ELEMENTI GENERALI Termodinamica: scienza che studia l’energia e le sue trasformazioni. Sistema: porzione dell’Universo isolata dall’ambiente circostante; a seconda delle relazioni con tale l’ambiente può essere definito APERTO (scambia energia e materia), CHIUSO (scambia solo energia), ISOLATO (nessuno scambio). Può essere scomposto in più FASI (porzioni fisicamente omogenee, separate meccanicamente), costituite da più COMPONENTI (elementi base, singoli elementi o molecole semplici). Un sistema è caratterizzato dai PARAMETRI DI STATO che sono distinti in parametri ESTENSIVI (dipendenti dalla quantità di materia considerata, ad esempio massa e volume) ed INTENSIVI (indipendenti dalla quantità di materia considerata, ad esempio temperatura, pressione, densità, viscosità). Un sistema è detto in EQUILIBRIO quando l’energia interna o U, che dipende dalla temperatura e dalla pressione , tende al valore minimo. In un qualunque sistema non isolato la grandezza termodinamica che definisce le reazioni spontanee è la variazione di energia libera o G, secondo l’equazione di Gibbs-Helmholtz (G=H-TS), in base alla quale una reazione chimica può procedere spontaneamente se l’energia libera dei prodotti è inferiore a quella dei reagenti; in natura le reazioni possibili sono quelle in cui l’energia libera è minima. Alcuni minerali ad esempio non si formano mai in condizioni naturali poiché la loro formazione richiede valori di temperatura e di pressione molto elevati. Quindi ogni minerale indica uno specifico range di temperatura e di pressione. Distribuzione chimica degli elementi: 1) l’abbondanza diminuisce con l’aumento del numero atomico; l’elemento più abbondante, quindi, è l’idrogeno, quello meno abbondante è il bismuto; 2) gli elementi a numero atomico pari sono molto più abbondanti di quelli a numero dispari che li seguono nella tavola periodica degli elementi; ad esempio il K19 è meno abbondante del Ca20. Questo è dovuto al fatto che gli elementi a numero atomico pari sono più stabili di quelli a numero atomico dispari, che sono più reattivi. L’andamento della curva che si ottiene ponendo l’abbondanza nell’inetro universo in funzione del numero atomico, è quello di una curva seghettata. Le due considerazioni su esposte prendono il nome di REGOLA DI ODDO-HARKINS. SISTEMA SOLARE Costituenti: il sistema solare è formato dal Sole e dai corpi celesti che gravitano intorno ad esso: pianeti e i loro satelliti, asteroidi e comete. Il 99,8% circa di tutta la massa del sistema solare è concentrata nel Sole, quindi il centro di massa del sistema cade al suo interno e gli altri corpi orbitano attorno a esso, legati dalla forza di gravità; in realtà anche il Sole si muove attorno al centro di massa e questo provoca una sua oscillazione periodica, la cui entità è causata soprattutto dall’interazione con Giove, il pianeta di maggiore massa. Le orbite dei pianeti hanno una bassa ellitticità (in molti casi sono quasi circolari) e avvengono tutte in senso antiorario (se osservato stando sopra il Polo Nord). I pianeti si distinguono dalle stelle perché hanno una luce ferma anziché pulsante e perché cambiano regolarmente posizione nella volta celeste rispetto agli altri corpi., dato che ruotano attorno al Sole. I pianeti sono comunemente suddivisi in interni o inferiori, con orbita più piccola di quella della Terra (Mercurio e Venere), ed esterni o superiori, con orbita più grande di quella terrestre (da Marte a Plutone). I Pianeti sono anche suddivisi in due famiglie: la famiglia dei pianeti piccoli o di tipo terrestre, comprendenti Mercurio, Venere, Terra e Marte; 2) la famiglia dei pianeti giganti o di tipo gioviano o solare, comprendenti Giove, Saturno, Urano e Nettuno.Plutone non rientra in nessuno delle due categorie. Differenze fra le due famiglie di pianeti: (a) dimensione (maggiore nei pianeti gioviani); (b) densità, che nei pianeti terrestri è in media 5 volte superiore a quella dell’acqua, mentre in quelli gioviani arriva solo a 1,5 volte o meno; (c) composizione, da cui dipende la densità: Mercurio, Venere, Tera e Marte sono piccole sfere di rocce (minerali silicatici e ferro metallico) e metalli che orbitano vicino al Sole, i pianeti gioviani sono formati prevalentemente da idrogeno ed elio, con quantità variabili di ghiacci (metano e ammoniaca), assieme ad una certa quantità di materiale roccioso; (d) i pianeti terrestri hanno atmosfere tenui o ne sono privi, mentre quelli gioviani hanno atmosfere dense (formate in prevalenza di idrogeno ed elio), poiché la grande massa dei pianeti gioviani trattiene più facilmente le molecole dei gas, le quali, d’altra parte. Per le base temperature dovute alle grandi distanze dal Sole, non raggiungono la velocità, per agitazione termica, a cui arrivano invece le molecole dei gas dei pianti interni. (e) I pianeti interni hanno pochi o nessun satellite, mentre quelli gioviani ne hanno numerosi, oltre ad altre strutture particolari come gli anelli. Fra Marte e Giove si estende la fascia degli asteroidi, frammenti rocciosi di varie dimensioni. Ai confini del sistema solare (a circa 50000 UA dal Sole) si trova una vasta regione sferica, la Nube di Oort, che contiene le comete. Perturbazioni gravitazionali, forse dovuti a passaggi ravvicinati di altre stelle o di grandi nubi molecolari, alterano l’orbita delle comete, inizialmente poco ellittica, facendole penetrare all’interno del sistema solare lungo un’orbita molto ellittica e inclinata sull’eclittica; l’interazione gravitazionale con i pianeti maggiori (soprattutto Giove) le spinge ancor più in vicinanza del Sole dove sviluppano chioma e coda. Più vicina a Plutone si estende probabilmente un’altra zona di nuclei cometari, la Fascia di Kuiper. Teorie sull’origine dei pianeti: (1) Teoria della collisione fra il Sole ed una stella esterna (Buffon); (2) Teoria della condensazione ed aggregazione di materia calda e gassosa (teoria di Kant, ripresa successivamente da Laplace e in seguitola Ringwood): in base a questa teoria si parte da una nebulosa primordiale su cui il sole esercita una forza centrifuga con formazione di un disco. I primi solidi (ossidi, silicati di calcio ed alluminio e metalli tipo platino) condensano a 1500°C, mentre il ferro e gli elementi volatili condensano ad una temperatura inferiore di 450°C. Secondo questa teoria tutto è legato al tasso di condensazione: *se il raffreddamento è lento rispetto all’accrezione del materiale (o accrescimento per strati), si originano planetesimali stratificati, con cuore refrattario e rim, o bordo esterno, ricco in volatili, come nei pianeti terrestri; quindi il materiale che si aggrada lo deve fare in un certo tempo formando solidi via via meno refrattari. * Se il raffreddamento è più veloce dell’accrezione si originano planetesimali non stratificati e disomogenei, come i pianeti gioviani, che non hanno nessuna organizzazione interna. Composti chimici del sistema solare: 1) MOLECOLE SEMPLICI: H2, H2O, CO2, N2, O2, CH4; tutte molecole allo stato gassoso che formano l’atmosfera terrestre e che sono abbondanti nei pianeti esterni, di ghiaccio (Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone). 