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Corriere della Sera Lunedì 9 Marzo 2015
RIFORME
GLI STANDARD EUROPEI
CHE LA NOSTRA SCUOLA
NON SA RAGGIUNGERE
di Lorenzo Bini Smaghi
Gli ostacoli Due motivi
di arretratezza: il primo
legato alla durata del ciclo
scolastico (meglio iniziare
a cinque anni e un liceo
di quattro, come in altri
Paesi); il secondo sono
le vacanze estive troppo
lunghe che penalizzano
l’apprendimento
L
a decisione di rinviare al Parlamento la
proposta di riforma sulla cosidetta
«Buona scuola» può essere l’occasione
per aprire una più ampia discussione
su alcuni aspetti essenziali (dopo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato
ieri dal Corriere) sul ruolo dell’istruzione in
una società avanzata. In un mondo globalizzato, in cui i ragazzi che escono dalla scuola si
confrontano con i loro coetanei di tutto il
mondo, l’accesso a pari opportunità è essenziale. Nel confronto internazionale, il sistema
italiano presenta due gravi svantaggi.
Il primo è connesso alla durata del ciclo scolastico, più lunga degli altri Paesi europei di
ben un anno. Ciò significa che un ragazzo italiano finisce gli studi in media a 19 anni, contro i 18 dei suoi coetanei europei, arrivando
dunque più tardi all’università o sul mercato
del lavoro. Peraltro, questo anno aggiuntivo
non sembra tradursi — secondo i test internazionali — in una maggior capacità di apprendimento. La questione è stata sollevata da tempo.
La Germania, che aveva un sistema simile a
quello italiano, ha recentemente adottato una
riforma. In Italia il cambiamento si scontra
contro due ostacoli. Il primo è la proposta
avanzata da alcuni gruppi di pressione di mantenere immutata la durata del ciclo ma di cominciare la scuola un anno prima, a cinque
anni, diversamente da quanto fatto negli altri
Paesi. Il secondo ostacolo è di tipo organizzativo. La riforma deve essere programmata per
tempo, 4 anni prima se il liceo viene ridotto da
5 a 4 anni (come in Germania). Inoltre, nell’anno del passaggio definitivo al nuovo sistema
deve essere organizzata una sessione di esami
di maturità per un numero doppio di esaminandi.
L’incapacità di programmare una tale transizione in Italia sembra essere il vero proble-
ma, o la foglia di fico dietro la quale si nasconde la conservazione.
Il secondo problema è il modo in cui il ciclo
scolastico viene organizzato nel corso dell’anno. L’Italia è l’unico Paese ad avere un periodo
di vacanze estive di circa 3 mesi, e invece vacanze più brevi e meno frequenti durante l’anno. Eppure, importanti studi scientifici dimostrano che periodi lunghi di interruzione riducono l’efficacia dell’istruzione scolastica. Ad
esempio, uno studio del 2007 di Alexander,
Entwisle e Olson, della John Hopkins University, intitolato proprio Le conseguenze durature
del divario di apprendimento estivo, dimostra,
sulla base di una serie di valutazioni empiriche, che il gap educativo tra studenti di diversa
estrazione sociale tende a ridursi durante il
periodo scolastico, ma aumenta nuovamente
nel periodo delle vacanze estive. In altre parole, la scuola riesce a ridurre le disuguaglianze
sociali, ma tale risultato viene poi vanificato
durante i periodi di vacanza protratti. Più lunghe sono le vacanze, meno efficace è la scuola
nel dare pari opportunità agli studenti più poveri. Il motivo è evidente. Le famiglie facoltose
possono permettersi vacanze che consentono
di sviluppare il capitale umano acquisito durante l’anno, con viaggi di studio, visite a musei o altre attività intellettuali che invece non
sono accessibili alle fasce più deboli della popolazione. L’effetto distorsivo è ancor maggiore per gli studenti che vengono rimandati a
settembre, date le diverse risorse a disposizione per poter accedere a corsi di ripetizione privati. Anche questo è un sistema che esiste solo
in Italia, e contribuisce ad accentuare le disuguaglianze tra i ragazzi che vengono da famiglie povere rispetto a quelle benestanti.
