Relatività
Il metodo scientifico.
Galileo stabilì i criteri che stanno alla base del cosiddetto "metodo scientifico" :
per descrivere i fenomeni naturali occorre effettuare misure di spazio e di tempo.
A tale scopo è necessario stabilire, per descrivere il moto di un punto materiale nello
spazio, un sistema di riferimento spazio-temporale. Possiamo misurare gli intervalli di
tempo con un cronometro che parte ad un certo istante e al quale assegniamo valore
zero. Come sistema di riferimento spaziale possiamo usare uno cartesiano ortogonale
(vedi figura) o altri.
Sistema di riferimento
Fra tutti i possibili sistemi di riferimento ne esistono alcuni (in numero infinito)
rispetto ai quali le leggi della fisica sono le più semplici possibili : essi sono i sistemi di
riferimento inerziali.
In tali sistemi vale il I principio della dinamica o principio d’inerzia: un corpo in quiete
o in moto rettilineo uniforme permane indefinitamente in tale stato finché non
intervengano cause esterne (forze) che modifichino il moto.
Pertanto un sistema di riferimento inerziale è in moto rettilineo uniforme rispetto ad
ogni altro sistema di riferimento inerziale.
Vogliamo stabilire delle relazioni tra posizioni, velocità ed accelerazioni come misurate
da due osservatori inerziali in moto relativo tra di loro.
Trasformazioni di Galileo.
Siano K e K' due sistemi di riferimento inerziali in moto relativo tra di loro. Per
semplicità assumiamo che sia K' a muoversi con velocità costante V rispetto a K che
assumiamo in quiete (è evidente che, dal punto di vista di K’, è K a muoversi rispetto a
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lui con velocità -V). Ciascun osservatore possiede un regolo per misurare le lunghezze
ed un orologio per misurare il tempo. Supponiamo che gli assi coordinati siano paralleli
fra loro e che gli assi x e x' coincidano.
Supponiamo che i due regoli ed i due orologi siano identici ed che i due orologi
misurino il tempo senza errori.
Supponiamo che ad un certo istante O ≡ O' e gli orologi vengano sincronizzati ed
azzerati (t = t' = 0). Sia P(x,y,z) nel sistema K e P(x’,y’,z’) nel sistema K’.
Assumiamo che entrambi gli osservatori misurino gli stessi intervalli di tempo, ovvero
che t=t’ (il tempo è assoluto, indipendente dal sistema di riferimento), come
l’esperienza c’insegna. Le relazioni tra le coordinate sono
x = x'+Vt
y = y'
z = z'
t = t'
Derivando rispetto al tempo le relazioni precedenti, otteniamo la legge di
composizione delle velocità
dx
dx' d( Vt )
= vx =
+
= v x' + V
dt
dt
dt
dy dy'
=
⇒ v y = v y'
dt
dt
dz dz'
=
⇒ v z = v z'
dt dt
e vettorialmente:
r r r
v = v' + V
Se deriviamo rispetto al tempo l’espressione della velocità, otteniamo
r r
a = a'
cioè gli osservatori misurano la stessa accelerazione e quindi la seconda legge della
r
r
dinamica, F = ma , è la stessa in K e in K’.
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Pertanto: l’uguaglianza tra le accelerazioni implica che le leggi della meccanica sono
identiche in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Ne discende il “Principio di relatività galileiana” :
le leggi della meccanica devono essere le stesse in ogni sistema di riferimento
inerziale, ovvero, tutti i sistema di riferimento inerziali sono fisicamente equivalenti.
Ciò implica che non è possibile all'interno di un sistema di riferimento inerziale
effettuare alcun esperimento che ne riveli il moto.
Galileo Galilei (1568-1642) aveva intuito che non é possibile, solo con esperimenti di meccanica,
rivelare se un sistema é fisso, o si muove di moto rettilineo uniforme. Nella Giornata Seconda del
suo « Dialogo sui Massimi Sistemi del Mondo » scriveva:
« Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio,
e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e
dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia
versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la
nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le
parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille
cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non piú
gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno
eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti.
Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il
vassello sta fermo non debbano succeder cosí, fate muover la nave con quanta si voglia velocità;
ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima
mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina
o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima né, perché la nave
si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, benché, nel
tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e
gettando alcuna cosa al compagno, non con piú forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà
verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come
prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per
aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con piú fatica noteranno verso la
precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto
su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli
indifferentemente verso tutte le parti, né mai accaderà che si riduchino verso la parete che riguarda
la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per
lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate... »
L’elettromagnetismo di Maxwell.
Alla fine del 1800 i fenomeni elettrici e magnetici potevano essere compiutamente
spiegati da quattro equazioni che stabilivano un legame profondo tra i due tipi di
fenomeni: essi non erano, come si era ritenuto sino a quel tempo, fenomeni
indipendenti, ma la presenza di un campo elettrico implicava quella di un campo
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magnetico e viceversa. Entrambi i tipi di fenomeni sono la manifestazione di un’unica
realtà, quella del campo elettromagnetico. Maxwell dimostrò anche che la luce è
un’onda elettromagnetica ed Hertz ne dimostrò sperimentalmente l’esistenza. Le
quattro equazioni di Maxwell sotto forma integrale e differenziale raggruppano i
contributi di tanti fisici del 1700 e 1800; ciascuna equazione porta il nome di chi l’ha
formulata:
r r
r r ρ
Legge di Gauss
1
E
⋅
n
dS
=
ρ
dV
∇
⋅
E
=
dell’elettrostatica
S
∫
∫S
ε0 ∫
r r
B ⋅ n dS = 0
ε
0
r r
∇⋅B = 0
r
r r
r r
r
∂ r r
∂E
∫C B ⋅ dC = µ0 I + µ0ε 0 ∫S ∂t E ⋅ ndS ∇ × B = µ0 J + µ0ε 0
∂t
r
r r
r r
d r r
∂B
⋅
=
−
B
⋅
n
dS
E
d
C
∇
×
E
=
−
∫C
∫
dt S
∂t
Legge di Gauss
per il magnetismo
Legge di AmpèreMaxwell
Legge di FaradayHenry
Cosa dicono queste equazioni?
La legge di Gauss per il campo elettrico afferma che il flusso delle linee di forza del
campo elettrico, prodotte da cariche elettriche, attraverso una superficie chiusa, è
uguale alla carica totale racchiusa dalla superficie diviso la costante dielettrica.
La legge di Gauss per il campo magnetico afferma che il flusso delle linee di forza del
campo magnetico attraverso una superficie chiusa è zero. Ciò è dovuto al fatto che
tali linee di forza sono chiuse e questo perché non esistono poli magnetici isolati come
può essere per la carica elettrica.
La legge di Ampère-Maxwell afferma che un campo elettrico variabile nello spazio
genera un campo magnetico.
La legge di Faraday-Henry afferma che un campo magnetico variabile nello spazio
genera un campo elettrico.
Conseguenze di queste equazioni sono:
i fenomeni elettrici e quelli magnetici sono manifestazioni apparentemente diverse di
una unica forza: la forza elettromagnetica che si distribuisce nello spazio come un
campo elettromagnetico.
