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Rivoluzione francese
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La rivoluzione francese è un insieme di eventi e di cambiamenti intercorsi tra il 1789 e il 1799 che segna il limite tra
l'età moderna e l'età contemporanea nella storiografia francese. Le principali e più immediate conseguenze della
rivoluzione francese (che costituì un momento di epocale cambiamento nella storia del mondo, sottolineato dal numero
di morti che oscilla tra i 2 milioni e i 2,5 milioni di persone) furono l'abolizione della monarchia assoluta e la
proclamazione della repubblica, con l'eliminazione delle basi economiche e sociali dell'Ancien régime. La rivoluzione
francese e quella americana ispirarono le rivoluzioni a connotazione borghese che seguirono nell'XIX secolo. Sebbene
l'organizzazione politica della Francia oscillò tra repubblica, impero e monarchia durante i 75 anni seguenti la Prima
repubblica, la rivoluzione segnò la fine dell'assolutismo e diede inizio ad un nuovo regime in cui la borghesia e, in
alcune occasioni anche le masse popolari, si convertirono nella forza politica dominante del paese.
Cause
Moltissimi fattori portarono alla rivoluzione; per certi versi, il vecchio ordine dovette soccombere alla sua stessa rigidità
di fronte a un mondo in evoluzione; per altri, cadde sotto l'ambizione di una borghesia rampante, alleata con i contadini
ed i salariati, e con individui di tutte le classi che furono influenzati dalle idee dell'illuminismo. Con il procedere della
rivoluzione e il passaggio del potere dalla monarchia ai corpi legislativi, gli interessi contrastanti di questi gruppi
inizialmente alleati divennero fonte di conflitti e bagni di sangue.
Tra le cause della rivoluzione ci sono le seguenti ragioni:
l'apogeo della borghesia, con un potere economico crescente, che svolgeva un ruolo fondamentale nell'economia
dell'epoca; il risentimento contro l'assolutismo reale; la piena maturazione degli ideali dell'illuminismo, tra i quali la
libertà, la fraternità, l'uguaglianza, il rifiuto di una società divisa, la separazione dei poteri dello Stato; un debito
nazionale ingestibile, causato ed esacerbato dal peso di un sistema di tassazione grossolanamente iniquo, considerato
che le classi privilegiate (nobiltà e clero) non erano obbligate a pagare. Questo rese più acute le tensioni sociali e
politiche e contribuì a produrre una grave crisi economica, che fu ulteriormente aggravata dai costi che la Francia
sostenne per il proprio intervento a favore dell'indipendenza americana; la scarsità di cibo negli anni immediatamente
precedenti la rivoluzione; il risentimento per i privilegi della nobiltà e il dominio della vita pubblica da parte di una
ambiziosa classe professionale; l'influenza della Guerra di indipendenza americana e delle precedenti rivolte nei Paesi
Bassi e nella Repubblica di Ginevra, che furono represse rispettivamente nel 1782 e nel 1785.
Contestazione della monarchia assoluta
Nel 1788 in Francia il potere era riposto nella monarchia assoluta di diritto divino. La tradizione monarchica si
inscriveva nel rispetto dei costumi, cioè delle libertà e dei privilegi accordati ad alcuni individui, alcune città o province.
Le basi di questo sistema politico furono contestate ed attaccate nella seconda metà del XVIII secolo. La filosofia degli
illuministi si era diffusa negli strati superiori della società francese, la borghesia e la nobiltà liberale. Al modello
francese della monarchia assoluta fu contrapposto quello inglese di una monarchia limitata da un parlamento (assemblea
eletta). All'obbedienza del soggetto furono contrapposti i diritti del cittadino. I filosofi illuministi difesero l'idea che il
potere sovrano supremo risieda nella nazione. Anche gli ordini privilegiati si rivoltarono contro il potere reale, in quanto
l'assolutismo li aveva privati delle loro prerogative tradizionali. Sotto l'Ancien Régime i Parlamenti erano delle corti di
giustizia. Essi approfittarono del diritto, che era loro tradizionalmente accordato, di emettere delle osservazioni al
momento della registrazione delle leggi nei registri dei parlamenti, per criticare il potere reale. Benché difendessero
soprattutto i loro privilegi, essi arrivarono al punto di essere visti dall'opinione pubblica come i difensori del popolo. La
Nobiltà, privata del potere sotto il re Luigi XIV, desiderava ritornare agli affari dello Stato. A questa rivendicazione
politica si doveva una rivendicazione economica. I nobili non avevano il diritto di esercitare un gran numero di attività
economiche, sotto la pena di perdere la loro nobiltà. In un secolo in cui la rendita della terra stagnava e in cui i costi per
la rappresentanza (costumi, carrozze...) salivano sempre più, il loro potere di acquisto diminuiva. La nobiltà si arroccò
sui suoi vecchi privilegi, principalmente i diritti feudali, ed esigeva il pagamento di alcune tasse feudali, ormai desuete.
Si arrogò anche lo sfruttamento esclusivo di alcune proprietà comunali, delle terre non coltivate o in cui
tradizionalmente i contadini poveri potevano far pascolare qualche bestia. Questa situazione era molto malvista dai
contadini che reclamavano l'abolizione dei diritti feudali per sollevare la loro miseria. Malgrado tutto, la maggioranza
dei francesi nel 1789 non immaginava una rivoluzione violenta e l'abolizione della monarchia, così come non era
sperata nemmeno una riforma profonda dello stato. Il re, infatti, nel 1789 era considerato come il padre dei francesi ed
era amato e rispettato.
Necessità di riforme
Luigi XV e Luigi XVI non rimasero insensibili alla diffusione delle nuove idee ed al blocco delle istituzioni, ma non
ebbero l'autorità del loro predecessore Luigi XIV per imporre ai privilegiati i cambiamenti necessari: la riforma
giudiziaria del cancelliere de Maupeou, decisa alla fine del regno di Luigi XV, fu abbandonata da Luigi XVI che cedette
davanti al Parlamento; la riforma fiscale, necessaria per risanare il bilancio statale che era fortemente deficitario.
All'inizio del secolo, la principale imposta diretta, la «taglia», pesava soltanto sui non privilegiati. La preoccupazione
dei re fu, quindi, di aumentare le entrate fiscali. Vennero aggiunte alle precedenti delle nuove imposte gravanti su tutti,
qualunque fosse il loro ordine: la «capitazione», che dal 1701 venne applicata su tutte le teste e che in proporzione
pesava soprattutto sui non privilegiati; il «ventesimo», che assoggettava tutti i redditi (in teoria 1/20 del reddito, ma i
nobili ed il clero la compensarono pagandola una volta per tutte ed in seguito furono esentati). Le nuove imposte non
furono in grado di contrastare il deficit ed il debito pubblico aumentò per tutto il XVIII secolo. Nonostante la Francia
fosse un paese con un'economia in espansione, aveva una struttura sociale conflittuale ed uno stato monarchico in crisi.
Di fatto si può parlare di una crisi dell'Antico regime in tutta l'Europa Occidentale, ma la forma in cui questa crisi si
manifestò nello stato francese e l'esistenza all'interno del Terzo stato di una borghesia che aveva acquisito coscienza del
suo potere, spiegano come si poté realizzare in Francia una rivoluzione con conseguenze molto maggiori rispetto a
quelle prodotte dagli altri sollevamenti dell'epoca negli altri Paesi.
Crisi finanziaria
Esisteva un'opposizione generalizzata contro le regole economiche e sociali che favorivano i gruppi privilegiati. Lo
Stato francese si trovava in una grave crisi finanziaria, in parte dovuta all'appoggio economico inviato dal governo alle
13 colonie inglesi d'America durante la guerra d'indipendenza. Durante i regni di Luigi XV e Luigi XVI, diversi
ministri, inclusi Anne Robert Turgot e Jacques Necker, cercarono senza riuscirvi di modificare il sistema impositivo e
convertirlo in un sistema più giusto ed uniforme. Tali iniziative incontrarono una forte opposizione da parte della
nobiltà, che si considerava garante nella lotta contro il dispotismo. Questi ministri furono così costretti a rinunciare
al loro mandato ed il 3 novembre 1783 il re nominò Charles Alexandre de Calonne ministro delle finanze. Calonne
intraprese una politica di spese consistenti, volta a convincere i potenziali creditori della solidità delle finanze nazionali.
Durante il suo ministero non si sentiva parlare che di pensioni e gratificazioni. Nel breve termine sperava che una
dimostrazione di supporto da parte dell'assemblea dei notabili avrebbe permesso di ripristinare la fiducia nelle finanze
francesi e di ottenere quindi dei prestiti con cui far fronte alle spese. In seguito, in uno studio dettagliato della situazione
finanziaria, Calonne si rese conto che non era sostenibile e indicò che bisognava fare delle importanti riforme. In
particolare, prescrisse un codice tributario uniforme per quanto concerneva la proprietà delle terre, con il quale
assicurava che si sarebbe ottenuto un risanamento delle finanze. Quando Calonne espose al re la necessità della riforma
proposta, l'Assemblea dei Notabili rifiutò di accettare questi rimedi, a causa della reputazione di immoralità che
Calonne si era guadagnato negli anni del suo ministero e perché a lui era attribuita una parte del deficit. Le finanze
francesi erano alla bancarotta. Secondo François Mignet, i prestiti ammontavano a «milleseicentoquarantasei milioni...
e... c'era un deficit annuale di quarantasei milioni (presumibilmente di lire)». Si cominciava a pensare che solo un
organo rappresentativo di tutta la nazione, come gli Stati Generali, avrebbe potuto votare l'applicazione di nuove tasse,
ma Calonne rifiutò l'idea di convocarli.
