1. SINTESI Crescita e commercio mondiali La ripresa internazionale prosegue su ritmi sostenuti e forse più intensi del previsto poiché l’attività economica si mantiene vivace sia negli Stati Uniti che in Asia; soprattutto in Cina, dove ancora non si avvertono segni di raffreddamento. A partire dalla scorsa estate il commercio mondiale ha ripreso a crescere a ritmi molto elevati, intorno al 10%. Nel corso dei prossimi due anni questa dinamica dovrebbe risentire della prevista decelerazione dei consumi americani. Gli investimenti cinesi, che pure hanno contributo all’accelerazione degli scambi internazionali, dovrebbero anch’essi decelerare nel corso dei prossimi anni in seguito al tentativo delle autorità di riequilibrare la crescita delle varie componenti della domanda interna. In direzione opposta dovrebbe operare invece la maggiore vivacità della domanda interna giapponese ed europea. La mancata conclusione del Doha Round entro la data inizialmente prevista (dicembre 2005) e le incertezze che tuttora sussistono in merito alla possibilità di raggiungere in tempi brevi un accordo – il negoziato potrebbe protrarsi ancora fino al 2007 e oltre – farà mancare quel forte elemento d’impulso agli scambi internazionali tradizionalmente costituito dall’ulteriore apertura dei mercati a livello globale. Anche in considerazione di ciò, prevediamo aumenti annui del commercio mondiale inferiori ai tassi attuali, pari al 7,5% e 7%, rispettivamente, nel 2006 e 2007; il PIL mondiale dovrebbe invece registrare aumenti del 3,6% e 3,3%. Petrolio Da inizio settembre i prezzi del Brent sono risultati in lenta discesa, intervallata da improvvisi e temporanei rialzi, stazionando intorno ai 53,5 dollari al barile in tutta la seconda metà di novembre. La flessione si deve al fatto che l’impatto dell’uragano Katrina è stato di breve durata, anche perché moderato dall’utilizzo delle riserve USA e OCSE. Inoltre, si sono affievoliti i timori di possibili carenze dei prodotti petroliferi distillati viste le temperature al momento sopra la media. Del resto, il mercato del greggio resta da tempo ben rifornito: nel terzo trimestre del 2005 la produzione mondiale è stata superiore di ben 1,9 milioni di barili al giorno alla domanda, che registra un tangibile rallentamento rispetto allo scorso anno. Gli stock commerciali dei paesi OCSE hanno continuato a crescere su livelli storicamente elevati. Nel corso del 2006 la domanda di greggio dovrebbe lievemente accelerare, ma la produzione non-Opec crescerebbe anche di più, senza contare l’entrata in funzione di nuova capacità produttiva Opec. Il mercato del greggio dovrebbe restare perciò molto ben rifornito e le maggiori preoccupazioni rimarrebbero quelle circa l’adeguatezza della capacità mondiale di raffinazione. Il nostro scenario si basa su quotazioni a 54,5 dollari in media nel 2005. Nel 2006 si registrerebbe una graduale e moderata discesa, che porterebbe il Brent poco sopra i 52 dollari al barile a fine anno, ipotizzando che la più moderata crescita in atto della domanda mondiale di greggio affievolisca ancor più la forza della speculazione. Una normalizzazione che proseguirebbe nel corso del 2007, mantenendo le quotazioni lungo questo sentiero di lento rientro, con una chiusura in media d’anno intorno a 51 dollari al barile. 1 Tab. 1a – Le previsioni del CSC: variabili internazionali e area dell’euro (Variazioni % salvo diversa indicazione) Variabili internazionali Dollaro/euro (1) Yen/dollaro (1) Yen/euro (1) Tasso a 3 mesi area euro (1) Tasso a 3 mesi USA (1) Commercio mondiale Prezzo del petrolio (2) Prodotto interno lordo Mondo Stati Uniti Regno Unito Giappone NIES (3) Asia (4) Cina America Latina Europa Centro Orientale (5) Area dell’euro Prodotto interno lordo Prezzi al consumo Occupazione Tasso di disoccupazione (1) Tasso di occupazione (1) Partite correnti (6) (7) Indebitamento netto della P.A. (6) Debito pubblico (6) 2003 2004 2005 2006 2007 1.13 116 131 2.4 1.0 5.4 