appunti geografia e geomorfologia-De Rose

ELEMENTI GENERALI
Termodinamica: scienza che studia l’energia e le sue trasformazioni.
Sistema: porzione dell’Universo isolata dall’ambiente circostante; a seconda delle
relazioni con tale l’ambiente può essere definito APERTO (scambia energia e
materia), CHIUSO (scambia solo energia), ISOLATO (nessuno scambio). Può essere
scomposto in più FASI (porzioni fisicamente omogenee, separate meccanicamente),
costituite da più COMPONENTI (elementi base, singoli elementi o molecole
semplici). Un sistema è caratterizzato dai PARAMETRI DI STATO che sono distinti
in parametri ESTENSIVI (dipendenti dalla quantità di materia considerata, ad
esempio massa e volume) ed INTENSIVI (indipendenti dalla quantità di materia
considerata, ad esempio temperatura, pressione, densità, viscosità).
Un sistema è detto in EQUILIBRIO quando l’energia interna o U, che dipende dalla
temperatura e dalla pressione , tende al valore minimo.
In un qualunque sistema non isolato la grandezza termodinamica che definisce le
reazioni spontanee è la variazione di energia libera o G, secondo l’equazione di
Gibbs-Helmholtz (G=H-TS), in base alla quale una reazione chimica può
procedere spontaneamente se l’energia libera dei prodotti è inferiore a quella dei
reagenti; in natura le reazioni possibili sono quelle in cui l’energia libera è minima.
Alcuni minerali ad esempio non si formano mai in condizioni naturali poiché la loro
formazione richiede valori di temperatura e di pressione molto elevati. Quindi ogni
minerale indica uno specifico range di temperatura e di pressione.
Distribuzione chimica degli elementi:
1) l’abbondanza diminuisce con l’aumento del numero atomico; l’elemento più
abbondante, quindi, è l’idrogeno, quello meno abbondante è il bismuto;
2) gli elementi a numero atomico pari sono molto più abbondanti di quelli a
numero dispari che li seguono nella tavola periodica degli elementi; ad
esempio il K19 è meno abbondante del Ca20. Questo è dovuto al fatto che gli
elementi a numero atomico pari sono più stabili di quelli a numero atomico
dispari, che sono più reattivi.
L’andamento della curva che si ottiene ponendo l’abbondanza nell’inetro universo in
funzione del numero atomico, è quello di una curva seghettata. Le due considerazioni
su esposte prendono il nome di REGOLA DI ODDO-HARKINS.
SISTEMA SOLARE
Costituenti: il sistema solare è formato dal Sole e dai corpi celesti che gravitano
intorno ad esso: pianeti e i loro satelliti, asteroidi e comete. Il 99,8% circa di tutta la
massa del sistema solare è concentrata nel Sole, quindi il centro di massa del sistema
cade al suo interno e gli altri corpi orbitano attorno a esso, legati dalla forza di
gravità; in realtà anche il Sole si muove attorno al centro di massa e questo provoca
una sua oscillazione periodica, la cui entità è causata soprattutto dall’interazione con
Giove, il pianeta di maggiore massa. Le orbite dei pianeti hanno una bassa ellitticità
(in molti casi sono quasi circolari) e avvengono tutte in senso antiorario (se osservato
stando sopra il Polo Nord). I pianeti si distinguono dalle stelle perché hanno una luce
ferma anziché pulsante e perché cambiano regolarmente posizione nella volta celeste
rispetto agli altri corpi., dato che ruotano attorno al Sole. I pianeti sono comunemente
suddivisi in interni o inferiori, con orbita più piccola di quella della Terra (Mercurio e
Venere), ed esterni o superiori, con orbita più grande di quella terrestre (da Marte a
Plutone). I Pianeti sono anche suddivisi in due famiglie: la famiglia dei pianeti piccoli
o di tipo terrestre, comprendenti Mercurio, Venere, Terra e Marte; 2) la famiglia dei
pianeti giganti o di tipo gioviano o solare, comprendenti Giove, Saturno, Urano e
Nettuno.Plutone non rientra in nessuno delle due categorie.
Differenze fra le due famiglie di pianeti: (a) dimensione (maggiore nei pianeti
gioviani); (b) densità, che nei pianeti terrestri è in media 5 volte superiore a quella
dell’acqua, mentre in quelli gioviani arriva solo a 1,5 volte o meno; (c) composizione,
da cui dipende la densità: Mercurio, Venere, Tera e Marte sono piccole sfere di rocce
(minerali silicatici e ferro metallico) e metalli che orbitano vicino al Sole, i pianeti
gioviani sono formati prevalentemente da idrogeno ed elio, con quantità variabili di
ghiacci (metano e ammoniaca), assieme ad una certa quantità di materiale roccioso;
(d) i pianeti terrestri hanno atmosfere tenui o ne sono privi, mentre quelli gioviani
hanno atmosfere dense (formate in prevalenza di idrogeno ed elio), poiché la grande
massa dei pianeti gioviani trattiene più facilmente le molecole dei gas, le quali,
d’altra parte. Per le base temperature dovute alle grandi distanze dal Sole, non
raggiungono la velocità, per agitazione termica, a cui arrivano invece le molecole dei
gas dei pianti interni. (e) I pianeti interni hanno pochi o nessun satellite, mentre quelli
gioviani ne hanno numerosi, oltre ad altre strutture particolari come gli anelli.
Fra Marte e Giove si estende la fascia degli asteroidi, frammenti rocciosi di varie
dimensioni. Ai confini del sistema solare (a circa 50000 UA dal Sole) si trova una
vasta regione sferica, la Nube di Oort, che contiene le comete. Perturbazioni
gravitazionali, forse dovuti a passaggi ravvicinati di altre stelle o di grandi nubi
molecolari, alterano l’orbita delle comete, inizialmente poco ellittica, facendole
penetrare all’interno del sistema solare lungo un’orbita molto ellittica e inclinata
sull’eclittica; l’interazione gravitazionale con i pianeti maggiori (soprattutto Giove) le
spinge ancor più in vicinanza del Sole dove sviluppano chioma e coda. Più vicina a
Plutone si estende probabilmente un’altra zona di nuclei cometari, la Fascia di
Kuiper.
Teorie sull’origine dei pianeti:
(1) Teoria della collisione fra il Sole ed una stella esterna (Buffon);
(2) Teoria della condensazione ed aggregazione di materia calda e gassosa (teoria di
Kant, ripresa successivamente da Laplace e in seguitola Ringwood): in base a
questa teoria si parte da una nebulosa primordiale su cui il sole esercita una forza
centrifuga con formazione di un disco. I primi solidi (ossidi, silicati di calcio ed
alluminio e metalli tipo platino) condensano a 1500°C, mentre il ferro e gli
elementi volatili condensano ad una temperatura inferiore di 450°C. Secondo
questa teoria tutto è legato al tasso di condensazione: *se il raffreddamento è
lento rispetto all’accrezione del materiale (o accrescimento per strati), si
originano planetesimali stratificati, con cuore refrattario e rim, o bordo esterno,
ricco in volatili, come nei pianeti terrestri; quindi il materiale che si aggrada lo
deve fare in un certo tempo formando solidi via via meno refrattari. * Se il
raffreddamento è più veloce dell’accrezione si originano planetesimali non
stratificati e disomogenei, come i pianeti gioviani, che non hanno nessuna
organizzazione interna.
