Violenza a scuola: non è solo bullismo

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Università degli Studi di Torino Scuola di Dottorato in Scienze Umane Indirizzo in Scienze
Antropologiche Seminari a.a. 2009 - 2010 Programma marzo-aprile 2010 Mercoledì 3 marzo, ore
15.30 Prof.ssa Valentina Porcellana (Università di Torino), prof. Cristian Campagnaro (Politecnico di
Torino)
Abitare
il dormitorio: un'analisi tra antropologia e design. Mercoledì 10 marzo, ore 15.30 Ilaria
di
Tatiana
Di Giulio
Buscaglia (Università di Siena) "Making gender" nel Rwanda rurale del post-genocidio: un'analisi del
femminile fral'intervista
ginecopoiesi
e biopolitica.
Mercoledì
24 marzo,
ore 15.30
Anna Ziliotto
e dis-fare
Proponiamo
al professor
Franco
Prina, docente
associato
di sociologia
dellaFare
devianza
presso
umanità:
eliminare,
conservare,
utilizzare
corpi
in
Africa
Sub-sahariana.
Mercoledì
31
marzo,
ore 15.30
la Facoltà di Scienze Politiche, sulla tematica della violenza nelle scuole.
Prof. Marco Aime (Università di Genova) Saper scherzare a Timbuctu. Mercoledì 14 aprile, ore 15.30
Alex Vailati
Dall’iniziazione
all’educazione.
Antropologia
dei giovani
Iniziamo
definendo
cosa si intende
per “bullismo”
e facendo
un po'in
diSudafrica.
chiarezza Mercoledì
per quanto28 aprile,
ore
15.30
Prof.
Stefano
Allovio
(Università
di
Milano)
Antropologi
e
pigmei.
Una
riflessione
sulla nostra
riguarda l'uso di questo termine.
disciplina.dire
Dipartimento
di Scienze
Antropologiche,
Archeologiche
e Storico
Territoriali
Via Giolitti,
Possiamo
che il termine
“bullismo”
è una traduzione
italiana piuttosto
impropria
del termine
inglese
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Torino
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informazioni:
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“bullying”, usato da molti anni nelle ricerche sulla violenza nella scuola. L'assonanza con l'italiano
“bullo”, parola che aveva un'altro significato e un'altra tradizione, ha portato all'uso piuttosto
indifferenziato di questo termine. Nel suo significato originale tendeva ad identificare una particolare
forma di prevaricazione e di violenza che si verifica all'interno delle scuole: nelle ricerche risalenti ormai
a trent'anni fa, in particolare in Norvegia, “bullying” è un concetto circoscritto riguardante atti di
prevaricazione e violenza, condotti su un individuo, da parte di uno o più autori, in maniera continuativa.
Vi deve essere anche un'evidente differenza di forza, che provoca una condizione di grave malessere
nell'individuo che le sopporta, proprio per il carattere della sua continuità nel tempo. Negli ultimi anni in
Italia si è parlato molto ed in maniera indifferenziata di “bullismo”, usandolo per qualunque episodio di
sopraffazione e di prevaricazione all'interno o al di fuori della scuola. A partire dall'Anno Scolastico
2006–2007 l'opinione pubblica si è concentrata su episodi rappresentati e diffusi con le nuove tecnologie,
come ad esempio il caso specifico torinese dello Steiner. Si è trattato di fatti che hanno destato un
enorme scalpore, producendo così una sovrarappresentazione giornalistica. In ambito scolastico si sono
moltiplicate iniziative, circolari ministeriali e ricerche sul problema.
In quali forme si manifesta?
