Martedì 13 giugno 2006 42 Musica Bertoli: un cofanetto pieno di canzoni e di onestà a cura di MARIO SCHIANI [email protected] «Parole di rabbia, pensieri d’amore» offre, in tre cd e 48 canzoni, un efficace percorso attraverso trent’anni di musica Brani tutt’altro che spensierati ma per nulla disperati: storie di un’Italia fatta di gente normale con aspirazioni umane ■ Siamo, purtroppo, abituati a operazioni discografiche samccatamente commerciali: antologie raffazzonate, che non hanno alcuna ragione d’essere, confezioni pauperistiche, grafica elementare. Tutta merce, alla fine, poco vendibile. I nuovi box, generalmente tripli, approntati seguendo strategie più oculate stanno, invece, dando buoni frutti, non tanto per gli introiti delle case discografiche (un loro problema) ma per chi acquista e ascolta. Bene: è con vero piacere che si può dar conto dell’esistenza di Parole di rabbia, pensieri d’amore, uno sguardo alla vita e alle opere di Pierangelo Bertoli, efficace fin dal titolo scelto. Tre cd, 48 canzoni, un inedito assoluto, tutti i testi dei brani scelti che rappresentano, davvero, un efficace percorso attraverso trent’anni di canzoni di questo autore e interprete molto amato, molto emarginato, scomparso 4 anni fa e, come troppo spesso accade, dimenticato in fretta. Obliato, però, dalla gente distratta: quasi tutti i suoi dischi sono reperibili, basta volerli. Solo l’anno scorso è uscito un bell’album, chiamato, con una semplicità che gli sarebbe certo piaciuta, ...a Pierangelo Bertoli, cui hanno preso parte artisti eterogenei: dai Nomadi a Nek, da Enrico Ruggeri a Fiorello, da Marco Masini a Bruno Lauzi, fino ad Alberto, il figlio dell’artista, oggi custode della sua memoria, delle sue canzoni. Eccole qua: pubblicate a ridosso della stagione calda, quando si sta per partire in vacanza e si cerca una colonna sonora ideale. I brani di Bertoli sono tutto fuorché spensierati, tutto meno che disperati: sono parole vere, le sue, che hanno il sapore di un’Italia che amava tantissimo e che non c’è, quasi, più. Un’Italia fatta di gente comune, di persone normali che hanno aspirazioni umane, di onestà, di valori universali. Anche di poesia, perché la lingua di Pierangelo, che non disdegnava anche fare propri pezzi altrui o collaborare con giovani autori (fu lui, ricordiamolo, a lanciare un giovane Luciano Ligabue interpretando i suoi Sogni di rock’n’roll, un’assenza pesante in questo cofanetto), attingeva, come la musica, da una grande tradizione, quella dei cantastorie. Come tale, la piazza, il concerto, il contatto con la gente erano la sua dimensione ideale. Il disco, invece, un momento per fermare le canzoni. Risalgono quasi a 40 anni fa le sue prime esibizioni nel modenese, vicino alla sua Sassuolo, fino all’incontro con discografici attenti come Roberto Dané, prima, e Caterina Caselli, poi, che portano alla realizzazione di Eppure soffia, il primo album uscito giusto trent’anni fa, nel 1976. Seguono Il centro del fiume e l’eccezionale S’at ven in ment, interamente scritto in dialetto emiliano, decisamente atipico anche per quei tempi. A muso duro comprende il brano che, forse, meglio rappresenta l’arte della canzone e il mestiere d’artista secondo Bertoli: «Canterò le mie canzoni per la strada/ed affronterò la vita a muso duro: un guerriero senza patria e senza spada/con un piede nel passato/e lo sguardo dritto e aperto nel futuro». Con Certi momenti arriva anche il primo successo, Pescatore, in coppia con Fiorella Mannoia. Ecco: facendo