e mentale a sopportare prolungati
periodi di stress. Ma se questi requisiti sono essenziali per selezionare il personale, ci
sono degli elementi che sono funzionali alla riuscita dell’operazione. La capacità di
interfacciarsi rapidamente con le milizie indigene risiede essenzialmente su due aspetti
fondamentali, che sono le conoscenze linguistiche e quelle culturali.
Come si è già avuto modo di riferire, T.E.Lawrence era un profondo conoscitore delle
tradizioni e della lingua araba, così come le FS americane nella campagna antitalebana poterono usufruire delle esperienze e conoscenze acquisite negli anni ‘80 al
fianco dei mujaheddin contro l’Armata Rossa (altro caso di MA di successo).
Risulta centrale, quindi, poter disporre di forze che allarghino le loro capacità militari
attraverso lo studio delle lingue e dell’antropologia culturale. Si tratta comunque di
processi formativi che richiedono tempo come l’apprendimento di una lingua specie
26
La pianificazione e la preparazione erano iniziate nel Febbraio del 1914 e nei tre anni successivi, con
l’appoggio di Churchill e di Eisenhower, l’operazione Jedburg diventò sempre più parte integrante di
Overlord.
27
Maquis termine con cui venivano chiamate le bande dei combattenti irregolari francesi. Deriva dal
nome con cui si indicano in Corsica i terreni coperti da cespugli.
15
quando queste non sono di uso comune nel mondo occidentale, come per esempio
l’arabo e i suoi dialetti. Per sopperire a questa dilatazione dei tempi che mal si concilia
con la rapidità con la quale le crisi contemporanee emergono, occorre da subito
orientare la preparazione delle forze in specifiche aree culturali del mondo (quella
latino-americana, quella africana e quella araba per fare un esempio), così come già
fatto dagli Stati Uniti da tempo. In questo modo è possibile avere una preparazione di
base che consente di poter intervenire in maniera più tempestiva.
Attraverso l’analisi delle future minacce è poi possibile perfezionare ulteriormente lo
studio linguistico e culturale delle aree designate. Questi elementi di conoscenza
culturale sono centrali poiché rappresentano il primo mattone di un processo più ampio
di conquista del “cuore e delle menti” della milizia indigena. Il soldato delle FS che viene
impiegato nelle operazioni di MA deve avere ben presente quale è il suo ruolo e quali
sono i suoi compiti. Spesso si tratta di ruoli di non combattimento, ma non per questo
devono essere considerati di secondaria importanza e questo, se talvolta può essere
frustante, è prioritario nelle dinamiche di rinforzo di una milizia, sia essa statale e non,
e che possa acquisire legittimazione, operando in prima linea in maniera autonoma
perché solo così la popolazione sentendosi protetta le conferirà autorità. Questo passo
è centrale perché spesso una milizia, specie quando opera in condizioni di semiclandestinità, ha necessità del supporto della popolazione che produrrà i simpatizzanti,
che poi diverranno fiancheggiatori, che a loro volta potranno diventare guerriglieri.
Quanto appena descritto è il ciclo di produzione della guerra asimmetrica, ossia un ciclo
di produzione diverso da quello convenzionale. Infatti, nel ciclo convenzionale, sapendo
per esempio quanti carri armati uno Stato può produrre in un giorno, è possibile
comprendere il valore della distruzione di uno di essi (se uno Stato produce 10 carri
armati, la distruzione di 4 unità, diventa rilevante). Nella guerra asimmetrica, invece,
l’uccisione di un guerrigliero non è valutabile, poiché nessuna “intelligence” può
prevedere quanti simpatizzanti diverranno fiancheggiatori e quanti di questi nuovi
combattenti.
Un altro aspetto importante è lo sviluppo di empatia tra advisors e forze da addestrare.
E’ necessario instaurare un rapporto di estrema lealtà che conta molto di più per il
successo di qualsiasi armamento sia possibile impiegare. Ma vivere e lavorare con le
forze di un altro Paese spesso significa essere sospeso tra due realtà, quello dello
Stato di provenienza e quello dove si opera. Realtà spesso distanti dove la percezione
di quello che accade è diversa. Spesso gli advisors navigano da soli tra due sistemi e
16
questo può generare frustrazione. Lawrence ha vissuto in prima persona questa
ambiguità quando, conclusasi la 1° Guerra Mondiale, al tavolo della pace la nazione
Araba, per cui si era battuto insieme alle milizie dello Sceicco Faisal, non ebbe seguito.
Fu per Lui una grande delusione, ma spesso questa frustrazione è la stessa che molti
operatori delle FS provano quando prendono consapevolezza che esiste una
divergenza tra gli obiettivi della real politik e le idee che essi stessi devono propugnare
per motivare una milizia. Chi fa assistenza militare deve sapere che il suo compito non
è comandare truppe, ma piuttosto essere un broker o un enablers, il suo posto è in
sostanza dietro le quinte.