Io evito di parlare di “bullismo” e preferisco parlare, in linea con una tradizione di ricerca francese ed
inglese, di violenza nella scuola. Per l'Osservatorio Internazionale sulla violenza nella scuola è importante
considerare l'insieme delle relazioni aventi carattere violento nel contesto scolastico, piuttosto che
limitarsi al cosiddetto “bullying” che è solo una delle forme di manifestazione della violenza. Certo la
violenza nella scuola può essere di carattere “orizzontale”, quindi tra soggetti che condividono la
condizione di studenti o di alunni: l'aggressione fisica, la violenza e la prevaricazione psicologica
(sovente più attribuita alle ragazze, ma attualmente praticata da entrambi i generi) e l'esclusione dai
rapporti. Ma guardare solo ad essa fa dimenticare che esistono anche forme di violenza, magari non
diretta o fisica, di carattere “verticale”. Penso in particolare ai casi di violenza degli studenti nei
confronti degli insegnanti. Ma l'aspetto maggiormente sottovalutato è la violenza da parte dell'istituzione,
di insegnanti o dirigenti nei confronti degli studenti. Quest'ultimo tipo il più delle volte non ha carattere
fisico, ma è una violenza che si esprime in forme di esclusione, non riconoscimento di alcuni ragazzi,
non capacità di accogliere le differenze tra i soggetti ecc. Ciò dà luogo a sofferenza vere e proprie, meno
tematizzate delle sofferenze delle vittime della violenza diretta tra coetanei.
Possiamo classificare come “offender” chi compie questi atti di violenza e prevaricazione?
Si, abbiamo forme di aggressione e di violenza fisica, psicologica e relazionale, che vedono uno o più
protagonisti in questa veste. In tutti gli studi si mette bene in evidenza come il contesto ed il clima
scolastico favoriscono l'emergere di relazioni connotate da violenza, ma evidenziano che le dinamiche
coinvolgono non solo aggressori e vittime, ma aggressori, vittime e spettatori. Gli spettatori possono
essere i compagni o i rappresentanti dell'istituzione, che possono reagire in modi diversi al manifestarsi di
questi fatti. In alcuni casi provocando, come insegna la sociologia della devianza di carattere
interazionista, l'acuirsi degli atteggiamenti aggressivi e trasgressivi. In altri casi regolando queste
situazioni attraverso opportuni interventi in difesa delle vittime, oppure prendendo in carico il significato
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Antropologiche Seminari a.a. 2009 - 2010 Programma marzo-aprile 2010 Mercoledì 3 marzo, ore
15.30 Prof.ssa Valentina Porcellana (Università di Torino), prof. Cristian Campagnaro (Politecnico di
Torino)
il l'aggressore
dormitorio: un'analisi
tra antropologia
e design.
10 marzo,
ore 15.30
Ilaria
che
può Abitare
avere per
il comportarsi
in questo modo.
Io hoMercoledì
lavorato molto
su questo
tema dei
Buscaglia
(Università
di
Siena)
"Making
gender"
nel
Rwanda
rurale
del
post-genocidio:
un'analisi
significati, assumendo che l'aggressività e la violenza e il bullismo vero e proprio sono forme didel
femminile fra ginecopoiesi
e biopolitica.
Mercoledì 24chi
marzo,
ore 15.30
Anna Ziliotto
e dis-fare
“comunicazione”.
Attraverso
questo comportamento
aggredisce
comunica
una serieFare
di cose,
a
umanità:
eliminare,
conservare,
utilizzare
corpi
in
Africa
Sub-sahariana.
Mercoledì
31
marzo,
ore 15.30
seconda della situazione in cui si trova. La scuola ha il dovere di capirlo.
Prof. Marco Aime (Università di Genova) Saper scherzare a Timbuctu. Mercoledì 14 aprile, ore 15.30
Alex
Vailatitracciare
Dall’iniziazione
all’educazione.
Antropologia dei giovani in Sudafrica. Mercoledì 28 aprile,
È
possibile
un profilo
dell'aggressore?
ore
15.30
Prof.
Stefano
Allovio
(Università
di
Antropologi
e pigmei.
Unainriflessione
sulla
nostra
È difficile delineare un profilo, anche se molti Milano)
hanno tentato.
Teniamo
conto che
Italia molte
di queste
disciplina.
di prevalentemente
Scienze Antropologiche,
Archeologiche
e Storico
Giolitti,
ricerche
sonoDipartimento
state condotte
da psicologi
dell'età evolutiva.