Composti chimici del sistema solare:
1) MOLECOLE SEMPLICI: H2, H2O, CO2, N2, O2, CH4; tutte molecole allo stato
gassoso che formano l’atmosfera terrestre e che sono abbondanti nei pianeti
esterni, di ghiaccio (Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone).
2) SOLIDI SEMPLICI: (a) ossidi semplici (FeO, Fe2O3, TiO2) e (b) solfuri (FeS,
NiS, etc.); segnalati nelle meteoriti, corpi extraterrestri di cui sono stati trovati
resti sulla superficie terrestre, nonché sulla Terra, sulla Luna e su Marte.
3) SILICATI: gran parte della Terra è formata da silicati, così come la Luna e le
meteoriti. I silicati derivano dalla polimerizzazione dei tetrametri SiO 4-4,
composti anionici instabili, compensati elettrostaticamente da cationi di
diverso tipo, quali quelli dell’alluminio, del calcio, del magnesio, del sodio e
del potassio.
4) POLIMERI CARBONATI: idrocarburi e i costituenti della materia vivente;
presenti nella terra e nel nucleo di alcune meteoriti, dette meteoriti
carbonatiche.
5) LEGHE: le più abbondanti sono quelle Fe-Ni; sono rare sulla superficie della
Terra ma sono abbondanti nel nucleo; componenti essenziali delle meteoriti.
Origine del sistema solare: secondo un’ipotesi, detta monafasica, 4 miliardi e 600
milioni di anni fa, il materiale destinato a costituire il futuro sistema solare fa parte di
una nube fredda e diffusa in uno dei bracci della Via Lattea originatesi
dall’esplosione di una supernova; come conseguenza di perturbazioni dovute a cause
sconosciute, una parte della nube comincia a collassare su se stessa. Nel collasso
assume la forma di un disco appiattito, al centro del quale si va addensando un protosole, sempre più denso. Ripetute collisioni tra i granuli di ghiacci e di polveri portano
all’aggregazione di corpi via via maggiori (planetesimali o planetesimi, costituiti da
addensamenti di roccia, ghiaccio e gas). Le teorie più accreditate suggeriscono che i
pianeti si siano formati per aggregazione successiva di planetesimi. Nella fase detta
“T.Tauri” il vento solare “pulisce” lo spazio da polveri e gas residui. La fornace
solare si è ormai innescata e i pianeti sono nel pieno della loro evoluzione. Quindi,
partendo dalla nebulosa primordiale, i primi nuclei che si sono costituiti erano formati
dagli elementi più pesanti, ossia le leghe; man mano che la materia cosmica si è
addensata, gli strati più superficiali dei pianeti si sono arricchiti di materiali meno
densi e più basso-fondenti. Tutto quello che si è addensato formando dei corpi solidi,
ha originato i pianeti, lo strato gassoso attorno a tali corpi solidi ha generato la loro
atmosfera. La zona più esterna della nebulosa, più fredda, era costituita dai materiali
meno densi, più basso-fondenti, ecco perché i pianeti più lontani dal Sole sono
costituiti da elementi più leggeri e non hanno un nucleo; si tratta infatti di ammassi in
cui prevale l’acqua, il metano e l’anidride carbonica allo stato gassoso e sono detti
pianeti di ghiaccio. I più vicini al Sole, posti quindi in una zona più calda, non sono
stati in grado di trattenere un’atmosfera formata da elementi leggeri (idrogeno ed
elio), come è avvenuto invece nelle regioni più lontane, più fredde. Questo rende
conto, per esempio, della divisione fra pianeti terrestri, più densi e prevalentemente
rocciosi, e pianeti giganti, prevalentemente gassosi.
TERRA
La struttura dell’interno della Terra: per studiare le caratteristiche fisiche della
Terra, accanto all’indagine diretta (il pozzo più profondo che sia stato perforato è
però di 15 km di profondità rispetto ai 6.300 km del raggio terrestre) si ricavano
informazioni tramite lo studio delle variazioni locali del campo gravitazionale, del
flusso di calore e del campo magnetico; ma l’apporto fondamentale è dato dall’analisi
dei tracciati delle onde sismiche, le quali interagiscono con i materiali che incontrano
nella loro propagazione e vengono riflesse e deviate in modo caratteristico. Le onde
che si originano durante un terremoto sono principalmente di tipo P (o longitudinali o
di compressione), le quali si propagano sia nei solidi sia nei liquidi, e di tipo S (o
trasversali), che non si propagano nei liquidi. Sfruttando questo principio, si è
determinata la struttura interna della Terra, la quale presenta numerose discontinuità e
una successione di strati fino a un nucleo centrale. E’ lo stesso principio in base al
quale vengono individuate nella crosta terrestre le falde acquifere e le riserve di
idrocarburi. La crosta terrestre è lo strato più esterno ed è delimitata verso il basso
dalla discontinuità di Mohorovicic, chiamata più semplicemente Moho. La Moho si
trova a profondità variabile, in media circa 8-10 km sotto le aree oceaniche e circa
35-40 km sotto i continenti, dove però può spingersi anche fino a più di 70-100 km in
corrispondenza delle più alte catene montuose. In corrispondenza della discontinuità
di Moho,le onde di tipo S subiscono un rallentamento: in questa regione, infatti, vi è
la raccolta dei fusi magmatici ; essa rappresenta il limite fra litosfera ed astenosfera.