le pulci a questo cofanetto non si può non sottolineare come, per questione di diritti discografici, non contenga le versioni originali di alcuni brani ma altre, più recenti, reincise da Bertoli una decina d’anni fa. Sono belle comunque e non si discostano troppo dalle originali però, come in quest’ultimo caso, il duetto non c’è più. In compenso c’è Acqua limpida con Grazia Di Michele e Fabio Concato, la splendida Chiama piano con quest’ultimo e anche la celeberrima Spunta la luna dal monte, brano presentato a Sanremo con i Tazenda: un connubio mai visto in televisione per la partecipazione al festival più coraggiosa della sua storia. Tre cantanti sardi con parti di brano nella loro lingua, un portatore di handicap che vuole essere considerato solo per quello che ha da dire, una canzone poetica e coraggiosa che, naturalmente verrebbe da dire, non vinse ma regalò ai suoi interpreti un pubblico nuovo. Quello che ha accompagnato Pierangelo fino alla scomparsa e che lo ascolta ancora oggi. Non sarà perfetta (nessuna raccolta lo è) ma è la storia onesta di un uomo onesto, di un grande uomo, di un grande artista. Alessio Brunialti FESTIVAL - DAL 22 GIUGNO AL 10 LUGLIO Jarreau, Corea più Clapton all’Arena La «Verona Jazz» ricca di superstar Il cantautore modenese Pierangelo Bertoli sul palco: la sua scomparsa risale al 7 ottobre 2002 ■ Scalda i motori il festival Verona Jazz 2006 che città scaligera ospiterà dal 22 giugno al 10 luglio prossimi. Una kermesse lunga venti giorni che, oltre alla rassegna internazionale, prevede concerti nelle strade, nelle piazze e jazz club veronesi assieme ad altri momenti, come la presentazione del volume di Vittorio Franchini dedicato alla figura di Franco Cerri, momenti denominati Verona Jazz 06Effetti collaterali. Al Teatro Romano sabato 24 giugno romperà il ghiaccio il quintetto swing manouche Django Dinasty di Noè Reinhardt, mentre il secondo set avrà come protagonista il sassofonista Johnny Griffin, introdotto da un breve set di Baobab Ensemble, un combo di giovanissimi musicisti all’esordio in una manifestazione prestigiosa come Verona Jazz. Due i set previsti per martedì 27: il quintetto del trombonista Steve Turre (con lui Nico Menci al pianoforte, Akua Dixon al violoncello e voce, Marco Marzola al contrabbasso e Jaimeo Brown alla batteria) e il gruppo del fisarmonicista brasiliano Renato Borghetti, che fonde la musica tradizionale della sua terra - lo stato del Rio Grande do Sul - con il jazz. Mercoledì 28 sarà la volta del trio di Kenny Barron con ospite speciale Barry Harris, al quale seguirà il gruppo della cantante francese Anne Ducros, una delle voci più interessanti del panorama europeo. Giovedì 29, sempre al Teatro Romano, l’ensemble di Al Jarreau e lunedì 3 luglio prevista la "prima" italiana del concerto di Chick Corea con la Bayerische Kammermusicke Orchestra durante il quale il pianista americano eseguirà il suo Concerto n. 2 per piano e orchestra, che comprende nell’organico un quartetto jazz, e il concerto K 491 di Wolfgang Amadeus Mozart. Verona Jazz 2006 si concluderà lunedì 10 luglio all’Arena con una serata dedicata al blues e al rock: il gruppo del chitarrista Robert Cray che aprirà la serata alla superstar Eric "Slowhand" Clapton. Attivo il servizio biglietteria di Palazzo Barbieri (angolo via Leoncino 61, tel. 045-806.64.85 e 045806.64.88 ore 10.30-13 e 16-19 dal lunedì al sabato e nei giorni festivi di spettacolo), biglietti in vendita anche tramite il circuito Uniticket (numero verde