Conservatorio di Musica “Nino Rota”
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Tecnologica
Alta Formazione Artistica e Musicale
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Monopoli (Bari) Italia
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Sito Web: www.conservatoriodimonopoli.org
L’Orfeo di Claudio Monteverdi
Cattedra di Pedagogia musicale
DIPLOMA DI DIDATTICA DELLA MUSICA
Relatrice: prof.ssa Grazia Sebastiani
Gruppo di studio:
Francesco Coppola
Luigi Loré
Giandomenico Lospoto
Introduzione
La nostra società ormai é immersa nel caos, bensì lontana dall’ascolto di determinate sonorità,
anche gli strumenti musicali si sono evoluti e oggi risulta sempre più difficile pensare, interpretare e
riprodurre i suoni di un’epoca passata. Al fine di divulgare un’opera importantissima di Claudio
Monteverdi (Cremona 1567 – Venezia 1643) si é pensato di avviare con una classe Scuola Secondaria
Superiore di Primo grado un percorso che valorizzi il nome di questo musicista, nonché valorizzare i
luoghi in cui é vissuto e operato, con particolare interesse ad un’opera nota del tale.
Il percorso verte sulla conoscenza e la valorizzazione dell’Orfeo ed Euridice attraverso un percorso
iconografico, inoltre l’attenzione sarà rivolta ad offrire occasioni d’ascolto, infine si favorirà l’esperienza
diretta di far musica insieme.
Il progetto verte alla scoperta e conoscenza attraverso la ricerca di materiali sull’autore e sulle
funzioni sociali dell’epoca, nonché sulla visione dei frontespizi delle prime edizioni a stampa dell’Orfeo e
sull’esecuzione di trascrizioni di melodie per diamonica o flauto tratte dall’opera in argomento, si
valorizzerà la performance con lo strumentario Orff dei brani proposti agli allievi con una lezione
concerto finale ove protagonisti esecutori saranno gli allievi.
Nel mese di settembre 2007, il Ministero della Pubblica Istruzione emana le nuove Indicazioni
Nazionali per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, pertanto alla scuola
spetta il compito di «fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e
aperta»1, infatti verte a «formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa
affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e
futuri. Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti
invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate».2
Diversamente dai programmi degli anni settanta/ottanta che riflettevano i contenuti, ovvero
cosa insegnare, oggi, sì l’attenzione verte su a chi insegnare, ossia sulla centralità della persona, «lo
studente é posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali,
corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi.
In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici
non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande
esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato».3
La centralità della persona può essere anche vista nella sua diversità delle sue radici culturali, la
via che bisogna tener presente é proprio quella delle nostre radici culturali, «non si possono realizzare
appieno le possibilità del presente senza una profonda memoria e condivisione delle radici storiche.
A tal fine sarà indispensabile una piena valorizzazione dei beni culturali presenti sul territorio
nazionale, proprio per arricchire l’esperienza quotidiana dello studente con culture materiali, espressioni
artistiche, idee, valori che sono il lascito vitale di altri tempi e di altri luoghi».4
Il progetto come sopra descritto in parte volge a promuovere esperienze d'ascolto e pratica
strumentale nella Scuola Secondaria di Primo grado a partire dalla conoscenza di un autore noto ed alla
valorizzazione dei luoghi e figure dell’epoca legate al compositore in argomento, con eventuali
collegamenti interdisciplinari (artistico, letterario, storico).
Il riferimento preciso, va all’apprendimento della musica, la quale consta di pratiche e
conoscenze articolato su due livelli essenziali, ovvero sul livello di produzione mediante un’azione
diretta esplorativa, compositiva ed esecutiva con materiali sonori verso la musica d’insieme e sul livello
Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, Roma,
Settembre 2007, p. 15.
2
Ivi, p. 16.
3
Ibidem, p.17.
4
Ivi, p. 20.
1
2
di «fruizione consapevole, che implica la costruzione e l’elaborazione di significati personali, sociali e
culturali relativamente a fatti, eventi, opere del presente e del passato».5
La pratica degli strumenti musicali, l’ascolto e la riflessione critica favoriscono lo sviluppo della
musicalità che é in ciascuno, promuovono l’integrazione delle componenti percettivo – motorie,
cognitive e affettivo – sociali della personalità, in particolare attraverso l’esperienza del far musica
insieme, ognuno apprenderà a leggere e scrivere musica.