28.8 1.24 109 135 2.1 1.4 10.3 38.2 1.24 107 133 2.2 3.3 7.0 54.5 1.21 104 126 2.4 4.4 7.5 53.2 1.23 101 124 2.6 4.6 7.0 51.0 4.0 2.7 2.5 1.4 4.6 6.6 9.5 2.2 3.9 5.1 4.2 3.2 2.6 5.4 8.1 9.5 5.8 5.1 4.2 3.6 1.6 2.3 5.8 8.2 9.3 4.3 4.2 3.6 3.2 2.2 1.8 4.8 7.6 8.4 3.7 4.3 3.3 3.0 2.4 1.6 4.5 7.1 8.0 3.5 4.0 0.7 2.1 0.3 8.7 62.5 0.3 2.8 70.8 2.1 2.1 0.7 8.9 62.7 0.7 2.7 71.3 1.4 2.1 0.9 8.6 63.3 0.6 2.9 71.9 1.8 2.2 1.3 8.3 64.0 0.5 2.7 72.0 1.6 1.9 1.2 8.1 64.5 0.5 2.5 71.6 (1) Livelli; (2) Dollari a barile; (3) Hong Kong, Corea del Sud, Singapore, Taiwan; (4) Paesi emergenti dell’Asia escluse le Nies; (5) I dieci paesi dell’allargamento Ue; (6) Valori in % del PIL; (7) Saldo di conto corrente e conto capitale. Stati Uniti 2 Il dinamismo mostrato dall’economia americana negli ultimi anni non sembra essersi affievolito nonostante i rialzi dei prezzi petroliferi, la graduale ma costante risalita dei tassi di interesse e una politica fiscale meno espansiva che in passato. I dati preliminari sulla crescita del terzo trimestre, più positivi delle attese di gran parte degli analisti, sembrano avvalorare le tesi espresse a più riprese dalla FED, preoccupata per i rischi inflazionistici. Nella riunione del FOMC del primo novembre, la FED ha proceduto ad aumentare il tasso sui federal funds di altri 25 punti base, portandolo al 4%. L’aumento da inizio 2005 è stato di ben 175 punti base. Il timore di eventuali effetti di second round, dovuti principalmente al tentativo degli operatori di recuperare i maggiori costi per i rialzi dei prezzi petroliferi (+0,7% l’aumento dei prezzi alla produzione a ottobre dopo l’1,9% fatto registrare a settembre), dovrebbe indurre la FED a proseguire nella sua politica di graduale normalizzazione dei tassi di interesse e procedere a una ulteriore stretta monetaria fino a portare il tasso sui federal funds al 4,5%. Il deficit federale per l’anno fiscale 2005 viene ora stimato al 2,6% del PIL, un risultato migliore di quello ottenuto nel 2004 (3,6%) e di quanto previsto dal Congressional Budget Office a inizio anno, e dovuto esclusivamente a un andamento delle entrate migliore del previsto. Nonostante il lieve peggioramento atteso per il 2006 e 2007, il rapporto deficit/PIL dovrebbe risultare molto inferiore di quello originariamente formulato dall’Amministrazione. Nel periodo gennaio-agosto, il deficit esterno è peggiorato di oltre 50 miliardi di dollari rispetto allo stesso periodo del 2004. Nonostante il rallentamento della crescita della domanda interna atteso per i prossimi due anni con la conseguente decelerazione delle quantità importate, il disavanzo di bilancia dei pagamenti continuerà a peggiorare nei prossimi due anni a causa principalmente dei maggiori esborsi per il petrolio e dell’insufficiente assorbimento di prodotti americani dal resto del mondo e dall’Europa in particolare. Nel complesso, l’economia americana sembra mostrare un potenziale di crescita superiore alle aspettative. Riteniamo che la crescita del PIL americano si attesti al 3,6% in media d’anno nel 2005, per poi rallentare al 3,2% e 3,0% nel 2006 e 2007, in rialzo rispetto alle stime da noi formulate lo scorso settembre. I consumi delle famiglie, pur continuando a fornire un contributo significativo alla crescita, favoriti da una graduale ripresa dell’occupazione, diminuiranno sensibilmente rispetto agli anni passati a causa dei forti incrementi dei prezzi dei prodotti energetici, dei rialzi dei tassi di interesse e della prevista frenata delle quotazioni immobiliari. Giappone Nel corso del 2006 ci si attende un’inversione di tendenza del fenomeno della deflazione. I prezzi alla produzione dei beni di consumo e di investimento, infatti, non hanno ancora assorbito l’aumento del prezzo del petrolio e dei prezzi all’importazione che hanno spinto al rialzo le altre componenti dei prezzi alla produzione. Questo aumento dovrebbe poi riflettersi sui prezzi al consumo. La Banca del Giappone ha tenuto per ora