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CAPITOLO XI
L’AMMINISTRATORE
Vincenzo Nasini
SOMMARIO: 1. La natura del rapporto tra amministratore e condominio. – 2. L’obbligatorietà della nomina. – 3. I requisiti per la nomina. – 4. L’amministrazione congiunta. La nomina di una società. –
5. Il sostituto dell’amministratore. – 6. La nomina: competenza esclusiva dell’assemblea. – 7. Questioni particolari in tema di nomina: la nomina facoltativa; l’amministratore del piccolo condominio
o condominio minimo. – 8. L’amministratore di fatto. – 9. L’accettazione della nomina. – 10. Il rinnovo dell’incarico e la conferma. – 11. I vizi della delibera di nomina. – 12. La nomina da parte dell’autorità giudiziaria. – 13. Il compenso dell’amministratore nominato dall’assemblea … – 14. … e
dell’amministratore nominato dall’autorità giudiziaria. – 15. La cessazione dall’incarico; le dimissioni; la prorogatio. – 16. La conferma dell’amministratore uscente ed il problema delle maggioranze. – 17. Le attribuzioni dell’amministratore. Premesse. – 18. La convocazione dell’assemblea,
la partecipazione alla stessa dell’amministratore e il suo ruolo in tale sede. – 19. Gli obblighi dell’amministratore in materia di privacy. – 20. In particolare: la richiesta di dati contabili e di consegna del regolamento di condominio avanzata all’amministratore dal promissario acquirente. – 21.
L’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea. – 22. La cura dell’osservanza del regolamento di
condominio. – 23. La disciplina dell’uso delle cose comuni e della prestazione dei servizi
nell’interesse comune. – 24. La riscossione dei contributi per l’erogazione delle spese occorrenti
per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni. –
25. Il conto corrente condominiale. – 26. L’erogazione delle spese. – 27. Il rimborso delle spese
anticipate dall’amministratore. – 28. Il compimento degli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti
comuni. – 29. I contratti del condominio e i poteri di rappresentanza negoziale dell’amministratore.
– 30. La partecipazione a progetti, programmi e iniziative territoriali. – 31. L’obbligo di consentire ai
condomini l’esame dei documenti condominiali. L’accesso al conto corrente bancario o postale. –
32. La cura dell’anagrafe condominiale. – 33. L’obbligo di custodia e di restituzione dei documenti
condominiali. – 34. Il rendiconto. – 35. L’obbligo di informativa della lite. – 36. L’obbligo di esecuzione degli adempimenti fiscali. – 37. La polizza di assicurazione. – 38. La revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea. – 39. La revoca da parte dell’autorità giudiziaria: a) i fondati
sospetti di gravi irregolarità. – 40. b) la mancata presentazione del rendiconto. – 41. c) la mancata
informativa dei condomini ex art. 1131, co. 3°, c.c. – 42. d) le altre ipotesi. – 43. e) il procedimento.
– 44. La nomina da parte dell’assemblea di un amministratore revocato dall’autorità giudiziaria. –
45. Inerzia dell’amministratore ed iniziative dei singoli condomini. – 46. La responsabilità contrattuale dell’amministratore. – 47. Il ricorso contro i provvedimenti dell’amministratore.
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Vincenzo Nasini
1. LA NATURA DEL RAPPORTO TRA AMMINISTRATORE E CONDOMINIO
La giurisprudenza prevalente 1 e buona parte della dottrina 2, muovendo dal
presupposto che il condominio sia un mero ente di gestione privo di personalità
giuridica e di autonomia patrimoniale, sono da tempo pervenuti alla conclusione
che il rapporto intercorrente tra l’amministratore e i condomini sia riconducibile
al più generale istituto del mandato.
Per la precisione si tratterebbe di un mandato “collettivo” conferito da tutti i
condomini, anche da quelli che si sono opposti alla nomina da parte dell’assemblea, “con rappresentanza” perché l’amministratore ha il potere di agire nell’interesse comune sia contro i condomini sia contro i terzi, “volontario” perché
anche nel caso in cui la nomina sia obbligatoria per essere i partecipanti al condominio più di quattro e anche se il rapporto sia in parte disciplinato dalla legge, la
rappresentanza non è ex lege, ma viene conferita solamente per volontà del1
Cass., 17 aprile 1974, n. 1046, in Foro it., 1974, I, c. 2360; Cass., 24 marzo 1981, n. 1720, in Giur.
it., 1981, I, 1, c. 1574.
2
Cfr., tra gli altri: L. SALIS, Il condominio negli edifici, Utet, Torino, 1959, p. 307; D.R. PERETTI
GRIVA, Il condominio delle case divise in parti, Utet, Torino, 1959, p. 417; A. VISCO, Le case in condominio, Giuffrè, Milano, 1967, vol. I, p. 389 ss.; G. TERZAGO, Il condominio, Giuffrè, Milano, 2000, p. 335;
M. DOGLIOTTI-A. FIGONE, Il condominio, Utet, Torino, 2001, p. 377. In senso contrario cfr. E. BUCCIANTE, Il controllo dell’assemblea di condominio sulla gestione dell’amministratore, in AA.VV., I rapporti
tra assemblea ed amministratore del condominio, Giuffrè, Milano, 2005, p. 197, per il quale non si conciliano con tale teoria dati ineludibili come: a) la mancanza di un contratto che dovrebbe consistere nell’incontro tra le volontà manifestate dal mandatario e da tutti i mandanti sia pure collettivamente (artt.
1703 e 1726 c.c.): vengono considerati tali anche gli assenti e i dissenzienti, dato che per la nomina
dell’amministratore non occorre il consenso unanime e totalitario del condominio, bastando il raggiungimento di una maggioranza, sia pure qualificata (art. 1136 c.c.); b) l’oggetto dell’incarico, che
non si esaurisce nel compimento di «uno o più atti giuridici» (art. 1703 c.c.), poiché questi si inseriscono nel ben più vasto ambito di una complessiva «gestione» (art. 1130 c.c.), relativamente alla quale si pongono in un rapporto di accessorietà inverso rispetto a quello delineato, con riguardo al mandato, per gli atti strumentali (art. 1708 c.c.); c) l’obbligatorietà della «nomina» (se i componenti sono
almeno cinque) e la possibile sua provenienza, in mancanza, dall’autorità giudiziaria, la quale può anche disporre la revoca, «su iniziativa di ciascun condomino» e quindi in contrasto con la volontà degli
altri «mandanti», che avrebbero potuto provvedere autonomamente in tal senso, come è consentito
«in ogni tempo» (art. 1129 c.c.); d) l’oggetto dell’incarico, comportante l’esercizio di compiti stabiliti
inderogabilmente dalla legge, che l’assemblea e il regolamento non possono limitare, ma soltanto ampliare (artt. 1130, 1131, 1138 c.c.); e) l’incidenza dell’attività anche sugli stessi «mandanti», poiché
l’amministratore deve «disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse
comune, … riscuotere i contributi» (art. 1120 c.c.), può «agire in giudizio … contro i condomini»
(art. 1131 c.c.), adottare «provvedimenti» per costoro «obbligatori» (art. 1133 c.c.), concedere ai
singoli l’«autorizzazione» a fare spese per le cose comuni, senza la quale non compete alcun rimborso,
salvo il caso di urgenza (art. 1134 c.c.). In senso conforme cfr. R. AMAGLIANI, L’amministratore, in
Trattato dei diritti reali, diretto da A. Gambaro e U. Morello, vol. III, Condominio negli edifici e comunione, Giuffrè, Milano, 2012, p. 363.
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l’organo assembleare, e “presuntivamente oneroso” salva espressa determinazione contraria dell’assemblea o diversa previsione del regolamento di condominio.
D’altro canto molte norme del mandato, ad es. gli artt. 1703-1704, 17081711, 1719 e 1722 c.c. si attagliano perfettamente alle problematiche legate alla
figura dell’amministratore.
Del pari l’art. 1717 c.c. che disciplina la responsabilità del sostituto del mandatario si ritiene applicabile anche nel caso di sostituzione parziale dell’amministratore, così come le norme che prevedono la ratifica con efficacia retroattiva
dell’operato dell’amministratore che abbia agito senza poteri o in esecuzione di
una delibera nulla (art. 1399 c.c.) 3.
Anche l’amministratore giudiziario, quantunque il suo rapporto di mandato
sorga in forza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ha gli stessi obblighi
e poteri dell’amministratore nominato dall’assemblea e può essere dalla stessa
revocato.
A conferma dell’esattezza di tale orientamento è stato addotto, anche l’argomento della formulazione letterale sia dell’art. 1131, co. 1°, c.c. che attribuisce
all’amministratore «la rappresentanza dei partecipanti» che del disposto dell’art.
65 disp. att. c.c., che qualifica l’amministratore come «legale rappresentante del
condominio».
In coerenza con tale orientamento la S.C. aveva ritenuto che la nomina di un
nuovo amministratore, purché validamente e compiutamente effettuata, non richiedesse la previa formale revoca dell’amministratore in carica 4, atteso che,
dando questa luogo ad un rapporto di mandato, doveva ritenersi comportasse. la
revoca di quello precedente ai sensi dell’art. 1724 c.c. Stabilisce infatti questa
norma che la nomina di un nuovo mandatario per lo stesso affare o il compimento di questo da parte del mandante importano revoca del mandato e producono
effetto dal giorno in cui sono stati comunicati al mandatario.
A ciò va aggiunto che il co. 14° del nuovo testo dell’art. 1129 c.c. recita testualmente: «Per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le
disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III del libro IV», cioè proprio le disposizioni in tema di mandato.
Sono sempre state, invece, minoritarie la dottrina e giurisprudenza che, considerando il condominio una persona giuridica o comunque un ente munito di
una qualche soggettività, distinto e autonomo rispetto alle persone fisiche dei
condomini, sostengono che l’amministratore sia un organo di tale ente richia3
4
Cass., 3 maggio 1967, n. 849, in Giust. civ., 1967, I, p. 1857.
Cass., 9 giugno 1994, in Giust. civ., 1995, I, p. 675.
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mando il concetto mutuato dal diritto amministrativo di «organo necessario» 5.
Per superare l’anomalia costituita dal fatto che il rapporto giuridico si instaura
anche con i condomini che non hanno votato a favore della sua nomina o che,
addirittura, hanno votato contro e per giustificare altre peculiarità del rapporto
amministratore/condomini si è fatto ricorso anche alla figura dell’«ufficio di diritto privato» 6, peraltro assimilabile, pur con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione e al contenuto della gestione, al mandato con rappresentanza.
L’impossibilità di interferenza da parte dei pretesi rappresentati (i condomini
uti singuli) nella sfera di attività del soggetto agente per un interesse alieno
(l’amministratore), desumibile de plano dall’art. 1134 c.c. e dal carattere autonomo ed esclusivo delle attribuzione dell’amministratore ha portato a prospettare la
ricomprensione della fattispecie nell’ambito dell’istituto della rappresentanza legale, trattandosi di rappresentanza necessaria, in quanto essa prescinde dal potere di iniziativa degli interessati ed è caratterizzata dal fatto che il rappresentato
non può agire in concorrenza col rappresentante, non può ostacolare l’esercizio
della rappresentanza, non può paralizzarla 7.
In dottrina il tema è stato recentemente affrontato il tema in modo analitico 8,
evidenziandosi come l’impossibilità di interferenza da parte dei rappresentati
(condomini) nella sfera di attività dell’amministratore non giustifichi la conclusione secondo la quale la rappresentanza legale sarebbe da considerare come una
ipotesi di rappresentanza necessaria e che, appunto, rappresentanza necessaria si
abbia anche nel caso dell’amministratore di condominio e richiamandosi a conforto di tale opinione la tesi autorevolmente sostenuta 9 secondo la quale non sarebbe corretto da un punto di vista legislativo e anche teorico applicare lo strumento della rappresentanza legale a soggetti diversi dagli incapaci.
Dall’altro lato, però, si sottolinea come esistano nel rapporto in esame anomalie o peculiarità soprattutto in ordine al fatto che l’amministratore ha la rappresentanza processuale passiva del condominio con riferimento non solo alle materie rispetto alle quali è titolare della rappresentanza sostanziale (il che costituisce
comunque una deroga alla normale disciplina in tema di mandato), ma anche
con riferimento a materie del tutto estranee ai suoi poteri di gestione e si mette
5
Cass., 10 febbraio 1987, n. 1416, in Arch. loc., 1987, p. 302.
Cass., 16 agosto 2000, n. 10815, in Riv. giur. edilizia, 2001, I, p. 145; Cass., 12 febbraio 1997, n.
1286, in Vita not., 1997, p. 190.
7
R. AMAGLIANI, op. cit., p. 365 ss.
8
R. TRIOLA, Mandato e amministrazione di beni condominiali, in Il mandato. Disciplina e prassi, a cura di V. Cuffaro, Zanichelli, Bologna, 2011, p. 367.
9
A. FALZEA, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Giuffrè, Milano, 1939, p. 171.
6
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soprattutto l’accento sul fatto che l’esercizio di poteri nei confronti dei mandanti
o contro alcuni di essi è incompatibile con il contenuto del mandato, mentre nelle attribuzioni dell’amministratore rientra, oltre al compimento di attività per i
condomini verso l’esterno, anche l’adozione di iniziative nei loro confronti (disciplina dell’uso delle cose comuni e della prestazione dei servizi comuni, riscossione dei contributi, ecc.) e addirittura “contro di essi” (azioni giudiziarie).
Ciò sembra di ostacolo al completo inquadramento del rapporto tra condomini e amministratore nell’ambito del mandato e suggerisce la conclusione che
l’amministratore di condominio sia una “figura complessa”, in quanto rappresentante della totalità dei condomini nei rapporti con i terzi e, contemporaneamente
con riferimento alle liti tra i singoli condomini e gli altri componenti del condominio titolare della rappresentanza attiva ex lege di questi ultimi, che diversamente dovrebbero essergli conferita di volta in volta e individualmente 10.
Ad avviso di chi scrive, peraltro, non può dimenticarsi che nelle fattispecie
nelle quali il singolo condomino viene a contrapporsi alla collettività condominiale, sia in veste di soggetto attivo che di soggetto passivo della controversia,
«egli assume la qualità di terzo» e nel momento in cui egli pone in essere atti o
comportamenti lesivi per le parti comuni o per gli interessi che alla gestione di
queste ultime sono connessi, egli non si può considerare come un partecipante di
quella compagine che all’amministratore ha conferito l’incarico, ma come «un
soggetto in tutto e per tutto assimilabile a qualunque altro soggetto estraneo al
condominio». Ferma restando tale considerazione è però condivisibile la tesi che
la figura dell’amministratore è difficilmente inscrivibile in toto in uno degli schemi tradizionali.
Ma ciò dipende anche dal fatto che è lo stesso istituto condominiale, così come disciplinato dal legislatore ad essere una figura atipica e ibrida, una sorta di
tertium genus relegato, con la sua collocazione nella categoria dell’“ente di gestione”, frutto della fantasia creativa della giurisprudenza e della dottrina, in una sorta di limbo a mezza strada tra la persona fisica e la persona giuridica e al quale
non si vuole riconoscere quella “soggettività” giuridica che sembra evincersi indirettamente da numerose disposizioni del vigente codice civile anche dopo le modifiche apportate dalla recente riforma dell’istituto condominiale ad opera della
legge 11 dicembre 2012, n. 220.
La scelta di fondo operata fin dall’inizio dal legislatore è stata quella di dar vita
a una sorta di restyling dell’istituto, recependo in numerose disposizioni gli orientamenti univoci e consolidati della giurisprudenza di legittimità e di merito e in
particolare delle più importanti pronunce delle Sezioni unite della Corte di Cas10
Per R. AMAGLIANI, op. cit., p. 372 ss., si tratterebbe di un contratto di amministrazione.
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sazione, frutto, va riconosciuto, di una rilevante e preziosa attività interpretativa,
talvolta sfociata in una vera e propria supplenza del legislatore inerte.
Si è così rinunciato alla scelta di varare una disciplina realmente moderna, di
respiro europeo più conforme alle legislazioni vigenti da tempo negli altri Paesi
dell’Unione come sarebbe stato opportuno anche nel più generale contesto di
un’imprescindibile esigenza di uniformità in una materia che coinvolge e interessa da vicino la stragrande maggioranza se non la totalità dei cittadini. Da questa
scelta pregiudiziale deriva come conseguenza anche l’impossibilità di dare alla
figura dell’amministratore un diverso inquadramento giuridico più rispondente
all’evoluzione dei tempi e alle esigenze del condominio.
L’assimilazione del rapporto, pur con tutte le peculiarità cui si è fatto cenno, al
mandato con rappresentanza, comporta l’applicabilità ad esso, di molte delle disposizioni del codice civile in materia di mandato, anche se alla gestione degli interessi collettivi che gli vengono affidati, l’amministratore provvede esercitando
attribuzioni previste espressamente dalla legge negli artt. 1130 e 1131 c.c. e altre
conferite dal regolamento o dall’assemblea ed esplica un autonomo potere d’azione anche nei confronti dei singoli condomini, come previsto dal co. 1° dell’art.
1131 e dall’art. 63 disp. att. c.c. 11.
Va anche rilevato che la figura dell’amministratore ha subito col tempo una
notevole evoluzione sia dal punto di vista qualitativo (dei requisiti cioè che almeno nella prassi egli deve possedere per poter rivestire la carica) sia quantitativo, cioè sotto il profilo del numero, dell’ampiezza e dell’importanza delle attribuzioni che gli vengono conferite che delle responsabilità civili e penali che ne possono derivare.
In passato l’incarico di amministratore veniva assai spesso conferito dall’assemblea a un soggetto individuato tra gli stessi condomini, e in particolare a chi
potesse dedicare all’amministrazione del condominio il tempo libero.
Per la verità anche la legge di riforma, come vedremo, espressamente contempla tale possibilità, consentendo agli stessi comproprietari di governare direttamente la cosa comune senza obbligo di avvalersi di professionisti esterni.
Tuttavia ormai da tempo si assiste alla tendenza di incaricare professionisti
esperti in materia in grado di assolvere, di regola con maggiore competenza, alle
sempre più numerose attribuzioni poste a carico dell’amministratore e che comportano responsabilità sempre più pesanti scaturenti da numerose leggi speciali
in materia edilizia, di sicurezza degli impianti, di risparmio energetico, di certificazioni, di privacy e in materia fiscale, soprattutto da quando il condominio è divenuto sostituto d’imposta.
11
Cfr., sul punto, Cass., 24 marzo 1981, cit.
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La stessa riforma dell’istituto condominiale ha recepito, come vedremo, elencandole espressamente, molte attribuzioni, già svolte nella prassi, aggiungendovene addirittura altre, spesso di natura burocratica e non sempre necessarie per la
migliore gestione del condominio. Negli ultimi anni poi, l’incarico è stato sempre
più spesso conferito a persone giuridiche, società di capitali o società di persone
in conseguenza di un’evoluzione giurisprudenziale sfociata in un orientamento
favorevole a tale possibilità, per molto tempo rigorosamente esclusa.
Tale orientamento adesso è stato recepito nella disposizione normativa contenuta nell’art.1129 c.c. novellato, della quale si parlerà diffusamente infra.
2. L’OBBLIGATORIETÀ DELLA NOMINA
Anteriormente alla riforma l’art. 1129 c.c. stabiliva l’obbligatorietà della nomina dell’amministratore nel caso in cui il numero dei condomini fosse superiore
a quattro.
La nuova formulazione della norma eleva il limite in modo considerevole, attesoché la nomina diventa ora obbligatoria quando il numero dei condomini sia
superiore a otto.
È opportuno rilevare che si tratta di un obbligo che opera esclusivamente nei
rapporti interni tra i condomini, nel senso che, qualora ricorra il requisito numerico stabilito dalla norma, ciascun partecipante al condominio ha diritto di pretendere che l’assemblea provveda alla nomina di un amministratore, mentre al
contrario, qualora nessun condomino pretenda che si proceda alla nomina, ben
può il condominio rifiutarsi di provvedere.
Tale precisazione, che può apparire ovvia, sembra invece opportuna perché
talvolta si tende ad attribuire a tale obbligo una valenza esterna, non circoscritta,
cioè, ai rapporti interni tra i partecipanti al condominio.
Ad esempio il Comune di Genova ha adottato recentemente un provvedimento (O.S. n. 49 del 17 febbraio 2012) con il quale ha stabilito l’obbligo per i
condominii di apporre una targa identificativa dell’amministratore e dei suoi recapiti anche telefonici nelle parti comuni di accesso al condominio (obbligo peraltro ora previsto sia pure in termini più generali anche dalla stessa legge di riforma), motivandolo con l’erronea considerazione che, «qualora i condomini
sono quattro è obbligatoria la nomina dell’amministratore».
A prescindere dall’errore di diritto contenuto nel provvedimento de quo (ex
lege i condomini dovevano essere “più di quattro” e non “quattro”, e ora più di
otto e non otto), non è possibile attribuire all’obbligo in questione, come sem-
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Vincenzo Nasini
brerebbe invece sottinteso nel provvedimento in questione, una sorta di valenza
pubblicistica, posto che i partecipanti al condominio, qualunque sia il loro numero ben possono, anche oggi, non deliberare la nomina di un amministratore qualora nessuno di essi formuli una pretesa in tal senso.
Per contro va rilevato che, in forza del combinato disposto degli artt. 1129 e
1138 c.c. il principio di cui sopra riveste portata inderogabile nel senso che, secondo l’orientamento univoco della S.C. non potrebbe essere derogato neppure
da un regolamento di natura contrattuale o comunque da una convenzione stipulata da tutti i partecipanti al condominio 12.
Il condominio può nascere fin dall’inizio con un numero di partecipanti superiore a otto, ma il limite in presenza del quale la nomina diventa obbligatoria pur
nel senso visto sopra, può anche essere superato in un momento successivo, ad
esempio in caso di vendita di una o più unità immobiliari da parte di un condomino o di frazionamento di un’unità immobiliare in più unità, con titolarità di
ciascuna di esse attribuita a soggetti diversi.
3. I REQUISITI PER LA NOMINA
La legge, in passato, non ha mai richiesto qualità o requisiti specifici per svolgere l’attività di amministratore di condominio, eccettuata ovviamente, la capacità d’agire. Non erano quindi necessari né il possesso di un titolo di studio, né il
superamento di esami, né tantomeno l’iscrizione in un albo, peraltro di fatto mai
validamente istituito.
Anzi la Corte costituzionale ebbe occasione di sancire l’illegittimità di una
legge della Regione Abruzzo che aveva fissato requisiti per l’iscrizione nel registro regionale degli amministratori di condominio e di immobili, istituito ai sensi
dell’art.1 della stessa legge regionale, disponendo che l’attività di amministratore
di condominio, nella predetta regione, fosse preclusa a chi non fosse iscritto nel
registro stesso 13.
L’illegittimità era stata dichiarata per essere la normativa de qua in contrasto
con l’art. 117, co. 3°, Cost., che assegna la materia delle professioni alla competenza legislativa dello Stato.
Non essendo previste limitazioni né preclusioni, potevano quindi svolgere
l’attività, come già detto, sia condomini che soggetti estranei al condominio stante l’applicabilità a quest’ultimo, per quanto non espressamente previsto, delle di12
13
Ex plurimis cfr. Cass., 19 ottobre 1961, n. 2246.
Corte cost., 30 settembre 2005, n. 355.
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sposizioni in tema di comunione e quindi anche dell’art. 1106, co. 2°, c.c., in forza
del quale l’amministrazione della cosa comune può essere delegata ad uno o più
partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell’amministratore.
Il possesso di eventuali requisiti o specifiche cause di incompatibilità possono
peraltro essere contemplati dal regolamento di condominio.
Per giurisprudenza consolidata si riteneva non potesse essere nominato chi
fosse stato revocato dall’autorità giudiziaria, chi fosse portatore di interessi contrastanti con quelli del condominio, chi fosse dipendente dello stesso o in lite con
esso.
In giurisprudenza era stato anche ritenuto applicabile all’amministratore il disposto dell’art. 60 t.u. n. 3 del 1957 che aveva sancito l’incompatibilità con lo status di pubblico dipendente di qualsiasi attività estranea al pubblico impiego che
fosse caratterizzata da intensità, continuatività e professionalità 14.
In senso contrario si era osservato 15 che l’incompatibilità dovesse escludersi ,
non vertendosi in tema di attività impiegatizie o professionali 16.
Ciò premesso, va rilevato che la legge di riforma della materia condominiale
ha introdotto importanti novità sotto il profilo che ci occupa.
Infatti l’art.71 bis disp. att. c.c., introdotto ex novo dalla legge di riforma, elenca
numerosi requisiti la cui assenza (anche di uno solo di essi) comporta l’impossibilità per il soggetto di “svolgere l’attività” di amministratore di condominio.
Un primo gruppo di requisiti attiene alle qualità morali e civili della persona:
si richiede, infatti, che il soggetto goda dei diritti civili (co. 1°, lett. a) e che non
sia stato condannato per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio, nonché per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e nel massimo a cinque anni (co. 1°, lett. b).
È interessante rilevare come in tale ultima disposizione la lettera della legge
non faccia riferimento a una condanna definitiva, per cui si pone il problema se
sia sufficiente la condanna anche soltanto in primo grado, specie in considerazione della formulazione della successiva lett. c), in cui si richiede anche che il
soggetto non sia stato sottoposto a misure di prevenzione divenute definitive,
salvo che non sia intervenuta la riabilitazione. Ovviamente deve trattarsi di soggetto non interdetto né inabilitato: in questo caso si tratta di una previsione (co.
1°, lett. d) superflua alla luce dei principi generali in tema di capacità d’agire.
14
Tar Lazio, Sez. I, 16 dicembre 1987, n. 1897.
R. TRIOLA, Manuale del condominio, Giuffrè, Milano, 1995, p. 358.
16
In senso conforme, cfr. Trib. Napoli, 15 luglio 1960, n. 4106, in Foro it., 1960, I, c. 511.
15
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Un’ulteriore preclusione consiste nell’eventuale annotazione del nome del
soggetto nell’elenco dei protesti cambiari (co. 1°, lett. e).
Sono poi previsti requisiti afferenti alla qualificazione professionale del soggetto e alla sua preparazione tecnica specifica, che devono sussistere indipendentemente dal numero di condominii amministrati e dal fatto che l’attività di amministratore venga svolta professionalmente, quindi anche qualora il soggetto
amministri un solo condominio, ad esclusione del caso che si tratti del proprio.
Si richiede in primis (art. 71 bis, co. 1°, lett. f) che il soggetto abbia conseguito
il diploma di scuola secondaria di secondo grado.
In secondo luogo (lett. g) il soggetto deve avere frequentato un corso di formazione iniziale e deve svolgere attività di formazione periodica in materia di
amministrazione condominiale.
Il co. 2° della norma precisa, come già anticipato, che i requisiti di cui alle lett.
f) e g) non sono necessari qualora l’amministratore sia nominato tra i condomini
dello stabile.
Per la verità questa previsione appare criticabile poiché il condomino che
amministra (solo) il proprio condominio incontra le stesse difficoltà tecniche e
operative e va incontro alle medesime responsabilità sia penali che civili nelle
quali incorre qualunque amministratore senza disporre di quegli strumenti e di
quegli ausili su cui può contare l’amministratore professionista, con la conseguenza che il rischio che la sua attività possa causare danni al condominio e ai
condomini amministrati, anche solo per la scarsa conoscenza dei propri doveri,
finisce per risultare addirittura più elevato.
Il penultimo comma della norma stabilisce che la perdita dei requisiti di cui alle lett. a), b), c), d) ed e) del primo comma comporta la cessazione dall’incarico e
che, in tale evenienza, ciascun condomino può convocare l’assemblea per la nomina dell’amministratore.
Qualche perplessità suscita la parte della norma sopra citata che consente al
singolo condomino in questione, nella specifica fattispecie, di effettuare la convocazione “senza formalità”. Cosa significa infatti “senza formalità”? Senza il rispetto di forme per la redazione e la spedizione dell’avviso di convocazione? Senza il rispetto dei termini minimi di preavviso? Sembra trattarsi di una previsione
nebulosa e suscettibile di abusi e utilizzazioni strumentali, nonché foriera di rilevante contenzioso.
L’ultimo comma dell’art. 71 bis disp. att. c.c. precisa che coloro i quali abbiano
svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno nell’arco
dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della “presente disposizione”
possano svolgere l’attività di amministratore anche in mancanza dei requisiti di
cui alle lett. f) e g) del co. 1°.
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A prescindere dalla stranezza costituita dal fatto che si ipotizza una entrata in
vigore di tale disposizione non coincidente con il resto della riforma del condominio, si tratta di una previsione ragionevole posto che non sarebbe logico precludere ad amministratori non provvisti di diploma di scuola secondaria che
svolgono l’attività da molti anni la possibilità di continuare a svolgerla o costringerli a tornare sui banchi di scuola per munirsi del necessario titolo di studio.
Questi soggetti quindi possono anche essere sprovvisti del titolo di studio e
non avere frequentato un corso di formazione iniziale.
Rimane aperto il problema della prova di tale requisito e se lo stesso debba ritenersi sufficiente quando l’attività di amministrazione ha riguardato un solo
condominio.
Va sottolineato peraltro che anche per questa categoria piuttosto diffusa di
amministratori professionisti non diplomati, ma “veterani”, è previsto l’obbligo
di formazione periodica e anche questa previsione appare condivisibile, proprio
perché si tratta di soggetti talvolta dotati di una preparazione di base inadeguata
ai sempre più numerosi e delicati compiti e nel contempo refrattari a frequentare
corsi di formazione necessari per la loro professionalità.
A proposito di quest’ultimo requisito, la norma tuttavia non precisa (né esiste
alcun rinvio a successive disposizioni attuative) in cosa debba consistere e con
quali modalità debba essere svolta l’attività di formazione, quali soggetti siano
abilitati e legittimati a svolgerla, come debba essere certificato l’assolvimento dell’obbligo di formazione, se sia sufficiente la partecipazione a corsi di formazione
con relativa attestazione o se sia necessaria anche l’esistenza di una certificazione
del superamento di una prova finale che possa essere esibita all’assemblea anche
ai fini della validità della delibera di nomina che potrebbe essere suscettibile di
impugnazione soprattutto nei casi in cui, come spesso avviene nella prassi, esistano più candidati presentati e sostenuti da diversi gruppi di condomini.
