LA SICILIA 20. MERCOLEDÌ 18 APRILE 2007 Spettacoli [ RISCOPERTE. IL COMPOSITORE DI GIUSEPPE PERROTTA ] Geniale precursore, non fu capito Catanese, amico del maestro del Verismo, morì suicida. L’associazione Convivium lo ripropone al pubblico Chi era Figlio di un affermato avvocato di Catania Giuseppe Perrotta (18431910) si laureò in giurisprudenza nel capoluogo etneo ad appena 18 anni: ma abbandonò ben presto la toga per realizzare il proprio sogno di arte musicale per la quale sentiva di avere molto di nuovo da esprimere. Fu amico fraterno di Giovanni Verga e di Capuana, ebbe contatti con tutto il mondo letterario che girava loro attorno, il Rod gli propose di comporre le musiche di scena per la Lupa che Sarah Bernhardt avrebbe recitato in francese, Verga gli commissionò l’introduzione sinfonica per il suo dramma "Cavalleria rusticana", Capuana scrisse per lui un intrigante libretto d’opera (Rospus) e diverse romanze per musica da camera. Ma non andò a buon fine l’ambizioso programma di una opera lirica, Bianca di Lara, su versi di Stefano Interdonato ed analoga sorte ebbero il Conte Yanno (libretto di Ugo Fleres) e Trionfo d’amore (su versi di Giuseppe Giacosa). Per la disperazione si tolse la vita. Il suo ingegno non reggeva più al silenzio in cui si sentiva chiuso. A quasi cento anni dalla sua tragica morte le sue musiche troveranno l’uditorio intelligente che inutilmente auspicava. SERGIO SCIACCA Ci sono stati i "Vinti" dell’arte. I "Malavoglia" che cercano con ogni mezzo di affermarsi nel gran teatro del mondo, che sentono in sé le forze spirituali per aggiungere qualcosa al repertorio della musica europea, se solo qualcuno volesse ascoltarli. Che attraverso una umiliante sequela di promesse, raccomandazioni, audizioni stentate, raggiungono gli impresari che contano, i contatti con i critici di rilievo: ma a un passo dalla celebrità si stancano, rientrano nel grigiore dell’attesa e finiscono dimenticati. Catania ne ebbe uno esemplare. Era musicista, si chiamava Giuseppe Perrotta (gli è stata dedicata la strada nella quale ha sede il Teatro Massimo), era amico carissimo di Giovanni Verga (che forse pensava a lui per le ultime pagine del suo ciclo verista); Capuana gli affidò le proprie liriche da musicare e di lui si interessò persino Boito. Giulio Ricordi, il dittatore della musica lirica italiana, lesse con rilievi positivi una sua partitura operistica: ma il geniale catanese non ebbe la lena di insistere, se ne scappò da Milano e dalle sue conventicole. Ritornò alla sua villa di Cibali, spedì cassette di arance a quelli che lo avevano aiutato in Lombardia, e rimase ad aspettare: qualche concerto, qualche serata musicale tra amici, qualche trafiletto sul giornale. Album di musica stampati a Palermo. Poi nulla. Si suicidò nello stesso anno (1910) in cui moriva Edouard Rod, (il grande traduttore francese di Verga) che aveva pure creduto in lui. Ma se i contemporanei furono sordi, i musicologi del secolo successivo non lo sono e hanno riportato alla luce le sue partiture, indagandole con attenzione, ricostruendo con cura la fitta trama culturale della Catania ottocentesca. Il presidente dell’Associazione culturale "Convivium", Salvatore Virzì e il suo direttore artistico, Toti Sapienza, con l’animo di tirar fuori dall’oblìo la figura e le opere del Perrotta, si avvarranno della magistrale competenza musicologica del dott. Angelo Munzone, Nella foto a sinistra, la pianista Anna Maria Scuderi e il cantante Antonio Costa. Sopra, Salvatore Virzì, presidente dell’Associazione culturale «Convivium», e il suo direttore artistico, Toti Sapienza sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania, il quale delineerà i tratti più significativi di questa autentica, pur se misconosciuta, gloria catanese. Verrà effettuato un concerto monografico di melodie perrottiane affinchè risuonino ancora, al pianoforte del Maestro Giovanni Raddino e con il