L’apprendimento della musica esplica specifiche funzioni formative, mediante la funzione
cognitivo – culturale, ove gli alunni partecipano al patrimonio di culture musicali, mediante la funzione
linguistico – comunicativa, ove attraverso strumenti e tecniche specifiche gli alunni sono educati
all’espressione e alla comunicazione, mediante la funzione emotivo – affettiva, identitaria e culturale,
relazionale basata sull’instaurazione interpersonali di gruppo fondate sull’ascolto condiviso e mediante
la funzione critico – estetica basata sull’ascolto critico, sull’interpretazione dei messaggi sonori e delle
opere d’arte. La musica mezzo di comunicazione ed espressione, interagisce con le altre arti in modo da
dare luogo ai vari ambiti del sapere.6
Sempre in base ai nuovi programmi delle Indicazioni Nazionali son stati presi in esame alcuni
traguardi e obiettivi che potessero sposarsi perfettamente con il progetto relativo all’importante opera
di Claudio Monteverdi. Un’ipotesi basata sui seguenti traguardi per lo sviluppo delle competenze al
termine della scuola secondaria di primo grado é la seguente: « 1) L’alunno partecipa in modo attivo alla
realizzazione di esperienze musicali attraverso l’esecuzione e l’interpretazione di brani strumentali e
vocali appartenenti a generi e culture differenti. Fa uso di diversi sistemi di notazione funzionali alla
lettura, all’apprendimento e alla riproduzione di brani musicali. É in grado di ideare e realizzare, anche
attraverso diverse modalità, partecipando a processi d'elaborazione collettiva, nel confronto critico con
modelli appartenenti al patrimonio musicale, utilizzando forme di notazione. 2) Sa dare significato alle
proprie esperienze musicali, dimostrando la propria capacità di comprensione d'eventi, materiali, opere
musicali riconoscendone i significati, anche in relazione al contesto storico – culturale. 3) Valuta in
modo funzionale ed estetico ciò di cui fruisce, riesce a raccordare la propria esperienza alle tradizione
storiche. 4) Orienta lo sviluppo delle proprie competenze musicali, nell’ottica della costruzione di
un’identità musicale che muova dalla consapevolezza delle proprie attitudini e capacità, dalla
conoscenza delle opportunità musicali offerte dalla scuola e dalla funzione dei contesti socio - culturali
presenti sul territorio7.
Inoltre alcuni obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola secondaria di
primo grado possono essere i seguenti: 1) Eseguire in modo espressivo, collettivamente, brani
vocali/strumentali di diversi generi e stili. 2) Riconoscere e classificare anche stilisticamente i più
importanti elementi costitutivi del linguaggio musicale. 3) Conoscere e interpretare in modo critico
opere d’arte musicali e progettare/realizzare eventi sonori che integrino altre forme artistiche, quali
teatro. 4) Decodificare e utilizzare la notazione tradizionale e altri sistemi di scrittura.
Come sopra già accennato, il progetto verte alla conoscenza ed alla riscoperta di tesori musicali
ed antiche sonorità di un’epoca che ha dato luogo ai giganti del panorama musicale italiano quale
Claudio Monteverdi ed alle opere monumentali più espressive e complesse.
Ibidem, p. 64.
Ivi, p. 65.
7
Ivi, p. 66.
5
6
3
… UN PO’ DI STORIA…
La nascita del nuovo stile
I centocinquant’anni circa che vanno dalla nascita dell’opera in musica alla morte di Johann
Sebastian Bach costituiscono la cosiddetta epoca della musica barocca: un periodo di nuovi generi
musicali e splendidi artisti.
Come nel caso del rinascimento, sono ancora una volta le arti figurative e plastiche a fornire la
categoria storiografica da estendere, circa arbitrariamente, alle opere letterarie e musicali del XVII e
della prima metà del XVIII secolo.
Il termine “barocco” di origine medievale viene infatti ripreso dagli storici dell’arte
ottocenteschi, con palese accezione negativa, per indicare quella che ai loro occhi appare come una
“degenerazione” dell’euritmia e dell’equilibrio rinascimentali, come tragica perdita della purezza
originaria di un’epoca irripetibile, un fenomeno riscontrabile a diversi livelli già nella seconda metà del
Cinquecento e a causa del quale il secolo successivo sarà a lungo considerato come un’epoca buia, di
decadenza non solo politico – sociale, ma anche culturale e spirituale. Al pari di tutte le semplificazioni,
però, il termine “barocco” applicato alla musica può generare pericolosi fraintendimenti: se funziona
come indicazione temporale e come antitetico di “rinascimentale”, se con esso si può etichettare una
materia (la musica barocca) dai caratteri chiaramente definiti per quanto estremamente vari e complessi,
il suo impiego come categoria estetica negativa non é in nessun caso accettabile. Così, nella nostra
ricognizione, useremo questo termine unicamente per indicare per indicare, nel suo complesso, il
periodo che va grosso modo dal 1580 al 1750, un’epoca di radicale cambiamento linguistico per tutte le
arti, di rigoglio straordinario e, nel caso particolare della musica, di assoluto splendore8.