2) SOLIDI SEMPLICI: (a) ossidi semplici (FeO, Fe2O3, TiO2) e (b) solfuri (FeS, NiS, etc.); segnalati nelle meteoriti, corpi extraterrestri di cui sono stati trovati resti sulla superficie terrestre, nonché sulla Terra, sulla Luna e su Marte. 3) SILICATI: gran parte della Terra è formata da silicati, così come la Luna e le meteoriti. I silicati derivano dalla polimerizzazione dei tetrametri SiO 4-4, composti anionici instabili, compensati elettrostaticamente da cationi di diverso tipo, quali quelli dell’alluminio, del calcio, del magnesio, del sodio e del potassio. 4) POLIMERI CARBONATI: idrocarburi e i costituenti della materia vivente; presenti nella terra e nel nucleo di alcune meteoriti, dette meteoriti carbonatiche. 5) LEGHE: le più abbondanti sono quelle Fe-Ni; sono rare sulla superficie della Terra ma sono abbondanti nel nucleo; componenti essenziali delle meteoriti. Origine del sistema solare: secondo un’ipotesi, detta monafasica, 4 miliardi e 600 milioni di anni fa, il materiale destinato a costituire il futuro sistema solare fa parte di una nube fredda e diffusa in uno dei bracci della Via Lattea originatesi dall’esplosione di una supernova; come conseguenza di perturbazioni dovute a cause sconosciute, una parte della nube comincia a collassare su se stessa. Nel collasso assume la forma di un disco appiattito, al centro del quale si va addensando un protosole, sempre più denso. Ripetute collisioni tra i granuli di ghiacci e di polveri portano all’aggregazione di corpi via via maggiori (planetesimali o planetesimi, costituiti da addensamenti di roccia, ghiaccio e gas). Le teorie più accreditate suggeriscono che i pianeti si siano formati per aggregazione successiva di planetesimi. Nella fase detta “T.Tauri” il vento solare “pulisce” lo spazio da polveri e gas residui. La fornace solare si è ormai innescata e i pianeti sono nel pieno della loro evoluzione. Quindi, partendo dalla nebulosa primordiale, i primi nuclei che si sono costituiti erano formati dagli elementi più pesanti, ossia le leghe; man mano che la materia cosmica si è addensata, gli strati più superficiali dei pianeti si sono arricchiti di materiali meno densi e più basso-fondenti. Tutto quello che si è addensato formando dei corpi solidi, ha originato i pianeti, lo strato gassoso attorno a tali corpi solidi ha generato la loro atmosfera. La zona più esterna della nebulosa, più fredda, era costituita dai materiali meno densi, più basso-fondenti, ecco perché i pianeti più lontani dal Sole sono costituiti da elementi più leggeri e non hanno un nucleo; si tratta infatti di ammassi in cui prevale l’acqua, il metano e l’anidride carbonica allo stato gassoso e sono detti pianeti di ghiaccio. I più vicini al Sole, posti quindi in una zona più calda, non sono stati in grado di trattenere un’atmosfera formata da elementi leggeri (idrogeno ed elio), come è avvenuto invece nelle regioni più lontane, più fredde. Questo rende conto, per esempio, della divisione fra pianeti terrestri, più densi e prevalentemente rocciosi, e pianeti giganti, prevalentemente gassosi. TERRA La struttura dell’interno della Terra: per studiare le caratteristiche fisiche della Terra, accanto all’indagine diretta (il pozzo più profondo che sia stato perforato è però di 15 km di profondità rispetto ai 6.300 km del raggio terrestre) si ricavano informazioni tramite lo studio delle variazioni locali del campo gravitazionale, del flusso di calore e del campo magnetico; ma l’apporto fondamentale è dato dall’analisi dei tracciati delle onde sismiche, le quali interagiscono con i materiali che incontrano nella loro propagazione e vengono riflesse e deviate in modo caratteristico. Le onde che si originano durante un terremoto sono principalmente di tipo P (o longitudinali o di compressione), le quali si propagano sia nei solidi sia nei liquidi, e di tipo S (o trasversali), che non si propagano nei liquidi. Sfruttando questo principio, si è determinata la struttura interna della Terra, la quale presenta numerose discontinuità e una successione di strati fino a un nucleo centrale. E’ lo stesso principio in base al quale vengono individuate nella crosta terrestre le falde acquifere e le riserve di idrocarburi. La crosta terrestre è lo strato più esterno ed è delimitata verso il basso dalla discontinuità di Mohorovicic, chiamata più semplicemente Moho. La Moho si trova a profondità variabile, in media circa 8-10 km sotto le aree oceaniche e circa 35-40 km sotto i continenti, dove però può spingersi anche fino a più di 70-100 km in corrispondenza delle più alte catene montuose. In corrispondenza della discontinuità di Moho,le onde di tipo S subiscono un rallentamento: in questa regione, infatti, vi è la raccolta dei fusi magmatici ; essa rappresenta il limite fra litosfera ed astenosfera. Tra la crosta oceanica, più sottile, e la crosta continentale, più spessa, vi è una netta differenza di composizione chimica. La crosta oceanica ha una densità media di 3 g/cm3 ed è costituita da rocce basaltiche ricche di alluminio, silicio, ferro (Sial), quindi è silicatica-basica (silicati di ferro, calcio e magnesio; la roccia rappresentativa è il basalto). La crosta continentale ha una densità attorno a 2.8 g/cm3 ed è composta essenzialmente da rocce granitiche, via via più basiche dalla superficie alla Moho; accanto ai silicati di Ca, Fe e Mg, prevalgono i silicati di Na e K; la roccia rappresentativa è il granito, roccia silicatica acida, essenzialmente costituita da silicati di Na e K , più leggeri. Al di sotto della crosta comincia il mantello, che si estende sino alla discontinuità di Gutenberg, alla profondità di circa 2.900 km (fino al nucleo esterno). La densità