Tra la crosta oceanica, più sottile, e la crosta continentale, più spessa, vi è una netta
differenza di composizione chimica. La crosta oceanica ha una densità media di 3
g/cm3 ed è costituita da rocce basaltiche ricche di alluminio, silicio, ferro (Sial),
quindi è silicatica-basica (silicati di ferro, calcio e magnesio; la roccia rappresentativa
è il basalto). La crosta continentale ha una densità attorno a 2.8 g/cm3 ed è composta
essenzialmente da rocce granitiche, via via più basiche dalla superficie alla Moho;
accanto ai silicati di Ca, Fe e Mg, prevalgono i silicati di Na e K; la roccia
rappresentativa è il granito, roccia silicatica acida, essenzialmente costituita da silicati
di Na e K , più leggeri. Al di sotto della crosta comincia il mantello, che si estende
sino alla discontinuità di Gutenberg, alla profondità di circa 2.900 km (fino al nucleo
esterno). La densità passa da circa 3 g/cm3 in prossimità della Moho, sino a 5.6 g/cm3
nelle parti più profonde. La temperatura aumenta dalle poche centinaia di gradi che si
dovrebbero misurare a livello della Moho, fino a più di 3000°C presso la
discontinuità di Gutenberg. Al di sotto di tale discontinuità vi è il nucleo, che ha un
raggio di circa 3470 km, più della metà del raggio terrestre. La densità, di circa 10
g/cm3 a livello della discontinuità di Gutenberg, aumenta progressivamente fino a
circa 13.5 g/cm3, il che depone a favore dell’idea di un brusco cambiamento della
composizione chimica. La caratteristica più significativa del materiale esistente al di
sotto della discontinuità di Gutenberg è che in esso le onde sismiche di tipo S non si
propagano. Ciò starebbe ad indicare che questa parte della Terra si trova allo stato
liquido. All’interno del nucleo, poi, è stata dimostrata l’esistenza di una nuova
superficie di discontinuità, la discontinuità di Lehmann, che separa il nucleo esterno,
liquido, dal nucleo interno che sappiamo essere solido, perché in esso si trasmettono
anche le onde S. Oggi si ritiene che molto probabilmente il nucleo sia costituito da
ferro mescolato in una percentuale del 15-20% con del silicio.
La Terra presenta un’evoluzione esogena (riguardante quello che avviene fra
l’atmosfera e la litosfera) e un’evoluzione endogena (dinamica interna che si
manifesta con il vulcanismo e i terremoti). L’evoluzione endogena è legata ad altre
caratteristiche dell’interno della Terra, che viene suddiviso anche tenendo conto della
maggiore o minore rigidità dei vari strati. La distinzione tra crosta terrestre e
mantello, partendo dalla Moho, non è più ritenuta di primaria importanza per
comprendere la dinamica dei fenomeni geologici sulla superficie terrestre. La Moho
infatti corrisponde a una discontinuità soprattutto chimica tra crosta e mantello, ma
dal punto di vista dinamico, la parte del mantello che sta subito al di sotto di questa
discontinuità è collegata in modo rigido alla crosta sovrastante e forma con essa una
struttura unica, la litosfera (costituita quindi dalla crosta e da quella parte del
mantello a comportamento fragile). I materiali che costituiscono al litosfera si
comportano in modo prevalentemente rigido ed è proprio la litosfera ad essere
suddivisa in un certo numero di zolle a placche, oggetto dei movimenti tettonici. Lo
spessore totale della litosfera è diverso nelle aree oceaniche e in quelle continentali.
Nelle aree oceaniche è in media di circa 70 km e sotto le dorsali si raggiungono
spessori minimi di circa 4 km. Sotto i continenti lo spessore della litosfera è molto
maggiore: in media è attorno ai 100 km, ma alcune ricerche hanno messo in luce, in
aree particolari, spessori di circa 300 km. Sotto la litosfera incomincia l’astenosfera
(costituita dal mantello inferiore e dal nucleo), composta da rocce quasi-plastiche,
duttili, che sotto tensione, ossia sottoposte a sollecitazione meccanica, si deformano
senza rompersi. Lo strato superiore dell’astenosfera corrisponde allo strato in cui la
velocità delle onde sismiche diminuisce bruscamente rispetto al mantello litosferico.
A circa 200-300 km le rocce ritornano completamente allo stato quasi solido e tali
rimangono per tutto il mantello fino alla discontinuità di Gutenberg. Testimonianza
della presenza di rocce solide, in questa che viene chiamata astenosfera intermedia, è
il leggero aumento di velocità delle onde sismiche. Al di sotto dell’astenosfera
intermedia vi è quella profonda, che ha inizio a circa 700 km, con caratteristiche
simili alla precedente, ma con una maggiore velocità delle onde sismiche. A 700 km
circa di profondità ha inizio il mantello inferiore o mesosfera: il passaggio è segnato
da un nuovo aumento di velocità delle onde sismiche che testimonierebbe una
solidificazione delle rocce costitutive.
In sintesi, in funzione della profondità, quindi della temperatura e della pressione, lo
stato fisico delle rocce cambia notevolmente: si passa da una Terra solida a
comportamento fragile ad una Terra plastica a comportamento duttile: litosferaastenosfera. In particolare, la T e la P aumentano con la profondità, e questo aumento
è detto rispettivamente gradiente geotermico e geobarico. La temperatura aumenta di
1°C ogni 30 m di profondità, la pressione aumenta di 1 bar ogni 33 m. In alcune aree
del pianeta il gradiente geotermico ha delle anomalie, ossia si ha un flusso termico
elevatissimo (punti caldi o hot-spot, punti guida per comprendere la dinamica della
Terra). Un’ipotesi è che il punto caldo sia un flusso termico generato da una
protuberanza del nucleo, fonte principale di calore, la quale si insinua nel mantello,
dove genera fenomeni legati alla dinamica della litosfera. Tali punti rimangono
sempre nella stessa posizione.
Chimica e proprietà fisiche: le informazioni sullo stato chimico vengono, ad
esempio, dall’analisi del materiale eruttato dai vulcani o dall’analisi di meteoriti, la
cui composizione è presa come riferimento per la composizione del mantello; si
possono dedurre dei risultati anche dai fenomeni orogenetici, ad esempio analizzando
le rocce affiorate in superficie grazie ai movimenti della tettonica delle placche.
 Crosta: la crosta è silicatica, essendo costituita prevalentemente da silicati
alcalino-terrosi. In ordine decrescente di abbondanza è costituita dai seguenti
elementi: O (46.6%), Si (27.7%), basse concentrazioni di Al (che entra nello
scheletro di tutti i silicati perché sostituisce il Si nelle lacune tetraedriche,
lasciando però non neutralizzata una carica negativa, bilanciata da un altro
catione, come Fe, Ca, Na, K, Mg, Ti, H, P, Mn); tutti questi elementi sono
espressi in % in peso.Altri elementi presenti in tracce, come lo Zn, sono
espressi in ppm. densità= 2,8-3,3 g/cm3; T= 1.400-1.600°C.
La disponibilità di un elemento nella crosta non dipende dalla sua abbondanza
assoluta, ma è dovuta alla capacità che esso ha di formare minerali propri e al fatto
che questi minerali siano convenientemente concentrati. Esempi: (1) il rame è
meno abbondante dello zinco; (2) fra i minerali propri poco concentrati si ha lo
zircone, fatto da zirconio; (3) fra gli elementi dispersi si ha il gallio, nei silicati di
alluminio; (4) oro e platino sono reperibili perché si concentrano nei placet, lo
stesso lo zinco e il rame (rispettivamente nella galena e nella cuprite).