fermi i tassi nel corso del 2005. Secondo le previsioni della banca centrale l’inversione di tendenza dei prezzi al consumo potrebbe realizzarsi verso la metà del 2006. Non appare, tuttavia, chiaro se nel momento in cui i prezzi riprenderanno a crescere per il solo effetto dell’aumento del prezzo delle materie prime la Banca del Giappone aumenterà i tassi di interesse o continuerà a mantenere una politica espansiva. Per quest’anno stimiamo che la crescita del PIL si attesti sul 2,4%, mentre per l’anno prossimo ci attendiamo una decelerazione (1,9%). La crescita sarà trainata soprattutto dagli investimenti fissi, favoriti dalla migliorata redditività delle imprese. Cina Nel terzo trimestre dell’anno l’economia cinese non ha mostrato segni di decelerazione e la crescita si è mantenuta superiore al 9%, di nuovo trainata da un forte contributo delle esportazioni nette e degli investimenti fissi. A ottobre l’avanzo di bilancia commerciale è stato di 12 miliardi di dollari (80,4 miliardi di dollari da inizio anno, più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). La tumultuosa crescita dell’economia cinese continua, dunque, a basarsi principalmente su investimenti ed esportazioni, a riprova del fatto che il tentativo del governo di raffreddare un’economia surriscaldata e guidarla verso un atterraggio morbido sta procedendo con maggiori difficoltà del previsto. La prudenza delle autorità è dettata probabilmente dal timore di innescare un processo deflativo. La lentezza del processo di rivalutazione del renminbi, oltre che a ragioni di competitività, è dovuta anch’essa a un’eccessiva cautela delle autorità nel procedere verso una stretta monetaria. 3 Nella nostra previsione assumiamo che l’auspicata ristrutturazione dell’economia cinese proseguirà e che lo sforzo del governo di riportare l’economia su un sentiero di crescita più equilibrata avrà, almeno parzialmente, successo. Il ritmo di crescita dei consumi dovrebbe gradualmente accelerare, sostituendo progressivamente quello degli investimenti. Complessivamente, il PIL dovrebbe attestarsi al 9,3% in media nel 2005. La ricerca di una crescita più equilibrata, il rallentamento del commercio internazionale e, in particolare, dell’economia americana, verso cui si dirige una parte significativa delle esportazioni cinesi, gli elevati costi dell’approvvigionamento energetico e una moderata ma progressiva rivalutazione del cambio dovrebbero rallentare il tasso di crescita del PIL all’8,4% e 8%, rispettivamente, nel 2006 e 2007. Area dell’euro 4 La crescita dell’area nel terzo trimestre del 2005 (+0,6% congiunturale) è risultata in accelerazione, riflettendo in special modo la crescita degli investimenti (1,6%). Dal punto di vista settoriale, gran parte della crescita è venuta dai servizi. La produzione industriale media nell’area sta comunque registrando una ripresa: +0,7% e +0,8% nel secondo e terzo trimestre. In Germania l’attività economica è stata debole a inizio anno, ma in rafforzamento di recente grazie a una forte crescita dell’export e a una ripresa degli investimenti; nella media del 2005 ci attendiamo una crescita del PIL tedesco intorno all’1,1%, stesso livello dello scorso anno. La Francia dovrebbe registrare un sensibile rallentamento, all’1,6%, in quanto l’attività economica è ripartita tardi. Per la Spagna invece si prevede un’accelerazione della crescita al +3,4%. Questi andamenti fanno prevedere una buona crescita del PIL dell’area nell’ultimo trimestre intorno allo 0,5%, con consumi e investimenti solo in lieve rallentamento e un buon contributo della componente estera. Nella media dell’anno l’espansione del PIL arriverebbe all’1,4%. Per il prossimo biennio, con i prezzi del petrolio in moderata decelerazione e una domanda internazionale ancora sostenuta, il quadro esterno per l’area dell’euro resta favorevole. Sia i consumi che gli investimenti dovrebbero rafforzarsi nel 2006. Ciò dovrebbe essere affiancato nella prima metà