Occupandoci delle caratteristiche del Barocco musicale, é necessario innanzitutto sottolineare
un aspetto che sarà tipicamente distintivo dell’intera epoca: la cosiddetta bipartizione degli stili. Per la
prima volta nella storia, infatti, alla nascita di un nuovo stile non corrisponde l’abbandono del vecchio,
ma entrambi entrano a far parte dell’orizzonte entro cui si muove il moderno compositore: lo stile
antico, che é rigorosamente codificato e continua a essere il linguaggio principale della musica sacra; e il
nuovo stile, che prende il sopravvento e dilaga nella musica teatrale e in quella da camera, insinuandosi
però anche nella musica da chiesa. Con il delinearsi delle nuove forme del Barocco i musicisti
acquisiscono anche una nuova consapevolezza stilistica, che li porterà a misurarsi con il problema
ancora oggi attuale della scelta tra i diversi linguaggi musicali storicamente determinati9.
8
9
Bruno Grandolfi, Invito alla classica, vol. 1, Novara, De Agostini, 2004, p. 41.
Ibidem, p. 42.
4
Claudio Monteverdi
L’altra caratteristica del Barocco, complementare alla reazione anticontrappuntistica, é l’avvento
di un diverso, raffinatissimo modo di cantare, con il quale s'inaugura davvero una nuova epoca
musicale. Nella prefazione alle Nuove musiche per voce e basso continuo pubblicate a Firenze nel
1602, il cantante compositore Giulio Caccini (1551 – 1618) illustra le peculiarità dello stile di canto
denominato recitar cantando, fondato sulla flessibilità agogica invece che sull’uso delle coloriture e tutto
teso alla mobilissima espressione degli affetti, che in questi stessi anni altri artisti diffondono con
enorme successo in tutta Italia. La figura centrale del panorama musicale del primo Seicento é però quel
Claudio Monteverdi di cui ci siamo già occupati a proposito del madrigale cinquecentesco. É contro di
lui che si scaglia, nel 1600, il teorico bolognese Giovanni Maria Artusi con il libello dedicato alle
Imperfettioni della moderna musica, convinto a ragione di colpire il vero caposcuola del nuovo stile.
Egli lo accusa di eccessiva libertà ritmica, di non rispettare le buone regole del contrappunto, di fare uso
di intervalli melodici inconsueti e di dissonanze assolute e scoperte, portando esempi tratti dal Quarto e
dal Quinto libro dei madrigali monteverdiani, che in questi anni circolano ancora manoscritti. Claudio
Monteverdi risponde nel celebre Avvertimento accluso alla prima edizione del Quinto libro dei
madrigali (1605), in cui sostiene di non aver agito a caso né tantomeno per ignoranza, bensì nell’ambito
di una seconda pratica diversa dalla prima: in quest’ultima, esemplificata nelle opere dei grandi maestri
fiamminghi del Rinascimento e ancora teorizzata dal grande Gioseffo Zarlino (1517 – 1590), la musica
non é comandata ma comandante, mentre nella seconda pratica essa diventa serva dell’oratione. Ciò
significa che nel nuovo stile gli artifici, le forme e le tecniche musicali sono assolutamente subordinati
all’espressione degli affetti contenuti nel testo poetico o suggeriti dalla situazione drammatica. Nei
successivi quarant’anni, fino alla morte, Claudio Monteverdi esplora tutte le possibilità del nuovo stile
nel campo del madrigale (gli Scherzi musicali, 1607; il Settimo e l’Ottavo libro, 1619 – 1638), della
musica sacra (il Vespro della Beata Vergine, 1610), della musica rappresentativa e della nascente opera
lirica, mettendo a punto un linguaggio musicale caratterizzato da una gran logica interna, dalla capacità
di articolarsi in forme ampie e dall’ideazione di originali soluzioni espressive (giustamente famosa, ad
esempio, é l’invenzione dello stile strumentale concitato). Grazie a Claudio Monteverdi, il linguaggio
musicale raggiunge una ricchezza di mezzi espressivi e stilistici mai toccata in precedenza: con questi ha
dunque inizio l’eccitante avventura della musica barocca10.
Da Cremona
10
Ibidem, pp. 43 – 44.
5
a Venezia,
passando per Mantova:
é la pianura padana
a far cornice alla carriera di Claudio Monteverdi, uno dei sommi geni della musica di tutti i tempi.
Progettare l’avvenire migliore per i propri figli é, da sempre, una delle maggiori preoccupazioni
dei genitori, dalla quale non é indenne neppure Baldassarre Monteverdi, medico e farmacista
cremonese, che vivendo nella pianura padana, nel secondo Cinquecento, ha tutte le ragioni per avviare
precocemente il primogenito Claudio alla professione musicale. In questi tempi di grande floridezza
economica, infatti, le splendide corti signorili e tutte le famiglie aristocratiche delle città italiane sono
continuamente alla ricerca di cantori, suonatori, compositori e maestri, e gli editori quasi non riescono a
soddisfare tutta la fame di grande musica di un mercato in costante espansione. Così il piccolo, che
6
manifesta un’intelligenza acutissima e una spiccata predisposizione per l’arte dei suoni, é affidato a
Marc’Antonio Ingegneri, musicista assai noto e stimato, praefectus e maestro di cappella del Duomo di
Cremona, che si rivela pedagogo e didatta davvero di prim’ordine. Nel 1582, all’età di quindici anni,
Claudio non solo é ormai perfettamente padrone della tecnica violinistica, ma anche i primi frutti del
suo apprendistato compositivo ricevono in quell’anno l’onore della pubblicazione da parte dello
stampatore veneziano Angelo Gardano (si tratta delle Sacrae cantiuncolae a tre voci).