canto di Santina Calì, Antonio Costa, Massimiliano Costantino, Alfio Marletta e di Elina Zuccarello, accompagnati dalla pianista Anna Maria Scuderi, le note di una Catania poetica e affettuosa che non credevamo di avere. Sono i Lieder della nostra terra, con Perrotta musicista e Capuana poeta, che spaziano dall’amor romantico alle fantasie morbose e sono un primo assaggio di quella poesia verista che scolasticamente si ritiene inesistente, ma che c’era e che potremmo assaggiare se fuori dalle antologie didattiche esplorassimo gli album pianistici in cui i poeti creavano, per Bellini o Tosti o Perrotta, le basi LE MELODIE I MUSICOLOGI Indagate le partiture e ricostruita la fitta trama culturale della Catania ottocentesca. Virzì e Sapienza tirano fuori dall’oblio la figura dell’artista Le note di una Catania poetica e affettuosa che non credevamo di avere. Sono i Lieder della nostra terra, con Perrotta musicista e Capuana poeta metriche di motivi destinati alla società raffinata. Non c’era la poesia dei Malavoglia? Provate a leggere il Canto del Marinaio con i versi di Emanuele Navarro della Miraglia (1838-1919: e attualmente è stato felicemente rivalutato) e vi ricrederete: risuonarono fino ai tempi dei nostri nonni. Insomma, Catania ospiterà tra breve un importante risveglio di pagine rilevanti della sua storia culturale rimasta sconosciuta ai più e invece di grande rilievo per comprendere le origini di una tradizione che è continuata per generazioni fino ad oggi: c’è stato Gianni Bucceri (1873-1953), Francesco Paolo Neglia (1874-1932), Alfredo Sangiorgi (1894-1962) e ci sono tuttora musicisti che scommettono sul rinnovamento dell’arte. Ecco una prima relazione provvisoria in attesa delle analisi e dei rilievi che dovranno modificare, anche in modo significativo, il giudizio ripetuto per generazioni sulla conformazione del verismo meridionale. Il merito primo di questa Rinascita del nostro Ottocento si deve a Francesco Branciforti, maestro della filologia catanese e presidente del comitato scientifico della Fondazione Verga che ha pubblicato, assieme alla valente musicologa Elisa Ferrata "Una ouverture per Cavalleria Rusticana" (edizione non venale della Fondazione, Catania 2003) in cui traccia un ritratto preciso dell’ambiente culturale in cui si muoveva il Perrotta. Nella pubblicazione (194 pagg.) sono riprodotti gli spartiti delle romanze scritte da Capuana per il musicista e quelli del preludio per il dramma "Cavalleria rusticana", composto dal Perrotta nel 1884 ed eseguito a Catania due anni dopo. Neanche il Verga ne era stato soddisfatto, sia perché alieno dagli interessi musicali sia perché il Perrotta aveva trattato la materia con una intensità intellettuale e una strumentazione innovativa che urtavano contro le tradizioni melodiche dell’epoca. Al confronto con il successivo canto disteso di Mascagni il Maestro etneo preferiva percorrere nuove strade dell’invenzione lirica. Non si limitò a scrivere un preambolo pittoresco per il bozzetto campagnolo: volle crearne una sintesi sonora straziata, con asprezze armoniche corrispondenti alle maledizioni, ai tradimenti, alle coltellate del dramma. Non fu un caso che il Capuana gli voleva affidare, da musicare il suo bizzarro «Rospus» (1887), componimento stralunato tra realismo e fughe oniriche, filosofia e satira feroce della società: con la strumentazione del maestro etneo poteva uscirne un capolavoro alla Berlioz: ma la musica non fu mai composta e il libretto uscì in forma autonoma e ancora attende un intelligente musicista. Il Perrotta concentrò tutta la propria forza innovativa e concettuale in un’opera, «Bianca di Lara» (su versi di Stefano Interdonato) che presentò a Ricordi, ma che evidentemente era troppo avanti rispetto ai bagliori romantici nostrani: era musica difficile rivolta a un pubblico, come quello del secolo successivo, che oltre alla melodia sa cogliere il senso delle asprezze