passa da circa 3 g/cm3 in prossimità della Moho, sino a 5.6 g/cm3 nelle parti più profonde. La temperatura aumenta dalle poche centinaia di gradi che si dovrebbero misurare a livello della Moho, fino a più di 3000°C presso la discontinuità di Gutenberg. Al di sotto di tale discontinuità vi è il nucleo, che ha un raggio di circa 3470 km, più della metà del raggio terrestre. La densità, di circa 10 g/cm3 a livello della discontinuità di Gutenberg, aumenta progressivamente fino a circa 13.5 g/cm3, il che depone a favore dell’idea di un brusco cambiamento della composizione chimica. La caratteristica più significativa del materiale esistente al di sotto della discontinuità di Gutenberg è che in esso le onde sismiche di tipo S non si propagano. Ciò starebbe ad indicare che questa parte della Terra si trova allo stato liquido. All’interno del nucleo, poi, è stata dimostrata l’esistenza di una nuova superficie di discontinuità, la discontinuità di Lehmann, che separa il nucleo esterno, liquido, dal nucleo interno che sappiamo essere solido, perché in esso si trasmettono anche le onde S. Oggi si ritiene che molto probabilmente il nucleo sia costituito da ferro mescolato in una percentuale del 15-20% con del silicio. La Terra presenta un’evoluzione esogena (riguardante quello che avviene fra l’atmosfera e la litosfera) e un’evoluzione endogena (dinamica interna che si manifesta con il vulcanismo e i terremoti). L’evoluzione endogena è legata ad altre caratteristiche dell’interno della Terra, che viene suddiviso anche tenendo conto della maggiore o minore rigidità dei vari strati. La distinzione tra crosta terrestre e mantello, partendo dalla Moho, non è più ritenuta di primaria importanza per comprendere la dinamica dei fenomeni geologici sulla superficie terrestre. La Moho infatti corrisponde a una discontinuità soprattutto chimica tra crosta e mantello, ma dal punto di vista dinamico, la parte del mantello che sta subito al di sotto di questa discontinuità è collegata in modo rigido alla crosta sovrastante e forma con essa una struttura unica, la litosfera (costituita quindi dalla crosta e da quella parte del mantello a comportamento fragile). I materiali che costituiscono al litosfera si comportano in modo prevalentemente rigido ed è proprio la litosfera ad essere suddivisa in un certo numero di zolle a placche, oggetto dei movimenti tettonici. Lo spessore totale della litosfera è diverso nelle aree oceaniche e in quelle continentali. Nelle aree oceaniche è in media di circa 70 km e sotto le dorsali si raggiungono spessori minimi di circa 4 km. Sotto i continenti lo spessore della litosfera è molto maggiore: in media è attorno ai 100 km, ma alcune ricerche hanno messo in luce, in aree particolari, spessori di circa 300 km. Sotto la litosfera incomincia l’astenosfera (costituita dal mantello inferiore e dal nucleo), composta da rocce quasi-plastiche, duttili, che sotto tensione, ossia sottoposte a sollecitazione meccanica, si deformano senza rompersi. Lo strato superiore dell’astenosfera corrisponde allo strato in cui la velocità delle onde sismiche diminuisce bruscamente rispetto al mantello litosferico. A circa 200-300 km le rocce ritornano completamente allo stato quasi solido e tali rimangono per tutto il mantello fino alla discontinuità di Gutenberg. Testimonianza della presenza di rocce solide, in questa che viene chiamata astenosfera intermedia, è il leggero aumento di velocità delle onde sismiche. Al di sotto dell’astenosfera intermedia vi è quella profonda, che ha inizio a circa 700 km, con caratteristiche simili alla precedente, ma con una maggiore velocità delle onde sismiche. A 700 km circa di profondità ha inizio il mantello inferiore o mesosfera: il passaggio è segnato da un nuovo aumento di velocità delle onde sismiche che testimonierebbe una solidificazione delle rocce costitutive. In sintesi, in funzione della profondità, quindi della temperatura e della pressione, lo stato fisico delle rocce cambia notevolmente: si passa da una Terra solida a comportamento fragile ad una Terra plastica a comportamento duttile: litosferaastenosfera. In particolare, la T e la P aumentano con la profondità, e questo aumento è detto rispettivamente gradiente geotermico e geobarico. La temperatura aumenta di 1°C ogni 30 m di profondità, la pressione aumenta di 1 bar ogni 33 m. In alcune aree del pianeta il gradiente geotermico ha delle anomalie, ossia si ha un flusso termico elevatissimo (punti caldi o hot-spot, punti guida per comprendere la dinamica della Terra). Un’ipotesi è che il punto caldo sia un flusso termico generato da una protuberanza del nucleo, fonte principale di calore, la quale si insinua nel mantello, dove genera fenomeni legati alla dinamica della litosfera. Tali punti rimangono sempre nella stessa posizione. Chimica e proprietà fisiche: le informazioni sullo stato chimico vengono, ad esempio, dall’analisi del materiale eruttato dai vulcani o dall’analisi di meteoriti, la cui composizione è presa come riferimento per la composizione del mantello; si possono dedurre dei risultati anche dai fenomeni orogenetici, ad esempio analizzando le rocce affiorate in superficie grazie ai movimenti della tettonica delle placche. Crosta: la crosta è silicatica, essendo costituita prevalentemente da silicati alcalino-terrosi. In ordine decrescente di abbondanza è costituita dai seguenti elementi: O (46.6%), Si (27.7%), basse concentrazioni di Al (che entra nello scheletro di tutti i silicati perché sostituisce il Si nelle lacune tetraedriche, lasciando però non neutralizzata una carica negativa, bilanciata da un altro catione, come Fe, Ca, Na, K, Mg, Ti, H, P, Mn); tutti questi elementi sono espressi in % in peso.Altri elementi presenti in tracce, come lo Zn, sono espressi in ppm. densità= 2,8-3,3 g/cm3; T= 1.400-1.600°C. La disponibilità di un elemento nella crosta non dipende dalla sua abbondanza assoluta, ma è dovuta alla capacità che esso ha di formare minerali propri e al fatto che questi minerali siano convenientemente concentrati. Esempi: (1) il rame è meno abbondante dello zinco; (2) fra i minerali propri poco concentrati si ha lo zircone, fatto da zirconio; (3) fra gli elementi dispersi si ha il gallio, nei silicati di alluminio; (4) oro e platino sono reperibili perché si concentrano nei placet, lo stesso lo zinco e il rame (rispettivamente nella galena e nella cuprite). CLARKE DI UN ELEMENTO = percentuale media di quell’elemento nella crosta terrestre; è un termine di riferimento per giudicare la disponibilità, l’arricchimento dell’elemento in una roccia piuttosto che in un’altra. Ad esempio il clarke dell’Al è uguale a 8,13, quello del Fe è uguale a 5 (valori medi, % di tali elementi in tutta la crosta). CLARKE DI CONCENTRAZIONE = % di un elemento in un minerale/ % dell’elemento nella concentrazione(Pbs) litosfera. uguale Esempio: a il 86,6%; Pb nella clarke di Galena ha una concentrazione= Pb(Galena)/Pb(crosta)= 86.6%/0.0013%= 66.076 (clarke molto alto. Mantello: Fe+Mg+Si+O=90% (silicati più pesanti, di ferro e magnesio).La roccia che sembra meglio soddisfare alle caratteristiche del mantello superiore sembra essere la peridotite, una roccia ultrabasica, formata quasi esclusivamente da olivina e pirosseni (entrambi silicati di ferro e magnesio). Il resto del mantello sembra ugualmente composto, con ogni probabilità, dagli stessi elementi, in netta prevalenza Si, O, Fe e Mg, anche se organizzati in reticoli cristallini diversi, via via più adatti, con la profondità, a resistere alle temperature e alle pressioni crescenti. Densità media= 4,5 g/cm3; T= fino a 3000°C. Pressione= da 9 a circa 1.400 kbar. Nucleo: Fe= 80%, Ni=4%, Cr+Mn+Co+Si= 15-25% (elementi altofondenti); densità= 11 g/cm3; T= 6.000°C. Pressione= da 1.400 a 3.600 kbar. INTERA TERRA: Fe= 34,6%, O= 29,5%, Si 15,2%, Mg= 12,7%, Ni= 2,4%, S= 1,9 %, silicati di Ca e Al= % inferiori. In generale, l’elemento più abbondante è l’ossigeno, poi viene il silicio. Suddivisione degli elementi chimici: (a) Goldsmith-Mason: in base a tale classificazione gli elementi chimici possono essere suddivisi in 4 famiglie, in base alla loro affinità nella formazione di diversi composti: 1) Liofili: elementi che costituiscono lo scheletro dei silicati, fra cui Si, O, Al, Fe, Mg, Ca, ossia tutti i metalli fino agli elementi del V gruppo della tavola periodica. 2) Atmofili: arricchiti nell’atmosfera, ossia gli elementi leggeri o gas rari. 3) Calcofili: affinità per lo zolfo (Cu, Zn, Mg, Ti, Pb, As, Ag, Hg, etc.). 4) Siderofili: concentrati nel nucleo, quindi costituenti delle leghe ferro-nichel (Fe, Co, Ni, Pt, Re, etc.). (b) Taylor: classificazione in base al comportamento geochimica: (1) FME: elementi ferromagnesiaci, pesanti ed altofondenti. Ferro e magnesio sono i più abbondanti; altri elementi, fra cui Ni, Co, Cr, Sc, sono presenti in tracce. Gli FME sono abbondanti nei primi prodotti di solidificazione, come nel magma o il nucleo dei pianeti; sono compatibili con la fase solida, ossia presentano affinità per la fase solida. (2) LILE= Large Ion Lithophile Elements: metalli alcalino-terrosi, fra cui K, Rb, Cs, Th, U, Ba, Sr, Na. Hanno raggio ionico > di 1 A, per cui hanno bisogno di lacune cristalline grandi per entrare nel reticolato. Sono incompatibili con la fase solida, per cui rimangono nella fase liquida. I liquidi residuali sono pertanto arricchiti in LILE, i quali non entrano nei primi solidi che si formano. (3) HFSE= High Field Strength Elements: hanno alto rapporto carica/raggio; comprendono ad esempio Ti, Zr, P, etc, elementi ad alta forza di campo, incompatibili con la fase solida. A differenza dei LILE sono meno mobili nelle soluzioni acquose, per cui nell’acqua vi sono molti LILE, ma difficilmente si trovano HFSE. (4) REE= Rare Earth Elements: terre rare comprendenti 15 elementi, dal La al Lu, con la stessa valenza (+3) ma raggio ionico variabile, il quale diminuisce dal La (terre rare leggere, che si avvicinano al comportamento dei LILE) al Lu (terre rare pesanti, il cui grado di incompatibilità è diminuito). Nel nucleo si ha ricchezza di FME, nella crosta di silicati di LILE (specie di sodio e potassio, o feldspati). METEORITI Classificazione basata sui minerali che li costituiscono e sulle loro proporzioni: (1) Aeroliti: dette anche stones, poiché somigliano alle pietre. Rappresentano il 95%. Sono costituiti fondamentalmente da olivina (silicati di Fe e Mg) e bronzite. Sono divisi in Condriti e Acondriti, a seconda che possiedano o meno un nucleo interno detto condrulo. Le condriti , a loro volta, sono divise in Carbonacee, che oltre ai silicati presentano i composti del carbonio, e Non-Carbonacee, costituite anche da composti Fe-Ni. Le acondriti comprendono plagioclasio. (2) Sideroliti (1%): pietre di ferro, in quanto contengono soprattutto Fe (olivina, Fe-Ni, ortopirosseno); comprendono 2 famiglie. (3) Sideriti (4%): composti da Fe e Ni; non contengono silicati; suddivisi in 3 famiglie. Le aeroliti assomigliano di più al nostro mantello, le sideriti di più al nucleo, le sideroliti hanno una struttura intermedia. Dai sideriti agli aeroliti man mano aumenta la complessità dei composti: dalle leghe Fe-Ni a silicati sempre più complessi (dall’olivina al plagioclasio, che si ritrova negli acondriti; esso ha la struttura dei tettosilicati, ossia silicati che formano strutture spaziali SiO 4, i cui vertici, cioè, sono condivisi con altri tetraedri). TETTONICA DELLE PLACCHE Crosta oceanica: ha complessivamente composizione basaltica. In essa si distinguono i seguenti strati: Strato 1 (5-6 km di profondità): sedimenti pelagici di natura silicea derivanti da organismi a guscio siliceo, perché il silicio a questa profondità è più stabile del CaCO3. Strato 2 (6-8 km di profondità): lave basaltiche a cuscini, la cui origine è dovuta al tasso eruttivo basso e alla pressione idrostatica che, a questa profondità, non fa vaporizzare l’acqua del magma, che quindi non esplode. Si ha quindi attività effusiva, in quanto l’acqua non va in fase gassosa, in quanto si arriva subito al punto triplo e non si ha passaggio di stato. Strato 3 (8-14 km di profondità): complesso a dicchi gabbrici, o condotti vulcanici. Un dicco è un corpo di magma che ha uno sviluppo verticale e un raggio molto piccolo, ossia è una frattura di spessore limitato riempito di magma. Il dicco è detto anche filone. Il gabbro è il corrispondente intrusivo del basalto (derivante da magma basico). Moho Mantello superiore: composizione peridotitica. Lla peridotite è una roccia ultrabasica con fasi minerali di alta T e P. La peridotite stabile è quella a plagioclasio, ed è costituita da olivina+pirosseni+plagioclasio. Crosta continentale: la crosta continentale è formata da silicati di sodio e potassio (feldspati), ha quindi composizione granitica. In essa si distinguono i seguenti strati: Pellicola superficiale: rocce di diversa natura, in genere rocce sedimentarie di copertura.. Crosta superficiale (0-40 km di profondità): a composizione granitoide (a granodiorite) 20km di profondità: zona di fusione 40 km di profondità: discontinuità di Conrad (discontinuità di secondo ordine, che separa la crosta superiore da quella inferiore). Crosta inferiore (40-50 km di profondità):composizione anfibolitica o granulitica. La crosta inferiore è formata, quindi, da rocce più basiche. Le anfiboliti e le granulati sono due tipi di rocce metamorfiche di alta T e P. 50 km di profondità (variabile fra 30/60/70 km): Moho Mantello superiore: roccia peridotitica, ad alta P e T, a spinello (olivina+pirosseni+spinello) o a granato (olivina+pirosseni+granato), in base alla P ma anche alla composizione del mantello in quel punto. La presenza di plagioclasio indica, quindi, una pressione bassa (negli oceani, infatti, si trova a minori profondità), lo spinello indica alti valori di pressione, il granato valori altissimi. Plagioclasio, spinello e granato sono quindi fasi diverse che si trovano a diversi valori di P. Le differenze di spessore della crosta si riflettono in diverse caratteristiche fisiche, fra cui la densità: la crosta oceanica, anche 6-7 volte meno spessa di quella continentale, è più densa di quella continentale, e questo da origine ai diversi tipi di margini fra le zolle litosferiche. Vi è anche differenza di densità fra crosta continentale giovane e quella vecchia. Teoria dei moti convettivi del mantello: il nucleo terrestre genera calore per la presenza di elementi radioattivi, gli isotopi instabili che decadendo liberano raggi gamma e calore. Il flusso di calore si sposta dalle regioni più calde a quelle più fredde: il corpo caldo, quindi, si raffredda e ritorna giù, generando i moti convettivi, che rappresentano il motore dei movimenti della litosfera. Teoria della deriva dei continenti di Wegener (1912): Wegener parte dall’osservazione che il contorno dell’Africa combaciava con quello esterno dell’America latina, separate dall’Oceano Atlantico; vi era quindi una netta sovrapposizione fra Africa occidentale e America del sud orientale. Inoltre le rocce affioranti lungo il bordo della costa africana avevano la stessa età e la stessa natura di quelle che affiancavano le coste americane. Egli rilevò anche lo stesso tipo di fossili nei due continenti.Contro la teoria di Wegener vi erano varie osservazioni, fra cui la constatazione che per altre parti del globo terrestre non esistevano dati simili che confermassero l’ipotesi Pangea/Panthalassa. Questa teoria raggiunse il massimo sviluppo qualche decennio fa, in seguito agli studi oceanografici, in base ai quali si vide che tutti gli oceani erano più giovani delle rocce delle zone emerse (le rocce più vecchie risalgono a circa 4 miliardi e 700 milioni di ani fa e sono state rilevate in Australia); le rocce oceaniche non sono più vecchie di 135 milioni di anni. Si è anche osservato che l’età delle rocce diminuisce man mano che ci si avvicina alla parte centrale dell’oceano, che nell’oceano Atlantico è occupato dalla dorsale oceanica. Nel 1963 sono state individuate delle fasce simmetriche di polarità magnetica ai lati della dorsale. Tute le rocce contengono ferro; quando cristallizzano, i minerali di ferro si orientano in base al campo magnetico presente al momento della formazione. La roccia si smagnetizza al punto di Curie. La simmetria delle fasce magnetiche fece pensare che a partire dalla dorsale si formano rocce sempre più giovani a polarità simmetrica. A partire dalla dorsale si ha un continuo accrescimento del fondo oceanico; per contro, si ha, in un’altra regione del globo, un sistema di fosse profonde lungo le quali si ha la subduzione della crosta terrestre. La dorsale medio-atlantica separa il continente americano da quello euro-asiatico e africano. Anche nel Pacifico orientale è stata individuata una frattura. Lungo i bordi del Pacifico, a contatto con la crosta continentale, vi sono grosse fosse, accompagnate, sulle terre emerse, da una lunga fascia di intensa attività sismica e vulcanica, la cosiddetta “cintura del fuoco” dell’Oceano Pacifico, comprendente la zona di Sumatra, l’Indonesia, le Antille, il Giappone, le isole Curive, l’Alaska, l’America, la catena delle Ande dell’America latina, l’Antartide. Modello della tettonica delle placche: le placche si muovono sull’astenosfera plastica. Si individuano 3 tipi di margini lungo i quali le placche si muovono: 1. Margini divergenti: sono presenti nelle aree delle dorsali oceaniche, dove si forma nuova crosta. A risalire è il mantello superficiale. Ad essi è associata una sismicità superficiale, con ipocentri massimo a 10 km di profondità, legata allo stretching della litosfera. Il vulcanismo di dorsale è basaltico è poco esplosivo. L’Oceano Atlantico è in continua crescita, ed è quindi giovane. 2. Margini convergenti: si hanno lungo il sistema delle fosse oceaniche. Quando una placca meno densa si scontra con una più densa, quest’ultima subduce: man mano che la placca sprofonda sotto quella meno densa passa a T più alte, originando fusi magmatici, che generano il vulcanismo, che è esplosivo; lo sforzo generato dalla placca che subduce, innesca nella litosfera tensioni che generano terremoti con ipocentri fino a 750 km di profondità, raggiunta dal piano di Benioff (sismicità profonda). L’inclinazione del piano di Benioff dipende dalla diversa densità delle croste: maggiore è la differenza maggiore è l’inclinazione; essa dipende, in minima parte, anche dalla velocità di collisione. Quando due placche, invece, hanno la stessa densità, si ha l’orogenesi, grazie alla quale emergono rocce poste originariamente a maggiore profondità. Prima della collisione, fra le due placche vi era crosta oceanica, per cui nella catena montuosa che si originerà si avranno testimonianze di tale crosta (rocce basaltiche alterate, metamorfosate, come le ofioliti o rocce verdi). L’Oceano Pacifico, più vecchio di quello Atlantico, è in continuo decremento, per cui la distanza fra Europa e Stati Uniti aumenterà sempre di più. 3. Margini trasformi o trascorrenti: si hanno in corrispondenza di due placche che scorrono l’una rispetto all’altra parallelamente. Ad essi è associata una sismicità superficiale, mentre il vulcanismo è assente. Hot spot: a parte il vulcanismo legato alla tettonica delle placche, esiste