CLARKE DI UN ELEMENTO = percentuale media di quell’elemento nella crosta
terrestre; è un termine di riferimento per giudicare la disponibilità, l’arricchimento
dell’elemento in una roccia piuttosto che in un’altra. Ad esempio il clarke dell’Al
è uguale a 8,13, quello del Fe è uguale a 5 (valori medi, % di tali elementi in tutta
la crosta).
CLARKE DI CONCENTRAZIONE = % di un elemento in un minerale/ %
dell’elemento
nella
concentrazione(Pbs)
litosfera.
uguale
Esempio:
a
il
86,6%;
Pb
nella
clarke
di
Galena
ha
una
concentrazione=
Pb(Galena)/Pb(crosta)= 86.6%/0.0013%= 66.076 (clarke molto alto.
 Mantello: Fe+Mg+Si+O=90% (silicati più pesanti, di ferro e magnesio).La
roccia che sembra meglio soddisfare alle caratteristiche del mantello superiore
sembra
essere
la peridotite, una roccia ultrabasica, formata quasi
esclusivamente da olivina e pirosseni (entrambi silicati di ferro e magnesio). Il
resto del mantello sembra ugualmente composto, con ogni probabilità, dagli
stessi elementi, in netta prevalenza Si, O, Fe e Mg, anche se organizzati in
reticoli cristallini diversi, via via più adatti, con la profondità, a resistere alle
temperature e alle pressioni crescenti. Densità media= 4,5 g/cm3; T= fino a
3000°C. Pressione= da 9 a circa 1.400 kbar.
 Nucleo: Fe= 80%, Ni=4%, Cr+Mn+Co+Si= 15-25% (elementi altofondenti);
densità= 11 g/cm3; T= 6.000°C. Pressione= da 1.400 a 3.600 kbar.
 INTERA TERRA: Fe= 34,6%, O= 29,5%, Si 15,2%, Mg= 12,7%, Ni= 2,4%,
S= 1,9 %, silicati di Ca e Al= % inferiori.
In generale, l’elemento più abbondante è l’ossigeno, poi viene il silicio.
Suddivisione degli elementi chimici:
(a) Goldsmith-Mason: in base a tale classificazione gli elementi chimici
possono essere suddivisi in 4 famiglie, in base alla loro affinità nella
formazione di diversi composti:
1) Liofili: elementi che costituiscono lo scheletro dei silicati, fra cui
Si, O, Al, Fe, Mg, Ca, ossia tutti i metalli fino agli elementi del V
gruppo della tavola periodica.
2) Atmofili: arricchiti nell’atmosfera, ossia gli elementi leggeri o gas
rari.
3) Calcofili: affinità per lo zolfo (Cu, Zn, Mg, Ti, Pb, As, Ag, Hg,
etc.).
4) Siderofili: concentrati nel nucleo, quindi costituenti delle leghe
ferro-nichel (Fe, Co, Ni, Pt, Re, etc.).
(b) Taylor: classificazione in base al comportamento geochimica:
(1) FME: elementi ferromagnesiaci, pesanti ed altofondenti. Ferro e magnesio
sono i più abbondanti; altri elementi, fra cui Ni, Co, Cr, Sc, sono presenti
in tracce. Gli FME sono abbondanti nei primi prodotti di solidificazione,
come nel magma o il nucleo dei pianeti; sono compatibili con la fase
solida, ossia presentano affinità per la fase solida.
(2) LILE= Large Ion Lithophile Elements: metalli alcalino-terrosi, fra cui K,
Rb, Cs, Th, U, Ba, Sr, Na. Hanno raggio ionico > di 1 A, per cui hanno
bisogno di lacune cristalline grandi per entrare nel reticolato. Sono
incompatibili con la fase solida, per cui rimangono nella fase liquida. I
liquidi residuali sono pertanto arricchiti in LILE, i quali non entrano nei
primi solidi che si formano.
(3) HFSE= High Field Strength Elements: hanno alto rapporto carica/raggio;
comprendono ad esempio Ti, Zr, P, etc, elementi ad alta forza di campo,
incompatibili con la fase solida. A differenza dei LILE sono meno mobili
nelle soluzioni acquose, per cui nell’acqua vi sono molti LILE, ma
difficilmente si trovano HFSE.
(4) REE= Rare Earth Elements: terre rare comprendenti 15 elementi, dal La al
Lu, con la stessa valenza (+3) ma raggio ionico variabile, il quale
diminuisce dal La (terre rare leggere, che si avvicinano al comportamento
dei LILE) al Lu (terre rare pesanti, il cui grado di incompatibilità è
diminuito).
Nel nucleo si ha ricchezza di FME, nella crosta di silicati di LILE (specie di
sodio e potassio, o feldspati).
METEORITI
Classificazione basata sui minerali che li costituiscono e sulle loro proporzioni:
(1) Aeroliti: dette anche stones, poiché somigliano alle pietre. Rappresentano
il 95%. Sono costituiti fondamentalmente da olivina (silicati di Fe e Mg) e
bronzite. Sono divisi in Condriti e Acondriti, a seconda che possiedano o
meno un nucleo interno detto condrulo. Le condriti , a loro volta, sono
divise in Carbonacee, che oltre ai silicati presentano i composti del
carbonio, e Non-Carbonacee, costituite anche da composti Fe-Ni. Le
acondriti comprendono plagioclasio.
(2) Sideroliti (1%): pietre di ferro, in quanto contengono soprattutto Fe
(olivina, Fe-Ni, ortopirosseno); comprendono 2 famiglie.
(3) Sideriti (4%): composti da Fe e Ni; non contengono silicati; suddivisi in 3
famiglie.
Le aeroliti assomigliano di più al nostro mantello, le sideriti di più al nucleo,
le sideroliti hanno una struttura intermedia. Dai sideriti agli aeroliti man mano
aumenta la complessità dei composti: dalle leghe Fe-Ni a silicati sempre più
complessi (dall’olivina al plagioclasio, che si ritrova negli acondriti; esso ha la
struttura dei tettosilicati, ossia silicati che formano strutture spaziali SiO 4, i cui
vertici, cioè, sono condivisi con altri tetraedri).
TETTONICA DELLE PLACCHE
Crosta oceanica: ha complessivamente composizione basaltica. In essa si
distinguono i seguenti strati:
 Strato 1 (5-6 km di profondità): sedimenti pelagici di natura silicea
derivanti da organismi a guscio siliceo, perché il silicio a questa
profondità è più stabile del CaCO3.
 Strato 2 (6-8 km di profondità): lave basaltiche a cuscini, la cui origine
è dovuta al tasso eruttivo basso e alla pressione idrostatica che, a questa
profondità, non fa vaporizzare l’acqua del magma, che quindi non
esplode. Si ha quindi attività effusiva, in quanto l’acqua non va in fase
gassosa, in quanto si arriva subito al punto triplo e non si ha passaggio
di stato.
