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
Medicina e Chirurgia
Università di Roma Tor Vergata
Autore:Bizzarri
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Appunti Universitari OnLine
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Corso di laurea:
Università:
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Appunti
Fisica 2
Medicina
Tor Vergata
Bizzarri
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
BIOMECCANICA
Il moto è il risultato più importante e più ovvio delle interazioni fisiche. Il moto è uniforme
tutte le volte che la distanza x percorsa è proporzionale al tempo t impiegato a percorrerla, dove la
velocità v è costante : x=vt. Se il moto non è uniforme , allora è accelerato, e la velocità dipende
dall' intervallo di tempo scelto; quindi se il moto è uniforme, il grafico x-t risulta una linea retta,
mentre risulta una linea curva se il moto è accelerato e la Vm dipenderà dal particolare momento
scelto. La velocità media misura uno spostamento x di un corpo in un intervallo di tempo t senza
dir nulla sul moto effettuato durante lo spostamento x, ed è data da: Vm=x/t. La velocità
istantanea, è la velocità che ha un corpo in un certo istante ed in una certa posizione, ed il suo
valore è dato dalla Vm determinata per un intervallo di tempo t tendente a 0; ossia la Vi di un
corpo è data dalla derivata dello spostamento rispetto al tempo : Vi=dx/dt=lim Vm con t 0.
L'accelerazione è una grandezza fisica le cui dimensioni sono quelle di una velocità divisa per il
tempo, ossia l' accelerazione è la rapidità con cui cambia la velocità : Am= vt, ed il valore è
dado in m/s*2 ; quindi una accelerazione di 1 m/s*2 è un aumento medio della velocità di 1 m/s per
ogni secondo. La accelerazione istantanea è l' accelerazione di un corpo in moto rettilineo in un
certo istante ed in una certa posizione, ed il suo valore è dato da Ai=dVm/dt.
Gli oggetti che cadono sono soggetti ad una accelerazione gravitazionale , dal momento che, se non
sono sostenuti,tendono a cadere verso la terra , e che la loro velocità di impatto cresce all'
aumentare della distanza da cui cadono; l' accelerazione gravitazionale è la stessa per tutti gli
oggetti che cadono, ed è g=9,8 m/s*2.
Quando un oggetto è lanciato verso l' alto, è soggetto ad una accelerazione gravitazionale costante
verso il basso; la sua velocità cambia continuamente: mentre l' oggetto si alza l' intensità della
velocità decresce uniformemente, quando l' oggetto raggiunge il punto più alto si annulla, e
riaumenta di intensità quando l' oggetto si rimuove verso il basso. Quindi dato che il moto è
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simmetrico rispetto al punto più alto, il tempo impiegato dall' oggetto per percorrere ogni data
porzione della traiettoria, sarà lo stesso sia in salita che in discesa.
Un corpo che si muove di moto curvilineo uniforme, percorre distanze uguali in intervalli di
tempo uguali, e dato che in ogni istante il vettore velocità ha la direzione ed il verso dello
spostamento , la velocità del corpo sarà data da un vettore di lunghezza costante che ha in ogni
istante la direzione della tangente alla traiettoria nel punto occupato in quell' istante dal corpo, e,
sapendo che, la tangente alla curva ha, in ogni punto, una diversa direzione, nel moto curvilineo
uniforme, la velocità vettoriale varia da istante ad istante, mentre la velocità scalare resta costante.
Avendo una variazione di velocità scalare, esiste una accelerazione scalare il cui valore è dato dalla
differenza delle velocità vettoriali nei punti di riferimento diviso il tempo impiegato a percorrerli.
Un corpo che percorre una circonferenza , in un dato verso, e con moto uniforme, è animato
da moto circolare uniforme, ed ha un periodo t che è il tempo che il corpo impiega a percorrere l'
intera circonferenza una sola volta, ed una frequenza  che rappresenta il numero di giri che il
corpo corpo compie nell' unità di tempo, ed è data dall' inverso del periodo : =1/T. Quindi,
sapendo che x=vt, e che in una circonferenza x=2r , e sostituendo al tempo il periodo, avremo che
nel moto circolare uniforme v=r/t.
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FORZE E LEGGI DELLA DINAMICA
Una forza è una qualsiasi azione meccanica che si esercita su un oggetto, qualunque sia
la sua origine. Le forze sono grandezze vettoriali, quindi la forza risultante applicata ad un oggetto
è uguale alla somma vettoriale di tutte le forze che agiscono su di esso. L'unità di misura della forza
è nel MKS il newton (N), nel cgs la dina e nel sistema pratico il Kg peso, dove 1N=10*5 dine=
=0,102 kg peso.
Il peso w di un oggetto è uguale alla forza gravitazionale a cui esso è soggetto, l'accelerazione di
gravità è la stessa per tutti gli oggetti; e dato che il peso è diretto verso il centro della terra, anche g
ha questa direzione,quindi il peso è w=mg, dove m=massa, ossia la quantità di materia contenuta
nell'oggetto.
La 1° legge di Newton , valida solo per un osservatore che si muove di moto rettilineo e
uniforme, e che quindi non abbia una accelerazione, afferma che ogni oggetto rimane in uno stato
di quiete o di moto rettilineo e uniforme, finché ad esso non sono applicate delle forze che
intervengano a mutare questo stato. Da ciò si deduce che un oggetto è in equilibrio quando il suo
stato di moto rimane inalterato, anche se sottoposto all'azione di due o più forze.
La 2° legge di Newton asserisce che la risultante delle forze applicate ad un corpo, è uguale
al prodotto dell'accelerazione del corpo per la sua massa : F=ma , quindi l'accelerazione prodotta da
una data forza è inversamente proporzionale alla massa di un oggetto. Se la risultante delle forze
che agiscono sopra un corpo è 0, l'accelerazione dello stesso è nulla, e di conseguenza, in assenza di
forze applicate, il corpo si muove di velocità costante o rimane in quiete. Essendo la forza una
grandezza scalare intrinseca dell'oggetto, 1N è la forza necessaria ad imprimere ad 1 Kg massa una
accelerazione di 1m/s*2, quindi 1N=1 Kg m/s*2.
Due corpi qualsiasi si attirano con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto
delle loro masse, e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza: F=(Gmm')/r*2,
dove G= 6,67X10*11 Nm*2/Kg*2. Le forze gravitazionali sono dirette lungo la linea che
congiunge i centri delle due forze.
Il momento di una forza, indica la capacità di una forza di provocare una rotazione, quindi
un corpo rigido è in equilibrio rotazionale quando è nullo il momento risultante ad esso applicato. Il
momento dipende dalla forza F , dalla distanza x dal polo P sull'asse di rotazione al punto di
applicazione della forza e dall'angolo  tra x ed F : xF sen ; perciò il momento ha modulo
massimo quando r ed F sono perpendicolari , e vale 0 quando r ed F sono paralleli; come
dimensioni ha il Nm. Inoltre il momento è considerato come un vettore diretto lungo l'asse attorno
al quale fa avvenire la rotazione. I momenti che tendono a produrre una rotazione antioraria
dell'oggetto, per convenzione sono positivi, mentre se causano rotazioni orarie, sono negativi.
La quantità di moto di un corpo è un vettore p definito come prodotto della massa per la
velocità del corpo : p=mV ed essendo il prodotto di uno scalare per un vettore, è una grandezza
vettoriale. Essendo proporzionale a V, la quantità di moto di un corpo, dipende dal sistema di
riferimento dell' osservatore, che deve quindi essere sempre precisato.
La 3° legge di Newton, afferma che per ogni azione ,esiste sempre una reazione uguale ed
opposta, ossia ad ogni azione corrisponde una reazione di uguale dimensione ma di verso opposto;
quindi, se un oggetto esercita una forza F su un secondo oggetto, il secondo oggetto esercita sul
primo una forza -F uguale ed opposta. Questa legge è valida sia che la persona o l'oggetto siano
accelerati o no, ma non è più valida se l'oggetto è in equilibrio, in questo caso le forze si annullano
in conseguenza della prima legge. Lo stato di moto di un oggetto può essere influenzato solo alle
forze che agiscono su di esso, le forze esercitate da un oggetto influenzano il moto di altri oggetti.
L'attrito è una fora che si oppone al moto di un oggetto che scivola o ruota su un altro
oggetto. La forza d'attrito è, su ciascun corpo, diretta in verso opposto al moto che esso ha rispetto
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all'altro corpo, e automaticamente si oppone al moto, senza mai favorirlo. Microscopicamente
l'attrito è causato da piccoli legami temporanei tra i punti di contatto delle due superfici.
Se su un oggetto non viene applicata alcuna forza,e non c'è moto,anche la forza d'attrito risulta
nulla. Se si ha una forza orizzontale T esercitata su un oggetto, e l'oggetto rimane fermo, la forza
d'attrito Fs=T, quando l'oggetto comincia a muoversi la Fs sarà massima.
• La Fs(max) è indipendente dall'area di contatto.
• Per una data coppia di superfici la Fs(max) è proporzionale alla forza normale N.
• Il numero che lega la Fs(max) a N è il coefficiente di attrito statico s che dipende dalla natura
delle superfici : Fs(max)= N.
• La forza necessaria per mantenere un oggetto di moto strisciante a velocità costante è più piccola
di quella richiesta perché esso cominci a muoversi ; quindi la forza di attrito cinetico o di
scorrimento Fk<Fs(max) ed è indipendente dall'area di contatto e soddisfa la relazione
Fk=kN dove k è il coefficiente di attrito cinetico determinato dalla natura delle superfici.
 k è quasi indipendente dalla velocità, inoltrek<s.
LAVORO ED ENERGIA
Il lavoro è il prodotto dell'effetto complessivo di una forza rispetto allo spostamento di un
corpo durante l'applicazione della forza stessa. Quindi, nel caso di una forza costante F che agisce
su un oggetto mentre percorre una distanza x, il lavoro compiuto dalla forza è il prodotto della sua
componente Fs lungo lo spostamento per l'intensità dello spostamento: F=Fx s; se F forma un
angolo  con s, si avrà Fs=Fcos, ed il lavoro può essere scritto L=Fscos
F

F
s = F cos 
s
L'unità di misura del lavoro nel MKS è il joule ( j ), ed è uguale al Nm, nel cgs è l' erg, ed è
uguale alla dina per cm. Nel caso in cui varia l'intensità della forza o la sua direzione rispetto lo
spostamento, bisogna considerare il lavoro compiuto in una serie di spostamenti molto piccoli, dove
il lavoro totale compiuto è dato dalla somma di tutti questi piccoli termini.
