Codice cliente: 8727381 29 Corriere della Sera Lunedì 9 Marzo 2015 RIFORME GLI STANDARD EUROPEI CHE LA NOSTRA SCUOLA NON SA RAGGIUNGERE di Lorenzo Bini Smaghi Gli ostacoli Due motivi di arretratezza: il primo legato alla durata del ciclo scolastico (meglio iniziare a cinque anni e un liceo di quattro, come in altri Paesi); il secondo sono le vacanze estive troppo lunghe che penalizzano l’apprendimento L a decisione di rinviare al Parlamento la proposta di riforma sulla cosidetta «Buona scuola» può essere l’occasione per aprire una più ampia discussione su alcuni aspetti essenziali (dopo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato ieri dal Corriere) sul ruolo dell’istruzione in una società avanzata. In un mondo globalizzato, in cui i ragazzi che escono dalla scuola si confrontano con i loro coetanei di tutto il mondo, l’accesso a pari opportunità è essenziale. Nel confronto internazionale, il sistema italiano presenta due gravi svantaggi. Il primo è connesso alla durata del ciclo scolastico, più lunga degli altri Paesi europei di ben un anno. Ciò significa che un ragazzo italiano finisce gli studi in media a 19 anni, contro i 18 dei suoi coetanei europei, arrivando dunque più tardi all’università o sul mercato del lavoro. Peraltro, questo anno aggiuntivo non sembra tradursi — secondo i test internazionali — in una maggior capacità di apprendimento. La questione è stata sollevata da tempo. La Germania, che aveva un sistema simile a quello italiano, ha recentemente adottato una riforma. In Italia il cambiamento si scontra contro due ostacoli. Il primo è la proposta avanzata da alcuni gruppi di pressione di mantenere immutata la durata del ciclo ma di cominciare la scuola un anno prima, a cinque anni, diversamente da quanto fatto negli altri Paesi. Il secondo ostacolo è di tipo organizzativo. La riforma deve essere programmata per tempo, 4 anni prima se il liceo viene ridotto da 5 a 4 anni (come in Germania). Inoltre, nell’anno del passaggio definitivo al nuovo sistema deve essere organizzata una sessione di esami di maturità per un numero doppio di esaminandi. L’incapacità di programmare una tale transizione in Italia sembra essere il vero proble- ma, o la foglia di fico dietro la quale si nasconde la conservazione. Il secondo problema è il modo in cui il ciclo scolastico viene organizzato nel corso dell’anno. L’Italia è l’unico Paese ad avere un periodo di vacanze estive di circa 3 mesi, e invece vacanze più brevi e meno frequenti durante l’anno. Eppure, importanti studi scientifici dimostrano che periodi lunghi di interruzione riducono l’efficacia dell’istruzione scolastica. Ad esempio, uno studio del 2007 di Alexander, Entwisle e Olson, della John Hopkins University, intitolato proprio Le conseguenze durature del divario di apprendimento estivo, dimostra, sulla base di una serie di valutazioni empiriche, che il gap educativo tra studenti di diversa estrazione sociale tende a ridursi durante il periodo scolastico, ma aumenta nuovamente nel periodo delle vacanze estive. In altre parole, la scuola riesce a ridurre le disuguaglianze sociali, ma tale risultato viene poi vanificato durante i periodi di vacanza protratti. Più lunghe sono le vacanze, meno efficace è la scuola nel dare pari opportunità agli studenti più poveri. Il motivo è evidente. Le famiglie facoltose possono permettersi vacanze che consentono di sviluppare il capitale umano acquisito durante l’anno, con viaggi di studio, visite a musei o altre attività intellettuali che invece non sono accessibili alle fasce più deboli della popolazione. L’effetto distorsivo è ancor maggiore per gli studenti che vengono rimandati a settembre, date le diverse risorse a disposizione per poter accedere a corsi di