Comincia allora per il giovanissimo musicista la ricerca di un posto di lavoro, e dopo alcuni
tentativi andati a vuoto presso il senato milanese e quel veneziano, sul finire del 1590, Claudio viene
assunto in qualità di violinista alla magnifica corte dei Gonzaga di Mantova,
dove operano in qualità di maestri di cappella giganti del calibro di Jacques de Wert e Giangiacomo
Gastoldi. A Mantova Claudio non tarda a mettersi in luce sia il ruolo di strumentista cantore sia,
soprattutto, come compositore. Nel 1582 egli dedica al duca Vincenzo
una raccolta madrigalistico (il Terzo Libro dei madrigali a cinque voci) e poco tempo dopo lo stesso
duca pone Claudio Monteverdi a capo della ristretta cappella di quattro cantori che lo accompagna in
Ungheria,
dove il Gonzaga partecipa a una spedizione contro i turchi promossa dall’imperatore. Nel 1596 il
musicista segue il suo signore nelle Fiandre,
7
dove le sue composizioni suscitano un enorme interesse e alcune di esse vengono incluse in
un’antologia pubblicata a Norimberga.
L’ascesa di Claudio Monteverdi ai vertici della musica del Ducato culmina nel 1601 con la
nomina a Maestro della musica del Serenissimo duca di Mantova
e il successivo conferimento della cittadinanza mantovana. Da questo momento Claudio Monteverdi
deve sovrintendere a tutta la frenetica attività musicale dei Gonzaga, prestare la sua opera ai vari
notabili di corte, occupandosi del servizio liturgico della Basilica di Santa Barbara,
8
comporre intermezzi, tornei e ogni tipo di intrattenimento. Si cimenta anche (con il famosissimo Orfeo
del 1607)
nella novità fiorentina, ossia quel genere della favola in musica che tanto piace al duca e alla sua corte.
Ma dopo l’ennesima faticaccia i sontuosi festeggiamenti per il matrimonio di Francesco Gonzaga con
Margherita di Savoia, per i quali deve scrivere in poche settimane e allestire due tragedie in musica, e un
prologo a una commedia di Giovan Battista Guarini Claudio Monteverdi comincia a prendere in seria
considerazione l’idea di lasciare il servizio a corte: l’impegno é gravoso, le richieste troppo assillanti,
spesso il pagamento dello stipendio deve essere sollecitato, e oltre a tutto il duca non mostra di essere
particolarmente generoso nei confronti di un musicista la cui fama é ormai di livello europeo. Pertanto,
nel 1610, Claudio progetta e realizza un lavoro di ampio respiro una dottissima Messa a sei voci in stile
fiammingo, accoppiata a un lussureggiante e moderno Vespro della Beata Vergine che dedica al papa
Paolo V, nella speranza di essere assunto a Roma.
9
Ma invano. Invece due anni dopo, alla morte del duca Vincenzo, é proprio lui a venir licenziato dal
nuovo signore di Mantova.
Un personaggio come Claudio Monteverdi non sarebbe certo rimasto disoccupato, ma la morte
di Giulio Cesare Martinengo, maestro di cappella in San Marco a Venezia, giunge proprio nel momento
più opportuno: così, dopo aver sostenuto una prova d’esame, il 19 agosto 1613 il Nostro entra al
servizio della Serenissima per ricoprire un ufficio importante già occupato nel recente passato da
Adriano Willaert,
Cipriano De Rore,
Gioseffo Zarlino.
Da questo momento la sua vita cambia certamente in meglio: in effetti, l’essere funzionario di
un apparato statale, con obblighi e diritti sanciti dalla legge, é ben diverso dal dover dipendere dai
capricci e dalla benevolenza di un principe come a Mantova. Nei trent’anni che trascorrerà a Venezia
Claudio Monteverdi dovrà, così, sovrintendere a tutte le attività della prestigiosa cappella marciana,
occupandosi anche delle feste civili della Repubblica (come lo sposalizio del Mare, la commemorazione
10
della battaglia di Lepanto, e simili). Tuttavia, gli resterà anche il tempo per soddisfare le richieste dei più
svariati committenti, siano essi principi europei, signori italiani (compreso Francesco Gonzaga che,
pentitosi, invano tenterà di riaverlo alle sue dipendenze) o i nobili veneziani che proprio in questi anni
cruciali danno inizio alla storia del teatro musicale imprenditoriale, con spettacoli a pagamento. Dopo
aver suggellato l’epoca del madrigale, rinnovato la sacra, approfondito le straordinarie potenzialità del
recitar cantando fiorentino e inventato un nuovo stile strumentale con il commovente Combattimento
di Tancredi e Clorinda, l’anziano Claudio Monteverdi riesce ancora a mettere il sigillo delle sue arti
inconfondibi sul nascente melodramma, lasciando alcune pietre miliari come Il ritorno di Ulisse in
patria e L’incoronazione di Poppea. Morirà a Venezia, il 29 novembre 1643, e verrà sepolto con i
massimi onori nella cappella dei Lombardi di Santa Maria dei Frari11.