dell’anno da una discreta crescita delle esportazioni, sostenute dal deprezzamento dell’euro nell’anno in corso. La ripresa proseguirebbe a un ritmo dello 0,4% circa di PIL a trimestre. Nel 2007 la crescita si ridurrebbe lievemente, in seguito soprattutto a una flessione dell’export per il previsto rallentamento dell’economia mondiale e al nuovo rafforzamento del cambio, affiancata dagli effetti restrittivi del rialzo dei tassi di interesse. Il nostro scenario prevede una crescita dell’1,8% nel 2006 e una discesa all’1,6% nel 2007. L’inflazione è da cinque mesi oltre la soglia di riferimento della BCE; a ottobre si è registrato un lieve calo al 2,5% grazie alla decelerazione dei prezzi energetici, che comunque restano su tassi di crescita notevoli. Come ampiamente anticipato dai mercati, la BCE a dicembre ha rialzato il tasso di rifinanziamento principale al 2,25%. Una decisione che, nella logica dell’Istituto di Francoforte, si giustifica con la necessità di tenere sotto controllo le aspettative di inflazione dovute sia ai rincari petroliferi che all’abbondante liquidità che caratterizza l’area. Nel nostro orizzonte previsivo scontiamo un solo ulteriore rialzo dei tassi – al 2,5% nel primo trimestre del 2006 – seguito da una nuova lunga fase di attesa da parte della BCE, sulla base di due considerazioni principali. In primo luogo l’intensità della ripresa, che appare lieve e di breve durata, anche a politica monetaria invariata. In secondo luogo lo scenario di sostanziale moderazione per l’inflazione. Un livello contenuto dei tassi di interesse è, del resto, necessario a sostenere la crescita degli investimenti, men- tre un loro forte rialzo potrebbe avere un impatto immediato eccessivo sui consumi. Regno Unito La crescita ha subito un lieve rallentamento nel terzo trimestre dell’anno (+0,5% e +0,4%, rispettivamente, le variazioni congiunturali del secondo e del terzo trimestre). Il settore industriale, pur avendo registrato un miglioramento nel corso dell’anno, continua a essere frenato dalle difficoltà del settore energetico, il cui output si è ridotto del 4,2%. L’industria sembra inoltre risentire particolarmente dell’elevato prezzo del petrolio e del tasso di cambio della sterlina in rafforzamento sul dollaro, che agisce negativamente sulla competitività dei prodotti dell’industria britannica. Le ultime indicazioni suggeriscono, tuttavia, una ripresa dell’export. Il 2005 dovrebbe chiudersi con un tasso di crescita annuo del PIL dell’1,6% circa. La crescita nel prossimo anno si manterrà, presumibilmente, al di sotto della media degli ultimi anni; le indicazioni prospettiche sembrano coerenti, per il 2006, con un tasso di crescita del PIL del 2,1%. L’attesa di questa lieve accelerazione rispetto al 2005, che dovrebbe proseguire anche nel 2007, è motivata dalla prospettive di miglioramento sia della domanda interna sia di quella estera. Sul fronte interno, ci si attende un rafforzamento della spesa per investimenti. Nonostante la riduzione della profittabilità degli investimenti negli ultimi anni, molte imprese hanno rivelato l’intenzione di potenziare la loro capacità produttiva. In tal senso gli investimenti dovrebbero beneficiare della solidità del mercato azionario e dei bassi costi di finanziamento, soprattutto dopo il taglio dei tassi di interesse che la Bank of England ha attuato la scorsa estate (–0,25 punti percentuali). I tassi di cambio Il progressivo rafforzamento del dollaro nel corso dell’anno va attribuito ad una serie di fattori quali il differenziale sui tassi di interesse, le aspettative di crescita e le agevolazioni fiscali sul rientro dei capitali di cui le imprese americane potranno usufruire fino a fine 2005. Questi fattori continueranno a giocare un ruolo molto importante anche nel prossimo biennio. Riteniamo, in particolare, che fino a quando l’economia americana crescerà a tassi superiori al suo potenziale, le aspettative di rendimenti crescenti continueranno a sostenere