Il lavoro totale compiuto da tutte le forze che agiscono su un oggetto , ivi incluse le forze di
attrito e le forze gravitazionali , è uguale alla variazione di energia cinetica dell' oggetto, dove per
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energia cinetica si intende la misura del lavoro che un oggetto può compiere in virtù del suo
spostamento. L'energia cinetica K di un oggetto di massa m con velocità v è : K=(mv*2)/2. Il
lavoro fatto da F è uguale alla variazione di energia cinetica dell'oggetto, ossia L=K-Ko; questo
dato dal fatto che a=F/m che è costante, V*2=Vo*2+2as, cioè as=1/2 V*2 - 1/2 Vo*2 , e dato che
F=ma il lavoro fatto dalla forza F è L=FS=mas, sostituendo avremo L= 1/2 mv*2 - 1/2mVo*2,
ossia la differenza dell' energia cinetica iniziale con l'energia cinetica finale.
Il lavoro, viene compiuto dalle forze gravitazionali, dalle forze d'attrito e dalle forze
applicate che agiscono sull'oggetto. Le forze gravitazionali fanno parte delle forze conservative,
forze che danno luogo ad un'energia potenziale, che dipende solo dalla posizione del corpo, e
permette di calcolare il lavoro che le forze applicate ad un corpo possono fare quando il corpo
stesso cambia posizione. Nel caso in cui il lavoro delle forze d'attrito è nullo, il lavoro fatto dalla
forza applicata, La , è uguale alla somma della variazione di energia cinetica e della variazione di
energia potenziale : La=( K-Ko) + ( U-Uo), dove U=mgh eUo=Mgho. Se la forza applicata risulta
nulla, avremoK + U=Ko + Uo , ed avendo K+U lo stesso valore per qualsiasi punto del piano
inclinato, in presenza della sola forza gravitazionale che compie lavoro, l'energia meccanica totale
E=K + Ued è conservativa. Ossia, man mano che un corpo sale lungo un piano inclinato privo
d'attrito, il corpo rallenta, perdendo energia cinetica e guadagnando energia potenziale; una volta
fermato, il corpo comincia a scivolare verso il basso, e l'energia potenziale si riconverte in energia
cinetica. Quindi l'energia potenziale è una forma di energia associata alla posizione o
configurazione di un sistema meccanico, che può, in linea di principio, essere convertita in energia
cinetica o essere usata per compiere lavoro.
Qualsiasi forza, il cui lavoro compiuto tra due dati punti, non dipende dal percorso seguito,
è una forza conservativa. Le forze dissipative, come l'attrito, possono dissipare energia
meccanica, trasformandola in un altra forma di energia; quindi l'energia spesa da un oggetto contro
le forze d'attrito viene convertita in calore, cioè da energia meccanica ad energia termica. Ora,
essendo La il lavoro fatto dalle forze applicate e con Q l'energia dissipata dalle forze d'attrito:
La=(K - Ko) + (U - Uo) + Q, ossia il lavoro compiuto dalle forze applicate che agiscono sul
sistema è uguale alla variazione di energia cinetica e energia potenziale più l'energia dissipata in
calore o comunque trasformata in un'altra forma di energia.
L'energia cinetica e l' energia potenziale, sono dunque le due forme in cui si può presentare
l'energia meccanica di un corpo, che durante il suo moto variano da istante ad istante : K varia se
varia la velocità del corpo, U varia se il corpo si sposta, al passare del tempo, da una posizione ad
un'altra in cui U ha valori diversi; e sono messi in relazione dalla legge della conservazione
dell'energia, che stabilisce che se le forze che agiscono su un corpo sono tutte conservative, la
somma K + U si mantiene costante durante il moto : K + U = E = costante, dove E=energia
meccanica.
Il lavoro compiuto dalla forza gravitazionale, non dipende dal percorso tra due punti, e i
suoi effetti possono essere inclusi nell'energia potenziale. La più generale forza gravitazionale che
si esercita tra due sfere è conservativa, ed è : F= - Gmm' r^.
r*2
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MECCANICA DEI BIOSISTEMI
I corpi esistenti in natura, non sono semplici punti materiali, ma hanno una certa estensione;
e le forze che agiscono su di loro, non sono, di solito, applicate ad uno stesso punto, ma a punti
diversi. Supponiamo che le forze applicate ad un oggetto, abbiano la stessa linea di direzione; in
questo caso, se sono uguali ed opposte, si fanno equilibrio, lasciando in equilibrio anche il corpo.
Secondo questa considerazione, una forza applicata ad un corpo rigido, può essere spostata lungo la
sua linea di azione, senza che il suo effetto venga mutato. Nel caso in cui le linee di azione delle
forze, applicate a punti diversi di un corpo rigido, si incontrano in un punto, il loro effetto è quello
della loro risultante
P1
O
P2
p1
p2
F2
Risultante di due forze parallele e concordi: p1:p2 = F1:F2
F1
Ft
applicata in quel punto. Nel caso di due forze parallele e concordi, F1 e F2,apllicate ad un corpo
rigido, la loro risultante è una forza Ft parallela alle componenti, la cui intensità è pari alla somma
delle due intensità, e il cui punto di applicazione O è interno al segmento che unisce i punti di
applicazione delle due componenti, e lo divide in due parti p1 e p2 , inversamente proporzionali alle
intensità delle componenti stesse: Ft= F1+F2 ,e, p1/p2 = F2/F1.
Se le forze parallele e concordi, sono più di due, la risultante si ottiene tramite addizione vettoriale;
il loro effetto è equivalente ad un'unica forza risultante, parallela alle forze date, di intensità pari
alla somma delle loro intensità e applicata ad un punto P che si chiama centro delle forze
parallele. Forze parallele e concordi non possono mai equilibrarsi, dato che la loro risultante non
può mai essere nulla. La posizione del centro di un qualsiasi numero di forze parallele, applicate ad
un corpo rigido, resta immutato comunque si ruoti il corpo.
La risultante di due forze parallele e discordi, cioè di verso contrario, F1 e F2, applicate a
un corpo rigido, è una forza Ft parallela alle componenti, diretta nel verso della maggiore e di
intensità pari alla differenza delle due intensità;
F2
Ft
p2
P1
P2
P
p1
Risultante di due forze parallele e discordi
F1
Il suo punto di applicazione P giace sul prolungamento della congiungente i punti di applicazione
P1 e P2 delle componenti, dalla parte della maggiore; le sue distanze p1 e p2 da P1 e da P2 sono
inversamente proporzionali alle intensità delle componenti: R = F2 - F1.
Due forze parallele e discordi che agiscono su un corpo rigido, lo fanno ruotare, e
costituiscono una coppia; infatti, man mano che il valore della intensità della F1 si avvicina a
quello della F2, il modulo di Ft diventa sempre più piccolo, e il suo punto di applicazione P si
allontana da P1, tendendo all'infinito. Il piano determinato dalle linee di applicazione delle due
forze, è il piano della coppia. Una coppia è tanto più efficace quanto maggiore è il suo braccio,
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cioè la distanza r tra le linee di azione delle due forze, e il suo momento è dato dal prodotto del
braccio r per il valore comune Ft della intensità delle due forze: M = d X Ft.
Il peso w che agisce su un corpo, è una forza uguale a m per g, diretta verticalmente verso il
basso che ha come punto di applicazione il centro di gravità, o baricentro del corpo, che coincide
con il centro geometrico del corpo stesso. Un oggetto sospeso si pone in modo che il suo baricentro
si trovi verticalmente sotto il punto di sospensione, dato che, in tale posizione, il momento
risultante del peso rispetto a quel punto è nullo.
x1
X
x2
w1
w2
Il centro di gravità di due pesi puntiform su
su una sbarra priva di peso si trova in X.
w
Il punto X , che è il centro di massa, è dato da : X= x1w1+x2w2+...+xnwn, ed ha questo
w1+w2+...+wn
nome dal momento che w=mg, dove g può esse eliminato, in quanto costante.
Un oggetto è in equilibrio, quando la verticale passante per il suo baricentro, cade all'interno
della base definita dal poligono convesso di appoggio ricavato dalle tracce dei suoi sostegni sul
piano di appoggio.
Una leva, è costituita da un corpo rigido girevole attorno ad un punto o asse, punto o asse
che è il fulcro della leva. In due punti della leva, agiscono una forza di carico Fl da vincere, ed una
forza applicata Fa, di solito diversa da Fl in modulo e direzione, che serve a vincere quella di
carico. La leva, sotto l'azione di queste due forze, è in equilibrio soltanto se il momento della forza
applicata rispetto al fulcro è uguale ed opposta al momento della forza resistente: Fl X m = Fa X r,
ossia Fl/Fa= r/m , ossia perché una leva sia in equilibrio è necessario che la forza applicata e la forza
di carico siano inversamente proporzionali ai rispettivi bracci rispetto al fulcro; quindi per
equilibrare una data forza di carico, si può esercitare una forza applicata che sia anche molto
piccola, purché il suo braccio sia sufficientemente grande. Il rapporto fra le intensità di Fl e Fa, è il
guadagno meccanico; in base alla posizione del fulcro, vengono definiti tre tipi di leva: nel primo
tipo il fulcro è situato tra i due punti di applicazione delle forze di carico e applicata; nel secondo
tipo il fulcro è seguito prima dalla forza di carico poi dalla forza applicata; nel terzo tipo, il fulcro
è seguito prima dalla forza applicata poi dalla forza di carico.
Xl
Xa
Xa
Fa
x l
Fa
Fa
I
Xa
II
Fl
III
Fl
Xl
Fl
Quando le forze sono perpendicolari alla leva, il G.M. delle leve del terzo genere è sempre minore
di 1, il G.M. delle leve di secondo genere, è sempre maggiore di 1, le leve di primo genere, possono
avere G.M. maggiore o minore di 1, ricordando G.M. = Xa/Xl.
I muscoli forniscono le forze che fanno funzionare le leve del corpo umano. Quando un
muscolo viene stimolato esercita una forza contraendosi brevemente; una serie di impulsi trasmessi
al muscolo, provocano una serie di contrazioni nelle fibre che o costituiscono. Se la frequenza degli
impulsi aumenta, la tensione del muscolo cresce fino a raggiungere uno stato di tensione massima,
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che è proporzionale all'area della sua sezione trasversa nel punto più largo, e dipende anche dalla
lunghezza del muscolo; la tensione massima possibile si riduce di molto se il muscolo è parecchio
allungato o accorciato, e si ottiene quando il muscolo è allungato soltanto di poco dal suo stato di
riposo ed è circa uguale a 30,40 N per ogni centimetro quadrato dell'area della sezione trasversa.
Nel corpo umano, membra corte con piccoli valori di Xl, hanno guadagni meccanici relativamente
grandi e sono capaci di esercitare grandi forze, infatti G.M.=Fl/Fa=Xa/Xl. Tuttavia lo spostamento
delle estremità di un membro è proporzionale alla sua lunghezza Xl, per cui movimenti veloci
richiedono membra lunghe.
MECCANICA DEI CORPI DEFORMABILI
Ogni oggetto, qualunque sia il materiale di cui è composto, si deforma sempre sotto l'azione
delle forze e/o dei momenti a cui è sottoposto. Gli effetti di queste forze possono essere catalogati
in maniera abbastanza completa mediante la misura di poche grandezze. Se la deformazione, che il
corpo subisce per la forza ad esso applicata, non eccede un certo limite, il corpo riprende la forma
originaria appena cessa la forza. Le forze che un corpo deformato esercita per riprendere la sua
forma primitiva, sono le forze elastiche, che sono proporzionali, secondo la legge di Hooke, alla
deformazione del corpo, ossia alla variazione di lunghezza, finché questa si mantiene al di sotto di
un certo limite, chiamato limite di elasticità. Se la deformazione supera questo limite di elasticità,
si ha una deformazione permanente, e in qualche caso la rottura, siamo in presenza di una
deformazione elastica. Alcuni corpi hanno la possibilità di comportarsi come rigidi se sono
sottoposti bruscamente all'azione di una forza, e di scorrere come liquidi se la forza agisce su di essi
per lungo tempo, in questo caso il materiale ha subito una deformazione plastica. Bisogna tener
presente che dopo aver applicato e rimosso per parecchie volte un carico, la loro tensione limite
diminuisce gradatamente, e alla fine il materiale si rompe anche se sottoposto a piccoli sforzi, ossia
è presente il fenomeno della fatica. L'elasticità di trazione e di compressione, sono i casi più
frequenti di deformazioni elastiche.
Le deformazioni di corpi solidi sono determinate dalla forza applicata per unità di area, e
non dalla forza totale applicata. Quindi una sbarra sottoposta ad uno sforzo  , la cui area della
sezione trasversa vale A, è dato dal rapporto fra la forza F applicata e l'area A : F/A, a cui si
oppongono le forze intermolecolari che agiscono all'interno del materiale. Sono definiti tre tipi di
sforzo: di trazione, che è la forza per unità di superficie che provoca l'allungamento di un oggetto;
di taglio, che corrisponde all'applicazione di forze come quelle della forbice; e di compressione,
che agisce in modo da comprimere un oggetto. La deformazione di un oggetto sotto la forza F, è
data dalla variazione relativa di lunghezza: = l/l, che è un valore adimensionale che non dipende
dalla lunghezza dell'oggetto.
Nel caso di pura elasticità di volume, la costante di proporzionalità tra sforzo e
deformazione nella regione lineare si chiama modulo di Young di compressione o di trazione, ed è
dato dal rapporto tra sforzo e deformazione: E= . Per materiali non omogenei, i valori dei
moduli di Young per trazione te per compressionec, sono diversi..
Dato che lo sforzo è direttamente proporzionale alla deformazione, , e che quindi la forza
risulta direttamente proporzionale alla variazione di lunghezza, Hooke, ossia, sostituendo:
F/A=(l/l)E, ossia la forza applicata, è proporzionale alla variazione di lunghezza: F=Kl, che è la
legge empirica trovata da Hooke per i corpi perfettamente elastici, dove K= (EA)/l.
La capacità di un oggetto di resistere ad una flessione, dipende dalla composizione e dalla
forma dell'oggetto stesso. Una trave posta su due supporti, si flette un poco sotto il proprio peso; la
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metà sinistra della trave è sottoposta a forze che derivano da uno dei due supporti e dal suo peso, e
che danno luogo al momento flettente a delle forze applicate. Essa è soggetta anche a forze
trasmesse dall'altra metà della sbarra, che danno luogo al momento flettente i delle forze interne.
i cresce al crescere della deformazione, mentre a è costante. All'equilibrio, sarà ,
considerata la 1° legge i Newton per la metà sinistra della trave, la forza verticale esercitata dal
supporto di sinistra e il peso di questa metà di trave, devono essere uguali ed opposti all'equilibrio;
ed essendo forze con linee di azione differenti, fanno nascere una coppia che causa una rotazione in
senso orario di questa metà della trave con un momento applicato a. Per mantenere questa parte di
trave in equilibrio, la metà di destra deve esercitare sulla metà di sinistra delle forze che producano
un momento uguale ed opposto, ossia un momento interno i. La parte superiore della trave, è
compressa, mentre quella inferiore è tesa e le due parti sono separate da una superficie
longitudinale, superficie neutra, che non cambia di lunghezza, e la cui forma dipende dalle
proprietà elastiche del materiale, dalla forma della sezione della trave e dalle modalità con cui è
applicato il carico. Le superfici superiore ed inferiore sono le più deformate, quindi su esse
compaiono le forze interne più grandi, che producono un momento che si oppone e annulla quello
dovuto al peso e alla reazione vincolare. Tanto più sono applicate lontano dalla superficie neutra,
tanto più grande è il loro contributo al momento; quindi travi alte permettono di ottenere momenti
grandi con forze interne relativamente piccole, per cui possono sostenere grossi carichi.
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BIOENERGETICA
TERMOLOGIA E TERMODINAMICA:
PRINCIPI FISICI
La termodinamica, si occupa degli scambi di energia meccanica, ossia lavoro, e di calore
fra i corpi e quelli che li circondano. Si chiama sistema termodinamico qualsiasi corpo o sistema
di corpi il cui comportamento può essere studiato dal punto di vista degli scambi di lavoro e di
calore sia fra le diverse parti del sistema, che fra queste e altri corpi che non appartengano al
sistema ma costituiscono l'ambiente che lo circonda. Lo stato termodinamico di un sistema, è uno
stato di equilibrio termodinamico, nel senso che, dal punto di vista macroscopico, tutto è fermo e
nulla muta al passare del tempo; ciò avviene solo se, a volume costante, la temperatura e la
pressione hanno lo stesso valore in tutti i punti: l'equilibrio termodinamico, infatti, implica
simultaneamente l'equilibrio meccanico, termico, e chimico.
Un fenomeno a cui si ricorre per misurare la temperatura dei corpi è la dilatazione termica,
cioè la variazione di dimensioni che subiscono i corpi quando la loro temperatura varia. In generale
un corpo, al crescere della sua temperatura, aumenta di volume: la misura di temperatura può così
essere ridotta a misure di variazione di volume. In un termometro comune la temperatura è indicata
dal volume di una certa massa di mercurio; per calibrare un termometro, generalmente si scelgono
due temperature di riferimento e si suddivide l'intervallo in un certo numero di parti uguali: la scala
Celsius assume come 0°C la temperatura del ghiaccio fondente, e come 100°C la temperatura
dell'acqua bollente; la scala Fahrenheit pone a 32°F la temperatura del ghiaccio fondente, e a 212°F
la temperatura dell'acqua bollente. Le due scale sono legate dalla seguente relazione: t=(5/9) x (tf
32°F).
La legge dei gas perfetti, in cui le molecole non interagiscono fra loro, mette in relazione la
pressione, il numero di moli, il volume e la temperatura di un gas rarefatto. Secondo la legge di
Boyle, a temperatura T costante, il prodotto della pressione per il volume è costante: PV=costante,
quindi se il volume cresce la pressione diminuisce. Se a pressione costante, si modifica la
temperatura, si nota che il volume cala al calare della temperatura: V/T=costante, dove T è la
temperatura in gradi Kelvin. Da qui si risale alla legge dei gas perfetti: PV=nRT, dove n sono le
moli di gas e R è la costante universale dei gas, R=0,082 litro atm mole*-1 °K*-1; questa legge
soddisfa tutti i gas reali, purché sufficientemente rarefatti.
Nel modello dei gas perfetti, le molecole non urtano mai tra loro, ma solo con le pareti del
recipiente; questi urti sono elastici, perciò le molecole non perdono energia nell'urto, ma cambiano
di direzione, implicando una variazione della quantità di moto delle molecole stesse, ossia la parete
esercita una forza di reazione sulle molecole. Il valore medio della forza esercitata dalle molecole
per unità di area della parete, produce la pressione del gas. Quindi il prodotto della pressione per il
volume, è correlato alla energia cinetica media delle molecole (K)m: PV=(n Na Km)2/3, dove Na è
il numero di avogadro, e Km=(mv*2)/2 dove m è la massa d una molecola. Confrontando questo
risultato con il modello dei gas perfetti, avremo che nRT=(n Na Km)2/3, ossia
Km=3/2(R/Na)T=3/2(Kb)T,dove Kb=(R/Na) è la costante di Boltzman che vale 1,38 X10*-23
J/K. Conoscendo la temperatura, avremo una misura diretta della energia disponibile per iniziare un
processo chimico, fisico o biologico.
La quantità di energia trasferita da un corpo ad un altro, è il calore, mentre il flusso di
calore, è un passaggio di energia termica e indica la potenza termica trasmessa in Kcal/h.
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Se un oggetto viene riscaldato, il suo volume aumenta; ossia vi è una relazione fra la
variazione di lunghezza di un oggetto e la variazione di temperatura che l'ha causata. Considerato
che l'allungamento l è direttamente proporzionale alla lunghezza iniziale l, e che l'incremento di
temperatura è proporzionale all'allungamento, avremo che l=lt, dove  è il coefficiente di
espansione lineare, caratteristico di ciascun materiale e dipendente dalla temperatura. La variazione
di volume è data da: V= V t, doveB è il coefficiente di espansione cubica, che è il triplo di 
per i materiali che si espandono uniformemente in tutte le direzioni: V=3 V t.
Il rapporto tra l'energia termica trasferita e la variazione di temperatura, è detto capacità
termica del corpo; quando avviene un passaggio di energia per effetto di una variazione di
temperatura, all'energia in transito si dà il nome di energia termica o calore; un altro modo per
sottrarre o fornire energia ad un corpo, è quello di compiere un lavoro.
Il calore specifico c, è la capacità termica specifica riferita alla massa della sostanza
considerata, ed è il calore necessario per aumentare di un grado la temperatura di 1 Kg della
sostanza considerata; ossia per un corpo di massa m a cui è stato somministrato a volume costante il
calore Q, che ha prodotto la variazione di temperatura t: c= Q/(m t), ossia Q=m c t, e si misura
in j per Kg per grado: J/Kg °K. Questa equazione, è valida solo se il volume resta costante; se
invece il gas si espande all'aumento di temperatura, occorre fornirgli una maggiore quantità di
calore per ottenere lo stesso aumento di temperatura, questo perché il gas compie lavoro
espandendosi, e quindi parte della energia fornita non va ad aumentare la sua temperatura; ossia il
calore specifico a pressione costante è maggiore di quello a volume costante.
Quando una sostanza od un sistema si espande o si contrae, il lavoro L fatto dal sistema può
essere messo in relazione con la variazione di volume del materiale che costituisce il sistema.In una
trasformazione termodinamica a pressione p, il volume, subisce un incremento V molto piccolo, il
lavoro fatto dal sistema sull'ambiente esterno, è dato dal prodotto p V. Se il volume aumenta dal
valore iniziale Va fino al valore finale Vb, il lavoro meccanico L fatto dal sistema, è dato dall'area
del trapezio curvilineo del diagramma (p,V) delimitato dalla curva che rappresenta la
trasformazione, dall'asse delle ascisse e dalle due ordinate estreme.
p
A
pa
B
L
pb
O
Va
V
V
Il lavoro così enunciato è positivo quando si avrà una espansione, ossia il fluido compie un lavoro
sull'ambiente esterno; quando si avrà una compressione, il lavoro sarà negativo, e il fluido subisce
un lavoro dall'ambiente esterno. Per qualsiasi trasformazione isobara, ossia a pressione costante, in
cui il volume passi da Va a Vb, il lavoro L=p(Vb-Va); in una trasformazione isocora, ossia a
volume costante, il sistema non compie lavoro, ossia L=0; il lavoro fatto da un fluido omogeneo
che percorre una trasformazione ciclica, è uguale all'area della superficie racchiusa dal ciclo nel
diagramma (p,V), presa con il segno più o il segno meno a seconda che il ciclo è percorso in senso
orario od antiorario.
Gli scambi di calore e di lavoro fra un corpo e l'ambiente che lo circonda, hanno luogo solo
se esso passa da uno stato termodinamico ad un altro, allora il sistema subisce una trasformazione
termodinamica, che, fondamentalmente può essere: isoterma, isobora, isocora, adiabatica. Un
sistema termodinamico, subisce una trasformazione isoterma da uno stato di equilibrio iniziale A
ad uno stato di equilibrio finale B, quando, durante la trasformazione, la temperatura t viene
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mantenuta costante e pari al valore che ha negli stati iniziali A e finali B; nelle trasformazioni
isobare, è la pressione del sistema che è mantenuta costante, e nelle isocore, è il volume del sistema
che è mantenuto costante; il sistema subisce una trasformazione adiabatica dallo stato di equilibrio
iniziale A allo stato finale B quando, durante la trasformazione, il sistema non scambia calore con
nessun altro corpo.
Il primo principio della termodinamica mette in relazione la variazione di energia interna
del sistema, il calore scambiato dal sistema, ed il lavoro fatto da o sul sistema: la quantità di calore
Q assorbita da un sistema in una trasformazione termodinamica qualsiasi è uguale alla somma del
lavoro L fatto dal sistema sull'ambiente esterno e della variazione subita dall'energia interna del
sistema quando esso passa da uno stato iniziale ad uno stato finale. Ossia, se si fornisce calore Q al
sistema, o si compie lavoro su di esso, mantenendo costante il volume, aumenta la sua energia
interna U. In generale, si può fornire al gas una quantità di calore Qe fare in modo che faccia un
lavoro L; in questo caso l'aumento U della energia interna del gas è uguale alla differenza tra il
calore assorbito ed il lavoro fatto, ossia Q=Uf-Ui=Q-L, dove Q è positivo se il calore viene
ceduto al sistema, mentre L è positivo se il lavoro viene fatto dal sistema. Dal primo principio, si
deduce che calore e lavoro devono essere trattati alla stessa stregua, e che le variazioni di energia
interna debbono essere indipendenti dal modo in cui sono state ottenute, ossia la differenza tra i
valori iniziale e finale dell'energia interna di un sistema deve dipendere solo dai suoi stati iniziale e
finale, cioè dalle variazioni di grandezze come la temperatura, la pressione ed il volume. In una
trasformazione isoterma sufficientemente lenta di un gas perfetto, si ha Q=L; In una trasformazione
adiabatica , dove il sistema è termicamente isolato, si ha Uf-Ui=-L.
Il 2° principio della termodinamica, permette di calcolare il rendimento di una macchina
ideale, e di stabilire quali siano i limiti di rendimento delle macchine reali. Microscopicamente il 2°
principio, riguarda il comportamento probabile di un gran numero di molecole, e afferma che i
sistemi tendono ad evolvere da configurazioni caratterizzate da un grande ordine, verso
configurazioni più disordinate e più probabili; ossia i sistemi tendono a portarsi in stati
termodinamici cui compete il massimo disordine molecolare, cioè il massimo caos.
Macroscopicamente, il 2° principio, stabilisce che l'entropia tende ad assumere il massimo valore
possibili, e dipende solo dallo stato termodinamico in cui si trova, e non da come il sistema ha
raggiunto questo stato. Una trasformazione è reversibile se si può fare in modo che il sistema torni
nel suo stato iniziale senza che ne risulti alcun cambiamento, rispetto alle condizioni di partenza, né
nel sistema stesso né nell'ambiente circostante. Le trasmissioni di calore tra oggetti a temperatura
diversa, sono possibili solo se l'ambiente fornisce lavoro, cosa che non avviene mai
spontaneamente; quindi l'ambiente deve essere modificato per fare in modo che il sistema ritorni
alle sue condizioni iniziali. Se durante una trasformazione reversibile , si fornisce una piccola
quantità di calore Q ad un sistema che si trova alla temperatura assoluta T, la variazione di entropia
del sistema S=Q/T; quando il calore è sottratto al sistema, Q è negativo e così la corrispondente
variazione di entropia del sistema. In generale, macroscopicamente, l'entropia totale del sistema più
quella dell'ambiente non può mai diminuire, ma può solo aumentare o rimanere costante: S(totale)
>= 0; la variazione di entropia è nulla in una trasformazione reversibile, ed è maggiore di zero in
una irreversibile; ossia il disordine molecolare di una sistema e dell'ambiente esterno rimane
costante se la trasformazione è reversibile, mentre aumenta se la trasformazione è irreversibile.
Il calore passa sempre da zone a temperature maggiori a zone a temperature minori, quindi
due corpi termicamente isolati dall'ambiente, se possono scambiare calore, tendono gradatamente a
raggiungere la stessa temperatura. Quando due corpi metallici, sono messi a contatto tramite una
sbarretta di metallo, la loro differenza di temperaturat diminuisce; se si divide a metà la sbarretta,
dimezzando l'area della sezione traversa a contatto dei due corpi, allora ciascuna parte è attraversata
da un flusso di calore pari alla metà di quello totale che si aveva in precedenza. Quindi il flusso d
calore da un corpo più caldo ad uno più freddo è proporzionale all'area A della sezione traversa.
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Se si raddoppiano t e la lunghezza della sbarretta l, il flusso termico H rimane invariato; se si
dimezza t e si lascia invariato l, o viceversa, il flusso raddoppia. Quindi il flusso termico è
proporzionale al gradiente termico, ossia a t/l : H= k A (t/l), dove k è la conducibilità termica. Il
coefficiente di conducibilità termica è la quantità di calore, in calorie, che in un secondo attraversa
uno strato di sostanza, di area pari ad 1 cm*2 e di spessore di 1 cm, quando tra le sue due facce vi è
la differenza di temperatura di 1°C. Le sostanze con un elevato coefficiente di conduttività termica
sono buoni conduttori del calore, quelli per cui esso è basso, sono isolanti termici. Nei liquidi e nei
gas, la maggior parte del calore viene trasportato per convezione, ossia attraverso correnti che
trasportano il calore delle masse fluide in movimento, prodotte dalle differenze di densità tra le
diverse parti del fluido, prodotte dalle differenze di temperatura. Poiché la propagazione di calore
per convezione è dovuta ad un movimento di materia, essa non può aver luogo in un corpo solido.
Una formula empirica che fornisce il flusso termico trasmesso per convezione da una superficie di
area A in aria stagnante è: H= q A t, dove t è la differenza di temperatura tra la superficie e l'aria
in un punto lontano dalla superficie stessa, e q è il coefficiente di adduzione, che dipende dalla
forma e dall'orientamento della superficie, e in certa misura anche da t. La propagazione del calore
per irraggiamento, è dovuta al fatto che qualsiasi corpo A, ad una temperatura ta, emette energia
sotto forma di un insieme di radiazioni elettromagnetiche di diversa lunghezza d'onda. Quando
queste radiazioni, che si propagano ad una velocità di 300.000 Km/s, colpiscono un altro corpo B, a
temperatura tb, sono da questo assorbite completamente o in parte. Ma anche B emette radiazioni,
una parte delle quali colpisce A. Se ta=tb, la compensazione tra l'energia irraggiata da A e assorbita
da B e viceversa, è esatta; ma se, per esempio, ta>tb, B si riscalda ed A si raffredda, ossia una certa
quantità di calore è passata da A a B per irraggiamento. Un onda è caratterizzata dalla sua
lunghezza d'onda  e dalla corrispondente frequenza f. la lunghezza d'onda è la distanza tra due
creste consecutive lungo la direzione di propagazione; la frequenza è pari al numero di creste che
passano per un dato punto in ogni secondo ed è uguale alla frequenza di vibrazione della carica che
genera l'onda elettromagnetica. Il rapporto tra la distanza tra due creste successive, ed il tempo T
impiegato nel loro passaggio (periodo), che è uguale l reciproco della frequenza f, ovvero del
numero f di creste che passano per un punto ad ogni secondo, deve essere uguale alla velocità di
propagazione dell'onda: (f=c.
Il calore latente di fusione di una sostanza è la quantità di calore necessaria per fare
fondere completamente l'unità di massa di questa sostanza, che si trovi alla sua temperatura di
fusione, e si misura in calorie al grammo (cal/g) o in Kilocalorie al Kilogrammo (Kcal/Kg). Quando
un liquido che si trova alla sua temperatura di fusione, passa allo stato solido, cede, per ogni
grammo, una quantità di calore che è esattamente uguale al calore che esso ha assorbito all'atto della
fusione; ossia il calore latente di solidificazione è pari al calore latente di fusione. Il fatto che,
durante la solidificazione, la temperatura del materiale resti costante, significa che resta costante
l'energia cinetica media di traslazione dei suoi atomi. Il calore latente di solidificazione, ceduto dal
materiale all'ambiente, corrisponde al lavoro fatto dalle forze di interazione che agiscono tra i suoi
atomi; tali forze sono attrattive e poiché, passando dallo stato liquido allo stato solido, la distanza
fra gli atomi diminuisce, esse fanno un lavoro positivo. Analogamente per il passaggio di una
sostanza da liquido a vapore, si definisce il calore latente di evaporazione la quantità di calore
necessaria per far passare l'unità di massa di quella sostanza dallo stato liquido allo stato di vapore,
senza che abbia luogo alcun cambiamento di temperatura.
L'UOMO E L'AMBIENTE:
SCAMBIO ENERGETICO E TEMPERATURA
CORPOREA
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Il tessuto corporeo, è un buon isolante. Quando l'ambiente è caldo, la temperatura interna
del corpo è mantenuta pressoché uniforme. Proprio perché i tessuti del corpo sono cattivi
conduttori del calore, la parte più interna del corpo può essere mantenuta calda anche in un
ambiente freddo. Si supponga che in un tempo t una persona faccia un lavoro meccanico L;
generalmente del calore viene disperso dal corpo nell'ambiente, per cui Q è negativo. Questo calore
può essere misurato determinando il calore che può essere sottratto per mantenere costante la
temperatura in una stanza dove la persona sta lavorando.In principio la variazione dell'energia
interna U sarà data daU=Q-L
Dividendo pert, questa relazione viene espressa in termini di potenza, cioè di variazione di
energia per quantità di tempo: (U/t)=(Q/t)=(L/t).
Gli animali a sangue caldo controllano la loro temperatura corporea regolando il rilascio di
calore dal loro corpo. lo scopo principale del meccanismo di regolazione della temperatura è quello
di mantenere gli organi vitali ed i muscoli ad una temperatura vicina al valore ottimale. Poiché le
perdite di calore si verificano sia alla superficie del corpo sia con il rilascio di vapore acqueo dai
polmoni, l'obbiettivo è quello di regolare il flusso termico dagli organi e dai muscoli verso i
polmoni e la superficie del corpo. Il flusso sanguigno trasporta il calore dalle zone interne del corpo
a quelle esterne. Inoltre l'ipotalamo, il termostato del corpo, è sensibile alla temperatura del sangue
e, in base ad essa, controlla il sistema agendo in modo da mantenersi ad una temperatura pressoché
costante. La sorgente del calore corporeo è il metabolismo de cibo. In dipendenza dalla temperatura
dell'aria e dagli indumenti indossati, il calore generato può essere utilizzato per compensare alle
perdite dovute alla convezione e all'irraggiamento, oppure può essere smaltito all'esterno del corpo.
Per aumentare la temperatura il corpo riduce il flusso ematico nei capillari più vicina alla superficie
della pelle. Il tessuto molle è un cattivo conduttore del calore, quindi con questo meccanismo le
perdite di calore si riducono efficacemente. Per aumentare l'isolamento gli animali drizzano il pelo
in modo da aumentare lo spessore; infine la produzione di calore può essere aumentata mediante il
tremito.
Il corpo iene raffreddato per convezione e irraggiamento dalla pelle e per evaporazione del sudore
dalla stessa pelle (traspirazione) e di acqua dai polmoni. Se la temperatura interna cominci a
crescere, il corpo comincia ad aumentare il flusso ematico vicino alla pelle per aumentare le perdite
di calore per convezione ed irraggiamento e usa il meccanismo di dissipazione del calore per
evaporazione. Quindi il flusso di calore prodotto da metabolismo è dato dalla somma dei flussi di
calore dissipati per convezione, irraggiamento traspirazione e per evaporazione nei polmoni.
MECCANICA DEI FLUIDI BIOLOGICI
STATICA DEI FLUIDI
Un fluido è una sostanza che può scorrere e comprende quindi liquidi e gas. Usare i concetti
di massa e forza nei fluidi presenta delle difficoltà, dal momento che una particolare massa di fluido
può deformarsi durante il suo movimento; questa difficoltà viene eliminata descrivendo i fluidi in
termini di densità e pressione.
Una data massa di fluido incompressibile occupa un certo volume, quindi la densità è data dalla
massa diviso il suo volume e si misura in Kg/m*-3 : =m/v. La densità relativa è data dal rapporto
tra la densità di una sostanza e quella dell'acqua a 0°C.
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Per un fluido, la forza superficiale che agisce su di esso, deve sempre essere perpendicolare alla
superficie; un fluido in quiete non può restare in equilibrio sotto l'azione di una forza tangenziale,
poiché gli strati fluidi scivolerebbero uno sull'altro sotto l'azione di tale forza., perciò conviene
descrivere la forza agente sul fluido precisando la pressione p, definita come il modulo della forza
normale per unità di superficie: P=Fn/A. L'unità di misura è l'unità di forza diviso l'unità di
superficie; nel MKS è il pascal: 1 atm= 1,013 X 10*5 Pa. Se si pone un fluido, in equilibrio statico ,
in un contenitore, notiamo che la pressione varia in funzione della distanza da un certo livello di
riferimento, quindi nel caso di un liquido omogeneo avremo che p2-p1=- g(y2-y1), ossia al crescere
della quota la pressione diminuisce, questo a causa del peso per unità di area degli strati di fluido
compresi fra i punti fra cui si osserva la differenza di pressione. Prendendo come quota di
riferimento la superficie, e y2-y1 la profondità h sotto la superficie, p=p0+ g h. Se si aumenta la
pressione esterna di una quantità arbitraria p0, la densità resta costante durante il processo; in
questo modo la variazione di pressione p in un qualsiasi punto P è uguale a p0; ossia la pressione
esercitata su un fluido si trasmette senza diminuzioni ad ogni porzione del fluido ed alle pareti del
recipiente contenitore (principio di Pascal). Tale principio è valido anche per i gas, per i quali si
manifestano grandi variazioni di volume, quando varia la pressione del gas. Il principio di Pascal si
collega alla legge di stevino che afferma che in un liquido in quiete soggetto soltanto alla gravità, la
pressione ha lo stesso valore in tutti i punti posti su uno stesso piano orizzontale; cresce
proporzionalmente alla profondità ed è proporzionale alla profondità del liquido. Tale legge è valida
anche per i gas, e quindi si può applicare alla pressione atmosferica alle diverse latitudini.
Anche il principio di Archimede è una conseguenza necessaria delle leggi della statica dei
fluidi. Quando un corpo è interamente o parzialmente immerso in un fluido in quiete, quest'ultimo
esercita delle pressioni su ogni parte della superficie del corpo in contatto con il fluido. La
pressione è maggiore sulle parti più profondamente immerse. La risultante di tutte queste forze di
pressione è una forza diretta verso l'alto detta spinta. Per capre l'origine di questa forza A, si
consideri un fluido di volume V, densità  e peso w0=0 g V. Dato che il liquido è all'equilibrio,
per la 1° legge di Newton, A deve essere uguale ma opposta al peso, quindi A=0 g V. Se l'oggetto
di volume V è tenuto sospeso con un filo, e la densità dell'oggetto è più grande di quella del
fluido, le forze che agiscono sull'oggetto sono il peso w= g V, la tensione lungo il filo T,e la forza
di sostentamento A. Il fluido non fa differenza tra l'oggetto ed il fluido da esso rimpiazzato, quindi
A= g V, e dato che l'oggetto è in equilibrio, T=w-A, ossia T= (g V; ossia la tensione lungo
il fluido è ridotta di un valore pari al peso del fluido spostato, quindi la forza di sostentamento
esercitata sull'oggetto è uguale al peso del fluido spostato. Se Vs è la porzione sommersa del
volume V dell'oggetto, la forza di sostentamento è  g Vs. Questa forza deve uguagliare il peso
gV dell'intero oggetto, quindi gVs=gV, cioè ((Vs/V) poiché il rapporto delle densità è
uguale alla frazione di volume sommersa.
DINAMICA DEI FLUIDI
Secondo l'equazione di continuità, se un fluido entra da una estremità di un condotto con
una portata Q1, dall'altra estremità il fluido deve uscire con una portata Q2 = Q1, dove la portata Q è
uguale all'area della sezione traversa del condotto per la velocità del fluido, ossia Q=Av; questo
perché se il fluido si muove con una velocità uniforme v in tutti i punti del condotto di sezione
traversa costante A, in un tempo t, il fluido percorre una distanza x=vt, ed il volume del fluido
che esce dal condotto è V= Ax = Avt, e dato che V=Qt, ritorniamo a Q=Av. Quindi se la
sezione traversa del condotto cambia da A1 ad A2, dato che Q1=Q2, avremo che A1v1=A2v2; ossia il
prodotto dell'area di una sezione traversa del condotto per la velocità del fluido in quella sezione è
costante lungo il condotto, quindi se A diminuisce v aumenta.
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Se un fluido che scorre in un condotto è incompressibile, non viscoso, laminare, e la sua
velocità non cambia in nessun punto del condotto, allora il lavoro eseguito sul fluido quando scorre
da un punto ad un altro, è uguale alla variazione della sua energia meccanica. Rimanendo costante
la sezione trasversale, allora rimangono costanti anche la velocità v e l'energia cinetica del fluido,
mentre l'energia potenziale cambia se il fluido sale aumentando la sua quota y. l'intensità della forza
risultante sul fluido in movimento, esercitata dal fluido circostante, è uguale al prodotto dell'area
della sezione traversa A per la differenza delle pressioni alle estremità; Se tale fluido percorre una
breve distanza x, allora il lavoro compiuto su di esso è il prodotto dell'intensità della forza per lo
spostamento (Pa-Pb)Ax, dove Ax è il volume del fluido che esce dal tubo, quindi L=(Pa-Pb)V,
che è uguale all'aumento U della sua energia potenziale. Se il fluido che esce dal tubo alla quota yb
ha una massa V ed una energia potenziale (V)gyb, mentre il fluido che entra nel tubo dalla
sezione di base alla quota ya ha una energia potenziale (V)gya. Quindi U=gV(yb-ya).
Uguagliando U ad L e dividendo perVavremo Pa-Pb=g(yb-ya) a velocità costante. Perciò per
l'unità di volume del fluido, la pressione sommata all'energia potenziale è la stessa in ogni punto del
tubo di flusso se la velocità rimane costante. Ossia se cambia l'area della sezione traversa, anche la
velocità v del fluido e l'energia cinetica per unità di volume (V*2)/2 cambieranno. Il lavoro fatto
sul fluido deve essere allora uguagliato dall'aumento delle energie cinetica e potenziale. Il risultato è
l'equazione di Bernoulli Pa+gya+(va*2)/2 = Pb+gyb+(vb*2)/2, ossia la pressione più l'energia
totale meccanica per unità di volume P+gy+(v*2)/2 risulta la stessa in ogni sezione del tubo di
flusso. Quando il fluido è in quiete v=0 e P+gy è costante, e la pressione ad una profondità h è
uguale alla pressione in superficie più la variazione della densità di energia potenziale gh
corrispondente a questa profondità: Px=Patm+gh.
La viscosità nel moto di un fluido è l'analogo dell'attrito nel moto dei solidi, e crea delle
forze tangenziali fra gli strati di fluido che scorrono l'uno sull'altro, col risultato di dissipare energia
meccanica. La viscosità è anche responsabile della forza di trascinamento a cui è soggetto un
piccolo oggetto che si muove lentamente in un fluido. Sperimentalmente si osserva che la forza F è
proporzionale all'area A della lastra ed alla velocità relativav della lastra superiore ed
inversamente
A
F
v
y
proporzionale alla distanza y tra le lastre: F=A(v/y), dove la costante di proporzionalità è la
viscosità, che è =(F/A)/(v/y), e si misura in poise (P) o in Pa X s. generalmente, quando la
temperatura decresce, i liquidi diventano più viscosi, mentre i gas diventano meno viscosi.
Il fluido a contatto con la lastra in movimento ha la stessa velocità della lastra, o strato di
fluido appena al di sotto si muove leggermente più piano, ed ogni strato successivo rallenta un po'
di più, lo strato prossimo alla lastra fissa è in quiete. Questa struttura a strati o flusso laminare ha
le linee di flusso caratteristiche dei fluidi viscosi a basse velocità; quando la velocità del fluido
aumenta oltre un certo limite, il flusso diventa turbolento, che dissipa più energia meccanica del
flusso laminare. In un fluido che si muove in un tubo con flusso laminare, lo strato a contatto della
parete del tubo vi aderisce restando in quiete; gli strati successivi si muovono a velocità crescenti,
fino al centro che viaggia alla velocità massima. Sperimentalmente si trova che la velocità media
vm è la metà della velocità massima, perciò, dall'equazione di continuità, la portata
Q=Avm=(Avmax)/2.
quando il fluido si muove lungo il tubo, vi è un cambiamento di pressione, dal momento che deve
essere fatto un lavoro per vincere le forze di viscosità. Se varia la sezione traversa o se il tubo non è
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pi orizzontale, nascono nuove variazioni di pressione in accordo con l'equazione di Bernoulli. La
caduta di pressione P=P1-P2 in un tubo orizzontale a sezione traversa costante è proporzionale alle
forze di viscosità e quindi alla velocità media del fluido. Inoltre la caduta di pressione è
proporzionale alla lunghezza l del tubo, dato che il lavoro fatto contro le forze di viscosità è
proporzionale allo spostamento. Così P è proporzionale a vml oppure vm è proporzionale a P/l,
ossia la velocità media del fluido vm e la sua portata Q=Avm sono proporzionali al gradiente di
pressione P/l. Ma la velocità media dipende anche dal raggio R del tubo e dalla viscosità  del
fluido, dato che è più facile pompare un fluido poco viscoso in un tubo largo che un fluido molto
viscoso in un tubo stretto. Quindi vm=P/l)Rab dove B è un fattore numerico adimensionale e
le potenze a,b devono essere scelte in modo tale che vm abbia le corrette dimensioni. Scegliendo per
a,b le dimensioni di 2 e -1, vm=B(P/l)(R2/). Se si sostituisce a B 1/8, la relazione fra la velocità
media e la massima, vm=½vmax, viene rispettata. Quindi vm=(P R²)/8l, e Q=(P R4)/8l, che è
la formula di Poiseuille, che enuncia che elevati valori di viscosità comportano bassi valori di
portata.
Per determinare se un flusso è turbolento o laminare, si prende come riferimento una
grandezza adimensionale, il numero di Reinolds Nr=(2vmR)/. se Nr <2000 il flusso è laminare,
se Nr>3000 il flusso è turbolento, se 2000<Nr<3000, il flusso è instabile. Nel flusso turbolento si
dissipa energia sotto forma di rumore e di calore.
Il sistema circolatorio offre una resistenza idraulica complessiva che è il rapporto tra la
caduta di pressione e la portata pari a Rf=P/Q, valida anche per un flusso non laminare. Secondo
la legge di Poiseuille la resistenza idraulica di un tubo di raggio r e lungo l è data da
Rf=(8l)/(R4) valida solo per il flusso laminare, dove l'unità di misura, in questo caso per
comodità' è il torr s cm-3. Dato che il sangue scorre in una successione di vasi di diversa grandezza,
il sistema circolatorio si può definire come una serie di resistenze idrauliche, dove la portata Q
attraverso ciascuna è la stessa, quindi la caduta totale di pressione è
P=P1P2+.=(Rf1+Rf2+Rfn)Q dove le N resistenze in serie sono equivalenti ad una singola
resistenza equivalente Rs che soddisfa la relazione P=RsQ, ovvero Rs=Rf1+Rf2+...+Rfn. Se un
numero di resistenze sono in parallelo, allora il flusso del fluido si divide, Q1 attraverso Rf1, Q2
attraverso Rf2, ecc. La caduta di pressione attraverso ciascuna resistenza è la stessa, quindi dato che
P=QRf, a ciascuna resistenza si ha Q1=P/Rf1, Q2=P/Rf2, ecc, quindi
Q=Q1+Q2+...+Qn=P[(1/Rf1)+(1/Rf2)+...+(1/Rfn). Sostituendo questo sistema di resistenze in
parallelo con una singola resistenza Rp, si dovrebbe avere Q=P/Rp. Quindi per N resistenze in
parallelo, la resistenza equivalente viene calcolata da (1/Rp)=(1/Rf1)+(1/Rf2)+...+(1/Rfn).
Ipotizzando che le arterie della stessa grandezza, le vene e i capillari delle stesse dimensioni, siano
in parallelo, la resistenza idraulica per ciascun tipo di vaso si calcola con la formula delle resistenze
in parallelo. Dato che un vaso ha una resistenza Rf1, la resistenza di N vasi identici in parallelo è
Rp=Rf1/N. Per trovare la resistenza equivalente totale dei vasi delle varie dimensioni, si usa poi la
formula delle resistenze in serie. Per calcolare poi la resistenza di un singolo ramo si applica la
legge di Poiseuille. La maggiore resistenza viene offerta dalle arterie, questo perché sono circondate
da fibre muscolari che possono contrarsi riducendo il raggio e aumentando la resistenza del vaso. Il
sangue non si comporta come un liquido comune, e non segue il comportamento di un fluido ideale
ma neppure quello di un liquido viscoso, la sua viscosità varia infatti con la velocità. alla normale
temperatura corporea la viscosità è =2,084 X 10-3 Pa s e la densità è =1,0595 X 103 Kg m-3.
Se lasciamo un campione di sangue immobile, dopo un certo tempo si stratifica in bande di
densità e di colore diverso, e sul fondo sedimentano le particelle di densità più elevata; questo
perché la gravità bilanciata dalla resistenza viscosa del liquido fa sedimentare più rapidamente le
particelle più grandi e a maggiore densità. Il processo di sedimentazione è contrastato dal processo
di diffusione che tende ad eguagliare la concentrazione delle molecole e particelle in soluzione in
tutto il liquido. Per cui solo particelle più grandi e dense riescono a sedimentare mentre per le altre
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il processo diffusivo continuamente le riporta in soluzione. Il processo di sedimentazione viene reso
più rapido grazie alla centrifuga, posizionando la provetta radialmente rispetto l'asse di rotazione;
così le particelle e le molecole contenute nel liquido sono soggette , oltre all'accelerazione di
gravità, alla accelerazione centrifuga pari a ²R e diretta verso l'esterno radialmente. Le particelle
più piccole tenderanno a diffondere di nuovo indietro, mentre quelle più grandi e dense si
depositeranno verso la parete della centrifuga.
Un oggetto che si muove attraverso un fluido è soggetto ad una forza che aumenta
rapidamente con la velocità. A velocità molto basse questa forza di trascinamento è dovuta
soprattutto alle forze di viscosità che sono proporzionali alla velocità v. A velocità leggermente più
alte l'oggetto accelera il fluido che si muove attorno ad esso, e la forza che ne deriva varia
approssimativamente con v². Le forze di trascinamento viscoso nascono perché il fluido adiacente
un oggetto è in quiete rispetto l'oggetto. Quando l'oggetto si muove nel fluido, questo strato è
soggetto ad una forza di attrito esercitata dallo strato vicino che si muove più rapidamente. Tra gli
strati adiacenti successivi vicini all'oggetto nascono delle forze di attrito il cui effetto globale è
quello di ritardare il moto dell'oggetto nel fluido.
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FENOMENI DI SUPERFICIE
La coesione dei liquidi è il risultato della attrazione tra le molecole. A causa di queste
attrazioni i liquidi hanno superfici ben definite che, come membrane tese o fogli di gomma, tendono
ad assumere conformazioni di area minima. Oltre alle forze di attrazione reciproca, le molecole di
un liquido sono soggette ad interazioni attrattive o repulsive con le molecole di altre sostanze. Le
proprietà di coesione dei liquidi possono essere modificate dall'aggiunta di piccole quantità di altre
sostanze.
La tensione superficiale è una proprietà di qualsiasi liquido che si manifesta nella
tendenza, se non sottoposto a forze esterne, ad assumere la più piccola superficie possibile, ed è
definita come la forza per unità di lunghezza agente su una qualsiasi linea tracciata su una
superficie e che si oppone alla separazione in due della superficie lungo tale linea. La tensione
superficiale può anche essere considerata come l'energia potenziale, per unità di superficie, di
formazione della superficie. Se immergiamo i un liquido un telaio costituito da un filo metallico a
forma di U, un cursore di peso w1, e un peso sospeso w2, una sottile lamina di liquido riempie l'area
racchiusa tra i fili. Se si sceglie in modo adatto il peso totale w=w1+w2,, le due superfici della
lamina esercitano una forza F uguale e contraria al peso e il cursore rimane fermo; così la forza F
dovuta alla tensione superficiale è uguale di intensità a w. Dato che la tensione superficiale è la
forza per unità di grandezza esercitata dalla superficie, se il cursore ha una lunghezza l, la forza
verso l'alto dovuta alle due superfici è F=2l, quindi F/2l. se la lamina viene allungata, le
molecole all'interno del fluido si muovono verso la superficie, e l'area della superficie viene
aumentata; dal momento che la forza rimane la stessa al variare dello spessore del liquido, la forza
deve essere attribuita alla superficie della lamina.
La superficie di un liquido a contatto con una superficie solida forma un certo angolo con
la superficie solida determinato dalla competizione tra le tensioni superficiali dei materiali, da
quanto è liscia e pulita la superficie solida e da quanto è puro il liquido. Con <90°, il liquido si
abbasserà, con >90° il liquido si abbasserà, con =90°, il liquido non si abbasserà né si alzerà;
questo è il fenomeno della capillarità, determinando l'altezza di una colonna liquida. Con <90°, la
forza risultante verticale Fv, diretta vero l'alto è la componente verticale della tensione superficiale
moltiplicata per la lunghezza l della superficie del liquido a contatto con il tubo, e dato che l è
uguale alla circonferenza : Fv=2r cos. Il volume della colonna del liquido fino al menisco è
V=r2h, e il suo peso è w=gV=gr2h. Il liquido si innalza fino a che Fv=w, ossia
h=(2cos)/(gr).
Tensioattivi sono tutte le sostanze che hanno la proprietà di modificare la tensione
superficiale di un sistema. Tale proprietà è conferita a queste sostanze dalla presenza, nelle loro
molecole, di regioni o gruppi idrofili insieme a regioni idrofobe. Un esempio classico di tensioattivi
è costituito dai saponi.
La relazione tra la differenza di pressione attraverso una membrana elastica o una lamina di
liquido chiusa e la tensione nella membrana o nella lamina, è stabilita dalla legge di Laplace.
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La pressione, al di fuori della parete della membrana sferica riempita di fluido alla pressione Pi, è
Po e la parete può esercitare una forza per unità di lunghezza, ovvero una tensione di parete . Sulla
emisfera la forza totale verso sinistra dovuta alla tensione di parete è il prodotto di  e della
circonferenza 2r della semisfera , cioè 2r. Le forze dovute alla pressione sono perpendicolari
alla superficie in ogni punto. Tutte le componenti di queste forze si bilanciano tra loro, tranne
quelle dirette verso destra che si sommano dando luogo ad una forza risultante pari al prodotto della
differenza di pressione per l'area di proiezione della semisfera, e dato che le due forze devono
bilanciarsi per l'equilibrio, avremo che 2r=(P1-Po)r2, ovvero P1-Po=2/r, che è la legge di
Laplace per una membrana sferica. Per un tubo cilindrico di raggio r, la legge di Laplace è
P1-Po=/r; in fisiologia la pressione P1-Po tra la parete interna e quella esterna di un vaso
sanguigno è chiamata pressione transmurale, sostanzialmente diversa dalla pressione che
mantiene in moto il fluido nel vaso.
BIOELETTRICITA'
CARICHE E CAMPI ELETTRICI
Tutti i corpi sono costituiti da atomi , composti da elettroni, dotati di carica elettrica
negativa, e da un nucleo, dotato di carica elettrica positiva; le due cariche si eguagliano facendo sì
che l'atomo sia elettricamente neutro, quindi sono neutre anche le sostanze composte da atomi.
La legge di Coulomb afferma che la forza tra due cariche elettriche è proporzionale al
prodotto delle cariche ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza: F=(kqQ)/R2.
Le cariche Q e q si misurano in Coulomb, e k=9 X 109 Nm2C-2. La forza è attrattiva se q e Q hanno
segni opposti, è repulsiva se hanno lo stesso segno. Quando una carica q è in presenza di due o più
cariche, la forza risultante su q è la somma vettoriale delle forze dovute a ciascuna delle altre
cariche.
Numerose cariche producono attorno ad esse un campo elettrico E, allora se è presente
un'altra carica q essa è soggetta ad una forza F proporzionale a q e al campo elettrico: F=qE, quindi
una carica positiva tenderà a muoversi nella stessa direzione e nello stesso verso di E, mentre una
carica negativa si muoverà nel verso opposto ad E. Allora il campo elettrico è la forza elettrica
esercitata sulla carica positiva unitaria, e si misura in NC-1. Una carica produce nello spazio
circostante un campo elettrico che esercita una forza su qualsiasi altra carica presente. Le cariche
positive saranno soggette a forze dirette secondo il verso delle linee di campo, e le cariche negative
saranno soggette a forze dirette in senso opposto a queste linee, dove le linee rappresentano i vettori
del campo elettrico, i cui versi sono uscenti per la carica positiva ed entranti per quella negativa. In
entrambi i casi il campo si indebolisce con l'aumentare della distanza della carica, dato che esso
varia in ragione di l/r2.
Il campo elettrico totale dovuto a due o più cariche, è la somma vettoriale dei singoli
campi elettrici di ciascuna carica. Il campo elettrico nelle vicinanze di un piano uniformemente
carico è uniforme, questo perché i vettori rappresentativi dei campi in un punto etsterno al piano,
dovuti a due cariche, hanno le rispettive componenti verticali che si eliminano, e quindi il vettore
rappresentativo della loro somma è orizzontale. Il campo vicino ad un piano di area AA dove è
uniformemente distribuita una carica totale Q è E=2kQ/A. Con due piani di area A contenenti
cariche uguali ma di segno opposto il campo si somma all'interno dei due piani e si elimina in
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qualsiasi altro punto, ossia tra i piani il campo è uniforme e vale E=4kQ/A. Una particella carica
che si muove in un campo uniforme è soggetta ad una forza costante e perciò ha una accelerazione
costante.
Dato che le forze elettriche tra cariche in quiete sono conservative, i loro effetti possono
essere inclusi nell'energia potenziale di un sistema. Il potenziale elettrico in un punto P di un campo
elettrico è il lavoro che la forza elettrica , che agisce sulla carica unitaria posta in quel punto,
compie quando questa viene spostata dal punto P fino a distanza infinita; ossia è l'energia
potenziale elettrica posseduta dalla carica unitaria quando essa si trova in P. Se in un punto P una
carica q ha una energia potenziale U, allora il potenziale elettrico V in P è: V=U/q, e si misura in
volt. Quando una carica positiva q viene spostata contro le forze di un campo elettrico costante E, la
sua energia potenziale aumenta diU=qv=qEl. Questo perché la forza F, uguale e contraria alla
forza elettrica qE, necessaria a far muovere la carica q a velocità costante per una distanza l in
direzione opposta al campo, compie un lavoro L=Fl=qEl. Dal momento che l'energia cinetica
rimane costante, questo lavoro deve eguagliare la variazione in energia potenziale della carica.
Dividendo qEl =U per q, si ottiene la variazione di potenziale elettrico V=EL, che quando
applicato ad una carica positiva aumenta quando questa si muove contro il campo, mentre se
applicato ad una carica negativa aumenta quando la carica si muove nella stessa direzione del
campo. Dato che il campo elettrico tra due piani paralleli affacciati con cariche di segno opposto e
uniformemente distribuite, è uniforme, data l'area di ciascun piano A e le cariche +Q e -Q,
l'intensità del campo è 4kQ/A, e dato che i piani sono separati da una distanza l, la differenza di
potenziale si può scrivere come V=(4kQ/A)l=El.
Dato che il lavoro fatto da una forza elettrica conservativa è indipendente dal percorso seguito tra le
posizioni iniziale e finale, si può ricavare la V tra due punti usando un qualsiasi percorso per
calcolare il lavoro fatto contro il campo elettrico su una carica unitaria positiva. Se il campo non è
uniforme si può dividere il percorso in tante parti in modo che in ciascuna parte il campo sia
praticamente costante, calcolare i lavori su ciascuna parte e poi sommarlo per ottenere il lavoro
totale. Per una qualsiasi carica Q, il potenziale ad una distanza r dalla carica è V=kQ/r. ponendo
r=infinito il potenziale elettrico diventa 0.Se vi sono più cariche, il potenziale risultante in un punto
è la somma dei potenziali dovuti a ciascuna carica.
Una superficie su cui il potenziale è lo stesso ovunque, è una superficie equipotenziale, ed
è sempre perpendicolare alle linee del campo elettrico, dato che il lavoro fatto contro le forze
elettriche è nullo, quindi l'energia potenziale è costante, quando una carica si muove in direzioni
che formano angoli retti rispetto alla direzione del campo elettrico. Le cariche si muovono lungo
una superficie equipotenziale senza variazione di energia potenziale poiché le forze del campo non
compiono lavoro. I conduttori hanno la proprietà di essere oggetti equipotenziali quando non vi
sono cariche in movimento.
Un dipolo elettrico è costituito da due cariche uguali ma di segno opposto.
P
r
a
+q
a
-q
Nel punto P abbiamo che E+=(kq)/(r-a)2, ed E- =(-kq)/(r+a)2; quindi il campo totale E=E++E-=
=kq[1/(r-a)2 - 1/(r+a)2] = 4kqa/r3. In questo campo le linee vanno dalla carica positiva a quella
negativa.
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Secondo il teorema di Gauss il flusso uscente attraverso una superficie chiusa è sempre
proporzionale alla somma algebrica delle cariche contenute nell'interno della superficie chiusa
stessa.. Questo teorema, permette di definire l'induzione dielettrica D=E, dove è la costante
dielettrica, una grandezza vettoriale, con stessa direzione, verso di E, ed intensità proporzionale ad
E. Nel caso di un campo generato da una carica puntiforme D=Q/(4r2). Ciò mostra che se lo spazio
è riempito da un mezzo omogeneo ed isotropo, ossia che mantiene inalterate le sue proprietà, D, a
differenza da E, ha in ogni punto un valore indipendente dal mezzo e quindi pari a quello che esso
ha nel vuoto.
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INDUZIONE ELETTROSTATICA
I conduttori sono caratterizzati dal fatto di contenere portatori di carica liberi di muoversi
in essi. Elettrizzando un conduttore la carica elettrica che acquista non resta nel punto dove è stata
prodotta, ma si muove fino a raggiungere uno stato di equilibrio. Un conduttore è carico
negativamente quando sul suo strato superficiale vi è un eccesso di elettroni rispetto a quanti ve ne
sono quando è elettricamente neutro; se invece è carico positivamente, nello strato superficiale vi è
una deficienza di elettroni rispetto a quanti ve ne sono quando è neutro.
Nel momento in cui si è raggiunto l'equilibrio elettrostatico, ossia quando tutte le cariche
sono ferme, il campo elettrico del conduttore è nullo; quindi è nulla anche la differenza di
potenziale tra due punti qualsiasi del conduttore e tutti i suoi punti hanno lo stesso potenziale. La
densità superficiale di carica  è il rapporto fra la quantità di elettricità Q che si trova sulla
superficie di area A e l'area A stessa: = Q/A, nel caso di un conduttore isolato di forma sferica la
carica Q si distribuisce uniformemente sulla superficie, quindi =Q/(4r2). Se il conduttore non è
sferico, la carica Q si distribuisce sulla superficie con una densità non uniforme, e sarà maggiore nei
punti in cui la superficie è più curva e convessa verso l'esterno ed è minore nei punti in cui la
superficie è più curva e concava verso l'esterno. Nei conduttori a punta, si raggiunge una curvatura
grandissima, e sulla punta si addensa una gran quantità di carica elettrica; di conseguenza, il campo
elettrico all'esterno del conduttore, vicino alla punta, ha un valore molto grande, ed è dato da
E=4kquesto perché le linee di forza del campo elettrico di un conduttore isolato sono
perpendicolari alla superficie del conduttore stesso. Se due conduttori vengono messi a contatto, la
carica Q si distribuisce sulla superficie di entrambi; raggiunto l'equilibrio tutti i punti di entrambi i
conduttori hanno l stesso potenziale, in pratica diventano un conduttore unico.
Se si avvicina un corpo inducente, ossia dotato di carica Q, ad un corpo indotto, ossia
scarico, sulla superficie di quest'ultimo nascono cariche dello stesso segno di Q nelle parti del
conduttore lontane dal corpo inducente, e cariche di segno opposto a Q nelle parti del conduttore
vicine al corpo inducente; siamo in presenza di una induzione elettrostatica. Se viene allontanato
il corpo inducente le cariche indotte scompaiono. Queste cariche indotte sono dovute a spostamenti
di portatori di carica, sempre presenti in un conduttore, che si addensano sulla sua superficie, in
modo tale che in tutti i punti interni del conduttore indotto il campo elettrico sia nullo.
La gabbia di Faraday è un involucro di metallo, costituito talvolta da una semplice rete
metallica, che divide l'ambiente in due parti elettricamente separate: lo spazio esterno e quello
interno all'involucro.
CAPACITA' ELETTRICA
Se un conduttore, isolato nello spazio e lontano da qualunque corpo elettrizzato, non è
elettrizzato, ha potenziale nullo; ma se possiede una carica elettrica Q, questa produce nello spazio
un campo elettrico, e di conseguenza ha potenziale V diverso da 0, direttamente proporzionale a Q.