Quindi questi aspetti devono continuare ad essere centrali anche nelle operazioni
moderne di MA, le quali per la verità iniziano oggi ad avere una multidimensionalità così
spinta da dover prevedere l’impiego non più esclusivo delle Forze Speciali ma di
comparti più ampi di competenze e quindi di specialità militari. Medici, esperti di
trasmissioni, mediatori culturali sono oggi essenziali nelle operazioni di MA specie
quando queste si rivolgono a supportare uno Stato più che una milizia ovvero quando
l’obiettivo della campagna non può prescindere dalla costruzione delle istituzioni in
grado di far rinascere uno Paese. In tal caso infatti si parla di SFA (Security Force
Assistance)28, proprio a voler sottolineare la differenza con la MA. Il caso Afghanistan e
Iraq ci hanno dimostrato che la MA è in grado di contribuire efficacemente al
rovesciamento di un regime e questo perché come si è visto si tratta di un fenomeno
molto studiato e riscontrato nella storia militare, mentre le successive operazioni del tipo
SFA hanno spesso incontrato grosse difficoltà, in parte spiegabili perché questo tipo di
operazioni sono più recenti e quindi non esiste ancora una solida base dottrinale. Va
notato, inoltre, che oggi le FS nell’ambito della Missione Resolute Support stanno
svolgendo una missione parallela sempre di MA delle FS Afghane combattendo “con”
loro per accrescere la fiducia della popolazione nel futuro dell’Afghanistan e delle sue
consolidatesi istituzioni.
28
Comandante della Missione ISAF del 2013, il Gen. Dunford Corp è l’attuale Comandante in Capo dei
Marines. E’ lui che fornisce la definizione più completa di SFA come un insieme di attività, di una
innovazione e un cambiamento fondamentale nel modo di pensare ed agire, un cambiamento epocale
nel modo di concepire e combattere attraverso una Miliatry Assistance che si basa su un approccio
nuovo in grado di unire un ruolo nuovo per civili e militari, istituzioni politiche e Forze Armate allo scopo di
far rinascere una nazione. Questa è la definizione che è alla base della SFA intendendo un approccio
comprensivo e multidimensionale fatto da civili e miliari per la costituzione delle istituzioni libere e
funzionanti in un Afghanistan autosufficiente. Nella JP-3.5, che riprende la definizione del Gen. Dunford,
viene comunque inserito il ruolo delle FS in attività di tipo SFA (cfr. Allegato A).
17
Per concludere, possiamo ritenere che la MA rimarrà un ambito esclusivo delle Forze
Speciali fin tanto che si tratterà di andare ad addestrare milizie che operano in
condizione di clandestinità, poiché in tal caso le condizioni di isolamento e il combat
stress associato richiedono le caratteristiche mentali tipiche delle FS. Quando ciò non si
verificherà,
ovvero
non
esisteranno
le
condizioni
di
cui
sopra,
l’approccio
multidimensionale del comprehensive approach tipo SFA sarà sicuramente garanzia di
migliore efficacia per il raggiungimento degli obiettivi della campagna, comunque, anche
in tale contesto, le FS continueranno avere un ruolo preminente di MA nell’ambito degli
compiti della missione.
6. LA MILITARY ASSISTANCE: VANTAGGI, SVANTAGGI E LIMITI
Quanto fin qui esposto ci permette di individuare i vantaggi, gli svantaggi e i limiti della
MA come approccio militare indiretto.
Cominciando con i vantaggi, la MA offre al decisore politico la possibilità di gestire gli
equilibri del consenso e di intervenire nel pieno rispetto delle volontà della propria
opinione pubblica. Infatti, se l’opinione pubblica richiede operazioni che costano poco
sia in termini di perdite di vite umane sia in termini economici, si è visto che lo
strumento della MA, impiegando poche e selezionate unità, è in grado di far svolgere il
grosso delle operazioni alle milizie o Forze regolari di una altro Paese. Su questi ultimi
si riverseranno la maggior parte delle perdite e il loro costo d’esercizio sarà sicuramente
più basso di quello necessario a mettere in proprio il grosso delle forze. Così facendo la
guerra apparirà alla società civile come un qualcosa di lontano dalla vita di tutti i giorni e
non solleverà dubbi, proteste, desiderio di disimpegno. Un altro vantaggio politico è
quello di privare la propaganda del nemico dalla possibilità di accusare le coalizioni di
essere delle potenze d’occupazione o imperialiste, essendo queste minimamente
coinvolte sul terreno. Questo punto è molto importante per prevenire il così detto
fenomeno dello spillover della crisi. Oggi grazie all’avvento delle velocissime forme di
comunicazione del web e dei social network, la propaganda può veicolare messaggi
ovunque con il risultato che il Paese che è intervenuto convenzionalmente si può
trovare in un isolamento politico internazionale e quindi pagare un prezzo ancora
maggiore. In questo senso è molto importante sfruttare la possibilità della MA di essere
declinata al suo interno in diversi livelli d’intensità, a seconda se si sceglie di operare
“con, attraverso, da”.