il dollaro. Con la fine delle agevolazioni fiscali al rientro dei capitali americani e i primi, seppur limitati, aumenti dei tassi di interesse nella zona euro prima e in Giappone nella seconda metà dell’anno, il dollaro incomincerà a perdere gradualmente ma progressivamente vigore. La permanenza di differenziali di crescita e di tassi di interesse ancora ampi tra l’area dell’euro e gli Stati Uniti avrà, tuttavia, almeno nel breve e medio periodo, un ruolo importante nel contenere le pressioni esercitate sul dollaro dal disavanzo corrente americano. In sostanza, quindi, l’indebolimento del dollaro nel corso del 2006 e 2007 sarà alquanto contenuto e il cambio dollaro/euro dovrebbe attestarsi, rispettivamente, a 1,21 e 1,23 dollari per euro in media d’anno nei due anni. L’economia italiana Il recupero registrato dalla produzione industriale fino ad agosto non è stato confermato nei mesi successivi. Una certa prudenza nelle valutazioni è quindi d’obbligo, avendo l’attività industriale già sperimentato false partenze nel corso dell’ultimo quinquennio. Il dato della contabilità nazionale per il terzo trimestre (0,3%) indica peraltro chiaramente che l’economia italiana viaggia ancora su ritmi decisamente bassi, comunque inferiori a quelli mostrati da Germania (0,6%) e Francia (0,7%). Nelle nostre valutazioni, basa- 5 Mercato del lavoro Prezzi Finanza pubblica 6 te sulle informazioni provenienti dagli indicatori anticipatori, nell’ultima parte dell’anno il ritmo di crescita dovrebbe restare stabile. La nostra stima di crescita per quest’anno, che sconta il dato pesantemente negativo del primo trimestre, risulta quindi invariata rispetto a settembre (0,2%). Nel prossimo biennio il quadro esterno dovrebbe restare favorevole alla nostra economia, anche grazie al previsto consolidamento della ripresa europea e tedesca. D’altra parte il graduale innalzamento dei tassi di interesse in Europa, nonché il necessario aggiustamento dei nostri conti pubblici, potrebbero esercitare effetti depressivi sulla domanda. Controbilanciando i vari fattori, riteniamo che la crescita del PIL dovrebbe attestarsi sull’1,3% l’anno prossimo e perdere un decimo di punto nel 2007 fondamentalmente a riflesso del rallentamento in Europa. La dinamica del mercato del lavoro continua a essere positiva pur mostrando chiari segnali di rallentamento. Secondo l’ultima indagine ISTAT sulle forze di lavoro, nel secondo trimestre del 2005 l’occupazione è infatti cresciuta, rispetto allo stesso periodo del 2004, dell’1,0%, a fronte dell’1,4% registrato nei tre mesi precedenti. Il rallentamento nella dinamica occupazionale si renderà evidente anche in media d’anno, con un ritmo di crescita che difficilmente supererà lo 0,5%, in termini di unità di lavoro standard misurate dalla contabilità nazionale (rispetto allo 0,8% del 2004). Il progressivo miglioramento atteso nell’andamento dell’economia nel suo complesso dovrebbe tuttavia portare a un rafforzamento della crescita dell’occupazione già a partire dal nuovo anno (+0,9%) per proseguire anche nel corso del 2007 (+1,1%). L’inflazione è salita al 2,2% a ottobre dopo due mesi di stabilità al 2,0%. I maggiori rialzi si sono avuti per l’impatto dei rincari petroliferi dei mesi scorsi sui prezzi dei trasporti e sull’abitazione e combustibili. A novembre, secondo i dati preliminari, l’inflazione sarebbe rimasta stabile. Resta molto alta la forbice tra la crescita dei prezzi alla produzione per i beni di consumo e la core inflation, determinata in buona misura da questioni di efficienza nella distribuzione commerciale. Stabile invece il gap con le percezioni di inflazione; dovrebbe risultare quindi superato il problema degli ultimi anni, con le possibili ripercussioni sull’andamento dei consumi. Nel nostro scenario di previsione l’inflazione risulterebbe all’1,9% nella media del 2005 per risalire al 2,2% nella media del 2006. Nel 2007, grazie soprattutto al previsto rientro delle quotazioni