 Strato 3 (8-14 km di profondità): complesso a dicchi gabbrici, o
condotti vulcanici. Un dicco è un corpo di magma che ha uno sviluppo
verticale e un raggio molto piccolo, ossia è una frattura di spessore
limitato riempito di magma. Il dicco è detto anche filone. Il gabbro è il
corrispondente intrusivo del basalto (derivante da magma basico).
 Moho
 Mantello superiore: composizione peridotitica. Lla peridotite è una
roccia ultrabasica con fasi minerali di alta T e P. La peridotite stabile è
quella a plagioclasio, ed è costituita da olivina+pirosseni+plagioclasio.
Crosta continentale: la crosta continentale è formata da silicati di sodio e potassio
(feldspati), ha quindi composizione granitica. In essa si distinguono i seguenti strati:
 Pellicola superficiale: rocce di diversa natura, in genere rocce sedimentarie di
copertura..
 Crosta superficiale (0-40 km di profondità): a composizione granitoide (a
granodiorite)
 20km di profondità: zona di fusione
 40 km di profondità: discontinuità di Conrad (discontinuità di secondo ordine,
che separa la crosta superiore da quella inferiore).
 Crosta inferiore (40-50 km di profondità):composizione anfibolitica o
granulitica. La crosta inferiore è formata, quindi, da rocce più basiche. Le
anfiboliti e le granulati sono due tipi di rocce metamorfiche di alta T e P.
 50 km di profondità (variabile fra 30/60/70 km): Moho
 Mantello superiore: roccia peridotitica, ad alta P e T, a spinello
(olivina+pirosseni+spinello) o a granato (olivina+pirosseni+granato), in base
alla P ma anche alla composizione del mantello in quel punto. La presenza di
plagioclasio indica, quindi, una pressione bassa (negli oceani, infatti, si trova a
minori profondità), lo spinello indica alti valori di pressione, il granato valori
altissimi. Plagioclasio, spinello e granato sono quindi fasi diverse che si
trovano a diversi valori di P.
Le differenze di spessore della crosta si riflettono in diverse caratteristiche fisiche, fra
cui la densità: la crosta oceanica, anche 6-7 volte meno spessa di quella continentale,
è più densa di quella continentale, e questo da origine ai diversi tipi di margini fra le
zolle litosferiche. Vi è anche differenza di densità fra crosta continentale giovane e
quella vecchia.
Teoria dei moti convettivi del mantello: il nucleo terrestre genera calore per la
presenza di elementi radioattivi, gli isotopi instabili che decadendo liberano raggi
gamma e calore. Il flusso di calore si sposta dalle regioni più calde a quelle più
fredde: il corpo caldo, quindi, si raffredda e ritorna giù, generando i moti convettivi,
che rappresentano il motore dei movimenti della litosfera.
Teoria della deriva dei continenti di Wegener (1912): Wegener parte
dall’osservazione che il contorno dell’Africa combaciava con quello esterno
dell’America latina, separate dall’Oceano Atlantico; vi era quindi una netta
sovrapposizione fra Africa occidentale e America del sud orientale. Inoltre le rocce
affioranti lungo il bordo della costa africana avevano la stessa età e la stessa natura di
quelle che affiancavano le coste americane. Egli rilevò anche lo stesso tipo di fossili
nei due continenti.Contro la teoria di Wegener vi erano varie osservazioni, fra cui la
constatazione che per altre parti del globo terrestre non esistevano dati simili che
confermassero l’ipotesi Pangea/Panthalassa. Questa teoria raggiunse il massimo
sviluppo qualche decennio fa, in seguito agli studi oceanografici, in base ai quali si
vide che tutti gli oceani erano più giovani delle rocce delle zone emerse (le rocce più
vecchie risalgono a circa 4 miliardi e 700 milioni di ani fa e sono state rilevate in
Australia); le rocce oceaniche non sono più vecchie di 135 milioni di anni. Si è anche
osservato che l’età delle rocce diminuisce man mano che ci si avvicina alla parte
centrale dell’oceano, che nell’oceano Atlantico è occupato dalla dorsale oceanica.
Nel 1963 sono state individuate delle fasce simmetriche di polarità magnetica ai lati
della dorsale. Tute le rocce contengono ferro; quando cristallizzano, i minerali di
ferro si orientano in base al campo magnetico presente al momento della formazione.
La roccia si smagnetizza al punto di Curie. La simmetria delle fasce magnetiche fece
pensare che a partire dalla dorsale si formano rocce sempre più giovani a polarità
simmetrica.
A partire dalla dorsale si ha un continuo accrescimento del fondo oceanico; per
contro, si ha, in un’altra regione del globo, un sistema di fosse profonde lungo le
quali si ha la subduzione della crosta terrestre.
La dorsale medio-atlantica separa il continente americano da quello euro-asiatico e
africano. Anche nel Pacifico orientale è stata individuata una frattura. Lungo i bordi
del Pacifico, a contatto con la crosta continentale, vi sono grosse fosse,
accompagnate, sulle terre emerse, da una lunga fascia di intensa attività sismica e
vulcanica, la cosiddetta “cintura del fuoco” dell’Oceano Pacifico, comprendente la
zona di Sumatra, l’Indonesia, le Antille, il Giappone, le isole Curive, l’Alaska,
l’America, la catena delle Ande dell’America latina, l’Antartide.
Modello della tettonica delle placche: le placche si muovono sull’astenosfera
plastica. Si individuano 3 tipi di margini lungo i quali le placche si muovono:
1. Margini divergenti: sono presenti nelle aree delle dorsali oceaniche, dove si
forma nuova crosta. A risalire è il mantello superficiale. Ad essi è associata una
sismicità superficiale, con ipocentri massimo a 10 km di profondità, legata allo
stretching della litosfera. Il vulcanismo di dorsale è basaltico è poco esplosivo.
L’Oceano Atlantico è in continua crescita, ed è quindi giovane.
2. Margini convergenti: si hanno lungo il sistema delle fosse oceaniche. Quando
una placca meno densa si scontra con una più densa, quest’ultima subduce:
man mano che la placca sprofonda sotto quella meno densa passa a T più alte,
originando fusi magmatici, che generano il vulcanismo, che è esplosivo; lo
sforzo generato dalla placca che subduce, innesca nella litosfera tensioni che
generano terremoti con ipocentri fino a 750 km di profondità, raggiunta dal
piano di Benioff (sismicità profonda). L’inclinazione del piano di Benioff
dipende dalla diversa densità delle croste: maggiore è la differenza maggiore è
l’inclinazione; essa dipende, in minima parte, anche dalla velocità di collisione.
Quando due placche, invece, hanno la stessa densità, si ha l’orogenesi, grazie
alla quale emergono rocce poste originariamente a maggiore profondità. Prima
della collisione, fra le due placche vi era crosta oceanica, per cui nella catena
montuosa che si originerà si avranno testimonianze di tale crosta (rocce
basaltiche alterate, metamorfosate, come le ofioliti o rocce verdi). L’Oceano
Pacifico, più vecchio di quello Atlantico, è in continuo decremento, per cui la
distanza fra Europa e Stati Uniti aumenterà sempre di più.