18
Un ulteriore vantaggio di questa forma di intervento indiretto è rappresentato dalla
centralità dei legami che si stabiliscono con il Paese aiutato, legami che, superata la
crisi, possono portare a una serie di benefici reciproci non solo sugli aspetti economici
ma anche in altre dimensioni (politica, culturale, ecc.). Occorre comunque saper
sfruttare questo vantaggio senza abusarne poiché approfittarne renderebbe il Paese
intervenuto accusabile di essere un colonizzatore anziché un partner benevolo. Un
Ufficiale australiano Brailey29 ha sostenuto che l’approccio indiretto proprio delle FS
potrebbe essere una buona soluzione per un decisore politico. In particolare, questi
sottolinea che nell’era contemporanea un decisore è costretto spesso a fare i conti con i
costi di un massiccio dispiegamento, di conseguenza ove possibile propenderà per un
impiego sempre più diffuso di assetti delle FS al fine di diminuire l’impatto mediatico di
costi e di eventuali perdite.
Gli svantaggi invece si manifestano più sulla dimensione militare. Occorre trovare i
Leaders giusti, individuare le milizie o le Forze regolari più motivate e capaci, avere del
personale in grado di abbattere le barriere culturali e linguistiche e quindi prontamente
preparato a interagire con le forze straniere da assistere. Sono questi aspetti i fattori
che portano al successo delle operazioni di MA.
Nelle crisi più impegnative, pensiamo per esempio all’Afghanistan dopo la caduta del
regime dei Talebani, le difficoltà nascono proprio quando le operazioni militari vere e
proprie si sono concluse. Sono difficoltà legate al processo di State Building dove
l’approccio low cost - low footprint non è più applicabile. Se la MA ha un ruolo
fondamentale nelle fase cinetiche del conflitto (combattimenti), come si è visto nei case
studies, quando queste terminano il problema non è più vincere militarmente ma
ricostruire un Paese. In pratica, si deve passare ad un concetto operativo differente,
generalmente oggi indicato come SFA, ove impiegando forze militari e civili in maniera
integrata si garantisce un approccio multidimensionale più adatto allo scopo.
Certamente questo implica maggiori costi economici e anche di vite umane e di
conseguenza un maggiore rischio che l’opinione pubblica spinga al disimpegno, ed è
esattamente quello che è accaduto in Iraq e Afghanistan dopo che i due regimi sono
stati rovesciati. Esiste quindi un rapporto di complementarietà tra MA e SFA da tener
presente sul piano strategico. Aiutare l’Iraq a combattere l’ISIS attraverso forze che
29
Cpt. Malcom BRAILEY, “The Trasformation of SOF in Contemporary Conflict” Land Warfare Centre
(Nov 2005).
19
addestrano, consigliano, le Forze Armate irachene è un compito di MA, mentre la loro
ricostruzione e organizzazione al mantenimento è un compito di SFA.
In ogni caso, sia che si tratti di MA o di SFA è prudente porsi il problema di cosa
trasmettere a queste forze straniere, tenendo presente che in futuro, quanto insegnato,
potrebbe essere impiegato contro di noi o contro i nostri alleati. L’esperienza storica ci
insegna che questo può accadere. Infatti, il supporto americano offerto ai mujaheddin
durante la guerra afghano-russa è stato poi in parte utilizzato da Al-Qaeda
successivamente. La risposta a questo limite è più politica che tecnica, in quanto
dovrebbero essere fissati i limiti entro i quali lo strumento militare deve attenersi e
operare durante le operazioni di MA o SFA. Oggi l’indeterminatezza dell’attuale quadro
geopolitico non agevola la fissazione di tali limiti, che quindi sono difficilmente definibili.
7. LA MILITARY ASSISTANCE 2.0
Confrontando i tre case studies è facile notare che la MA di Lawrence d’Arabia da un
lato e quella della TF Dagger e Viking dall’altro sono diverse. La diversità non risiede
negli elementi salienti della MA, che sostanzialmente sono rimasti gli stessi, ma nelle
modalità. Mentre Lawrence si confrontava con un nemico tecnologicamente più
avanzato, oggi la situazione è l’esatto contrario. Sono gli assistiti ad avere dalla loro
parte lo stato dell’arte della tecnologia militare e non solo. Ecco perché ha senso
parlare di una MA 2.0. Le FS che oggi vengono impiegate in operazioni di MA oltre al
loro valore militare, portano agli assistiti una supremazia tecnologica che fa la differenza
sul terreno. L’impiego di satelliti, droni, cannoniere volanti, fast jet in ruolo Close Air
Support, consentono di individuare gli obiettivi in maniera veloce e distruggerli con un
basso costo in termini di vite umane da parte degli assistiti. Le esperienze più o meno
recenti dimostrano come la sinergia tra le FS e il supporto aereo sia vincente nella
risoluzione delle crisi moderne. Tutto ciò non è una novità nel mondo delle FS il cui
modo di operare è fortemente sbilanciato nella terza dimensione (aviolanci, infiltrazioni
con elicotteri, ISTAR, ecc.). Per questo le attuali ma soprattutto le future operazioni di
MA saranno sempre più caratterizzate dal binomio Forze Speciali - Air Power (che
costituisce sia una potenza di fuoco sia una capacità di recupero feriti in grado di
salvare la vita).