Un campo elettromagnetico si propaga nello spazio con velocità finita, c = 300.000
km/sec. Se nel punto A una carica elettrica subisce una accelerazione,
"l'informazione" di quella modificazione viene percepita nel punto B (distante s da A)
dopo un tempo finito, t = s/c. Questo avviene perchè un'onda elettromagnetica parte
da A ed arriva in B nel tempo t = s/c.
Come si genera tale perturbazione? Un modo è il seguente. Il moto accelerato di una
carica genera una variazione del campo elettrico che, per la terza equazione di
Maxwell, genera un campo magnetico variabile nel tempo che, nei punti vicini dello
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spazio, genera un campo elettrico variabile, eccetera. Nasce una perturbazione, il
campo elettromagnetico, che si propaga nello spazio attraverso onde di diversa
frequenza (o diversa lunghezza d'onda (frequenza * lunghezza d'onda = c)).
Lo spettro elettromagnetico (in ordine crescente di frequenza o in ordine
decrescente di lunghezza d'onda) è composto da : onde radio lunghe, medie, corte,
ultracorte, raggi infrarossi, luce visibile (dal rosso al violetto), raggi ultravioletti,
raggi X, raggi gamma.
Le onde elettromagnetiche si propagano con velocità c. Ma rispetto a quale sistema di
riferimento?
Pensando che un’onda elettromagnetica per propagarsi avesse bisogno di un
mezzo (così come le onde acustiche hanno bisogno, per esempio, dell'aria), si
ipotizzò l'esistenza di una "sostanza" permeante l'universo rispetto alla quale le onde
si propagassero con velocità c.
Tale sostanza fu chiamata etere e, in quiete rispetto ad esso, fu ipotizzata
l'esistenza di un sistema di riferimento inerziale assoluto, privilegiato, rispetto al
quale riferire ogni altro sistema di riferimento.
Secondo il principio di relatività galileiana, la luce dovrebbe essere vista arrivare in
ogni sistema di riferimento inerziale con una velocità pari a c più (o meno) la velocità
del sistema di riferimento inerziale rispetto all'etere. Inoltre, mentre le leggi della
meccanica risultavano invarianti per sistemi di riferimento inerziali, apparve subito
chiaro che le equazioni di Maxwell non lo erano, cioè, cambiando il sistema di
riferimento, le equazioni di Maxwell cambiavano e non risultavano più valide.
Secondo le trasformazioni di Galileo, se un osservatore si muove in un razzo a 240000
Km/s e accende una lampadina la cui luce si muove a 300000 Km/s, la luce si muoverà
rispetto all’osservatore con una velocità di 60000 Km/s. Ciò permetterebbe,
misurando la velocità della luce, di distinguere sistemi in quiete da sistemi in moto,
contro il principio di relatività.
Sembrerebbe quindi, che le leggi della meccanica siano le stesse in sistemi inerziali,
mentre quelle dell’ottica valgano solo in un sistema assoluto.
Esperimento di Michelson e Morley.
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L'esperimento cercava di misurare la velocità della Terra rispetto all'etere, in cui si
sarebbero propagate le onde elettromagnetiche.
La misura si basava sulla figura di interferenza che le onde luminose riflesse e
trasmesse lungo i due bracci dell’interferometro, avrebbero dovuto produrre.
Sia L la lunghezza dei due bracci, B uno specchio semitrasparente (beam splitter), C
ed E due specchi. Un raggio luminoso che incide su B viene parzialmente riflesso verso
C e parzialmente trasmesso verso E. I raggi riflessi da C ed E sono coerenti1 in quanto
provenienti dalla stessa sorgente, uno sarà parzialmente trasmesso da B, diciamo F, e
uno parzialmente riflesso, diciamo D. Se il tempo impiegato per percorrere il tratto
BEB risulta uguale a quello impiegato per il tratto BCB, tbeb= tbcb, le onde D e F
saranno in fase e si rinforzeranno l’un l’altra raddoppiando l’intensità, altrimenti si
osserverà una figura d’interferenza. Se il dispositivo è fermo nell’etere i tempi
dovrebbero essere uguali, se si muove con una certa velocità dovrebbero essere
diversi. Supponiamo di orientare il braccio BE nella direzione in cui la terra si muove
con velocità u. Se nel tempo t1=tbe il dispositivo si sposta di ut1, la luce percorre
L+ut1=ct1 e quindi t1=L/(c-u). Nel tempo t2=teb, il dispositivo si sposta di ut2 e la luce
percorre L-ut2 =ct2, per cui t2=L/(c+u). In totale: t1+t2=(2L/c)/(1-u2/c2).
Calcoliamo tbc=t3. C si sposta in C’ e la luce percorre BC’=ct3, per cui (ct3)2= L2+(ut3)2
da cui t3=L/(c2-u2)1/2. Questo tempo è lo stesso nel viaggio di ritorno per cui
1
Due raggi o onde sono coerenti se hanno stessa intensità, ampiezza e lunghezza d’onda.
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2t3=2L/(c2-u2)1/2=(2L/c)/(1-u2/c2)1/2. Dal confronto dei due tempi si vede che sono
diversi e quindi si dovrebbe osservare una figura di interferenza.
Nell’esperimento del 1881 Michelson non notò nulla; egli imputò il risultato alle piccole
dimensioni della strumentazione per cui la differenza di cammino ottico si confondeva
con gli errori sperimentali. Rifece con Morley, nel 1888, l’esperimento utilizzando una
strumentazione più grande, i raggi avrebbero percorso circa 11 metri e la differenza
di cammino sarebbe stata di circa mezza lunghezza d’onda. Poiché tecnicamente è
difficile rendere uguale la lunghezza dei due bracci, essi pensarono di ruotare la
strumentazione di 90°cosicchè BC sarà lungo la linea del moto e BE ortogonale; si
dovrebbe osservare un piccolo slittamento delle frange d’interferenza.
Se L è la lunghezza del braccio dell'interferometro e u è la presunta velocità della
Terra rispetto all'etere, la differenza tra i cammini ottici dovrebbe essere circa
uguale a mezza lunghezza d'onda della luce gialla e quindi dovrebbe essere tale da
portare le frange scure sulle frange chiare e viceversa. Ma, ancora una volta, non si
osservò nulla. Ciò significa che le onde sono in fase e se i bracci hanno la stessa
lunghezza significa che impiegano lo stesso tempo e quindi i raggi si muovono con la
stessa velocità c, pertanto la velocità della Terra rispetto all’etere sarebbe nulla.
Questo non prova che l’etere non esiste ma che la Terra non si muove rispetto ad
esso.
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Per cercare di uscire dal vicolo cieco in cui si era finiti, Lorentz ipotizzò che i corpi in
moto si contraessero nella direzione della velocità con legge L = Lo (1-u2/c2)1/2.
Nell’esperimento di MM, BC non cambia essendo ortogonale alla direzione del moto
della terra, ma BE diventa L(1-u2/c2)1/2. Pertanto 2t3 rimane lo stesso e in t1+t2, L
dev’essere cambiato: t1+t2= =(2L/c) (1-u2/c2)1/2/(1-u2/c2) = (2L/c) (1-u2/c2)-1/2= 2t3.