Vi è da chiedersi in proposito se la delibera con la quale venga nominato un
amministratore sprovvisto di requisiti indicati dalla norma debba ritenersi radicalmente nulla o meramente annullabile: è opinione dello scrivente che si debba
accedere all’interpretazione più rigorosa e anzi si possa parlare di inesistenza tout
court della delibera di nomina di un soggetto privo anche di uno solo dei requisiti
obbligatoriamente previsti.
4. L’AMMINISTRAZIONE CONGIUNTA. LA NOMINA DI UNA SOCIETÀ
La S.C. si era già espressa in senso favorevole all’ammissibilità di un’ammini-
762
Vincenzo Nasini
strazione congiunta 17, affermando che le norme del codice civile in materia di
nomina e revoca dell’amministratore e quindi gli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c.
non escludono la possibilità che l’amministrazione sia affidata a una pluralità di
persone, dato che, per un verso, la carenza di una specifica disposizione per l’individuazione tra i diversi amministratori di quello tenuto a rappresentare il condominio nei rapporti con i terzi comporta soltanto, ai sensi dell’art. 1131 c.c., l’attribuzione a tutti del potere di rappresentanza anche nei confronti dei terzi e che,
per altro verso, grazie al rinvio alle norme sulla comunione operata dall’art. 1139
c.c., deve ritenersi applicabile al condominio degli edifici l’art. 1106 c.c. che, per
un’esigenza di tutela degli interessi dei comproprietari e di razionalizzazione delle amministrazioni particolarmente complesse, comune anche al condominio
negli edifici, espressamente consente la delega per l’amministrazione della cosa
comune a uno o più partecipanti ovvero anche a un estraneo.
In ordine alla possibilità di conferire l’incarico a persona giuridica, la S.C. si
era inizialmente espressa in senso negativo 18, argomentando che il rapporto di
mandato è essenzialmente caratterizzato dalla fiducia, e che le norme del codice
presuppongono che l’amministratore sia una persona fisica e in tal senso disciplinano il controllo giudiziario dei relativi atti.
Successivamente la S.C. aveva ha radicalmente mutato tale orientamento 19,
affermando che anche una persona giuridica può essere nominata amministratore del condominio negli edifici, posto che il rapporto di mandato istituito nei
confronti delle persone giuridiche, quanto all’adempimento delle obbligazioni ed
alla relativa imputazione della responsabilità, può essere caratterizzato dagli stessi indici di affidabilità che contrassegnano il mandato a persona fisica.
D’altro canto, il carattere fiduciario del mandato era stato revocato in dubbio
non solo da una parte della dottrina, ma anche dalla stessa S.C., la quale già in
precedenza aveva statuito 20 che il mandato, pur essendo un contratto caratterizzato dall’elemento della fiducia, non è tuttavia basato necessariamente sull’intuitus personae, per cui al mandatario non è vietato avvalersi dell’opera di un sostituto, a meno che il divieto non sia stato espressamente stabilito, oppure si tratti di
attività rientrante nei limiti di un incarico fiduciario affidato intuitu personae.
L’art. 1717 c.c. prevede, difatti, tre diverse ipotesi di sostituzione del mandatario:
17
Cass., 24 dicembre 1994, n. 11155, in Giust. civ., 1995, I, p. 675.
Cass., 9 giugno 1994, n. 5608, in Giust. civ., 1995, I, p. 675, con nota di R. TRIOLA, Nomina di società ad amministratore di condominio.
19
Cass., 24 ottobre 2006, n. 22840, in Riv. giur. edilizia, 2006, I, p. 1186, con nota di A. CELESTE,
Dai conti della serva allo schermo societario: evoluzione della figura dell’amministratore di condominio.
20
Cass., 25 agosto 2006, n. 18512.
18
L’AMMINISTRATORE
763
a) sostituzione non autorizzata dal mandante o non necessaria per la natura
dell’incarico, in cui il mandatario risponde dell’operato del sostituto;
b) sostituzione autorizzata dal mandante senza indicazione della persona del
sostituto, in cui il mandatario risponde dell’operato del sostituto solo se è dimostrata la sua colpa nella scelta di quest’ultimo;
c) sostituzione autorizzata dal mandante con contemporanea indicazione del
sostituto, in cui il mandatario è esonerato da responsabilità. In tutte e tre le ipotesi il mandante può agire direttamente contro la persona del sostituto.
Era stato rilevato che il sistema non conosce disposizioni limitative della capacità o della legittimazione della persona giuridica, se non nei casi espressamente previsti e che siffatte disposizioni, ove esistessero, sarebbero certamente in
contrasto con le finalità e con l’evoluzione dell’istituto dell’amministratore di
condominio. E, anzi, si evidenziava come, avuto riguardo all’evoluzione della figura dell’amministratore e al progressivo incremento dei suoi compiti, questi
possano venire assolti in modo più soddisfacente da società di servizi che nel loro
ambito annoverano operatori specialisti nei diversi aspetti della gestione.
In particolare, possono rendere preferibile un amministratore società: a) la
congruità dell’oggetto sociale rispetto alla situazione dell’ambiente e del tempo
in cui l’oggetto deve essere perseguito; b) la razionale coordinazione degli elementi personali e patrimoniali della persona giuridica; c) il credito sociale derivante alla funzionalità del complesso; d) il modo statutario della elezione degli
organi sociali; e) la pubblica stima che solitamente accompagna, di volta in volta,
gli organi personali di amministrazione e di controllo
D’altro canto, una visione più completa del sistema si ricava dalle norme che
regolano l’attività delle società concernenti l’amministrazione di immobili.
Non solo dalla legge 23 novembre 1939, n. 1966, art. 1, la quale prevedeva la
possibilità per le società fiduciarie di assumere l’amministrazione di beni per conto terzi, con la sola circoscritta esclusione delle attività riservate agli iscritti alle
categorie professionali, ma anche e soprattutto dal d.lgs. 16 febbraio 1996, n.
104, che all’art. 3 prevede l’affidamento a società specializzate della gestione dei
beni immobili dimessi dagli enti previdenziali e, virtualmente, della «gestione dei
servizi condominiali».
Non esisteva dunque alcuna disposizione di legge che escludesse che la persona giuridica possa esercitare l’incarico di amministratore di condominio, e la
soluzione della questione, doveva ricavarsi dai principi generali dell’ordinamento
giuridico dello Stato (art. 12 preleggi).
Ora, i dubbi che ancora potevano residuare sono stati dissolti dall’espressa
previsione del già citato l’art. 71 bis, co. 3°, disp. att. c.c., introdotto dalla legge 11
764
Vincenzo Nasini
dicembre 2012, n. 220, secondo la quale possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio anche le società.
Risolta in tal senso legislativamente e con lo specifico richiamo normativo al
titolo V del libro V del codice la questione dell’ammissibilità dell’amministratore
persona giuridica, inevitabilmente deve ritenersi dissipato ogni dubbio anche con
riferimento alle società di persone e alle società di fatto.
La norma precisa anche che “in tal caso”, cioè qualora venga nominata una
società, i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili,
dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministratore dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi.
Per analogia deve ritenersi che, quanto agli studi professionali, debbano essere indicati almeno nome e cognome dei componenti la società di fatto o del titolare dello studio immobiliare e la sussistenza dei medesimi requisiti in capo agli
stessi.
L’art. 1129 c.c. prevede che l’assemblea possa subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato.
In considerazione della formulazione letterale della norma sembra doversi ritenere che essa. da un lato, stabilisca una sorta di condizione per l’efficacia della
nomina, e, dall’altro lato, che la richiesta costituisca una mera facoltà attribuita
all’assemblea. Nulla si dice in ordine all’onere finanziario connesso alla stipulazione della polizza e alla sua incidenza.
Deve ritenersi che, fatta eccezione per l’ipotesi che la stipulazione della polizza con onere a carico dell’amministratore sia stata deliberata dall’assemblea come
clausola del contratto di mandato e come condizione per il conferimento dell’incarico, il costo dovrebbe gravare sul condominio richiedente.
Altro problema potrebbe porsi con riguardo alla maggioranza con la quale
l’assemblea dovrebbe deliberare in ordine alla richiesta in questione. Se la richiesta in oggetto si considera alla stregua di una clausola del contratto di mandato
per il conferimento dell’incarico e in particolare nell’ipotesi che la relativa spesa
venga a gravare sul condominio richiedente, deve ritenersi che vada deliberata insieme alla nomina e quindi con la stessa maggioranza richiesta per quest’ultima.
5. IL SOSTITUTO DELL’AMMINISTRATORE
La S.C. aveva statuito che, in difetto di una contraria manifestazione di volontà nell’atto di nomina, l’amministratore potesse delegare le proprie funzioni ad
L’AMMINISTRATORE
765
un terzo, se del caso anche con l’attribuzione della rappresentanza processuale,
sempre che però quest’ultima sia conferita unitamente alla rappresentanza sostanziale 21, argomentando dalla qualificazione dell’amministratore condominiale
come mandatario e dal disposto 1717 c.c.
Rimaneva ferma perciò l’impossibilità di conferire legittimamente la rappresentanza processuale separatamente da quella sostanziale. Infatti, a norma dell’art. 77 c.p.c., il potere di agire in giudizio a tutela di un interesse altrui deve essere espressamente attribuito dal titolare dell’interesse medesimo, salvo che la legge non lo attribuisca o non lo presuma attribuito implicitamente a determinate
persone e in determinate circostanze. Il potere di rappresentanza processuale,
con la relativa facoltà di nomina dei difensori, può essere, infatti, conferito soltanto a colui che sia investito anche di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, espressione del più generale principio del processo relativo alla non disponibilità, in via negoziale, del potere di stare in giudizio per la necessità di collegamento tra diritto alla tutela giurisdizionale
e affermazione della titolarità del diritto sostanziale, come ripetutamente ribadito
nella giurisprudenza di legittimità 22.
Si concludeva quindi che l’amministratore di un condominio, al pari del rappresentante legale della società, non potesse validamente conferire a un terzo una
rappresentanza volontaria limitata soltanto agli atti del processo.
Tutte le considerazioni sopra svolte devono però ora rivisitate in base alla
nuova normativa dettata dall’art. 71 bis disp. att. c.c., alla luce della quale non
sembra potersi negare che il sostituto debba possedere tutti i requisiti richiesti
all’amministratore nominato.
In caso contrario, infatti, potrebbero risultare vanificate le finalità perseguite
dalla norma e facilmente eluse le disposizioni in essa contenute.
6. LA NOMINA: COMPETENZA ESCLUSIVA DELL’ASSEMBLEA
Come già detto l’art. 1129 c.c. impone la nomina di un amministratore quando i condomini siano più di otto (quindi: almeno nove). In tal caso, se alla nomina non provvede l’assemblea, deve provvedere l’autorità giudiziaria sul ricorso di
uno o più condomini.
Sulle materie indicate nel co. 4° dell’art. 1136 c.c., tra le quali è compresa la
21
Cass., 22 luglio 1999, n. 7888, in Foro it., 2001, I, c. 291.
Cass., 8 maggio 1998, n. 4666, in Giust. civ., 1998, I, 1527; Cass., 24 febbraio 1997, n. 1681;
Cass., 3 maggio 1990, n. 366.
22
766
Vincenzo Nasini
nomina dell’amministratore, l’assemblea in seconda convocazione delibera con
una maggioranza che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio e sia costituita dalla maggioranza degli intervenuti e da almeno un terzo dei partecipanti
al condominio.
La norma del co. 2° va integrata con quella del co. 3°, che riguarda tutte le assemblee in seconda convocazione per le quali il requisito minimo di partecipazione è pari almeno a un terzo dei partecipanti al condominio.
Nel caso in cui l’immobile sia gravato di usufrutto, alla delibera relativa alla
nomina o alla conferma dell’amministratore deve partecipare l’usufruttuario, non
il nudo proprietario, trattandosi di deliberazioni concernenti affari di ordinaria
amministrazione.
Spettano, infatti, all’usufruttuario l’uso e il godimento della cosa e pertanto
sono suoi anche la responsabilità e l’onere di provvedere a tutto ciò che riguarda
la conservazione della cosa nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine
produttiva. Il nudo proprietario, per parte sua, deve essere chiamato a partecipare alle assemblee indette per deliberare sulle innovazioni o sulle opere di manutenzione straordinaria.
Sembra corretto ritenere, non diversamente da quanto ritenuto in passato,
che non sia legittimato a partecipare il conduttore, in considerazione del disposto
dell’art. 10, legge 27 luglio 1978, n. 392.
La S.C. ha escluso la legittimità della clausola contrattuale di riserva del costruttore nella nomina dell’amministratore o ad uno o più condomini, ritenendola in contrasto con il principio di inderogabilità delle norme che concernono la
nomina, oltre che con il principio per il quale tutti partecipanti alla comunione
hanno diritto di concorrere all’amministrazione, osservando 23 che l’art. 1138, ult.
co., c.c. contiene due diverse norme: una generica l’altra specifica. La prima
esclude che i regolamenti condominiali possano menomare i diritti spettanti a
ciascun condomino in base agli atti di acquisto o alle convenzioni. La seconda
dichiara inderogabili le disposizioni del codice concernenti, tra le altre cose, la
nomina, la revoca e i poteri dell’amministratore. L’inderogabilità di queste ultime
norme è assoluta e, pertanto, la relativa disciplina non può subire modifiche neppure in base a regolamenti contrattuali o ad altre convenzioni intercorse fra le
parti. Pertanto, il patto che riservi l’amministrazione del condominio ad uno o
più condomini determinati, anche se contenuto in un regolamento contrattuale o
23
Cass., 3 agosto 1966, n. 2155, in Giust. civ., 1966, I, p. 2120, la quale ha confermato la pronuncia
di merito che aveva dichiarata la nullità di una clausola introdotta nelle compravendite dei vari appartamenti di uno stabile la quale riservava al costruttore l’amministrazione di quest’ultimo sino a che non
fossero stati venduti gli ottocento millesimi.
L’AMMINISTRATORE
767
negli atti di acquisto dei singoli appartamenti, essendo contrario all’art. 1129 c.c.,
che inderogabilmente conferisce all’assemblea la nomina e la revoca dell’amministratore, è nullo sin dall’inizio se i condomini siano originariamente almeno
nove; diversamente diventa invalido nel preciso momento con cui i condomini
raggiungano tale numero.
In passato ci si era chiesti se un amministratore in occasione dell’assemblea
che deve decidere sulla sua conferma potesse votare a favore di se stesso sulla base delle deleghe ricevute da altri condomini.
Alcune decisioni di merito 24 avevano dato risposta positiva, non operando , in
tema di condominio, il divieto previsto dall’art. 2372, co. 4°, c.c. (testo abrogato)
e valendo, al contrario il diverso principio di natura inderogabile di cui all’art. 67
disp. att. c.c., secondo cui ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a
mezzo di rappresentante.
La S.C., pur ritenendo applicabile in linea di principio al condominio, quanto
al computo della maggioranza nelle assemblee, la norma dell’art. 2373 c.c. dettata, in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione
dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto a una determinata deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale
conflitto con quello del condominio 25, aveva tuttavia precisato che, ai fini della
invalidità della delibera, tale conflitto non è configurabile ove non sia possibile
identificare, in concreto, una sicura divergenza tra le ragioni personali che potrebbero concorrere a determinare la volontà dei soci di maggioranza e l’interesse istituzionale del condominio. Con la conseguenza che, nel caso in cui un
condomino partecipi all’assemblea convocata per la nomina del nuovo amministratore nella triplice veste di condomino, di condomino delegato e di amministratore uscente e voti soltanto nella qualità di delegato di altri condomini, non
potessero essere identificati, in concreto, due interessi in contrasto tra loro, l’uno
facente capo al votante, l’altro al condominio inteso come gruppo, mentre se il
condomino voti anche pro se, essendo egli amministratore uscente, il potenziale
conflitto di interessi si sarebbe potuto ravvisare.
La questione controversa viene ora risolta in radice dal nuovo art. 67 disp. att.
c.c. che, al co. 5°, stabilisce che «all’amministratore non possono essere conferite
deleghe per la partecipazione a qualsiasi assemblea».
Infine, va rilevato che tra le attribuzioni (e relativi obblighi) dell’amministratore, l’art. 1130 c.c. elenca quella di curare la tenuta del registro di nomina e revoca dello stesso amministratore.
24
25
Trib. Torino, 3 gennaio 1988, in Vita not., 1989, p. 159.
Cass., 14 novembre 1997, n. 11254, in Vita not., 1998, p. 170.
768
Vincenzo Nasini
In tale registro devono essere annotate in ordine cronologico le date della
nomina e della revoca di ciascun amministratore del condominio nonché gli
estremi del decreto in caso di provvedimento giudiziale.
7. QUESTIONI PARTICOLARI IN TEMA DI NOMINA: LA NOMINA FACOLTATIVA; L’AMMINISTRATORE DEL PICCOLO CONDOMINIO O CONDOMINIO MINIMO
In passato si era discusso se, nei condominii fino a quattro partecipanti per i
quali la nomina non era obbligatoria essa dovesse avvenire seguendo la procedura
stabilita dall’art. 1136 c.c. ovvero alla stregua delle disposizioni dell’art. 1105 c.c.
Il contrasto giurisprudenziale era stato risolto dalla S.C. nel senso che, posto
che il regime del condominio degli edifici si instaura per legge nel fabbricato nel
quale esistono più piani o porzioni di piano appartenenti in proprietà esclusiva a
persone diverse, ai quali (piani o porzioni di piano) è legato da relazione di accessorietà (strumentalità) un certo numero di cose, impianti e servizi comuni,
l’esistenza del condominio e l’applicabilità della norma in materia non dipende
dal numero delle persone che ad esso partecipano 26. La nomina è dunque facoltativa, ma la delibera è comunque regolata dall’art. 1136 c.c. anche nell’ipotesi di
condominio c.d. minimo (di due soli componenti).
Va da sé che ora, in forza della nuova formulazione dell’art. 1129 c.c. la nomina dell’amministratore è meramente facoltativa quando i condomini siano otto o
meno di otto.
8. L’AMMINISTRATORE DI FATTO
La S.C. aveva ritenuto possibile la nomina dell’amministratore del condominio per facta concludentia 27, così argomentando: poiché la figura giuridica dell’amministratore è quella del mandatario con rappresentanza, anche riguardo alla
sua investitura da parte dell’assemblea, deve ritenersi che, a norma dell’art. 1392
c.c., ad eccezione delle ipotesi nelle quali siano prescritte determinate forme per
il contratto che deve concludersi, la procura che conferisce il potere di rappresen26
Cass., 31 gennaio 2006, n. 2046, in Giust. civ., 2007, I, p. 2605.
Cass., 12 febbraio 1993, n. 1791, in Giust. civ., 1994, I, p. 225, con nota di R. TRIOLA, Due questioni
in tema di nomina e revoca dell’amministratore di condominio; Cass., 10 aprile 1996, n. 3296. In senso
conforme, cfr. Trib. Bergamo, 6 settembre 1999, che ha rilevato che, in mancanza di requisiti di forma
vincolata, la volontà dei condomini potrebbe essere desunta anche da comportamenti concludenti.
27
L’AMMINISTRATORE
769
tanza può essere verbale e anche tacita, purché in tal caso gli elementi che inducono ad ammetterne l’esistenza promanino da un comportamento concludente
degli interessati.
Si riteneva peraltro che il principio affermato dalla S.C. andasse comunque raccordato con quello in base al quale non è ipotizzabile la conferma tacita dell’amministratore di un condominio dipendente dalla semplice inerzia dei condomini
nell’adottare la delibera di nomina dopo il decorso dell’anno di durata. Vi sarebbe
prorogatio dei poteri – come vedremo – non certo conferma per un altro anno.
Per il principio generale della tutela dell’affidamento nei rapporti intersoggettivi si riteneva non potersi prescindere dall’emanazione dell’atto formale previsto
dalla legge per il conferimento, l’estinzione e la modificazione dei poteri rappresentativi, affinché l’efficacia di questo possa essere opponibile ai terzi, salvo che
non si provi che essi ne fossero a conoscenza.
Si evidenziava altresì come non potesse ritenersi ammissibile nel nostro ordinamento, la figura dell’amministratore condominiale “di fatto”: chi pretenda il
pagamento di spese erogate per il condominio in qualità di amministratore del
condominio stesso ha l’onere di provare tale qualità allegando la deliberazione di
nomina, se la nomina è contestata.
La S.C. aveva ritenuto nulla la delibera che contemplava l’estrazione a sorte
annualmente del nominativo dell’amministrazione tra i condomini 28.
In sede di riforma del condominio è stato introdotto il co. 6° dell’art. 1129 c.c.,
in base al quale in mancanza dell’amministratore, sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi, è affissa l’indicazione
delle generalità e del recapito, anche telefonici, della persona che svolge funzioni
analoghe a quelle dell’amministratore. In tal modo sembra essere stata legittimata
la figura del c.d. amministratore di fatto, il quale, però, rimane una figura nebulosa.
9. L’ACCETTAZIONE DELLA NOMINA
È sempre stato controverso se l’efficacia della nomina ad amministratore del
condominio debba ritenersi subordinata all’accettazione da parte del designato.
Il problema non è di poco conto poiché, se si ritiene che per il solo fatto della
nomina la persona designata assuma la rappresentanza del condominio, come
prevede l’art. 1131, co. 1°, c.c., si deve considerare operante a suo carico l’obbligo
di cui al successivo co. 3°.
Se, invece, gli effetti si producono solo a seguito dell’accettazione della nomi28
Cass., 26 luglio 1941, n. 2298.
770
Vincenzo Nasini
na, il detto obbligo non sussiste e il condominio dovrà imputare a se stesso le
conseguenze che derivino, a suo danno, dal fatto che la persona designata ad
amministrarlo si disinteressi dell’adempimento dei doveri che la legge prevede
per il caso di accettazione della carica.
La tesi negativa era stata sostenuta dalla giurisprudenza di merito 29 secondo la
quale sin dal momento della nomina da parte dell’assemblea (o dell’autorità giudiziaria), l’amministratore dovesse ritenersi investito del potere di gestire e rappresentare il condominio; avrebbe potuto certo rinunziare all’incarico ma, a questo fine, avrebbe dovuto provvedere alla convocazione di una nuova assemblea.
Seguendo tale tesi l’amministratore, quindi, anche se assente all’assemblea
che lo ha eletto, si sarebbe dovuto considerare ad ogni effetto amministratore del
condominio nei rapporti sia interni che esterni.
Contro tale opinione si era obbiettato in dottrina 30 che il contratto di mandato, come tutti i contratti, si perfeziona secondo il disposto dell’art. 1326 c.c.
Sulla scorta di tale premessa l’accettazione, sia pure manifestata in forma tacita, cioè desumibile dal compimento di atti che costituiscano manifestazione di
volontà univocamente interpretabile come accettazione dell’incarico conferito,
avrebbe dovuto ritenersi un elemento essenziale, indispensabile, come per tutti i
contratti, ai fini del suo perfezionamento.
Per altro verso si era osservato 31 che il condominio, per il fatto di avere proceduto alla designazione di una persona alla carica di amministratore senza essersi
preventivamente assicurato dell’accettazione da parte del designato, si sarebbe
esposto alle eventuali conseguenze dannose derivanti dalla mancata accettazione
Veniva poi osservato che qualora il soggetto venisse nominato in un’assemblea nella quale era assente, potrebbe non essere neppure a conoscenza dell’avvenuta nomina che comporta anche la determinazione delle condizioni del rapporto (ad esempio quelle relative al compenso).
In conclusione, si riteneva comunque necessario che la nomina venisse almeno comunicata all’eletto dall’amministratore uscente o, in caso di mancanza tout
court dell’amministratore, dal segretario e/o dal presidente dell’assemblea.
E si reputava anche quantomeno opportuno che l’eletto comunicasse in qualche modo la propria accettazione, ferma restando la non necessità di una dichiarazione formale, essendo sufficiente l’espletamento di fatto alcune delle attività
connesse all’esecuzione dell’incarico ricevuto.
29
Trib. Sassari, 25 febbraio 1985, in Riv. giur. edilizia, 1986, I, p. 543; Trib. Genova, 25 gennaio
1999, in Arch. locazioni, 1999, p. 107.
30
G. TERZAGO, Il condominio, cit., p. 310.
31
L. SALIS, Condominio: nomina dell’amministratore e accettazione, in Riv. giur. edilizia, 1986, I, p. 544.
L’AMMINISTRATORE
771
Orbene, il contrasto cui si è ora fatto cenno, favorito dall’assenza di una disposizione normativa che espressamente e direttamente contemplasse l’accettazione da parte dell’amministratore, può forse ritenersi superato alla luce della lettera dell’art. 1129, co. 2°, c.c., nella formulazione assunta a seguito della legge 11
dicembre 2012, n. 220, che prevede che l’amministratore comunichi «contestualmente all’accettazione della nomina» (o del suo rinnovo) una serie di dati
che lo riguardano.
Naturalmente, come già osservato, l’accettazione può ritenersi efficacemente
comunicata anche verbalmente e può forse desumersi implicitamente dalla stessa
comunicazione dei dati elencati dalla norma: dati anagrafici e fiscali, codice fiscale e, per le società, sede legale e denominazione, locale dove si trovano il registro
di anagrafe condominiale, il registro dei verbali delle assemblee, il registro di nomina e revoca dell’amministratore e il registro di contabilità (n. 6 e 7 dell’art.
1130 c.c.) e, infine, giorni e le ore nelle quali ogni interessato può prendere gratuitamente visione dei registri stessi e ottenere copia di essi firmata dall’amministratore, previo rimborso della spesa.
Sarebbe forse stato più corretto prevedere, almeno per il caso di nomina, l’obbligo di comunicare il locale dove “saranno” tenuti i registri e ove “sarà” possibile
prenderne visione ed estrarne copia, posto che, nel momento in cui l’amministratore accetta la nomina, il passaggio delle consegne non è ancora avvenuto e i
registri non possono essere ancora materialmente a sue mani.
Va, poi, osservato che è incomprensibile l’obbligo di comunicazione di tutti i
dati in questione nel caso di rinnovo dell’incarico, non essendo concepibile che
nel frattempo l’amministratore possa avere cambiato i propri dati anagrafici e
professionali, il codice fiscale.
Non viene, poi, previsto a chi tale comunicazione debba essere fatta. Non essendo concepibile una comunicazione a tutti i condomini, è da ritenere che tali
dati vengano inseriti alla delibera di nomina con contestuale accettazione dell’incarico (o allegati alla stessa).
Rimanendo in tema di accettazione, va rilevato che una conferma di quanto
sopra rilevato in materia di necessità dell’accettazione si può ricavare anche dal
terz’ultimo comma dell’art. 1129 c.c., in forza del quale, sempre all’atto dell’accettazione della nomina (o del suo rinnovo), l’amministratore deve specificare
analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di
compenso per l’attività svolta.
Va peraltro osservato che, a prescindere dalla considerazione che si sarebbe
dovuto parlare di compenso per l’attività da svolgere e non per l’attività svolta, la
misura del compenso è il risultato di trattative con il condominio e non di una
772
Vincenzo Nasini
determinazione unilaterale dell’amministratore, come invece la disposizione in
questione sembrerebbe adombrare.
A ciò va aggiunto che non è comprensibile la previsione della nullità con riferimento all’ipotesi di rinnovo, a meno che non si acceda alla tesi già illustrata secondo al quale anche la conferma o il c.d. rinnovo debbano essere comunque deliberati dall’assemblea. In caso contrario, infatti, non si potrebbe parlare di nullità
della “delibera di rinnovo”.
10. IL RINNOVO DELL’INCARICO E LA CONFERMA
In base all’art. 1129, co. 12°, c.c. (nuovo testo) «l’incarico di amministratore
ha durata di un anno e si intende rinnovato per uguale durata», mentre il comma
successivo prevede che l’assemblea convocata per la revoca o le dimissioni debba
deliberare in ordine alla nomina del nuovo amministratore.
È opportuno approfondire la disamina di questa disposizione che all’evidenza,
sembra introdurre un meccanismo di tacito rinnovo, nel senso che, alla scadenza
annuale, non dovrebbe essere convocata l’assemblea per la nomina di un nuovo
amministratore o per la conferma di quello uscente e pertanto l’ordine del giorno
dell’assemblea ordinaria dovrebbe avere per oggetto esclusivamente l’approvazione del rendiconto, del preventivo e dei relativi riparti, e l’esame di eventuali
altre questioni che necessitino di una delibera assembleare
Dovrebbero quindi essere i condomini interessati a impedire il rinnovo della
carica, a richiedere la convocazione, ex art. 66, co. 1°, disp. att. c.c., di un’assemblea per deliberare una sorta di diniego di rinnovo dell’incarico all’amministratore e per la nomina del nuovo, fermo restando che, in difetto, o nell’ipotesi che
l’assemblea non deliberi validamente la revoca, l’amministratore dovrebbe considerarsi, appunto, automaticamente confermato per un anno.
Tuttavia va rilevato che l’art. 1135, co. 1°, n. 1), c.c. elenca tra le attribuzioni
dell’assemblea la «conferma dell’amministratore».
Non si comprende come questa disposizione possa accordarsi con quella del
decimo comma dell’art. 1129 c.c. precedentemente commentata, in forza del quale
l’amministratore si intende rinnovato per uguale durata alla scadenza annuale.
Tralasciando l’ipotesi più ovvia, che sia ricorsa una palese carenza di coordinamento tra le due norme, due possono essere le interpretazioni possibili:
a) che il legislatore abbia inteso prevedere solo che alla scadenza annuale, l’assemblea possa confermare l’amministratore uscente per una durata non superiore all’anno.
L’AMMINISTRATORE
773
b) che si sia voluto prevedere un meccanismo per il quale, ferma restando la
durata di un anno, l’amministratore possa essere tacitamente rinnovato per un
(solo) ulteriore anno, alle stesse condizioni, e, alla scadenza del secondo anno di
carica, debba essere l’assemblea a deliberare espressamente l’eventuale conferma,
sempre per lo stesso periodo determinando anche il (nuovo) compenso ex art.
1135, n. 1, c.c.
Naturalmente è previsto che l’amministratore possa a sua volta rassegnare le
dimissioni; in tal caso, nel convocare l’assemblea, ordinaria o straordinaria a seconda del momento in cui le dimissioni verranno rese, dovrà egli stesso inserire
nell’ordine del giorno le proprie dimissioni e contestualmente la nomina del
nuovo amministratore.