11
Ibidem, pp.113 – 116.
11
Una curiosità: chi erano i Gonzaga?
Tra la fine del XVI secolo e i primi decenni del XVII la signoria mantovana, ammirata in tutta
Europa, vive il suo momento di massimo splendore. Come abbiamo visto, le vicende biografiche e
artistiche di Claudio Monteverdi sono strettamente intrecciate con quelle dei duchi di Mantova, I
Gonzaga, che proprio sullo scorcio del secolo decimosesto, quasi presagendo il prossimo, repentino
tramonto, toccano l’apice della loro parabola storica. Le cui radici, peraltro sono relativamente recenti: é
solo nel 1328, infatti, che Luigi Gonzaga, alla testa di una congiura di corte, si sbarazza del suo padrone,
il feroce vicario imperiale Rinaldo Bonaccolsi,
e viene eletto a furor di popolo signore di Mantova. Nel volgere di pochi decenni le ricchezze e il
potere dei Gonzaga aumentano enormemente, e già alla seconda generazione essi passano dalla signoria
al marchesato e quindi al ducato, nel 1530, quando Federico II
viene direttamente investito di tale titolo dall’imperatore Carlo V (quello su cui domini non tramontava
mai il sole).
12
L’ascesa della famiglia Gonzaga nel consesso dell’altra aristocrazia europea é rapidissima, e si
spiega sia con la grande abilità diplomatica, sia con una studiatissima politica clientelare e matrimoniale:
tale strategia consente ai duchi di Mantova di legarsi alle principali dinastie italiane (gli Este, i Malatesta,
i Visconti, I Medici) e addirittura alle stirpi imperiali (Ludovico II si unisce a una Hohenzollern;
Federico II sposa Margherita Paleologo, discendente degli imperatori di Bisanzio, che gli porta in dote il
Monferrato; Francesco III, Guglielmo e Carlo II avranno come mogli principesse asburgiche).
L’assidua frequentazione della corte imperiale e delle maggiori personalità politiche del tempo
spinge naturalmente i Gonzaga a dotarsi di abitazioni e palazzi particolarmente sfarzosi. Già nella prima
metà del Quattrocento l’originaria residenza dei Bonacolsi é ampliata con l’aggiunta di diversi corpi, tra
cui il palazzetto con il celeberrimo ciclo cavalleresco dipinto dal Pisanello, mentre tra il 1465 e il 1474
Andrea mantenga affresca la Camera degli Sposi nella torre nord – est;
successivi interventi voluti da Federico II (l’Appartamento di Troia) e dal figlio Guglielmo
(l’Appartamento Verde) trasformato definitivamente il Palazzo Ducale mantovano in una delle più belle
residenze signorili d’Europa.
Destinato, se possibile, ad una fama ancor maggiore é il Palazzo Tè,
straordinario ibrido tra la villa di campagna, aristocratica garconnière ed edificio di rappresentanza, la
cui costruzione su un’isoletta alle porte della città, dove sorgevano le vecchie scuderie, nel 1526 viene
affidata da Federico II a Giulio Pippi in arte Giulio Romano pittore e architetto allievo di Raffaello.
Questi in soli quattro anni consegna l’opera mirabilmente realizzata, giusto in tempo per la visita di
Carlo V appena incoronato imperatore a Bologna: e con quale crescente meraviglia l’augusto sovrano
avrà percorso la Sala del Sole, la Sala Cavalli
13
con gli affreschi in scala naturale dei destrieri prediletti dei Gonzaga, la Sala di Amore e Psiche
con i suoi miti classici, allusivi alle piacevolezze della vita di corte, e poi la Sala dei Venti,
costellata di segni zodiacali, e la Sala dei Giganti,
con l’allegoria dello stesso Carlo imperatore nei panni di Giove, per soffermarsi infine nel magnifico
parco dove, accanto all’elegante esedra, sorge l’Appartamento della Grotta, calco di una piccola villa
romana!12
È proprio la sfrenata passione per l’arte a rendere davvero unici i Gonzaga nel panorama
italiano del Cinquecento. Le collezioni di gioielli, di quadri,
12
Ibidem pp. 115 – 166.