Questo binomio è il punto di forza della MA 2.0, ne costituisce il vulnus, le
problematiche iniziano infatti quando l’assistenza cessa, le forze locali abituate a
godere di questo vantaggio (e quindi avendo perso l’abitudine a combattere in
20
mancanza di supporto aereo specifica) sanno di non essere più protetti, si sentono privi
di un cospicuo vantaggio d’azione, il rischio di morire in combattimento si alza
sensibilmente, quindi perdono la fiducia in loro stessi, ed il risultato è visibile oggi in
Iraq dove l’esercito regolare ha ceduto di fronte alle milizie dell’ISIS. Questo fattore
dovrebbe essere tenuto sempre in considerazione e opportunamente mitigato nelle
future operazioni di MA 2.0.
8. CONCLUSIONI
Lo scopo di questa tesi è stato quello di verificare, come richiesto dal committente
(Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali), se la MA potesse essere
uno strumento di approccio militare indiretto alla stabilizzazione delle aree di crisi. A tal
fine, partendo dall’analisi del contesto attuale ci si è resi conto che un tassello
fondamentale è rappresentato dall’opinione pubblica che sempre più chiede operazioni
e interventi militari che costano poco, che richiedono un invio limitato di militari in aree
di operazioni e che comportano soprattutto poche perdite umane. Analizzando, inoltre, i
3 case studies, si è dimostrato come la caratteristica del combattere “con, attraverso,
da” una milizia locale soddisfi pienamente le esigenze dell’opinione pubblica,
sintetizzata nel binomio low cost e low footprint. Pertanto la MA può essere uno
strumento in grado di dimostrare una reale e concreta opzione per il decisore politico di
fronte alle esigenze di limitare il coinvolgimento militare sul terreno, conseguendo gli
stessi obiettivi di un approccio convenzionale, decisamente più oneroso e non sempre
vincente.
L’approccio di ricorrere a una milizia locale che fornisca il grosso dei “boots on the
ground” presenta inoltre il vantaggio di ridurre l’esposizione del Paese intervenente
dall’accusa di invasore, che rappresenta un risultato strategico essenziale per evitare
l’allargamento della crisi ad altri Paesi, soprattutto quando questo intervento è
strumentalizzabile dalla propaganda avversaria, che trova facilmente strumenti per
portare il proprio messaggio sul piano globale. Condurre operazioni nel Medio Oriente,
per esempio, apre immediatamente la strada ai fondamentalisti per poter mettere in
campo lo scontro di religione con effetti devastanti sia nelle aree del conflitto che in
quelle lontane. Da questa strumentalizzazione nascono i fenomeni come quello dei
“foreign fighters”, cioè di cittadini europei/americani o di altri Paesi che autonomamente,
cadendo vittime di questa propaganda, si recano a combattere. L’impatto sul terreno
dello scontro comporta che aumentano i nemici, le loro risorse e tutto diventa più
21
difficile. Per altri Paesi, quando questi combattenti rientrano a casa e decidono di
colpire in nome di quella guerra o causa a cui sono legati, il problema principale
diventa quello della sicurezza interna. Gli eventi di Parigi sono l’esempio di questa
strumentalizzazione propagandistica. Esiste infine un altro aspetto cogente legato a
queste ultime considerazioni, cioè che anche il nemico di oggi sembra aver capito le
potenzialità delle MA. Sempre più spesso, infatti, giovani di tutto il mondo raggiungono i
campi di addestramento della Jihad dove acquisiscono conoscenze e competenze che
poi applicano contro i Paesi di provenienza attraverso gli attentati terroristici. Ma in
questi campi non viene soltanto insegnato il mestiere ma anche una serie di aspetti
culturali legati alla nostra civiltà che consente al terrorista di selezionare gli obiettivi, fare
proselitismo, costruire reti. Si tratta di una sorta di MA al contrario, dove le forze
indigene sono nella nostra società e gli assistenti messi a disposizione dai gruppi
terroristici come l’ISIS.
Si è poi parlato della MA 2.0 come binomio tra le Forze Speciali e le Forze Aeree con
un precipitato tecnologico decisivo sul campo e capace di comprimere i tempi
dell’intervento, fattori essenziali per non suscitare l’ansia nell’opinione pubblica.
Si può quindi ritenere che la Military Assistance come approccio indiretto è oggi una
scelta percorribile di sicura efficacia, date però determinate condizioni. Ci deve essere
una milizia realmente motivata, una leadership da “consigliare” capace e recettiva, delle
Forze Speciali in grado di interagire culturalmente e linguisticamente con gli assistiti.
Queste condizioni rappresentano i fattori chiave del successo di questo tipo di
operazione e rappresentano il grosso delle difficoltà. In questo periodo sono iniziate le
operazioni di MA a favore dell’esercito iracheno per contrastare l’ISIS.