petrolifere, dovrebbe ridiscendere al 2,0%. Il differenziale di inflazione con l’area dell’euro dovrebbe rimanere intorno allo zero lungo l’intero biennio di previsione. Al momento in cui si chiude questo Rapporto, non si è ancora concluso l’iter parlamentare di approvazione della Legge Finanziaria. Il nostro scenario previsivo non tiene pertanto conto di modifiche, anche rilevanti, che potranno essere apportate sia dal Governo che dal Parlamento. L’obiettivo della politica di bilancio è riportare il disavanzo sotto il 3% entro il 2007, con un obiettivo intermedio di 3,8% per il 2006. Alla luce degli andamenti dell’economia e dei conti pubblici nel 2005, il raggiungimento di tali obiettivi appare però di non facile realizzazione. Per il 2006, il disavanzo tendenziale si colloca intorno al 5,1% del PIL. L’indebitamento tendenziale inizialmente previsto al 4,7% è stato infatti rivisto al rialzo, con l’esclusione dai conti tendenziali dei 5 miliardi di introiti per dismissioni immobiliari, opportunamente sostituiti da misure aggiuntive della manovra di bilancio. Gli interventi correttivi previsti dalla Legge Finanziaria, dai provvedimenti collegati e dai successivi emendamenti presentati dal Governo alla Finanziaria stessa assommano a 16,3 miliardi di euro. Tale correzione netta si compone di interventi di riduzione di spese e di aumenti di entrate per un totale di 22,9 miliardi, cui si aggiungono interventi di segno Tab. 1b – Le previsioni del CSC: Italia (Variazioni % salvo diversa indicazione) 2003 2004 2005 2006 2007 Prodotto interno lordo Consumi delle famiglie residenti Investimenti fissi lordi macchinari e mezzi di trasporto costruzioni Esportazioni di beni e servizi Importazioni di beni e servizi 0.3 1.4 –1.8 –4.2 1.7 –1.9 1.3 1.2 1.0 2.1 1.3 3.1 3.2 2.5 0.2 1.1 –0.6 –1.6 0.7 0.4 2.5 1.3 1.2 2.1 2.8 1.3 3.2 3.0 1.2 1.1 1.8 2.1 1.5 2.7 2.9 Partite correnti (1) (2) Saldo commerciale (1) –1.1 0.8 –0.7 0.7 –1.3 0.0 –1.0 0.3 –0.5 0.7 Occupazione totale (unità standard) Tasso di disoccupazione (3) Tasso di occupazione (3) 0.4 8.4 57.5 0.8 8.0 57.4 0.5 7.8 57.8 0.9 7.6 58.4 1.1 7.4 59.0 2.7 3.3 2.7 2.2 3.0 3.2 1.9 2.8 2.8 2.2 3.3 3.0 2.0 2.3 2.8 3.2 –0.5 2.1 39.4 5.3 4.5 46.0 3.2 –0.1 1.8 39.3 5.1 4.1 45.2 4.3 –0.4 0.7 39.8 5.0 4.3 44.7 4.3 –0.6 0.5 39.7 4.8 4.1 44.3 3.5 –0.1 1.2 39.3 4.7 3.8 44.3 106.8 106.6 108.5 108.0 105.8 Prezzi al consumo Retribuzioni: totale economia industria in s.s. Indebitamento netto della P.A. (1) Disavanzo corrente della PA (1) Avanzo primario P.A. (1) Spesa corrente al netto interessi (1) Spesa per interessi (1) Spesa in conto capitale (1) Entrate della PA (1) Debito della PA (1) (1) Valori in % del PIL; (2) Saldo di conto corrente e conto capitale; (3) Livelli. opposto – e quindi con effetto di aumento del disavanzo – per 6,7 miliardi di euro. Gli interventi di riduzione delle spese tendenziali costituiscono la parte principale della manovra assommando a 15,7 miliardi, di cui circa 9 dai consumi pubblici e dalla sanità. Questa impostazione è coerente con i problemi della finanza pubblica italiana e la sua attuazione segnerebbe una discontinuità positiva, di cui però non vanno sottovalutate le difficoltà. Le misure previste, se integralmente realizzate, implicherebbero una diminuzione della spesa 2006 non solo rispetto al 2006 tendenziale ma anche rispetto al 2005: la riduzione è stimata dal Governo in –2,1% per la spesa del personale pubblico e in –1% per i consumi intermedi, un risultato impegnativo. L’esperienza storica del grado di realizzazione delle manovre di bilancio mostra, tuttavia, la difficoltà delle amministrazioni pubbliche a realizzare completamente gli obiettivi. Il nostro scenario di previsione si fonda quindi sull’ipotesi prudenziale che la manovra riesca a correggere il disavanzo tendenziale di 0,8 punti di PIL, un risultato peraltro più che apprezzabile perché comunque include, come concordato in sede europea, un notevole riassorbimento delle una tantum 7 