3. Margini trasformi o trascorrenti: si hanno in corrispondenza di due placche che
scorrono l’una rispetto all’altra parallelamente. Ad essi è associata una
sismicità superficiale, mentre il vulcanismo è assente.
Hot spot: a parte il vulcanismo legato alla tettonica delle placche, esiste il
vulcanismo di hot-spot, in cui il magma deriva dal mantello inferiore,
dall’astenosfera. Esso non è generato dai movimenti litosferici, ma è indotto dalla
dinamica profonda: plume termiche, meno dense, si inarcano dal confine
nucleo/mantello e si propagano verso al superficie. Mentre il vulcanismo di
dorsale e quello presente lungo i margini convergenti si ritrova ai limiti fra le
placche, quello di hot-spot si trova all’interno delle placche. Ad esempio le Hawai
si trovano al centro della Placca Pacifica. La plume termica rimane fissa:
Vulcani attivi
Vulcani estinti via via più vecchi
Hot spot (fisso): man mano che la placca si muove, al suo interno si
generano altri coni vulcanici, più giovani in prossimità dell’hot-spot, sempre più
vecchi man mano che ci si allontana da tale punto.
Il vulcano più vecchio delle Hawai, catena sottomarina Emperor, è datato 75 milioni
di anni fa e si trova ad Ovest: procedendo verso Est si trovano vulcani più giovani,
per cui si deduce che la placca si è spostata verso Ovest. I vulcani, in numero di 7,
non sono allineati in una retta, e tale pendenza è generata da una variazione di
velocità delle placche.
Doglioni ha proposto una nuova teoria che tiene conto degli hot-spot: egli afferma
che tutte le placche si muovono verso ovest, quindi tutta la litosfera si muove verso
ovest; nella deriva verso ovest vi sono placche che si muovono con più velocità, altre
si muovono più lentamente. Tutto è influenzato dalla rotazione terrestre. La
subduzione in senso contrario alla direzione del movimento delle placche genera
piani di Benioff più inclinati, mentre se la subduzione avviene nella stessa direzione
il piano di Benioff è meno inclinato. Doglioni spiega l’origine dei margini come lo
scontro fra due placche.
VULCANISMO
La disposizione dei vulcani non è casuale: i vulcani sono localizzati lungo i margini
delle regioni convergenti e divergenti, per cui hanno un significato geodinamico,
analogamente ai terremoti. Nella zona prossima alla subduzione, vi è in genere un
arco vulcanico; lungo le dorsali si trovano vulcani isolati. In prossimità di un vulcano
il mantello fonde, per cui, per differenza di densità, in quanto più leggero, sale in
superficie. I meccanismi di fusione del magma sono 3:
1) diminuzione di pressione,
2) aumento della temperatura,
3) spostamento verso sinistra della curva del solidus.
Il mantello ha una paragenesi mineralogica caratterizzata da minerali ad alta P,
altofondenti (peridotiti a composizione basica). Il campo di stabilità della peridotite,
stabile in condizioni solide, dipende dai parametri di stato T e P: in funzione della P
cambia la paragenesi mineralogica, in quanto a P basse, fino a 100 km di profondità
circa, si h la peridotite a spinello, che si trasforma in granato a profondità maggiori; a
qualsiasi profondità la geotermica (curva tratteggiata nel grafico) non interseca mai la
curva del solidus, in quanto qualsiasi aumento della T non porta mai alla fusione della
peridotite:
Profondità
0
Curva del liquidus
100 spinello
granato
Campo del liquidus
Geotermica
Campo del solidus
Curva del solidus
T
In alcuni punti della Terra (hot-spot) gli aumenti di T sono maggiori del normale
gradiente geotermico, per cui l’aumento della T è tale che la geotermica interseca la
curva del solidus, il che si verifica più o meno a 100 km di profondità, perché le due
curve sono più vicine, per cui tale regione è detta zona di partenza dei magmi. La
curva del solidus può spostarsi verso sinistra, ossia la peridotite fonde a T e P
inferiori di quele che le sono proprie, a causa, ad esempio, dell’aggiunta di acqua, che
abbassa il punto di fusione della peridotite, come si è visto sperimentalmente.
L’acqua è portata nel mantello dai sedimenti oceanici formatesi sulla crosta oceanica
che va in subduzione, i quali si disidratano e l’acqua passa alla peridotite del
mantello. Questo fenomeno spiega l’origine del vulcanismo associato ai margini
convergenti.
La diminuzione brusca della P causa una contrazione improvvisa dei campi di
stabilità e quindi la decompressione causa la fusione del mantello: questo spiega
l’origine del vulcanismo associato ai margini divergenti, in corrispondenza dei quali
si ha diminuzione del carico litostatico, ossia dello spessore della litosfera.
Quindi, in sintesi, si distinguono:
1. Vulcanismo di hot-spot, legato all’aumento della temperatura, indipendente
dalla dinamica della litosfera;
2. Vulcanismo di arco, associato alla diminuzione del punto di fusione della
peridotite a causa dell’idratazione da parte dei sedimenti in subduzione;
3. Vulcanismo di dorsale, associato alla diminuzione della pressione, dovuta alla
riduzione dello spessore della litosfera.
Nel vulcanismo di dorsale il percorso del magma è breve, perché non deve
attraversare litosfera, per cui non subisce modifiche composizionali (si hanno magmi
basici) e non si formano camere magmatiche. Tutto il magma prodotto sale in
superficie ed è poco cristallizzato, abbastanza caldo; esso si raffredda in superficie
formando rocce magmatiche effusive, ad esempio le rioliti. Sotto le dorsali, quindi,
non si formano plutoni. I plateux basaltici, ad esempio quello del Deccan, indicano
un margine divergente.
Nel vulcanismo di arco il magma deve attraversare la crosta continentale, subendo
variazioni di composizione fino a formare magmi molto viscosi, ricchi in gas, in cui
la quantità di magmi basici primitivi è molto bassa, per cui si ha vulcanismo
esplosivo. La viscosità aumenta perché man mano che sale il magma si raffredda e
cristallizza. Lungo i margini convergenti il magma diventa sempre più povero degli
elementi altofondenti e più ricco di elementi bassofondenti (sodio, potassio e gas),
per cui si tratta di magma più evoluto, acido, ricco in alcali e gas. Non tutto il magma
però sale in superficie lungo i margini convergenti, ma una parte rimane nella crosta a
formare le rocce plutoniche (batoliti granitici, una particolare morfologia di massicci
plutonici); questo è dovuto al fatto che la viscosità del magma aumenta talmente che
non riesce a muoversi e la densità è maggiore delle rocce sovrastanti.