Verificare l’esistenza delle predette condizioni è essenziale per valutare l’efficacia
dell’operazione. L’esercito iracheno è apparso incapace inizialmente di contrastare
l’ISIS, nonostante fosse il frutto dell’opera di ricostituzione delle FA da parte della
coalizione occidentale. Dall’altra parte i combattenti curdi si sono dimostrati combattenti
coriacei e hanno arrestato l’avanzata dei terroristi. L’elemento che finora ha fatto la
differenza è la motivazione, perché i curdi combattono30 con quello che hanno e lo
fanno per la loro esistenza e libertà, attraverso un ideale ben radicato sul quale la MA
potrà fare leva. L’esercito iracheno, invece, è apparso poco motivato perché i suoi
soldati non hanno ancora chiaro per cosa si debba combattere e qui la MA dovrà agire
30
“ISIS’ Other Opposition: Shi’a Militias in Iraq”, Peter Nealen, http://sofrep.com/39130/isis-oppositionshia-militias-iraq, 29 dic. 2014.
22
polarizzando la volontà degli iracheni verso un obiettivo. Tutto ciò ci consente di
affermare che anche la MA di oggi, nonostante la tecnologia, non può prescindere
dall’uomo e che quindi continua ad essere una missione in cui conquistare il cuore e le
menti dell’assistito è l’unica garanzia di successo.
23
BIBLIOGRAFIA
1.
Libri
 Karl von Clausewitz, Della guerra, 1832.
 Alessandro COLOMBO, La Guerra Ineguale. Pace e violenza nel tramonto della
società internazionale, edizione Il Mulino, 2006.
 Libro intervista di Federico Rampini a Massimo D’Alema, Kosovo: gli italiani e la
guerra, Mondadori editore, 1999.
 Nicolò Machiavelli, Il Principe, 1532.
 T.E. Lawrence, Guerriglia, 1929.
 T.E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza, 1926.
 T.E. Lawrence di Sir Basil Liddelhurt.
 Loya Paktia’s insurgency: the Haqqani network as an Autonomus entity by T.
Rutting.
 Tupper, Benjamin, greetings from Afghanistan, send more Ammo: Dispatches from
Taliban country, 2011.
2.
Pubblicazioni e documenti
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Joint Publication 3-25, “Special Force”, 2014, US Department of Defence.
Military Committee 437/2 “ Special Operation Policy”.
AJP 3.5, NATO, 2014.
Pubblicazione NATO MC 437/2 “Military Committee Special Operation Policy”.
Military Assistance Handbook, 2014.
JCISFA, Security Force Assistance Handbook.
JCISFA, ANSF Advisor guide.
JCISFA, Many additional SFA resources, reference and lesson learned.
FM3-07 Stability Operations, 2009.
Ulrich Mark, Cutting the Gordian Knot: The Counter Guerrilla’s guide to Defeating
Insurgency and conducting Centric Operation, JCISFA.
 USMC LL, Partnering mentoring advisoring Report 2011.
3.
Articoli internet e altri siti
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Le Forze Speciali e la Guerra non ortodossa in www.corpidelite.net
La Guerriglia in www.storiain.net
Sulla teoria della guerriglia di Lawrence d’Arabia in www.wumingfoundation.com
Lawrence d’Arabia in www.wikipedia.org
La guerriglia di T.E. Lawrence, in appunti sulla teoria della guerriglia in
www.wumingfoundation.com
- ISIS’ Other Opposition: Shi’a Militias in Iraq in www.sofrep.com, 29 dic. 2014.
- La dottrina militare USA in www.dtic.mil/doctrine.
- Capt. Malcom BRAILEY, The transformation of SOF in Contemporary Conflict, Land
Warfare Centre, Nov 2005, in www.army.gov.au
24
ALLEGATO A
INTERAZIONE TRA OPERAZIONI SPECIALI E “IRREGULAR WARFARE”
La pubblicazione NATO AJP – 3.5 del 2014 indica che nell’alveo delle “Irregular Warfare
Mission” gli USA suddividono essenzialmente le operazioni delle Forze Speciali (FS) in
due distinti ambiti operativi, in relazione all’area ove le forze vanno ad operare. Pertanto,
se lo Stato oggetto dell’operazione è uno Stato/Nazione ostile le FS svolgono solo azioni
di tipo “Unconventional Warfare” che possono includere il supporto a insorgenti contro lo
Stato ostile (es. Afghanistan 2001), a movimenti di resistenza contro la Nazione/Stato.
Dall’altra parte, se lo Stato/Nazione è annoverato tra gli Stati amici, le FS possono
intervenire tramite differenti missioni tra le quali le FID (difesa interna di Stati stranieri), le
COIN (controinsurgenza), le CT (controterrorismo),
e le Stability OPS (Operazioni di
stabilizzazione) che possono includere, quindi, il supporto alla Nazione/Stato contro
l’insorgenza, la resistenza, o i terroristi.
Per meglio comprendere l’ampio spettro delle operazioni che possono essere condotte
dalle FS, sono di seguito elencate quelle definite “core” (core activities):
- Direct Action (DA) & Special Reconnaissance (SR): sono missioni che possono essere
assegnate direttamente ad un Comandante di un JSOTG (Joint Special Operations
Task Group) come missioni singole, oppure in un contesto di supporto della manovra
delle forze convenzionali.