Fallimento dei tentativi di riforma
Il re, vedendo che Calonne non riusciva a gestire la situazione, il 1° maggio 1787 lo sostituì con il suo principale critico,
il presidente dell'assemblea dei notabili e leader dell'opposizione, Etienne-Charles de Loménie de Brienne, arcivescovo
di Tolosa. Brienne tentò di far approvare le riforme proposte da Calonne, ma queste incontrarono nuovamente una forte
opposizione, soprattutto dal Parlamento di Parigi (un organo giudiziario con funzioni di controllo sulla legittimità degli
atti, ma senza funzioni politiche). Brienne tentò di proseguire con la riforma tributaria nonostante i parlamenti, ma
questo provocò una massiccia resistenza dei gruppi benestanti che sfociò nel ritiro dei prestiti di breve durata. In quel
momento, questi prestiti davano ossigeno e vita all'economia dello stato francese, per cui si creò una situazione di
bancarotta nazionale.
Convocazione degli Stati Generali
Il 18 dicembre 1787, il re Luigi XVI, promise di convocare gli Stati Generali nel giro di cinque anni. La monarchia non
poté realizzare alcuna riforma fiscale a causa dell'ostruzionismo sistematico del Parlamento. La «Giornata delle tegole
di Grenoble», che ebbe luogo nel 1788 mostrò l'alleanza contraddittoria tra il Parlamento ed il popolo. Le proteste delle
famiglie toccate dalla crisi economica si moltiplicarono dopo il mese di maggio e queste agitazioni obbligarono la
guarnigione ad intervenire il 7 giugno, ma essa venne accolta dal getto di tegole lanciate dagli abitanti di Grenoble saliti
sui tetti. Dopo la giornata delle tegole, un'assemblea dei tre ordini (clero, nobiltà e terzo stato) si riunì al castello di
Vizille e decise lo sciopero delle imposte tanto che gli Stati Generali della provincia non furono convocati dal re per
votarli. Nel fallimento e incapace di ristabilire l'ordine, Luigi XVI cedette e l'8 agosto 1788 acconsentì a convocare gli
Stati generali per il 5 maggio 1789, per la prima volta dal 1614. Il 25 agosto 1788 Brienne rinunciò all'incarico e alle
finanze francesi fu richiamato Necker, il quale rese pubblico il bilancio del regno. Lo Stato percepiva 503 milioni di
lire di entrate contro 620 di spese. Gli interessi sul debito ammontavano da soli a 310 milioni, cioè la metà delle spese.
L'opinione pubblica fu molto scandalizzata nell'apprendere che la corte spendeva, in tempi di povertà e fame, 36
milioni in feste e pensioni per i cortigiani.
La campagna elettorale per l'elezione dei deputati agli Stati Generali
La prospettiva degli Stati generali evidenziò il conflitto di interessi tra il Secondo stato (la nobiltà) e il Terzo stato (che
raggruppava tutti i francesi non nobili né ecclesiastici, dalla grande borghesia ai braccianti rurali). La società era
cambiata rispetto al 1614: il Primo Stato (il clero) assieme al Secondo Stato (la nobiltà) rappresentavano solo il 2 per
cento della popolazione francese; il Terzo Stato, teoricamente rappresentante del restante 98% e in pratica
rappresentante di una fetta crescente del benessere nazionale, poteva ancora essere messo in minoranza dagli altri due,
che storicamente avevano spesso votato assieme. Molti nella classe emergente videro la convocazione degli Stati
Generali come una possibilità di guadagnare potere. La convocazione degli Stati Generali suscitò molte speranze tra la
popolazione francese. I contadini speravano in un miglioramento delle loro condizioni di vita con l'abbandono dei diritti
feudali. La borghesia, formata alle idee illuministe, sperava nell'instaurazione dell'uguaglianza dei diritti e di una
monarchia parlamentare secondo il modello inglese. Essa poté contare sul sostegno di una piccola parte della nobiltà
acquisita alle nuove idee e del basso clero che viveva vicino al popolo ed era sensibile alle sue difficoltà. Tutto ciò
causò l'animazione del dibattito politico durante l'elezione dei deputati agli Stati Generali. Durante la campagna
elettorale, nei cahiers de doléances ("quaderni delle rimostranze") venne stilato un elenco dei soprusi a cui era
sottoposto ancora il Terzo stato. I dibattiti riguardarono anche l'organizzazione degli Stati Generali: infatti era tradizione
che ogni ordine eleggesse circa lo stesso numero di deputati e che gli eletti di ciascun ordine si riunissero, discutessero e
votassero separatamente. Il risultato del voto di ciascun ordine valeva un voto. Questo era il principio del voto per
ordine. In questo modo, bastava che i due ordini privilegiati votassero nello stesso modo, cioè per il mantenimento dei
privilegi, che il Terzo Stato si sarebbe sempre trovato in minoranza. Il Terzo Stato chiese il raddoppio del numero dei
deputati che lo rappresentavano (che già aveva nelle assemblee provinciali), affinché il numero dei loro eletti
corrispondesse di più al loro peso nella società. Questo divenne uno degli argomenti principali trattati dagli opuscolisti,
fra i quali si segnala l'abate Emmanuel Joseph Sieyès con l'opuscolo "Cos'è il Terzo Stato?". Necker, sperando di evitare
il conflitto, riunì una seconda assemblea di notabili il 6 novembre 1788, ma, con suo grande imbarazzo, questi
rigettarono il concetto di rappresentanza doppia. Convocando l'assemblea, Necker aveva meramente sottolineato
l'opposizione dei nobili all'inevitabile politica. Un decreto reale del 27 novembre 1788 annunciò che agli Stati generali
avrebbero partecipato almeno un migliaio di deputati e garantì la rappresentanza doppia per il Terzo Stato. I semplici
sacerdoti (curés) potevano essere deputati per il Primo Stato, e i protestanti per il Terzo Stato. Secondo lo storico
Mignet, dopo delle elezioni ragionevolmente oneste, "i deputati della nobiltà erano composti da 242 gentiluomini e 28
membri del parlamento; quelli del clero, da 48 vescovi e arcivescovi, 35 abati e decani, e 208 curati; e quelli del Terzo
Stato, da due ecclesiastici, 12 nobili, 18 magistrati cittadini, 200 membri delle contee, 212 avvocati, 16 medici e 216
mercanti e agricoltori". Altre fonti danno cifre leggermente differenti (vedi Stati Generali). Il Terzo Stato chiese anche il
principio del voto per testa, cioè la convocazione di un'unica assemblea in cui ogni eletto disponeva di un voto. Luigi
XVI, che aveva accordato il raddoppio dei deputati del Terzo Stato, mantenne il silenzio sulla questione del voto per
ordine o per testa e rinviò la decisione agli Stati Generali stessi. Se si continuava a votare per stato, come in passato, il
fatto che il numero dei rappresentanti del Terzo Stato fosse stato raddoppiato non cambiava molto le cose.
Dagli Stati Generali all'Assemblea Nazionale
Quando, tra l'acclamazione generale, gli Stati Generali convennero a Versailles il 5 maggio 1789, molti nel Terzo Stato
videro la rappresentanza doppia come una rivoluzione già pacificamente conseguita. Comunque, con l'etichetta del 1614
strettamente rinforzata, il clero e la nobiltà in pompa magna, l'ubicazione fisica dei deputati dei tre Stati dettata dal
protocollo di un'era precedente, fu immediatamente evidente che in realtà era stato ottenuto molto meno. Già a partire
dai discorsi fatti dal re e da Necker nel corso dell'apertura degli Stati generali, i deputati del Terzo stato non sentirono
affatto parlare delle riforme politiche tanto attese, ma soltanto di questioni finanziarie. Il potere non prese posizione sul
voto per ordine o per testa. Quando Luigi XVI e Barentin (il guardasigilli) si rivolsero ai deputati il 6 maggio, il Terzo
stato scoprì che il decreto reale che garantiva la rappresentanza doppia celava un trucco: avevano sì più rappresentanti
degli altri due Stati combinati, ma il voto si sarebbe svolto "per ordini" e quindi i 578 rappresentanti del Terzo Stato,
dopo aver deliberato, avrebbero avuto il loro voto collettivo pesato esattamente come quello di uno degli altri Stati.