La ricerca mostra peraltro che è difficile per
i ragazzi mantenere una concentrazione elevata a scuola per un periodo superiore a due mesi. Questo è il motivo per cui nella maggior
parte degli altri sistemi educativi europei il trimestre viene interrotto a metà da una settimana di vacanza, in autunno, inverno e primavera, oltre alle vacanze di Natale e Pasqua. L’Italia
non si è invece adeguata.
Il motivo per non cambiare sistema sembrerebbe essere che in Italia fa più caldo ed è difficile tenere i ragazzi in classe a fine giugno a ai
primi di settembre. Tuttavia, per i numerosi
istituti stranieri che operano in Italia — internazionali, inglesi, francesi, tedeschi o svizzeri
— e finiscono l’anno scolastico a fine giugno e
cominciano il nuovo ai primi di settembre,
con un mese in meno di vacanze estive rispetto
all’Italia, il caldo non sembra essere un ostacolo così insormontabile. Come non lo è in altri
Paesi europei, inclusi quelli mediterranei.
Per essere davvero «buona», la scuola italiana richiede profondi cambiamenti, alcuni dei
quali riguardano l’organizzazione e la struttura del ciclo scolastico che non sono considerati nell’attuale progetto di riforma. Rifiutare
questi cambiamenti significa continuare a penalizzare i ragazzi e le ragazze italiane, soprattutto quelli delle famiglie meno abbienti.
DOMANDE SCOMODE
SUL PROCESSO DI TRANI
SEGUE DALLA PRIMA
D
avanti al fatto che a
indagare fosse un
pubblico ministero,
Michele Ruggiero,
di una procura di
periferia come quella di Trani,
facevano tutti spallucce. Tutti,
tranne il deputato del Pd Francesco Boccia, pugliese, che invocò invano la costituzione di
un’agenzia di rating europea
per liberarsi dal giogo delle società americane, e tranne il suo
collega del Pdl Francesco Paolo
Sisto, pugliese anch’egli, che
capitanò un manipolo di onorevoli del centrodestra pronti a
costituirsi loro parte civile.
Fecero spallucce anche uffici
giudiziari ben più blasonati.
L’inchiesta, come spesso accade in Italia, partì da un esposto
presentato da alcune associazioni dei consumatori nel quale
si sosteneva che i declassamenti del debito italiano erano funzionali a un’enorme speculazione ai nostri danni orchestrata
dai colossi finanziari in combutta con le agenzie di rating.
La denuncia era stata recapitata
COMMENTI
DAL MONDO
Lunga vita ai ricordi
La (nuova) lezione
degli ultracentenari
signora Misao

 La
Okawa ha festeggiato i
suoi 117 anni a Osaka, in
Giappone, dov’è nata il 5
marzo 1898. Di fronte agli
ultracentenari, scrive Boyd
Tonkin sull’Independent,
proviamo stupore, rispetto,
persino paura: capita
soprattutto nelle società che
hanno superato i traumi del
passato grazie a un «patto
dell’oblio». Trasformandoci
in un infinito serbatoio di
ricordi, l’allungamento della
vita dovrebbe però aiutarci
a riscoprire il valore della
memoria. «Pensate solo a
cosa potrebbero raccontarci
oggi Gershwin, Ejzenstejn,
Brecht...». Classe 1898.
I tedeschi sono
un popolo
di ammaestratori?
per gli

 Dall’amore
animali alle teorie
cospirazioniste, Internet è la
frontiera dove si scatena la
nostra natura profonda. «E
così, che si tratti di guerra in
Ucraina o vaccini contro il
morbillo — scrive Sascha
Lobo sul settimanale Der
Spiegel — noi tedeschi in
Rete ci mostriamo per
quello che siamo, un popolo
di ammaestratori». Una
vocazione «repressa» nella
vita sociale, che viene fuori
«quando si confrontano gli
isterismi dei trenta milioni di
persone che usano i social
network nel nostro Paese.