25
ALLEGATO A
- Countering weapons of mass destruction (WMD) e Counterterrorism (CT): vengono
spesso considerate mutualmente legate in quanto si ritiene ci sia un chiaro nesso tra
l’azione di alcuni movimenti terroristici e la proliferazione delle armi di distruzione di
massa. Nella direttiva viene chiarito che il CT è un concetto che si è modificato nel
corso degli ultimi decenni, passando da una tattica locale adottata per combattere un
terrorismo locale ad un approccio multidimensionale al fine di contrastare un terrorismo
moderno, di tipo transnazionale, che ha già colpito sia gli USA che i Paesi occidentali.
Il CT è quindi un insieme di attività ed operazioni da mettere in campo per neutralizzare
le svariate forme sotto le quali si presenta la minaccia terroristica odierna. Queste
attività per lo più vengono svolte dalle FS (per ulteriori dettagli si rimanda alle JP 3-26 e
JP 3-40).
- Unconventional warfare: consiste in un insieme di attività e interventi che vengono
condotti prevalentemente dalle FS al fine di permettere a un movimento di resistenza o
di insorgenza di rovesciare il potere, il governo o l’autorità insediatesi alla guida di uno
Stato, con lo scopo di liberarlo. Le FS vengono preferite per queste missioni quando si
tratta di operare “attraverso o con” milizie o elementi di guerriglia ingaggiate in aree
ostili.
- Foreign internal defense (FID): sono operazioni condotte in sostegno alla difesa interna
di Stati stranieri, indicati come friendly Host Nation. Queste operazioni possono essere
realizzate sulla base di programmi o di partenariato, finalizzati alla difesa delle friendly
Host Nation da forze sovversive, ingerenze straniere, terrorismo o insorgenza. Il campo
di applicazione di queste operazioni è ampissimo e le FS possono intervenire da sole o
nell’ambito di progetti/operazioni/missioni più complesse, portate avanti su canali di
cooperazione Civile – Militare, o da forze convenzionali (per ulteriori dettagli si rimanda
alla JP 3-22).
- Security Force assistance (SFA): consiste nella concreta ricostruzione degli assetti
istituzionali di una Host Nation, garantendo la sicurezza, il rispetto e la tutela dei diritti
umani fondamentali e della giustizia. La SFA rappresenta quell’insieme di attività da
mettere in campo, con un’ottica onnicomprensiva, multidimensionale e multidisciplinare
il più possibilmente ampia. In questo contesto le FS svolgono diversi ruoli e compiti: dal
CT al COIN, dal PR (Personal Recovery) al FID, e rimangono sempre inquadrate in
azioni di supporto alla manovra di contingenti civili-militari (per ulteriori dettagli si
rimanda alla JP 3-22).
26
ALLEGATO A
- Hostage rescue and recovery: è la missione assegnata ad unità variabili delle FS per la
liberazione ed il recupero di personale, che a livello “single service” viene, invece,
definito come Personal Recovery.
- Counterinsurgency:
è un
approccio
militare-civile
multidimensionale,
volto
ad
individuare i motivi dell’insorgenza ed a neutralizzarli; il ruolo delle FS è identico a
quello richiesto per le SFA (per ulteriori dettagli si rimanda alla JP 3-24).
- Foreign humanitarian assistance.
- Military information, support operations.
- Civil affairs operations.
DESCRIPTION PRIME
US ROLE
FOOTPRINT
MOVER
UW
INSURGENTS ADVISORY
SMALL
FID
HN GOV.
SMALL TO VERY
ADVISORY OR ARMED FID
LARGE
COIN
US GOV.
SUPPORT
TO
HN SMALL TO VERY
GOVERNMENT COUNTERING LARGE
AN INSURGENCY
SFA
HN GOV.
STABILIZE AN UNSTABLE HN SMALL TO VERY
GOVERNAMENT
CT
US
OR
GOV.
HN DISRUPT
LARGE
CLANDESTINE SMALL
NETWORK WHICH EMPLOY
TERROR AS A TACTIC
Va, infine, sottolineato che nel campo di interventi ricadenti nell’Irregular Warfare, le FS
vengono spesso utilizzate per svolgere compiti in ambito NGO (Non-Governmental
Organization), IGO, HN, ecc (per ulteriori dettagli si rimanda alla JP 3-57).
27
ALLEGATO B
LAWRENCE D'ARABIA: UN MITO PER LE FORZE SPECIALI AMERICANE
Lawrence d'Arabia rappresenta ancora oggi un modello per le Forze americane impegnate
a combattere la guerriglia in Iraq e Afghanistan.
Durante un convegno sulla formazione degli Ufficiali tenutosi nel 2005 a Roma si ebbe
l’occasione di proporre l’aggiornamento degli studi dei futuri comandanti militari
inserendovi i testi di Thomas E. Lawrence, l’Ufficiale britannico meglio noto come
“Lawrence d’Arabia ” che guidò con successo le tribù beduine della Penisola Arabica
contro i turchi durante la prima Guerra Mondiale. In particolare, il testo “I sette pilastri della
saggezza”, un libro di memorie e al tempo stesso un manuale tecnico di guerriglia nel
deserto, contiene molte indicazioni di carattere militare, ma anche sociale e culturale, utili
a comprendere la mentalità e il modo di combattere di quelle società tribali. Elementi
valorizzati presso gli eserciti europei che avevano una tradizione coloniale fino agli anni
’50, poi rimossi e in buona parte perduti (con qualche eccezione in Francia e Gran
Bretagna) dal background di formazione dei militari sull’onda delle sfide determinate dalla
Guerra Fredda e dal rischio di dover combattere conflitti convenzionali.