ripetizione privati. Anche questo è un sistema che esiste solo in Italia, e contribuisce ad accentuare le disuguaglianze tra i ragazzi che vengono da famiglie povere rispetto a quelle benestanti. La ricerca mostra peraltro che è difficile per i ragazzi mantenere una concentrazione elevata a scuola per un periodo superiore a due mesi. Questo è il motivo per cui nella maggior parte degli altri sistemi educativi europei il trimestre viene interrotto a metà da una settimana di vacanza, in autunno, inverno e primavera, oltre alle vacanze di Natale e Pasqua. L’Italia non si è invece adeguata. Il motivo per non cambiare sistema sembrerebbe essere che in Italia fa più caldo ed è difficile tenere i ragazzi in classe a fine giugno a ai primi di settembre. Tuttavia, per i numerosi istituti stranieri che operano in Italia — internazionali, inglesi, francesi, tedeschi o svizzeri — e finiscono l’anno scolastico a fine giugno e cominciano il nuovo ai primi di settembre, con un mese in meno di vacanze estive rispetto all’Italia, il caldo non sembra essere un ostacolo così insormontabile. Come non lo è in altri Paesi europei, inclusi quelli mediterranei. Per essere davvero «buona», la scuola italiana richiede profondi cambiamenti, alcuni dei quali riguardano l’organizzazione e la struttura del ciclo scolastico che non sono considerati nell’attuale progetto di riforma. Rifiutare questi cambiamenti significa continuare a penalizzare i ragazzi e le ragazze italiane, soprattutto quelli delle famiglie meno abbienti. DOMANDE SCOMODE SUL PROCESSO DI TRANI SEGUE DALLA PRIMA D avanti al fatto che a indagare fosse un pubblico ministero, Michele Ruggiero, di una procura di periferia come quella di Trani, facevano tutti spallucce. Tutti, tranne il deputato del Pd Francesco Boccia, pugliese, che invocò invano la costituzione di un’agenzia di rating europea per liberarsi dal giogo delle società americane, e tranne il suo collega del Pdl Francesco Paolo Sisto, pugliese anch’egli, che capitanò un manipolo di onorevoli del centrodestra pronti a costituirsi loro parte civile. Fecero spallucce anche uffici giudiziari ben più blasonati. L’inchiesta, come spesso accade in Italia, partì da un esposto presentato da alcune associazioni dei consumatori nel quale si sosteneva che i declassamenti del debito italiano erano funzionali a un’enorme speculazione ai nostri danni orchestrata dai colossi finanziari in combutta con le agenzie di rating. La denuncia era stata recapitata COMMENTI DAL MONDO Lunga vita ai ricordi La (nuova) lezione degli ultracentenari signora Misao La Okawa ha festeggiato i suoi 117 anni a Osaka, in Giappone, dov’è nata il 5 marzo 1898. Di fronte agli ultracentenari, scrive Boyd Tonkin sull’Independent, proviamo stupore, rispetto, persino paura: capita soprattutto nelle società che hanno superato i traumi del passato grazie a un «patto dell’oblio». Trasformandoci in un infinito serbatoio di ricordi, l’allungamento della vita dovrebbe però aiutarci a riscoprire il valore della memoria. «Pensate solo a cosa potrebbero raccontarci oggi Gershwin, Ejzenstejn, Brecht...». Classe 1898. I tedeschi sono un popolo di ammaestratori? per gli Dall’amore animali alle teorie cospirazioniste, Internet è la frontiera dove si scatena la nostra natura profonda. «E così, che si tratti di guerra in Ucraina o vaccini contro il morbillo — scrive Sascha Lobo sul settimanale Der Spiegel — noi tedeschi in Rete ci mostriamo per quello che siamo, un popolo di ammaestratori». Una vocazione «repressa» nella vita sociale, che viene fuori «quando si confrontano gli isterismi dei trenta milioni di persone che usano i social network nel nostro Paese. Tutti con lo stesso obiettivo: insegnare agli altri come dovrebbe essere il