Tutti con lo stesso obiettivo:
insegnare agli altri come
dovrebbe essere il mondo».
a cura di Maria Serena Natale
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’ITALIA E LE AGENZIE DI RATING
di Sergio Rizzo
L
LE CASSANDRE OCCIDENTALI
CHE INQUIETANO LA CINA
a una decina di procure della
Repubblica, da Roma a Milano,
ma soltanto quella di Trani la
prese in considerazione. Beccandosi anche in seguito gli
sfottò di influenti magistrati
che l’accusavano neanche troppo velatamente di protagonismo. Convinti com’erano, evidentemente, che tutto sarebbe
a finito in una bolla di sapone.
Si sbagliavano di grosso: l’inchiesta è sfociata nel rinvio a
giudizio di due analisti di Fitch
e di sei esperti di Standard &
Poor’s. Siamo dunque nuovamente alla decisione del governo di non costituirsi parte civi-
le. Su quella storia si possono
avere opinioni politiche diverse. Anche ritenere il procedimento infondato. Magari tutto
si concluderà con un’assoluzione e gli imputati ne usciranno
immacolati. Glielo auguriamo
di cuore. Ma si dà il caso che ci
sia un processo in corso nel
quale gli interessi dello Stato
non sono affatto trascurabili.
Indipendentemente dal dibattimento e dai suoi esiti, qui
si pone tuttavia un’altra serie di
problemi. Che le valutazioni
delle agenzie di rating siano
talvolta basate su stime così datate nel tempo da risultare poco
aderenti alla realtà del momento in cui avviene il declassamento, è stato oggetto di ampia
discussione. Come è conclamato che in capo a quelle società
s’intreccino conflitti d’interessi
mai risolti, capaci di gettare
ombre sulle decisioni. Basterebbe rammentare le figuracce
rimediate nei casi Enron e Par-
e relazioni tra Cina e
Russia sono forti e stabili, la nuova cooperazione si svilupperà intorno a un enorme
contratto per portare 400 miliardi di dollari di gas siberiano
verso Pechino e si fonda su comuni interessi strategici, ha
detto ieri il ministro degli Esteri
cinese presentando la politica
internazionale della Repubblica
popolare per il 2015. È seguito
un invito poco diplomatico al
premier giapponese Shinzo Abe
a venire a Pechino per la parata
che celebrerà i 70 anni dalla fine
della guerra mondiale: «Benvenuto a condizione che sia sincero, perché 70 anni fa il Giappone ha perso la guerra». Poi la rivendicazione del diritto a costruire isole artificiali nel Mar
cinese meridionale: «Non accettiamo critiche, è il nostro
cortile di casa». Infine un messaggio a Washington: «Vogliamo riformare l’ordine internazionale, portare idee innovative
per andare verso la giusta direzione». Insomma, un ragionamento da grande potenza emergente che ostenta sicurezza.
Ma dagli Stati Uniti arrivano
analisi piuttosto diverse. Sul
Wall Street Journal il professor
David Shambaugh, della Brookings Institution, ha appena
scritto: «La fine del partito comunista cinese è cominciata».
Secondo Shambaugh la campagna anticorruzione e la stretta
contro il dissenso ordinate dal
presidente Xi Jinping negli ultimi mesi sarebbero solo la prova
della debolezza del sistema e
della paura della leadership cinese di fare la fine dell’Urss. Il
professore ritiene possibile anche un colpo di palazzo contro il
presidente. In effetti, qualcuno
ha fatto filtrare un discorso allarmante di Xi: «Quelli che lanciano minacce dicono che dobbiamo aspettare e vedere ciò
che è stato preparato per noi. Io
dico semplicemente: chi ha paura di chi? Io non mi curo della
vita né della morte».
C’è poi il fronte economico
del quale parla Roy Smith, che
quando era a Goldman Sachs
nel 1990 previde la caduta del
Giappone (e non fu creduto) e
ora dice: «Le debolezze della
Cina oggi sono simili a quelle
del Giappone allora, la Cina
passerà alla storia come l’aspirante superpotenza che non
fu».
Avranno ragione le cassandre
occidentali o il tranquillo ministro Wang?