cui si è fatto ricorso negli anni. Per il 2007 il nostro scenario assume una manovra di bilancio di entità all’incirca analoga a quella che stimiamo per il 2006. In tal modo l’indebitamento netto della PA potrebbe scendere intorno al 3,5% del PIL. Un risultato più ambizioso presuppone un andamento dell’economia migliore di quello qui previsto; nel caso italiano riequilibrio della finanza pubblica, crescita economica – e quindi le politiche di rilancio competitivo – sono infatti strettamente legati. Il rilancio della strategia di Lisbona 8 Come rilanciare il processo di crescita è peraltro uno dei principali temi dell’agenda politica europea. Nel suo discorso al Parlamento europeo per l’inizio del semestre inglese di presidenza dell’Unione, Tony Blair ha, non a caso, sottolineato che la mediocre performance economica dell’Europa nel suo complesso mina in profondità la legittimazione stessa dell’Unione Europea. La primavera scorsa la Commissione ha annunciato il rilancio dell’agenda di Lisbona la cui realizzazione – avviata nel 2000 – in questi cinque anni aveva registrato progressi giudicati insoddisfacenti. Non sono stati modificati gli obiettivi (il focus rimane su crescita sostenibile e occupazione) né i pilastri tradizionali (integrazione economica, coordinamento delle politiche del lavoro e sociali, potenziamento degli investimenti in ricerca e sviluppo), quanto la governance della strategia, chiedendo agli Stati di predisporre, entro il 15 ottobre 2005, dei Piani nazionali nei quali indicare le misure operative giudicate necessarie per raggiungere in cinque obiettivi generali concordati (maggiore occupazione e miglior funzionamento del mercato del lavoro; sostenibilità e qualità delle finanze pubbliche; ricerca & sviluppo e innovazione; rafforzamento del contesto economico). All’impegno dei singoli Stati si aggiunge quello a livello comunitario, le cui priorità sono state individuate in: supporto alla conoscenza e all’innovazione; riforma della politica degli aiuti di Stato; miglioramento e semplificazione del sistema di regolamentazione in cui operano le imprese; completamento del mercato interno per i servizi; sviluppo di un comune approccio alle migrazioni. Il ventaglio di azioni dei due piani operativi – i Programmi Nazionali di Riforme e il Programma comunitario di Lisbona – è dunque molto ampio. Nell’ultimo capitolo di questo Rapporto cominciamo ad approfondirne alcune, in particolare quelle relative alla ricerca & sviluppo e al tentativo di creare una base normativa per una maggiore integrazione del mercato dei servizi. Nel capitolo inoltre si riassumono, in chiave di interessi europei, i principali temi del negoziato in sede WTO sull’agenda di Doha, e si dà conto degli effetti, non positivi, per l’Italia della riforma in discussione delle politiche comunitarie di aiuto regionale. In particolare nel paragrafo 5.2 vengono messe a confronto le parti relative a ricerca e innovazione dei Programmi Nazionali di Riforme presentati da Finlandia, Francia, Regno Unito, Italia, Spagna, e Svezia. Dall’analisi emergono molti elementi comuni. Generale è il richiamo a un più stretto collegamento tra il sistema pubblico della ricerca e le imprese e al rafforzamento della capacità di dare applicazione industriale ai risultati della ricerca. Finanziamento di progetti strategici e incentivi fiscali sono i principali strumenti su cui Francia e Regno Unito puntano per incoraggiare gli investimenti privati. In Finlandia le risorse a tal fine destinate alle imprese sono distribuite con un meccanismo di allocazione competitiva. Comune è l’enfasi posta sullo sviluppo delle attività di R&S nelle piccole e medie imprese. Le strategie per l’innovazione presentano una maggiore complessità. Tra le misure che si intendono adottare emergono in particolare: l’intensificazione nelle collaborazioni tra il pubblico e il privato, in particolare tra università e imprese, il maggiore e migliore finanziamento ini- ziale