mondo». a cura di Maria Serena Natale © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ITALIA E LE AGENZIE DI RATING di Sergio Rizzo L LE CASSANDRE OCCIDENTALI CHE INQUIETANO LA CINA a una decina di procure della Repubblica, da Roma a Milano, ma soltanto quella di Trani la prese in considerazione. Beccandosi anche in seguito gli sfottò di influenti magistrati che l’accusavano neanche troppo velatamente di protagonismo. Convinti com’erano, evidentemente, che tutto sarebbe a finito in una bolla di sapone. Si sbagliavano di grosso: l’inchiesta è sfociata nel rinvio a giudizio di due analisti di Fitch e di sei esperti di Standard & Poor’s. Siamo dunque nuovamente alla decisione del governo di non costituirsi parte civi- le. Su quella storia si possono avere opinioni politiche diverse. Anche ritenere il procedimento infondato. Magari tutto si concluderà con un’assoluzione e gli imputati ne usciranno immacolati. Glielo auguriamo di cuore. Ma si dà il caso che ci sia un processo in corso nel quale gli interessi dello Stato non sono affatto trascurabili. Indipendentemente dal dibattimento e dai suoi esiti, qui si pone tuttavia un’altra serie di problemi. Che le valutazioni delle agenzie di rating siano talvolta basate su stime così datate nel tempo da risultare poco aderenti alla realtà del momento in cui avviene il declassamento, è stato oggetto di ampia discussione. Come è conclamato che in capo a quelle società s’intreccino conflitti d’interessi mai risolti, capaci di gettare ombre sulle decisioni. Basterebbe rammentare le figuracce rimediate nei casi Enron e Par- e relazioni tra Cina e Russia sono forti e stabili, la nuova cooperazione si svilupperà intorno a un enorme contratto per portare 400 miliardi di dollari di gas siberiano verso Pechino e si fonda su comuni interessi strategici, ha detto ieri il ministro degli Esteri cinese presentando la politica internazionale della Repubblica popolare per il 2015. È seguito un invito poco diplomatico al premier giapponese Shinzo Abe a venire a Pechino per la parata che celebrerà i 70 anni dalla fine della guerra mondiale: «Benvenuto a condizione che sia sincero, perché 70 anni fa il Giappone ha perso la guerra». Poi la rivendicazione del diritto a costruire isole artificiali nel Mar cinese meridionale: «Non accettiamo critiche, è il nostro cortile di casa». Infine un messaggio a Washington: «Vogliamo riformare l’ordine internazionale, portare idee innovative per andare verso la giusta direzione». Insomma, un ragionamento da grande potenza emergente che ostenta sicurezza. Ma dagli Stati Uniti arrivano analisi piuttosto diverse. Sul Wall Street Journal il professor David Shambaugh, della Brookings Institution, ha appena scritto: «La fine del partito comunista cinese è cominciata». Secondo Shambaugh la campagna anticorruzione e la stretta contro il dissenso ordinate dal presidente Xi Jinping negli ultimi mesi sarebbero solo la prova della debolezza del sistema e della paura della leadership cinese di fare la fine dell’Urss. Il professore ritiene possibile anche un colpo di palazzo contro il presidente. In effetti, qualcuno ha fatto filtrare un discorso allarmante di Xi: «Quelli che lanciano minacce dicono che dobbiamo aspettare e vedere ciò che è stato preparato per noi. Io dico semplicemente: chi ha paura di chi? Io non mi curo della vita né della morte». C’è poi il fronte economico del quale parla Roy Smith, che quando era a Goldman Sachs nel 1990 previde la caduta del Giappone (e non fu creduto) e ora dice: «Le debolezze della Cina oggi sono simili a quelle del Giappone allora, la Cina passerà alla storia come l’aspirante superpotenza che non fu». Avranno ragione le cassandre occidentali o il tranquillo ministro Wang? Guido