il vulcanismo di hot-spot, in cui il magma deriva dal mantello inferiore, dall’astenosfera. Esso non è generato dai movimenti litosferici, ma è indotto dalla dinamica profonda: plume termiche, meno dense, si inarcano dal confine nucleo/mantello e si propagano verso al superficie. Mentre il vulcanismo di dorsale e quello presente lungo i margini convergenti si ritrova ai limiti fra le placche, quello di hot-spot si trova all’interno delle placche. Ad esempio le Hawai si trovano al centro della Placca Pacifica. La plume termica rimane fissa: Vulcani attivi Vulcani estinti via via più vecchi Hot spot (fisso): man mano che la placca si muove, al suo interno si generano altri coni vulcanici, più giovani in prossimità dell’hot-spot, sempre più vecchi man mano che ci si allontana da tale punto. Il vulcano più vecchio delle Hawai, catena sottomarina Emperor, è datato 75 milioni di anni fa e si trova ad Ovest: procedendo verso Est si trovano vulcani più giovani, per cui si deduce che la placca si è spostata verso Ovest. I vulcani, in numero di 7, non sono allineati in una retta, e tale pendenza è generata da una variazione di velocità delle placche. Doglioni ha proposto una nuova teoria che tiene conto degli hot-spot: egli afferma che tutte le placche si muovono verso ovest, quindi tutta la litosfera si muove verso ovest; nella deriva verso ovest vi sono placche che si muovono con più velocità, altre si muovono più lentamente. Tutto è influenzato dalla rotazione terrestre. La subduzione in senso contrario alla direzione del movimento delle placche genera piani di Benioff più inclinati, mentre se la subduzione avviene nella stessa direzione il piano di Benioff è meno inclinato. Doglioni spiega l’origine dei margini come lo scontro fra due placche. VULCANISMO La disposizione dei vulcani non è casuale: i vulcani sono localizzati lungo i margini delle regioni convergenti e divergenti, per cui hanno un significato geodinamico, analogamente ai terremoti. Nella zona prossima alla subduzione, vi è in genere un arco vulcanico; lungo le dorsali si trovano vulcani isolati. In prossimità di un vulcano il mantello fonde, per cui, per differenza di densità, in quanto più leggero, sale in superficie. I meccanismi di fusione del magma sono 3: 1) diminuzione di pressione, 2) aumento della temperatura, 3) spostamento verso sinistra della curva del solidus. Il mantello ha una paragenesi mineralogica caratterizzata da minerali ad alta P, altofondenti (peridotiti a composizione basica). Il campo di stabilità della peridotite, stabile in condizioni solide, dipende dai parametri di stato T e P: in funzione della P cambia la paragenesi mineralogica, in quanto a P basse, fino a 100 km di profondità circa, si h la peridotite a spinello, che si trasforma in granato a profondità maggiori; a qualsiasi profondità la geotermica (curva tratteggiata nel grafico) non interseca mai la curva del solidus, in quanto qualsiasi aumento della T non porta mai alla fusione della peridotite: Profondità 0 Curva del liquidus 100 spinello granato Campo del liquidus Geotermica Campo del solidus Curva del solidus T In alcuni punti della Terra (hot-spot) gli aumenti di T sono maggiori del normale gradiente geotermico, per cui l’aumento della T è tale che la geotermica interseca la curva del solidus, il che si verifica più o meno a 100 km di profondità, perché le due curve sono più vicine, per cui tale regione è detta zona di partenza dei magmi. La curva del solidus può spostarsi verso sinistra, ossia la peridotite fonde a T e P inferiori di quele che le sono proprie, a causa, ad esempio, dell’aggiunta di acqua, che abbassa il punto di fusione della peridotite, come si è visto sperimentalmente. L’acqua è portata nel mantello dai sedimenti oceanici formatesi sulla crosta oceanica che va in subduzione, i quali si disidratano e l’acqua passa alla peridotite del mantello. Questo fenomeno spiega l’origine del vulcanismo associato ai margini convergenti. La diminuzione brusca della P causa una contrazione improvvisa dei campi di stabilità e quindi la decompressione causa la fusione del mantello: questo spiega l’origine del vulcanismo associato ai margini divergenti, in corrispondenza dei quali si ha diminuzione del carico litostatico, ossia dello spessore della litosfera. Quindi, in sintesi, si distinguono: 1. Vulcanismo di hot-spot, legato all’aumento della temperatura, indipendente dalla dinamica della litosfera; 2. Vulcanismo di arco, associato alla diminuzione del punto di fusione della peridotite a causa dell’idratazione da parte dei sedimenti in subduzione; 3. Vulcanismo di dorsale, associato alla diminuzione della pressione, dovuta alla riduzione dello spessore della litosfera. Nel vulcanismo di dorsale il percorso del magma è breve, perché non deve attraversare litosfera, per cui non subisce modifiche composizionali (si hanno magmi basici) e non si formano camere magmatiche. Tutto il magma prodotto sale in superficie ed è poco cristallizzato, abbastanza caldo; esso si raffredda in superficie formando rocce magmatiche effusive, ad esempio le rioliti. Sotto le dorsali, quindi, non si formano plutoni. I plateux basaltici, ad esempio quello del Deccan, indicano un margine divergente. Nel vulcanismo di arco il magma deve attraversare la crosta continentale, subendo variazioni di composizione fino a formare magmi molto viscosi, ricchi in gas, in cui la quantità di magmi basici primitivi è molto bassa, per cui si ha vulcanismo esplosivo. La viscosità aumenta perché man mano che sale il magma si raffredda e cristallizza. Lungo i margini convergenti il magma diventa sempre più povero degli elementi altofondenti e più ricco di elementi bassofondenti (sodio, potassio e gas), per cui si tratta di magma più evoluto, acido, ricco in alcali e gas. Non tutto il magma però sale in superficie lungo i margini convergenti, ma una parte rimane nella crosta a formare le rocce plutoniche (batoliti granitici, una particolare morfologia di massicci plutonici); questo è dovuto al fatto che la viscosità del magma aumenta talmente che non riesce a muoversi e la densità è maggiore delle rocce sovrastanti. In sintesi, più il magma deve fare un percorso lungo, vincendo le resistenze della crosta, accumulando P, più spende energia e si raffredda, più varia la sua composizione (magmi sempre più acidi). Nel vulcanismo di hot-spot il calore deriva da processi di decadimento radioattivo, con