11. I VIZI DELLA DELIBERA DI NOMINA
Le disposizioni concernenti la nomina dell’amministratore, ancorché contenute in un regolamento accettato in seno agli atti di acquisto delle singole unità
immobiliari, hanno natura strettamente regolamentare e non contrattuale, in
quanto rivolte a disciplinare l’organizzazione e la gestione dell’ente comune, senza incidere sui diritti individuali dei singoli partecipanti. Esse dunque, per un verso, sono modificabili dall’assemblea anche a maggioranza, per altro verso non
possono derogare alla norma dell’art. 1129 c.c. esplicitamente dichiarata inderogabile dall’art. 1138, ult. co., c.c.
Conseguentemente sarebbe inficiata da nullità la delibera che disponesse una
durata in carica per un periodo superiore o inferiore all’anno. Per contro la nomina dell’amministratore può avvenire a prescindere dall’approvazione del regolamento condominiale e della tabella di ripartizione in millesimi dei valori dei
piani o porzioni di piano appartenenti ai singoli condomini.
La delibera di nomina deve essere adottata, sia in prima che in seconda convocazione, con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’art. 1136 c.c. e
quindi con la (doppia) maggioranza degli intervenuti in assemblea e della metà
dei valori millesimali.
La legittimazione attiva per l’impugnazione della delibera di nomina spetta a
tutti i soggetti che sono legittimati alla nomina: dunque condomini e usufruttuari. Non il nudo proprietario né l’inquilino.
L’art. 10 della legge 27 luglio 1978, n. 392, attribuisce al conduttore il diritto
di votare in luogo del proprietario nelle assemblee condominiali aventi ad oggetto l’approvazione delle spese e delle modalità di gestione dei servizi di riscalda-
774
Vincenzo Nasini
mento e di condizionamento d’aria e di intervenire senza diritto di voto sulle delibere relative alla modificazione di servizi comuni. La norma riconosce implicitamente il diritto dell’inquilino di impugnare le deliberazioni viziate, ma soltanto
nell’ambito delle situazioni richiamate dalla norma. Sicché l’inquilino non ha un
potere generale di sostituirsi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali e conseguentemente deve escludersi la sua legittimazione a impugnare la delibera di nomina dell’amministratore.
L’amministratore conserva i poteri anche se la delibera di nomina sia stata oggetto di impugnativa davanti all’autorità giudiziaria per vizi comportanti la nullità
o l’annullabilità della delibera stessa 32.
Allorquando il provvedimento di nomina dell’amministratore di un condominio di edificio da parte dell’autorità giudiziaria, a norma dell’art. 1129 c.c., è
impugnato perché affetto da nullità sotto il profilo dell’inesistenza del condominio, assumendosi che si verta, invece, in tema di comunione di cose, legittimi
contraddittori sono soltanto i comproprietari di queste e non l’amministratore
nominato, di cui implicitamente si contesta in radice lo stesso potere di gestione
e rappresentanza 33.
12. LA NOMINA DA PARTE DELL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA
Nel caso di obbligatorietà della nomina e di inerzia dell’assemblea, alla nomina dell’amministratore del condominio può provvedere l’autorità giudiziaria.
La questione di legittimità costituzionale del procedimento di volontaria giurisdizione volto alla nomina di un amministratore (in quanto, svolgendosi secondo uno schema che non lascia spazio alla difesa dei controinteressati, sarebbe
in contrasto con il principio del contraddittorio e con l’art. 3 Cost., perché in situazioni obiettivamente analoghe è prevista la tutela del diritto di difesa), è stata
ritenuta infondata 34, in base alla considerazione che la nomina di un amministratore non è diretta a difendere interessi di singoli condomini in contrasto con altri,
ma a tutelare un interesse comune a tutti i condomini.
Il provvedimento di nomina può essere emesso solo nel caso in cui questa tutela non venga attuata. Col suo provvedimento in camera di consiglio, poi, il Tribunale, su iniziativa di uno o più condomini, sopperisce alla deliberazione necessaria per l’amministrazione della cosa comune o la attua, qualora esista e non sia
32
Cass., 31 marzo 2006, n. 7619.
Cass., 4 aprile 1985, n. 2309.
34
Corte cost., 27 novembre 1974, n. 267, in Giust. civ., 1975, III, p. 14.
33
L’AMMINISTRATORE
775
stata eseguita. I provvedimenti presi con gli artt. 1105 e 1129 c.c., inoltre, non
sono definitivi né idonei a produrre effetti di giudicato, potendo sempre essere
revocati o modificati dalla medesima autorità giudiziaria su istanza degli interessati. La maggioranza dei condomini, infine, può successivamente provvedere, ai
sensi dell’art. 1129, co. 2°, c.c., alla nomina di un amministratore diverso da quello nominato dell’autorità giudiziaria, revocando, così, praticamente lo stesso
provvedimento giudiziario.
Nella giurisprudenza di merito si era sostenuto 35 che l’amministratore uscente che non abbia la qualità di condomino, nell’ipotesi in cui l’assemblea non lo
abbia confermato ovvero lo stesso abbia dato le dimissioni e il condominio non
abbia provveduto alla sua sostituzione, nonostante che l’assemblea sia stata sollecitata in tal senso, fosse legittimato a proporre ricorso al Tribunale in sede di
volontaria giurisdizione, affinché provveda alla nomina del nuovo amministratore.
Secondo un’altra decisione l’amministratore dimissionario in genere sarebbe
legittimato a chiedere la nomina di altro amministratore all’autorità giudiziaria,
sia perché è onere dell’amministratore, quale mandatario, procedere a tutte le
iniziative, anche giudiziali, atte a tutelare l’interesse comune dei condomini, sia
perché esso, anche se dimissionario, conserva i poteri conferitigli dalla legge fino
a quando non sia sostituito dal giudice o da deliberazione assembleare 36.
In senso contrario era stato osservato 37 che l’art. 1129, co. 1°, c.c., faceva riferimento ai (soli) condomini.
In tale ordine di idee ad esempio la Corte di Cassazione ha statuito che il
conduttore di un’unità immobiliare di un edificio in condominio, ancorché abbia
diritto, a norma dell’art. 10, legge 27 luglio 1978, n. 392, a partecipare all’assemblea dei condomini, non è legittimato – in caso di mancata nomina dell’amministratore – a proporre il ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1129, co.
1°, c.c., diretto ad ottenere la nomina dell’amministratore, configurandosi una
negotiorum gestio di carattere processuale non consentita (anche in materia di volontaria giurisdizione) dall’ordinamento, con conseguente inesistenza del diritto
al rimborso delle spese sostenute 38.
Il nuovo testo dell’art. 1129, co. 1°, c.c. prevede invece espressamente, al con35
Trib. Roma, 7 luglio 1990, in Arch. locazioni, 1990, p. 125.
Trib. Verona, 12 febbraio 1988, inedita. Nel senso che, essendo l’amministratore mandatario ex
lege dei condomini, egli può richiedere i provvedimenti contemplati dal co. 4° dell’art. 1105 c.c.,
attinenti a tre ipotesi, tutte riconducibili a una situazione di inerzia dei partecipanti nell’esercizio del
loro diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune, cfr. Trib. Roma, 7 luglio 1990, cit.
37
R. TRIOLA, Il condominio, Giuffrè, Milano, 2007, p. 582.
38
Cass., 17 giugno 1991, n. 6843.
36
776
Vincenzo Nasini
trario della precedente formulazione della norma, che la nomina giudiziale possa
essere disposta su ricorso non soltanto “di uno o più condomini”, ma anche
dell’amministratore dimissionario.
La disposizione sembra diretta a porre rimedio a situazioni spesso ricorrenti
nella prassi condominiale nelle quali, non riuscendo l’assemblea a raggiungere il
quorum necessario per la nomina del nuovo amministratore, l’amministratore
dimissionario rimasto in carica in regime di prorogatio, non riusciva per lungo
tempo a effettuare materialmente il passaggio delle consegne e a liberarsi di un
incarico non più gradito. In forza della nuova previsione normativa anch’egli è
legittimato ad adire l’autorità giudiziaria per la nomina del suo successore.
La nomina giudiziale ha lo scopo di evitare che, per la mancanza di un organo
necessario alla sua gestione, il condominio rimanga nell’impossibilità di agire, per
cui si prescinde dall’eventuale esistenza di conflitti che il provvedimento di nomina
non è diretto a risolvere e che in astratto non potrebbero mancare, sia all’interno
del condominio, da parte di quei condomini che ritengano che l’amministratore sia
stato già eletto, sia all’esterno da parte di chi sostenga di essere stato investito validamente dell’ufficio di amministratore; se tali conflitti sussistano e non vengono
risolti nella sede assembleare con i provvedimenti adottati con le maggioranze prescritte, lo strumento per risolverli è quello giurisdizionale secondo le regole ordinarie, rispetto al quale il provvedimento del Tribunale adempie soltanto una funzione
eventualmente interinale e provvisoria, in attesa che la fase contenziosa, se promossa, giunga alla sua conclusione definitiva con la pronuncia giurisdizionale 39.
L’espressione «se l’assemblea non vi provvede», di cui all’art. 1129, co. 1°,
c.c., va interpretata come comprensiva non soltanto dell’assoluta inerzia, ma anche come già detto, dell’impossibilità di formare una maggioranza, come è desumibile indirettamente dall’art. 1105 c.c., il quale espressamente prevede, in tema di comunione, la nomina dell’amministratore da parte dell’autorità giudiziaria anche quando «non si forma la maggioranza», non essendovi motivo di ritenere che in tema di condominio il legislatore abbia voluto adottare una diversa
soluzione 40.
39
Cass., 13 novembre 1996, n. 9942; nel senso che nel caso in cui i condomini, riuniti in assemblea
per procedere alla nomina dell’amministratore, si siano trovati in grave contrasto sugli effetti della votazione, e quindi sulla validità della deliberazione, tra le parti sorge una controversia la quale non può
che essere risolta nelle forme contenziose, per cui la domanda di nomina dell’amministratore da parte
dell’autorità giudiziaria non può essere presa in considerazione fino a quando non sia stata decisa la
controversia, cfr.: App. Roma, 11 luglio 1949, in Foro pad., 1949, I, c. 969; App. Trieste, 28 marzo
1960, in Riv. giur. edilizia, 1960, I, p. 441.
40
Nel senso che i singoli condomini hanno diritto di chiedere ed ottenere dal giudice la nomina di
un amministratore quando l’assemblea omette di provvedere a nominarlo per qualsiasi motivo e non
L’AMMINISTRATORE
777
Nella giurisprudenza di merito si è sostenuto 41 che la nomina dell’amministratore, per la particolare delicatezza ed importanza delle funzioni che tale soggetto deve svolgere nell’ambito del condominio, è stata affidata dalla legge
all’assemblea dei condomini, cioè a coloro nel cui interesse tali funzioni devono
essere esercitate, proprio al fine di permettere che la scelta cada sul soggetto più
idoneo, in relazione alle concrete esigenze del condominio; trattasi di poteredovere funzionale dell’assemblea, nel cui esercizio l’autorità giudiziaria può eccezionalmente sostituirsi solo quando consti, in concreto, l’impossibilità da parte dell’assemblea di provvedere sulla nomina per disaccordo tra i vari condomini. Non
ricorrono, pertanto, i presupposti per la nomina di un amministratore giudiziario
nell’ipotesi in cui l’assemblea dei condomini rinunci a provvedere sulla nomina
dell’amministratore, demandando tale potere direttamente all’autorità giudiziaria.
Tenuto conto della formulazione dell’art. 1129, co. 1°, c.c. («se l’assemblea
non provvede»), si è ritenuto che quando non vi sia stata una previa convocazione dell’assemblea risultata inutile, non possa essere chiesta all’autorità giudiziaria la nomina dell’amministratore giudiziario, per cui correttamente si è affermato che colui il quale agisca in questa sede per la nomina dell’amministratore
deve fornire la prova del disinteresse degli altri condomini ovvero dell’impossibilità di raggiungere le necessarie maggioranze.
In caso contrario si verificherebbe uno scavalcamento dei poteri dell’assemblea e risulterebbero frustrate le possibilità di raggiungere in quella sede, per così
dire istituzionale, i necessari accordi 42. Non è, d’altro canto, sufficiente la probabile impossibilità dell’assemblea a deliberare a causa dell’atteggiamento asseritamente ostruzionistico di un condomino 43.
In altri termini, non è consentito all’assemblea dei condomini demandare direttamente e passivamente all’autorità giudiziaria la nomina dell’amministratore
senza preventivamente accertare in concreto la possibilità di formare una maggioranza.
È opportuno anche sottolineare le differenze tra le previsioni degli artt. 1105 e
1129 c.c. I casi di nomina dell’amministratore giudiziario previsti dall’art. 1105
c.c. dettati con riferimento alla comunione concernono le specifiche ipotesi in
cui non si prendano provvedimenti necessari della cosa comune, non si formi
soltanto nell’ipotesi di impossibilità della nomina dell’amministratore per contrasti sorti in seno all’assemblea, cfr. App. Torino, 22 marzo 1993, in Arch. locazioni, 1993, p. 309.
41
Trib. Napoli, 4 maggio 1971, in Giur. it., 1971, I, 2, c. 963.
42
F. LAZZARO-W. STINCARDINI, L’amministratore del condominio, Giuffrè, Milano, 1982, p. 55.
43
Trib. Udine, 23 ottobre 1995, in Giur. merito, 1996, I, p. 227; nel senso, invece, che non è necessaria la preventiva convocazione dell’assemblea quando la prova certa del disaccordo paralizzante esista aliunde, cfr. App. Milano, 2 aprile 1976, in Monit. trib., 1976, p. 390.
778
Vincenzo Nasini
una maggioranza per la nomina o la delibera adottata non venga eseguita. L’ipotesi prevista dall’art. 1129 c.c. ricorre quando, pur essendo il condominio composto da più di otto partecipanti, l’assemblea non ottemperi all’obbligo di nomina
di un amministratore.
Mentre negli altri casi è rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice
rinvenire nella fattispecie sottoposta al suo esame l’opportunità di provvedere alla nomina, in quest’ultima fattispecie il giudice “deve” provvedere.
Per quanto riguarda il procedimento di nomina la S.C. ha escluso che il provvedimento di nomina dell’amministratore di condominio sia disciplinato dall’art.
59 disp. att. c.c., il quale fa espresso richiamo ai casi previsti dall’art. 1003 c.c., osservando 44 che il collegamento tra la norma di diritto sostanziale e la norma di
attuazione non potrebbe essere più chiaro, per cui appare di tutta evidenza che il
procedimento adottato dall’art. 59 disp. att. c.c., pur essendo regolato da una
norma contenuta tra le disposizioni per l’attuazione del libro terzo del codice,
non riguarda tutti i casi di nomina di amministratore previsti nel predetto libro, ma
si riferisce unicamente alla particolare ipotesi disciplinata dal riferito art. 1003 c.c.
L’atto introduttivo del procedimento deve rivestire, ai sensi dell’art. 737 c.p.c.,
la forma del ricorso e deve essere rivolto al Tribunale del luogo in cui si trova
l’edificio.
Il ricorso non deve essere notificato a tutti i condomini, in quanto la nomina
dell’amministratore, in caso di sua mancanza, è, per il condominio, atto dovuto,
per cui tale ricorso, ove proposto anche da un solo condomino, si configura come
atto compiuto nell’interesse della collettività, traducendosi, pertanto, nella richiesta di un provvedimento dal quale possono trarre beneficio tutti i condomini
in pari misura (compresi, quindi, anche i non ricorrenti), senza che si possano
delineare posizioni conflittuali nel corso del procedimento 45.
Nella giurisprudenza di merito si è sostenuto che il provvedimento con il quale l’autorità giudiziaria provvede alla nomina dell’amministratore è di competenza del Presidente del Tribunale e non del Tribunale in camera di consiglio, tenuto conto, innanzitutto, della natura specifica del provvedimento che, attraverso la
mera indicazione di un nominativo, esaurisce ogni sua efficacia, del tutto al di
fuori di qualsivoglia valutazione che impegni l’attività collegiale dell’organo e non
la qualifica particolare del capo dell’ufficio giudiziario 46.
44
Cass., 12 novembre 1968, n. 3727, in Giust. civ., 1969, I, p. 1298.
R. TRIOLA, op. ult. cit., p. 585.
46
App. Trieste, 28 marzo 1960, in Riv. giur. edilizia, 1960, I, p. 441; implicitamente nel senso che il
provvedimento in questione sarebbe di competenza del Presidente del Tribunale, anche se, a differenza di quello previsto dall’art. 1003 c.c., non sarebbe reclamabile, cfr. Cass., 12 novembre 1968, cit.
45
L’AMMINISTRATORE
779
Tale conclusione troverebbe una conferma sia dalla lettera dell’art. 64 disp.
att. c.c. che da un argomento logico.
Sotto il primo profilo andrebbe considerato che l’art. 64 disp. att. c.c. prevede
espressamente soltanto con riferimento ad alcune ipotesi di revoca dell’amministratore la competenza del Tribunale in camera di consiglio, escludendo, quindi,
implicitamente, che negli altri casi previsti da tale norma (tra i quali è compresa
la nomina dell’amministratore) la competenza spetti all’organo collegiale.
Sotto il secondo profilo occorrerebbe, poi, tenere presente che la competenza
dell’organo collegiale nelle ipotesi previste espressamente dall’art. 64, cit., è giustificata dall’opportunità di una particolare valutazione, la quale, invece, non sussisterebbe per la nomina dell’amministratore. D’altra parte, l’art. 59 disp. att. c.c. prevede espressamente per un caso analogo la competenza del Presidente del Tribunale.
In senso contrario si è osservato 47 che i provvedimenti in tema di volontaria
giurisdizione, ove non sia prevista una diversa competenza, vanno presi dal Tribunale in camera di consiglio, per cui non si può applicare analogicamente l’art.
59 disp. att. c.c., perché non vi è una lacuna da colmare, si tratta di disposizione di
carattere eccezionale e comunque manca l’identità di ratio.
Ad ogni modo, anche volendo ritenere che il legislatore non ha previsto quale
sia il giudice competente a nominare l’amministratore, sarebbe preferibile applicare analogicamente l’art. 64 disp. att. c.c., che afferma espressamente la competenza del Tribunale in camera di consiglio per il provvedimento opposto, cioè
per la revoca dell’amministratore 48.
In base ai principi generali il provvedimento di nomina dell’amministratore è
reclamabile davanti alla Corte d’Appello. Come è stato osservato 49, in senso contrario non è sufficiente invocare la diversità di formulazione tra l’art. 1129, co. 1°,
c.c., che tale sul punto tace e l’art. 64 disp. att. c.c., che invece prevede espressamente il reclamo 50.
47
R. TRIOLA, op. ult. cit., p. 586.
Implicitamente in tal senso, cfr. Trib. Roma, 21 marzo 1957, in Foro it., 1957, I, c. 1327, per il
quale la richiesta di nomina di un amministratore giudiziario proposta nelle forme del giudizio ordinario, e non in quelle espressamente previste dall’art. 64 disp. att. c.c., è inammissibile.
49
R. TRIOLA, op. ult. cit., p. 586 ss.
50
Cass., 13 novembre 1996, n. 9942, per la quale il carattere urgente del provvedimento di nomina
dell’amministratore del condominio è intrinsecamente incompatibile con il reclamo, cioè con il differirne l’efficacia all’esito dell’impugnazione e una conferma si ricava dalla considerazione che la legge,
mentre nulla dispone per il provvedimento di nomina, assoggetta a reclamo il provvedimento di revoca, ai sensi dell’art. 64 disp. att. c.c.; anche per App. Trieste, 28 marzo 1960, cit., non sarebbe ammissibile il reclamo, non essendo stato espressamente previsto; qualora, tuttavia, il ricorso sia stato presentato al Tribunale e questo si sia ritenuto competente a provvedere in sede collegiale, contro il provvedimento si può proporre reclamo, ex art. 742 bis c.p. c., alla Corte d’Appello.
48
26.
780
Vincenzo Nasini
Non è, invece, ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. contro il
provvedimento con il quale la Corte d’Appello si pronuncia sul reclamo, essendo
il ricorso in questione ammesso contro le sentenze e contro i provvedimenti giurisdizionali comunque denominati che abbiano il valore e l’efficacia della sentenza e che quindi risolvano con l’efficacia del giudicato conflitti di posizioni giuridiche soggettive e non avverso provvedimenti di natura amministrativa, anche se
emessi dall’autorità giudiziaria 51.
Quanto ai poteri e alle attribuzioni, e in genere alla disciplina del rapporto, va
evidenziato che, in linea di massima, l’amministratore giudiziario opera con gli
stessi poteri e compiti dell’amministratore nominato dall’assemblea.
Infine va rammentato che non vi sono ragioni per vietare all’assemblea di raggiungere finalmente un accordo maggioritario rispettoso della norma dell’art.
1136 c.c. revocando l’amministratore nominato dal Tribunale.
13. IL COMPENSO DELL’AMMINISTRATORE NOMINATO DALL’ASSEMBLEA …
L’art. 16 del r.d.lgs. 15 gennaio 1934, n. 56, aveva espressamente affermato che
il mandato si presume oneroso, ma la norma non è stata ripresa nel codice civile.
Ad ogni modo, il mandato di amministratore del condominio si presume oneroso.
La risposta positiva alla relativa questione discende dalla presunzione di onerosità stabilita dagli artt. 1709 e 1720 c.c.
La presunzione di cui all’art. 1709 va considerata in relazione con il disposto
dell’art. 1135, n. 1, c.c., che prevede come eventuale la retribuzione dell’amministratore, nel senso che l’assemblea può espressamente determinarsi per la gratuità dell’incarico 52.
La presunzione di onerosità dell’incarico è stabilita juris tantum dalla legge e
può essere superata da una prova contraria che può essere basata su circostanze
quali la prassi esistente presso il condominio di conferire gratuitamente il mandato o il contegno delle parti prima e dopo lo svolgimento delle prestazioni 53.
La giurisprudenza aveva più volte statuito che il compenso per l’amministratore
deve essere fissato dall’assemblea, e non può ragguagliarsi alle tariffe (ancorché
51
Cass., 13 novembre 1996, cit., con riferimento peraltro al ricorso per cassazione proposto avverso l’ordinanza con la quale la Corte d’Appello abbia dichiarato inammissibile il reclamo.
52
Cass., 16 aprile 1987, n. 3774, in Arch. locazioni, 1987, p. 487.
53
Cass., 27 maggio 1982, n. 3233, con riferimento ad una fattispecie in cui l’amministratore nei
cinque anni di espletamento del suo incarico e nei sei anni successivi alla cessazione non aveva avanzato alcuna richiesta di compenso.
L’AMMINISTRATORE
781
predisposte dalle associazioni di categoria), se queste non sono state menzionate
nelle trattative e accettate dai condomini 54.
Come già detto, il nuovo testo dell’art. 1129 c.c. prevede al terz’ultimo comma
che l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina (o del suo rinnovo),
deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta.
Deve ritenersi che, per eadem ratio e anzi a fortiori, qualora si tratti di incarico a
titolo gratuito, tale natura dell’incarico dovrà essere specificata all’atto della nomina, anche in considerazione della presunzione di onerosità.
La S.C. aveva affermato che l’amministratore cessato alla carica ha diritto al
compenso anche per il periodo in cui ha continuato a svolgere le sue funzioni ad
interim, secondo i criteri stabiliti nel periodo precedente 55. La situazione deve ora
ritenersi mutata, per effetto dell’art. 1129, co. 8°, c.c., il quale stabilisce che l’amministratore cessato dalla carica (tra l’altro) deve eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.
L’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento
dei suoi compiti istituzionali e non esorbitante dal mandato con rappresentanza,
deve ritenersi compresa, secondo la S.C., quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale e non deve, perciò, essere retribuita a parte 56.
In linea con quanto già statuito dalla giurisprudenza sul punto 57 deve ritenersi
non siano dovuti compensi particolari per la partecipazione alle assemblee
straordinarie, che rientra tra i compiti e tra gli obblighi del mandato, anche in
considerazione del fatto che, in base all’art. 1129, terz’ultimo comma, c.c.,
l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina (o del suo rinnovo), deve
54
Cass., 12 marzo 2003, n. 3596, in Foro it., 2003, I, c. 1754.
Cass., 14 giugno 1976, n. 2214.
56
Cass., 12 marzo 2003, n. 3596, in Foro it., 2003, I, c. 1754; Cass., 28 aprile 2010, n. 10204. Nella
giurisprudenza di merito cfr.: a) Trib. Monza, 27 giugno 1985, in Arch. locazioni, 1985, p. 175, che ha
ritenuto infondata la tesi dell’amministratore secondo la quale l’attività di gestione del fondo di accantonamento per lavori straordinari, di compilazione delle bollette e relativi avvisi di pagamento, di consulenze svolte in relazione ai lavori di manutenzione straordinaria, di riunioni del consiglio di condominio, di istruzione delle pratiche per ricorsi; b) Trib. Perugia, 15 novembre 1999, in Dossier condominio, 2001, p. 38, la quale ha ritenuto infondata la pretesa di un compenso autonomo per l’attività straordinaria espletata per la convocazione e tenuta di assemblee straordinarie e di riunioni con i rappresentanti di scale, nonché nell’assistenza amministrativa prestata in occasione di opere di manutenzione
straordinaria concesse in appalto alle imprese; c) App. Genova, 29 maggio 2001, in Arch. locazioni, 2001,
p. 565, la quale ha rigettato la domanda di un compenso aggiuntivo una relazione all’avvenuta esecuzione di lavori straordinari per il rifacimento del tetto.
57
Cass., 12 marzo 2003, cit.
55
782
Vincenzo Nasini
specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a
titolo di compenso per l’attività svolta.
Si è in proposito osservato che è pur vero che la presenza in assemblea non è
espressamente contemplata tra le attribuzioni dell’amministratore stabilite dagli
art. 1130 e 1131 c.c., ma ciò non significa che l’amministratore non sia tenuto a
partecipare alle riunioni del collegio. Secondo le disposizioni del codice civile,
infatti, i rapporti tra l’amministratore e l’assemblea sono strettissimi. Invero, dal
codice si prevede che l’assemblea nomini e revochi l’amministratore, fissi il suo
eventuale compenso (artt. 1129 e 1135, n. 1), gli conferisca maggiori poteri (art.
1131, co. 1°), e decida i ricorsi proposti dai condomini contro i suoi provvedimenti (art. 1133); che l’amministratore proceda alla convocazione dell’assemblea ordinaria e straordinaria (art. 66 disp. att.); esegua le deliberazioni dell’assemblea (art. 1130, n. 1), e all’assemblea dia notizia delle cause proposte contro
il condominio, le quali esorbitano dalle sue attribuzioni (art. 1131, co. 3°).
In altre parole, in considerazione dei compiti che gli sono specificamene attributi dalla legge (artt. 1130 e 1131 c.c.), e delle attività preparatorie e strumentali
che dei primi costituiscono il necessario completamento, l’amministratore, quale
mandatario dei condomini, svolge le funzioni che metaforicamente possono definirsi di organo esecutivo del collegio, da cui riceve ordini, direttive, indicazioni,
suggerimenti. Il che spiega la prassi diffusa, osservata uniformemente e costantemente con la convinzione della sua corrispondenza ad una giuridica necessità, secondo cui l’amministratore partecipa sempre all’assemblea e solitamente funge da
segretario.
La presenza in assemblea, invero, permette all’amministratore di capire i bisogni, le istanze, gli intendimenti dei condomini: di non accontentarsi del mero decisum, ma di rendersi conto dell’iter formativo degli atti e di apprezzare la volontà
effettiva dei partecipanti, in modo da eseguire le delibere in modo fedele e puntuale. Pertanto, sebbene tra i compiti dell’amministratore enumerati dal codice
non sia espressamente prevista la sua partecipazione all’assemblea, ordinaria o
straordinaria, in ragione dei rapporti di diritto e di fatto che tra l’amministratore e
l’assemblea intercorrono ed avuto riguardo a ciò che comunemente avviene sulla
base del convincimento di osservare un imperativo giuridico, la sua presenza alle
riunioni del collegio deve ritenersi compresa tra i compiti istituzioni di amministrazione.
Siccome trattasi di attività connessa con lo svolgimento delle funzioni amministrative ed indispensabile per il loro compimento, la partecipazione all’assemblea, ordinaria o straordinaria, deve ritenersi compensata dal corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico. Perciò, salva diversa deliberazione, non deve essere retribuita a parte. A ciò si deve aggiungere che sarebbe assur-
L’AMMINISTRATORE
783
do consentire all’amministratore, cui è demandato il compito di convocare l’assemblea ordinaria e straordinaria, di incrementare il suo compenso, con iniziative
più o meno giustificate, convocando a suo piacimento l’assemblea dei condomini
in sessione straordinaria.
Il compenso determinato dall’assemblea ai sensi dell’art. 1135 c.c. o, in mancanza, dal giudice ai sensi dell’art. 1709 c.c., è legato al rapporto sinallagmatico con
le prestazioni professionali della misura prevista per l’amministrazione ordinaria.
Le deliberazioni concernenti la determinazione del compenso da corrispondere all’amministratore riflettono affari di ordinaria amministrazione e, pertanto,
a norma dell’art. 67, co. 3°, disp. att. c.c., devono essere adottate dall’assemblea
con la preventiva convocazione e con il voto dell’usufruttuario del singolo piano
o porzione di piano, non del nudo proprietario 58.
Quando il regolamento condominiale stabilisca la corresponsione di un compenso all’amministratore la determinazione di questo costituisce un argomento
strettamente connesso alla nomina dell’amministratore medesimo, con la conseguenza che non è necessaria una sua espressa indicazione nell’avviso di convocazione in cui sia stata fatta menzione di detta nomina 59.
14. … E DELL’AMMINISTRATORE NOMINATO DALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA
Nella giurisprudenza di merito si è affermato, con riferimento alla comunione,
ma con argomentazioni estensibili anche al condominio 60, che, non essendo l’amministratore nominato dall’autorità giudiziaria un mandatario dei condomini, la
liquidazione del compenso spettantegli non può essere effettuata secondo la
norma di cui all’art. 1709 c.c. In applicazione del principio generale – indiscutibilmente valido (oltre che per i consulenti e per gli altri ausiliari del giudice) specialmente per i custodi (ai quali, secondo l’art. 65 c.p.c., è affidata «la conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati») – in forza del quale il compenso è
normalmente stabilito con decreto dall’autorità giudiziaria che ha nominato
l’ausiliario, anche per l’amministratore in questione (pur non trattandosi – stricto
sensu – di un ausiliare) il compenso andrebbe determinato e liquidato dall’autorità giudiziaria che lo ha nominato, la quale può valutare concretamente se le prestazioni da compensare rientrino o meno nei limiti delle funzioni attribuite
all’amministratore medesimo.