L'intento apparente del re e di Barentin era quello che tutti andassero direttamente al problema delle tasse. La maggior
rappresentanza del Terzo stato doveva essere solo simbolica, senza dargli nessun potere extra. Necker aveva più
simpatia per il Terzo stato, ma in quell'occasione parlò solo della situazione fiscale, lasciando a Barentin il compito di
parlare su come gli Stati Generali avrebbero operato. Cercando di evitare il problema della rappresentanza e di
focalizzarsi unicamente sulle tasse, il re e i suoi ministri avevano gravemente malgiudicato la situazione. Il Terzo stato
voleva che gli stati si incontrassero come un unico corpo e votassero per deputato. Gli altri due stati, pur avendo le loro
doglianze contro l'assolutismo reale, credevano, correttamente, come la storia avrebbe dimostrato, che avrebbero perso
più potere verso il Terzo stato di quello che avrebbero guadagnato dal re. Il ministro del re, Necker, simpatizzò con il
Terzo stato, ma l'astuto finanziere era un politico non altrettanto astuto. Decise di far continuare l'impasse fino al punto
di stallo prima di entrare nella mischia. Il risultato fu che quando il re cedette alle domande del Terzo stato, sembrò a
tutti una concessione estorta alla monarchia, piuttosto che un dono magnanimo che avrebbe convinto la popolazione
della buona volontà del re. L'impasse fu immediata. Il primo argomento di trattativa degli Stati Generali fu la verifica
dei poteri. Mirabeau, nobile eletto per rappresentare il Terzo stato, cercò senza riuscirci di tenere tutti e tre gli ordini in
un'unica sala per la discussione. Invece di discutere le tasse del re, i tre Stati iniziarono a discutere sull'organizzazione
della legislatura. La spola diplomatica andò avanti senza successo fino al 27 maggio 1789, quando i nobili votarono per
prendere una posizione ferma sulla verifica separata. Il giorno seguente, l'abate Sieyès (un membro del clero ma, come
Mirabeau, eletto a rappresentare il Terzo stato) mosse affinché il Terzo stato, che ora si riuniva come i Communes
("Comuni"), procedesse con la verifica e invitasse gli altri Stati a prendere parte, invece di aspettare gli altri due Stati. Il
13 giugno tre curati risposero all'appello; il 16 furono dieci. Il 17 giugno 1789, con il fallimento degli sforzi per
riconciliare i tre Stati, i Communes completarono il loro processo di verifica, diventando l'unico stato i cui poteri
fossero stati appropriatamente legalizzati. I Communes quasi immediatamente votarono una misura molto più radicale:
essi si dichiararono Assemblea Nazionale, un'assemblea non degli Stati, ma del popolo. Essi invitarono gli altri ordini
ad unirsi, ma resero chiaro che intendevano fare gli interessi della nazione con o senza di loro. Il 19 giugno il clero, che
aveva tra le sue fila dei parroci sensibili ai problemi dei contadini, decise di unirsi ai deputati del Terzo stato per la
verifica dei poteri.
L'Assemblea Costituente e la Presa della Bastiglia
L'Assemblea Nazionale si collegò immediatamente ai capitalisti (la fonte del credito necessario per finanziare il debito
pubblico) e alla gente comune. Essi consolidarono il debito pubblico e dichiararono che tutte le tasse esistenti erano
state precedentemente imposte illegalmente, ma votarono le stesse provvisoriamente, solo fintanto che l'Assemblea
continuava a riunirsi. Questo ridiede fiducia al capitale e gli diede un forte interesse nel tenere l'assemblea in sessione.
Per quanto riguarda la gente comune, un comitato di sussistenza venne stabilito per affrontare la carenza di cibo. Il
precedente piano di conciliazione di Necker - uno schema complesso di concessioni ai comuni su alcuni punti e di forte
resistenza su altri - era stato superato dagli eventi. Non più interessato ai consigli di Necker, Luigi XVI, sotto
l'influenza dei cortigiani del suo consiglio privato, decise di rivolgersi all'Assemblea, annullare il suo decreto,
comandare la separazione degli ordini, e dettare che le riforme fossero effettuate dagli Stati Generali restaurati. Il
giuramento della Sala della Pallacorda.Se Luigi avesse marciato nella Salle des États, dove l'Assemblea Nazionale si
incontrava, probabilmente il suo piano sarebbe potuto riuscire, ma se ne restò a Marly e il 20 giugno ordinò la chiusura
della sala, aspettandosi di impedire in questo modo all'Assemblea di riunirsi per diversi giorni, mentre lui si preparava.
L'Assemblea spostò semplicemente le proprie deliberazioni nel campo da pallacorda del Re, dove procedette al
Giuramento della Sala della Pallacorda (20 giugno 1789), con il quale si accordò per non sciogliersi finché alla Francia
non fosse stata data una costituzione scritta. Due giorni dopo, privata anche dell'uso della Sala della Pallacorda,
l'Assemblea Nazionale si riunì nella chiesa di Saint-Louis, dove venne raggiunta dalla maggioranza dei rappresentanti
del clero: gli sforzi per ripristinare il vecchio ordine erano serviti solo per accelerare gli eventi. Quando, il 23 giugno
1789, in accordo con il suo piano, il re si rivolse finalmente ai rappresentanti dei tre Stati, si trovò di fronte a un silenzio
di pietra. Il re dichiarò che si conservasse la distinzione degli ordini, che venisse annullata la costituzione dei
Communes in Assemblea Nazionale, aggiunse che se l'assemblea l'avesse abbandonato, egli avrebbe fatto il bene del
popolo senza di essa e concluse ordinando a tutti di disperdersi, ma venne obbedito solo dai nobili e dal clero, mentre i
deputati del Terzo stato rimasero seduti. Necker, unico ministro che non assistette a quella seduta, si trovò in disgrazia
con Luigi XVI ma nuovamente nelle grazie dell'Assemblea Nazionale. Quelli del clero, che si erano uniti all'Assemblea
nella chiesa di Saint-Louis, rimasero; 47 membri della nobiltà, incluso il duca d'Orléans, si unirono a loro. Il re scrisse
ai presidenti della nobiltà e del clero, per invitarli a riunirsi all'assemblea degli stati generali, al fine di occuparsi delle
sue dichiarazioni del 23 giugno. Il clero obbedì senza riserve, ma la nobiltà si indignò di una proposta che le faceva
perdere tutti i frutti della sua resistenza, quando il suo presidente lesse una lettera del conte di Artois che faceva
intendere che occorreva riunirsi perché la vita del re era in pericolo. Così il 27 giugno gli ordini si riunirono nella sala
comune ed il partito reale aveva ceduto apertamente, anche se la probabilità di un contraccolpo militare rimase nell'aria.
Intatti, i militari francesi incominciarono ad accorrere in grande numero attorno a Parigi e Versailles. Giunsero molti
messaggi di supporto all'Assemblea, da Parigi e da altre città della Francia. Il 9 luglio 1789 l'Assemblea si ricostituì
come Assemblea Nazionale Costituente, rivolgendosi al re in termini educati ma fermi, richiedendo la rimozione delle
truppe (che ora includevano reggimenti stranieri, più obbedienti al re rispetto alle truppe francesi), ma Luigi dichiarò
che lui solo poteva giudicare il bisogno delle truppe, e li rassicurò che queste erano una misura strettamente
precauzionale. Luigi "offrì" di spostare l'Assemblea a Noyon o Soissons, cioè di porla in mezzo a due eserciti e privarla
del supporto dei parigini. In questi giorni alcuni deputati furono intimoriti dalla piega che stavano prendendo gli
avvenimenti e si dimisero. L'Assemblea allora dichiarò che essa aveva ricevuto il suo mandato non dai singoli elettori
che avevano eletto ciascun deputato, ma collettivamente dall'intera Nazione. Così si mise in pratica il principio della
sovranità nazionale, difeso da Diderot. Parigi fu unanime nel supportare l'Assemblea, vicina all'insurrezione e, nelle
parole di Mignet, «intossicata di libertà ed entusiasmo». La stampa pubblicò i dibattiti dell'Assemblea; la discussione
politica si estese oltre ad essa e arrivò nelle piazze e nei salotti della capitale. Il Palais Royal e l'area circostante
divennero il luogo di continui incontri. La folla, con l'autorità degli incontri al Palais Royal, aprì le prigioni dell'Abbazia
per rilasciare alcuni granatieri delle Guardie francesi che erano stati imprigionati per essersi rifiutati di aprire il fuoco
sulla gente. L'Assemblea li raccomandò alla clemenza del Re, questi tornarono in prigione e ricevettero il perdono. Il
loro reggimento ora era favorevole alla causa popolare. La presa della BastigliaIl 12 luglio il re destituì Necker e gli
ordinò di lasciare la Francia entro 48 ore. L'indomani fu convocato il consiglio del re. Quel giorno l'Assemblea non
doveva riunirsi ed il popolo di Parigi fu spaventato da quegli eventi e fece una grande manifestazione popolare portando
i busti di Necker e del duca d'Orleans. Dei soldati tedeschi ricevettero l'ordine di caricare sulla folla e distrussero le
statue che trasportavano. Ci furono molti feriti ed il popolo di Parigi si sollevò. L'indomani i cittadini si organizzarono
e 60.000 uomini furono armati, arruolati e distribuiti in compagnie. Intanto l'Assemblea nazionale avvertì il re del
pericolo che correva la Francia se le truppe non fossero state allontanate dalla capitale. Il re rispose che non avrebbe
cambiato le sue disposizioni. Il rifiuto del re portò la disperazione a Parigi, e girarono delle voci che dicevano che non
ci sarebbero stati né pace né libertà finché fosse esistita la Bastiglia. Così il 14 luglio 1789 i Parigini, in un'atmosfera
rivoluzionaria, presero l'arsenale dell'Hôtel des Invalides, dove trovarono delle armi e dei cannoni, ma non la polvere da
sparo, poi si ammassarono presso la prigione reale della Bastiglia per cercare la polvere. Il governatore della prigione
Bernard de Launay voleva resistere, ma alla domanda dei mediatori venuti dall'Hôtel de Ville dove sedeva un comitato
permanente, organo dell'insurrezione borghese, lasciò che la folla penetrasse nella prima corte. Poi si ravvide e fece
uccidere questa folla: ci furono un centinaio di morti. Successivamente dei soldati ammutinati portarono dei cannoni ed
il governatore cedette e abbassò il ponte levatoio. Poi, trovato dalla folla, fu ucciso.