accumulo dell’energia termica nella porzione centrale, interna, delle placche, dove, nel tempo geologico genera le aree di anomalie termiche; ai margini delle placche è alta la convezione, mentre al centro si accumula perché non è speso per i moti convetti9vi, legati a scambi termici. Secondo un’altra teoria, l’origine degli hotspot è quella delle protuberanze del nucleo nel mantello. Come fa il magma ad arrivare in superficie?Perché c’è un’attività effusiva (es. Etna) ed una intrusiva (es. Vesuvio)? Tutto è legato alla viscosità e ai gas (il gas più abbondante è l’acqua, poi vengono l’anidride carbonica, i gas dello zolfo, gli acidi degli alogeni). Si parte da un liquido fluido, poco viscoso, sotto posto ad alta pressione; quando un sistema è sotto pressione i gas sono disciolti nel liquido (come ad esempio i gas disciolti nella cocacola quando questa è ancora tappata). Man mano che la pressione diminuisce (nell’esempio quando si apre il tappo) il gas va in saturazione e in tale decompressione i gas enucleano bolle, per cui si passa da un sistema monobasico a un sistema bifasico. La velocità del passaggio da liquido a bolla è proporzionale alla velocità della decompressione: se tale velocità è alta, il gas porta con se anche parte del liquido; se la velocità è bassa, nei fluidi poco viscosi il gas passa nelle bolle, con conseguente aumento delle dimensioni delle bolle, che essendo meno dense si spostano nella parte alta del liquido formando uno spumone. Quando la tensione di superficie della bolla è aumentata di molto, essa scoppia liberando il gas (origine dei fumi dei vulcani). Se il liquido è viscoso, invece, la dimensione delle bolle non aumenta, per cui il gas è ostacolato nel suo ingresso nelle bolle: si hanno di conseguenza tante bolle piccole che non riescono ad enuclearsi. Il sistema diventa così viscoso che non c’è più possibilità di passaggio del gas nelle bolle, che non riescono a separarsi dal liquido in modo tranquillo; una volta raggiunta la pressione necessaria per la rottura vanno verso l’alto trascinando così i gas e i brandelli di magma rimasti intrappolati fra le bolle. Si ha pertanto attività esplosiva, tanto più violenta quanto maggiore è la viscosità e la quantità di gas (al cui aumento aumenta la pressione di saturazione). Quanto maggiore è la profondità di vescicolazione, tanto più in alto, in atmosfera, arriveranno il magma e il gas. Tipi di eruzioni: Islandico: fuoriuscita di lave molto fluide da profonde fratture della litosfera senza la formazione di un cono vulcanico vero e proprio. Hawaiane: eruzione esplosiva, di bassa energia, in cui sono coinvolti magmi poco viscosi e poco ricchi in gas, che vescicolano in prossimità della superficie; l’altezza dell’esplosione è dell’ordine delle centinaia di metri. Si hanno abbondanti effusioni di lava (la colata è detta sheet= lenzuolo o espandimento piatto), che tende a scorrere in torrenti prima di solidificarsi, formando edifici vulcanici conici a base molto larga, detti vulcani a scudo (spatter-cone). Queste eruzioni, quindi, possono originarsi o da una sorgente puntiforme o lungo una frattura, cioè una spaccatura lineare della litosfera. La frammentazione del magma avvien in superficie. Vulcaniano: lava piuttosto viscosa che tende a formare una sorta di tappo che viene rimosso soltanto quando la pressione dei gas sottostanti causa una violenta esplosione. Stromboliane: magma un po’ più viscoso e più ricco in gas che frammenta e vescicola a profondità maggiori, per cui è espulso ad altezza maggiore. Stromboli è l’isola più settentrionale dell’arcipelago delle Eolie, comprendente 7 isole vulcaniche. Negli ultimi 2000 anni è in continua attività. L’attività si manifesta mediante lanci intermittenti, ogni 15-20 minuti, di brandelli di magma e gas dai 3 crateri sommitali (di cui ultimamente vi è stata una coalescenza), lanciati a decine e centinaia di metri di altezza. Il magma si raffredda già in atmosfera, in quanto compie un percorso più lungo. Esso, come già detto, è abbastanza fluido, poco ricco in gas, con livello di frammentazione più profonda rispetto ai vulcani hawaiani. Il cratere (spatter rampart, o coni di ceneri) è conico con strati sovrapposti (accumulo di livelli piano-paralleli), che si depositano con le varie eruzioni, per cui si accresce con il tempo (ogni piano equivale ad un’eruzione). I frammenti sono dati dall’accumulo delle scorie (depositi sciolti): man mano che ci si allontana dal centro di emissione, cadono i frammenti meno grossolani, per cui si viene a stabilire una gradazione granulometrica, con i frammenti più grandi prossimali, quelli più fini distali. Il deposito di caduta, mantella la morfologia e la topografia preesistenti, per cui rispetta tali caratteristiche geomorfologiche, interessando il basso e l’alto morfologico. Il deposito di flusso si accumula nelle valli (basso morfologico) originando i plateux ignimbritici (peneplanizzare). Pliniane: magmi molto viscosi ad elevato contenuto di gas, che vescicolano e frammentano ad altissime profondità, per cui il materiale espulso supera il limite della troposfera. Un tipico esempio di eruzione pliniana è quella del Monte S. Elens, verificatesi nel 1980. Il tappo di magma che bloccava l’eruzione è stato rimosso da una frana che ha aumentato l’esplosività dell’eruzione perché tutta l’energia del magma accumulata è stata usata nell’eruzione. La nube dell’esplosione è arrivata fino a 25 km di altezza. Le ceneri hanno fatto il giro del mondo. In questo tipo di esplosioni, il pulviscolo impedisce ai raggi solari di penetrare, per cui si crea il buio. Molto spesso dopo l’esplosione piove, perché lo shock termico ed acustico che subisce l’atmosfera, innesca una serie di processi che portano alla generazione di venti di bassa quota velocissimi a livello del punto di fuoriuscita (in sintesi l’esplosione sposta delle masse d’aria). Man mano che la nube (i cui tempi di formazione sono dell’ordine di qualche minuto) si addentra nell’atmosfera si allarga, perché “ingloba” aria per convezione, si diluisce (diminuisce la densità) e diventa così più chiara. Quando la nube non è più sostenuta dai gas collassa su se stessa, originando flussi di gas e di materiali vulcanici con velocità di 200-300 m/s, detti nubi-ardenti (che hanno distrutto Pompei ed Ercolano). Dopo l’eruzione vulcanica l’edificio viene troncato (così come è successo per il Monte S. Elens), con