14
di sculture antiche,
di stoffe e arredi, di cristalli e oggetti preziosi, di armature e libri rari,
iniziate da Francesco II
e da sua moglie Isabella D’Este,
15
diventano ben presto il modello che ogni corte vuole imitare.
Sul finire del secolo, poi Vincenzo I e la moglie Eleonora de’ Medici porteranno questa passione
di famiglia a livelli di vera e propria bulimia collezionistica psicopatologica. Disposto a dissanguare le
casse dello stato per inseguire ogni suo capriccio, il duca sguinzaglia i suoi agenti per comprare tutto ciò
che il mercato dell’arte é in grado di offrire, ed egli stesso é continuamente in caccia di capolavori per
tutta l’Europa, mostrando un fiuto eccezionale anche come committente e mecenate (a lui si deve, tra
l’altro, l’ingaggio come ritrattista di corte di un giovane pittore fiammingo, Pietre Paul Rubens).
Non sorprende, quindi, che dalle mani del padre Vincenzo, nel 1612, Ferdinando Gonzaga
riceva in eredità un ducato alle soglie della bancarotta: egli si vede pertanto costretto a un
ridimensionamento delle spese (tra cui rientra, forse, anche il licenziamento di Claudio Monteverdi), e
su questa linea d'obbligata austerità si pone anche l’ultimo duca Gonzaga, quel Vincenzo II che nel
1627, per dare ossigeno alle casse dello stato, vende una parte della favolosa pinacoteca di famiglia al re
d’Inghilterra Carlo I,
comprendente anche alcuni capolavori di Mantenga, Leonardo, Correggio, Tiziano. Ma é solo un
palliativo: con l’estinzione della linea primogenita e il passaggio del ducato alla linea cadetta dei
Gonzaga – Nevers, e dopo il brutale saccheggio di Mantova da parte dei lanzichenerecchi nel 1630, l’età
16
d’oro dei Gonzaga é ormai definitivamente conclusa. Si spengono così le luci su una città e su una
dinastia che per tre secoli hanno recitato un ruolo da grandi protagonisti sullo scacchiere della politica e
della cultura italiana ed europea.13
13
Ibidem pp. 118 – 119.
17
Chi é Orfeo?
Orfeo é una figura della religione greca. Sul suo mito si basa la religione orfica.
Il potere della parola, capace di indurre l’uomo ad azioni gravide di conseguenze, ha condotto
all’elaborazione di un mito attorno alla figura storica di Orfeo: un prodigioso cantore, semidivino, in
grado di smuovere col proprio canto la natura; una figura complessa e poliedrica in quanto archetipo
dell’artista, ma anche fondatore di una religione, l’orfismo, con una propria teologia, cosmologia ed
escatologia.
Nella personalità d'Orfeo si fondono poesia, musica e retorica; da qui la capacità di coinvolgere
in modo così profondo l’uditorio.
I poteri di cui é investito Orfeo sono da attribuire al ruolo che ha il poeta in una società in cui il
canale di circolazione della cultura é ancora prevalentemente orale: attraverso la voce e la musica nasce
un rapporto mimetico tra il poeta e l’uditorio che segue con il corpo, consapevolmente o
inconsciamente, il ritmo e la cadenza del canto; un pubblico semplice ed illetterato avverte ciò come
una magia.
18
Secondo le più antiche fonti Orfeo é nativo della Tracia, terra lontana e misteriosa nella quale
fino ai tempi d'Erodoto era testimoniata l’esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo
dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci di provocare uno
stato di trance tramite la musica.
Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro, o, secondo altre versioni, del dio di
Apollo, appartiene alla generazione precedente l’epoca della religione greca classica.
Egli fonde in sé gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea é il figlio o il pupillo
del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, é un eroe culturale, benefattore del genere umano,
promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto
simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione
della natura, é dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la
figura di Dioniso per il riscatto dagli inferi della Kore.
La letteratura, d’altra parte, mostra la figura d'Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la
perdita dell’amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver assunto prerogative del
dio Apollo di controllo della natura attraverso il canto; tornato dagli inferi, Orfeo abbandona il culto del
19
dio Dioniso rinunciando all’amore eterosessuale, inventando così per la prima volta nella storia l’amore
omosessuale. In tale contesto s'innamora profondamente di Calais (Calaide?), figlio di Borea, e insegna
l’amore omosessuale ai Traci. Per questo motivo, le baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti per
non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi. Nella versione del mito
contenuta nelle Georgiche di Virgilio la causa della sua morte é invece da ricercarsi nella rabbia delle
baccanti per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte d'Euridice.
La storia d'Orfeo é espressione della condizione dell’artista: la creazione poetica, più in generale
artistica, richiede un atto individuale e asociale. Per quest'Orfeo é solo, diviene vedovo, ritorna agli
inferi solo e muore solo.