Santevecchi @guidosant © RIPRODUZIONE RISERVATA UN FURORE (POCO RELIGIOSO) DISTRUGGE I CAPOLAVORI N imrud, Ninive e Hatra, dove per decenni hanno scavato anc h e m i s s i o n i a rcheologiche italiane, sono l’ultimo capitolo della barbarie dell’Isis. Neppure la Siria, e città millenarie come Dura Europos o Mari, sono state risparmiate: distruzioni e furti fuori controllo le stanno cancellando per sempre. Il presunto fondamento religioso è quello di distruggere ogni raffigurazione, anche monumentale, che possa ispirare tentazioni idolatriche. Eppure questo furore ha ben poco a che vedere con la storia islamica passata, che le ha conservate, ma riguarda purtroppo quel tradizionalismo di matrice salafita che negli ultimi tempi ha ricevuto sempre più ascolto presso molti musulmani. L’Isis, purtroppo, non è un caso isolato su questo terreno. Caso emblematico sono i ricorrenti attacchi verbali a piramidi e sfinge. Ci aveva provato un salafita egiziano nel 2012, Salem alGohari, a dire che la legge islamica ingiungeva la distruzione di piramidi e sfinge, e pochi giorni fa un imam del Qatar ha rilanciato l’anatema da un sito online, con una fatwa che ha avuto una certa risonanza anche in Egitto. Per fortuna, senza seguito. Ma anche qui, nulla di nuovo: il wahhabismo saudita è nato promuovendo la sistematica distruzione di monumenti storici. Alla conquista di Mecca nel 1926 seguì la distruzione dello storico cimitero di al-Baqi‘ a Medina e di altre costruzioni monumentali di ogni genere. Persino negli ultimi anni, per innalzare costruzioni per il pellegrinaggio, non ci si è fatti alcun problema a cancellare testimonianze storiche. L’Isis ci aggiunge una sadica mediatizzazione e un poco nobile commercio sottobanco per rimpolpare le proprie casse. Ma la rigida applicazione del principio religioso, seppure rigettata dalla maggioranza dei musulmani, tocca una sensibilità ben più ampia. E lo fa in nome di un deformato tradizionalismo che, per rispettare alla lettera un’ingiunzione religiosa, cancella millenni di storia. Roberto Tottoli malat. Elementi di cui tutti i governi sono sempre stati a conoscenza, e che avrebbero dovuto consigliare in questo frangente maggiore prudenza e minore indifferenza. Il fatto è che l’inchiesta di Trani dovrebbe spingere a fare finalmente luce su quelle vicende del 2010-2011 anche i loro protagonisti. Per sgombrare il campo, se non altro, dai sospetti sorti in questi anni alimentando l’idea che la finanza sia diventata soltanto un gioco di biechi complotti. Alcuni sospetti certamente risibili, come il fatto che il declassamento fosse parte di un disegno planetario ordito per far cadere il governo di Silvio Berlusconi e sostituirlo con un esecutivo prono ai diktat di Berlino e agli interessi degli speculatori mondiali. Altri, invece, assai meno infondati. Esiste davvero una profonda e inconfessata sudditan- za del nostro potere politico, di quale orientamento poco importa, nei confronti della grande finanza internazionale? Un atteggiamento che potrebbe essere motivato dai 160 miliardi di derivati emessi da quei soggetti che il Tesoro ha in portafoglio, e come sta a dimostrare il caso Morgan Stanley possono rivelarsi una bomba a orologeria: meglio allora non farli arrabbiare. Comprensibile, forse. Impossibile, però, non notare come molti dei nostri ex ministri ed ex direttori generali del Tesoro, per non parlare di qualche ex presidente del Consiglio, abbiano avuto in passato o abbiano tuttora rapporti di consulenza o dipendenza con le merchant bank che ci hanno finanziato o hanno prestato servizi lautamente retribuiti dallo Stato italiano. Anche questo aspetto andrebbe chiarito una volta per tutte. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA