Musica | Un secolo di note azz J Roberto Franchini, giornalista ed esperto di comunicazione, racconta una sua grande passione ( a qualcuno piace modenese ) Interessanti e curiosi, in molti casi pressoché sconosciuti e dimenticati. In questo raro scatto dello studio Bandieri il dancing Grosoli a San Damaso di Modena, dopo il 1935 (forse il 1939). L’immagine proviene dal Fondo Panini presso Fondazione Fotografia. A destra, Roberto Franchini 72 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2017 Sono gli aneddoti e i racconti che si affacciano dalle pagine di «Cento anni di jazz a Modena». Tra big band e solisti, festival all’aperto e concerti in teatro. Il viaggio tra swing di un tempo e improvvisazioni d’oggi è un’occasione per conoscere meglio la città e i suoi gusti di Stefano Marchetti bbene sì, anche Louis Armstrong venne a farci visita. Una prima volta il 18 dicembre 1955 per un doppio concerto (ovviamente attesissimo) al teatro Comunale di Modena, e poi di nuovo nel febbraio del 1968, a pochi giorni dal festival di Sanremo, per registrare i jingle per alcuni caroselli negli studi di produzione di Paul Campani. E si portò a casa anche la Secchia rapita, quella in miniatura che gli amministratori comunali gli consegnarono in pompa magna: ancora oggi quel singolare souvenir fa parte delle collezioni della casa museo di New York, emblema di una storia geminiana di cui anche il mitico Satchmo ha fatto par- E MARZO/APRILE 2017 - OUTLOOK 73 Musica | Un secolo di note te, seppure nel tempo di una toccata e fuga. Icona del XX secolo, leggendario, inarrivabile, Louis Armstrong entra dunque di diritto nella galleria di protagonisti dei «Cento anni di jazz a Modena» che Roberto Franchini, giornalista, scrittore ed esperto di comunicazione, dal 1998 presidente della Fondazione San Carlo, ripercorre in un libro edito da Artestampa. Una ricerca ricca di perle, riscoperte, aneddoti e suggestioni: un percorso, ma anche un album, costellato di stelle e comprimari, grandi orchestre e piccole band. Con un bel ritmo. Che Modena sia la città del bel canto è storia nota, grazie a personalità di prima grandezza come Luciano Pavarotti, Mirella Freni o Raina Kabaivanska. Che Modena abbia pure un’anima rock, lo raccontano per esempio le vicende legate alla nascita del beat italiano, così come i successi del «komandante» Vasco. Ma che Modena sia una città jazz, beh, quello forse ci sfuggiva. «E in effetti, in Emilia-Romagna, il jazz si lega maggiormente ad altri luoghi», ammette Franchini. «Bologna, per esempio, può vantare un festival jazz di caratura internazionale. E fra le 195 «Great jazz venues» elencate dalla storica rivista «Downbeat» compaiono sono soltanto quattro club italiani, e due sono della nostra regione, ma in altre province: la Cantina Bentivoglio di Bologna e il Torrione di Ferrara». Tuttavia anche Modena ha ospitato grandi firme del jazz, e sui suoi palcoscenici (più o meno canonici) ha ascoltato e visto crescere talenti. Una storia del jazz sotto la Ghirlandina, però, non era mai stata affrontata: «Ho voluto cimentarmi in questa impresa, perché per me il jazz è una passione che dura da almeno 45 anni. Nel jazz trovo al contempo ordine e libertà, la partitura e l’improvvisazione, la valorizzazione dell’individuo nel collettivo, e un fattore ritmico fondamentale». Il jazz, come ci ha ricordato «La la land», film campione d’incassi e di premi, è soprattutto una questione di feeling, di anima. E anche d’amore. Se il primo disco di jazz venne inciso proprio un secolo fa, nel febbraio 1917, da Nick La Rocca, siciliano di New Orleans, a Modena il jazz mosse i primi timidi passi qualche anno più tardi, attorno al 1924, quando al salone Tersicore di via Malmusi (dove poi venne costruito il cinema Olympia, oggi chiuso) si affacciò l’orchestra Annigoni, che dall’America aveva portato nientemento che la batteria. La radio ancora non c’era, e la musica era soprattutto quella che si ascoltava e si ballava nelle feste: non solo valzer e mazurke, ma anche fox trot e one step. «Fu proprio quel ritmo il ponte che permise il passaggio del jazz e delle prime indefinibili jazz band», annota Franchini. Anzi, poter annunciare sui manifesti la presenza del jazz band (sì, al maschile) era un 74 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2017 Louis Armstrong negli studi della Paul Film nel febbraio 1968: il celebre trombettista statunitense era in Italia per partecipare al Festival di Sanremo e a Modena registrò i jingle per alcuni caroselli, che tuttavia non furono poi realizzati e diffusi motivo di vanto: così faceva nel 1928 il Gran Caffè Savoia, e allo stesso modo sul palco dello Storchi saliva la Compagnia Italiana Super Sketch con «diavolerie e acrobazie musicali». Quasi immancabilmente la musica jazz era descritta come indiavolata: «Di certo, già agli inizi degli anni Trenta la parola jazz era entrata nel linguaggio comune, quantomeno in quello della piccola e media borghesia cittadina», scrive Franchini. Lo confermano anche i disegni che l’inconfondibile Mario Molinari aveva realizzato per «La Settimana Modenese», con tanto di rime baciate, alla maniera del Signor Bonaventura: «Se volete un’orchestra, ma di grido / correte tutti al Tabarin del Lido». Già, perché prima di essere musica da ascolto, il jazz si affermò come musica da ballo: in autunno e in inverno c’erano la sala Tersicore e lo Storchi, e in estate i ritrovi all’aperto, come quelli lungo i viali del parco cittadino. E negli anni fra le due guerre, si continuò a seguire il ritmo di questa musica moderna, «prodotto tipico della nostra generazione eroica, violenta, prepotente, bruta- Modena è più la città del bel canto che del jazz: «In Emilia-Romagna, in effetti, si lega maggiormente ad altri luoghi», ammette l’autore del libro Roberto Franchini. «Bologna, per esempio, può vantare un festival jazz di caratura internazionale». Ma anche il capoluogo modenese ha ospitato grandi firme del jazz e sui suoi palcoscenici ha ascoltato e visto crescere talenti In città gli anni Cinquanta videro grandi eventi jazz, come «The Harlem Melody», il primo vero spettacolo musicale nero giunto in Italia nel dopoguerra o il Festival nazionale del jazz al teatro Comunale di Modena nel 1954. «Fra i protagonisti», ricorda Franchini, «la Milan College Jazz Society, il quartetto del trombettista Nunzio Rotondo e la giovane New Emily Jazz Band, fondata dall’avvocato Romolo Grande» In questa pagina due opere dell’illustratore e vignettista modenese Mario Molinari MARZO/APRILE 2017 - OUTLOOK 75 Musica | Un secolo di note le, ottimista, antiromantica», scrisse nel 1926 il compositore e direttore d’orchestra Franco Casavola. «Il regime fascista mantenne un atteggiamento ambiguo verso il jazz», spiega Franchini. «Da un lato esprimeva avversione, legata alla pubblica moralità e soprattutto a questioni di politica estera; dall’altro, in qualche modo tollerava una musica che piaceva e che esprimeva novità e modernità». Anche a Modena, così, gruppi e big band continuarono a esibirsi: anzi, le cronache riportano che il 13 novembre 1940, quando già l’Italia era in guerra, allo Storchi arrivò la compagnia di riviste di Renato Maddalena, con l’orchestra di Gorni Kramer, eccezionale fisarmonicista mantovano, e i «suoi dodici pazzi per la musica». «Kramer è la rivelazione più grande che si sia mai avuta in questo campo: chi potrebbe imitare le sue improvvisazioni?», si legge in una recensione dell’epoca. Con la fine della guerra e il desiderio di tornare a vivere e a sorridere, anche il jazz conobbe la sua fioritura. E fu proprio nel dopoguerra che sbocciò anche la vena artistica di Pippo Casarini, classe 1924, pianista di vaglia, con una passione per la musica sincopata e il jazz: nel 1946 lanciò lo Spirù che divenne il suo portafortuna, e con la sua orchestra iniziò a percorrere le strade (e i mari) del mondo, dai nightclub alle navi da crociera. Andò in tournée anche con Kramer e si esibì in concerti con alcuni solisti della band di Louis Armstrong, oppure in duo con l’amico Paolo Marenzi, altro portabandiera e profondo conoscitore del jazz. Qualche anno dopo, Pippo Casarini è diventato il signor «44 gatti», dal titolo della canzoncina che vinse lo Zecchino d’oro nel 1968 ed è ormai un classico della musica italiana, non solo per bambini. Gli anni Cinquanta furono ruggenti, ricorda Franchini, anche grazie ad alcuni eventi di spicco come «The Harlem Melody», il primo vero spettacolo musicale nero giunto in Italia nel dopoguerra (presentato allo Storchi nel novembre 1953), o il Festival nazionale del jazz che si tenne al teatro Comunale di Modena il 13 e 14 novembre 1954: fra i protagonisti, la Milan College Jazz Society (che, come ci mostrano i fotogrammi di un cinegiornale Luce, arrivò in treno, e già alla stazione suonò affacciata ai finestrini), il quartetto del trombettista Nunzio Rotondo, e la ancora giovane New Emily Jazz Band, fondata dall’avvocato Romolo Grande, che negli anni sarebbe diventata una gloria modenese. Ne ha scritto anche Beppe Zagaglia, nei suoi diari di casa nostra: «Io credo di essere uno dei pochi che non ha mai suonato, perché allora, attorno a Romolo, sono passati molti miei amici che non conoscevano la musica e non sapevano suonare, ma era come nei film di Pupi Avati: ascoltava- 76 OUTLOOK - MARZO/APRILE 2017 «L’arrivo del rock and roll fu un uragano che squassò dal profondo la società dei consumi italiani», conferma Roberto Franchini. Il jazz poteva sembrare la musica dei giovani ma si avvertiva già il richiamo di Elvis Presley, dei Beatles e del beat, che proprio a Modena ebbe la sua culla italiana. «Da quando il rock ha bruciato in velocità il jazz, non c’è più stata gara, almeno sotto il profilo della popolarità» La copertina del libro di Roberto Franchini, edito da Artestampa no un brano di un disco e lo ripetevano a orecchio fino a che non lo avevano imparato». Il 1955, poi, fu suggellato dal doppio concerto di Armstrong, sempre al Comunale, con il pubblico in visibilio fra «C’est si bon» o «La vie en rose». E nel 1959, sempre al teatro municipale, grazie alla collaborazione con il jazz festival di Bologna, suonò anche il grande trombettista Chet Baker. Ma già qualcosa stava cambiando, nel mondo e nella musica. «E in effetti il 1956 fu l’anno del rock and roll, un uragano che squassò dal profondo la società dei consumi italiani», aggiunge Roberto Franchini. E se ancora nel 1955 il jazz poteva sembrare la musica dei giovani, già dai mesi successivi si cominciò a capire che le nuove generazioni avrebbero preso un’altra strada, quella che avrebbe portato verso Bill Haley ed Elvis Presley, Little Richard, Chuck Berry, e poi i Beatles e al beat, che proprio a Modena ebbe la sua culla italiana. E allora, «il jazz, via via, è stato considerato una musica per intellettuali borghesi, mentre il rock era più vicino ad altre classi sociali: gli operai suonavano la chitarra», osserva Franchini. Lo aveva notato anche Francesco Guccini che nel 1960, a vent’anni, aveva intervistato per la «Gazzetta» i suoi coetanei modenesi: «Gli stanchi del portico del collegio hanno paura di essere conformisti», scriveva. Molti fra i ragazzi di allora erano davanti a quel bivio, e certamente il jazz poteva sembrare loro più conformista, rispetto ad altri generi. Intanto, sempre nel 1960, Guglielmo Zucconi, scrittore e giornalista modenese, autore anche di riviste teatrali, firmava con il batterista Gilberto Cuppini il primo esempio italiano di «Jazz and Poetry», una poesia con il passo del jazz: i versi composti da Zucconi (e dedicati proprio alla batteria) vennero incisi con la voce dell’attrice di Liliana Feldmann che li recitava su uno sfondo sonoro creato da Cuppini. Un curioso esperimento. Nonostante le stagioni teatrali modenesi abbiano privilegiato altre forme di spettacolo, dalla prosa all’opera lirica, il jazz ha ripreso a veleggiare negli anni Settanta, dopo un lungo periodo di silenzio: nel 1973 il Comunale ospitò una lezione-concerto di Giorgio Gaslini, e in quell’estate anche piazza Grande divenne palcoscenico di note d’autore, con la Dixieland All Stars e Bill Coleman come artista ospite. Poi, l’anno successivo, si affacciò sotto la Ghirlandina anche il sassofonista Gerry Mulligan. Il jazz fece capolino pure nelle neonate maxidiscoteche, come il Picchio Rosso di Formigine, dove Romolo Grande riuscì a radunare Henghel Gualdi, Lara Saint Paul, la Portobello Jazz Band di Lino Patruno e il quintetto del pianista Romano Mussolini. Anche il Charlie Max di Modena (dove pure Vasco Rossi faceva il dj) e il Kiwi di Piumazzo aprirono le porte a improvvisazioni Dall’alto: la New Emily Jazz Band, fondata da Romolo Grande, e il quartetto di Nunzio Rotondo sul palco del teatro Comunale per il Festival del Jazz 1954 (fotogrammi da un cinegiornale Luce); la New Emily nel 2001; Chet Backer all’ex caserma Santa Chiara nel 1987; Gerry Mulligan in piazza Grande nel 1994 MARZO/APRILE 2017 - OUTLOOK 77 Musica Un’esperienza consolidata nel campo dei servizi alle imprese con particolare riguardo all’elaborazione delle buste paga e all’amministrazione del personale. Un team di professionisti che mettono a disposizione competenze mirate e operano in stretta collaborazione con Confindustria Modena CONTATTI Confindustria Servizi Modena srl - C.so Cavour, 56 - 41121 Modena - tel. 059 4228300 - fax 059 4228390 www.confindustriaservizimodena.it - e-mail: [email protected] Per maggiori informazioni sui servizi ed eventuali preventivi: Confindustria Modena - Area Marketing Associativo - Tel. 059 448361 e-mail: [email protected] • Immergiti nel nuovo benessere Da oggi Aqua Equilibra propone una nuova esperienza di cura di sé, basata sulle proprietà dell’acqua salata: riscaldata a 30° l’acqua salata svolge tracce.com e jam session. Ma da quando il rock ha «bruciato in velocità» il jazz, «non c’è più stata gara, almeno sotto il profilo della popolarità», è l’analisi di Franchini. «E il solco scavato si è fatto incolmabile negli anni Ottanta, con i concerti degli U2 allo stadio Braglia, di Sting, dei Simple Minds, di Prince, dei Pink Floyd, di Bob Dylan, di Peter Gabriel o Joan Baez». Tutti appuntamenti, spesso unici, da migliaia e migliaia di spettatori: di fatto è impossibile paragonarli agli eventi jazz, rivolti a un circuito più selezionato di intenditori. «Il jazz è rimasto il figlio di un semidio minore, la pecora nera: se mi passate il paragone, era come le donne, che nei decenni passati nelle campagne spesso mangiavano in piedi o se ne stavano in cucina». Strada facendo, il viaggio di Franchini si avvicina ai nostri giorni, sfogliando il calendario con gli anni Ottanta di Freddie Hubbard in piazza Grande, Herbie Hancock al vecchio palasport con un caldo infernale, o Steve Gilmore all’ex Caserma Santa Chiara, e poi Gil Evans, di nuovo Chet Baker, Lionel Hampton e la sua orchestra, Chick Corea a Carpi, tra rassegne più o meno estemporanee, iniziative di associazioni o circoli e qualche serata speciale. Proprio alla fine degli anni Ottanta è nato anche il festival Jazz in’it di Vignola, e nei primi anni Novanta ha avviato la sua attività il Modena Jazz Club, e in parallelo anche il teatro Comunale ha riportato nei suoi cartelloni varie proposte jazz, particolarmente con il festival L’Altro suono, panorama delle musiche di ricerca e di frontiera. Di questo jazz che continua a nutrire intelligenti esplorazioni e contaminazioni sono testimoni anche i musicisti, modenesi di nascita o di adozione, che vi hanno dedicato studio e passione, dal sassofonista Francesco Amenta al chitarrista Cesare Vincenti e al polistrumentista Geoff Warren: a loro sono dedicate le schede in appendice al libro. Eppure, secondo Franchini, «lo stato di salute del jazz rimane incerto, debole, precario». E tuttavia per lui resta un grande amore, e proprio per questo resiste allo scorrere degli anni e delle mode. Senza mai perdere il tempo. !A-32-&'6<8!2ধ'&8'2!2ধT!££'=-!-&3£38e favorisce il rilassamento. !239;8!9;8<ħ<8!ধ!96'ħ!6'83ø8-8ধ <2!1#-'2;'!8132-393'9ধ13£!2;'T 6'88!++-<2+'8'<2!<;'2ধ$3'7<-£-#8-3 tra corpo e mente. -'2-!9$368-8';<ষ -239;8-'9$£<9-=percorsi di benessere. AQUA EQU I LI B R A via E. Montale, 25 - Modena tel. 059 353170 / 347 4268712 >>>W6!£'9;8!'7<-£-#8!W-;