tonali e delle angosce esistenziali: la musica per Freud, non per Mantegazza. E così non si fece nulla nemmeno per il «Trionfo d’amore» (1875), scritto nientemeno che da Giuseppe Giacosa e per il «Canto di Yanno» (libretto di Ugo Fleres, 1857-1939, amico di Pirandello). Davanti alla sordità dei tempi il musicista si dichiarò Vinto. Ma oggi la cultura musicale diffusa è matura per apprezzarne le volute asprezze. La «Cavalleria rusticana» più verista Una composizione commissionata da Verga che rifletteva le asprezze interiori dei personaggi. Troppo moderna GIOVANNI VERGA E DISEGNI PER «CAVALLERIA RUSTICANA», 1884 (DA «ILLUSTRAZIONE ITALIANA») IL 21 MAGGIO Il concerto-omaggio al Piscator La presentazione di alcuni dei lavori più rappresentativi di Giuseppe Perrotta (probabilmente una delle pochissime esecuzioni pubbliche da quando l’Autore li diede alle stampe) verrà effettuata dall’Associazione culturale "Convivium", presieduta da Salvatore Virzì con la direzione artistica di Toti Sapienza, il 21 Maggio 2007 al teatro Piscàtor. La figura e l’opera dell’Artista verranno tratteggiate dall’illustre musicologo Angelo Munzone, sovrintendente del nostro Teatro Massimo Bellini. Maestro al pianoforte: Giovanni Raddino (eseguirà la ouverture per la Cavalleria rusticana nella versione per solo piano). Voci di Santina Calì, Antonio Costa, Massimiliano Costantino, Alfio Marletta e di Elina Zuccarello, con l’accompagnamento pianistico della Prof. Anna Maria Scuderi, i quali interpreteranno le romanze firmate, come compositore dei versi, da Luigi Capuana. Spartiti rarissimi prima della meritoria pubblicazione curata da Francesco Branciforti ed Elisa Ferrata per la collana della Fondazione Verga. A parte la prima ed unica biografia completa ad opera dello storico Francesco Guardione (1911), altre note biografiche e bibliografiche sono state edite a cura di Francesco Granata (1981). L’autografo della ouverture è stato donato dal nipote del compositore, Emanuele, alla Biblioteca del conservatorio Verdi di Milano. La documentazione utilizzata si deve alla cortese collaborazione di loro tutti e alla disponibilità di un altro nipote diretto del musicista, il Prof. Giuseppe Perrotta, nonché al contributo del Prof. Giuseppe Giarrizzo. Qual è il carattere delle liriche del Perrotta? Languido, come si conveniva agli esercizi musicali dei salotti ottocenteschi con sottintesi sensuali e con un pizzico di malinconia: "Ah, si colmava l’anfora intanto / che tu parlavi tra bacio e bacio!/ Ora ti chiamo, ma non rispondi! / Ora ti attendo ma tu non vieni". Certo Capuana pagava il suo tributo al gusto orientaleggiante che sapeva di Östliche Diwan goethiano, che odorava di Heredia e Salammbo e di suo ci metteva una melodia ampia: c’era di che intenerire i trepidi cuori delle signorine dell’epoca. S.SC. Il primo problema di molti veristi fu la mancanza di denaro. Erano benestanti, ma le lettere rendevano poco. Giovanni Verga teneva una registrazione meticolosa delle spese: "Pagate per Perrotta per la cassa mandarini all’Impresa Marzaria L.1... al facchino che la portò a Filippi L.0,70... spesi per Perrotta L.0,50..." Sono annotazioni inedite che il prof. Branciforti ha ricavato dal "Libro dei conti" verghiano del gennaio 1880, piccole cifre che il grande scrittore registrava puntigliosamente come un qualsiasi Mastro Gesualdo che deve accumulare la sua sostanza centesimo per centesimo. E se si scorre quanto è noto dell’epistolario di Verga e dei suoi amici, Capuana e De Roberto si trova una fitta serie di lamenti per la mancanza di denaro, per l’insufficienza dei guadagni, per le frustrazioni derivate dai magri redditi dell’arte. Giuseppe Perrotta si trovò coinvolto nelle amare vicende dei Vinti per sua scelta. Era di agiata famiglia, il padre era uno degli avvocati più rinomati di Catania ed egli stesso aveva una intelligenza vivacissima che gli consentì di laurearsi in legge all’età