58
Cass., 12 gennaio 1978, n. 124.
Cass., 9 gennaio 1967, n. 89, in Riv. giur. edilizia, 1967, I, p. 547.
60
Trib. Vicenza, 28 gennaio 1971, in Giur. it., 1972, I, 2, c. 238.
59
784
Vincenzo Nasini
In senso contrario si è osservato 61 che gli ausiliari del giudice, a differenza dell’amministratore, una volta espletato l’incarico, devono rendere conto al giudice
del modo in cui hanno svolto l’attività ed il giudice provvede alla fissazione definitiva dell’ammontare del compenso.
In effetti anche l’amministratore del condominio nominato dal giudice è un
mandatario dei partecipanti alla comunione ed è proprio in tale veste che deve rispondere dell’amministrazione dei beni comuni, non già al giudice, ma ai condomini, secondo i principi che regolano il rapporto di mandato; e ciò è tanto vero che
la maggioranza dei condomini ben può deliberare la nomina di un amministratore
diverso da quello nominato dall’autorità giudiziaria, senza fare ricorso a questa, revocando in tal modo e privando di efficacia lo stesso provvedimento di nomina.
Secondo la S.C. anche nell’ipotesi in cui il regolamento di un condominio edilizio preveda la gratuità dell’incarico dell’amministratore da scegliersi a turno tra i
condomini, ove l’amministratore stesso sia stato nominato dall’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1129 c.c., gli oneri relativi alla sua retribuzione sono a carico
di tutti i partecipanti al condominio, tenuti per legge a contribuire alle spese necessarie per il godimento della cosa comune e per i servizi relativi 62.
15. LA CESSAZIONE DALL’INCARICO; LE DIMISSIONI; LA PROROGATIO
Non vi è mai stato dubbio in ordine al fatto che l’amministratore possa rinunciare all’incarico, conclusione del resto conforme alla normativa e all’istituto del
mandato.
D’altro canto la legge di riforma del condominio 11 dicembre 2012, n. 220, fa
reiteratamente riferimento alle “dimissioni” dell’amministratore e all’amministratore “dimissionario”. Tale decisione può essere fondata o meno su una giusta
causa. Nella seconda ipotesi, in applicazione dell’art. 1727 c.c., l’amministratore
dovrà rispondere degli eventuali danni subiti dal condominio.
Le dimissioni, quale atto recettizio, ai fini della loro efficacia, devono essere
portate a conoscenza del condominio. A tal fine l’amministratore potrà anche
convocare ad hoc un’assemblea oppure inviare una comunicazione a tutti i condomini 63. Non è comunque necessario, ai fini della loro efficacia, che le dimissioni vengano accettate.
61
L. SALIS, Compenso all’amministratore della comunione nominato dall’autorità giudiziaria, in Riv.
giur. edilizia, 1973, I, c. 53.
62
Cass., 12 febbraio 1988, n. 1513.
63
Nel senso che le dimissioni devono essere rassegnate all’assemblea, cfr. F. LAZZARO-W. STINCARDINI, op. cit., p. 76.
L’AMMINISTRATORE
785
Un’eventuale accettazione avrebbe il valore di un semplice riconoscimento
della esistenza di un valido motivo (o della intenzione di non affrontare tale
aspetto), liberando l’amministratore dalle eventuali responsabilità connesse con
la anticipata cessazione dall’incarico 64.
Viceversa, una mancata accettazione delle dimissioni non avrebbe l’effetto della permanenza in carica dell’amministratore fino alla scadenza del mandato, ma
solo la riserva di chiedere il risarcimento dei danni per inesistenza di giusta causa.
Secondo l’orientamento dominante in dottrina 65 ed in giurisprudenza 66, in
virtù dell’istituto della prorogatio, l’amministratore di un condominio di un edificio, cessato dalla carica per scadenza del termine previsto dall’art. 1129 c.c. o per
dimissioni, fino a quando non sia stato sostituito, con la nomina di altro amministratore, continua ad esercitare tutti i poteri previsti dall’art. 1130 c.c. attinenti
alla vita normale ed ordinaria del condominio.
Si è affermato che l’istituto della prorogatio trova applicazione anche nei casi
di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera, con la conseguenza che l’assemblea può validamente essere convocata dall’amministratore la
cui nomina sia stata dichiarata illegittima, non ostando al riguardo il dettato di
cui all’art. 66, co. 2°, disp. att. c.c., in quanto il potere di convocare l’assemblea, da
tale norma attribuito a ciascun condomino, presuppone la mancanza dell’amministratore, che è ipotesi diversa da quella che si verifica nei casi di cessazione per
qualsivoglia causa del mandato dell’amministratore o di illegittimità della sua
nomina 67.
Ne consegue che l’amministratore deve continuare a provvedere, durante la
gestione interinale, all’adempimento delle incombenze ed attribuzioni previste
dall’art. 1130 c.c. e così a riscuotere i contributi condominiali 68 e ad erogare le
spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e
per l’esercizio dei servizi comuni 69.
L’amministratore conserva il potere di agire in giudizio e di rappresentare in
64
F. LAZZARO-W. STINCARDINI, op. cit., p. 77.
G. BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca,
Zanichelli-Foro italiano, Bologna-Roma, 1982, p. 558.
66
Cass., 27 marzo 2003, n. 4531, in Vita not., 2003, p. 862; Cass., 21 dicembre 1987, n. 9501;
Cass., 6 dicembre 1986, n. 7256, in Giur. it., 1987, I, 1, c. 1202.
67
Cass., 23 gennaio 2007, n. 1405, in Giust. civ., 2007, I, p. 587.
68
Cass., 12 novembre 1968, n. 3277, in Giust. civ., 1969, I, p. 1298.
69
Cass., 25 marzo 1993, n. 3588, per la quale in caso di ritardata presentazione delle denunce contributive o di ritardato pagamento dei contributi previdenziali dovuti per il portiere, l’amministratore è
tenuto a rivalere il condominio delle somme da questo versate all’INPS a titolo di sanzioni amministrative.
65
786
Vincenzo Nasini
questo il condominio 70. D’altro canto, l’amministratore del condominio che, cessato dalla carica per scadenza del termine previsto dall’art. 1129 c.c., continui ad
esercitare i suoi poteri ad interim, sino a che venga sostituito da altro amministratore nominato dall’assemblea ha diritto, per il periodo di interinato, ad essere
compensato secondo i criteri stabiliti per il periodo precedente 71.
Si è soltanto precisato che il principio secondo cui l’amministratore di un
condominio, anche dopo la cessazione dalla carica, per scadenza del termine di
cui all’art. 1129 c.c. o per dimissioni, conserva ad interim i suoi poteri e può continuare ad esercitarli fino a che non sia stato sostituito da altro amministratore,
fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta perpetuatio di poteri
all’interesse ed alla volontà dei condomini, non può trovare applicazione quando
risulti, viceversa, una volontà di questi ultimi, espressa con deliberazione dell’assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore cessato dall’incarico 72.
Secondo l’indirizzo dominante, il fenomeno della prorogatio trae la propria legittimità nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore più che da esigenze
pubblicistiche di continuità dell’ufficio 73, in quanto, sulla scorta delle norme sul
mandato, la prorogatio non sarebbe affatto concepibile, poiché in forza dell’art.
1722, n. 1, c.c., il mandato si estingue ipso jure con la scadenza del termine.
D’altronde proprio in considerazione del fatto che ogni singolo condomino,
nel caso di inerzia dell’assemblea, possa agire per le vie legali al fine di ottenere la
70
Cass., 21 dicembre 1987, cit.; Cass., 6 dicembre 1986, cit.; Cass., 20 aprile 1970, n. 1137; Cass.,
21 ottobre 1961, n. 2293, in Riv. giur. edilizia, 1962, I, p. 39; per Cass., 24 gennaio 1994 n. 705, la parte
che, dopo avere agito nei confronti di un condominio, nella persona dell’amministratore, ne contesta il
potere di rappresentanza per dedurre l’inammissibilità del ricorso per cassazione da questo proposto,
ha l’onere di fornire la prova della sua eccezione, concretandosi questa nell’allegazione di un fatto
estintivo o modificativo dell’incarico, che non può essere presunto dal mero decorso dell’anno di durata di questo incarico, atteso che la disposizione dell’art. 1129 c.c., secondo la quale l’amministratore
nel condominio degli edifici dura in carica un anno, non sancisce una decadenza ope legis e non esclude, pertanto, la proroga dei poteri di rappresentanza dell’amministratore fino alla sua sostituzione con
altro amministratore da parte dell’assemblea dei condomini o del giudice. Nel senso che successivamente a tale evento l’amministratore cessato e sostituito non ha l’obbligo né il potere di costituirsi in
giudizio per difetto dell’interesse a contraddire, permanendo a suo carico solo l’obbligo di dare notizia
al nuovo amministratore delle pretese azionate in giudizio, mediante comunicazione dell’atto notificato, attesa la conservazione di un dovere di diligenza, anche dopo l’estinzione del mandato, in relazione
ai fatti verificatisi nell’epoca di operatività del mandato stesso o comunque ad esso collegabili, cfr.
Cass., 4 luglio 2011, n. 14589.
71
Cass., 14 giugno 1976, n. 2214.
72
Cass., 5 febbraio 1993, n. 1445, in Riv. giur. edilizia, 1993, I, p. 791.
73
Cass., 27 febbraio 2003, cit.; Cass., 23 gennaio 2007, cit.
L’AMMINISTRATORE
787
nomina di un nuovo amministratore, ma non lo faccia, sottolinea il fatto che effettivamente la prosecuzione provvisoria della carica sia conforme all’interesse ed
alla volontà dei condomini.
In senso contrario si è osservato 74 che la prorogatio dei poteri dell’amministratore del condominio non è prevista da alcuna norma ed è da dimostrare che l’art.
2385, co. 2°, c.c. (il quale stabilisce che la cessazione degli amministratori per
scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito) sia espressione di un principio generale, ove se ne volesse, in teoria, sostenere l’applicazione analogica. A ciò va aggiunto che la prorogatio di fatto degli organi amministrativi non costituisce un principio di carattere
generale dell’ordinamento e che in armonia con i principi di cui all’art. 97 Cost.
ogni proroga dei poteri di organi, dopo la loro scadenza, può aversi soltanto se
prevista espressamene dalla legge e nei limiti da questa indicati 75.
Non va neppure dimenticato che, in base all’art. 2386, ult. co., c.c., la cessazione dalla carica dell’amministratore unico, che è l’ipotesi che presenta maggiore affinità con la cessazione dall’incarico dell’amministratore del condominio, ha
effetto immediato.
Per quanto riguarda specificamente l’ipotesi delle dimissioni, infine, non si
vedrebbe quale sia il fondamento giuridico del permanere dell’obbligo dell’amministratore di continuare a svolgere le sue mansioni.
Il problema va ora esaminato in considerazione del fatto che l’art. 1129 c.c.,
nella formulazione assunta a seguito della riforma del condominio, prevede (co.
8°) che alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto ad eseguire le attività
urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori
compensi.
16. LA CONFERMA DELL’AMMINISTRATORE USCENTE ED IL PROBLEMA DELLE MAGGIORANZE
La questione relativa alla conferma dell’amministratore uscente si ricollega a
quella già affrontata in precedenza della durata del rapporto e del c.d. rinnovo tacito.
Va rammentato che, secondo l’orientamento dominante in dottrina 76 ed in giu74
R. TRIOLA, op. ult. cit., p. 593 ss. Nel senso che l’istituto della prorogatio in materia di condominio, in quanto mutuato dal diritto amministrativo, mal si attaglia alla natura privatistica del rapporto,
cfr. M. DOGLIOTTI-A. FIGONE, op. cit., p. 390.
75
Corte cost., 4 maggio 1992, n. 208, in Foro it., 1993, I, c. 59.
76
G. BRANCA, in nota senza titolo a Cass., 29 luglio 1978, n. 3797, in Foro it., 1978, I, c. 2445, ha osservato che dopo un anno chi ha amministrato il condominio scade per legge, per cui occorrerà eleggere
788
Vincenzo Nasini
risprudenza, il fatto che l’art. 1135 c.c. preveda tra le attribuzioni dell’assemblea la
conferma dell’amministratore non significa che per la relativa deliberazione si possa prescindere dalla maggioranza qualificata richiesta per la nomina dall’art. 1136,
co. 4°, c.c., in quanto con l’art. 1135 c.c. si è inteso semplicemente chiarire che all’assemblea spetta non solo il potere-dovere di nominare ex novo l’amministratore,
ma anche quello di confermare per uno o più anni l’amministratore in precedenza
nominato, ferma restando, quanto ai quorum, la disciplina prevista dall’art. 1136,
co. 4°, c.c. 77, in quanto sono identici gli effetti che derivano dalla conferma o dalla
nomina 78.
In sostanza la conferma dell’amministratore è esplicitamente presa in considerazione dall’art. 1135 c.c. a proposito delle attribuzioni dell’assemblea dei condomini, nell’intento di precisare che non soltanto la nomina iniziale di cui all’art.
1129 c.c., ma anche il nuovo incarico debba provenire dall’assemblea, essendo in
entrambi i casi necessario che l’amministratore riceva piena fiducia dai condomini per l’espletamento dell’incarico.
Nomina ex novo e conferma differiscono non in ordine al contenuto e agli effetti
giuridici, ma solo per la circostanza che la conferma riguarda la persona già in precedenza nominata, mentre la nomina ex novo riguarda una diversa persona fisica 79.
In senso contrario è stato peraltro osservato 80 che se il legislatore, con l’art.
1135, n. 1, c.c., avesse inteso soltanto stabilire che l’assemblea può procedere ad
una nuova nomina dell’amministratore il cui incarico sia scaduto, tale norma dovrebbe considerarsi superflua, in quanto diretta ad eliminare dubbi di cui non si
comprende il fondamento. A ciò andrebbe aggiunto che tale previsione avrebbe
trovato la sua più logica collocazione nell’art. 1129 c.c., che prevede espressamente la durata in carica dell’amministratore.
Il fatto, invece, che la conferma non sia una nuova nomina si ricaverebbe dalun nuovo amministratore e il problema che si pone per il condominio è quello di una nomina, che, se si
tratta del vecchio amministratore, si chiamerà più propriamente “conferma”. In definitiva il rinvio operato
dall’art. 1135 c.c., che parla di conferma, agli articoli precedenti, tra i quali vi è l’art. 1129 c.c., che prevede
la nomina, non servirebbe a distinguere la nomina dalla conferma, ma solo per esplicitare che dopo l’anno
può essere confermato l’amministratore in carica. Per R. ROVELLI-G. CAVIGLIONE, Il condominio negli
edifici, Utet, Torino, 1978, p. 663 ss., la differenza terminologica tra l’art. 1129 e l’art. 1135 c.c. non sembra nascondere sostanziali problemi, in quanto nell’art. 1129 c.c. si avrebbe soprattutto riguardo all’obbligatorietà rispetto ad una fase iniziale nella quale manchi la figura dell’amministratore, mentre nell’art.
1135 c.c. si farebbe riferimento alla conferma per precisare che occorre una deliberazione anche per confermare per la durata di un altro anno l’amministratore in carica.
77
Cass., 4 maggio 1994, n. 4269.
78
Cass., 5 gennaio 1980, n. 71, in Giur. it., 1980, I, 1, c. 555.
79
Cass., 29 luglio 1978, n. 3797, in Riv. giur. edilizia, 1979, I, p. 737.
80
R. TRIOLA, op. ult. cit., p. 594 ss.
L’AMMINISTRATORE
789
l’art. 1130, ult. co., c.c., in base al quale l’amministratore «alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione» e dall’art. 1129, co. 3°, c.c., il quale
prevede che l’amministratore può essere revocato se per due anni non ha «reso il
conto della sua gestione».
Se, infatti, la conferma dovesse comportare una nuova nomina, tali disposizioni non potrebbero trovare pratica attuazione, non essendo concepibile una
gestione di durata biennale. Da un punto di vista letterale, poi, “conferma” vuol
dire proroga e non nuova nomina.
Né si potrebbe sostenere che la conferma è atto di minore importanza della
nomina, in quanto la decisione della conferma dell’amministratore in carica, importando necessariamente la valutazione di come questi ha assolto in precedenza il
suo mandato, può essere occasione di profondi contrasti tra i condomini, d’onde
l’opportunità che a decidere sia la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c. 81.
Sempre in dottrina si era osservato 82 che la conferma è un atto di ordinaria
amministrazione, come risulta indirettamente dal fatto che l’art. 1136, co. 4°, c.c.
parla soltanto di nomina e di revoca e non anche di conferma e dal fatto che la
nomina implica una scelta in cui è in gioco l’elemento fiducia, in quanto si affida
l’amministrazione ad uno sconosciuto, mentre nella conferma l’elemento fiducia
è già scontato, essendovi stato il collaudo di un anno di gestione e l’approvazione
del relativo rendiconto.
Sembra invece indubitabile che il mero fatto che l’amministratore uscente sia
già conosciuto ai condomini, conoscenza che può comportare una valutazione
positiva, ma anche negativa del suo operato, non costituisca una valida ragione a
sostegno della tesi che sia sufficiente per la conferma una maggioranza più esigua,
ma anzi costituisca semmai un motivo in più per rafforzare l’opinione che debba
essere la stessa maggioranza che l’ha nominato a dover esprimere quel giudizio di
gradimento per il suo operato che sta alla base della sua eventuale riconferma.
Si è affermato anche che l’art. 1129 c.c. vede la nomina da un punto di vista
statico, in relazione al momento dell’atto con cui si designa l’amministratore
mentre l’art. 1135 c.c., la considera dinamicamente, nello svolgimento del rapporto di amministrazione 83.
È stato anche addotto che non serva dedurre 84 che l’ordine del giorno dell’assemblea condominiale ha di regola come oggetti coevi sia la conferma dell’amministratore in carica che l’eventuale nomina di altro amministratore; se la confer81
Trib. Vigevano, 8 agosto 1969, in Riv. giur. edilizia, 1968, I, p. 1031.
A. VISCO, Sulla efficienza delle clausole dei regolamenti condominiali, in Nuovo dir., 1971, p. 236.
83
A.G. CIANCI, La soggettività dell’amministratore di condominio, in Giust. civ., 2002, II, p. 3.
84
Cass., 29 luglio 1978, cit.
82
790
Vincenzo Nasini
ma costituisse un atto diverso dalla nomina, non sarebbe possibile stabilire a
priori, in sede di seconda convocazione, la validità della costituzione dell’assemblea, dal momento che i co. 2° e 3° dell’art. 1136 c.c. richiedono diversi quorum,
in quanto, a prescindere dal fatto che adducere incumveniens non est solvere argumentum, sarebbe facile replicare che l’eventuale inesistenza del quorum costitutivo per la nomina ex novo dell’amministratore comporta soltanto l’impossibilità di
adottare una delibera in tal senso, non anche la impossibilità di confermare l’amministratore precedente.
Sulla base di tali considerazioni, sempre secondo la dottrina minoritaria citata
e in contrasto con la dottrina e la giurisprudenza prevalente, per la conferma dell’amministratore uscente sarebbe sufficiente la maggioranza di cui all’art. 1136,
co. 3°, c.c. 85.
Illustrate le posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza sulla questione che
ci occupa, è necessario però riesaminarla alla luce della nuova formulazione dell’art. 1129 c.c. in tema di durata e di rinnovo, e valutare come possa collegarsi con
la norma citata il fatto che il n. 1 del co. 1° dell’art. 1135, rimasto invariato, continui a conferire all’assemblea il potere di confermare l’amministratore.
Da un lato è, infatti, chiaro che quando si parla di conferma non ci si può che
riferire all’amministratore uscente, mentre, dall’altro lato, la conferma può essere
adottata solo con una delibera e che pertanto l’assemblea deve essere convocata
per assumerla.
Non si spiega allora come sia possibile prevedere contemporaneamente il rinnovo tacito dell’amministratore e il potere/attribuzione dell’assemblea (che, ove
i condomini siano più di otto diventa un obbligo nei rapporti interni al condominio) di adottare una delibera di conferma del medesimo, senza incorrere in una
palese contraddizione in adiecto.
Sembra più logico ritenere che il legislatore sia incorso in una evidente svista
nella carenza di coordinamento tra le due norme, una modificata e l’altra rimasta
intatta.
17. LE ATTRIBUZIONI DELL’AMMINISTRATORE. PREMESSE
Le attribuzioni dell’amministratore sono elencate dall’art. 1130 c.c., nella sua
nuova formulazione, norma che va coordinata con altre disposizioni del codice,
sia di vecchia che di nuova formulazione, e in particolare con gli artt. 1129 e1135
c.c., che a sua volta disciplina le attribuzioni dell’assemblea dei condomini, pre85
In tal senso, cfr. Trib. Roma, 15 maggio 2009, in Diritto & Giustizia, 2010.
L’AMMINISTRATORE
791
vedendo anche che quest’ultima debba deliberare, oltre che, come già visto, in
ordine alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione, anche
in merito:
a) all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla
relativa ripartizione tra i condomini;
b) all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego
del residuo attivo di gestione;
c) alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, obbligatoriamente
(e non semplicemente “se occorre”, un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori
Anche il nuovo testo dell’art. 1135 c.c. specifica che l’amministratore non può
ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.
Secondo una tradizionale classificazione 86 le funzioni dell’amministratore venivano distinte in attività di rappresentanza e attività di gestione delle cose comuni.
A sua volta questa seconda funzione veniva solitamente distinta in normativa
(disciplina delle cose comuni), funzionale (osservanza del regolamento), esecutiva (obbligo di porre in atto le deliberazioni assembleari), conservativa (tutela
dei diritti dei condomini e vigilanza sull’edificio), contabile (predisposizione del
bilancio preventivo e rendiconto di gestione di fine anno) e coercitivo-disciplinare nei confronti dei condomini.
In ogni caso la dottrina ha sempre concordato nel ritenere che i poteri dell’amministratore di cui all’articolo in esame attenessero all’ordinaria amministrazione e che l’elencazione di tali poteri fosse esemplificativa e non tassativa.
Balza all’evidenza, nell’esame del nuovo testo non solo dell’art. 1130 c.c., ma
anche delle altre norme della legge di riforma del condominio contenenti riferimenti alle attribuzioni e ai doveri dell’amministratore, come questi risultino di
gran lunga incrementati, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.
Poiché l’art. 1130 c.c. non è compreso tra le nome definite inderogabili dall’art. 1138 c.c. neppure nella sua nuova formulazione che riproduce in toto quella
precedente, sia l’assemblea che il regolamento di condominio possono sia privare
l’amministratore di alcune funzioni, sia, al contrario, attribuirgliene altre e diverse.
La derogabilità dell’art. 1130 c.c. ha indotto la S.C. ad ammettere che il regolamento condominiale possa legittimamene sottrarre all’amministratore, e quindi conferire all’assemblea, il potere di decidere autonomamente in ordine al
86
A. VISCO, Le case in condominio, vol. I, Giuffrè, Milano, 1967, p. 398.
792
Vincenzo Nasini
compimento di eventuali atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni
dell’edificio, subordinando alla decisione dell’organo collegiale l’esercizio da parte dell’amministratore della relativa azione giudiziaria 87.
In dottrina si è sostenuto che l’assemblea, essendo provvista di una competenza generalizzata, può in ogni momento sostituirsi all’amministratore e privarlo
dei suoi poteri in base al criterio di normale revocabilità del mandato di cui all’art. 1723 c.c. 88.
Né sarebbe ravvisabile un interesse giuridico dell’amministratore all’esecuzione dell’attività gestoria delle cose comuni, in forza di un obbligo assunto in tal
senso dall’assemblea, tale da rendere irrevocabile il mandato ai sensi dell’art.
1723, co. 2°, c.c., essendo, piuttosto, il potere di rappresentanza dell’amministratore unicamente orientato alla tutela dell’interesse comune e cioè alla tutela
dell’interesse espresso dalla maggioranza dei condomini all’utilizzazione ed al godimento delle parti comuni 89.
Si è, pertanto, concluso 90 che le attribuzioni gestorie dell’amministratore non
sembrano privare l’assemblea della competenza a deliberare circa l’amministrazione delle cose comuni, dovendosi comprendere il potere di amministrare nel
contenuto del diritto di condominio e nella generalizzata competenza dell’assemblea si include la facoltà di modificare o di ridurre –mediante approvazione di
norma regolamentare o di deliberazione adottata con la stessa maggioranza di cui
all’art. 1138, co. 3°, c.c. – le attribuzioni sostanziali dell’amministratore, fino al
punto di sostituirvisi nelle decisioni di gestione, sia pure sempre per taluni affari
o per un tempo definito, in nodo da non lasciare il condominio privo dell’indispensabile rappresentante voluto dal codice. Poco conta che i poteri appaiano
conferiti all’amministratore – mandatario direttamente dalla legge, atteso che il
mandato voluto dall’art. 1130 c.c. persegue esclusivamente gli interessi dei condomini mandanti. Per l’intima connessione esistente tra mandato e rappresentanza processuale, poi, ridotte le attribuzioni sostanziali dell’amministratore, ne
verrebbe corrispondentemente limitata pure la rappresentanza processuale.
87
Cass., 8 settembre 1997, n. 8719, in Vita not., 1998, p. 178.
R. CORONA, Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Giappichelli, Torino, 2001, p.
228, nota 11.
89
C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, Giuffrè, Milano, 1999, p. 522, per il quale l’amministratore agisce per conto del condominio e non può quindi opporsi a che il condominio decida e compia atti che lo concernono. Nel senso che all’assemblea sarebbe consentito di rimodellare anche in misura rilevante la sfera di attribuzioni delineata dall’art. 1130 c.c., cfr. M. BASILE, Regime condominiale ed
esigenze abitative, Giuffrè, Milano, 1992, p. 85.
90
A. SCARPA, Il sindacato dell’assemblea sulle attribuzioni sostanziali e processuali dell’amministratore
di condominio, in AA.VV., I rapporti tra assemblea e amministratore di condominio, Giuffrè, Milano,
2005, p. 172 ss.
88
L’AMMINISTRATORE
793
Tale possibilità dell’assemblea di ridurre o ampliare le attribuzioni dell’amministratore incontra peraltro due ordini di limitazioni:
a) deve trattarsi comunque di attribuzioni riguardanti le parti comuni non le
proprietà esclusive e neppure la soluzione di conflitti tra i partecipanti al condominio. Ne consegue che pur in presenza di autorizzazione assembleare è carente
di legittimazione ad agire l’amministratore del condominio riguardo alle azioni
spettanti ai singoli condomini in relazione al loro diritto di proprietà esclusiva 91;
b) l’assemblea può privare l’amministratore di talune sue attribuzioni ma non
di tutte le sue attribuzioni perché ciò equivarrebbe sostanzialmente a una revoca
surrettizia e concretizzerebbe perciò una violazione dell’art. 1129 c.c., che è norma inderogabile.
Va però anche rilevato che la questione sopra esaminata va ora inquadrata alla
luce del fatto che tra le attribuzioni nuove previste dall’art. 1130 c.c. ne esistono
alcune previste dall’art. 1129 c.c. (norma della quale è sancita espressamente l’inderogabilità) dal cui mancato adempimento possano derivare conseguenze rilevanti o sotto il profilo della nullità della delibera di nomina o della responsabilità
dell’amministratore o della sua revoca da parte dell’autorità giudiziaria.
Per concludere la disamina di questo aspetto del rapporto va precisato che,
mentre è consentito all’amministratore demandare all’assemblea decisioni che gli
competerebbero, al contrario egli non può, per il carattere fiduciario del mandato, delegare la sua funzione di rappresentanza ad altri che non sia l’assemblea.
Può invece ritenersi consentita la possibilità di avvalersi dell’opera di collaboratori o dipendenti.
Le decisioni dell’amministratore sono obbligatorie per i singoli condomini i
quali possono solo fare ricorso all’assemblea ex art. 1133 c.c., norma rimasta inalterata.
18. LA CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA, LA PARTECIPAZIONE ALLA STESSA DELL’AMMINISTRATORE E IL SUO RUOLO IN TALE SEDE
In ordine al potere/dovere di convocazione dell’assemblea e alle modalità con
le quali tale attribuzione deve essere esplicata, l’art. 1130, co. 1°, c.c. prevede al
numero 1) l’obbligo per l’amministratore di convocare l’assemblea annualmente
per l’approvazione del rendiconto condominiale di cui all’art. 1130 bis.
Va rilevato a tal proposito che, mentre in precedenza costituiva specifico mo91
App. Cagliari, 11 dicembre 1959, in Riv. giur. edilizia, 1960, I, p. 247.
794
Vincenzo Nasini
tivo di revoca giudiziale la mancata resa del conto per due anni (che per giurisprudenza univoca dovevano intendersi come “consecutivi”), per il nuovo testo
dell’art. 1129 c.c., assurge a grave irregolarità ai fini della revoca da parte dell’autorità giudiziaria l’omessa convocazione tout court dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto.
Ne consegue che diventa in tal modo sufficiente, ai fini della revoca giudiziale,
l’omessa convocazione annuale dell’assemblea per tale adempimento.
Si è poi posto il problema in dottrina e in giurisprudenza se l’amministratore
sia tenuto a partecipare all’assemblea.
Sul solo presupposto dell’inesistenza dell’espressa previsione di un obbligo in
tal senso, non sembra possa escludersi tale necessità. L’opinione negativa, infatti,
tiene conto esclusivamente delle disposizioni del codice civile in materia di condominio negli edifici.
Non devesi tuttavia dimenticare che, come più volte rilevato, il rapporto tra
condominio e amministratore è regolato anche dalle norme sul mandato e pertanto, in forza dell’art. 1708 c.c., comprende non solo gli atti per i quali è stato
conferito, ma anche quelli che siano «necessari al loro compimento».
Dobbiamo quindi chiederci se la partecipazione all’assemblea rientri o no nel
novero di tali atti.