per le società con contenuti innovativi e la revisione della normativa esistente riguardo ai diritti sulle opere intellettuali. Per sviluppare una maggiore collaborazione tra pubblico e privato, in Italia si punta alla creazione di laboratori misti di ricerca, in Francia e Svezia sull’attività di apposite Agenzie per l’innovazione, nel Regno Unito sull’attivazione di un numero più elevato di contratti per R&S con le piccole e medie imprese. Ampiamente condiviso è l’obiettivo di sostenere la realizzazione di progetti strategici di R&S, realizzati da imprese e centri di ricerca pubblici (università e centri di ricerca) in settori tecnologici di frontiera. Ampio spazio è dedicato alla diffusione e all’utilizzo dell’ICT, con particolare riguardo allo sviluppo della banda larga, alla concorrenza nei servizi delle comunicazioni elettroniche, ai sistemi digitali e alla sicurezza delle reti informatiche. Interessanti sono i programmi di e-health che si intende sviluppare nei paesi nordici. Un punto cruciale di differenziazione sono le risorse messe a disposizione. L’impegno dovrebbe essere maggiore per i paesi, come l’Italia, in cui il gap da recuperare è più ampio. Dall’analisi dei Programmi risulta invece che i paesi per i quali l’impegno è maggiore sono proprio la Finlandia e la Svezia, che già da tempo hanno raggiunto e superato gli obiettivi indicati da Lisbona per la R&I e che mirano a rafforzare ulteriormente il vantaggio competitivo raggiunto. Un’azione forte si registra anche per la Francia, diretta in particolare a sostenere un rafforzamento dell’industria nazionale nel campo informatico. L’apertura dei mercati e il buon funzionamento del mercato interno sono due caposaldi dell’azione europea per rafforzare il potenziale di crescita dell’economia europea nel medio-lungo termine. In questo ambito si colloca l’obiettivo della creazione di un mercato unico dei servizi. Dagli anni Novanta i servizi sono stati generalmente le attività economiche più dinamiche e hanno contribuito a spiegare gran parte del tasso di crescita delle principali economie europee, compresa l’Italia, e degli Stati Uniti. Nei moderni sistemi produttivi, i servizi tendono, inoltre, ad assumere una crescente importanza per la competitività. I servizi sono infatti una parte consistente degli input impiegati per la produzione di beni finali: il peso dei servizi nel valore della produzione manifatturiera è stimato all’incirca pari a 45% nel Regno Unito, 37% in Italia, tra il 34-41% in Germania. Il commercio intraeuropeo di servizi è però al di sotto delle sue potenzialità; recenti stime OCSE mostrano che le esportazioni di servizi rappresentano solo un quinto del commercio totale intra-UE. Obiettivo della proposta di direttiva sui servizi oggi in discussione è che questi possano essere forniti in tutta l’Unione europea con la stessa facilità con cui sono prestati all’interno di uno stesso Stato membro, garantendo la certezza giuridica all’esercizio di due libertà fondamentali del Trattato (artt. 43 e 49): la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione (libera circolazione dei servizi tra Stati). Come viene analizzato nel par. 5.1, la portata generale della proposta di direttiva e la complessità di molti degli aspetti disciplinati non consentono facili generalizzazioni e possono giustificare talune perplessità. Al momento, non essendo concluso l’iter della procedura legislativa di codecisione, non è possibile prevedere come alcuni punti controversi verranno risolti. Trattandosi comunque di una proposta di direttiva quadro la sua applicazione non compromette la capacità degli Stati membri di recepirla adattandola alle specifiche esigenze nazionali e graduandone, entro certi limiti, l’impostazione in senso più o meno favorevole alle liberalizzazioni dei mercati. Tuttavia, l’applicazione della direttiva rappresenterà un primo passo di grande rilevanza per intraprendere il completamento del mercato interno dei servizi. 9