Unicredit Banca 800.323.285), al Call Center (tel. 899.111.178) e al Box Office in via Pallone 12 A a Verona (tel. 899.199.057). Andrea Cavalcanti Una pietra miliare dei Waterboys torna in una ristampa che aggiunge all’opera un intero disco di inediti in chiave molto irlandese «Fisherman’s blues»: pepite dal periodo d’oro di Mike Scott Che fai quando ti rendi conto che il momento migliore della tua vita è passato da quasi vent’anni? Quando non è una congettura, una tua elucubrazione sul tempo che passa e tutti s’invecchia ma ne hai le drammatiche prove? Mike Scott ha alle spalle una serie di dischi veramente “pesanti”, i ricordi di un talento che sembrava essere infinito e che, invece, all’improvviso si è atrofizzato, come una vena secca di una miniera d’oro. La sua creatura, Waterboys, è stata amatissima dagli appassio- nati di rock negli ma, anche, freanni Ottanta: chi schissimi. Il (pricercava di sfuggimo) capolavoro re ai sintetizzatoarriva con This is ri, al techno pop, the sea, il respiro alla dance e alle epocale di una altre tendenze musica epica e mainstream delpoetica, nel cuore l’epoca, guardava Van Morrison e anche alla “big Bob Dylan ma anmusic” di questo che Lou Reed e scozzese ambiPatti Smith e, puMike Scott zioso. The Waterre, il soul celtico boys e A pagan che cercava anplace erano dischi che lo ri- che il “rivale” Kevin Rowspecchiavano, pieni di land con i suoi Dexys Midgrandi intuizioni, forse un night Runners. po’ dispersivi per aver mesPoi un momento di crisi so troppa carne sul fuoco ma, quando si è giovani e pieni di amore per la musica, da un problema possono nascere grandi soluzioni. Quella di Scott, che aveva appena perso l’anima pop della sua band nella persona di Karl Wallinger che lo aveva abbandonato per formare i suoi World Party, fu, semplicemente, scappare e starsene ad ascoltare musica, suonare e registrare a ciclo continuo. Basta con la grandeur che, poi, sul palco non si poteva riprodurre, ricominciare da capo, ricominciare al contrario. La sua chitarra, il sax di Anto Thistlethwaite spesso ac- cantonato per il mandolino, il violino di Steve Wickham, il basso e il contrabbasso di Trevor Hutchinsons, entrambi nuovi acquisti, batteristi e altri musicisti a go go. Intanto ascolti disordinati di gospel e blues, di Hank Williams e Chieftains, musica celtica e cantautori degli anni Settanta. Dopo due anni di session disordinate Scott fermò tutto e si rese conto di avere in mano un disco. E che disco: Fisherman’s blues è una vera pietra miliare, ristampata, ora, con un intero album di brani inediti che va ad aggiungersi a Too close to heaven, l’altra raccolta proveniente da quel periodo d’oro. Per chi non lo conosce un indispensabile raccolta di grandi canzoni, quella del titolo e And a bang on the ear su tutte, con il vibrante omaggio a Yeates di “Stolen child” e quello al Morrison di Sweet thing. Per gli altri un ripasso arricchito da altri 14 brani, quasi completamente inediti, che sottolineano il versante più “irlandese” di quelle incisioni. Al. Br- Con il suo Rock Menu ha pubblicato «Pan, butér e confitura» e il recente «Gelati castégn e südoo», ultimi capitoli di una lunga storia artistica Il Van De Sfroos del Canton Ticino si chiama Mario Del Don ■ ANTEPRIME Sting al lavoro su un album «elisabettiano» Nuova avventura artistica per Sting: l’ex Police sta lavorando a un album di canzoni del compositore John Dowland, che scrisse nel 5-’600, ed è considerato uno dei massimi musicisti dell’età elisabettiana. Sting