Ecco perché l’esperimento non dà alcun effetto! Il dispositivo si contrae e quindi i
tempi sono uguali e non si osserva interferenza!
Dispositivo sperimentale usato effettivamente da Michelson e Morley
Il tempo atomico
L’unità di misura del tempo nel Sistema Internazionale è il secondo definito come la
durata di 9 192 631 770 oscillazioni della radiazione emessa in una particolare
transizione dall'atomo di Cesio 133. Un orologio al cesio può commettere un errore
massimo relativo di 1x10-12, equivalente a 1 µs ogni 12 giorni.
Più recentemente l’uso di atomi di berillio a bassissima temperatura ha diminuito
l’errore a 1 s in 3 milioni di anni. 1 Il 133Cs ha un nucleo formato da 55 protoni e 78
neutroni. Lo stato fondamentale è lo stato in cui un atomo ha la configurazione
elettronica di minima energia. La suddivisione dello stato fondamentale in livelli
iperfini è dovuta all'interazione degli elettroni con il momento magnetico del nucleo; la
differenza in energia ∆E tra i livelli iperfini è molto piccola rispetto alla differenza in
energia tra i livelli principali dell'atomo. Durante la transizione tra due livelli di
energia l'atomo emette onde elettromagnetiche di frequenza ν=∆E/h, corrispondente
ad una lunghezza d'onda λ=c/ν e un periodo T=1/ν, h è la costante di Planck e c è la
velocità delle onde elettromagnetiche nel vuoto.
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La radiazione emessa dal 133Cs durante la transizione in questione ha frequenza
ν ≅ 1010 Hz e lunghezza d'onda λ = 3 cm (cade quindi nella regione delle microonde). Il
secondo è pertanto definito come un multiplo intero del periodo T=1/ν della radiazione
emessa dal cesio.
Il campione primario del secondo è costituito da un orologio al cesio.
Un orologio atomico è schematicamente costituito da un fascio di atomi di cesio 133
che attraversano un separatore magnetico. L’interazione tra momento magnetico
nucleare ed elettroni crea uno stato fondamentale con due livelli spaziati di 0,04 meV
(struttura iperfina). Questi sottolivelli sono caratterizzati da un numero quantico che
assume valori 3 e 4.
Il primo separatore lascia passare atomi con F = 4 che attraversano una cavità
risonante avente la stessa frequenza di transizione per cui induce transizioni al livello
F = 3 (emissione stimolata). Il campo nella cavità è generato da uno oscillatore. Un
secondo separatore elimina gli atomi con F=4 rimasti e quelli con F=3 vengono contati
da un rivelatore che fornisce un segnale proporzionale al numero di atomi contati
nell’unità di tempo. Infine un contatore conta i cicli della frequenza originale e li
comunica ad un computer. Se l’oscillatore cambia la frequenza, un segnale di feedback
del rivelatore lo riporta alla frequenza di risonanza.
La teoria della relatività ristretta
Alla fine del 1800 molti erano convinti che l’etere dovesse esistere; tra questi
Maxwell e Lorentz. Per salvare le equazioni di Maxwell, Lorentz assunse che queste
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fossero valide nel riferimento privilegiato in cui l’etere è fermo. Poiché le
trasformazioni di Galileo non lasciavano invariate tali equazioni in sistemi in moto
rispetto all’etere, Lorentz ne cercò delle altre. Nel 1904 Lorentz scrisse tali
trasformazioni che però ne prevedevano anche una per il tempo. Egli lo chiamò ‘tempo
locale’ e non associò ad esso alcun particolare significato; esso non aveva nulla a che
fare con il tempo reale.
Einstein, nella sua analisi critica della fisica di quel periodo, partì dalla constatazione
che l’esperimento di Michelson evidenziava il fatto che la luce si muoveva con la stessa
velocità quando si muoveva nello stesso verso o nel verso opposto della Terra, per cui
la velocità della luce appare essere l’unico invariante per tutti gli osservatori. Questo
fatto diventa uno dei due pilastri su cui si fonda la teoria della relatività:
il principio di "costanza della velocità della luce nel vuoto"
L'altro principio guida sarà il Principio di Relatività già formulato da Galileo per la
Meccanica e che Einstein estenderà, anche ai fenomeni elettromagnetici e, più in
generale, a tutte le leggi fisiche.
A partire da questi due principi Einstein deduce le leggi di trasformazione cinematica
già ottenute da Voigt, Lorentz e Fitzgerald ma non comprese nella loro reale portata e
soprattutto non adeguatamente spiegate dal punto di vista concettuale e si
sbarazzerà del residuo meccanicista con cui si ipotizzava l'etere come una sorta di
mezzo elastico, che riempiva lo "spazio assoluto" di Newton, attraverso il quale si
sarebbe propagata la luce. Tale risultato fu raggiunto rivedendo criticamente i
concetti di spazio e tempo. Lo spazio e il tempo vengono misurati in maniera diversa a
seconda della velocità con cui si muovono i regoli e gli orologi, subendo una contrazione
delle lunghezze e una dilatazione del tempo.
Viene rivisto il concetto di simultaneità di due eventi che avvengono in due punti
diversi dello spazio.
Le velocità, se prossime a quella della luce, non si sommano e sottraggono nel modo
galileiano-newtoniano, ma in modo tale che la velocità della luce nel vuoto non possa
mai essere superata.
le
conseguenze
più
sorprendenti
della
Relatività
vi
è
la
Tra
equivalenza tra massa ed energia espressa dalla formula più famosa della Relatività:
E=mc2 , secondo la quale la massa di una certa quantità di materia può essere, in
opportune condizioni, trasformata in energia (e viceversa).
Il concetto di simultaneità.
Il primo mito sfatato da Einstein fu quello del tempo assoluto. Uno dei cardini della
fisica classica era la contemporaneità degli eventi fisici rispetto a tutti i sistemi di
riferimento; Einstein dimostrò illusorio questo principio con il ragionamento
dell'orologio a luce. Osserviamo prima che due eventi sono simultanei per un
osservatore nel proprio sistema di riferimento e non lo sono per lo stesso osservatore
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in un sistema di riferimento che si muove rispetto a lui con una data velocità.
Consideriamo l’osservatore F’ fermo nel sistema K’. Per sincronizzare due orologi
identici posti in A’ e B’, poniamo a metà strada, in M’, una sorgente luminosa che ad un
certo istante manda un flash. Poiché la luce si propaga nei due versi con la stessa
velocità, essa raggiungerà nello stesso istante gli orologi che saranno sincronizzati.
Consideriamo ora un osservatore inerziale F, che osserva F’ in moto con velocità V
verso destra. F vedrà il flash luminoso raggiungere prima A’ e dopo B’ per cui A’ parte
prima di B’ e gli orologi non sono sincronizzati.
Un « orologio a luce » misura il tempo attraverso la riflessione di un raggio di luce fra
due specchi piani e paralleli. Dati due orologi simili, in quiete, ben sincronizzati, la
partenza dei raggi di luce, la loro riflessione e la loro percezione saranno eventi
contemporanei. Ma se uno si muove di moto relativo rispetto all'altro, con velocità
uniforme v, che cosa accade?
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Per l’osservatore K il raggio di luce in K’ si muoverà secondo la traiettoria A’B’’A’’’,
mentre per K’ il raggio continuerà a muoversi ortogonalmente agli specchi. Sia t il
tempo misurato dall’orologio a luce in K per percorrere AB e t’ quello misurato
dall’orologio a luce in K’ per percorrere lo stesso spazio A’B’.
Per l’osservatore in K, essendo AB = A''B'' < A'B'' , sarà t < t’; ma se c dev’essere
costante in ogni sistema di riferimento, deve aversi:
A'B'' = c t, A''B'' = c t’ , A'A'' = v t
ma
A'B''2 = A''B''2 + A'A''2
da cui:
c 2 t2 = c2 t’2 + v2 t2
cioè:
( c2 – v2 ) t2 = c2 t’2
t'
ovvero:
t=
v2
1− 2
c
Tale relazione dice che v non può essere maggiore di c e che t è maggiore di t’, cioè,
per l’orologio in moto il tempo passa più lentamente (dilatazione dei tempi). Diremo
‘tempo proprio’ un intervallo tra eventi che nel sistema di riferimento considerato
avvengono nella stessa posizione (t’, nel caso di K’).
Il decadimento dei muoni.
Quando i raggi cosmici interagiscono con l’atmosfera, a circa 30 Km di altitudine, essi
danno luogo ai seguenti processi: p + n → p + p + π- , π- → µ- + ν µ
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I muoni prodotti hanno velocità molto prossime a quella della luce (> 0.999c).
Effettuando due misurazioni del decadimento dei muoni, la prima in alta montagna e la
seconda a livello del mare, i risultati che si osservano sperimentalmente sono diversi
da quelli che suggerirebbe la fisica classica, sottolineando il fenomeno relativistico
della dilatazione del tempo. Infatti, la vita media dei muoni in un sistema di
riferimento ad essi solidale, è di circa 2 microsecondi e in tale intervallo di tempo essi
possono percorrere una distanza pari a circa 600 m per cui non dovremmo mai
osservarli sulla superficie della Terra. In un sistema di riferimento solidale con la
Terra il tempo di decadimento è
τ = τ 0 / 1 − v 2 / c 2 = 2 ⋅ 10 −6 / 1 − 0.9995 2 ≅ 63µs
per cui percorre una distanza pari a circa 20 Km (calcoli più precisi danno spazi
maggiori di 30 Km) e quindi raggiungono la Terra; ciò che effettivamente si osserva.
Ma vediamo come differenti osservatori ragionerebbero. Se si usasse un approccio
non relativistico, il tempo necessario per percorrere 10 Km ad una velocità di 0.98 c
sarebbe 34 µs pari a circa 21.8 vite medie ( se assumiamo τ = 1.56 µs). Se abbiamo No
particelle a 10 Km il numero di particelle, N, che raggiungerebbe la Terra è dato dalla
legge
essendo la vita media, τ, uguale
N/No=2-21.8 = 0.27 10-6 cioè
dimezzamento, te, diviso il ln 2. Pertanto
sulla Terra 0.3 particelle per ogni milione.
Se si tiene conto della dilatazione dei tempi, un osservatore sulla Terra
avere una vita media più lunga perché il suo orologio va più lento: τ
al tempo di
arriverebbero
‘vede’ il muone
= γτo essendo
γ = 1 / 1 − v 2 / c 2 e nel nostro caso è circa 5 per cui τ = 7.8 µs e il tempo necessario per
arrivare sulla Terra sarebbe pari a circa 4.36 vite medie per cui N/No=2-4.36 = 4.9 10-2
e quindi raggiungerebbero la Terra 49000 particelle su un milione. Vediamo come
ragionerebbe un osservatore nel sistema di riferimento solidale con il muone. Egli
vede la distanza che lo separa dalla Terra contratta e data da L = Lo/γ = 2 Km per cui
il tempo necessario per attraversarla è
2000/0.98 c = 6.8 µs = 4.36 vite medie.
Pertanto il numero di muoni che raggiungerà la Terra sarà lo stesso di quello calcolato
dall’osservatore a Terra.
Paradosso dei gemelli.
Il rallentamento degli orologi è un fenomeno relativo. Il fenomeno si può riassumere
affermando che K vede l'orologio in quiete su K' rallentare mentre vede il proprio
orologio segnare il tempo normalmente. Analogamente K' vede rallentare l'orologio
solidale con K (e ciò nella stessa misura) e vede il proprio segnare il tempo
normalmente.
Questo perchè K e K' sono assolutamente equivalenti.
Consideriamo due gemelli, A e B. Supponiamo che B parta con una astronave ad una
velocità prossima a quella della luce, mentre A rimane a terra. Per la dilatazione dei
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tempi, A vede l’orologio che si muove con B, rallentare e così tutti i processi biologici,
fisici, ecc. B non vede nulla di strano, ma quando torna a terra sarà più giovane di A. Il
paradosso (che tale non è) sorge quando si considera il punto di vista di B che
vedrebbe A muoversi a velocità prossime a quella della luce e quindi dovrebbe essere
A a rallentare i processi biologici e ad essere più giovane. Il guaio è che B deve
accelerare per partire e, successivamente, cambiare la rotta per ritornare e
decelerare quando arriva sulla terra. Queste accelerazioni sono percepite da B e non
da A. Perciò, in realtà, i due osservatori non sono equivalenti ed è la conclusione di A,
che vede B più giovane, che è corretta. Una dimostrazione che tiene conto del fatto
che il sistema di riferimento di B è accelerato si fonda sulla teoria della relatività
generale e va oltre gli scopi di queste lezioni.
Contrazione della lunghezza.
Consideriamo un’asta in un sistema di riferimento K. Per misurare la sua lunghezza
possiamo usare un orologio a luce posto su di un estremo che manda un raggio di luce
verso l’altro estremo dove uno specchio lo riflette. L’orologio misura il tempo t di
andata e ritorno per cui L sarà uguale a: L=ct/2. Supponiamo ora che l’asta si muova in
un sistema di riferimento K’. Nell’andata il raggio percorre un tratto più lungo rispetto
a prima perché lo specchio riflettente si muove con velocità v. Se diciamo L’ la
lunghezza in K’ (come vista da K) il tratto sarà lungo L’ + vt1’ = ct1’; quando il raggio
torna indietro percorrerà un tratto più corto pari ad L’ – vt2’ = ct2’. Il tempo
complessivo sarà dato da:
t1’ +t2’ = L’/(c-v) + L’/(c+v) = 2cL’/(c2 – v2) = t’
da cui
L’ = ct’(1 – v2/c2)/2
t
Per K, t’ è dilatato e vale t' =
, per cui
v2
1− 2
c
ct 1 − v 2 / c 2
ct
v2
v2
L' =
=
1− 2 = L 1− 2
2 1 − v2 / c2
2
c
c
da cui L’ < L, cioè l’asta si contrae nella direzione del moto.
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14
Trasformazioni di Lorentz
Consideriamo i sistemi di riferimento in figura e diciamo K e K’ i due osservatori in O
ed O’, rispettivamente. Il punto P del sistema K corrisponde al punto P’ in K’ dove ha
ascissa x’. Per K la lunghezza x’ è accorciata e vale x' 1 − β 2 essendo β=v/c. D’altro
canto, tale quantità è anche uguale a OPx – OO’ = x –vt, per cui
x − vt
x − vt = x' 1 − β 2 ⇒ x' =
1 − β2
Le coordinate y’ e z’ non sono affette dal moto che avviene lungo x e pertanto sarà
y’ = y
z’ = z
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Vediamo quanto è lungo il segmento OPx per l’osservatore K’; poiché P coincide con P’ in
K’ e ha ascissa x’, OPx sarà uguale a x’ + vt’. D’altra parte la lunghezza x dell’ascissa di
P, K’ la vede contratta cioè pari a x 1 − β 2 , pertanto:
x’ + vt’= x 1 − β 2
Ma x' =
x − vt
1− β
2
per cui vt' +
x − vt
1− β
2
= x 1 − β 2 e quindi
vx
c2
t' =
1 − β2
t−
Queste trasformazioni furono trovate da Poincarè e da Lorentz. Le formule inverse si
trovano scambiando x con x’, t con t’ e v con -v
Se V = c, i denominatori si annullano. Ciò significa che
la velocità della luce non è
fisicamente raggiungibile da nessun sistema di riferimento inerziale rispetto ad un
altro. Nessun corpo può raggiungere la velocità della luce che rappresenta quindi un
limite naturale invalicabile. Se V è piccola si ritrovano le trasformazioni di Galileo.
Componenti della velocità
Consideriamo un oggetto che rispetto ad un osservatore che si trova in un sistema K’
si muova con velocità v, mentre K’ si muove con velocità u rispetto ad un osservatore K.
Vogliamo calcolare con quale velocità vx l’oggetto si muove rispetto a K. In K’ la
x’ = vx’t’.
componente della velocità è vx’ e lo spostamento, nel tempo t’, sarà
Vogliamo trovare una relazione tra x e t che ci dia vx. Sappiamo che
x=
x'+ ut '
1− β
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2
e
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quindi possiamo scrivere:
x=
v x ' t '+ ut '
1− β
uv t '
ux'
t '+ 2
t '+ x2'
c =
c .
tempo è: t =
1− β 2
1− β 2
Dividendo membro a membro abbiamo:
vx =
2
; ma la trasformazione di Lorentz per il
x u + v x'
=
uv
t
1 + 2x '
c
Se l’oggetto si muove rispetto a K’ con velocità c/2 e K’ si muove rispetto a K con
velocità c/2, con quale velocità vedrà K muoversi l’oggetto?
vx =
4
x u + v x'
c
=
= c;
=
1 5
uv
t
1 + 2x ' 1 +
4
c
se u=c e vx’= c, anche vx = c.
Supponiamo ora che l’oggetto si muova lungo y’ in K’ che si muove lungo x’.
vy’ = y’/t’, ma y’ = y e
t=
uv x ' t '
t'
c2 =
1− β 2
1− β 2
t '+
essendo vx’ = 0. Pertanto
y y'
=
1 − β 2 = v y' 1 − β 2
t t'
2
In maniera analoga, lungo z avremo: v z = v z ' 1 − β
vy =
Risulta evidente che quando la velocità u è trascurabile rispetto a c il fattore
relativistico tende a 1 restituendoci così le trasformazioni di Galileo.
Composizione delle velocità
Supponiamo che un punto si muova rispetto a K' con velocità v' e per semplicità
parallela all'asse delle x. Secondo la RG il punto verrà visto da K muoversi con velocità
v pari alla somma V + v'. Con semplici calcoli sulle trasformate di Lorentz si perviene
alla formula corretta :
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Massa inerziale.
Consideriamo un’automobile che urta contro un muretto. Se la sua quantità di moto
(p = mv) è piccola il muretto non si rompe e i danni all’auto sono trascurabili, ma se la
quantità di moto è elevata essa potrà sfondare il muretto trasferendo tutta la sua
quantità di moto.
Vediamo cosa ‘pensa’ un elettrone e che si muove come in figura ad una velocità
prossima a c. Per la dilatazione dei tempi, esso vedrà l’auto muoversi lentissimamente
verso il muretto e altrettanto lentamente la vedrà sfondarlo. E’ evidente che se la
velocità è bassa è necessaria una massa grande per dar luogo ad una grande quantità
di moto. Se l’effetto è lo stesso sia per l’automobilista che per l’elettrone (entrambi
vedono il muretto sfondato nello stesso modo con la differenza che il primo urta
velocemente e il secondo vede l’urto avvenire lentamente) le quantità di moto devono
essere le stesse:
mv = m’v’
ma v' = v 1 − β 2 per cui mv = m' v 1 − β 2 e quindi
m' = m / 1 − β 2
Dinamica relativistica.
Vediamo quale forma assumono le leggi della dinamica se si tiene conto delle
trasformazioni di Lorentz. Se diciamo mo la massa a riposo di un corpo (quella che ha
quando non è in moto), la massa che ha quando si muove con velocità v è:
mo
m=
v2
1− 2
c
r d(mvr )
La II legge della dinamica è: F =
dove ora la quantità di moto è data da:
dt
r
mo v
r
r
p = mv =
1 − β2
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essendo β = v / c . La quantità di moto si può ancora conservare ma con la nuova
definizione. Vediamo come varia la quantità di moto con la velocità. In fisica classica,
l’azione di una forza può far aumentare la velocità sino a valori maggiori di c e la
quantità di moto aumenta proporzionalmente. Relativisticamente, questo non può
accadere perché. quando v si avvicina a c, la radice tende a zero e la quantità di moto
tende ad infinito. L’azione di una forza fa crescere la quantità di moto; quando v si
avvicina a c, l’azione della forza non determina una accelerazione come conseguenza
della variazione di velocità (se non piccolissima), ma la quantità di moto aumenta. Il
fatto che l’azione della forza determina solo piccolissime variazioni di velocità
corrisponde all’azione su corpi aventi inerzia molto grande. Gli elettroni che girano nel
sincrotrone (macchina acceleratrice di particelle) hanno bisogno, per essere deflessi,
di un campo magnetico che è 2000 volte più intenso di quello calcolato con le leggi di
Newton; alle velocità raggiunte, gli elettroni hanno massa praticamente uguale a quella
del protone. Quando β è piccolo, si può dimostrare, che l’espressione della massa può
scriversi come:
m=
mo
⎛ v2 ⎞
= m o ⎜⎜1 − 2 ⎟⎟
⎝ c ⎠
−1 / 2
⎛ 1 v2 3 v4
⎞
= m o ⎜⎜1 +
+
+ .....⎟⎟
2
4
8c
⎝ 2c
⎠
v2
c2
Questa espressione rappresenta lo sviluppo in serie di potenze e ogni addendo in più
che consideriamo migliora l’approssimazione con cui calcoliamo il primo membro; se β è
piccolo, possiamo fermarci ai primi due e scrivere:
1
⎛ 1⎞
m = mo + mo v2 ⎜ 2 ⎟
2
⎝c ⎠
Questa espressione esprime l’aumento di massa che si ha, per esempio, considerando
le molecole di un gas che viene riscaldato. Se si aumenta la temperatura, aumenta la
velocità media delle molecole e quindi la massa. Possiamo dire che l’aumento della
massa del gas è dato dall’aumento di energia cinetica delle molecole diviso c2. Possiamo
giustificare la precedente espressione tenendo conto che il prodotto (1-x)(1+x/2)2 è
circa 1 se x<< 1. Infatti:
1−
2
⎛
x2 ⎞
x2
x3
3
x3
⎟⎟ = 1 + x +
= (1 − x )⎜⎜1 + x +
− x − x2 −
= 1− x2 −
≈1
4
4
4
4
4
⎝ 2⎠
⎝
⎠
se x è molto minore di 1. Possiamo perciò scrivere:
1
x
≈ 1+
2
1− x
2
Se poniamo x=β , otteniamo:
⎛
mo
v2 ⎞
⎜
≈ m o ⎜1 + 2 ⎟⎟
m=
2
1− β
⎝ 2c ⎠
(1 − x )⎛⎜1 + x ⎞⎟
In figura è riportato l’andamento della massa in funzione della velocità.
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Equivalenza massa – energia.
L’espressione precedente della massa può essere riscritta come:
1
mc 2 = m o c 2 + m o v 2 + .....
2
Einstein interpretò il primo membro di questa relazione come l’energia totale di un
corpo costituita da una energia a riposo pari a moc2 più la sua energia cinetica.
Quindi E = mc2. In una bomba atomica, il residuo dopo l’esplosione è 1 grammo più
leggero equivalente all’energia prodotta. Quando un elettrone e un positrone
s’incontrano, essi si disintegrano e danno luogo a due raggi gamma di energia pari a
quella che avevano le particelle.
La legge di conservazione della massa stabilita nel XVIII secolo dal chimico francese
Lavoisier, viene da Einstein sostituita con la legge di conservazione della massaenergia: in qualunque processo è la somma delle masse e delle energia che si conserva.
La relazione di Einstein prevede quindi che la massa si possa trasformare in energia e
viceversa.
Nell’urto elettrone – positrone, quest’ultima è l’antiparticella dell’elettrone. La
collisione materia – antimateria libera una energia pari alla loro energia a riposo; 1
grammo di materia si convertirebbe in 10-3 Kg x 9 1016 = 9 1013 J che è circa l’energia
liberata in una bomba atomica.
Consideriamo le espressioni della quantità di moto e dell’energia:
r
mo v
moc2
r
r
p = mv =
,
E = mc 2 =
1 − β2
1 − β2
Ricavando v dalla prima e sostituendo nella seconda, troviamo
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E = c p 2 + m o2 c 2
Questa relazione ci dice che anche una ipotetica particella senza massa a riposo
avrebbe una energia E = cp. In realtà una tale particella è il fotone, particella legata
alle onde elettromagnetiche, che porta una energia che lo stesso Einstein le attribuì
studiando l’effetto fotoelettrico; tale energia vale hν, essendo h la costante di Planck
pari a 6.665 10-34 Js (l’unità di misura è joule per secondo) e ν la frequenza dell’onda
elettromagnetica. Perciò il fotone ha una quantità di moto
p= hν/c e una massa
2
dinamica pari a hν/c . Le particelle con massa a riposo nulla possono muoversi alla
velocità della luce, tutte le altre no.
L'APPROCCIO GEOMETRICO
La Relatività ristretta subì essa stessa una sorta di riconcettualizzazione quando
Hermann Minkowski (1864-1909) che era stato uno dei « maestri eccellenti » di
Einstein ne diede una rappresentazione in uno spazio-tempo a quattro dimensioni
(spazio di Minkowski) in cui il tempo rappresentava la quarta dimensione che veniva ad
aggiungersi alle tre dimensioni dello spazio ordinario. Ciò è giustificato dal fatto che
spazio e tempo sono ‘mescolati’ nelle trasformazioni di Lorentz.
Si può allora definire lo spazio-tempo come una varietà geometrica a 4 dimensioni. Un
evento è in esso rappresentato dalle 4 coordinate x, y, z, t prese rispetto ad un
sistema di riferimento inerziale scelto a priori. Un corpo che si muove nello spaziotempo descrive in esso una linea che è chiamata linea di universo. Due eventi diversi
corrispondono a due punti diversi dello spazio-tempo 4-dimensionale. Fra di essi si
può definire un concetto di distanza in modo che, se due eventi sono collegati fra loro
da un raggio di luce, questa distanza sia nulla.
La metrica di questo spazio è definita dalla relazione:
ds2 = c2dt2 – dx2 – dy2 – dz2
essendo ds la distanza fra i due eventi molto vicini P1(x1,y1,z1,t1) e P2(x2,y2,z2,t2)
relativi ad un dato sistema di riferimento inerziale. dt rappresenta l'intervallo di
tempo fra i due eventi, ovvero t2 - t1. dx, dy, dz rappresentano le differenze fra
le coordinate spaziali di P1 e P2 .
La distanza spaziale ordinaria dl (al quadrato) fra i due eventi si ricava applicando il
teorema di Pitagora ed è :
dl2 = dx2 + dy2 + dz2
Se i due eventi sono collegati da un raggio di luce (il raggio parte da A1 al tempo t1 e
giunge in A2 al tempo t2) allora ds2 = 0.
Se ds2 > 0 l'intervallo si dice di tipo tempo. Se ds2 < 0 l'intervallo si dice di tipo
spazio. Perciò gli intervalli possono essere sia reali che immaginari.
La linea d’universo di una particella ferma in un certo punto dello spazio sarà parallela
all’asse dei tempi.
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21
ct
xo
Se si muove verso destra avremo una linea d’universo inclinata e se si muove
accelerando e poi rallentando dovremmo avere qualcosa di simile alla linea curva. La
luce, avendo velocità fissa ha una linea d’universo con una precisa inclinazione (linea
tratteggiata). Se consideriamo il quadrato della distanza tra due punti nello spazio
ordinario d2 = x2 + y2 + z2, questa è invariante per differenti sistemi di riferimento.
Nello spazio-tempo è invariante la quantità
c2t’2- x’2 - y’2 - z’2= c2t2 - x2 - y2 - z2
come si può facilmente verificare usando le trasformazioni di Lorentz.
Un intervallo nello spazio-tempo può essere positivo, negativo o nullo. Nello spazio a 4
dimensioni avremmo due coni di luce che possiamo rappresentare su un foglio di carta
con due linee a 45° i cui punti sono ad intervallo nullo dall’origine.
Analizziamo le curve di tipo luce. La condizione ds2=0 puo' essere riscritta come
dx 2 + dy 2 + dz 2
=1
c 2 dt 2
→
dx 2 + dy 2 + dz 2
= ±1 ovvero →
cdt
dx 2 + dy 2 + dz 2
= ±c
dt
Al primo membro abbiamo il rapporto tra lo spazio percorso in un intervallo di tempo
infinitesimo e l'intervallo di tempo stesso. Ma questa non è altro che la definizione di
velocità istantanea. Conseguentemente le particelle che si muovono lungo una
traiettoria di tipo luce sono quelle che soddisfano la relazione v = c e quindi i fotoni.
Si deduce quindi immediatamente che: La luce si muove nel diagramma spazio-tempo
seguendo traiettorie che annullano l'intervallo spazio-temporale. Il luogo geometrico
dei punti dello spazio-tempo che soddisfano la condizione ds2=0 è chiamato
convenzionalmente CONO DI LUCE (anche se, formalmente, sarebbe un ipercono). Se
consideriamo uno spazio-tempo 3D (ad esempio imponendo dz=0) il cono di luce
coincide con un cono geometrico, come è evidente dal seguente grafico.
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La quantità invariante s2 = x2 + y2 + z2 - c2t2 può essere considerata come il modulo al
quadrato di un quadrivettore di componenti x, y, z, ict, essendo i l’unità immaginaria,
nello spazio quadridimensionale.
Relatività Generale
Limiti della relatività ristretta.
La meccanica classica aveva stabilito l’invarianza delle leggi della meccanica per
osservatori inerziali, cioè, per osservatori in moto relativo uniforme, mentre le leggi
dell’elettromagnetismo sembravano valere solo in un sistema assoluto in cui la luce si
muoveva con velocità pari a 300000 Km/s. La relatività ristretta ha superato questa
difficoltà stabilendo l’invarianza delle leggi sia della meccanica che
dell’elettromagnetismo rispetto ad osservatori inerziali. Einstein si pose il problema
del perché non fosse opportuno e più generale cercare di esprimere le leggi della
fisica in forma invariante rispetto a qualunque sistema di riferimento sia esso
inerziale sia muoventesi con data accelerazione. Se stiamo in un treno che accelera o
decelera ci accorgeremo di essere in un treno in moto a differenza di quando esso si
muove di moto uniforme nel qual caso non riusciamo a capire se siamo fermi o in moto.
Massa inerziale e gravitazionale.
La massa inerziale è la misura dell’inerzia posseduta da un corpo ovvero della tendenza
che esso ha di permanere nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. La
forza necessaria per deviare o per fermare un corpo che si muove di velocità costante
o per mettere in moto un corpo inizialmente fermo, è più o meno grande a seconda
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dell’inerzia del corpo. Definiamo operativamente la massa inerziale applicando forze e
misurando accelerazioni; su uno stesso corpo troviamo che il rapporto
forza/accelerazione è costante (se v << c). Tale risultato è espresso dalla II legge
r
r
della dinamica : F = mi a
La massa gravitazionale è la proprietà che i corpi hanno d’interagire
gravitazionalmente con qualunque altro corpo; è una proprietà che si manifesta in
r
m g1 m g 2
û , essendo û il versore della
quanto attratto da un altro corpo: F = −G
2
r
r
direzione che va da 2 verso 1 se F è la forza agente su mg1 .
Il principio di equivalenza.
Einstein ipotizzò che massa inerziale e massa gravitazionale dovessero essere aspetti
diversi di un medesimo fenomeno. Questi due concetti vengono definiti considerando
per il primo, sistemi inerziali e per il secondo sistemi in moto accelerato.
Consideriamo una regione dello spazio in cui non esista interazione gravitazionale per
cui le masse dei corpi sono solo inerziali. Immaginiamo il seguente esperimento. Un
osservatore A vede una cabina e tramite un monitor ciò che accade al suo interno.
Supponiamo che la cabina venga sottoposta ad una forza costante verso l’alto che la fa
muovere di moto accelerato.
A
Un osservatore B nella cabina, che ignora di essere soggetto ad una forza verso l’alto,
abbandonando degli oggetti li vedrà ‘cadere’ sul pavimento e quindi penserà che esiste
un campo gravitazionale, mentre A spiegherà il fatto che gli oggetti incontrano il
pavimento perché questo si muove verso l’alto. Entrambe le descrizioni sono corrette;
per A, la cabina si muove di moto accelerato verso l’alto e non c’è campo
gravitazionale, per B, la cabina è a riposo e c’è un campo gravitazionale. Si consideri,
ora, una cabina contenente un osservatore B e vari oggetti, posta all’ultimo piano di un
grattacielo molto alto. Supponiamo che il cavo si spezzi e un osservatore A posto a
terra vedrà la cabina attratta dalla Terra e cadere. Se B abbandona un oggetto non lo
vedrà raggiungere il pavimento, ma rimarrà all’altezza da cui l’aveva abbandonato. Gli
oggetti nella cabina hanno per B una massa inerziale e non gravitazionale. Se B dà ad
un oggetto una spinta, egli lo vedrà muoversi di moto rettilineo uniforme finchè non
incontra un ostacolo. L’osservatore A compone sia il moto uniforme rispetto alla cabina
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che quello uniformemente accelerato rispetto al grattacielo e quindi si ha una
traiettoria parabolica. Perciò per A il moto è conforme all’azione della gravità, per B il
moto si svolge in un sistema inerziale. Le due descrizioni sono equivalenti: per B,
cabina in quiete ed assenza di campo gravitazionale, per A, cabina in moto e presenza
di campo gravitazionale.
Principio di equivalenza: gli effetti della gravitazione e del moto uniformemente
accelerato sono equivalenti e non è possibile distinguerli senza ricorrere a riferimenti
esterni.
L’equivalenza degli effetti della gravitazione e del moto curvo si ha anche
considerando una giostra ruotante con velocità costante, assunta lontana da campi
gravitazionali sulla quale si trova un osservatore B isolato da pareti dall’esterno; un
osservatore A, tramite un monitor collegato con l’interno della giostra, può osservare
ciò che accade. B, che si ritiene fermo nel sistema di riferimento solidale con la
giostra, vede alcuni oggetti muoversi di moto uniformemente accelerato verso il bordo
della giostra e attribuisce tale moto all’azione gravitazionale di corpi posti oltre le
pareti delimitanti la giostra. L’osservatore A attribuisce il moto dei corpi alla forza
centrifuga dovuta alla rotazione. Le due descrizioni sono equivalenti: non c’è modo di
distinguere la gravitazione dal moto curvilineo se non si fa riferimento a qualcosa di
esterno alla giostra.
Inerzia e gravità non hanno quindi una realtà fisica assoluta: un campo inerziale per un
osservatore, è gravitazionale per un altro. L’ascensore in caduta libera è inerziale per
chi è dentro e gravitazionale per chi è fuori; la cabina tirata in alto è gravitazionale
per chi è dentro e inerziale per chi è fuori.
Deflessione dei raggi luminosi.