DaTerritoriali
un punto diVia
vista
21/E,
Torino
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sociologico alcune caratteristiche dei ragazzi aggressori possono prevalere: tendenzialmente sono più
maschi che femmine, sono spesso soggetti che vivono dimensioni di disagio e di esclusione anche
all'esterno della scuola, possono essere ragazzi che hanno vissuto esperienze di vittimizzazione o relazioni
di carattere violento all'interno della famiglia. Vi sono, però, molte altre situazioni nelle quali non è la
connotazione della marginalità sociale a prevalere. Occorre considerare alcuni fattori di carattere generale
legati alla cultura dominante in questi anni, quali la tendenza a legittimare comportamenti aggressivi o di
prevaricazione nelle relazioni. Il farsi strada ignorando i diritti degli altri e affermandosi con la forza,
rispondere in modo violento a quelle che possono essere percepite come ingiustizie o “offese dell'onore”,
sono elementi che caratterizzano il clima in cui i ragazzi crescono. Inoltre vi possono essere connotazioni
specifiche proprie di chi vive difficoltà all'interno della scuola. In molte situazioni, infatti, l'esprimersi
attraverso la violenza è un modo per dire all'istituzione scolastica e agli adulti: “Io ci sono, anche se tu
non mi vedi perché non rispondo ai canoni del buon studente. Faccio sentire la mia presenza facendo
vedere i miei punti di forza fisica piuttosto che le qualità intellettuali che invece sono l'elemento che fa
valutare positivamente i miei compagni”. Infine, vi sono gli “eventi scatenanti” come le “offese
dell'onore” o la possibilità di assumere visibilità mediatica: si è molto discusso sul ruolo che le nuove
tecnologie hanno avuto nel trasformare comportamenti in passato considerati di natura “goliardica”.
I mezzi di comunicazione come alimentano questo fenomeno?
I mezzi di comunicazione hanno esaltato alcuni episodi, come spesso succede, che avevano un carattere di
notiziabilità elevato. Nel caso dello Steiner fu il fatto che la vittima era un ragazzo disabile. Si è originato
un effetto moltiplicatore tale che, per un lungo periodo, c'è stata una grande enfasi ogni volta che una
situazione simile emergeva. Invece di essere ignorata o confinata alla mezza colonna in cronaca, poteva
assumere ogni volta la rilevanza della prima pagina o della pagina intera. Tematizzando l'esistenza di un
“allarme bullismo”, da un lato, si è avuto un effetto di aumento dell'attenzione per un fenomeno in
passato sottovalutato, però allo stesso tempo si è determinato un effetto imitativo. C'è molta ambivalenza.
Pensiamo a quanta poca attenzione si ponesse al nonnismo nelle caserme o, per analogia, ai
maltrattamenti in famiglia dei bambini. Il parlarne e il discuterne ha avuto il significato di far crescere
l'attenzione sui diritti degli individui, perché è giusto che nelle scuole non vi siano bambini o ragazzi
vittime della prevaricazione e della violenza altrui. D'altra parte c'è stato un effetto di occultamento di
responsabilità: insistere sul bullismo significa parlare solo di ragazzi che prevaricano o sono violenti nei
confronti degli altri attribuendo loro tutta la responsabilità, ignorando il fatto che questi atti sono il
risultato di interazioni in cui l'istituzione scolastica può avere un ruolo rilevante.
A tale proposito, cosa potrebbe fare la scuola?
Non siamo all'anno zero. Nel 2006–2007 c'è stata un'esplosione di iniziative e di dibattiti. C'è stata anche
la discussione sull'opportunità di definire come reato il bullismo, in parallelo con il dibattito sul mobbing.
In teoria molti comportamenti originati nelle scuole costituirebbero reato: ad esempio, se io offendo
qualcuno in linea di principio commetto un reato di oltraggio o di calunnia. Ovviamente nessuno di questi
atti è trattato come tale, anche se qualcuno ha sostenuto che occorrerebbe farlo, coinvolgendo di più le
istituzioni della giustizia minorile. Ma in molte scuole il tema dei comportamenti violenti si è affrontato
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Antropologiche Seminari a.a. 2009 - 2010 Programma marzo-aprile 2010 Mercoledì 3 marzo, ore
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Torino)
Abitare
il dormitorio:
un'analisi
tra antropologia
e design.
Mercoledì
10 marzo,
ore 15.30
da
tempo,
ben prima
dell'emergenza
del 2006–2007.
Nella
situazione
italiana sono
state molte
le r Ilaria
Buscaglia
(Università
di
Siena)
"Making
gender"
nel
Rwanda
rurale
del
post-genocidio:
un'analisi
del
iflessioni su una scuola che non sia solo trasmissione di sapere, ma sia anche luogo di educazione
femminile
fra ginecopoiesi
e biopolitica.