asportazione della parte sommatale (che rappresentano volumi e volumi di materiale).Anche il Vesuvio (che ha eruttato nel 1979) presenta un’eruzione simile a quella del Monte S. Elens, quindi fortemente esplosiva. Il versante più a rischio del Vesuvio è quello meridionale verso cui si dirigono i flussi, mentre il versante nord è protetto da bastioni. Peleano: lava molto viscosa che tende ad ostruire il condotto; l’elevata pressione dei gas fa si che questi si aprano una via di uscita verso l’esterno attraverso spaccature nell’apparato vulcanico. In generale tutto è legato alla pressione. Rispetto ai terremoti, in cui l’energia è tutta meccanica, nell’eruzione si ha sia energia meccanica sia termica. Inoltre i terremoti sono eventi istantanei, le eruzioni sono più lente. ROCCE IGNEE abbastanza da emergere dalla superficie dell’acqua: si forma così un’isola vulcanica. Le montagne sottomarine a sommità spianata (guyot) sono antiche isole vulcaniche che, per via dello sprofondamento della crosta, sono successivamente sommerse. La classificazione dei vulcani può basarsi su diversi parametri; se prendiamo in considerazione la forma del condotto vulcanico avremo: Vulcano a condotto centrale, alimentati da un camino vulcanico semplice, isolato, subcilindrico, dotato eventualmente di ramificazioni che possono formare crateri avventizi. Vulcani lineari, caratterizzati da un’attività eruttiva che si manifesta attraverso una fessura o una serie di condotti vulcanici allineati lungo una frattura (le dorsali oceaniche). Vulcani areali, in cui l’effusione di lava avviene in corrispondenza dell’affioramento su un’area piuttosto estesa di una massa magmatica profonda per fusione, erosione o crollo della volta della cavità che la contiene. Gli edifici vulcanici possono essere parzialmente distrutti da esplosioni o sprofondare più o meno completamente nella camera magmatica sottostante per crollo della volta di quest’ultima. La depressione conseguente al collasso viene detta caldera. Successivamente può verificarsi una ripresa dell’attività vulcanica, per cui si forma, all’interno della caldera, un nuovo edificio vulcanico, che viene detto vulcano a recinto. è simile a quello con cui lo spumante fuoriesce dalla bottiglia quando si toglie il tappo). Ogni eruzione è caratterizzata da fuoriuscita di lava (effusione), di materiale solido (eiezione) e gassoso (esplosione) da aperture della crosta terrestre. analoga a quella che riceve qualsiasi corpo solido immerso in un fluido. Tale spinta, detta spinta di Archimede, è causata dal fatto che l’astenosfera si trova allo stato semifluido. La crosta continentale è più spessa e leggera di quella oceanica; se il suo spessore diminuisce, entrano in azione le spinte verso l’alto che ripristinano un nuovo equilibrio idrostatico. con il conseguente di stanziamento dei continenti attuali. Wegener ipotizzò che le masse continentali si comportassero come enormi icebergs capaci di spostarsi sul sottostante mantello. In conseguenza della precessione dell’asse terrestre esse avrebbero cominciato a muoversi verso ovest con diversa velocità, l’Antartide e l’Australia si sarebbero spostate verso sud e alcune masse verso l’Equatore sotto l’azione della forza centrifuga. Sempre secondo Wegener, in relazione ai due tipi di movimenti previsto, si sarebbero generati due tipi di catene montuose: quelle costiere e quelle geosinclinaliche. Le prime, cioè quelle che sorgono al limite fra un continente e un Oceano, come le Montagne Rocciose e le Ande, si sarebbero formate in conseguenza della resistenza opposta dal magma viscoso al movimento delle masse continentali determinando sul loro bordo una compressione e un ripiegamento che avrebbero dato origine alla catena montuosa. L’altro tipo di catena montuosa, come la catena himalayana, deriverebbe invece da un fenomeno di compressione, originatesi dalla compressione della penisola indiana che nel suo movimento verso nord-est sarebbe giunta a collisione con l’Asia. La teoria di Wegener, all’epoca della sua formulazione, riscosse pochissimo credito; gli scienziati dell’epoca dimostrarono che il meccanismo d’azione ipotizzato per il movimento delle masse continentali era inadeguato: le forze necessarie per spostare interi continenti erano ben più grandi di quelle messe in gioco dall’ipotesi dello scienziato tedesco. A partire dagli anni ’50, svariate ricerche sul magnetismo delle rocce e sui fondali oceanici, ridettero credito all’idea fondamentale di Wegener. Si arrivò così a formulare una nuova teoria che modificava sostanzialmente il meccanismo di movimento delle masse rocciose proposto inizialmente: la teoria della tettonica a zolle. espandendosi lateralmente e raffreddandosi, costituisce progressivamente nuova litosfera; contemporaneamente, visto che la superficie della Terra non può aumentare, una parte della litosfera dovrà distruggersi; ciò si verifica nella zona di contatto fra due placche, una delle quali, sprofondando al di sotto dell’altra, torna a sprofondare nuovamente nel mantello, con formazione delle fosse oceaniche un numero più grande di microplacche: Cina, Persia, Turchia, Tonga, Egea, Adriatica, Nuove Ebridi, Scozia, Juan de Fuca, Rivera. Le placche si spostano reciprocamente, “galleggiando” sull’astenosfera; ciascuna di esse può essere costituita sia da sola litosfera oceanica sia da litosfera oceanica e/o litosfera continentale; spostandosi sull’astenosfera, nel loro lento movimento, le placche hanno portato i continenti in posizioni reciprocamente diverse rispetto a quelle che occupano attualmente. Le placche sono separate fra loro da fasce chiamate margini caratterizzate da un’intensa attività geologica: vulcanismo, sismicità, deformazione. Vi sono tre tipi di margini: margini di accrescimento o divergenti (separazione delle placche da parte di una dorsale), margini trasformi o conservativi (separazione delle placche mediante una faglia trasforme), margini di consunzione o convergenti (separazione delle placche tramite una zona di subduzione). Il meccanismo di movimento delle placche, è oggi ricostruito attraverso nuovi modelli interpretativi. Esso sarebbe causato dalla concomitanza di diversi fenomeni: la spinta data dal peso dei materiali che fuoriescono dalle dorsali; la forza di trascinamento operata dalla subduzione della litosfera fredda e pesante all’interno del mantello; il circuito delle celle convettive dell’astenosfera.