Dopo la vittoria popolare
Inizialmente il re non riusciva a credere a questi eventi, poi riconobbe il fatto compiuto e la demolizione della Bastiglia
iniziò. Il 15 luglio 1789 il re si recò all'Assemblea nazionale senza pompa e senza corteo e disse che da quel momento
avrebbe lavorato con la nazione, che si fidava dei suoi rappresentanti e che avrebbe ordinato alle truppe di allontanarsi
da Versailles e da Parigi. Questi annunci furono accolti da acclamazioni generali. Su richiesta dell'Assemblea il re
richiamò Necker al governo ed annunciò una visita a Parigi. All'Hôtel de Ville di Parigi, tutti i membri della precedente
amministrazione erano fuggiti e Jean Sylvain Bailly, presidente dell'Assemblea nazionale, fu nominato per
acclamazione «Sindaco di Parigi». La Fayette fu nominato Comandante Generale della Guardia Nazionale. Venne
messa in piedi una nuova organizzazione municipale. Luigi XVI la riconobbe quando il 17 luglio si recò a Parigi. In
quest'occasione Bailly gli diede la coccarda blu e rossa, i colori della città di Parigi, che Luigi XVI fissò al suo cappello
associando anche il colore bianco della monarchia. Questo gesto voleva simboleggiare la riconciliazione di Parigi con
il suo re. Ma di fatto il re accettò che la sua autorità fosse tenuta in ostaggio da una sommossa parigina. I deputati
accettarono che il loro potere dipendesse dalla violenza popolare. Durante questo tempo, la fama dei vincitori della
Bastiglia si diffuse per tutta la Francia, facendo vedere che la forza della cittadinanza era venuta in soccorso ai
riformatori. Molto presto fu elaborata una simbologia della presa della Bastiglia: la Bastiglia rappresentava il potere
arbitrario del re.
La Grande Paura nelle campagne francesi e l'abolizione del feudalesimo
In provincia, dal 20 luglio 1789 al 6 agosto 1789, nelle campagne circolarono dei rumori confusi chiamati « Grande
Paura ». I contadini credevano che i raccolti sarebbero stati razziati da dei briganti. All'annuncio dell'arrivo dei briganti
suonava l'allarme nei villaggi. I contadini si armavano di forche, di falci e di altri utensili. Desiderosi di maggior
protezione, si recavano in massa verso il castello del signore locale per ottenere fucili e polvere da sparo. Qui però
finivano per sfogare la propria rabbia verso i poteri dominanti esigendo i titoli signorili che stabilivano la dominazione
economica e sociale dei loro proprietari e li bruciavano. Se il signore o i suoi uomini resistevano, venivano molestati: ci
furono diversi casi in cui dei signori vennero assassinati e dei castelli furono saccheggiati o bruciati; come scrisse
Michelet, "tutti i castelli di campagna diventarono delle Bastiglie da conquistare". Di fronte a queste violenze, nella
notte del 4 agosto 1789 l'Assemblea reagì abolendo i privilegi, i diritti feudali, la venalità degli uffici e le
disuguaglianze fiscali. Fu la fine della società dell'Ancien Régime. Tuttavia i deputati, quasi tutti proprietari fondiari, sia
che fossero nobili o borghesi, cambiarono in parte idea durante la redazione dei decreti dal 5 all'11 agosto 1789. I diritti
personali (corvè, servitù ...) e il monopolio della cassa per il signore vennero semplicemente soppressi, mentre i diritti
reali basati sulla rendita della terra dovevano essere riscattati. Poterono così liberarsi totalmente soltanto i contadini più
ricchi. I proprietari ricevevano d'ufficio un'indennità che essi investirono in parte nell'acquisto di beni nazionali. Così i
possidenti poterono salvaguardare i loro interessi economici e mettere fine alle rivolte dei contadini. Il 26 agosto 1789
l'Assemblea costituente votò la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, ispirata ai principi degli Illuministi:
essa era una condanna senza appello alla monarchia assoluta ed alla società degli ordini. Essa era anche il riflesso delle
aspirazioni della borghesia dell'epoca: la garanzia delle libertà individuali, la sacralità della proprietà, la spartizione del
potere con il re e tutti gli impieghi pubblici.
Parigi di nuovo capitale
Le difficoltà di approvvigionamento del pane ed il rifiuto di Luigi XVI di promulgare la dichiarazione ed i decreti del
4 e del 26 agosto, furono all'origine del malcontento del popolo di Parigi durante i giorni del 5 e del 6 ottobre. Una
marcia di donne riportò la famiglia reale a Parigi, facendole lasciare Versailles, simbolo dell'assolutismo. Due guardie
del corpo del re furono uccise e le loro teste attaccate alla punta di una picca. Da quel momento il re e l'Assemblea
risiedettero a Parigi, sorvegliati dalla popolazione e minacciati dalla sommossa. Il potere reale ne uscì estremamente
indebolito. La Francia restò una monarchia ma il potere legislativo passò nelle mani dell'Assemblea costituente. Delle
commissioni specializzate derivate dall'Assemblea ebbero l'incarico di mettere mano sull'insieme dell'amministrazione
che si preoccupava sempre meno del potere reale. I ministri non furono altro che degli esecutori tecnici sorvegliati
dall'Assemblea. Tuttavia, il re conservò il potere esecutivo. I decreti promulgati dall'Assemblea non erano validi se il re
non li sanzionava. Peraltro, gli intendenti e gli altri agenti dell'amministrazione dell'Ancien Régime restarono al loro
posto fino alla formazione di una nuova amministrazione. Fino all'estate 1790, gli intendenti che non si dimisero
continuarono le loro funzioni sebbene esse fossero state considerevolmente ridotte.
Il rinnovamento delle istituzioni francesi
L'Assemblea costituente, in maggioranza formata da borghesi e nobili, intraprese una vasta opera di riforme, applicando
le idee dei filosofi e degli economisti del XVIII secolo.
La riorganizzazione amministrativa
I primi lavori dell'Assemblea furono dedicati alla riforma amministrativa. Le circoscrizioni amministrative dell'Ancien
Régime erano troppo complesse. Le generalità, i governi, i parlamenti e le diocesi si sovrapponevano senza avere gli
stessi confini. I deputati cercarono di semplificarli. Essi si dedicarono innanzitutto alla riforma municipale, resa urgente
dai disordini suscitati nei corpi municipali dagli scompigli dell'estate. A partire dal gennaio 1790, ogni comune della
Francia organizzò l'elezione dei propri eletti. Queste furono le prime elezioni della Rivoluzione. Con la legge del 22
dicembre 1789, l'Assemblea creò i dipartimenti: essi erano delle circoscrizioni ai fini amministrativi, giudiziari, fiscali e
religiosi. Nel numero di 83, i dipartimenti portavano dei nomi legati alla loro geografia fisica (corsi d'acqua, montagne,
mari) e furono suddivisi in distretti, cantoni e comuni. I loro dirigenti furono eletti dal popolo. Nella primavera 1790,
una commissione fu incaricata dall'Assemblea della suddivisione della Francia e di rispondere alle liti causate tra le città
candidate a diventare capoluoghi. Le nuove amministrazioni elette democraticamente furono messe in funzione a partire
dall'estate 1790.
Le libertà economiche
Sotto l'Ancien régime le attività economiche erano state strettamente inquadrate dallo Stato o da delle regolamentazioni
che limitavano il numero di produttori. Tutti gli ostacoli alla libertà di produzione, che fossero agricole, artigianali o
industriali, furono soppressi. In un clima di sfida faccia a faccia dei raggruppamenti professionali, la legge Le Chapelier
fu votata il 14 giugno 1791. Questa legge, rimasta famosa nella storia del mondo operaio, vietava tutte le associazioni
padronali e operaie, dette anche sindacati. Venne vietato anche lo sciopero. La Rivoluzione, nella sua diffidenza verso i
gruppi, nella sua esaltazione delle libertà individuali, mise gli operai nell'incapacità di organizzarsi per la difesa dei
loro diritti per quasi un secolo.
La questione religiosa
A partire dall'11 agosto 1789, le decime vennero soppresse senza compensazioni, privando così il clero di una parte
delle sue risorse. Il 2 novembre dello stesso anno, su proposta di Talleyrand, vescovo di Autun, i beni del clero furono
messi a disposizione della Nazione per l'estinzione del debito pubblico. Essi divennero dei beni nazionali che sarebbero
stati venduti in lotti per ricoprire il deficit dello Stato. Lo stesso anno vennero introdotti gli assegnati, una forma di carta
moneta garantita dai «domini nazionali», che i detentori potevano scambiare con i terreni confiscati. Utilizzati
inizialmente come buoni del Tesoro, essi ricevettero corso forzoso nell'aprile 1790 per divenire una vera moneta.
Furono emessi circa 400 milioni di assegnati e questo fu l'inizio di un periodo di forte inflazione. La nazionalizzazione
dei beni del clero costrinse l'Assemblea costituente ad interessarsi del finanziamento del clero: la Costituzione civile del
clero, adottata il 12 luglio 1790 e ratificata dal re il 26 dicembre 1790, trasformò i membri del clero in funzionari
salariati dallo Stato. I membri del clero secolare erano eletti e dovevano prestare un giuramento di fedeltà alla Nazione,
alla Legge ed al re. Seguendo una tradizione gallicana ben ancorata in una parte della borghesia e degli illuministi
favorevoli alla secolarizzazione della società, i deputati non domandarono al papa il suo giudizio sulle riforme del clero
cattolico. I primi chierici cominciarono a prestare giuramento senza attendere il giudizio del sovrano pontefice. Ma nel
marzo 1791, papa Pio VI condannò tutte queste riforme riguardanti la Chiesa di Francia. La Costituente divise la
popolazione in due campi antagonisti: circa il 45% degli ecclesiastici furono non giuranti o refrattari. Questo fu l'inizio
del dramma che si verificò tra il 1792 ed il 1793. La questione religiosa aggravò il malcontento di una parte dei francesi,
disillusi dalla Rivoluzione. Dal 1790 nel Sud della Francia scoppiarono delle discordie tra Protestanti e Cattolici. La
questione del giuramento degenerò in scontro violento nell'Ovest, dove le città sostenevano i preti che avevano giurato e
le campagne i refrattari.
Il re e la Rivoluzione
Il 14 luglio 1790, un anno dopo la presa della Bastiglia, sul Campo di Marte si celebrò la festa della Federazione. Il
marchese La Fayette assistette alla cerimonia affianco al re ed alla regina. Fu un momento di unione nazionale: il re
prestò giuramento alla Costituzione appena stabilita e fu applaudito dalla folla. Questo momento di comunione
nazionale fece credere agli osservatori dell'epoca che il re avesse accettato i cambiamenti seguiti alla Rivoluzione del
1789, ma in realtà non era così. Luigi XVI si destreggiò tra le diverse correnti per tentare di conservare la sua
autonomia e di riconquistare il potere che aveva perduto. Come sincero cattolico appoggiò il papa e i preti refrattari. Il
ritorno di Luigi XVI a Parigi dopo la fuga a VarennesIl fallimento del tentativo di fuga del re, avvenuto tra il 20 e il 21
giugno 1791, ebbe la conseguenza di svelare la sua ostilità al progetto del 1789. I patrioti parigini più radicali videro in
questo gesto la prova del tradimento del re e chiesero, in una petizione che vollero depositare sull'altare del Campo di
Marte, la decadenza del re. I deputati come Bailly e La Fayette, partigiani di una monarchia costituzionale misero in
piedi la tesi del rapimento del re. Essi vietarono la manifestazione e decretarono la legge marziale, ma il 17 luglio 1791
il popolo manifestò malgrado tutto. La Fayette ordinò allora alla Guardia nazionale di sparare sulla folla disarmata,
uccidendo principalmente delle donne e dei bambini. La sparatoria del Campo di Marte ebbe per conseguenza la rottura
tra i patrioti moderati e il popolo parigino i cui portavoce furono, tra gli altri, Georges Jacques Danton, Maximilien de
Robespierre e Jean-Paul Marat. Alcuni come Condorcet chiesero anche l'instaurazione della Repubblica. Per la
diffidenza del popolo, Bailly e La Fayette, seguiti dalla maggioranza dei deputati, uscirono dal club dei giacobini per
fondare il Club dei foglianti. Per essi la Rivoluzione era finita e conveniva consolidare il regime sostenendo la
monarchia costituzionale. Il re perse tutta la stima di una parte dell'opinione pubblica. Numerosi giornali rivoluzionari
lo ritraevano nelle caricature sotto la forma di un maiale e moltiplicavano le volgarità al suo incontro come a quello
della regina. I giornali realisti annunciarono la resistenza aperta. Vi fu un'accelerazione dell'emigrazione. I
controrivoluzionari e i giacobini costituirono delle reti di influenza in tutto il paese e tentarono di mobilitare l'opinione.
Luigi XVI accettò controvoglia la costituzione del settembre 1791. Il re conservava unicamente il potere esecutivo ma
poteva opporre il suo diritto di veto solo durante quattro anni (due legislature) alle leggi che non gradiva e controllare le
scelte dei ministri. Il potere legislativo era affidato ad un'unica assemblea di 745 deputati eletti a suffragio censitario a
due gradi, l'Assemblea legislativa. Su proposta di Robespierre, nessun costituente poteva presentarsi all'elezione della
nuova assemblea che si riunì a partire dal 1° ottobre 1791. L'Assemblea legislativa fu quindi un'assemblea di uomini
nuovi, inesperti, ricchi e piuttosto giovani, comprendente a destra 250 Foglianti che volevano difendere la monarchia
costituzionale, alla sua sinistra 136 membri del club dei Giacobini, e soprattutto dei girondini.
La marcia alla guerra
Gli emigrati, in gran parte raggruppati a Coblenza attorno al Conte di Artois, mantennero un'agitazione permanente alle
frontiere e fecero pressione sui sovrani stranieri, affinché intervenissero, tra questi ricordiamo soprattutto i realisti che
volevano il ritorno del re, e i foglianti. Per contenerli il re di Prussia e l'imperatore d'Austria fecero una dichiarazione
comune, la dichiarazione di Pillnitz dell'agosto 1791, in cui manifestarono le loro inquietudini. Questa dichiarazione
venne percepita dall'opinione rivoluzionaria come una minaccia. L'Assemblea legislativa alla fine del 1791 votò diversi
decreti che contribuirono a peggiorare la situazione. Il 9 novembre 1791 ordinò che gli emigrati ritornassero in Francia
entro due mesi, altrimenti le loro proprietà sarebbero state confiscate. Poi impose il giuramento civile ai preti refrattari
sotto la pena della privazione della pensione o anche della deportazione in caso di turbamenti all'ordine pubblico. Un
altro decreto ingiunse ai principi stranieri di cacciare gli emigrati dai loro Stati. Il re accettò di firmare l'ultimo decreto
perché rendeva possibile la guerra. La situazione internazionale era avvelenata dall'annessione alla Francia, su richiesta
degli abitanti, della contea Venaissin e dei possedimenti pontifici, e per l'affare dei principi possessori dell'Alsazia, dei
principi tedeschi che si consideravano lesi dall'abolizione dei diritti feudali nei loro feudi alsaziani. I foglianti e il re,
coscienti della disorganizzazione dell'armata, speravano in una sconfitta rapida per cacciare i rivoluzionari senza il
concorso degli emigrati. I Giacobini invece speravano di esportare la Rivoluzione in tutta l'Europa con la guerra.
Robespierre era uno dei pochi che si opponevano ad un conflitto.
La guerra modifica i rapporti di forza
Su proposta di Luigi XVI, il 20 aprile 1792 la Francia dichiarò la guerra al re di Ungheria e di Boemia, cioè il giovane
imperatore Francesco II, appena succeduto al padre Leopoldo II. I girondini parlarono allora di una guerra dei popoli
contro i re, di una crociata per la libertà. La Prussia si affiancò agli Austriaci qualche settimana più tardi. L'armata
francese, totalmente disorganizzata a causa dell'emigrazione di una parte degli ufficiali nobili, non aveva la capacità di
resistere alle pericolose armate prussiane, perciò le frontiere furono rapidamente minacciate. Tra i patrioti si sviluppò
l'idea di un complotto della nobiltà, della corte e dei preti refrattari per abbattere la Rivoluzione. L'Assemblea votò
allora tre decreti che permettevano la deportazione dei preti refrattari, lo scioglimento della guardia personale del re e la
costituzione di un campo di guardie nazionali federate per difendere Parigi. Luigi XVI oppose il suo veto ai decreti sui
refrattari e sui federali. Questa situazione provocò una nuova fiamma rivoluzionaria, che il 20 giugno vide il popolo
attaccare il Palazzo delle Tuileries, dove risiedeva il re. Ma per una volta il re riuscì a resistere. Accettò l'umiliazione di
portare il berretto frigio davanti ai sanculotti ma rifiutò di cedere.
Il rovesciamento della monarchia
Il 25 luglio, il comandante dell'armata prussiana, il duca di Brunswick, fece sapere al governo ed al popolo, con un
proclama fatto affiggere sui muri di Parigi, che la città avrebbe patito serie conseguenze se la vita del re fosse stata
nuovamente minacciata.[3] Quando il proclama di Brunswick venne conosciuto dai rivoluzionari parigini, questi
investirono l'Assemblea e chiesero la destituzione di Luigi XVI, ma l'Assemblea rifiutò. Nella notte tra il 9 ed il 10
agosto 1792 si formò una municipalità insurrezionale, condotta da Pétion e Danton. Al primo giorno, gli insorti si
presentarono davanti le Tuileries e finirono per investire e prendere il palazzo, difeso dalla guardia svizzera, che si fece
uccidere sulla piazza. Furono uccisi anche numerosi assedianti. Il re si rifugiò nella cinta dell'Assemblea legislativa, ma
questa si volse contro di lui, sospendendolo dalle sue funzioni. Poiché di fatto la costituzione del 1791 era ormai
superata, si procedette anche all'elezione di una Convenzione Nazionale, a suffragio universale a due gradi, per decidere
delle nuove istituzioni del paese. La sera del 10 agosto, durante una seduta di 9 ore, l'Assemblea legislativa designò per
acclamazione un Consiglio esecutivo provvisorio, composto da sei membri, comprendente Danton, ministro della
Giustizia, e Gaspard Monge, ministro della Marina. Le truppe nemiche marciarono su Parigi inesorabilmente, facendo
cadere una dopo l'altra tutte le fortezze. In questo contesto Danton dichiarò il 2 settembre 1792 : «Audacia, audacia,
sempre audacia e la Patria sarà salvata». A causa del panico e del rancore, il popolo ritenne responsabili della situazione
i nemici interni. Tra il 2 ed il 6 settembre 1792 massacrò i preti refrattari, i sospetti di attività controrivoluzionarie ed i
detenuti di diritto comune incarcerati nelle prigioni di Parigi. I massacri durarono diversi giorni senza che le autorità
amministrative osassero intervenire ed i deputati non li condannarono per diversi mesi. Questi massacri di settembre,
che colpirono l'opinione, segnarono una fase essenziale nella Rivoluzione.
Le forze in presenza della Convenzione
Le elezioni della Convenzione si svolsero nel mezzo dei massacri di settembre. Su 7 milioni di elettori, si stima che il
90% si siano astenuti. La scelta dei deputati venne fatta da una minoranza decisa. Come nel 1789, lo scrutinio a due
turni ebbe per effetto l'eliminazione della classe popolare dalla rappresentanza nazionale. Gli eletti furono quasi tutti
della borghesia. Un terzo venne dagli operatori nel settore della giustizia. Malgrado questa relativa omogeneità sociale,
si opposero due campi antagonisti. I brissotini o girondini non si fidarono del popolo parigino. I loro appoggi furono in
provincia e tra la ricca borghesia dei negozi e delle manifatture. Essi furono molto attaccati alle libertà individuali ed
economiche del 1789 e ripugnavano di prendere delle misure eccezionali per salvare la giovane repubblica alla quale
essi furono tuttavia attaccati. Furono diretti da Brissot, Vergniaud, Pétion e Rolland. I montagnardi sedevano sui banchi
più alti, da ciò il loro nome. Essi erano più sensibili alle difficoltà del popolo. Furono pronti ad allearsi al popolo, ai
sanculotti del comune di Parigi e a prendere delle misure eccezionali per salvare la repubblica. I loro capi furono, tra gli
altri, Robespierre, Danton, Marat, Saint-Just. Al centro sedeva una maggioranza di deputati, soprannominata la Pianura
o la Palude che sosteneva a turno i due estremi. Il 20 settembre, nella battaglia di Valmy, l'armata francese riportò una
vittoria insperata contro i prussiani. I prussiani e gli austriaci si ritirarono dalla Francia, più preoccupati dagli affari
polacchi. Il 6 novembre 1792 il generale Dumouriez riportò un'importante vittoria nella battaglia di Jemmapes. Le
truppe francesi occuparono i Paesi Bassi austriaci. Ad Est, le armate del generale Custine occuparono la riva sinistra del
Reno. Venne occupata anche il Ducato di Savoia, possesso della Casa Savoia. Ovunque i francesi propagarono i loro
ideali rivoluzionari ma nello stesso tempo enunciarono l'idea che il Reno era la frontiera naturale del Nord e dell'Est
della Francia. L'ultimo atto dell'Assemblea Legislativa fu laicizzare lo stato civile. Il 20 settembre 1792 decise che i
registri delle nascite e dei decessi da quel momento dovevano essere tenuti dai comuni. L'indomani la Convenzione si
riunì per la prima volta. Essa dispose provvisoriamente dei poteri legislativo ed esecutivo. Decise di abolire la
monarchia: il 22 settembre 1792 venne proclamata la Repubblica. Per la Rivoluzione fu l'inizio di una nuova era.
Il processo al re e le sue conseguenze
La Convenzione era inizialmente dominata dai girondini. Essi sedettero al consiglio esecutivo e provarono ad evitare il
processo del re temendo che questo potesse rianimare la controrivoluzione e rinforzare l'ostilità delle monarchie
europee. Ma la scoperta dell'"armadio di ferro" alle Tuileries il 30 novembre 1792 rese il processo inevitabile. I
documenti trovati in questa cassa segreta provavano senza possibili contestazioni il tradimento di Luigi XVI. Il
processo iniziò il 10 dicembre. Alla fine dei dibattiti, il re fu riconosciuto colpevole con la schiacciante maggioranza di
693 voti contro 28. Fu condannato a morte con una maggioranza più ridotta, 366 voti contro 334. Il rinvio e l'appello al
popolo, richiesti dai girondini, venne rifiutato. Il re Luigi XVI venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793 nella piazza della
Rivoluzione. La sua esecuzione provocò delle reazioni mitigate nella popolazione francese. I sovrani europei reagirono
formando la prima coalizione nel febbraio 1793. Allora il 24 febbraio i girondini decisero la leva di 300.000 uomini.
Questa leva doveva essere fatta tirando a sorte e ciò ricordava spiacevolmente l'Ancien Régime. L'annuncio di questa
leva provocò dei sollevamenti rurali in Alsazia, in Bretagna e nel Massiccio Centrale, sollevamenti subito repressi con
la forza. Inoltre la Convenzione votò una legge che realizzò una vera logica di terrore: tutti quelli che rifiutavano di
prendere le armi venivano giustiziati in 24 ore senza processo. A sud della Loira, la leva dei 300.000 permise
un'alleanza dei contadini che disapprovavano la Rivoluzione, del clero refrattario e dei nobili. Nel marzo 1793 cominciò
un'insurrezione in Vandea, chiamata dalla Convenzione "guerra della Vandea", che i montagnardi ed i sanculotti
utilizzavano per stigmatizzare la debolezza dei girondini e reclamare delle misure eccezionali, che questi ultimi
rifiutavano. I girondini furono obbligati ad accettare la creazione del Comitato di Salute Pubblica e del Tribunale
Rivoluzionario; il 2 giugno 1793 i girondini vennero messi fuori legge dai montagnardi di Robespierre e sterminati. Per
raggiungere il potere, i montagnardi si allearono con le fazioni più estremiste del popolo parigino. In provincia, invece,
si produsse il movimento inverso: a Marsiglia e Lione i sostenitori dei girondini cacciarono i sindaci montagnardi dal
potere.
Un governo straordinario: il Comitato di Salute Pubblica
Quando i montagnardi arrivarono al potere, la Repubblica conobbe dei pericoli estremi. L'insurrezione della Vandea,
cattolica e realista dopo essere stata ripresa in mano dai nobili, si estese nell'ovest. Saumur e Anger vennero prese nel
1793, ma Nantes resistette. Delle rivolte realiste si svilupparono in Lozère e nella valle del Rodano. I deputati girondini
che poterono scappare alla repressione parigina, chiamarono alla rivolta contro Parigi nei dipartimenti sostenuti dalle
autorità dipartimentali. Il 13 luglio, Jean-Paul Marat venne assassinato dalla federalista Charlotte Corday D'Armont. Le
frontiere furono invase dagli spagnoli a sud-ovest, dai piemontesi a sud-est, dai prussiani, dagli austriaci e dagli inglesi
a nord ed all'est. Per scongiurare questi pericoli e sotto la pressione dei sanculotti, i montagnardi presero delle misure
radicali. Nel luglio 1793 la Convenzione votò una costituzione molto democratica e decentralizzata, ratificata con un
referendum. La Costituzione dell'anno I cercò di stabilire una vera sovranità popolare grazie a delle frequenti elezioni a
suffragio universale, al mandato imperativo ed alla possibilità per i cittadini di intervenire durante il percorso
legislativo. Ma questa Costituzione non entrò mai in vigore: infatti, il 10 agosto 1793 la Convenzione decretò che
l'applicazione della Costituzione era sospesa fino alla pace. Saint-Just disse che: "Nelle circostanze in cui si trova la
Repubblica, la costituzione non può essere stabilita, si immolerebbe da sola. Essa diventerebbe la garanzia per gli
attentati contro la libertà, perché mancherebbe della volontà necessaria per reprimerli". Intanto, la Convenzione dovette
fronteggiare i sanculotti parigini più radicali, capeggiati dal giornalista Jacques-René Hébert, fondatore del giornale dei
rivoluzionari radicali "le père Duchesne", e dall'anziano sacerdote Jacques Roux, capo degli "arrabbiati". Il 4 ed il 5
settembre 1793, essi invasero la Convenzione ed ottennero la leva di un'armata rivoluzionaria incaricata di reprimere la
controrivoluzione. Venne costituito un governo d'eccezione, dominato dai montagnardi ed emanato dalla Convenzione.