Orfeo esprime inoltre due diverse ed opposte concezioni dell’arte, immanentistica e
trascendente. Da una parte lo vediamo soffrire nella sua carne, prender parte alla lotta contro la morte.
Il suo scacco esprime allora l’incapacità dell’arte di svuotarsi della soggettività dell’artista, di trascendere
il sentimento, di conformarsi alle leggi di una realtà obiettiva. Dall’altra, il canto d'Orfeo é imperituro,
riflette la realtà naturale ed é in grado di dominarla.
Le ambiguità delle versioni del mito sono dovute alle contraddizioni e ai paradossi insiti nel
linguaggio poetico: la poesia comprende in sé l’ineffabile, ma é anche incapace di esprimere l’ineffabilità
del sentimento; ha la capacità di chiarire e deformare.
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Secondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione degli Argonauti: quando la nave
Argo passò accanto all’isola della Sirene, i marinai furono irretiti dal loro canto, ma Orfeo li salvò
intonando un canto ancora più melodioso che ruppe l’incantesimo.
Ma la sua fama é legata soprattutto alla tragica vicenda d’amore che lo vide unito alla ninfa
Euridice: Aristeo, uno dei tanti figli d'Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore
non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno ella, per sfuggirli,
mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso.
Orfeo penetrò allora negli inferi incantando Caronte con la sua musica.
21
Sempre con la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell’Ade.
Persefone, commossa dal suo dolore e sedotta dal suo canto, persuase Ade a lasciare che
Euridice tornasse sulla terra. Ade accettò, ma ad un patto: Orfeo avrebbe dovuto prevedere Euridice
per tutto il cammino fino alla porta dell’Ade senza voltarsi mai indietro. Esattamente sulla soglia degli
Inferi, e credendo esser già uscito dal Regno dei Morti, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio e si
voltò, per vedere Euridice scomparire all’istante e tornare tra le Tenebre per l’eternità.
Leggende posteriori indicano che Orfeo, divenuto il primo omosessuale della storia a causa del
trauma per la morte di Euridice, diffuse l’omosessualità nella Tracia offendendo le Menadi, seguaci di
Dioniso, che non venivano più amate dai consorti. Queste lo uccisero e dilaniarono, si nutrirono di
parte del corpo e gettarono la sua testa nell’Erebo.
La testa scese fino al mare e da qui all’isola di Lesbo, dove fu sepolta nel santuario di Apollo. Il
corpo fu seppellito dalle Muse ai piedi dell’Olimpo.
La sua lira venne invece infissa nel cielo, e formò una costellazione.
Il mito d'Orfeo nasce forse come mito di fertilità, come é possibile desumere dagli elementi del
riscatto della Kore dagli inferi, elemento che indica il riportare la vita sulla terra dopo l’inverno.
I riferimenti al mito nella letteratura greca arcaica e classica sono pochi, tanto che alcuni degli
elementi essenziali della vicenda compariranno e saranno approfonditi solo dalla letteratura latina in
poi. Due autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse versioni di esso
sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio.
Nel discorso di Fedro, contenuto nell’opera “Simposio”, Platone inserisce Orfeo nella schiera dei
sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa,
non dell’episteme. Per questa ragione egli é consegnato dagli dei degli inferi un plasma di Euridice;
inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti poiché il suo eros é falso come il suo
logos.
La sua stessa morte ha carattere anti – eroico poiché ha avuto sovvertire le leggi divine
penetrando vivo nell’Ade, non osando morire per amore. Il plasma di Euridice simboleggia
l’inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza che può essere conseguita
solo tramite le forme superiore dell’eros.
Apollonio Rodio inserisce il personaggio d'Orfeo nelle Argonautiche presentandolo come un
eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. Il ruolo attribuito ad Orfeo esprime la visione che del
poeta hanno gli alessandrini: attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il
poeta é in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito é emblematico l’episodio nel
quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra gli argonauti cantando una personale cosmogonia.14
14
Wikipedia.
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L’Orfeo di Claudio Monteverdi
L’Orfeo é un’opera lirica, precisamente una favola in musica, composta da Claudio Monteverdi
su libretto di Alessandro Striggio.
Tratta dalla Fabula d'Orfeo di Angiolo Poliziano, l’opera si compone di un prologo e cinque
atti. Fu rappresentata per la prima volta il 24 febbraio 1607 nel palazzo ducale di Mantova.
L’Orfeo é la prima opera di Monteverdi, considerata il primo capolavoro della storia del
melodramma.
Il libretto segue il testo d'Angiolo Poliziano con poche varianti, la più importante delle quali é
costituita dal lieto fine, con l’ascesa in cielo di Orfeo, accompagnato da Apollo.
La partitura d’orchestra include pezzi per cinque, sette o otto parti, nelle quali gli strumenti sono
a volte citati ad esempio: Questo ritornello fu suonato di dentro da un clavicembalo,
duoi chitarroni
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e duoi violini piccoli alla francese
e monodie a una, due o tre voci con basso non cifrato, nonché cori a cinque voci con basso non cifrato.