A nostro avviso vi rientra certamente l’intervento all’assemblea, soprattutto
nella fase iniziale, cioè quella della sua costituzione, nella quale devono essere
espletati incombenti per i quali è difficile poter prescindere dalla presenza dell’amministratore-mandatario.
È vero, infatti, che la legge attribuisce a quest’ultimo compiti e poteri tutti riferibili alla fase preparatoria dell’assemblea, come quello di decidere quali argomenti debbano essere oggetto di discussione e quindi di predisporne l’ordine del
giorno, quello di convocare l’assemblea, di individuare i destinatari delle convocazioni e di provvedere alla comunicazione dell’avviso.
Tuttavia, essendo il corretto svolgimento di tali attività propedeutiche allo
svolgimento dell’assemblea condizione per la valida costituzione della stessa, non
può non concludersi che tra i poteri-doveri dell’amministratore rientri anche
quello di mettere a disposizione dei mandanti tutta la documentazione e le informative necessarie per accertare se la convocazione sia avvenuta nel rispetto
dei requisiti di forma onde pervenire ad una deliberazione frutto di una discussione fondata sulla corretta conoscenza degli argomenti posti all’ordine del giorno e delle loro implicazioni.
Si può obbiettare che la consegna di tale documentazione potrebbe avvenire
anche prima e al di fuori dell’assemblea, ma non può revocarsi in dubbio che la
L’AMMINISTRATORE
795
presenza dell’amministratore spesso si rivela necessaria per fornire chiarimenti,
notizie, spiegazioni sia in ordine all’attività svolta nella fase che precede l’insediamento dell’assemblea sia agli argomenti posti all’ordine del giorno.
Il problema poi non sussiste, a monte, in tutti i casi nei quali la partecipazione
dell’amministratore all’assemblea sia espressamente contemplata dal mansionario approvato all’atto della nomina e accettato dall’amministratore.
Quanto al possibile ruolo di quest’ultimo in assemblea, v’è da chiarire se egli
possa rivestire la carica di presidente.
In assenza di specifiche disposizioni contrarie (si rammenti in proposito che il
codice contempla la figura del presidente solo incidenter e cioè all’art. 67 disp. att.
c.c., dove si prevede che qualora un immobile sia in comproprietà tra più soggetti
partecipi all’assemblea il comproprietario designato dagli altri o in mancanza
quello sorteggiato dal presidente), non può escludersi che l’amministratore, sempreché condomino, possa essere chiamato a presiedere l’assemblea, fermo restando che una tale scelta può essere sconsigliabile soprattutto qualora gli argomenti all’ordine del giorno concernano questioni nelle quali venga direttamente
o indirettamente in gioco il comportamento o l’operato dell’amministratore, cosicché ne derivi un pregiudizio per la serenità che deve caratterizzare chi è chiamato a moderare una discussione, serenità che non può avere chi sia eventualmente fatto oggetto di valutazioni e critiche negative.
Per analoghe ragioni l’amministratore condomino dovrebbe astenersi dal voto in relazione a delibere attinenti la sua riconferma, la sua revoca, la resa dei conti e, più in generale, il suo operato.
Si è già detto dell’espresso divieto posto dalla legge di conferire deleghe per
qualunque assemblea.
È importante rilevare come ai sensi dell’art. 1130, n. 7, c.c. venga fatto obbligo
all’amministratore di curare la tenuta del registro «dei verbali delle assemblee».
La norma precisa che in questo registro devono essere «altresì» annotate le
eventuali mancate costituzioni dell’assemblea (che peraltro formano sempre parte integrante dei verbali), le deliberazioni, nonché le brevi dichiarazioni rese dai
condomini che ne hanno fatto richiesta.
Non si comprende per la verità cosa significhi l’avverbio “altresì”, che pare superfluo, posto che non si vede cosa possa essere oggetto di annotazione oltre al
contenuto delle deliberazioni adottate e alle dichiarazioni dei condomini, a prescindere dal fatto che la redazione del verbale è di competenza del presidente e
del segretario e non dell’amministratore.
Al registro delle assemblee deve essere allegato il regolamento di condominio,
ove adottato.
796
Vincenzo Nasini
19. GLI OBBLIGHI DELL’AMMINISTRATORE IN MATERIA DI PRIVACY
Il condominio, quale “titolare” del trattamento, deve fornire agli interessati,
ossia alle persone fisiche cui si riferiscono i dati personali, un’informativa su tutte
le caratteristiche del trattamento.
Il condominio procede agli adempimenti di regola con l’ausilio dell’amministratore (nell’eventuale veste di responsabile del trattamento ai sensi degli artt. 4,
co. 1°, lett. g), e 29 del codice della privacy).
L’informativa deve indicare, fra l’altro: le finalità e le modalità del trattamento
cui sono destinati i dati; la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei
dati; le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere; i soggetti o le categorie
di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati e l’ambito di diffusione
dei dati medesimi; i diritti che spettano all’interessato in base al codice della privacy; gli estremi identificativi del titolare e, se designato, del responsabile.
L’informativa deve essere preventiva, nel senso che deve essere fornita prima
che il trattamento abbia inizio. L’omessa o inidonea informativa all’interessato è
punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da seimila
euro a trentaseimila euro. Queste violazioni potrebbero comportare anche l’irrogazione di altre sanzioni previste dal codice della privacy.
Alla luce di quanto sopra esposto emerge che l’amministratore deve limitarsi a
raccogliere e utilizzare solo i dati personali necessari alla gestione amministrativa
del condominio e, a richiesta, può e anzi deve comunicare ai condomini i dati di
bilancio o prospetti contabili sulle quote pagate e sulle eventuali morosità e in
generale può mettere a disposizione dei condomini le informazioni riguardanti la
gestione.
Può e deve acquisire le informazioni necessarie all’accertamento dei requisiti
per intervenire in assemblea nonché di tutto quanto attiene al calcolo delle quote
di proprietà ai fini della ripartizione delle spese e dell’esercizio del diritto di voto
se del caso anche attraverso la preventiva esibizione da parte dei condomini di
una copia o di un estratto del titolo di proprietà.
Le informazioni acquisibili possono essere messe a disposizione dei condomini che ne fanno richiesta e che possono essere interessati a verificare la regolare convocazione o a impugnare le delibere assunte, ma devono essere adottate le
cautele necessarie per evitare l’accesso ai dati da parte di persone estranee.
Se invece fosse il singolo condomino a esporre i documenti in cui si indica il
nome del condomino moroso, di tale illecito non sarebbe ovviamente responsabile l’amministratore, che tuttavia dovrebbe attivarsi nei confronti dell’autore per
avere egli arbitrariamente utilizzato a tale scopo una parte comune.
L’AMMINISTRATORE
797
È invece legittimo il comportamento dell’amministratore che in sede assembleare, a richiesta dei condomini, relazioni in ordine alla situazione creditoria del
condominio nei confronti di singoli partecipanti morosi. Tale relazione può essere legittimamente trascritta nel verbale della riunione assembleare che tuttavia
deve essere trasmesso solo ai partecipanti al condominio.
Del pari deve ritenersi pienamente legittimo il comportamento dell’amministratore che indichi nel rendiconto in apposita sezione il nome e l’importo delle
quote condominiali non versate dai condomini: il rendiconto è un atto proprio,
anzi un atto obbligatorio dell’amministratore ex art. 1130, ult. co., c.c. e deve essere redatto con requisiti di veridicità e precisione e quindi anche con l’indicazione dei contributi non versati e da chi.
Particolari limitazioni e divieti sono posti, sia all’amministratore che ai condomini, in relazione all’utilizzazione della c.d. “bacheca condominiale”, cioè di
quel supporto, presente generalmente nell’androne o all’entrata del condominio,
che ha come funzione quella di permettere l’affissione e di rendere note in
un’area comune circostanze e comunicazioni rilevanti per il condominio.
Anche il trattamento di dati personali effettuato dal condominio quale titolare
attraverso l’affissione di informazioni nella bacheca condominiale, deve rispettare i principi di liceità, pertinenza, necessità, proporzionalità e non eccedenza rispetto allo svolgimento delle attività di gestione ed amministrazione delle parti
comuni.
Come reiteratamente stabilito in particolare dal d.lgs. 30. giugno 2003, n. 196,
dal codice in materia di protezione dei dati personali, cd. codice della privacy, e
dal Provvedimento generale del Garante per la protezione dei dati personali
“Amministrazione dei condomini” del 18 maggio 2006, è sempre necessario operare un bilanciamento tra due interessi contrapposti: da un lato quello di ciascun
proprietario (ed eventualmente conduttore o occupante ad altro titolo di un immobile condominiale) a vedere tutelata la propria riservatezza nei confronti degli
altri condomini e degli eventuali terzi, che possano venire a conoscenza di tali dati, dall’altro quello di ciascun condomino ad essere informato su tutto ciò che riguarda la gestione e l’amministrazione dei beni comuni.
In funzione di tale contemperamento, nella bacheca condominiale possono
essere contenuti solo avvisi di carattere generale utili ad una più efficace comunicazione di eventi di interesse comune (ad es., inerenti allo svolgimento dell’assemblea condominiale o relativi a comunicazioni urgenti: si pensi ad anomalie
nel funzionamento degli impianti), rimettendo a forme di comunicazione individualizzata, o alla discussione in assemblea, la trattazione di affari che importi il
trattamento di dati personali riferiti a condomini individuati specificatamente.
798
Vincenzo Nasini
Ci si può chiedere se, qualora il regolamento di condominio autorizzasse la
pubblicazione dei morosi con avvisi in bacheca, tale trattamento possa essere ritenuto legittimo, sempre che i dati siano aggiornati e riportati in maniera esatta.
Al di là dei rilievi concernenti la prevalenza del regolamento su norme imperative come quelle inerenti la privacy, è certo comunque che una clausola di questo tipo dovrebbe essere accettata all’unanimità dai condomini: si dovrebbe trattare quindi di regolamento contrattuale o di delibera totalitaria.
In mancanza deve essere impedito l’accesso ai dati da parte degli estranei e
quindi rigorosamente vietata l’affissione in bacheca o comunque la pubblicazione
dei dati con mezzi equipollenti.
Va rammentato anche che se fosse l’assemblea a deliberare che debbano essere fatti circolare all’interno degli spazi comuni documenti contenenti l’elenco dei
morosi, l’amministratore dovrebbe rifiutarsi di dare corso alla delibera che deve
ritenersi radicalmente nulla per illiceità dell’oggetto.
Rimanendo in tema di assemblee condominiali un aspetto spesso trascurato
del problema relativo al rispetto della privacy è quello che riguarda la partecipazione e lo svolgimento delle assemblee stesse. Accade spesso, infatti, che vengano
invitati a partecipare o che comunque di fatto vi partecipino soggetti privi di titolo in quanto estranei alla compagine condominiale.
Non va trascurato il fatto che è proprio in sede assembleare che vengono affrontate e discusse problematiche e questioni che comportano necessariamente il
trattamento di dati personali, spesso anche di natura sensibile e giudiziaria.
Orbene la partecipazione all’assemblea di soggetti estranei comporta uno
scorretto trattamento e un’illecita diffusione dei dati. Per tale ragione il Garante
ha reiteratamente rivolto agli amministratori l’invito a verificare in sede di predisposizione e di invio degli avvisi di convocazione la legittimazione dei soggetti a
partecipare all’assemblea.
Al di là dei problemi connessi al condomino apparente e all’esistenza di usufruttuari o usuari, e al diritto di partecipazione dei conduttori, spesso vengono
trascurati gli aspetti connessi alla partecipazione all’assemblea di soggetti esterni
quali consulenti tecnici, legali o contabili. Per la loro presenza sembra necessario
il preventivo assenso dei condomini, ma v’è da chiarire se tale assenso debba essere unanime o maggioritario.
Va poi approfondita la differenza tra la posizione dei soggetti che intervengono nella veste di consulenti del condominio, spesso su invito dell’amministratore,
e quella dei consulenti di singoli condomini che, beninteso, non partecipino in
veste di delegati, in assenza di espressi divieti del regolamento di condominio
contrattuale.
L’AMMINISTRATORE
799
Ad ogni modo, tutti questi soggetti possono essere messi a conoscenza solo
delle informazioni necessarie allo svolgimento del loro incarico e devono quindi
lasciare l’assemblea una volta esaurita la discussione dell’argomento che giustifica
la loro presenza e prima che abbia inizio l’esame degli ulteriori punti all’ordine
del giorno. Va peraltro precisato che molte delle questioni esposte riguardano
per la verità più il presidente dell’assemblea che l’amministratore, in quanto strettamente afferenti lo svolgimento della riunione.
Solo per completezza di disamina si rammenta quindi, che appare assolutamente indispensabile sotto il profilo che ci occupa procedere a un accurato appello dei presenti, a un esame attento dell’esistenza dei requisiti che legittimano
ciascuno dei presenti alla partecipazione, soprattutto allorché si tratti di soggetti
delegati: occorre verificare con attenzione non solo la legittimazione del delegante e l’identità del delegato, ma anche l’eventuale oggetto della delega che potrebbe essere circoscritta ad alcuni argomenti, mentre in caso di presenza del conduttore è necessario accertare che gli argomenti rientrino nella previsione dell’art.
10, legge 27 luglio 1978, n. 392, non essendo consentito al conduttore partecipare
alla discussione di questioni e di argomenti che esulino dalla portata della norma.
Rammentiamo anche che la videoregistrazione della riunione è consentita solo in presenza del consenso informato dei partecipanti.
Particolare rilievo va dato al problema della c.d. “videosorveglianza in condominio”. Il suo utilizzo vede contrapposti diversi interessi: da un lato l’esigenza
di preservare la sicurezza delle persone e la tutela dei beni comuni (ad esempio,
rispettivamente, contro aggressioni e danneggiamenti o furti), dall’altro, la preoccupazione che i trattamenti di dati personali effettuati per mezzo della videosorveglianza, rendano più agevolmente conoscibili a terzi informazioni relative alla
vita privata di chi vive in edifici condominiali, come pure abitudini e stili di vita
individuali e familiari; questo indubbiamente può incidere sulla libertà degli interessati di muoversi, nel proprio domicilio e all’interno delle aree comuni.
Tale situazione è evidentemente estremamente problematica e complessa:
nei trattamenti dei dati effettuati mediante sistemi di videosorveglianza é quindi
necessario garantire un livello elevato di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali rispetto al trattamento dei dati personali in modo da non determinare
mai un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli interessati.
In primo luogo va rammentato che Il Garante per la protezione dei dati personali aveva segnalato al Parlamento come, per l’ipotesi che le riprese avvengano
da parte di un condominio nelle aree comuni non vi fossero opinioni condivise
su quale dovesse essere la maggioranza necessaria per la deliberazione condomi-
800
Vincenzo Nasini
niale in materia, se occorra cioè l’unanimità, ovvero una determinata maggioranza, ed eventualmente quale).
Del pari non era chiaro se l’installazione di sistemi di videosorveglianza potesse essere effettuata in base alla sola volontà dei condomini, o se rilevi anche la volontà dei conduttori.
Su tale argomento, assai dibattuto, nella giurisprudenza di merito si era sostenuto 92 che l’installazione dell’impianto di videosorveglianza per il perseguimento di finalità non trova, allo stato della legislazione, il proprio soggetto
«“Titolare del trattamento” nell’assemblea dei condomini, cui appartenga davvero il potere di decidere le finalità e modalità di trattamento dei dati personali ...» concludendo nel senso che l’assemblea di condominio non possa validamente perseguire, «con una deliberazione soggetta al suo fisionomico carattere
maggioritario», quella che è la tipica finalità di sicurezza del Titolare del trattamento il quale provveda ad installare un impianto di videosorveglianza, ovvero i «fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine,
danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro».
L’oggetto di una siffatta deliberazione non rientrerebbe tout court nei compiti
dell’assemblea condominiale poiché lo scopo della tutela dell’incolumità delle
persone e delle cose dei condomini, cui tende l’impianto di videosorveglianza,
esulerebbe dalle attribuzioni dell’organo assembleare.
L’installazione della videosorveglianza non sarebbe quindi di per sé prestazione finalizzata a servire i beni in comunione, né gioverebbe addurre l’innegabile maggior sicurezza che ne deriva allo stabile nel suo complesso, di fronte ad
una deliberazione che coinvolge il trattamento di dati personali di cui l’assembla
stessa non è affatto titolare, e che è volta ad uno scopo estraneo alle esigenze
condominiali, di per sé cioè non rientrante nei poteri dell’assemblea.
La pronuncia in oggetto è tuttavia del tutto superata dalla previsione dell’art.
1122 ter (impianti di videosorveglianza sulle parti comuni) in forza del quale «le
deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c.».
Ciò premesso, sono posti a carico dell’amministratore, anche in materia di videosorveglianza, numerosi obblighi, fra i quali esemplificativamente si ricordano
i seguenti:
a) gli interessati devono essere sempre informati che stanno per accedere in
92
Trib. Salerno, 14 dicembre 2010.
L’AMMINISTRATORE
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una zona videosorvegliata; si può utilizzare il modello semplificato di informativa
“minima” (cfr. all. 1 del Provvedimento dell’8 aprile 2010);
b) per più telecamere devono essere posizionati più cartelli;
c) il supporto con l’informativa deve essere collocato prima del raggio di
azione della telecamera e deve avere un formato ed un posizionamento tale da
essere visibile in ogni condizione di illuminazione ambientale, anche quando il
sistema di videosorveglianza sia eventualmente attivo in orario notturno;
l’informativa può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati al fine di informare se le immagini sono solo visionate o anche registrate. È auspicabile che l’informativa,
resa in forma semplificata, rinvii ad un testo completo contenente tutti gli elementi di cui all’art. 13, co. 1°, del codice, disponibile senza oneri per gli interessati, con modalità facilmente accessibili (ad es. affissioni in bacheche o locali,
ecc.). Il Titolare, ove richiesto è tenuto a fornire anche oralmente un’informativa adeguata;
d) il punto 3.2 del Provvedimento dell’8 aprile 2010 stabilisce prescrizioni riguardanti la verifica preliminare da sottoporre al Garante e la notificazione;
e) devono essere adottate idonee misure di protezione dei dati riducendo al
minimo i rischi di distruzione, di perdita, anche accidentale, di accesso non autorizzato, di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta,
anche in relazione alla trasmissione delle immagini;
f) devono essere adottate anche le specifiche misure tecniche ed organizzative
previste dal Provvedimento dell’8 aprile 2010;
g) nei casi in cui sia stato lecitamente scelto un sistema che preveda la conservazione delle immagini, in applicazione del principio di proporzionalità anche
l’eventuale conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al tempo
necessario – e predeterminato – a raggiungere la finalità perseguita; la conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione;
h) deve essere assicurato agli interessati identificabili l’effettivo esercizio dei
propri diritti in conformità al codice della privacy, in particolare quello di accedere ai dati che li riguardano, di verificare le finalità, le modalità e la logica del trattamento;
i) il Titolare o il Responsabile devono designare per iscritto tutte le persone
fisiche, incaricate del trattamento, autorizzate sia ad accedere ai locali dove sono
situate le postazioni di controllo, che ad utilizzare gli impianti e, nei casi in cui sia
indispensabile per gli scopi perseguiti, a visionare le immagini.
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20. IN PARTICOLARE: LA RICHIESTA DI DATI CONTABILI E DI CONSEGNA DEL REGOLAMENTO
DI CONDOMINIO AVANZATA ALL’AMMINISTRATORE DAL PROMISSARIO ACQUIRENTE
Accade spesso che all’amministratore di condominio vengano richieste informative circa la situazione contabile delle unità immobiliari facenti parte dello
stabile condominiale. Le informazioni di norma attengono all’esistenza o meno
di debiti per oneri condominiali per le finalità di cui all’art. 63, co. 2°, disp. att. c.c.
Può accadere anche che l’interessato all’acquisto intenda accertare la spesa
media annuale per oneri condominiali pertinente all’immobile e che per tale finalità richieda i dati contabili relativi. Ci si chiede se l’amministratore sia tenuto o
autorizzato a fornire le informazioni de quibus.
Altra questione analoga è quella relativa all’esistenza di un obbligo per l’amministratore di consegnare al promissario acquirente copia del regolamento di
condominio.
Taluno distingue l’ipotesi che il regolamento di condominio abbia natura assembleare o contrattuale, propendendo per l’illiceità di qualsiasi comunicazione
a terzi del contenuto del regolamento di natura assembleare con la conseguenza
che affinché il soggetto terzo interessato possa conoscere il tenore delle relative
clausole sarà necessario che tutti i condomini rilascino il loro imprescindibile
consenso (ipotesi in pratica di difficile realizzazione).
A diversa conclusione si dovrebbe pervenire in caso di regolamento contrattuale: perché tale regolamento riceva la sua piena efficacia è necessario che sia
sottoposto alla formalità della trascrizione nella competente conservatoria dei
registri immobiliari (cosa che solitamente avviene mediante l’allegazione al primo atto di compravendita), si tratta di un documento il cui contenuto integrale è
rinvenibile in «pubblici registri, elenchi atti o documenti» conoscibili da chiunque e per i cui dati il codice della privacy prevede la possibilità e la liceità del trattamento senza necessità di consenso da parte dei soggetti interessati.
Tale circostanza renderebbe il documento comunicabile a qualsiasi terzo ne
faccia richiesta e permetterebbe quindi all’amministratore di condominio di rispondere positivamente alla corrispondente richiesta del soggetto interessato all’acquisto di un’unità immobiliare compresa nel condominio, ciò facendo anche
nel rispetto della privacy.
Orbene, a prescindere dal rilievo che se il regolamento ha natura contrattuale
non si pone neppure il problema per il terzo che può, proprio perché trascritto,
procurarsi copia del regolamento in conservatoria, è proprio quando il regolamento ha natura assembleare che il terzo non ha la possibilità di reperirlo in conservatoria e quindi l’unico mezzo per conoscerne il contenuto è quello di farsene
consegnare copia dal venditore o dall’amministratore.
L’AMMINISTRATORE
803
D’altro canto va anche osservato che l’interesse a conoscere il regolamento
sussiste solo se si tratta di regolamento contrattuale perché solo questo tipo di
regolamento può contenere clausole di portata contrattuale che possono comportare limitazioni ai diritti soggettivi in relazione sia alle proprietà esclusive o
parti comuni e deroghe ai criteri legali di ripartizione delle spese.
Clausole siffatte contenute in un regolamento assembleare sarebbero invece
nulle o tamquam non essent con conseguente venir meno di ogni interesse per il
condomino di conoscerle a meno che non ritenga che nell’atto di acquisto di una
clausola di tale natura contenuta in un regolamento assembleare possa essere
vincolante per l’acquirente.
Detto questo va aggiunto che in realtà le due questioni (consegna del regolamento e comunicazione di dati al promissario acquirente) vanno affrontate sotto
un diverso punto di vista.
Le attribuzioni dell’amministratore sono esclusivamente quelle previste dal
codice civile o dal regolamento di condominio: esse attengono all’osservanza del
regolamento, all’esecuzione delle delibere assembleari, al compimento degli atti
conservativi delle parti comuni, alla gestione dei servizi comuni, alla riscossione
delle quote e all’erogazione delle spese.
Tutte le attribuzioni e i doveri dell’amministratore sono collegati da un comune denominatore: esse concernono esclusivamente le parti comuni e i rapporti con i condomini. Salvo previsioni espresse in tal senso contenute nel regolamento di condominio contrattuale, l’amministratore non è perciò tenuto a svolgere attività nei confronti di terzi se non in quanto si tratti di attività necessarie
per l’espletamento del proprio incarico.
Non si vede quindi in forza di quali norme o principi generali egli possa essere
o sentirsi tenuto a comunicare dati o tantomeno a consegnare documenti a soggetti terzi quali i promissari acquirenti, che, fino alla stipula dell’atto notarile traslativo della proprietà dell’unità immobiliare sono estranei al condominio e al
rapporto di mandato con l’amministratore.
Neppure egli può ritenersi tenuto al compimento di questa attività su precisa
richiesta del condomino venditore, non rientrando tra gli obblighi che egli ha assunto nei confronti dell’assemblea al momento del conferimento dell’incarico.
Pertanto, sottolineato che un soggetto interessato all’acquisto o anche promissario acquirente di una porzione di piano dell’edificio non può conoscere e
quindi trattare i dati della gestione condominiale riguardanti gli altri condomini e
in genere gli aspetti non attinenti all’unità immobiliare di suo diretto personale
interesse, mentre, per quanto concerne i dati debito/credito relativi alla porzione
di piano per l’acquisto il promissario acquirente può pretenderne la conoscenza
804
Vincenzo Nasini
in quanto elemento rilevante in sede di esecuzione del contratto (art. 24, co. 1°,
lett. b) del codice della privacy), tuttavia, per tutte le ragioni esposte supra, tale
pretesa non può essere esercitata nei confronti del condominio, né tanto meno
dell’amministratore.
Questi può quindi opporre legittimamente un rifiuto, dovendo la richiesta essere semmai rivolta al promittente venditore, il quale a sua volta sarebbe tenuto a
procurarsi e comunicare le sole informazioni riferibili all’unità immobiliare compravenduta. Peraltro, una clausola di questo tipo dovrebbe essere accettata all’unanimità dai condomini: si dovrebbe trattare quindi di regolamento contrattuale o di delibera totalitaria. In mancanza deve essere impedito l’accesso ai dati
da parte degli estranei e quindi vietata l’affissione in bacheca.
21. L’ESECUZIONE DELLE DELIBERAZIONI DELL’ASSEMBLEA
La prima delle attribuzioni elencate dall’art. 1130 c.c. è quella relativa all’esecuzione alle deliberazioni dell’assemblea. Deve ritenersi che tale priorità non sia
casuale, ma sia stata prevista dal legislatore per sottolineare ed evidenziare come i
poteri conferiti all’amministratore organo esecutivo, siano subordinati alla sovrana volontà dell’assemblea, l’organo deliberante del condominio al quale compete il potere decisionale.
Essendo l’amministratore un mero esecutore, non ha facoltà discrezionali, a
meno che l’oggetto della deliberazione o della norma del regolamento sia di una
certa elasticità, così da lasciare il campo ad un certo margine di discrezionalità, da
riferirsi alle diverse contingenze o alle condizioni previste 93.
L’obbligo di esecuzione delle delibere dell’assemblea sussiste anche nel caso in
cui contro di esse sia stata proposta impugnazione, a meno che non sia intervenuto
un provvedimento di sospensione da parte del giudice, in quanto, in base all’art.
1137 c.c., le delibere dell’assemblea condominiale sono immediatamente esecutive.
Si è posto il problema se l’amministratore abbia il dovere e correlativamente il
potere di dare esecuzione a tutte le deliberazioni, comprese quelle illegittime.
Sul punto non vi è uniformità di vedute in dottrina, poiché mentre alcuni autori ritengono che l’amministratore debba, pena la sua responsabilità, verificare la
legittimità delle delibere stesse, altri invece lo negano.
Secondo un orientamento 94 proprio in virtù di quella diligenza che è tenuto
ad osservare, l’amministratore dovrebbe astenersi dal dare esecuzione alle delibe93
94
D.R. PERETTI GRIVA, op. cit., p. 416; Cass., 3 dicembre 1999, n. 13504, in Arch. locazioni, 1999, p. 936.
M. DOGLIOTTI, Il condominio, Utet, Torino, 2006, p. 387.
L’AMMINISTRATORE
805
re «palesemente e macroscopicamente illegittime ad esempio per mancanza delle necessarie maggioranze o per l’omessa convocazione di un condomino» 95.
Si tratta di un’osservazione non condivisibile soprattutto alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale che ormai univocamente ritiene tali delibere non nulle,
ma affette da mera annullabilità e destinate a divenire inoppugnabili in caso di
mancata impugnazione nei perentori termini di legge.
D’altro canto, il fatto che, anche in caso di impugnazione e sino alla sentenza
dell’autorità giudiziaria adita (fatto salvo il caso di sospensione da parte del giudice) la delibera produca provvisoriamente i suoi effetti, induce a ritenere che
non sia consentito il sindacato da parte dell’amministratore in ordine alla sua legittimità, a meno che non si tratti di delibera giuridicamente inesistente, tamquam non esset o la cui esecuzione possa essere fonte di responsabilità penali.
Nessuna questione in concreto si porrebbe nella maggior parte dei casi, qualora fosse la stessa assemblea ad autorizzare l’amministratore a dare esecuzione
alla delibera dopo la decorrenza del termine per l’impugnazione, come del resto
avviene assai spesso nella prassi.
La S.C. ha ritenuto che, in virtù della diligenza del buon padre di famiglia,
l’amministratore possa talora ritenere conveniente soprassedere all’esecuzione di
una deliberazione, come nel caso che questa sia destinata da lì a breve tempo ad
essere modificata o revocata 96.
In senso contrario in dottrina si è osservato 97 che l’amministratore che non
dia esecuzione a una deliberazione solo perché prevede che la stessa sarà revocata, agisce a suo rischio, nel senso che se tale revoca non ha luogo risponde dei
danni mentre se essa ha luogo va esente da responsabilità non perché non vi sia
stato inadempimento, ma perché non si sono verificati danni risarcibili. Se l’art.
1711, co. 2°, c.c. consente al mandatario di discostarsi dalle istruzioni ricevute dal
mandante quando ricorrano determinati presupposti, ciò significa, ragionando a
contrariis, che qualora tali presupposti non sussistano, il mandatario non può
astenersi tout court dall’eseguire l’incarico.
Va rammentato che, in ogni caso, l’obbligo di cui all’art. 1130, n. 1, c.c. è riferibile esclusivamente alle deliberazioni relative a materie che rientrino nelle attribuzioni dell’assemblea ex art. 1135 c.c. e quindi nell’ambito dei suoi poteri deli95
Nel senso che l’amministratore deve controllare la legittimità delle delibere assembleari per non
essere ritenuto responsabile insieme ai condomini dei danni arrecati sia ai terzi che ai condomini
stessi, cfr. App. Genova, 18 marzo 1948, in Temi, 1948, p. 630.
96
Cass., 8 ottobre 1963, n. 2668, in Giur. it., 1964, I, 1, c. 1190, con nota sostanzialmente adesiva di
M. SEGNI, Diligenza e buona fede nell’esecuzione del mandato.
97
R. TRIOLA, Il condominio, Giuffrè, Milano, 2007, p. 622.
806
Vincenzo Nasini
berativi, con esclusione quindi di quelle decisioni che ne esorbitino, ad esempio
incidendo sui diritti soggettivi facenti capo ai condomini in quanto proprietari
delle unità immobiliari 98.