di 18 anni (quelli erano altri tempi quando i diciottenni non erano bambocci e si lanciavano immediatamente nel mondo produttivo: Verga a 18 aveva già scritto un romanzo). Ma il giovane brillante neo-dottore decise altrimenti. Volle seguire la carriera dell’arte musicale alla quale si sentiva portato. Frequentò maestri privati, cercò di recuperare quell’apprendistato che gli altri compiono tranquillamente negli anni dell’adolescenza. Aveva un programma chiaro in mente: rinnovare, con uno strumentismo forte, le morbide melodie dell’epoca. Il Verga, notoriamente, non si intendeva molto di musica e affidava all’amico d’ingegno una introduzione musicale per il proprio dramma "Cavalleria rusticana", che aveva debuttato trionfalmente nel 1884 al Teatro Carignano di Torino con una protagonista d’eccezione: la divina Eleonora Duse. Al Perrotta egli raccomandava "un canto d’amore che sospiri nella notte, quasi il caldo anelito di Turiddo, che va a lagnarsi sotto le finestre della gna Lola...il suono delle campane a festa, la nota di gelosia e La disperazione in due lettere allo scrittore Villa Cibali, 12 novembre 1890 «Mio carissimo Giovanni: il tuo silenzio è stato abbastanza eloquente nel farmi credere che Ricordi, tuttoché promise di occuparsi delle cose mie, non ne ha fatto nulla... La mancanza assoluta di denaro, per le mie vicende, che non sono poche, mi impedisce di procurarmi un libretto qualsiasi: se trovassi un poeta... Intanto in questi tempi ho una grande smania di scrivere, non solo, ma di fare del nuovo e mi dispero... Cibali, 19 giugno 1909 Carissimo amico: Stamane ricevei la tua grata lettera e ti ringrazio di cuore: specie in questi giorni che, con tutti i tuoi guai hai pensato a me: io sono qui solo e senza illusioni, ed un po’ accasciato, più moralmente che fisicamente. Speriamo che l’affare abbia esito felice: ma non mi lusingo. Sono stato cinquant’anni ad attendere invano: non per questo ti sia meno obbligato e meno grato; ma temo che non si cavi un ragno dal buco. La società degli Autori e gli editori hanno tutt’altro da pensare. d’amore che torna...", insomma qualcosa di languido e struggente come se ne sentiva nelle ultime romanticherie dell’epoca. Il Perrotta fece altro. Rese musicalmente le intemperie dei personaggi, le passioni estreme: più che un preludio. Era la traduzione strumentale di tutto il capolavoro. Ne tracciò le linee nella versione per pianoforte, ne approfondì le studiate armoniche nella redazione per orchestra sinfonica. Ma questa traduzione sonora delle asprezze interiori esigeva un ascoltatore consapevole. Il Verga, forse scettico sull’effettivo gradimento del lavoro da parte del pubblico, stava per restituire gli spartiti all’autore; il Perrotta non volle: "La sinfonia io l’ho data a te ed è tua: qui non la farei eseguire mai... il pezzo che che ne dicano i sapientoni è molto facile di esecuzione, ma di difficilissima interpretazione e bisogna che il direttore conoscesse a pennello il lavoro in prosa altrimenti non ne risulta nulla...". E’ questo il nodo di tutta la questione. Il Perrotta guardava al futuro dell’arte: anche il Verga scriveva per i posteri ma quanto a musica aveva gli stessi gusti dei contemporanei. I Catanesi dell’epoca rimasero dubbiosi, come annotava nella sua cronaca (tuttora inedita!) Benedetto Cristoadora: "Stasera all’arena Pacini si rappresentò il Fra’ Diavolo (di Auber) e dopo il secondo atto si suonò una sinfonia di Giuseppe Perrotta, che dal pubblico non si capì, ma per convenienza batté le mani". E così la Cavalleria fu musicata, come opera lirica dal titolo "Mala Pasqua", da Stanislao Gastaldon (1861-1939) autore, fra l’altro, della notissima romanza "Musica proibita" e poi da Mascagni che oscurò, con le sue solari melodie, anche il successivo esperimento di Domenico Monleone (1875-1942): ma forse la più verista di queste Cavallerie fu proprio quella iniziale del Catanese. S. SC.