Lo stile di canto utilizzato può essere distinto in recitativo, arioso e, nel caso delle arie, strofico.
I personaggi dell’Orfeo sono: La Musica (soprano), il Pastore I (soprano), il Pastore II (tenore),
Una Ninfa (soprano), Orfeo (tenore), Euridice (soprano), Silvia, messaggera (soprano), La Speranza
(soprano), Caronte (basso), Proserpina (soprano), Plutone (basso), i Tre spiriti infernali (tenore, tenore,
basso), l’Eco (tenore).
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L’Orfeo: ipotesi di un percorso didattico per la Scuola Secondaria di
Primo Grado
Quale potrebbe essere un percorso didattico per gli allievi della Scuola secondaria di Primo
Grado? Un'ipotesi di esperienza didattica potrebbe essere attuata per favorire lo sviluppo del senso
storico secondo le seguenti motivazioni e finalità: favorire lo sviluppo del senso storico, della capacità di
pensare epoche e luoghi lontani; agevolare la ricerca storica attiva, interrogando direttamente le fonti;
favorire l’applicazione di vari metodi di analisi nei confronti di un oggetto artistico; incoraggiare
l’attività musicale collettiva.
Le metodologie utilizzate potrebbero essere l’elaborazione dei vari documenti attraverso vari
mezzi espressivi; apprendere, appropriarsi, con la voce parlata e cantata o con gli strumenti; con la
tecnica del problem solvine ad esempio utilizzando il seguente schema di domande:
 Quali sono gli stati d’animo che ricavi durante l’ascolto?
 In quali occasioni hai ascoltato questa musica?
 Quali sono gli elementi significativi del contesto storico - culturale in argomento?
 Quali timbri hai riconosciuto durante l’ascolto?
 Definisci l’andamento, l’intensità e il carattere di queste musiche.
 Quali sono gli esecutori di queste musiche?
 Quali le finalità?
 Qual é la lingua utilizzata?
 Quali strumenti sono utilizzati?
Confrontare e arricchire le risposte interrogando i documenti (le fonti).
Scegliamo innanzitutto di affrontare il mito di Orfeo perché esso vanta più di duemila anni di storia,
ed in secondo luogo perché é stato oggetto di attenzione di tantissimi artisti, per cui disponiamo di una
quantità incredibile di opere che lo riguardano.
Molto importante é la ricerca e la raccolta dei materiali riguardante il mito d'Orfeo: fonti
iconografiche come nei paragrafi precedenti, musicali, letterarie, cinematografiche, altro, consigliando
anche i luoghi di ricerca quali internet, biblioteche, negozi musicali e librerie.
Ogni opera é catalogata all’interno della disciplina di appartenenza, compilando una piccola scheda,
contenente: titolo, autore, anno di composizione, specificando di che tipo di opera si tratta. Un esempio
di classificazione é la seguente:
 Titolo: Orfeo (fonte musicale) – Orpheus and Eurydice (fonte iconografica) – La favola
d'Orfeo (fonte letteraria);
 Autore: Claudio Monteverdi – G. Kratzenstein Stub – Angelo Poliziano;
 Anno di composizione. 1607 – 1806 – 1480;
 Tipo di fonte: partitura e audio – quadro, olio su tela.
Effettuare una vera e propria lezione – concerto suonando e cantando parti delle opere musicali
scelte, recitando alcuni passi dei testi letterari, e facendo scorrere le immagini. Ogni gruppo realizzerà
una scheda d'approfondimento e di analisi di ogni opera impiegata nella lezione – concerto, con
particolare attenzione al periodo storico, e alle caratteristiche stilistiche dell’opera che ne rivelano in
maniera inequivocabile la paternità storica.
Si compone una sorta di collage dei momenti e degli aspetti più significativi del mito d'Orfeo,
utilizzando la fonte che secondo la classe meglio rappresenta ogni singolo episodio.
Realizzazione di una recita, raccontando il mito attraverso le interpretazioni che ne hanno dato vari
artisti nel corso dei secoli.
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Dall’analisi delle fonti raccolte, apparirà ben presto evidente che la figura di Orfeo, la trama e
soprattutto il finale del mito sono elaborate in maniera di volta in volta diverso a seconda dell’autore e
dell’epoca storica, basti pensare al finale, ora triste ora lieto; alla figura di Orfeo come musico, a volte
ritratto con la lira,
altre con il liuto
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o con il flauto; questo offrirà lo spunto per una ulteriore rivisitazione del mito da parte degli alunni, che
potrebbero effettuare un lavoro di attualizzazione, magari descrivendo Orfeo come un artista
bohemien, che non riesce a recuperare, nonostante le sue poesie, l’amore della sua amata.
E se Orfeo diventasse un Musical?
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