Consideriamo una cabina lontana da campi gravitazionali, in salita e priva di una parete
laterale. Un osservatore A, esterno alla cabina, lancia un sasso orizzontalmente verso
l’interno della cabina. Il sasso descriverà la traiettoria rettilinea MNP. Per
l’osservatore B, interno alla cabina che si muove verso l’alto, vedrà il sasso descrivere
la traiettoria M’N’P’ che è la stessa che si avrebbe se il sasso fosse soggetto ad un
campo gravitazionale. Se invece del sasso si considera un raggio luminoso, concludiamo
che la luce subisce una deflessione quando attraversa un campo gravitazionale.
Osservatore A
M
N
P
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Osservatore B
M’
M’
M’
N’
P’
Si è visto sperimentalmente che la luce subisce una deflessione soggetta all’azione di
un intenso campo gravitazionale. Eseguendo nell'ambito della teoria della relatività
generale il calcolo della deviazione subita da un raggio di luce transitante in vicinanza
del Sole si ottiene il risultato di circa 1.75 secondi di arco.
Nella parte (a) della figura , l'osservatore O osserva la stella S, secondo la direzione
OS. Nella parte (b) la stessa stella, avente direzione originale SK, viene osservata
durante una eclisse totale di Sole, ma perviene all'osservatore O secondo la visuale
MO, perché il raggio originale SM subisce la deviazione angolare SMO. L'angolo S1MS,
fu misurato durante una eclisse totale nel 1919 e durante altre eclissi successive, e fu
trovato effettivamente di circa 1.75 secondi arco, in accordo con il calcolo previsto
secondo la teoria della relatività generale.
Gravità e curvatura dello spazio-tempo.
Nel 1916 Einstein espose la teoria della relatività generale. Essa si basa su alcuni punti
fondamentali:
la presenza di masse provoca l’incurvamento dello spazio-tempo;
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lo spazio-tempo, curvato dalla presenza di masse, reagisce imponendo alle masse come
muoversi
I corpi soggetti alla gravità, devono essere considerati come particelle libere che
seguono traiettorie, dette geodetiche dello spazio-tempo
Spazi piatti e spazi curvi.
Per millenni l’unico spazio preso in considerazione dai matematici è stato quello
euclideo tridimensionale per il quale vale il postulato delle parallele (per un punto
passa una ed una sola retta parallela a una retta assegnata). In tale spazio,
congiungendo tre suoi punti qualsiasi, si ottiene un triangolo nel quale la somma dei tre
angoli interni è esattamente un angolo piatto.
Nei primi decenni del secolo XX, alcuni matematici, modificando il postulato euclideo
delle parallele, pervennero a definire spazi diversi da quello euclideo. Nella teoria
geometrica generale di Riemann, per ogni spazio si può definire una sua proprietà,
detta curvatura. Secondo la teoria, spazi a geometria ellittica hanno curvatura
positiva (in essi la somma degli angoli interni di un triangolo qualsiasi è maggiore di
angolo piatto). Spazi a geometria iperbolica hanno curvatura negativa (somma degli
angoli interni di un triangolo qualsiasi è minore di un angolo piatto). Questi due tipi di
spazi sono detti curvi. Spazi come quello tridimensionale euclideo, o quello
quadridimensionale di Minkovsky hanno curvatura nulla e sono detti piatti (somma degli
angoli interni di un triangolo qualsiasi è esattamente un angolo piatto).
Equazioni del campo di Einstein.
Nella relatività ristretta lo spazio-tempo è piatto. Nella relatività generale esso
dipende dalla distribuzione delle masse. Nota la distribuzione delle masse, l’equazione
del campo di Einstein permette di calcolare la geometria dello spazio-tempo
risultante.
Curve geodetiche.
La linea che unisce due punti di un dato spazio secondo un percorso minimo è detta
geodetica. Nello spazio euclideo, a due o tre dimensioni, le geodetiche sono rette. Su
una superficie sferica (che è bidimensionale) le geodetiche sono cerchi massimi.
Consideriamo due punti materiali situati sull’equatore terrestre e separati da una
certa distanza. Supponiamo che i due punti procedano rigorosamente entrambi verso
nord. Un osservatore esterno, notando il loro progressivo avvicinamento, potrebbe
essere indotto a ritenere che tra i due punti si eserciti una forza attrattiva. Invece
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sappiamo che l'avvicinamento è dovuto alla curvatura della superficie su cui i due punti
si muovono: essi si muovono secondo le geodetiche dello spazio al quale appartengono.
Per avere un’idea della curvatura dello spazio-tempo pensiamo a due palle massive
posate su un telo teso. Le due masse deformano il telo in tutti i punti di contatto e la
deformazione si trasmette ad altri punti del telo. La deformazione del telo si ritorce
sulle due palle obbligandole a muoversi fino a raggiungere una posizione di riposo. Il
movimento delle due palle per raggiungere la posizione di riposo avviene secondo le
geodetiche proprie di quello spazio deformato.
Relativita' ristretta e generale.
In relatività ristretta, gli effetti si rendono evidenti quando ci si avvicina alla velocità
della luce, in relatività generale, gli effetti diventano sensibili quando si ha a che fare
con grandi masse e con grandi densità di materia. Partendo dalle equazioni di campo di
Einstein, è possibile dimostrare che in un universo quasi piatto, quale quello in
vicinanza Terra, la curvatura dello spazio-tempo produce effetti praticamente
indistinguibili da quelli risultanti dalle leggi newtoniane. Quindi la teoria di Einstein
completa quella di Newton e la contiene come caso particolare. Per la maggior parte
dei fenomeni terrestri è sufficiente applicare le leggi di Newton.
‘Redshift’ (Spostamento verso il rosso) gravitazionale.
La teoria della relatività generale prevede un redshift gravitazionale, cioè uno
spostamento verso il rosso della frequenza della luce che parte da una stella e arriva a
noi. Sappiamo che (1) la luce trasporta energia, che (2) massa ed energia sono
equivalenti e (3) che il campo gravitazionale agisce sulle masse. Questo agisce anche
sulla luce per cui la luce che parte da una stella e che arriva fino a noi, subisce
l'influenza della gravità per cui la frequenza di arrivo è minore (spostata verso il
rosso) di quella di partenza.
Onde gravitazionali.
Essendo la geometria spazio-tempo di una regione funzione della distribuzione delle
masse, una variazione brusca della loro distribuzione deve causare una perturbazione
nella geometria dello s-t, perturbazione che si deve trasmettere a velocità c. Si
dovrebbe una perturbazione che si propaga come onda gravitazionale. Questa brusca
perturbazione della geometria dello s-t potrebbe, ad esempio, porre in oscillazione una
massa oppure potrebbe far variare la distanza tra due masse. Purtroppo le onde
gravitazionali interagiscono molto debolmente con la materia. Ad esempio, un’onda che
attraversi il Sole perderebbe soltanto una parte su 1016 della sua energia. Onde
gravitazionali di intensità relativamente elevata potrebbero essere causate dall'
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esplosione di supernovae. La probabilità che un tale evento si abbia nelle nostre
regioni dell'universo è molto bassa. Finora nessun esperimento è stato in grado di
rilevare onde gravitazionali. Per ora sono stati notati soltanto effetti indiretti di onde
gravitazionali; ad esempio, perdita di energia da un sistema binario di stelle che,
ruotando rapidamente, emette onde gravitazionali.
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