Le operazioni anti-guerriglia e anti-terrorismo, soprattutto in Iraq e Afghanistan, che hanno
coinvolto negli ultimi anni decine di Paesi dopo l’11 settembre 2001, hanno fatto riaffiorare
l’esigenza di una formazione militare più calibrata sull’anti-insurrezione rendendo attuali le
esperienze come quella di Lawrence d’Arabia o degli Ufficiali italiani che, alla testa di
bande irregolari abissine, negli anni ’30 condussero azioni di contro-guerriglia e, dopo la
caduta dell’Africa Orientale in mano ai britannici, di guerriglia contro le truppe alleate.
Non sappiamo se oggi nelle Accademie e nelle Scuole militari italiane si studino le opere
di Thomas E. Lawrence ma di certo l’Ufficiale britannico è diventato in questi anni un punto
28
ALLEGATO B
di riferimento culturale per le forze americane. Il generale David Petraeus, autore della
svolta decisiva nella guerra contro al-Qaeda in Iraq, imponeva la lettura del testo di
Lawrence al suo staff e oggi le Forze Speciali statunitensi hanno chiamato “Progetto
Lawrence” il nuovo programma di addestramento varato su misura per le operazioni antiinsurrezione.
Lo U.S. Special Operations Command punta a fornire ai membri delle Forze Speciali
(Ranger, Berretti Verdi, Seal, Delta Force) strumenti non solo tecnico-militari utili a
interagire con le società locali comprendendone valori e priorità. Il Project Lawrence è
rivolto alle Forze Speciali che gestiscono anche gli affari civili (cioè i rapporti con la
popolazione) e la consulenza militare (MA), quindi l’addestramento e affiancamento delle
forze locali e delle milizie di villaggio costituite in alcune province sunnite irachene e in
alcune aree dell’Afghanistan.
“Abbiamo bisogno di avere il nostro Lawrence d’Arabia, il Lawrence del Mali, del Pakistan,
del Paraguay, dell’Indonesia…” ha dichiarato l’Ammiraglio Eric Olson, ex Comandante in
Capo dell’USSOCOM (United States Special Operations Command – ovverosia il
Comando delle Forze Speciali degli Stati Uniti), che è convinto che la chiave del progetto
sia rappresentata dall’obiettivo di avere la gran parte dei militari in grado di parlare una
lingua che possa risultare utile in teatri operativi quali Iraq e Afghanistan.
Al momento sono 15 mila i membri delle Forze Speciali USA assegnati ai corsi di arabo,
dari e pashtun e altre lingue di aree specifiche. Di Lawrence d’Arabia si è tornato a parlare
anche a Londra, dove nel 2008 la Birkbeck University ha ospitato un convegno intitolato
“Lawrence, gli arabi e la genesi della moderna guerra di guerriglia”. Lawrence, esponente
di spicco dell’Ufficiale coloniale torna così in voga e del resto, nonostante tecnologie e
armi avveniristiche, i conflitti anti-insurrezionali assomigliano molto (anche nella durata
prolungata) alle guerre di stabilizzazione combattute dagli europei nei possedimenti
coloniali.
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ALLEGATO C
STORIA DELLA MILITARY ASSISTANCE IN GERMANIA
Lo sviluppo della Military Assistance in Germania può essere suddiviso in tre fasi storiche.
La prima fase inizia dopo la Seconda Guerra Mondiale e finisce nel 1990 (fine della
Guerra Fredda). In questa fase la politica militare tedesca è caratterizzata da un approccio
molto limitato, quasi riluttante, in cui i principali obiettivi delle forze militari sono la difesa
della nazione. Per questo motivo la Germania in questo periodo non partecipa in conflitti
armati internazionali, né a missioni all’estero, né al sostegno di Stati o di gruppi
organizzati. Le sue attività si esauriscono quasi esclusivamente nella mera fornitura di
armi ad altri Stati nell’ambito di normali rapporti commerciali. Le motivazioni di questo
atteggiamento sono da ricercarsi nella situazione politica della Germania che, in quegli
anni, non possedeva la necessaria autonomia politica, quindi decisionale, di uno Stato
sovrano.
Con la fine della Guerra Fredda, dagli anni ’90 in poi, comincia la seconda fase. Con la
caduta del muro di Berlino l’ordine internazionale viene stravolto (il bipolarismo si
trasforma in unipolarismo). Da un lato con il “Trattato 2+4” (Trattato sullo stato finale della
Germania, firmato a Mosca il 12 settembre 1990), la Germania riceve la sua sovranità;
dall’altro lato la maggioranza dei nuovi conflitti armati diventano non-internazionali.