In sintesi, più il magma deve fare un percorso lungo, vincendo le resistenze della
crosta, accumulando P, più spende energia e si raffredda, più varia la sua
composizione (magmi sempre più acidi).
Nel vulcanismo di hot-spot il calore deriva da processi di decadimento radioattivo,
con accumulo dell’energia termica nella porzione centrale, interna, delle placche,
dove, nel tempo geologico genera le aree di anomalie termiche; ai margini delle
placche è alta la convezione, mentre al centro si accumula perché non è speso per i
moti convetti9vi, legati a scambi termici. Secondo un’altra teoria, l’origine degli hotspot è quella delle protuberanze del nucleo nel mantello.
Come fa il magma ad arrivare in superficie?Perché c’è un’attività effusiva (es.
Etna) ed una intrusiva (es. Vesuvio)?
Tutto è legato alla viscosità e ai gas (il gas più abbondante è l’acqua, poi vengono
l’anidride carbonica, i gas dello zolfo, gli acidi degli alogeni). Si parte da un liquido
fluido, poco viscoso, sotto posto ad alta pressione; quando un sistema è sotto
pressione i gas sono disciolti nel liquido (come ad esempio i gas disciolti nella cocacola quando questa è ancora tappata). Man mano che la pressione diminuisce
(nell’esempio quando si apre il tappo) il gas va in saturazione e in tale
decompressione i gas enucleano bolle, per cui si passa da un sistema monobasico a un
sistema bifasico. La velocità del passaggio da liquido a bolla è proporzionale alla
velocità della decompressione: se tale velocità è alta, il gas porta con se anche parte
del liquido; se la velocità è bassa, nei fluidi poco viscosi il gas passa nelle bolle, con
conseguente aumento delle dimensioni delle bolle, che essendo meno dense si
spostano nella parte alta del liquido formando uno spumone. Quando la tensione di
superficie della bolla è aumentata di molto, essa scoppia liberando il gas (origine dei
fumi dei vulcani). Se il liquido è viscoso, invece, la dimensione delle bolle non
aumenta, per cui il gas è ostacolato nel suo ingresso nelle bolle: si hanno di
conseguenza tante bolle piccole che non riescono ad enuclearsi. Il sistema diventa
così viscoso che non c’è più possibilità di passaggio del gas nelle bolle, che non
riescono a separarsi dal liquido in modo tranquillo; una volta raggiunta la pressione
necessaria per la rottura vanno verso l’alto trascinando così i gas e i brandelli di
magma rimasti intrappolati fra le bolle. Si ha pertanto attività esplosiva, tanto più
violenta quanto maggiore è la viscosità e la quantità di gas (al cui aumento aumenta
la pressione di saturazione). Quanto maggiore è la profondità di vescicolazione, tanto
più in alto, in atmosfera, arriveranno il magma e il gas.
Tipi di eruzioni:
 Islandico: fuoriuscita di lave molto fluide da profonde fratture della litosfera
senza la formazione di un cono vulcanico vero e proprio.
 Hawaiane: eruzione esplosiva, di bassa energia, in cui sono coinvolti magmi
poco viscosi e poco ricchi in gas, che vescicolano in prossimità della
superficie; l’altezza dell’esplosione è dell’ordine delle centinaia di metri. Si
hanno abbondanti effusioni di lava (la colata è detta sheet= lenzuolo o
espandimento piatto), che tende a scorrere in torrenti prima di solidificarsi,
formando edifici vulcanici conici a base molto larga, detti vulcani a scudo
(spatter-cone). Queste eruzioni, quindi, possono originarsi o da una sorgente
puntiforme o lungo una frattura, cioè una spaccatura lineare della litosfera. La
frammentazione del magma avvien in superficie.
 Vulcaniano: lava piuttosto viscosa che tende a formare una sorta di tappo che
viene rimosso soltanto quando la pressione dei gas sottostanti causa una
violenta esplosione.
 Stromboliane: magma un po’ più viscoso e più ricco in gas che frammenta e
vescicola a profondità maggiori, per cui è espulso ad altezza maggiore.
Stromboli è l’isola più settentrionale dell’arcipelago delle Eolie, comprendente
7 isole vulcaniche. Negli ultimi 2000 anni è in continua attività. L’attività si
manifesta mediante lanci intermittenti, ogni 15-20 minuti, di brandelli di
magma e gas dai 3 crateri sommitali (di cui ultimamente vi è stata una
coalescenza), lanciati a decine e centinaia di metri di altezza. Il magma si
raffredda già in atmosfera, in quanto compie un percorso più lungo. Esso,
come già detto, è abbastanza fluido, poco ricco in gas, con livello di
frammentazione più profonda rispetto ai vulcani hawaiani. Il cratere (spatter
rampart, o coni di ceneri) è conico con strati sovrapposti (accumulo di livelli
piano-paralleli), che si depositano con le varie eruzioni, per cui si accresce con
il tempo (ogni piano equivale ad un’eruzione). I frammenti sono dati
dall’accumulo delle scorie (depositi sciolti): man mano che ci si allontana dal
centro di emissione, cadono i frammenti meno grossolani, per cui si viene a
stabilire una gradazione granulometrica, con i frammenti più grandi prossimali,
quelli più fini distali. Il deposito di caduta, mantella la morfologia e la
topografia preesistenti, per cui rispetta tali caratteristiche geomorfologiche,
interessando il basso e l’alto morfologico. Il deposito di flusso si accumula
nelle
valli
(basso
morfologico)
originando
i
plateux
ignimbritici
(peneplanizzare).
 Pliniane: magmi molto viscosi ad elevato contenuto di gas, che vescicolano e
frammentano ad altissime profondità, per cui il materiale espulso supera il
limite della troposfera. Un tipico esempio di eruzione pliniana è quella del
Monte S. Elens, verificatesi nel 1980. Il tappo di magma che bloccava
l’eruzione è stato rimosso da una frana che ha aumentato l’esplosività
dell’eruzione perché tutta l’energia del magma accumulata è stata usata
nell’eruzione. La nube dell’esplosione è arrivata fino a 25 km di altezza. Le
ceneri hanno fatto il giro del mondo. In questo tipo di esplosioni, il pulviscolo
impedisce ai raggi solari di penetrare, per cui si crea il buio. Molto spesso dopo
l’esplosione piove, perché lo shock termico ed acustico che subisce
l’atmosfera, innesca una serie di processi che portano alla generazione di venti
di bassa quota velocissimi a livello del punto di fuoriuscita (in sintesi
l’esplosione sposta delle masse d’aria). Man mano che la nube (i cui tempi di
formazione sono dell’ordine di qualche minuto) si addentra nell’atmosfera si
allarga, perché “ingloba” aria per convezione, si diluisce (diminuisce la
densità) e diventa così più chiara. Quando la nube non è più sostenuta dai gas
collassa su se stessa, originando flussi di gas e di materiali vulcanici con
velocità di 200-300 m/s, detti nubi-ardenti (che hanno distrutto Pompei ed
Ercolano). Dopo l’eruzione vulcanica l’edificio viene troncato (così come è
successo per il Monte S. Elens), con asportazione della parte sommatale (che
rappresentano volumi e volumi di materiale).Anche il Vesuvio (che ha eruttato
nel 1979) presenta un’eruzione simile a quella del Monte S. Elens, quindi
fortemente esplosiva. Il versante più a rischio del Vesuvio è quello meridionale
verso cui si dirigono i flussi, mentre il versante nord è protetto da bastioni.