Guido Santevecchi
@guidosant
© RIPRODUZIONE RISERVATA
UN FURORE (POCO RELIGIOSO)
DISTRUGGE I CAPOLAVORI
N
imrud, Ninive e Hatra, dove per decenni hanno scavato anc h e m i s s i o n i a rcheologiche italiane, sono l’ultimo capitolo della
barbarie dell’Isis. Neppure la
Siria, e città millenarie come
Dura Europos o Mari, sono state risparmiate: distruzioni e
furti fuori controllo le stanno
cancellando per sempre.
Il presunto fondamento religioso è quello di distruggere
ogni raffigurazione, anche monumentale, che possa ispirare
tentazioni idolatriche. Eppure
questo furore ha ben poco a che
vedere con la storia islamica
passata, che le ha conservate,
ma riguarda purtroppo quel
tradizionalismo di matrice salafita che negli ultimi tempi ha
ricevuto sempre più ascolto
presso molti musulmani. L’Isis,
purtroppo, non è un caso isolato su questo terreno. Caso emblematico sono i ricorrenti attacchi verbali a piramidi e sfinge. Ci aveva provato un salafita
egiziano nel 2012, Salem alGohari, a dire che la legge islamica ingiungeva la distruzione
di piramidi e sfinge, e pochi
giorni fa un imam del Qatar ha
rilanciato l’anatema da un sito
online, con una fatwa che ha
avuto una certa risonanza anche in Egitto. Per fortuna, senza
seguito. Ma anche qui, nulla di
nuovo: il wahhabismo saudita è
nato promuovendo la sistematica distruzione di monumenti
storici. Alla conquista di Mecca
nel 1926 seguì la distruzione
dello storico cimitero di al-Baqi‘
a Medina e di altre costruzioni
monumentali di ogni genere.
Persino negli ultimi anni, per
innalzare costruzioni per il pellegrinaggio, non ci si è fatti alcun problema a cancellare testimonianze storiche.
L’Isis ci aggiunge una sadica
mediatizzazione e un poco nobile commercio sottobanco per
rimpolpare le proprie casse. Ma
la rigida applicazione del principio religioso, seppure rigettata dalla maggioranza dei musulmani, tocca una sensibilità
ben più ampia. E lo fa in nome
di un deformato tradizionalismo che, per rispettare alla lettera un’ingiunzione religiosa,
cancella millenni di storia.
Roberto Tottoli
malat. Elementi di cui tutti i governi sono sempre stati a conoscenza, e che avrebbero dovuto
consigliare in questo frangente
maggiore prudenza e minore
indifferenza.
Il fatto è che l’inchiesta di
Trani dovrebbe spingere a fare
finalmente luce su quelle vicende del 2010-2011 anche i loro
protagonisti. Per sgombrare il
campo, se non altro, dai sospetti sorti in questi anni alimentando l’idea che la finanza sia
diventata soltanto un gioco di
biechi complotti.
Alcuni sospetti certamente
risibili, come il fatto che il declassamento fosse parte di un
disegno planetario ordito per
far cadere il governo di Silvio
Berlusconi e sostituirlo con un
esecutivo prono ai diktat di
Berlino e agli interessi degli
speculatori mondiali.
Altri, invece, assai meno infondati. Esiste davvero una profonda e inconfessata sudditan-
za del nostro potere politico, di
quale orientamento poco importa, nei confronti della grande finanza internazionale? Un
atteggiamento che potrebbe essere motivato dai 160 miliardi
di derivati emessi da quei soggetti che il Tesoro ha in portafoglio, e come sta a dimostrare il
caso Morgan Stanley possono
rivelarsi una bomba a orologeria: meglio allora non farli arrabbiare. Comprensibile, forse.
Impossibile, però, non notare
come molti dei nostri ex ministri ed ex direttori generali del
Tesoro, per non parlare di qualche ex presidente del Consiglio, abbiano avuto in passato o
abbiano tuttora rapporti di
consulenza o dipendenza con
le merchant bank che ci hanno
finanziato o hanno prestato
servizi lautamente retribuiti
dallo Stato italiano. Anche questo aspetto andrebbe chiarito
una volta per tutte.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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