Il decreto del 10 dicembre 1793 decise che: "il governo sarà rivoluzionario fino alla pace". La convenzione nazionale
assunse in principio tutti i poteri. Secondo la legge del 4 dicembre 1793, la Convenzione era l'"unico centro d'impulso
del Governo". Il principale organo del Governo era il Comitato di salute pubblica. Esso venne creato nell'aprile 1793 e
fu dominato da Danton fino alla sua eliminazione, avvenuta il 10 luglio, poi da Robespierre. Il Comitato era composto
da 12 membri rieletti tutti i mesi dalla Convenzione ed ognuno specializzato in un settore particolare, aveva l'iniziativa
delle leggi, il potere esecutivo e quello di nominare i funzionari. Centralizzava il potere in un periodo particolarmente
critico. I membri del Comitato di Sicurezza Generale erano anche membri della Convenzione. Questo comitato era
incaricato della polizia e della tenuta della lista dei sospetti. Una rivalità di competenze l'oppose al Comitato di salute
pubblica. Per applicare le misure adottate, la Convenzione inviò nei dipartimenti e all'esercito alcuni dei suoi membri: i
rappresentanti in missione. Essi avevano dei poteri molto estesi per contrastare i controrivoluzionari. Dinanzi al
pericolo, la Convenzione votò tutte le leggi che le venivano presentate dal Comitato di salute pubblica. La legge del 23
agosto 1793 sulla leva di massa permise di inviare sotto gli stendardi tutti i giovani celibi. Gli altri francesi dovevano
partecipare agli sforzi della guerra fornendo l'equipaggiamento militare, grattando i muri delle cantine per raccogliere il
salnitro indispensabile alla fabbricazione della polvere da sparo. Tutta l'economia francese fu riconvertita per la guerra.
In breve tempo venne costituita un'armata di un milione di combattenti. Il numero e l'ardore al combattimento rimpiazzò
l'esperienza di un'armata di mestiere.
La dittatura del Terrore - Le principali misure
Fino al 1794 la Francia venne governata in modo dittatoriale dal comitato di salute pubblica di Robespierre che
giustiziava senza processo gli oppositori. Egli aveva infatti fatto approvare la legge dei sospetti in base a cui la gente
accusata di tradimento veniva ghigliottinata senza processo. La lista dei sospetti era molto estesa: vi rientravano i nobili,
gli emigrati, i preti refrattari, i federalisti, gli speculatori e le loro famiglie. Essi dovevano essere imprigionati fino alla
pace. Le società popolari, controllate dai sanculotti, ricevettero dei poteri di sorveglianza e di polizia. Nel periodo della
dittatura di Robespierre vennero giustiziate migliaia di persone (17.000 solo a Parigi) a causa di questa legge e per
questo venne chiamato periodo del terrore. Durante questo periodo vennero giustiziati gli indulgenti e gli arrabbiati di
Danton e Marat; il 16 ottobre 1793 anche la regina Maria Antonietta fu ghigliottinata. Delle misure di
scristianizzazione, spontanee o organizzate dai rappresentanti in missione, si estendevano a tutta la Repubblica. I preti
refrattari furono uccisi. Anche quelli che avevano giurato la fedeltà furono costretti a lasciare lo stato ecclesiastico e a
sposarsi, le chiese furono chiuse e furono abbattute numerose statue in nome dell'uguaglianza. Il 5 ottobre 1793 la
Convenzione adottò il nuovo calendario rivoluzionario, il cui anno I iniziava il 22 settembre 1792, giorno della
proclamazione della Repubblica. I mesi erano di 30 giorni ciascuno, divisi in tre decadi. I sanculotti e gli hebertisti
svilupparono il culto dei martiri della Rivoluzione. Robespierre fu molto ostile a questa politica di scristianizzazione:
condannò l'ateismo e fece votare una legge che riconosceva l'immortalità dell'anima. Per calmare il malcontento della
popolazione cittadina toccata dalle difficoltà di approvvigionamento, dall'aumento dei prezzi delle derrate alimentari e
dalla svalutazione degli assegnati (la carta moneta emessa durante la Rivoluzione), il Comitato di salute pubblica mise
in piedi il Terrore economico: a partire dal 27 luglio la Convenzione votò la pena di morte contro gli accaparratori,
cioè contro coloro che immagazzinavano le derrate alimentari anziché venderle; in settembre la legge sul massimo dei
prezzi bloccò i prezzi al livello di quelli del 1790 aumentati del 30%; infine, venne instaurato il corso forzato
dell'assegnato. Queste misure non permisero di porre fine alle difficoltà di rifornimento dei viveri alle città ed
all'erosione del potere di acquisto dei salariati, pagati in assegnati. I risultati La politica volontarista impressa dal
Comitato di salute pubblica permise di salvare la Repubblica. A partire dalla fine del mese di settembre 1793, le prime
vittorie permisero di rinviare i membri della prima coalizione fuori delle frontiere. La rivolta federalista venne presto
ridotta all'inesistenza, salvo che a Tolone, dove i realisti presero il controllo della città e la consegnarono agli inglesi. In
Vandea, le truppe repubblicane inflissero una severa sconfitta all'armata cattolica e reale nella battaglia di Cholet. Una
parte dell'armata della Vandea risalì verso il nord per tentare di prendere il porto di Granville, nel Cotentin. Questa
spedizione, conosciuta come "passeggiata di Galerne", si concluse con un fallimento, ma testimoniò la forza e la
determinazione dei rivoltosi. Delle bande armate rurali, chiamate "chouans", continuarono a percorrere l'occidente della
Francia. La repressione contro la Vandea fu terribile. Tra dicembre 1793 e febbraio 1794, il rappresentante in missione
Jean-Baptiste Carrier fece giustiziare diverse migliaia di persone a Nantes. A Angers furono giustiziate circa 2.000
donne. Nelle campagne della Vandea, le colonne infernali comandate dal generale Louis Marie Turreau bruciarono i
villaggi e massacrarono la popolazione senza fare differenze tra la popolazione civile ed i rivoltosi. All'inizio dell'estate
1794 gli sforzi della guerra consentiti dalla nazione portarono i loro frutti: la vittoria di Fleurus del 26 giugno 1794
permise alle truppe francesi di riprendere il Belgio e nelle regioni occupate si iniziarono a requisire dei viveri che
venivano inviati in Francia.
La caduta di Robespierre e la fine del Terrore
A Parigi il Comitato di salute pubblica cercava di limitare l'influenza dei sanculotti sulla Convenzione. Alla fine del
mese di marzo 1794, riuscì ad eliminare la sinistra dei montagnardi e fece giustiziare i principali capi "arrabbiati":
Hébert, Jacques Roux e Varlier. Da aprile si incominciò ad eliminare l'ala destra dei montagnardi, diretta da Georges
Jacques Danton. Gli indulgenti, nome dato al gruppo di Danton, furono ghigliottinati dopo un processo irregolare in cui
Danton fu privato del diritto di difendersi personalmente. Fabre d'Eglantine, il creatore del calendario rivoluzionario e
Camille Desmoulins, amico di Robespierre, furono anch'essi ghigliottinati. "La Rivoluzione divora i suoi padri", fu
detto. Quando il Terrore ebbe termine nella provincia, si accentuò a Parigi dopo il voto delle leggi di Pratile. Il
Tribunale rivoluzionario poté giudicare solo crimini politici. La definizione di nemico della rivoluzione fu data a tutti
"quelli che cercano di annientare la libertà con la forza o con l'astuzia". Non ci furono più né testimoni, né avvocati.
Due sentenze furono possibili: la libertà o la morte per i colpevoli. La legge di Pratile fece nascere il Grande Terrore.
Nelle settimane seguenti più di 1400 persone furono ghigliottinate a Parigi. Il Terrore poteva reggersi solo sulla
necessità di difendere una Repubblica in crisi: venuta meno l'emergenza grazie alle vittorie interne ed esterne, essa
cominciava a perdere il sostegno popolare e la sua ragion d'essere. Perciò, per mantenere il massimo potere, i leader del
Terrore cominciarono a eliminare chiunque non fosse della loro schiera. Il risultato di questa nuova epurazione era
prevedibile: Robespierre, lottando contro le fazioni, si era fatto molti nemici, anche se era diventato l'uomo politico più
influente. Quando il 10 giugno 1794 presiedette la Festa dell'Essere supremo, i suoi avversari mormorarono che egli
volesse accaparrarsi il potere. Il suo temporaneo ritiro dalla scena politica permise la costituzione di un gruppo di
oppositori intorno al Comitato di Sicurezza Generale ed agli anziani rappresentanti in missione (sorta di commissari
politici) come Tallien o Fouché. Quando si decise infine a riapparire alla Convenzione, minacciò una nuova epurazione,
anche contro certi deputati che maldestramente non nominò, facendo serpeggiare il panico tra le fila dell'assemblea. Il
complotto si intrecciò con il sostegno di Marais. Il 9 termidoro, anno II (27 luglio 1794) Robespierre venne accusato
dall'Assemblea ed arrestato. Un'azione del comune di Parigi lo liberò contro la sua volontà e lo condusse all'Hôtel de
Ville. Ma i sanculotti, demoralizzati dopo l'eliminazione degli hebertisti e scontenti della stretta applicazione del
massimo dei salari, non si unirono agli amici di Robespierre. La Convenzione, che lo mise immediatamente fuorilegge,
inviò delle truppe che presero d'assalto l'edificio. Robespierre venne ghigliottinato l'indomani, il 28 luglio 1794, con i
suoi principali sostenitori. I membri della Convenzione termidoriana ricordarono i deputati girondini e posero fine al
Terrore. Il colpo di stato che pose fine al periodo del Terrore, che culminò con il ghigliottinamento di Robespierre il 28
luglio 1794, è noto anche come "Termidoro" o Reazione termidoriana. La nuova Costituzione dell'anno III fu votata
dalla Convenzione il 17 agosto 1795 e ratificata per plebiscito a settembre. Essa fu effettiva a partire al 26 settembre
dello stesso anno e fondò il nuovo regime del Direttorio.