 Peleano: lava molto viscosa che tende ad ostruire il condotto; l’elevata
pressione dei gas fa si che questi si aprano una via di uscita verso l’esterno
attraverso spaccature nell’apparato vulcanico.
In generale tutto è legato alla pressione. Rispetto ai terremoti, in cui l’energia è tutta
meccanica, nell’eruzione si ha sia energia meccanica sia termica. Inoltre i terremoti
sono eventi istantanei, le eruzioni sono più lente.
ROCCE IGNEE
abbastanza da emergere dalla superficie dell’acqua: si forma così un’isola vulcanica. Le montagne
sottomarine a sommità spianata (guyot) sono antiche isole vulcaniche che, per via dello
sprofondamento della crosta, sono successivamente sommerse.
La classificazione dei vulcani può basarsi su diversi parametri; se prendiamo in considerazione la
forma del condotto vulcanico avremo:

Vulcano a condotto centrale, alimentati da un camino vulcanico semplice, isolato,
subcilindrico, dotato eventualmente di ramificazioni che possono formare crateri avventizi.

Vulcani lineari, caratterizzati da un’attività eruttiva che si manifesta attraverso una fessura o
una serie di condotti vulcanici allineati lungo una frattura (le dorsali oceaniche).

Vulcani areali, in cui l’effusione di lava avviene in corrispondenza dell’affioramento su
un’area piuttosto estesa di una massa magmatica profonda per fusione, erosione o crollo
della volta della cavità che la contiene.
Gli edifici vulcanici possono essere parzialmente distrutti da esplosioni o sprofondare più o meno
completamente nella camera magmatica sottostante per crollo della volta di quest’ultima. La
depressione conseguente al collasso viene detta caldera. Successivamente può verificarsi una ripresa
dell’attività vulcanica, per cui si forma, all’interno della caldera, un nuovo edificio vulcanico, che
viene detto vulcano a recinto.
è simile a quello con cui lo spumante fuoriesce dalla bottiglia quando si toglie il tappo). Ogni
eruzione è caratterizzata da fuoriuscita di lava (effusione), di materiale solido (eiezione) e gassoso
(esplosione) da aperture della crosta terrestre.
analoga a quella che riceve qualsiasi corpo solido immerso in un fluido. Tale spinta, detta spinta di
Archimede, è causata dal fatto che l’astenosfera si trova allo stato semifluido. La crosta continentale
è più spessa e leggera di quella oceanica; se il suo spessore diminuisce, entrano in azione le spinte
verso l’alto che ripristinano un nuovo equilibrio idrostatico.
con il conseguente di stanziamento dei continenti attuali. Wegener ipotizzò che le masse
continentali si comportassero come enormi icebergs capaci di spostarsi sul sottostante mantello. In
conseguenza della precessione dell’asse terrestre esse avrebbero cominciato a muoversi verso ovest
con diversa velocità, l’Antartide e l’Australia si sarebbero spostate verso sud e alcune masse verso
l’Equatore sotto l’azione della forza centrifuga. Sempre secondo Wegener, in relazione ai due tipi di
movimenti previsto, si sarebbero generati due tipi di catene montuose: quelle costiere e quelle
geosinclinaliche. Le prime, cioè quelle che sorgono al limite fra un continente e un Oceano, come le
Montagne Rocciose e le Ande, si sarebbero formate in conseguenza della resistenza opposta dal
magma viscoso al movimento delle masse continentali determinando sul loro bordo una
compressione e un ripiegamento che avrebbero dato origine alla catena montuosa. L’altro tipo di
catena montuosa, come la catena himalayana, deriverebbe invece da un fenomeno di compressione,
originatesi dalla compressione della penisola indiana che nel suo movimento verso nord-est sarebbe
giunta a collisione con l’Asia. La teoria di Wegener, all’epoca della sua formulazione, riscosse
pochissimo credito; gli scienziati dell’epoca dimostrarono che il meccanismo d’azione ipotizzato
per il movimento delle masse continentali era inadeguato: le forze necessarie per spostare interi
continenti erano ben più grandi di quelle messe in gioco dall’ipotesi dello scienziato tedesco.
A partire dagli anni ’50, svariate ricerche sul magnetismo delle rocce e sui fondali oceanici,
ridettero credito all’idea fondamentale di Wegener. Si arrivò così a formulare una nuova teoria che
modificava sostanzialmente il meccanismo di movimento delle masse rocciose proposto
inizialmente: la teoria della tettonica a zolle.
espandendosi lateralmente e raffreddandosi, costituisce progressivamente nuova litosfera;
contemporaneamente, visto che la superficie della Terra non può aumentare, una parte della
litosfera dovrà distruggersi; ciò si verifica nella zona di contatto fra due placche, una delle quali,
sprofondando al di sotto dell’altra, torna a sprofondare nuovamente nel mantello, con formazione
delle fosse oceaniche
un numero più grande di microplacche: Cina, Persia, Turchia, Tonga, Egea, Adriatica, Nuove
Ebridi, Scozia, Juan de Fuca, Rivera.
Le placche si spostano reciprocamente, “galleggiando” sull’astenosfera; ciascuna di esse può essere
costituita sia da sola litosfera oceanica sia da litosfera oceanica e/o litosfera continentale;
spostandosi sull’astenosfera, nel loro lento movimento, le placche hanno portato i continenti in
posizioni reciprocamente diverse rispetto a quelle che occupano attualmente. Le placche sono
separate fra loro da fasce chiamate margini caratterizzate da un’intensa attività geologica:
vulcanismo, sismicità, deformazione. Vi sono tre tipi di margini: margini di accrescimento o
divergenti (separazione delle placche da parte di una dorsale), margini trasformi o conservativi
(separazione delle placche mediante una faglia trasforme), margini di consunzione o convergenti
(separazione delle placche tramite una zona di subduzione).
Il meccanismo di movimento delle placche, è oggi ricostruito attraverso nuovi modelli
interpretativi. Esso sarebbe causato dalla concomitanza di diversi fenomeni:

la spinta data dal peso dei materiali che fuoriescono dalle dorsali;

la forza di trascinamento operata dalla subduzione della litosfera fredda e pesante all’interno
del mantello;

il circuito delle celle convettive dell’astenosfera.