Come rilevato in dottrina 99, tali decisioni, se prese all’unanimità, solo apparentemente sono deliberazioni assembleari, trattandosi invece sostanzialmente di
contratti o di atti collettivi.
Pare invece indiscutibile che l’amministratore non possa dare esecuzione a
una delibera dichiarata nulla con sentenza passata in giudicato.
22. LA CURA DELL’OSSERVANZA DEL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
Subito dopo l’attribuzione concernente l’esecuzione delle delibere assembleari l’art. 1130 c.c. annovera quella avente ad oggetto la cura dell’osservanza del regolamento di condominio, che può essere definito come la legge fondamentale
del condominio, poiché contiene le norme che disciplinano l’uso delle parti comuni, la gestione dei servizi comuni e i rapporti tra i condomini.
L’amministratore è il soggetto naturalmente preposto a far osservare le disposizioni del regolamento. Nello svolgimento del suo incarico egli deve avere come
unico obbiettivo la salvaguardia dell’interesse comune di tutti i partecipanti alla
comunione. Conseguentemente egli dovrà compiere tutti gli atti (anche di natura giudiziaria) necessari e idonei alla tutela della cosa comune nei confronti sia
dei condomini sia dei terzi che con il loro comportamento violino le disposizioni
del regolamento condominiale.
Alle limitazioni ed a vincoli comportamentali imposti dal regolamento sono
tenuti anche i conduttori dei locali facenti parte del condominio: infatti è opinione che gli stessi non possano esercitare maggiori diritti di quelli spettanti ai
condomini-locatori e contro i quali, anche da parte di singoli condomini, possono essere direttamente esperite le azioni volte all’accertamento della illegittimità
del loro operato e alla cessazione dell’attività illecita, che è quanto dire all’osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni regolamentari.
In proposito va rammentato che l’art. 70 disp. att. c.c. è stato modificato: in
forza della nuova previsione per le infrazioni al regolamento di condominio può
essere stabilito a titolo di sanzione il pagamento di una somma fino a 200 euro e,
in caso di recidiva, fino a 800 euro.
Vi è da chiedersi quale soggetto sia legittimato a stabilire l’entità della sanzio98
99
Cass., 14 gennaio 1997, n. 278.
G. BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, cit., p. 440.
L’AMMINISTRATORE
807
ne applicabile: deve ritenersi che tale soggetto sia da individuare nell’assemblea,
la cui relativa delibera potrebbe essere impugnata davanti all’autorità giudiziaria
dal condomino destinatario della sanzione.
La norma prevede anche che la somma riscossa a tale titolo venga devoluta al
fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie.
23. LA DISCIPLINA DELL’USO DELLE COSE COMUNI E DELLA PRESTAZIONE DEI SERVIZI NELL’INTERESSE COMUNE
In senso contrario al possibile dubbio che la norma contenuta nel n. 2 dell’art.
1130 c.c. costituisca una duplicazione del n. 1, dal momento che le norme che
disciplinano l’uso comune e i servizi sono contenute in linea di massima nel regolamento votato dall’assemblea, con la conseguenza che, essendo l’amministratore
tenuto a darvi esecuzione, il n. 2 dell’art. 1130 sarebbe superfluo, si è sostenuto 100
che il rilievo sarebbe privo di fondamento, in primo luogo perché il potere di disciplina dell’uso delle parti comuni è esplicazione di poteri amministrativi autonomi che conferiscono all’amministratore, nell’ambito del regolamento, ampia
discrezionalità, anche se essi devono essere contenuti entro i limiti dell’amministrazione ordinaria: dunque non mera e piatta esecuzione del regolamento, ma
attività concreta che, pur non contrastando con questo, sia svolgimento di un
certo potere discrezionale. In sostanza, anche se l’uso delle cose comuni e l’articolazione dei servizi fossero disciplinati minutamente nelle norme regolamentari,
resterebbe sempre un margine all’autonomia dell’amministratore almeno nella
scelta dei mezzi diretti all’attuazione di quelle medesime norme.
Inoltre, può accadere che un regolamento non vi sia, soprattutto se il numero
dei condomini non supera i dieci (art. 1138, co. 1°, c.c.), o, pur essendovi, regoli
l’uso dei servizi comuni non norme generiche, vaghe. In tal caso i poteri-doveri
dell’amministratore saranno evidentemente quelli che si concretano nell’amministrazione ordinaria secondo i principi generali: non per niente tali compiti sono
del tutto ignorati dall’art. 1135 c.c., che fissa le attribuzioni dell’assemblea e che
dunque non li ricorda perché sono funzioni amministrative, non assembleari.
D’altro canto non vi è dubbio che i poteri dell’amministratore debbano rimanere
nell’ambito dell’ordinaria amministrazione, non avendo egli il potere di apportare di propria iniziativa modifiche strutturali innovative all’edificio condominiale.
In dottrina si è sostenuto che nell’esplicazione dei suoi compiti e di assicurare
il miglior godimento delle cose e dei servizi comuni, l’amministratore ha il potere
100
G. BRANCA, op. cit., p. 571 ss.
808
Vincenzo Nasini
non solo di accedere alle singole proprietà condominiali per effettuare le necessarie verifiche, ma perfino di eseguire quei lavori che interessino l’intero edificio,
attesa la stretta correlazione tra proprietà esclusiva e proprietà comune quando
ciò sia necessario per mantenere integra la parità del godimento dei beni comuni
da parte di tutti i partecipanti 101.
L’amministratore deve provvedere a tutto ciò che è necessario al funzionamento dei servizi comuni (es. stipulazione di contratti con i fornitori), può decidere il criterio di utilizzazione interna delle cose e degli impianti comuni, per es.
distribuendo con una certa misura nel tempo e nello spazio il godimento di essi a
favore di ogni singolo condomino, o fissando gli orari di uso collettivo o regolando altrimenti, senza far innovazioni, le modalità di distribuzione del godimento
fra i condomini.
24. LA RISCOSSIONE DEI CONTRIBUTI PER L’EROGAZIONE DELLE SPESE OCCORRENTI PER
LA MANUTENZIONE ORDINARIA DELLE PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO E PER L’ESERCIZIO
DEI SERVIZI COMUNI
L’amministratore di condominio ha il potere-dovere di provvedere alla riscossione dei contributi dai singoli condomini, in base alla ripartizione approvata dall’assemblea – o anche, in difetto, dal piano di riparto approvato – senza bisogno
di autorizzazione assembleare.
L’attività, com’è agevole comprendere, riveste notevole importanza, poiché la
mancanza di fondi rende impossibile l’erogazione delle spese, oltre ad esporre il
condominio alle azioni giudiziarie da parte dei fornitori.
Alcuni esborsi sono assolutamente ineludibili e indifferibili: si pensi al premio
dell’assicurazione, della polizza globale fabbricati il cui mancato pagamento comporta l’assenza di copertura.
L’amministratore quindi deve dedicare particolare attenzione e impegno alla
riscossione (se necessario anche giudizialmente) dei contributi, evitando di anticipare personalmente le spese, ma compiendo ogni atto necessario alla riscossione per evitare di essere ritenuto responsabile per la negligenza dimostrata nell’aver omesso di riscuotere, nei modi previsti dalla legge, i contributi.
Nella giurisprudenza di merito si è affermato che l’amministratore rimosso
dall’incarico, che lasci debiti da penalità ed interessi moratori conseguenti a ritardati e/o omessi pagamenti, deve rimborsarli al condominio perché riscuotere i
contributi ed erogare le spese gli compete per legge, senza poter allegare la man101
A. VISCO, op. cit., p. 210.
L’AMMINISTRATORE
809
cata riscossione, posto che, a tal fine, l’ordinamento gli permette di ottenere dal
giudice il decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo 102.
Il nuovo testo dell’art. 1129 c.c. prevede espressamente al co. 9° che l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è
compreso. La norma precisa da un lato che la riscossione può avvenire anche ai
sensi dell’art. 63, co. 1° delle disposizioni per l’attuazione del codice e, dall’altro
lato, che l’obbligo di agire sussiste, salvo che l’amministratore sia stato espressamente dispensato dall’assemblea.
Per la verità la prima previsione appare ultronea, posto che è evidente che utilizzare una procedura diversa da quella dell’art. 63 disp. att. c.c. significherebbe
rinunciare ad avvalersi delle peculiarità che tale procedura comporta a favore del
condominio procedente.
Non è molto chiaro se la dispensa da parte dell’assemblea riguardi tout court
l’obbligo di agire per la riscossione o il rispetto del termine (massimo) di sei mesi
entro il quale tale azione dovrebbe essere proposta.
Va anche detto che attendere sei mesi dalla fine dell’esercizio per agire per la
riscossione può essere fonte di pregiudizio per il condominio perché, oltre a costituire una legittimazione per l’amministratore ad agire non prima di tale scadenza,
può ingenerare nei condomini il convincimento errato di poter differire il pagamento, e nell’amministratore quello di poter attendere prima di adire il giudice.
È quindi opportuno sottolineare la necessità che l’amministratore si attivi
senza indugio per il recupero dei crediti anche alla luce del disposto dell’art. 63,
co. 2°, disp. att. c.c., in forza del quale i creditori non possono agire nei confronti
degli obbligati in regola con i pagamenti se non dopo l’escussione degli altri condomini. Potrebbe, infatti, verificarsi una situazione anomala caratterizzata dal fatto che, mentre l’amministratore potrebbe attendere sei mesi dalla chiusura dell’esercizio per agire per la riscossione, i creditori del condominio potrebbero
prendere l’iniziativa immediatamente non appena il loro credito sia divenuto certo, liquido ed esigibile e quindi anche prima del termine di sei mesi.
In definitiva il termine di sei mesi non è previsto per stabilire un’inesigibilità
temporanea dei contributi condominiali, ma soltanto per affermare che l’inerzia
dell’amministratore oltre tale è causa di responsabilità (che può portare anche
alla revoca) dello stesso.
Va ancora rilevato che, per l’art. 30 della legge di riforma di condominio,i contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e
102
App. Roma, 18 aprile 2007, in Guida dir., 2008, p. 4.
810
Vincenzo Nasini
successive modificazioni, se divenuti esigibili ai sensi dell’art. 63, co. 1°, disp. att.
c.c., durante le procedure concorsuali: ne consegue che il tempestivo esperimento della procedura ingiuntiva assume rilevanza ai fini del beneficio previsto dalla
norma e prima l’azione viene esperita, maggiori sono le probabilità per il condominio di non subire conseguenze pregiudizievoli in funzione delle procedure
concorsuali pendenti.
Come osservato in dottrina 103, è opportuno, ma non necessario, che l’amministratore, prima di adire l’autorità giudiziaria inoltri a coloro che non abbiano
provveduto al pagamento una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno con la
fissazione di un breve termine per il saldo.
Va però rammentato un aspetto che spesso non viene tenuto nella debita considerazione. Accade nella prassi che l’amministratore incarichi un legale di inviare una lettera di sollecito e che le spese sostenute per questa attività vengano poste in via stragiudiziale a carico del condomino moroso.
Tale operazione è stata ritenuta non corretta e può esporre il condominio ad
un’impugnazione della delibera che approvi il riparto nel quale tale somma sia
inscritta tra le spese personali, avendo in proposito la S.C. affermato è affetta da
nullità e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 c.c., la
deliberazione dell’assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un
condomino, come quella che ponga a suo totale carico le spese del legale del
condominio per una procedura iniziata contro di lui in mancanza di una sentenza
che ne sancisca la soccombenza e detta nullità, a norma dell’art. 1421 c.c., può
essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea,
ancorché abbia espresso parere favorevole alla deliberazione, ove con tale voto
non si esprima l’assunzione o il riconoscimento di una sua obbligazione 104.
Sarebbe quindi opportuno che il sollecito venisse inviato personalmente dall’amministratore e che, in caso di ulteriore persistente morosità l’amministratore
conferisse al legale il mandato di adire immediatamente le vie giudiziarie.
Quanto al momento in cui si concretizza la morosità è interessante rammentare
che il pagamento delle rate condominiali mediante bonifico bancario si perfeziona
solo alla data in cui la somma viene accreditata sul conto corrente del condominio
entrando solo in quel momento nell’effettiva disponibilità del creditore 105.
Il condomino non può ritardare o contestare il pagamento deliberato con il
piano di riparto dall’assemblea adducendo a pretesto l’invalidità dell’assemblea
in cui era stato nominato il nuovo amministratore.
103
A. VISCO, op. cit., p. 409.
Cass., 26 aprile 1994, n. 3946, in Riv. giur. edilizia, 1994, I, p. 693.
105
Trib. Bergamo, 27 giugno 2009, in Arch. locazioni, 2010, p. 197.
104
L’AMMINISTRATORE
811
25. IL CONTO CORRENTE CONDOMINIALE
Quantunque si trattasse di un obbligo non previsto legislativamente, la giurisprudenza 106 ormai da tempo aveva statuito che l’amministratore è tenuto a far affluire i versamenti delle quote condominiali su un apposito conto corrente bancario o postale intestato direttamente a ciascun condominio amministrato, sul e dal
quale effettuare anche i prelevamenti delle somme relative alle spese da erogare.
Come corollario di tale statuizione veniva affermato che, in caso contrario, al
di là delle possibili conseguenze che dalla promiscuità di entrate e uscite proprie
e altrui riferite a un unico conto intestato all’amministratore potevano derivare a
quest’ultimo sotto il profilo fiscale, qualora la mancata accensione di conti separati fosse tale da generare confusione contabile, potevano ritenersi sussistenti
quei «fondati sospetti di gravi irregolarità» che, sulla scorta della precedente formulazione dell’art. 1129 c.c. configuravano un’ipotesi di revoca da parte dell’autorità giudiziaria.
Fermo restando che il comportamento dell’amministratore che utilizzi fondi
di un condominio per pagare spese di un altro, può integrare gli estremi del reato
di appropriazione indebita.
Ora, a seguito della riforma del condominio, l’apertura di un conto corrente
postale o bancario intestato a ciascun condominio amministrato è espressamente
prevista dal co. 6° dell’art. 1129 c.c. Su tale conto devono transitare le somme che
l’amministratore riceve a qualunque titolo non solo dai condomini, ma anche da
terzi, nonché le somme erogate dall’amministratore a qualsiasi titolo per conto
del condominio.
La seconda parte della norma prevede non il diritto del condomino di accedere direttamente al conto corrente, ma solo di chiedere, per il tramite dell’amministratore, di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.
26. L’EROGAZIONE DELLE SPESE
L’amministratore, in base al preventivo e allo stato di ripartizione approvati
dall’assemblea, provvede all’erogazione delle spese relative alla gestione ordinaria
del condominio e all’ordinaria manutenzione delle parti e degli impianti comuni
cioè a quelle riparazioni rese necessarie dalla naturale deteriorabilità delle cose e
dirette a mantenerle in uno stato di normale efficienza.
106
27.
Trib. Roma, 24 agosto 2009, ined.; Trib. Milano, 25 ottobre 1990, ined.
812
Vincenzo Nasini
L’erogazione delle spese non costituisce solo un potere dell’amministratore
ma anche uno dei suoi più importanti doveri la cui ingiustificata omissione può
integrare un’ipotesi di violazione dell’obbligo di adempiere al mandato con l’ordinaria diligenza.
Le spese si distinguono in ordinarie e straordinarie. Le prime possono essere
erogate solo dall’amministratore e prima della loro erogazione vengono approvate con il preventivo in misura presunta.
L’amministratore può autorizzare altri soggetti a pagarle, purché esse siano
preventivamente stabilite e quantificate, anticipando a tali soggetti gli importi o
rimborsando loro la spesa, previa consegna di idoneo documento giustificativo.
In assenza dell’autorizzazione dell’amministratore, il condomino che abbia
sostenuto spese per le cose comuni non ha diritto al rimborso a meno che non si
tratti di spesa urgente ex art. 1134 c.c.
L’amministratore, dal canto suo, può erogare spese straordinarie solo dopo la
loro deliberazione da parte dell’assemblea a meno che non si tratti, in questo caso in forza del disposto dell’art. 1135, co. 2°, c.c. di spese urgenti, con l’obbligo in
questo caso, per l’amministratore stesso di riferirne alla prima assemblea.
Secondo una decisione della S.C. l’erogazione delle spese di manutenzione e
di quelle relative ai servizi comuni essenziali non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea dei condomini, in quanto trattasi di esborsi (contributi,
utenze, premi assicurativi, spese per il riscaldamento, ecc.) dovuti a scadenze
fisse e ai quali l’amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell’assemblea; l’approvazione di tali spese sarebbe, invece, richiesta in sede di consuntivo, in quanto solo con questo si accertano le
spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo che legittima l’amministratore ad agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro
carico 107.
Successivamente la S.C. ha ritenuto che tale tesi appare in contrasto con l’art.
1135, co. 1°, n. 2, c.c., in base al quale l’assemblea dei condomini provvede alla
approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno ed alla relativa
ripartizione trai condomini. Le spese in questione sono evidentemente (anche)
quelle per l’erogazione dei vari servizi, in quanto quelle che rivestono carattere di
straordinarietà sono previste nel successivo n. 5 108.
Quanto ai rapporti con i terzi contraenti con l’amministratore va rammentato
che quest’ultimo, quando agisce nei limiti dei poteri attribuitigli dalla legge o di
quelli conferitigli dall’assemblea, rappresenta il condominio e pertanto ove ne
107
108
Cass., 18 agosto 1986, n. 5068, in Riv. giur. edilizia, 1986, I, p. 907.
Cass., 18 maggio 1994, n. 4831, in Giust. civ., 1995, I, p. 515.
L’AMMINISTRATORE
813
abbia speso il nome, contrae per conto dello stesso, con conseguente riferibilità
diretta dei relativi rapporti al condominio 109.
27. IL RIMBORSO DELLE SPESE ANTICIPATE DALL’AMMINISTRATORE
L’amministratore non è tenuto ad anticipare per il condominio gli importi necessari all’erogazione delle spese perché ai sensi dell’art. 1719 c.c. il mandante
deve somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato.
Ove, peraltro, tale anticipazione vi sia stata, secondo la S.C. l’amministratore
di condominio cessato dall’incarico è attivamente legittimato a proporre l’azione
per il recupero delle somme da lui anticipate nell’interesse del condominio nel
corso della sua gestione, che risultino dalla deliberazione di approvazione del
rendiconto, nei confronti dei singoli condomini per le quote rispettivamente a
loro carico; tale legittimazione attiva trova il suo fondamento nelle specifiche
funzioni dell’amministratore previste dalla legge (artt. 1130, n. 3, e 1135, n. 3,
c.c.) e più in generale, nella disciplina del rapporto di mandato, quale è quello
configurabile tra i condomini e l’amministratore 110.
In ordine alla legittimazione passiva, si è affermato che, in forza del principio secondo il quale l’amministratore ha, ai sensi dell’art. 1131, co. 2°, c.c., la rappresentanza passiva per qualunque azione concernente le parti od i servizi comuni, deve
ritenersi che la domanda avanzata da un amministratore cessato dall’incarico, per
ottenere il rimborso di somme anticipate nell’interesse della gestione condominiale, possa essere proposta, oltre che nei confronti dei singoli condomini inadempienti all’obbligo di pagare le relative quote, anche nei confronti del condominio
legalmente rappresentato dal nuovo amministratore, non potendosi non considerare come attinente alle parti ed ai servizi comuni un’azione che scaturisce dall’espletamento di un mandato riflettente proprio la gestione di quelle cose e servizi 111.
109
Cass., 18 marzo 2010, n. 6557.
Cass., 12 febbraio 1997, n. 1286, in Vita not., 1997, p. 190; Cass., 24 marzo 1981, n. 1720, in Riv.
giur. edilizia, 1982, I, p. 627; Cass., 15 dicembre 1975, n. 4127.
111
Cass., 23 maggio 1975, n. 2046; Cass., 27 settembre 1996, n. 8530, in Giust. civ., 1997, I, p. 699,
sul presupposto che i condomini non sono obbligati in solido per le obbligazioni assunte dal condominio, ha affermato che sussisterebbe una legittimazione passiva cumulativa del condominio – per l’intero
debito – e dei singoli condomini nei limiti delle quote sugli stessi gravanti, in considerazione della contestuale esistenza delle distinte obbligazioni concernenti rispettivamente l’intero debito e le singole
quote, facenti capo la prima al nuovo amministratore, quale mandatario di tutti i partecipanti al condominio, e le altre ai singoli condomini tenuti in ragione e nella misura della partecipazione, per cui, fino a
quando taluna delle diverse obbligazioni non si estingue, l’azione per conseguire l’adempimento di ciascuna di esse, nei limiti di quanto effettivamente spettante, può essere proposta cumulativamente.
110
814
Vincenzo Nasini
È stata, invece, esclusa la legittimazione passiva del condominio e, per esso,
del suo amministratore, nel caso di domanda, proposta da amministratore cessato dall’incarico, diretta al recupero di contributi condominiali da lui anticipati per
fare fronte alla gestione del condominio perché non pagati dai singoli condomini
che li dovevano dare in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, in
quanto da quest’ultimo, malgrado l’unicità del titolo, non deriva alcuna obbligazione solidale degli altri condomini per il pagamento delle quote non potute riscuotere; infatti, l’identità della prestazione, quale presupposto dell’obbligazione
solidale, deve riferirsi alle persone debitrici, non già alle caratteristiche oggettive
della causale da cui trae origine la situazione debitoria 112.
In dottrina si è ritenuto 113 che la soluzione va trovata in base alla distinzione
tra le spese che l’amministratore anticipa nell’interesse del condominio, quando
può impegnarlo (ad es. in tema di spese urgenti di amministrazione straordinaria,
di cui all’art. 1135, ult. co., c.c.) e spese già deliberare, che l’amministratore anticipa per i singoli condomini morosi.
Mentre in ordine alle prime non può dubitarsi che l’amministratore può rivolgersi per il rimborso sia al condominio che ai singoli condomini, per quanto
riguarda le seconde, invece, essendo stata l’anticipazione effettuata nell’interesse
dei singoli condomini mediante l’adempimento di un debito che questi soltanto
avevano nei confronti del condominio, il rimborso non potrà essere chiesto a
quest’ultimo, né agli altri condomini non morosi 114.
Il credito dell’amministratore per eventuali anticipazioni da lui effettuate nel
corso della sua gestione per conto del condominio riveste natura di credito di valuta. Ne consegue che all’amministratore cessato dall’incarico che chieda il rimborso delle spese suddette, non spetta alcuna somma a titolo di rivalutazione
monetaria 115.
Poiché il credito per le somme anticipate nell’interesse del condominio dall’amministratore trae origine dal rapporto di mandato che intercorre con i condomini, non trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948,
n. 4, c.c., non trattandosi di obbligazione periodica 116.
112
Cass., 21 maggio 1973, n. 1464, in Foro it., 1974, I, c. 1513.
R. TRIOLA, op. cit., p. 620.
114
Nel senso che il condominio non è tenuto a rimborsare all’amministratore revocato dall’incarico i contributi condominiali da lui anticipati per far fronte alle spese condominiali e non pagati dai
singoli condomini, che li dovevano in base allo stato di ripartizione delle spese approvato dall’assemblea, in quanto da quest’ultimo non deriva alcun obbligo solidale degli altri condomini per il pagamento delle quote non riscosse dall’amministratore, cfr. Cass., 11 giugno 1978, n. 1865.
115
Trib. Roma, 25 ottobre 1997, in Arch. locazioni, 1998, p. 238.
116
Cass., 4 ottobre 2005, n. 19348.
113
L’AMMINISTRATORE
815
Secondo la S.C., a differenza della previsione normativa del rimborso al condomino delle spese sostenute senza autorizzazione soltanto in caso di urgenza, è
valida, in mancanza di analoga disposizione, la delibera assembleare di ratifica
delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria effettuate dall’amministratore senza la preventiva autorizzazione anche se le stesse erano prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, purché non siano voluttuarie o gravose, mentre è
nulla e non semplicemente annullabile la deliberazione di ratifica di una spesa assolutamente priva di inerenza alla gestione condominiale, anche se la stessa sia
modesta in rapporto all’elevato numero di condomini e all’entità complessiva del
rendiconto 117.
L’assemblea di condominio, in sede di approvazione del consuntivo di lavori
eseguiti su parti comuni del fabbricato e di ripartizione della relativa spesa, ben
può riconoscere a posteriori opportunamente e vantaggiosamente realizzati detti
lavori, ancorché non previamente deliberati ovvero, a suo tempo, non deliberati
validamente, ed approvarne la relativa spesa, restando in tal caso la preventiva
formale deliberazione dell’opera utilmente surrogata dall’approvazione del consuntivo della spesa e della conseguente ripartizione del relativo importo fra i condomini 118.
Ugualmente si è affermato che è configurabile la ratifica del contratto di assicurazione dello stabile condominiale stipulato dall’amministratore 119, del contratto di locazione di un appartamento condominiale 120, del conferimento del
mandato ad litem anche ad un altro avvocato rispetto a quello designato dall’assemblea 121.
Si è, in proposito, ritenuto che non occorre che l’approvazione della maggiore
spesa sia oggetto di una specifica delibera, essendo sufficiente l’inserimento della
stessa nel rendiconto annuale approvato dall’assemblea, in considerazione della
ammissibilità di una ratifica tacita 122.
117
Cass., 10 agosto 2009, n. 18192. In senso conforme, cfr. Cass., 7 febbraio 2008, n. 2864.
Cass., 24 febbraio 1995, n. 2133, in Arch. locazioni, 1995, p. 619; Cass., 27 dicembre 1963, n.
3226, in Giust. civ., 1964, I, p. 805. Cass., 9 maggio 2011, n. 10153, ha statuito che l’approvazione di un
rendiconto di cassa che presenti un disavanzo tra uscite e entrate non implica che per via deduttiva
possa ritenersi riconosciuto il fatto che la differenza sia stata versata dall’amministratore utilizzando
denaro proprio ovvero che questo sia comunque creditore del condominio per l’importo corrispondente attesoché la ricognizione del debito, sebbene possa essere manifestata anche in forma non
espressa, richiede pur sempre un atto di volizione su di un oggetto specifico.
119
Cass., 6 luglio 2010, n. 15872.
120
Cass., 21 ottobre 1998, n. 10446.
121
Cass., 3 maggio 1967, n. 849.
122
Cass., 6 luglio 2010, n. 15872.
118
816
Vincenzo Nasini
Va, però, ricordato che la ratifica tacita può derivare da fatti concludenti che
implichino univocamente 123 o necessariamente 124 la volontà del dominus di fare
proprio il contratto stipulato in nome e per conto di lui da persona che era priva
del potere di rappresentanza, che non ammettano, cioè, conclusione diversa dall’approvazione dell’operato altrui e dall’accettazione di ogni effetto giuridico da
essa derivante 125.
La ratifica, poi, ha natura giuridica di dichiarazione di volontà a carattere ricettizio, sicché deve essere diretta al terzo e portata a conoscenza di lui 126.
Sotto il primo profilo può dubitarsi della sussistenza di una ratifica tacita solo
perché la spesa non autorizzata è stata inserita nel rendiconto annuale approvato
dall’assemblea, ove la stessa non sia stata specificamente esposta, ma solo inserita
in un gruppo di spese omogenee.
Va, in proposito, ricordato che la stessa S.C. ha affermato che con l’atto formale di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea di una società di capitali, può essere ratificato un atto giuridico posto in essere da un rappresentante
che abbia ecceduto i limiti delle facoltà conferitegli, purché, ove si affermi la presenza di una ratifica tacita, sia accertata chiaramente – al di là della mera approvazione della relativa esposizione – l’univoca volontà dell’assemblea di ratificare
e far proprio l’atto concluso dal falsus procurator 127.
Sotto il secondo profilo va rilevato che, secondo la stessa S.C., ai fini della
configurabilità della ratifica è necessario che la parte che ha trattato con il falsus
procurator sia posta in grado di percepire l’appropriazione della dichiarazione negoziale dallo stesso fatta 128, per cui in tanto la delibera di approvazione del rendiconto potrà costituire ratifica tacita, in quanto sia comunicata al terzo. Ne consegue che la delibera in questione avrà il più limitato effetto di rinunzia a far valere
la responsabilità dell’amministratore.
In definitiva, il solo fatto che la spesa sia stata inserita nel rendiconto annuale
approvato dall’assemblea non basta, ma è necessario che la spesa non autorizzata
sia stata specificamente esposta nel rendiconto come tale e non solo inserita in
un contesto di spese omogenee.
123
Cass., 8 aprile 2004, n. 6937; Cass., 12 gennaio 2006, n. 408; Cass., 20 marzo 1973, n. 782.
Cass., 13 dicembre 1980, n. 6476; Cass., 25 luglio 1980, n. 4821; Cass., 12 marzo 1980, n. 1660;
Cass., 22 giugno 1978, n. 3092; Cass., 24 novembre 1971, n. 3418; Cass., 13 dicembre 1969, n. 3980;
Cass., 10 marzo 1966, n. 680.
125
Cass., 19 maggio 1989, n. 2406; Cass., 27 aprile 1967, n. 763.
126
Cass., 10 marzo 1966, n. 680.
127
Cass., 9 dicembre 1982, n. 7296.
128
Cass., 11 luglio 2006, n. 15699.
124
L’AMMINISTRATORE
817
28. IL COMPIMENTO DEGLI ATTI CONSERVATIVI DEI DIRITTI INERENTI ALLE PARTI COMUNI
L’art. 1130, co. 1°, n. 4, c.c. nella sua precedente formulazione prevedeva tra le
attribuzioni dell’amministratore il compimento degli atti conservativi «dei diritti
inerenti alle parti comuni dell’edificio».
Secondo un’opinione 129 gli atti conservativi si potevano distinguere in due categorie: a) gli atti di conservazione materiale delle parti comuni, quando siano
minacciate da fatti naturali; b) gli atti conservativi dei diritti sulle cose comuni
che siano minacciate da atti umani.
Rientrano tra gli atti conservativi della prima specie, ad es., la sostituzione di
un lucchetto a un cancello comune e il ripristino delle condizioni originarie dell’illuminazione alterate da un condomino.
