Il design ha un tecno cuore
(Ttl, 29.1.2005)
Possiamo immaginare un computer ansioso, un tostapane orgoglioso, una
lavastoviglie affettuosa? Certamente sì. Collocheremmo tuttavia questi
oggetti nell’universo affascinante e fittizio della fantascienza. Lì, i robot
dotati d’emozione esistono da tempo: basti pensare al celebre HAL, il
megacomputer presente nell’astronave di 2001 Odissea nello spazio di
Kubrick o, più recentemente, a David, il robot bambino che in Intelligenza
artificiale di Spielberg prova amore incondizionato per i genitori umani. Il
primo dichiara d’aver paura quando sta per essere smontato, ma è un puro
stato mentale senza conseguenze pratiche. Il secondo prova un sentimento
monocorde, eccessivamente melenso, che dura persino quando la madre
l’abbandona nel bosco.
Un tostapane orgoglioso sarebbe diverso. Come spiega Donald Norman nel
suo recente Emotional design, si tratterebbe di una macchina che prova
soddisfazione il lavoro svolto dopo aver tostato a puntino il pane destinato
alla colazione del suo padrone. Rovesciando le prospettive, quand’è infatti
che secondo noi una macchina compie perfettamente le proprie funzioni?
quando possiamo dire che ha svolto del tutto i suoi compiti? È chiaro:
quando fa esattamente quel che ci aspettiamo da lei, al momento
opportuno, coi ritmi giusti, anticipando addirittura i nostri desideri,
evitandoci il fastidio di dover chiedere. L’orgoglio di un tostapane sarebbe
il sentimento corretto di chi capito tutto questo e l’ha saputo portare a
compimento.
Allo stesso modo, un computer ansioso sarebbe per esempio una macchina
che, quando inizia ad avvertire il malfunzionamento di un suo componente,
si rifiuta di compiere nuove operazioni per non danneggiare il lavoro in
corso del suo utilizzatore. E una lavastoviglie affettuosa sarebbe a sua volta
un arnese che conosce il momento giusto per entrare in funzione, per far
risparmiare energia ma anche per fare in modo che piatti e bicchieri siano
bell’e puliti all’orario della cena.
Paradossi da inventore da strapazzo? Tutt’altro, se ricordiamo che Donald
Norman è un serissimo studioso di psicologia ed ergonomia cognitiva che è
stato a lungo Vicepresidente di Apple computer e dirigente di HewlettPackard, per fondare poi il Nielson-Norman Group, una prestigiosa società
di consulenza sui problemi dell’uso delle tecnologie che vanta fra i suoi
clienti il governo degli Stati Uniti e il Vaticano. In precedenti, fortunati
volumi come La caffettiera del masochista o Il computer invisibile Norman
aveva molto insistito sul fatto che, se nella nostra vita quotidiana non siamo
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in grado di usare al meglio un oggetto, la responsabilità reale è quasi
sempre di chi lo ha progettato. Un design ben fatto dovrebbe infatti curare,
più che le funzioni degli oggetti, la loro reale usabilità, e dunque per
esempio la comprensione soggettiva di quel che essi sono, di quel che
sanno fare, di come si azionano i comandi atti alle diverse operazioni, ma
anche di come è possibile (se lo è) risparmiare tempo ed energie grazie a
loro. Per far ciò, più che guardare verso le cose, occorre secondo Norman
studiare i comportamenti concreti delle persone quando interagiscono con
esse, come le guardano, come ne apprezzano le innovazioni, come mettono
in pratica le loro capacità. Così, il designer deve essere innanzitutto un
etologo delle azioni umane, in modo da capire non solo i problemi d’uso
degli oggetti ma anche le necessità inespresse della gente, ciò che vorrebbe
senza sapere di volerlo. L’inventore del telefonino sapeva quel che avrebbe
provocato?
In quest’ultimo libro Norman allarga ulteriormente la questione, passando
dai problemi di comprensione e utilizzabilità delle tecnologie a quello delle
emozioni che esse suscitano o che dovrebbero incorporare. Accanto a un
design “comportamentale” e “riflessivo”, lo studioso americano prevede
così un design “viscerale”, un’attitudine al progetto che sappia cogliere
tutto il lato istintivo, sensoriale ed emotivo dei soggetti sociali, quel lato
che inevitabilmente accompagna, e aiuta, l’azione umana, rendendo l’esperienza ricca di senso e l’esistenza pregna di valore. L’emozione, ricorda
Norman, è una componente basilare del comportamento umano, partecipa
attivamente alla costruzione e alla esecuzione dei nostri progetti di vita.
Quando dunque deleghiamo agli oggetti parte del nostro saper fare,
inevitabilmente passiamo a loro anche parte delle nostre passioni: cos’è una
spia rossa che si accende se non il sostituto di una nostra eventuale
preoccupazione? e cos’è il sibilo del bollitore se non il segno di una
agognata soddisfazione?
Essere coscienti di questa delega -- tanto necessaria quanto silente -- degli
affetti alle cose non dunque ha nulla di fantascientifico. Vuol dire semmai
predisporsi a un progetto a misura d’uomo: migliorerebbe la qualità della
nostra vita, ma anche forse quella delle cose, che ci guaterebbero con
minore sospetto.
Gianfranco Marrone
Donald A. Norman
Emotional design.
Perché amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana
Apogeo, pp. 242, € 18,00
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