Il numero degli Stati in fallimento o già falliti aumenta e, pertanto, la politica militare
tedesca si trova costretta ad adeguarsi al cambiamento. Il ruolo e il prestigio dello Stato
tedesco nel panorama internazionale si fanno più rilevanti e la Germania si sente più
responsabilizzata, anche perché aumentano le aspettative degli alleati per una più attiva
partecipazione dei tedeschi nelle missioni all’estero.
Anche nell’ambito delle Nazioni Unite cresce la consistenza internazionale della Germania
che nel 1995 si vede riconosciuta un seggio nel Consiglio di Sicurezza. Questo importante
risultato porta la Germania ad una partecipazione (indiretta) alla guerra in Iraq, inviando
mezzi NBC in Kuwait, addestrandone all’uso gli alleati.
30
ALLEGATO C
Nel 1993 inizia il suo primo mandato, con intervento diretto in Somalia, missione
caratterizzata da un impegno esclusivamente umanitario e che vede, principalmente,
l’impiego di contingenti soprattutto di natura tecnica (logistica e di genio militare).
Negli anni a seguire la Germania vede aumentare il suo ingaggio in missioni all’estero.
Contemporaneamente la NATO avvia il programma “Partnership for Peace” in cui il
sostegno ai partner alleati diventa più importante e si avviano attività quali esercitazioni
comuni e condivisione di metodi e tecniche di difesa.
Con la guerra nell’ex Yugoslavia e soprattutto dopo il conflitto in Kosovo, la Germania
partecipa alle missioni LMT (Liaison and Monitoring Team), prendendo parte alla
stabilizzazione postbellica del Kosovo. Il programma viene implementato con l’obiettivo di
salvaguardare la sicurezza istituzionale e di stabilire relazioni diplomatiche tra le Forze
Armate multinazionali, da un lato, e i Kosovo Protection Corps e le Autorità locali dall’altro.
Con la missione ISAF in Afghanistan e le esperienze maturate dagli alleati nella guerra in
Iraq, si rende necessario creare una nuova forma di operazione LMT, nasce così l’OMLT
(Operational Mentor and Liaison Team). I compiti dell’OMLT, rispetto alla LMT, vengono
ampliati, prevedendo il sostegno e l’addestramento delle Forze Armate locali del Paese
interessato.
I concetti di mentoring e partnering, nati in seno al programma Partnership for Peace della
NATO, hanno l’obiettivo di creare una cooperazione tra le Forze Armate NATO e quelle
locali, per mettere a fattor comune la comprensione del teatro in cui si opera e le capacità
tattiche di tutte le risorse coinvolte. L’OMLT contribuisce sostanzialmente a realizzare
un’interoperabilità tra le Forze Armate del luogo e i contingenti NATO, senza però
intervenire direttamente nello scontro con l’avversario. Il concetto OMLT è tutt’oggi attuale
e considerato quale strumento di stabilizzazione.
Con la missione in Afghanistan ha inizio la terza fase e la Military Assistance si allarga
ulteriormente, fondando i suoi principi d’intervento su tre pilastri.
Il primo pilastro è costituito dal sostegno indiretto delle Forze Armate locali, con l’impiego
di mezzi logistici, di sistemi di comunicazione, di sistemi NBC, di ricognizione, ma anche
attraverso mezzi di armamento convenzionale (artiglieria, PzH 2000).
Dal 2009 le Forze Armate tedesche partecipano anche direttamente, grazie all’impiego dei
cosiddetti “Battaglioni per l’addestramento e la protezione”, all’addestramento e alla
protezione delle Forze Armate locali; i contingenti tedeschi combattano a fianco di esse in
alcune operazioni counter-insurgency. Nonostante ciò, il punto focale della missione di MA
tedesca non diventa il coinvolgimento diretto nel conflitto, ma rimane il Partnering.
31
ALLEGATO C
Il secondo pilastro è l’impiego delle Forze Speciali, KSK (Kommando Spezialkräfte). Già
prima del 2009 il KSK viene ingaggiato direttamente in combattimenti nel teatro afghano
nell’ambito nella Task Force 47. L’impiego di queste forze speciali è finalizzato ad attività
di ricognizione, di liberazione di ostaggi e spesso per svolgere un ruolo di Key Leader
Engagement. Le operazioni condotte dal KSK sono per lo più classificate, circostanza che
ha generato discussioni in Germania, poiché, dal punto di vista del diritto, si inseriscono in
una zona grigia di legittimità.
Il terzo pilastro, infine, è rappresentato dalle azioni di sostegno che la Germania assicura a
gruppi armati non-statali, con la fornitura di armi e di attività di addestramento, come è
stato fatto ultimamente nei confronti dei Curdi in Iraq nella lotta contro il cosiddetto Islamic
State (IS e/o ISIS).
In conclusione si può affermare che in Germania la Military Assistance ha subito un
evidente processo evolutivo, in linea con l’esperienza NATO, passando da un approccio
limitato a poche unità ad uno multidimensionale nell’ambito delle operazioni SFA. La MA
condotta secondo la definizione strettamente USA rimane di responsabilità delle FS che in
un contesto complesso e mutevole come quello moderno possono fare la differenza
permettendo al decisore politico di poter agire nell’ambito delle politiche del consenso.
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