si è interessato all’opera di Dowland sin dai primi anni Ottanta, scrive il quotidiano «Independent». ■ Se Como ha Davide Van De Sfroos, Bellinzona ha Mario Del Don. Cantante, bassista e rocker il cui uso del «dialet» ticinese al posto dell’inglese lo fa divo da Chiasso alla Leventina, con il suo Rock Menu ha già pubblicato Pan, butér e confitura e il recentissimo Gelati castégn e südoo. Un estro irrefrenabile che è arduo limitare alla sola professione: è tale quello del pittore, disegnatore e grafico che, smessi i panni di scenografo della Televisone Svizzera, una volta a casa imbraccia il basso, collega il microfono e… via a manetta! Indagando su questo provetto e simpatico personaggio si scopre come la sua vicenda musicale inizia ben prima dello sdoganamento tv. Negli anni del beat anche il Ticino aveva ospitato gli Yardbirds di Eric Clapton, le cui prodezze spinsero il batterista bellinzonese Eliano Galbiati a fondare i Nightbirds. Il conterraneo Del Don iniziò proprio lì, offrendo subito un hit (elvetico), La strada bianca, accrescendo nel contempo la propria esperienza. Serate in Svizzera e Italia con Animals, Celentano, Dalla, Nice e Deep Purple, poi la tv con Battisti e Jannacci, video e colonne sonore hanno fruttato ai Nightbirds un posto nell’Enci- clopedia del Rock Italiano. Nell’80 Mario, già affermato vignettista, scenografo e attore per grandi e piccini alla Tsi, inizia ad occuparsi di dialet-rock con I Scarp da Tennis, produce l’inno calcistico del Bellinzona Alè Granata Alè e la cassetta “Na macchina coj rugh!. Suona ancora con Jannacci, poi con Fichi d’India ed Elio & le Storie Tese. Nel ‘92 e ‘99 il rocker incontra il folksinger, ovvero Van De Sfroos. I Scarp da Tennis si congedano con Semm restaa senza stringh!. Il nuovo millennio Mario lo inaugura sfornando il Rock Menu assieme a musicisti con gli attributi: Fabrizio Ghi- ringhelli, chitarrista già nei Scarp Da Tennis, il batterista Oliviero Giovannini e il tastierista Giovanni Galfetti, coautore assieme a Carlo Bava del bellissimo Era la notte che… per organo da chiesa e ciaramella, e membro dei progressivi Shakary con Walter Calloni. Con il disco Pan, butér e confitura (2001, «vint’ann de rock in dialet»). Per la grafica di Gelati castégn e südoo abbinando un albo a fumetti con i testi delle canzoni come storie illustrate: tra i personaggi i due comaschi Roberto Ortelli, conduttore radio, e Paolo “Lone” Corti, tifoso storico del Calcio Como, e l’istituzione della Tv svizzera Giuseppe “Bigio” Biaggi. L’idea, geniale e spontanea, relega al mondo dei comics il primo fumetto in ticinese. Un suono oscillante tra il R’n’R, il blues, il folk e l’hard commenta i raggiri quotidiani del “Al mago di prevision”, teleimbonitore impunito, il pedofilo di Tò la mè caramela, le truffe dei telefoni erotici ne La vos, il dittatore nazista in Max Bianchini, il lavoro minorile, la vecchiaia, lo stress, la perdità d’identità, argomenti seri che l’allegria naturale del dialetto filtra rendendoli ancora più incisivi. Anche questo è talento. Il ticinese Mario Del Don con i suoi Rock Menu C’è pure un omaggio a Jacques Tati. Tra gli ospiti di Gelati castégn e südoo il vecchio amico Eliano Galbiati, i figli del Ghiringhelli Dana e Eros e il grande “Billa”, Davide Brambilla, polistrumentista prediletto da Enrico Ruggeri che lo ha “ereditato” da Van De Sfroos. Allegria, impegno, folklore e la raccomandazione che sempre «al sa pò faa pü see pal dialet». Info: www.mariodeldon.ch. Alessandro Casellato