Negli atti conservativi della seconda specie rientrano tutte le attività di carattere giuridico che l’amministratore è legittimato ad esperire di propria iniziativa
in via stragiudiziale o giudiziale contro coloro (siano essi terzi estranei o condomini) che attentino all’integrità delle cose comuni.
Diritti inerenti alle parti comuni non sono soltanto quelli che si esauriscono in
esse, ma anche i diritti che si estendono ad altre cose: per es. le servitù che spettano a favore del condominio, cioè delle parti comuni, e a carico di terzi.
Il potere/dovere di iniziativa dell’amministratore non si estende, invece, alle
cose o ai servizi di proprietà esclusiva dei singoli condomini, rispetto alle quali
l’amministratore non ha potere di intervenire nei confronti dei rispettivi proprietari se non quando le cattive condizioni di manutenzione delle stesse siano causa
di danno, pregiudizio o pericolo di danno per le parti comuni.
All’amministratore compete anche di tutelare gli interessi comuni dei condomini, come quello di compiere gli atti interruttivi della prescrizione.
Inizialmente nella giurisprudenza di merito 130 si era sostenuto che l’amministratore è legittimato a stipulare contratti di assicurazione. La S.C., invece, ha ritenuto necessaria un’autorizzazione dell’assemblea, in base alla considerazione
che la disposizione dell’art. 1130, co. 1°, n. 4, c.c., obbligando l’amministratore ad
eseguire gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, ha
inteso chiaramente riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di
tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da
terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile, tra i quali non
può farsi rientrare il contratto di assicurazione, perché questo non ha gli scopi
conservativi ai quali si riferisce la suddetta norma, avendo, viceversa, come suo
129
130
G. BRANCA, op. ult. cit., p. 582.
Trib. Roma, 11 agosto 1988, in Arch. locazioni, 1989, p. 532.
818
Vincenzo Nasini
unico e diverso fine, quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell’edificio danneggiato 131.
Va anche aggiunto che a una diversa conclusione si potrebbe pervenire solo se
l’assicurazione del caseggiato fosse prevista obbligatoriamente dalla legge, ma,
com’è noto e come esposto nella specifica scheda, la stipula della c.d. polizza
“globale fabbricati” è attualmente meramente facoltativa.
In relazione all’attribuzione di cui all’art. 1130, n. 4, c.c. la legislazione negli
ultimi vent’anni aveva notevolmente ampliato l’ambito dei poteri-doveri dell’amministratore e delle sue conseguenti responsabilità, introducendo prescrizioni
dirette a garantire la sicurezza degli edifici e a prevenire eventi dannosi per gli
stessi e per le persone.
A mero titolo esemplificativo rammentiamo la legge 5 marzo 1990, n. 46, in
tema di sicurezza degli impianti, la legge 27 marzo 1992, n. 267, riguardante la
cessazione dell’impiego dell’amianto, il d.lgs. 14 agosto 1998, n. 494, che ha recepito la direttiva CEE n. 92/1957 in materia di sicurezza dei cantieri temporanei
e mobili le recenti normative in materia di risparmio energetico e di certificazione energetica e le disposizioni contenute nel regolamento edilizio comunale dalle
quali scaturiscono a carico del condominio e dell’amministratore obblighi nuovi
e di diversa natura.
Negli atti conservativi di natura giudiziale rientrano senz’altro la richiesta delle necessarie misure cautelari 132 e l’esperimento delle azioni possessorie 133.
131
Cass., 3 aprile 2007, n. 8233.
Cass., 1° ottobre 2008, n. 24391, che ha respinto il ricorso contro la sentenza di merito che aveva ritenuto valida la procura alle liti conferita dall’amministratore di condominio ad un avvocato, senza
previa autorizzazione dell’assemblea, affinché proponesse un ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p. c. per
impedire ai condomini l’uso della rampa garage e dell’autorimessa, dopo che i vigili del fuoco ne avevano accertato l’inidoneità all’uso per motivi di sicurezza.
133
Cass., 15 maggio 2002, n. 7063, e Cass., 3 maggio 2001, n. 6190, con riferimento all’azione di
reintegrazione relativa a parti comuni dell’edificio; Cass., 27 luglio 2007, n. 16631, la quale ha invocato
un’interpretazione estensiva dell’art. 1130, n. 4, c.c. con riferimento ad una azione di reintegrazione
nel possesso in relazione ad un’area di proprietà di terzi ma tuttavia destinata, con apposito vincolo
urbanistico, ad un diritto di uso comune da parte dei condomini (nella specie, diritto di parcheggio in
terreno adiacente a fabbricato condominiale); Cass., 15 maggio 2002, n. 7063; Cass., 3 maggio 2001,
n. 6190, in Arch. locazioni, 2001, p. 802; Cass., 4 maggio 1990, n. 4117, in Riv. giur. edilizia, 1990, I, p.
868; Cass., 11 marzo 1960, n. 474, in Foro it., 1961, I, c. 116, la quale ha ugualmente invocato una interpretazione estensiva dell’art. 1130, n. 4, c.c. ed ha osservato che se l’azione petitoria, contro un terzo, che vanti diritti sulle cose comuni, producendo effetti definitiva sulla condizione giuridica di queste, non può rientrare nella categoria degli atti conservativi e perciò può essere promossa solo da chi
abbia il più ampio potere di disposizione, e cioè dai condomini, tuttavia,quando trattasi non di atti che
importano o possono importare una modificazione dello stato patrimoniale con nocumento per la
consistenza economica, ma di atti diretti a preservare il detto stato da molestie, pericoli o pregiudizi da
parte di terzi, che avanzino pretese sulle cose comuni o si comportino comunque in modo tale da mi132
L’AMMINISTRATORE
819
È, invece, pacifico che l’amministratore, in difetto di mandato rappresentativo
dei singoli condomini, non può proporre azioni risarcitorie per i danni subiti nelle unità immobiliari di loro proprietà esclusiva 134.
Il potere-dovere di “compiere atti conservativi”, si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di chiedere non soltanto le necessarie misure cautelari (avuto
riguardo a tutti gli atti diretti a conservare l’esistenza delle parti comuni), ma anche il risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa con la conservazione dei diritti sulle parti comuni, e risulti consequenziale all’impedimento frapposto alla tempestiva esecuzione di quanto legittimamente richiesto 135, oppure
allorché tale danno si concreta nelle spese occorrenti per la rimessione delle cose
nel pristino stato 136.
Non è contestato che tra gli atti conservativi rientrano le iniziative giudiziarie
dirette a contrastare abusi dei condomini o anche di terzi, per cui si è ritenuto
che l’amministratore è legittimato ad instaurare un giudizio:
a) per la rimozione di finestre aperte abusivamente, in contrasto con il regolamento, sulla facciata dello stabile condominiale, da taluni condomini, in quanto
tale atto, essendo diretto a conservare il decoro architettonico dell’edificio contro ogni alterazione dell’estetica dello stesso, è finalizzato alla conservazione dei
diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio 137;
b) per la demolizione della sopraelevazione dell’ultimo piano dell’edificio, costruita dal condomino in violazione delle prescrizioni e delle cautele fissate dalle
norme speciali antisismiche, ovvero alterando l’estetica della facciata dell’edificio 138 o non consentita dalle condizioni statiche del fabbricato 139;
nacciare l’integrità di godimento delle cose stesse, in tali casi non può essere dubbia l’esistenza del potere di rappresentanza dell’amministratore; e poiché l’azione posta a tutela dello spoglio, diretta alla
reintegrazione del possesso di un diritto che, quale la servitù di passaggio a favore di un edificio condominiale, esercitabile come tale a tutti indistintamente i condomini, mira appunto e soltanto alla conservazione di un bene comune, senza che ne possa, quindi, derivare alcun pregiudizio di carattere petitorio, deve concluderei che è compreso nei poteri dell’amministratore quello di promuovere un giudizio possessorio.
134
Cass., 28 novembre 2010, n. 22656.
135
Cass., 22 ottobre 1998, n. 10474, in Riv. giur. edilizia, 1999, I, p. 244, con riferimento alla domanda, ex art. 700 c.p.c., di passaggio su fondo finitimo per l’esecuzione di indifferibili lavori di manutenzione dei muri perimetrali del fabbricato. In senso conforme cfr. Cass., 30 ottobre 2009, n. 23065.
Cass., 16 aprile 1992, n. 4679, in Riv. giur. edilizia, 1992, I, p. 840, peraltro, ha escluso la legittimazione
dell’amministratore a chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’abusiva occupazione di un area
comune.
136
Cass., 22 aprile 1974, n. 1154.
137
Cass., 17 giugno 2010, n. 14626; Cass., 11 novembre 1986, n. 6593, in Arch. locazioni, 1987, p. 86.
138
Cass., 12 ottobre 2000, n. 13611, in Giust. civ., 2001, I, p. 3039.
820
Vincenzo Nasini
c) per l’eliminazione degli allacciamenti abusivi realizzati dai terzi che abbiano
allacciato gli scarichi dei loro immobili nella condotta fognaria dell’edificio condominiale 140;
d) per la rimozione di opere abusivamente realizzate sul lastrico solare, di
proprietà comune 141;
e) per la rimozione di una veranda ricavata dalla trasformazione di un balcone,
in quanto lesiva del godimento degli altri condomini sulla cosa comune, o comunque pregiudizievole dell’estetica e della naturale destinazione della medesima 142;
f ) per la rimozione di un’opera eseguita da un condomino che sia lesiva del
godimento e del possesso degli altri condomini sulla cosa comune o comunque
pregiudizievole della destinazione o dell’estetica della stessa 143.
Alla stessa conclusione perviene la decisione la quale ha affermato che fra gli
atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio che spetta di compiere
all’amministratore, rientrano, quanto alle azioni giudiziarie, quelle cautelari in
genere, nonché quella da proporsi in via petitoria contro coloro che pretendano
di acquistare diritti spettanti sulle cose stesse ai condomini, come nella ipotesi di
compromissione della stabilità dell’edificio o di abuso della cosa comune da parte di un condomino 144.
È pacifico che l’amministratore non può esercitare le azioni che incidono sulla
condizione giuridica dei beni cui si riferiscono e che non costituiscono, pertanto,
atti conservativi 145, come le azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi
dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio 146.
139
Cass., 8 marzo 1986, n. 1552, in Giur. it., 1987, I, 1, c. 268, con nota di G. TERZAGO, Sopraelevazione: art. 1127 codice civile interpretazione e poteri dell’amministratore.
140
Cass., 6 novembre 1986, n. 6494, in Giur. it., 1987, I, 1, c. 1204.
141
Cass., 27 luglio 1983, n. 5160.
142
Cass., 28 maggio 1980, n. 3510.
143
Cass., 11 novembre 1986, n. 6593, in Arch. locazioni, 1987, p. 86.
144
Cass., 11 dicembre 1972, n. 3561, in Giust. civ., 1973, I, p. 633.
145
Cass., 30 ottobre 2009, n. 23065.
146
Cass., 6 febbraio 3009, n. 3044, la quale ha cassato senza rinvio la sentenza che aveva riconosciuto la legittimazione dell’amministratore in relazione all’azione proposta nei confronti di uno dei
comproprietari che aveva aperto accessi nel cortile comune ai fini della rimessa di autovetture, in
quanto tale azione, secondo la S.C., avrebbe inciso sulla condizione di un bene comune sottoposto a
servitù; Cass., 24 novembre 2005, n. 24764, la quale ha affermato che non rientra fra le attribuzioni
dell’amministratore l’azione di natura reale con cui i condomini di un edificio chiedano l’accertamento
della contitolarità del diritto reale d’uso regolarmente costituito con atto pubblico dal venditorecostruttore su un’area di cui lo stesso costruttore-venditore si sia riservato la proprietà; Cass., 28 no-
L’AMMINISTRATORE
821
Contrariamente a quanto ritenuto dalla S.C., non sembra che la tutela dei diritti comuni si possa estendere all’adempimento di obbligazioni nei confronti del
condominio, per cui non può condividersi la decisione secondo la quale l’amministratore, convenuto da un terzo per l’adempimento di un’obbligazione contratta da un precedente amministratore, chieda, nello stesso giudizio, al fine di evitare qualsiasi pregiudizio economico dei condomini, di essere rivalso, dal precedente amministratore, di tutte le somme per le quali il condominio non avrebbe
subito condanna se la condotta del precedente amministratore non fosse stata
negligente 147.
Con riferimento all’azione ex art. 1669 c.c., in caso di gravi difetti o di pericolo
di rovina dell’edificio, la S.C. ha costantemente affermato la legittimazione dell’amministratore all’esperimento della stessa, in quanto atto conservativo.
Inizialmente si era precisato che tale legittimazione sussiste ove l’azione sia intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, che possono porre in pericolo la
stabilità o la sicurezza dell’edificio 148.
Più recentemente tale legittimazione è stata riconosciuta anche con riferimento ai gravi difetti in genere 149, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e
singoli appartamenti o parte di essi soltanto 150, sempre che tali difetti determinino un’alterazione che incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile 151.
Secondo la S.C. il regolamento condominiale (approvato per contratto o anche
in virtù di deliberazione assembleare) può legittimamente sottrarre all’amminivembre 1996, n. 10615, in Riv. giur. edilizia, 1997, I, p. 271, Cass., 23 marzo 1995, n. 3366, in Riv. giur.
edilizia, 1996, I, p. 482, e Cass., 28 settembre 1977, n. 4136, con riferimento alla domanda relativa al
rispetto delle distanze legali; Cass., 24 aprile 1993, n. 4856, in Arch. locazioni, 1993, p. 477, e Cass., 16
aprile 1993, n. 4530, con riferimento alla rivendica della proprietà comune dell’appartamento abusivamente costruito da un condomino sul lastrico solare comune dell’edificio condominiale; Cass., 4
dicembre 1980, n. 6322, con riferimento alla domanda diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia
nei confronti dei condomini della vendita ad un terzo, da parte del costruttore, dell’appartamento destinato ad alloggio del portiere.
147
Cass., 4 ottobre 1963, n. 2625, in Giust. civ., 1964, I, p. 128.
148
Cass., 10 febbraio 1968, n. 441, in Giust. civ., 1968, I, p. 566; Cass., 29 aprile 1983, n. 2954;
Cass., 19 gennaio 1985, n. 152, in Riv. giur. edilizia, 1985, I, p. 188; Cass., 9 marzo 1985, n. 1912, Cass.,
11 novembre 1986, n. 6585, in Arch. civ., 1987, p. 146; Cass., 28 ottobre 1986, n. 6326; Cass., 28 marzo 1997, n. 2775; Cass., 1° agosto 2006, n. 17484.
149
Cass., 21 marzo 2000, n. 3304; Cass., 23 marzo 1995, n. 3366, in Corriere giuridico, 1995, p.
1302, con nota di N. IZZO, Legittimazione processuale dell’amministratore per danni da difetti di costruzione; Cass., 23 marzo 1998, n. 3146, in Arch. civ., 1998, p. 1069 (con riferimento alla coibentazione
termica); Cass., 28 novembre 2010, n. 22656.
150
Cass., 18 giugno 1996, n. 5613.
151
Cass., 6 febbraio 2009, n. 2040.
822
Vincenzo Nasini
stratore il potere di decidere autonomamente in ordine al compimento di eventuali
atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, per conferirlo
esclusivamente all’assemblea, subordinando alla deliberazione di questa l’esercizio
da parte dell’amministratore della relativa azione giudiziaria, attesa la derogabilità
da parte del regolamento condominiale, in favore dell’assemblea, della norma di
cui all’art. 1130 c.c. sulle attribuzioni dell’amministratore, che ha carattere suppletivo e non imperativo 152. In tal modo, però, non si tiene conto che l’inderogabilità
dell’art. 1131, co. 1°, c.c., in relazione alle iniziative giudiziarie che l’amministratore
può assumere rende indirettamente inderogabile anche l’art. 1130, co. 1°, n. 4 c.c.,
come era stato rilevato dalla stessa S.C. in precedenza 153.
Come è stato osservato in dottrina 154, se si riflette che le disposizioni dell’art.
1131 c.c. in tema di rappresentanza non possono essere derogate dalle norme del
regolamento (art. 1138, ult. co., c.c.), è lecito dedurre che nell’ambito delle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c. la rappresentanza dell’amministratore,
proprio perché discende direttamente dalla legge, non può soffrire limitazioni, né
per volontà dell’amministratore medesimo, né per deliberazione dell’assemblea 155. La conservazione delle cose comuni o la disciplina del loro uso è essenziale ai fini dell’esistenza del condominio e non può essere rimessa ad una deliberazione di assemblea, nella quale, per contingenti circostanze, si potrebbe formare
una maggioranza che persegua un determinato interesse, contrario a quello della
collettività condominiale: quella è invece la funzione specifica dell’amministratore
che, egli, fin quando conserva la carica, deve assolvere senza limitazione alcuna.
Fermo restando quanto sopra premesso, va però rilevato che l’art. 1130, co. 1°,
n. 4, c.c., nella sua nuova formulazione, non parla di atti conservativi dei diritti sulle
parti comuni, ma più semplicemente di «atti conservativi relativi alle parti comuni».
Non appare chiaro se la formula utilizzata sia frutto di un mero intento di semplificazione del testo normativo o se la eliminazione del riferimento ai “diritti” inerenti alle parti comuni, abbia, nell’intento del legislatore un altra finalità, e se in particolare si sia voluto specificare che la predetta attribuzione dell’amministratore
debba intendersi limitata ai soli atti conservativi di natura materiale e sostanziale,
per quanto sembra preferibile propendere per la prima ipotesi.
152
Cass., 8 settembre 1997, n. 8719, in Vita not., 1998, p. 178.
Cass., 11 novembre 1986, cit.
154
G. TERZAGO, Sopraelevazione, cit.
155
In senso conforme, cfr. Cass., 10 luglio 1971, n. 2229, per la quale la volontà della maggioranza
di desistere dall’azione intrapresa dall’amministratore per la conservazione dei diritti inerenti alle parti
comuni dell’edificio condominiale non importa il dovere dell’amministratore di rinunciarvi, tanto più
quando siano intervenuti in giudizio alcuni dei condomini dissenzienti.
153
L’AMMINISTRATORE
823
29. I CONTRATTI DEL CONDOMINIO E I POTERI DI RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELL’AMMINISTRATORE
È attribuito all’amministratore il potere di stipulare i contratti necessari per
provvedere, nei limiti della spesa approvata dall’assemblea, sia all’ordinaria amministrazione che alla prestazione dei servizi comuni 156.
Devono ritenersi comprese, ad esempio, tra le attribuzioni dell’amministratore, la scelta del fornitore e la stipula del contratto di somministrazione per
quanto attiene al servizio di riscaldamento 157.
Secondo la S.C. il licenziamento del portiere di un edificio condominiale disposto dall’amministratore, ai sensi dell’art. 1130, n. 2, c.c., non esclude il potere
dell’assemblea dei condomini – la quale sia intervenuta sul medesimo oggetto su
richiesta dell’amministratore per ratificarne l’opera – di “revocare” il licenziamento stesso 158.
La S.C. ha, invece, ritenuto che l’amministratore non ha il potere di stipulare
un contratto di mutuo in assenza di delibera assembleare ad hoc 159, ravvisando un
ostacolo insormontabile nel fatto che l’art. 1131 c.c. espressamente prevede che
l’amministratore ha la rappresentanza dei condomini nei limiti delle attribuzioni
conferitegli dall’art. 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di
condomino o dall’assemblea.
Se si ammettesse una tale possibilità, si dovrebbe necessariamente ammettere
che l’amministratore possa stipulare dei contratti di mutuo, a nome del condominio, in modo del tutto generale; potrebbe quindi contrarre mutui non solo con
i condomini, ma anche con dei terzi, ad esempio banche, contratti eventualmente produttivi di interessi direttamente vincolanti per il condominio. Ma una tale
possibilità esorbita dalle attribuzioni conferite all’amministratore dall’art. 1130
c.c. e richiede l’intervento dell’assemblea.
Per quanto riguarda la copertura delle spese per l’ordinaria amministrazione
l’amministratore ha l’obbligo di riscuotere i contributi. Se il condomino non
provvede ai versamenti, può invocare l’art. 63, co. 1°, disp. att. c.c., ed ottenere un
decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. È parimenti ammesso che l’amministratore possa anticipare di tasca propria i fondi necessari.
156
Cass., 17 marzo 1993, in Giust civ., 1994, I, p. 778.
Cass., 9 marzo 1967 n. 555, in Foro it., 1967, I, c. 703.
158
Cass., 13 agosto 1985, n. 4437, in Arch. locazioni, 1985, p. 674.
159
Cass., 5 marzo 1990, n. 1734, in Foro it., 1990, I, c. 3221, con riferimento ad un’ipotesi in cui per
coprire le spese rilevanti dell’ordinaria amministrazione l’amministratore aveva accettato anticipi da
un condomino per coprire di tali spese ed, entro tali limiti, i giudici di merito avevano ritenuto
applicabile l’art. 1388 c.c.
157
824
Vincenzo Nasini
La dottrina è divisa circa il potere dell’amministratore di dare in locazione i
locali comuni. Secondo un’opinione 160 in tale potere rientra anche quello di determinare il canone e di provvedere all’eventuale sfratto dell’inquilino. In senso
contrario si è osservato 161 che la locazione di beni comuni è atto di competenza
dell’assemblea, non essendo stata riprodotta nel codice la disposizione dell’art. 18,
r.d. 15 gennaio 1934, n. 56, che consentiva espressamente all’amministratore la stipula dei contratti di locazione per durata inferiore a due anni.
Ad avviso di chi scrive, non rientrando tra gli atti conservativi delle cose e dei
diritti comuni, si tratta di un atto che rientra tra le attribuzioni dell’assemblea e
non dell’amministratore, il quale ha quindi solo il potere di sottoscrivere il contratto il cui contenuto e le cui condizioni siano stati deliberati preventivamente
dall’assemblea. In tale ordine di idee non sarebbe neppure condivisibile la tesi secondo la quale si dovrebbe distinguere tra l’ipotesi di stipulazione ex novo del
contratto da quella di rinnovo di un precedente contratto scaduto, non essendovi
alcuna differenza tra le due fattispecie quanto al contenuto del contratto e ai suoi
effetti.
Quanto alle obbligazioni cambiarie è stato ritenuto che l’amministratore non
possa provvedere al pagamento a mezzo di cambiali se tale potere non gli è attribuito dal regolamento o se l’assemblea non gli conferisca la procura cambiaria in
via preventiva o successiva ai sensi degli artt. 1392 e 1399 c.c. 162.
30. LA PARTECIPAZIONE A PROGETTI, PROGRAMMI E INIZIATIVE TERRITORIALI
In tema di nuove attribuzioni dell’amministratore, del tutto demagogico e di
difficile interpretazione è l’ultimo comma dell’art. 1135 c.c., introdotto dalla legge di riforma 11 dicembre 2012, n. 220, in base al quale l’assemblea può autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a progetti, programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonché di
demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza, la sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato.
A prescindere dalla superfluità della previsione, non si capisce la distinzione
tra partecipazione e collaborazione ai progetti in questione.
160
G. BRANCA, op. ult. cit., p. 574.
G.A. NOBILE, L’amministratore di condominio, Jovene, Napoli, 1966, p. 150.
162
Trib. Monza, 23 marzo 1989, in Arch. locazioni, 1990, p. 81.
161
L’AMMINISTRATORE
825
Ad ogni modo, è evidente che l’eventuale partecipazione o collaborazione riguardano la stesura dei progetti, ma non l’esecuzione degli stessi mediante le opere
considerate, le quali dovrebbero pur sempre essere deliberate dall’assemblea.
31. L’OBBLIGO DI CONSENTIRE AI CONDOMINI L’ESAME DEI
L’ACCESSO AL CONTO CORRENTE BANCARIO O POSTALE
DOCUMENTI CONDOMINIALI.
Secondo la S.C., in tema di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea
condominiale, l’amministratore del condominio non aveva l’obbligo di depositare la documentazione giustificativa del bilancio negli edifici 163.
Nella giurisprudenza di merito si era precisato 164 che la violazione del diritto
(derivante dalla qualità di mandante che il condomino assume nei confronti dell’amministratore) di esaminare in qualunque momento la documentazione contabile concernente l’esercizio di gestione da approvare in una futura assemblea,
non costituisce un vizio della convocazione, che si attua con il semplice invito dei
condomini alla riunione, e si è sottolineato che qualora la documentazione sia
presentata ai condomini nel corso dell’adunanza assembleare è rimessa alla volontà della maggioranza la decisione di approvare il rendiconto in tale sede o
eventualmente di non approvarlo fino all’effettuazione di un migliore esame. Tale scelta attiene al merito delle decisioni rimesse all’assemblea e non è censurabile con l’impugnazione della deliberazione, a meno di non ravvisare un eccesso di
potere configurabile laddove si dimostri che l’assemblea ha fatto cattivo uso del
potere discrezionale ad essa spettante, ad esempio omettendo completamente
l’esame della documentazione, eccesso di potere che deve comunque essere dedotto espressamente da chi impugna la delibera.
Il Garante della privacy ha stabilito in due occasioni (12 dicembre 2001 e 19
maggio 2000) che i condomini sono «contitolari di un medesimo trattamento e
come tali hanno diritto di ricevere le informazioni riguardanti l’amministrazione
e il funzionamento del condominio».
163
Cass., 28 gennaio 2004, n. 1544, in Arch. locazioni, 2004, p. 367, secondo la quale la mancata
indicazione nell’avviso di convocazione del luogo e delle ore in cui sarebbe stato possibile l’esame della
documentazione contabile era insufficiente a far ritenere dimostrata da parte dei condomini l’impossibilità di prenderne visione. Nel senso che la mancata disponibilità della documentazione contabile in
sede di approvazione del consuntivo da parte dei condomini comporta la violazione, da parte dell’amministratore, dell’obbligo di rendiconto e la conseguente invalidità della delibera di approvazione, cfr.
Cass., 8 agosto 2003, n. 11940, in Giust. civ., 2004, I, p. 85, con nota di N. IZZO, L’impedita consultazione della documentazione condominiale determina l’annullabilità della deliberazione.
164
Trib. Genova, 4 giugno 2003, in Arch. locazioni, 2003, p. 793.
826
Vincenzo Nasini
Attualmente il problema è superato, avendo l’art. 1130 bis, co. 1°, c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, espressamente stabilito che i condomini e i titolari di diritti reali sulle unità immobiliari possono prendere visione
dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie
spese.
È stato, così, recepito l’orientamento della S.C. in materia 165. Si è però trascurato di considerare che tale diritto era stato riconosciuto a condizione che esso
non intralciasse l’attività amministrativa e non fosse contrario ai principi di correttezza, anche se si era escluso l’onere di specificare le ragioni della richiesta 166.
Molto gravoso appare l’obbligo previsto dal n. 9 dell’art. 1130 c.c. di fornire al
condomino che ne faccia richiesta l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti
degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso.
In primo luogo perché, in considerazione della diversa formulazione rispetto
al co. 2° dell’art. 1130 bis (il quale prevede che i condomini e i titolari di diritti
reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese),
l’attestazione in questione deve essere rilasciata gratuitamente.
L’attestazione relativa allo stato dei pagamenti, poi, in mancanza di limitazioni, può riguardare tutti i condomini e non solo il richiedente. È evidente come
l’adempimento gratuito di tale obbligo diventa gravoso.
Per quanto riguarda il secondo obbligo, in considerazione della formulazione
della norma (la quale fa riferimento alla «attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso» e non «alle eventuali liti in corso»), è da ritenere che la richiesta di attestazione può riguardare
tutte le liti e non solo quelle relative al pagamento degli oneri condominiali.
Sempre in considerazione della formulazione della disposizione, la quale parla
di attestazione relativa allo «stato» delle eventuali liti in corso, è da ritenere che
l’amministratore è tenuto a fornire solo le informazioni relative al grado di giudizio e alla fase processuale nell’ambito di tale grado di giudizio in sui la lite si trova. Sarebbe eccessivamente gravoso, invece, ritenere che l’amministratore debba
anche fornire gratuitamente copia degli atti processuali (che, tra l’altro, sono in
possesso del difensore del condominio e della controparte).
In tema di obblighi gravanti sull’amministratore non si può non rilevare un’altra contraddizione, emergente dalla legge di riforma del condominio.
In base all’art. 1129, co. 2°, c.c., l’amministratore, al momento in cui accetta la
nomina, comunica il locale ove si trovano i registri di cui (anche) al n. 7 dell’art.
165
166
Cass., 21 settembre 2011, n. 19210; Cass., 29 novembre 2001, n. 15159.
Cass. 29, novembre 2001, cit.; Cass., 21 settembre 2011, cit.
L’AMMINISTRATORE
827
1130, nonché i giorni in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore,
può prenderne gratuitamente visione ed ottenere, previo rimborso delle spese,
copia da lui firmata.
Tra i registri in questione vi è quello di contabilità, del quale risulta lo stato
dei pagamenti dei contributi che, invece, in base all’art. 1130, n. 9, c.c., l’amministratore è tenuto a fornire gratuitamente.
Prima della riforma del condominio era da escludere un diritto esercitabile
verso l’amministrazione di esaminare le carte condominiali da parte del conduttore, neppure in ordine alle spese relative al servizio di riscaldamento e condizionamento d’aria per deliberare sulle quali è previsto il suo diritto di voto.
È vero che l’art. 9 della legge 27 luglio 1978, n. 392, stabiliva che quest’ultimo
ha diritto di ottenere l’indicazione specifica delle spese con la menzione dei criteri di ripartizione e ha diritto di prendere visione dei documenti giustificativi delle
spese effettuate.
Questa norma, tuttavia, com’è desumibile anche dalla sua collocazione, era
applicabile solo nell’ambito del rapporto interno tra locatore-conduttore, al quale il condominio, in base alla normativa previgente, è del tutto estraneo.
Il conduttore doveva richiedere alla sua controparte dove e quando poteva
esaminare le pezze giustificative e il locatore doveva provvedere a munirsi di tale
documentazione per poterla mettere a disposizione del proprio inquilino.
D’altro canto l’art. 9, cit., prevedeva il diritto del conduttore di prendere visione dei documenti non prima dell’assemblea, ma prima di effettuare il pagamento al locatore a seguito della sua richiesta: entro sessanta giorni da questa deve aver luogo il pagamento al locatore che nel frattempo ha già provveduto a sua
volta al pagamento.