Mercoledì
24 marzo,
ore 15.30
Anna Ziliotto
Fare
e dis-fare
alle
relazioni.
Si è molto lavorato,
fin dagli
anni Novanta,
sul tema
della violenza:
alcune
volte
umanità:
eliminare,
conservare,
utilizzare
corpi
in
Africa
Sub-sahariana.
Mercoledì
31
marzo,
ore 15.30
collocando la questione nel contesto delle iniziative di educazione alla salute, altre volte all'interno
di
Prof.
Marco
Aime
(Università
di
Genova)
Saper
scherzare
a
Timbuctu.
Mercoledì
14
aprile,
ore
15.30
riflessioni sulla crisi della legalità, altre ancora nel campo dell'educazione alla non violenza. Il tema può
Alex Vailati
Dall’iniziazione
all’educazione.
Antropologia
giovaniche
in Sudafrica.
Mercoledì
28 aprile,
essere
affrontato
con un ragionamento
ad ampio
raggio, condei
iniziative
abbiano carattere
di educazione
ore
15.30
Prof.
Stefano
Allovio
(Università
di
Milano)
Antropologi
e
pigmei.
Una
riflessione
sulla
nostra
al rispetto delle regole, alla convivenza civile, ai diritti degli altri, al rapporto tra diritti e doveri. Si può
disciplina.
Dipartimento
Scienze Antropologiche,
Archeologiche
e Storico
Territoriali
Via Giolitti,
lavorare
anche
nella logicadidell'educazione
alla non violenza,
al significato
della
violenza nella
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regolazione dei conflitti, arrivando a come sono gestite le controversie all'interno della classe. Il tema può
essere collocato nel quadro della promozione della salute, riflettendo con i ragazzi su cosa fa stare bene in
classe e sull'importanza dell'equilibrio della salute fisica, psicologica e relazionale. Altre volte il discorso
è stato ricondotto all'importanza per le vittime attraverso punti di ascolto per i ragazzi oppure interventi
per gestire i conflitti attraverso la mediazione scolastica.
Come avviene la costruzione della paura su questo fenomeno?
L'estensione dell'allarme per il bullismo è alimentata dall'insicurezza diffusa nella società contemporanea.
Si tratta di un'insicurezza non più inerente solo a ciò che è sconosciuto, ma anche ai luoghi
comunemente ritenuti sicuri come il proprio quartiere, la propria strada, la scuola. Certo il più delle
volte siamo dinnanzi ad un'evidente manipolazione e strumentalizzazione della paura, in certi periodi
utilizzata come “mezzo per governare”. Nella generale sovrarappresentazione della criminalità e
dell'insicurezza dei cittadini, si colloca anche il “bullismo”. Ma già in quest'anno scolastico la scuola è
stata impegnata in altre questioni, per cui la percezione del problema “bullismo” si è ridimensionata.
Come vengono trattate queste situazioni dalla giustizia minorile?
Gli episodi di cui abbiamo parlato, proprio perché hanno avuto ampia notorietà, sono stati portati
all'attenzione del Tribunale per i minorenni. Il caso dello Steiner non ci sarebbe mai finito se non avesse
avuto la rilevanza che ha avuto. C'è qualcuno che sostiene che gli insegnanti, in quanto incaricati di un
pubblico servizio dovrebbero sempre denunciare. Ma la posizione più diffusa è che si tratta di questioni
da regolare dall'interno, attraverso interventi di carattere educativo, di sostegno psicologico, di
mediazione scolastica dei conflitti. Certo ci si può trovare di fronte a episodi in cui si ritiene occorra
l'intervento dell'autorità giudiziaria, perché si configurano come veri e propri reati. In questi casi le
esperienze di “mediazione” in ambito penale possono essere la risposta più appropriata. Come potrebbero
essere appropriate sanzioni, ad esempio nel quadro della “messa alla prova”, che consistano
nell'impegnare gli imputati di reati di questo tipo in azioni di “riparazione del danno” dirette o indirette.
Assumendo cioè la logica di una risposta penale non fondata su una sanzione negativa, ma su un impegno
a fare, a riconciliarsi con la vittima, a rimediare al danno inferto.
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