La possibilità di accumulare energia da parte di un conduttore isolato elettricamente è pari al
rapporto tra la sua carica elettrica ed il suo potenziale, e prende il nome di capacità elettrostatica
C: C=Q/V, che nel caso di una sfera di raggio r, dato V=k(Q/r), abbiamo che C=Q/V=Q/[k(Q/r)].
La capacità di un conduttore sferico isolato nel vuoto risulta, in unità del sistema c.g.s.,
numericamente uguale al raggio della sfera, espresso in centimetri. La capacità, si misura, nel
M.K.S., con il Farad F, che è la capacità di un conduttore isolato che assume il potenziale di 1 volt
quando gli viene data la carica di 1 coulomb: 1F=1C/1V.
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Se affianchiamo due conduttori, uno carico positivamente e l'altro scarico, per induzione
elettrostatica nel conduttore scarico si destano cariche indotte che alterano il potenziale del
conduttore carico riducendolo, aumentando di conseguenza la sua capacità. I condensatori sono
dispositivi costituiti da due conduttori, o armature del condensatore, affacciati disposti in modo tale
da avere una elevata capacità. Se le due armature sono costitute da due lamine metalliche piane , di
area S, ad una distanza d, abbiamo un condensatore piano. Se una delle due armature ha una carica
positiva +Q, mentre l'altro è neutro, su quest'ultima viene indotta la carica negativa -Q: nello spazio
fra le due armature, ed intorno ad esse, nasce un campo elettrico, le cui linee di forza, nella parte
centrale tra le due armature, sono segmenti rettilinei paralleli; ossia nella regione centrale di un
condensatore piano il campo elettrico è uniforme. La capacità di un condensatore è proporzionale
alla costante dielettrica relativa  del dielettrico interposto fra le armature e alla loro area S ed è
inversamente proporzionale alla loro distanza d: C=S/(4d), e dato che =1/4k, segue che
C=S/(4kd). Allora l'espressione finale per la capacità di un condensatore piano è C=S/d.
Un condensatore carico accumula energia elettrica. Se le armature sono collegate con un filo
conduttore, gli elettroni si muoveranno nel filo dall'armatura negativa a quella positiva, finche le
cariche sull'armatura non si saranno neutralizzate. L'energia accumulata in un condensatore può
essere inizialmente fornita da una batteria collegata alle armature. Così li elettroni passano da una
armatura del condensatore alla batteria e all'altra armatura, finche la differenza di potenziale fra le
armature raggiunge il valore della tensione della batteria; L'energia così accumulata nel
condensatore è data dal lavoro che compie la batteria per accumulare questa carica da 0 a Q.
Quando un'armatura acquista la carica positiva e l'altra quella negativa, la differenza di potenziale
fra loro aumenta, e dato che il potenziale V=q/c, per trasferire un'ulteriore piccola quantità di carica
q è necessario che venga fatto un lavoro L=Vq = (q/C)q . Dato che la forza elettrica è
conservativa, il lavoro fatto dalla batteria deve essere uguale all'aumentoU della energia
accumulata dal condensatore: U=(q/C)q , dove U=(QV) /2, e dato C=Q/V, abbiamo che
U=(QV)/2=(Q2C)/2=(CV2)/2.
Introducendo un isolante o dielettrico tra le armature di un condensatore piano carico,
mantenendo le cariche costanti, la sua capacità aumenta. Questo perché il campo elettrico dovuto
alle cariche sulle armature modifica la distribuzione delle cariche sulla superficie del dielettrico,
facendo nascere in ogni molecola un piccolo momento non nullo di dipolo elettrico denominato
indotto, momento che fa ruotare le molecole. Questi dipoli riducono il campo elettrico globale
quindi la differenza di potenziale fra le armature, con conseguente aumento della capacità.
All'interno del dielettrico gli effetti degli spostamenti delle cariche positive e negative si
compensano perché la carica totale del dielettrico è sempre nulla. Tuttavia verso l'armatura di
sinistra vi è un eccesso di cariche positive, mentre verso l'armatura di destra vi è un eccesso di
cariche negative, producendo un campo elettrico E' di verso opposto ad E internamente al
dielettrico stesso. Quindi il campo elettrico reale Eeff si riduce al valore effettivo Eeff= E-E', e dato
che la separazione delle cariche aumenta con E, il campo elettrico E' che producono è anch'esso
proporzionale ad E: Eeff=(1/K)E. Dove la costante dielettrica K è un numero adimensionale che
indica la riduzione del campo dovuto al dielettrico. La differenza di potenziale tra le armature è
V=Eeff=El/K. Dato che K>1 per i dielettrici, V si riduce quando si inserisce un dielettrico, quindi la
capacità C=Q/V aumenta del fattore K e C diventa: C=KA/l. Nei condensatori in serie, l'inverso
della capacità totale è data dalla somma degli inversi delle capacità dei singoli condensatori, mentre
per condensatori in parallelo la capacità totale è data dalla somma delle capacità dei singoli
condensatori.
CORRENTI CONTINUE
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Le correnti elettriche sono le cariche che si muovono nei conduttori. Le correnti continue
vengono prodotte quando un mezzo conduttore viene connesso tra i poli di una batteria o di un
generatore a corrente continua (cc); una corrente è continua quando la sua intensità i si mantiene
costante al passare del tempo, ossia la quantità di elettricità Q, che attraversa una sezione del
conduttore, è proporzionale a t, qualunque sia il valore dell'intervallo di tempo t considerato.
la corrente elettrica in un filo è legata alla velocità con cui si muovono le cariche nel filo, e il suo
valore medio,o intensità, è la carica media che attraversa, in una certa direzione, una sezione del
conduttore nell'unità di tempo: I=Q/t. L'unità di misura nel MKS è l'ampere A. Per convenzione
si assume che la corrente in un conduttore scorre nella direzione del moto delle cariche positive.
Dato che la corrente che attraversa un corpo nel verso che va dal polo + al polo -, passando
via via per punti a potenziale sempre più basso, in un conduttore, affinché esso sia percorso da una
corrente che va dal suo estremo A all'estremo B, è necessario che la sua differenza di potenziale sia
maggiore di zero, e che il valore dell'intensità i di questa corrente dipenda dal valore della
differenza di potenziale applicata ai suoi estremi.
La resistenza elettrica R di un conduttore è data dalla differenza di potenziale tra le sue estremità
divisa per la corrente: R=V/i, e si misura in ohm ( dato da volt diviso ampere. Per molti
materiali, la differenza di potenziale e la corrente sono direttamente proporzionali, per cui la
resistenza è una costante indipendente dalla corrente. I materiali con una resistenza costante, e
quindi obbedienti alla legge di Ohm sono conduttori ohmici.
La resistenza di un conduttore dipende dalle sue dimensioni fisiche, dalla sua forma e dalla sua
composizione. Raddoppiando in un circuito due fili identici fianco a fianco, a parità di differenza di
potenziale la corrente raddoppia, quindi si dimezza la resistenza; perciò R deve variare
inversamente all'area della sezione traversa A del conduttore. Ma R è anche proporzionale alla
lunghezza l del conduttore, quindi R=l/A, dove la resistività  è una costante di proporzionalità
che dipende solo dalle proprietà del materiale. La conducibilità =1/.
Se si costruisce una catena di più pezzi di conduttori diversi, ciascuno in contatto con il
successivo, la differenza di potenziale tra i due conduttori estremi è uguale a quella che si osserva
se questi sono posti a contatto diretto tra loro. I conduttori che ubbidiscono a questa legge sono di
1° specie, gli altri di seconda specie. Il lavoro in un campo elettrico è dato dalla potenza per il
tempo.
I CIRCUITI ELETTRICI
Il circuito elettrico è sempre costituito da uno o più conduttori, connessi in maniera
continua, che collegano il polo positivo con il polo negativo di un generatore.La condizione
necessaria affinché in un circuito passi corrente, è che esso sia chiuso, ossia non abbia interruzioni,
nel senso che i diversi conduttori che lo compongono costituiscano una successione continua. Se ad
un certo istante questa continuità viene meno, si interrompe il circuito e la corrente cessa di passare;
in questo caso il circuito è aperto. Due o più resistenze sono in serie se la corrente che le attraversa
è la stessa, quindi la resistenza totale è data dalla somma di tutte le resistenze in serie del circuito.
Quando due o più resistenze sono in parallelo, ai loro capi c'è la stessa differenza di potenziale,
quindi il reciproco della resistenza totale è dato dalla somma dei reciproci delle singole resistenze in
parallelo.
Si chiama generatore elettrico qualsiasi carica capace di mantenere una differenza di
potenziale tra due suoi punti, detti poli del generatore. Il generatore e la batteria, convertono
qualche altro tipo di energia in energia elettrica, ma non sono sorgenti di carica; è quindi una
sorgente f.e.m di energia che mantiene permanente una corrente in un circuito, dove la f.e.m.  è il
lavoro fatto per unità di carica dalle forze non elettriche, e si misura in volt. Quando una carica
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attraversa una batteria od un generatore, essa viene pompata da forze non elettriche ad un livello di
energia potenziale elettrica maggiore. Nella resistenza, invece, la carica si muove nella direzione
della forza del campo elettrico, e l'energia relativa spesa viene trasformata in calore. Il campo
elettrico conservativo compie un lavoro positivo nella resistenza, negativo nella batteria e nullo
quando una carica ha compiuto un giro completo del circuito. Quando una carica segue un percorso
chiuso e ritorna al punto di partenza, la sua energia potenziale deve tornare al suo valore originario,
dato che le forze elettriche sono conservative ed il lavoro risultante è nullo: =iR.
le batterie ed i generatori hanno effetti dissipativi associati al moto delle cariche che
possono essere considerati come resistenze interne, che fanno in modo che la differenza di
potenziale ai loro
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morsetti sia minore della f.e.m. intrinseca del processo elettromotore. Parte dell'energia viene
dissipata in calore all'interno dei generatori. Così possiamo dire che =iR + ir dove r è la
resistenza interna di un generatore. L'energia elettrica viene trasformata in un altro tipo di
energia in un circuito, in base al carico applicato al circuito stesso.
La potenza relativa a qualsiasi elemento di un circuito è P=L/T=iV=i2R=I. Questo perché,
se ad esempio l'elemento circuitale è una resistenza, V=iR, ed in un tempot, una carica Q=it
passa attraverso l'elemento. La sua variazione di energia potenziale è VQ=Vit che deve essere
uguale al lavoro L fatto sulla carica. In qualsiasi circuito elettrico in cui sono presenti solo carichi
resistivi, la potenza fornita è sempre uguale alla potenza dissipata.
I generatori possono essere collegati in serie oppure in parallelo. Quando una batteria di pile
o accumulatori sono collegati in serie, la f.e.m. della batteria è uguale alla somma delle f.e.m. dei
singoli elementi, pile o accumulatori. Se due generatori generici di f.e.m. sono collegati in parallelo,
affinché possano contribuire egualmente ala corrente totale i, è necessario che abbiano la stessa
f.e.m. e la stessa resistenza interna.
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