Gli ultimi tentativi giacobini
Caduto Robespierre, il principale pericolo alla stabilità politica (ed alla stessa esistenza in vita dei deputati moderati) era
rappresentato dall'eventuale reazione montagnarda e giacobina[4], che si concretizzò nelle due grandi insurrezioni del
12 germinale e 1 pratile (1 aprile e 20 maggio 1795) alla cui repressione diedero un contributo decisivo i realisti e le
loro sezioni armate di Parigi. Dopodiché l'alleanza fra repubblicani e realisti si distese nel resto della Francia, con la
repressione impropriamente ricordata come Terrore bianco.
La costituzione dell'anno III
Il Direttorio fu il secondo tentativo di creare un regime stabile in quanto costituzionale. La pacificazione dell'ovest e la
fine della prima coalizione permisero di stabilire una nuova costituzione. Per la prima volta in Francia il potere
legislativo fu affidato ad un Parlamento bicamerale, composto da: un Consiglio dei Cinquecento formato da 500
membri, un Consiglio degli Anziani (250 membri). Il potere esecutivo venne affidato ad un Direttorio di 5 persone
nominate dal Consiglio degli Anziani su una lista fornita dal Consiglio dei Cinquecento. I ministri ed i cinque direttori
non erano responsabili davanti alle assemblee ma essi non potevano più scioglierle. Come nel 1791, non era prevista
alcuna procedura per risolvere i conflitti istituzionali.
Il tentativo realista del 13 vendemmiaio
La definitiva repressione dei montagnardi, aveva reso i termidoriani liberi dalla necessità di assicurarsi l'alleanza con i
realisti, dei quali temevano la grande forza elettorale (questi erano, sicuramente, maggioranza nel Paese, ancorché non
nell'esercito ed alla Convenzione). Ciò, nell'agosto 1795, indusse la maggioranza termidoriana della Convenzione
all'approvazione del Decreto dei due terzi: i due terzi degli eletti ai nuovi consigli avrebbero dovuto essere attribuiti a
membri della Convenzione. In tal modo, di fatto si negava ai realisti la possibilità di assicurarsi democraticamente la
maggioranza parlamentare nelle elezioni generali programmate per il 12 ottobre. Era una manovra probabilmente
indispensabile, in quanto molte regioni del Paese (in particolare l'Ovest, la valle del Rodano e l'Est del Massiccio
Centrale) elessero deputati realisti. Il partito monarchico, così rinforzato, reagì con la fallimentare insurrezione del 13
vendemmiaio (5 ottobre 1795), segnata dal grande massacro, nel centro di Parigi, delle milizie legittimiste ribelli,
operato dall'esercito fedele alla convenzione termidoriana. La conseguente repressione anti-monarchica fu, tuttavia,
relativamente blanda.
La ripresa realista ed il colpo di stato del 18 fruttidoro
Durante tutta la durata del Direttorio, l'instabilità politica fu incessante. Le "reti di corrispondenza" realiste, appoggiate
ai deputati realisti e moderati del Club di Clichy ed in parte coordinate con i due fratelli del sovrano decapitato, Luigi e
Carlo (e con le potenze nemiche), svolgevano un'efficace azione di propaganda. Tanto efficace da consentire loro la
vittoria alle elezioni del marzo-aprile 1797, per il rinnovo di un terzo dei seggi ai due consigli. La nuova maggioranza
doveva affrontare l'opposizione del Direttorio, ove solo due dei cinque 'direttori' propendevano dalla loro parte. I
restanti tre, Barras in testa, reagirono assicurandosi l'appoggio dell'esercito ed organizzando, nel settembre 1797, il
colpo di stato del 18 fruttidoro, che portò alla cacciata di due dei cinque direttori (de Barthélemy e Carnot) ed alla
destituzione di 177 deputati, molti dei quali condannati alla deportazione in Guyana.
Gli ultimi anni del direttorio
Le successive elezioni del 1798 sembrarono dare il favore ai Giacobini. I consigli si concessero allora il diritto di
designare i deputati nella metà delle circoscrizioni. I Termidoriani si mantennero al potere, ma furono totalmente
screditati. La situazione economica contribuì anche a distogliere i francesi dal regime. Le imposte non bastavano più.
L'assegnato, che aveva perso tutto il suo valore, fu sostituito da un'altra carta moneta, il mandato territoriale, che subì in
un anno la stessa sorte dell'assegnato. A partire dal 1797, lo Stato chiese ai contribuenti di pagare le imposte in denaro
contante, ma con la crisi finanziaria la moneta metallica si era rarefatta. Dopo gli anni dell'inflazione legata
all'assegnato, la Francia conobbe un periodo di abbassamento dei prezzi che toccò soprattutto il mondo rurale. Incapace
a far fronte all'enorme debito accumulato dalla monarchia assoluta e in otto anni di rivoluzione, le assemblee si
rassegnarono alla bancarotta dei "due terzi": la Francia rinunciò a pagare i due terzi del suo debito pubblico ma
consolidò l'ultimo terzo iscrivendolo nel gran libro del debito. Per sembrare credibile agli occhi dei creditori, nel 1798
venne creata una nuova imposta sulle porte e sulle finestre. I gendarmi furono precettati per coprire l'imposta.
L'avvento di Napoleone e la fine della Rivoluzione
Grazie agli sforzi del governo di salute pubblica, le armate francesi erano passate all'attacco. Nella primavera 1796 una
grande offensiva attraversò la Germania per costringere l'Austria alla pace. Ma fu l'armata d'Italia, comandata dal
giovane generale Napoleone Bonaparte, che creò la sorpresa aggiungendo sempre nuove vittorie e forzando l'Austria a
firmare la pace col Trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797. Tra il 1797 ed il 1799 quasi tutta la penisola italiana
fu trasformata in repubbliche sorelle con dei regimi e delle istituzioni ricalcate su quelle francesi. Se le vittorie
alleviavano le finanze del Direttorio, esse resero il potere sempre più dipendente dall'armata e così Bonaparte divenne
l'arbitro del dissenso politico interno. La spedizione in Egitto aveva l'obiettivo di colpire la via delle Indie al Regno
Unito, ma i direttori furono contenti di togliere il loro sostegno a Napoleone, che non nascondeva il suo appetito di
potere. La moltiplicazione delle repubbliche sorelle inquietò le grandi potenze, Russia e Regno Unito in testa. Esse
temevano il contagio rivoluzionario e una troppo forte dominazione della Francia sull'Europa. Questi due Stati furono
all'origine della seconda coalizione del 1798. Le offensive inglesi, russe ed austriache furono respinte dalle armate
francesi dirette da Brune e Masséna, ma l'Italia fu in gran parte persa e i risultati della campagna di Bonaparte resi vani.
Era ormai chiaro che il popolo francese cercava un nuovo uomo forte per difendere le sorti della Repubblica, poiché il
Direttorio era inesorabilmente corrotto e cominciava a tramare con Luigi XVIII per restaurare il trono dei Borbone.
Allarmato da queste notizie e conscio che la sua ora era giunta, Napoleone tornò dall'Egitto e assunse il comando del
complotto che mirava a rovesciare il Direttorio, un complotto tessuto tra gli altri da Sieyès e dal fratello di Napoleone,
Luciano Bonaparte, presidente dell'Assemblea dei Cinquecento. Il 9 novembre 1799 il colpo di Stato detto "del 18
Brumaio" rovesciò il Direttorio e instaurò un triumvirato retto dai consoli Bonaparte, Sieyès e Ducos. Napoleone
proclamò in quella sede l'atto di chiusura della Rivoluzione: «Citoyens, la révolution est fixée aux principes qui l'ont
commencée, elle est finie» (Cittadini, la rivoluzione è fissata ai principi che l'hanno avviata, essa è conclusa). Fu messo
in piedi il Consolato: un regime autoritario diretto da tre consoli, di cui solo il primo deteneva realmente il potere. La
Francia cominciò un nuovo periodo della sua storia apprestandosi a consegnare il proprio destino ad un imperatore.
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