L’art. 1130 bis, co. 1°, c.c. ha ora espressamente previsto che i titolari di diritti
di godimento sulle unità immobiliari (al pari dei condomini e dei titolari di diritti
reali) possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese.
Si pone, pertanto, il problema del coordinamento con l’art. 9, cit. Sembra da
escludere una abrogazione di tale disposizione per incompatibilità della nuova
normativa.
Il diritto del conduttore all’accesso diretto alla contabilità condominiale non
fa venir meno l’obbligo del locatore di fornire gratuitamente la documentazione
al conduttore che non voglia sobbarcarsi l’onere delle spese ove dovesse chiederla all’amministratore.
Sembra, infine, logico ritenere che il diritto in questione sia sottoposto a due
limiti: a) non essendo il conduttore legittimato a partecipare all’assemblea e ad
828
Vincenzo Nasini
impugnare le relative delibere, la richiesta della documentazione può essere
avanzata solo dopo l’approvazione del preventivo o del consuntivo; b) la richiesta può avere ad oggetto soltanto la documentazione inerenti le spese che il conduttore è tenuto a rimborsare al locatore.
Va rilevato per completezza che il problema ora esaminato dell’informativa ai
condomini potrebbe avere efficace soluzione qualora trovasse applicazione piena
la previsione dell’art. 71 ter disp. att. c.c., secondo la quale, su richiesta dell’assemblea, che delibera con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136
c.c., l’amministratore è tenuto ad attivare, con spese di attivazione e di gestione a
carico dei condomini, un sito internet del condominio che consenta agli aventi
diritto di consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti
dalla delibera stessa.
L’art. 1129, co. 7°, c.c., dopo avere stabilito che l’amministratore è obbligato a
far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi,
nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio, aggiunge che
ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere
visione ed estrarre copia a proprie spese della rendicontazione periodica.
È da ritenere che la rendicontazione periodica alla quale fa riferimento la disposizione in questione è l’estratto conto. In tal modo si è voluto consentire al
condomino di controllare che le somme di cui alla situazione contabile risultante
dall’attestato di cui al n. 9 dell’art. 1130 c.c. vengano effettivamente versate sul
conto corrente.
32. LA CURA DELL’ANAGRAFE CONDOMINIALE
Tra le attribuzioni e i doveri che alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza
hanno assunto particolare rilevanza, bisogna menzionare quello connesso alla tenuta, alla cura e all’aggiornamento della c.d. “anagrafe condominiale”.
Nella prassi avviene spesso che soggetti che non rivestono la titolarità di diritti
sulle unità immobiliari del condominio, si comportino invece come tali, sia partecipando all’assemblea (in proprio e non in qualità di delegati, perché in tal caso
non sussisterebbe problema), sia nei rapporti con l’amministrazione, ad esempio
pagando sempre senza contestazione i contributi condominiali che vengono richiesti a loro personalmente, e ricevendo sempre senza alcuna obiezione gli avvisi di convocazione e ogni altra comunicazione concernente il condominio.
Questi comportamenti fanno sorgere o rafforzano nell’amministratore la convinzione che tali soggetti siano gli effettivi titolari del diritto.
L’AMMINISTRATORE
829
Tale convinzione viene poi meno quando l’amministratore, costretto ad esperire procedimento ingiuntivo a causa della mora del condomino, agisce nei confronti del condomino apparente e si vede opporre dall’ingiunto di non essere legittimato passivamente in quanto non titolare di alcun diritto sull’immobile.
Nella maggior parte dei casi la mala fede è comune sia al condomino apparente che al vero proprietario: accade spesso, infatti, che quest’ultimo, lamentando
di non aver potuto partecipare all’assemblea essendo l’avviso di convocazione
stato inviato non a lui ma al condomino apparente, impugni la deliberazione che
ha approvato il rendiconto e lo stato di riparto.
La S.C., ha affermato 167 che «l’amministratore del condominio al fine di assicurare una regolare convocazione dell’assemblea è tenuto a svolgere le indagini
suggerite dall’ordinaria diligenza per rintracciare i condomini non più presenti al
precedente recapito onde poter comunicare a tutti l’avviso di convocazione».
In senso contrario si è osservato 168 che l’ordinaria diligenza dell’amministratore nel convocare l’assemblea consiste nell’inviare il relativo avviso agli indirizzi
risultanti dai dati in suo possesso e che gli sono stati forniti dai condomini. Nel
caso in cui un condomino avesse cambiato indirizzo senza comunicare all’amministratore il suo nuovo recapito, non si comprende perché a tale negligenza dovrebbe porre riparo l’amministratore, fino al punto, eventualmente, di dover rinviare l’assemblea in attesa dell’esito delle ricerche.
L’affermazione, poi, che l’amministratore non dovrebbe limitarsi a compiere
ricerche anagrafiche, ma dovrebbe raccogliere informazioni dagli altri condomini
abitanti nella stessa città o eventualmente legati da rapporti di amicizia o di parentela con coloro che hanno mutato residenza, a tacer d’altro, non tiene conto
delle difficoltà probatorie relative all’adempimento di tale (inesistente) obbligo.
Pur non negandosi valore agli aspetti morali che sottendono tali critiche, non
sembra però contestabile sotto il profilo strettamente giuridico che in particolare
una procedura debba essere esperita comunque nei confronti del soggetto effettivamente legittimato e che, prima di intraprenderla, sia sempre necessario compiere un’attenta verifica in ordine all’effettiva titolarità del diritto.
167
Cass., 28 novembre 2000, n. 15283, in Giust. civ., 2001, I, p. 973. In precedenza, nel senso che è
onere dell’acquirente di un’unità immobile assumere iniziative, magari anche con l’alienante, per far
conoscere all’amministratore di essere il nuovo proprietario, non avendo questi l’obbligo di verificare i
registri immobiliari, cfr. Cass., 4 febbraio 1999, n. 985, in Arch. locazioni, 1999, p. 249.
168
R. TRIOLA, Il condominio, cit., p. 453. Nel senso che l’amministratore di condominio non abbia
l’onere di porre in essere particolari ricerche, quali la consultazione dei registri immobiliari, sulla base di
considerazioni di carattere generale circa compiti e responsabilità dell’amministratore, cfr. G. TERZAGO,
Il condominio, Giuffrè, Milano, 1998, p. 393 ss. Nella giurisprudenza di merito cfr.: Trib. Genova, 25 gennaio 1999, in Arch. locazioni, 1999, p. 107; Trib. Roma, 11 aprile 1995, in Gius, 1995, p. 1123.
830
Vincenzo Nasini
Ad ogni modo, la S.C. ha ritenuto pienamente legittima la previsione contenuta
nel regolamento di condominio che impone ai condomini l’obbligo di comunicare
i mutamenti dei loro indirizzi ed i trasferimenti delle unità immobiliari facenti parte
dello stabile, in quanto finalizzata ad una più spedita e corretta gestione dell’amministrazione condominiale e non lesiva di alcun diritto dei condomini 169.
L’elaborazione giurisprudenziale citata è stata sostanzialmente recepita dalla
legge di riforma inserendo all’art. 1130, n. 6, c.c. espressamente l’obbligo di tenuta del registro di anagrafe condominiale.
Va detto, peraltro, che tale obbligo va ben al di là della tutela delle esigenze
cui abbiamo accennato sopra, posto che stabilisce che detto registro deve contenere non solo le generalità dei proprietari e dei diritti reali di godimento (quindi
nudo proprietario e usufruttuario, usuario, habitator, ecc.), ma anche dei titolari
di diritti personali di godimento e quindi dei conduttori e degli eventuali comodatari.
Per la verità non si vede la ragione di questa previsione, posto che nessun rapporto diretto intercorre tra condominio e quindi amministrazione e conduttori e,
a fortiori, comodatari, che neppure vantano quel diritto di voto nelle assemblee
previsto dall’art. 10 della legge n. 392 del 1978.
Inoltre, il registro anagrafico deve contenere anche il codice fiscale, la residenza e perfino il domicilio dei medesimi soggetti, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare e tutti i dati relativi alle condizioni di sicurezza.
La previsione appare, da un lato, poco chiara e, dall’altro lato, talmente ampia
e generica che finirà certamente per generare notevoli problemi interpretativi e
soprattutto difficoltà attuative.
Sotto il primo profilo vi è da stabilire la portata della locuzione «dati relativi
alle condizioni di sicurezza», che può riferirsi ad ogni aspetto della sicurezza in
condominio, compresa ad esempio quello relativo alla privacy. Sotto il secondo
profilo va, invece, rilevato che i successivi paragrafi del comma prevedono:
– che ogni variazione dei dati debba essere comunicata all’amministratore in
forma scritta “entro sessanta giorni”;
– che l’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle
comunicazioni, debba richiedere con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe;
– che decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore stesso acquisisce le informazioni necessarie addebitandone il costo ai
“responsabili”.
169
Cass., 21 agosto 2003, n. 12298, in Arch. locazioni, 2004, p. 97.
L’AMMINISTRATORE
831
Ora, se è comprensibile che venga richiesto di registrare le informazioni strettamente connesse ad eventuali alienazioni dell’immobile e/o costituzioni di diritti reali (meno comprensibile quella dei dati relativi a eventuali diritti personali),
non sembra affatto condivisibile l’estensione della previsione normativa e soprattutto della procedura prevista in caso di mancata risposta a tutti gli altri dati.
Si tratta all’evidenza, per il modo come la norma è strutturata e per il fatto che
l’anagrafe è riferita a una così rilevante e generica quantità di dati, di un obbligo
burocratico per molti versi eccessivo e di difficile adempimento, che comporterà
per l’amministratore nuove e rilevanti attività e responsabilità indirette per eventuali carenze gestionali che possano essere in qualche modo collegate all’omesso
o parziale compimento di tali incombenti.
Connesso all’obbligo della tenuta dell’anagrafe condominiale è il problema
della responsabilità dell’amministratore nel caso di incompleta o errata convocazione di tutti i condomini per un’assemblea.
In concreto si possono verificare diverse ipotesi.
Può accadere che all’inizio dell’assemblea si accerti l’errore o l’incompletezza
della convocazione e si decida di non procedere all’esame degli argomenti all’ordine del giorno. In tal caso dal negligente comportamento dell’amministratore
deriveranno da un lato la necessità di riconvocazione dell’assemblea e dall’altro
lato l’obbligo giuridico in capo all’amministratore stesso di risarcire il danno che
consisterà nelle spese sostenute dal condominio per la convocazione dell’assemblea e per il noleggio della sala nella quale si è tenuta inutilmente la riunione.
Può però accadere che l’assemblea si tenga ugualmente e, in tal caso, si danno
due ulteriori possibilità. Può darsi che nessuno impugni la deliberazione: poiché
si verte in una fattispecie di annullabilità e l’impugnazione va proposta nel termine a pena di decadenza nei trenta giorni, di norma non vi sarà un concreto danno
risarcibile. Può invece accadere che taluno impugni ritualmente e tempestivamente la delibera: in tal caso bisogna ulteriormente distinguere.
Se, infatti, l’amministratore ha informato l’assemblea del vizio derivante dall’incompleta o errata convocazione, i presenti avrebbero ben potuto accorgersi
dell’irregolarità, rinunciando ad assumere delibere suscettibili di impugnazione.
È da ritenersi che, se nonostante tale informativa, essi decidono ugualmente
di procedere e di correre il rischio di un’eventuale impugnazione, le conseguenze
di tale decisione debbano essere a loro esclusivamente imputabili.
Qualora invece l’amministratore non abbia informato l’assemblea e questa a
causa di tale omessa informativa abbia proceduto nei lavori adottando una delibera inficiata a monte da un vizio formale di convocazione non facilmente riconoscibile aliunde, egli potrà essere tenuto a risarcire gli ulteriori danni, ad esem-
832
Vincenzo Nasini
pio quelli rappresentati dagli esborsi per spese legali che il condominio, a seguito
dell’impugnazione della delibera da parte di un condomino non convocato o
convocato in ritardo o con modalità inidonee, abbia dovuto rimborsare alla controparte.
Quanto sopra fermo restando l’obbligo di rispondere anche di danni più gravi
derivanti dal comportamento doppiamente negligente dell’amministratore (errore nella convocazione e omessa informativa del proprio errore all’atto della costituzione all’assemblea).
Naturalmente troveranno applicazione i principi generali in tema di responsabilità del mandatario anche in funzione della gratuità o onerosità del mandato,
ma se l’errore nella convocazione può essere configurato di volta in volta in termini di colpa lieve o grave a seconda del tipo di errore commesso, qualora ad esso faccia seguito anche il comportamento omissivo per mancata informativa all’assemblea dell’errore compiuto e delle sue conseguenze, deve ritenersi ricorra
sempre e comunque un’ipotesi di colpa grave, tale da integrare una responsabilità
dell’amministratore anche qualora si tratti di mandato gratuito.
33. L’OBBLIGO DI CUSTODIA E DI RESTITUZIONE DEI DOCUMENTI CONDOMINIALI
L’art. 1130, n. 8, c.c. prevede espressamente e testualmente l’obbligo in capo
all’amministratore di «conservare tutta la documentazione inerente alla propria
gestione riferibile sia al rapporto con i condomini, sia allo stato tecnico-amministrativo dell’edificio e del condominio».
La formulazione letterale, ampia e onnicomprensiva, della norma esime dallo
stabilire quali siano i documenti che l’amministratore deve “tenere” cioè conservare. Si possono quindi elencare, a mero titolo esemplificativo, oltre al registro
dei verbali, il registro dell’anagrafe condominiale, il registro di nomina e revoca
dell’amministratore, il rendiconto, il registro di contabilità, il riepilogo finanziario, le pezze giustificative e d’appoggio e tutta la documentazione fiscale, anche i
registri dei condomini, nonché l’inventario delle parti comuni e gli schemi degli
impianti utili ai fini di eventuali interventi manutentivi, nonché tutta la documentazione connessa all’adempimento di tutti quegli obblighi fiscali e di sicurezza che la normativa di volta in volta impone ai condomini e per essi ai rispettivi
amministratori.
L’amministratore è custode dei documenti ricevuti dal mandante e di quelli
acquisiti in nome e nell’interesse dello stesso durante la gestione ed è perciò tenuto a conservarli con la diligenza propria dell’incarico ed è responsabile della
loro integrità.
L’AMMINISTRATORE
833
È necessario evidenziare come, per espressa disposizione dell’art. 1130 bis, co.
1°, c.c., le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci
anni dalla data della relativa registrazione.
Se la disposizione è da porre in relazione ai termini prescrizionali dei diritti
dei terzi nei confronti del condominio, suscita qualche perplessità il fatto che non
si sia tenuto conto, da un lato, del fatto che esistono termini prescrizionali diversi
a seconda della tipologia dei diritti, e dall’altro lato, che il compimento di eventuali atti interruttivi della prescrizione da parte del terzo può rendere ultroneo e
in per certi versi anche pericoloso il riferimento, come dies a quo, alla data di registrazione della pezza giustificativa.
Va in proposito rilevato che, in caso di smarrimento o perimento della documentazione condominiale, l’amministratore può essere chiamato rispondere delle conseguenze dannose che da tali eventi derivino al condominio.
Basti pensare ad eventuali richieste di pagamento formulate da fornitori o
prestatori d’opera alle quali il condominio non sia in condizione di opporre documentazione liberatoria a causa dell’indisponibilità delle pezze d’appoggio smarrite o comunque mancanti.
Estinto il rapporto per nomina di altro amministratore ovvero per revoca o
dimissioni, l’amministratore uscente deve restituire l’intera documentazione a
sue mani. Tale obbligo, che avrebbe comunque trovato la sua fonte nel disposto
dell’art. 1713 c.c. secondo il quale «il mandatario deve rimettere al mandante
tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato», è stato espressamente sancito
dall’art. 1129, co. 8°, c.c., in base al quale alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini.
Ne consegue che l’amministratore non può rifiutare la riconsegna neppure
opponendo il mancato pagamento di somme eventualmente da lui anticipate per
il condominio. Va rilevato in proposito che non può essere invocato il disposto
dell’art. 2761 c.c.
Se è vero, infatti, che questa norma stabilisce che i crediti derivanti dall’esecuzione del mandato hanno privilegio sulle cose del mandante che il mandatario detiene per l’esecuzione del mandato, è altrettanto vero che il privilegio
speciale attinente il mandato riguarda beni suscettibili di realizzazione economica e in quanto tale non è applicabile ai documenti che non presentano certo
tale requisito.
La S.C., poi, ha escluso che possa essere invocato il principio «inadimplenti
non est adimplendum» di cui art. 1460 c.c. e che quindi l’amministratore del
condominio alla scadenza del suo mandato possa trattenere i documenti fino al
834
Vincenzo Nasini
rimborso delle somme anticipate per conto del condominio, stante l’assenza di
corrispettività e di interdipendenza tra dette prestazioni, originate da titoli diversi 170.
Ne consegue che deve ritenersi tardiva la consegna della documentazione eseguita solo a seguito dell’ordine del giudice adito dal condominio ex art. 700 c.p.c. 171.
Secondo la S.C. la nomina di un nuovo amministratore in sostituzione del
precedente dimissionario spiega efficacia nei confronti dei terzi, anche ai fini della rappresentanza processuale del condominio, dal momento in cui sia stata adottata la relativa deliberazione dell’assemblea, nelle forme di cui all’art. 1129 c.c.,
senza che abbia rilievo la diversa data in cui sia stato sottoscritto il verbale di consegna della documentazione dal vecchio al nuovo amministratore 172.
Detto degli originali della documentazione, v’è da chiedersi se l’amministratore uscente sia legittimato ad estrarre e trattenere presso di sé copie fotostatiche
dei documenti trasmessi al nuovo in sede di passaggio delle consegne.
A nostro avviso deve darsi risposta negativa anche a questo quesito, anche in
considerazione delle norme sulla tutela della privacy, che vengono a trovare pieno vigore nel momento in cui chi deteneva legittimamente dati personali del
mandante in funzione del suo incarico, non rivestendo più la qualità di mandatario ha perso ogni titolo per conservarli presso di sé e a fortiori per farne una qualsiasi utilizzazione a proprio favore o peggio a favore di terzi.
Da quanto esposto sopra consegue che qualora l’amministratore uscente non
provveda a consegnare i documenti di competenza del condominio può essere
convenuto in giudizio in forza del combinato disposto degli artt. 1713 c.c. e 700
c.p.c., al fine di evitare ai condomini danni connessi all’impossibilità di compiere
gli atti di gestione necessari per la vita del condominio.
170
Cass., 3 dicembre1999, n. 13504. Secondo tale decisione l’amministratore in carica può agire
senza l’autorizzazione espressa dell’assemblea, contro il precedente amministratore, in quanto il comportamento di quest’ultimo impedisce in concreto l’esercizio della gestione. Posto, infatti, che la legittimazione attiva dell’amministratore viene dalla legge specificamente riferita a determinati momenti
della gestione, avuto riguardo alla ratio, la legittimazione processuale non può non estendersi ai presupposti necessari dei singoli momenti gestori, tra i quali si comprende il recupero della documentazione relativa alla gestione precedente, che raffigura una priorità di fatto, indispensabile per l’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea, la cura dell’osservanza del regolamento di condominio, l’amministrazione delle cose e degli impianti e dei servizi comuni, la conservazione e la manutenzione di essi,
la disciplina del loro uso e, soprattutto, la riscossione dei contributi.
171
Trib. Milano, 5 novembre 1992, in Arch. locazioni, 1993, p. 564.
172
Cass., 22 agosto 2012, n. 14599.
L’AMMINISTRATORE
835
34. IL RENDICONTO
L’amministratore ha l’obbligo di sottoporre alla fine di ciascun anno contabile
il conto della sua gestione all’assemblea dei condomini.
Il rendiconto o bilancio consuntivo è appunto il documento attraverso il quale l’amministratore fornisce e rende possibile il controllo delle informazioni patrimoniali, finanziarie ed economiche relative all’attività esercitata nell’esercizio
di gestione di durata annuale che può coincidere con l’anno solare o con un periodo temporale diverso.
La normativa previgente non stabiliva particolari requisiti per la redazione del
rendiconto limitandosi a prevedere l’obbligo in capo all’amministratore di rendere il conto della gestione a fine esercizio.
Si è dibattuto a lungo in dottrina e giurisprudenza sul fatto che il rendiconto
dovesse essere redatto secondo il criterio di cassa, secondo il quale devono essere
incluse solo le entrate e le uscite effettivamente verificatesi nel periodo dell’esercizio contabile e non le somme che si riferiscono a tale periodo ma non ancora
corrisposte e rispettivamente incassate oppure secondo quello di competenza,
che consiste invece nell’includere nel rendiconto tutte le voci di entrata e uscita
che si riferiscono all’esercizio contabile a prescindere dal fatto che siano state effettivamente incassate o pagate.
Secondo una decisione 173 il conto consuntivo della gestione condominiale
avrebbe dovuto essere strutturato in base al principio di cassa, per cui l’inserimento della spesa va annotato in base alla data dell’effettivo pagamento.
Si trattava però di un orientamento non pacifico, in quanto il criterio di cassa
reca con sé una grave controindicazione consistente nel fatto che, in caso di trasferimento della proprietà di un’unità immobiliare, l’acquirente, pur avendo definito col venditore tutte le pendenze che risultano in bilancio, onde evitare di essere tenuto a risponderne ex art. 63 disp. att. c.c., sia ciononostante chiamato a
contribuire a oneri che riguardino periodi precedenti il suo acquisto.
Veniva ritenuta maggiormente conforme alle esigenze del condominio la redazione del bilancio in termini di competenza, ma predisponendo al tempo stesso anche un documento in cui fossero evidenziati le giacenze di cassa, i debiti da
estinguere e i crediti da incassare, così da consentire ai condomini di avere una
visione chiara ed esaustiva della situazione complessiva dello stato patrimoniale
condominio.
Era comunque pacifico che il rendiconto non dovesse essere redatto con forme
rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, ma dovesse essere
173
Trib. Milano, 20 giugno 1991, in Arch locazioni, 1992, p. 382.
836
Vincenzo Nasini
idoneo a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, e cioè tale da fornire la prova, attraverso i corrispondenti
documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle
somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli
elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a
criteri di buona amministrazione 174, anche con riferimento alla specificità delle partite, atteso che quest’ultimo requisito – come si desume dagli artt. 263 e 264 c.p.c.
(disciplinanti la procedura di rendiconto ed applicabili anche al rendiconto sostanziale) – costituisce il presupposto indispensabile per la sussistenza dell’onere del destinatario del conto d’indicare specificamente le partite che intende contestare 175.
A seguito della riforma del condominio di cui alla legge 11 dicembre 2012, n.
220, il combinato disposto dell’art. 1130, nn. 7 e 10, e dell’art. 1130 bis c.c., intitolato “rendiconto condominiale”, ha introdotto invece elementi formali di un certo
rilievo, con l’effetto di appesantire considerevolmente il documento denominato
rendiconto e di aggravare l’attività dell’amministratore.
In primis, l’art. 1130 prevede al n. 7) l’obbligo di tenuta, anche con modalità informatizzata, del c.d. “registro di contabilità”.
Si tratta di un documento nel quale devono essere annotati in ordine cronologico entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in uscita e
in entrata.
Lo stesso articolo, al n. 10, indica tra le attribuzioni dell’amministratore quella
di redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare
l’assemblea per la relativa approvazione antro centottanta giorni.
Per contro l’art. 1130 bis, co. 1°, contiene delle precise indicazioni in merito
alla struttura del documento genericamente denominato “rendiconto condominiale”; dalla norma si evince che trattasi di un documento complesso, che si compone di più documenti: a) il registro di contabilità, già menzionato; b) il riepilogo
finanziario; c) una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche
dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.
Si può dire quindi che, pur non essendo stata presa una netta e chiara posizione in merito alla diatriba rendiconto di competenza/rendiconto di cassa, il legislatore ha finito per adottare una soluzione di compromesso che, almeno nelle
174
Cass., 7 luglio 2000, n. 9099, in Riv. giur. edilizia, 2000, I, p. 748. Nel senso che è sufficiente che
la contabilità sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative
quote di ripartizione, cfr.: Cass., 20 aprile 1994, n. 3747; Cass., 25 maggio 1984, n. 3231. Per Cass., 25
novembre 1975, n. 3936, tali principi sarebbero validi quanto meno nel caso in cui il conto si riferisce
ai condominii di modeste proporzioni.
175
Cass., 6 febbraio 1984, n. 896, in Foro it., 1984, I, c. 699.
L’AMMINISTRATORE
837
intenzioni, dovrebbe portare alla redazione di un documento atto a fornire ai
condomini un’indicazione chiara e completa della gestione ma anche della situazione patrimoniale del condominio.
Rimangono invece ferme, anche alla luce delle novità introdotte con la riforma, alcune conclusioni alle quali era pervenuta la giurisprudenza in materia.
In particolare, deve ritenersi escluso che la mancata, analitica indicazione dei
nominativi dei condomini morosi nel pagamento delle quote condominiali e degli importi da ciascuno di essi dovuti incida sulla validità della delibera di approvazione del medesimo, non comportando siffatta omissione neppure un’irregolarità formale di detta delibera, sempre che le poste attive e passive risultino correttamente iscritte nel loro importo 176.
Neppure si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare,
ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati
forniti dall’amministratore 177.
Una volta, poi, che il bilancio consuntivo sia stato approvato con la maggioranza prescritta dalla legge, l’amministratore, per ottenere il pagamento delle
somme risultanti dal bilancio stesso, non è tenuto a sottoporre all’esame dei singoli condomini i documenti giustificativi delle spese effettuate (c.d. “pezze d’appoggio”), dovendo gli stessi essere controllati prima dell’approvazione del bilancio, senza che sia ammissibile la possibilità di attribuire ad alcuni condomini la
facoltà di contestare i conti, rimettendo cosi in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza 178.
Poiché tutta l’attività dell’amministratore di un condominio è soggetta al controllo assembleare, in sede di rendiconto della gestione annuale, previsto dall’art.
1130 c.c., egli è tenuto ad informare l’assemblea sia di quanto abbia compiuto in
esecuzione del preventivo già da essa approvato, sia delle ulteriori determinazioni da lui assunte ed attuate nel corso della gestione stessa, specie se esse comportino oneri non contemplati nel preventivo 179.
176
Cass., 28 gennaio 2004, n. 1544, in Arch. locazioni, 2004, p. 316.
Cass., 25 maggio 1984, cit.; Cass., 7 ottobre 1982, n. 5150, in Arch. locazioni, 1982, p. 644;
Cass., 29 aprile 1981, n. 2625.
178
Cass., 23 maggio 1981, n. 3402. Per Cass., 25 novembre 1975, n. 3936, l’omessa trascrizione,
nel verbale dell’assemblea condominiale, del rendiconto presentato dall’amministratore non comporta
l’invalidità della deliberazione che ha approvato tale atto, in quanto, nel mentre siffatta trascrizione
non è richiesta dalle norme sul condominio di edifici, non sono applicabili a quest’ultimo le diverse
disposizioni che regolano la redazione e l’approvazione dei bilanci delle società.
179
Cass., 20 marzo 1969, n. 864.
177
838
Vincenzo Nasini
La deliberazione dell’assemblea di condominio che procede all’approvazione
del rendiconto consuntivo emesso dall’amministratore ha valore di riconoscimento di debito solo in relazione alle poste passive specificamente indicate; pertanto, ove il rendiconto – che è soggetto al principio di cassa – evidenzi un disavanzo tra le entrate e le uscite, l’approvazione dello stesso non consente di ritenere dimostrato, in via di prova deduttiva, che la differenza sia stata versata dall’amministratore con denaro proprio, poiché la ricognizione di debito richiede un atto di volizione, da parte dell’assemblea, su un oggetto specifico posto all’esame
dell’organo collegiale 180.
Si è peraltro ritenuto che è configurabile la ratifica del contratto di assicurazione dello stabile condominiale stipulato dall’amministratore non investito del
relativo potere dall’assemblea, qualora il premio sia stato periodicamente pagato
all’assicuratore mediante approvazione annuale da parte dell’assemblea dei rendiconti di spesa, non occorrendo a tal fine che l’argomento sia stato espressamente posto come tale all’ordine del giorno dell’assemblea poiché si verte in ipotesi di ratifica tacita 181.
La delibera dell’assemblea di condominio che ratifichi una spesa assolutamente priva di inerenza alla gestione condominiale è nulla, e non già semplicemente
annullabile, senza che possa aver rilievo in senso contrario il fatto che la spesa sia
modesta in rapporto all’elevato numero di condomini e all’entità complessiva del
rendiconto 182.
Sempre in tema di spese affrontate dall’amministratore senza autorizzazione
dell’assemblea, la S.C. ha affermato che il nuovo amministratore di un condominio, se non autorizzato dai partecipanti alla comunione, non ha il potere di approvare incassi e spese condominiali risultanti da prospetti sintetici consegnatigli
dal precedente amministratore e, pertanto, l’accettazione di tali documenti non
costituisce prova idonea del debito nei confronti di quest’ultimo da parte dei
condomini per l’importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando, invece, all’assemblea dei condomini approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l’opportunità delle spese affrontate d’iniziativa dell’amministratore 183.
180
Cass., 9 maggio 2011, n. 10153.
Cass., 6 luglio 2010, n. 15872.
182
Cass., 10 agosto 2009, n. 18192.
183
Cass., 28 maggio 2012, n. 8498, che, in applicazione di tale principio, ha confermato la sentenza
di merito, la quale aveva ritenuto che la sottoscrizione del verbale di consegna della documentazione,
apposta dal nuovo amministratore quand’era già immesso nell’esercizio delle sue funzioni, non integrasse una ricognizione di debito fatta dal condominio in relazione alle anticipazioni di pagamenti
181
L’AMMINISTRATORE
839
Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea
condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere
impugnata dai condomini assenti e dissenzienti, nel termine stabilito dall’art.
1137, co. 3°, c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ai sensi dell’art. 1418 c.c., non
essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell’impugnazione della delibera, da considerare, perciò, annullabile 184.
35. L’OBBLIGO DI INFORMATIVA DELLA LITE
L’art. 1131 c.c., dopo aver previsto al co. 1° il potere dell’amministratore di rappresentanza dei partecipanti e quello di agire in giudizio sia contro i condomini che
contro i terzi delineando, come vedremo più avanti, l’oggetto, i limiti e la sfera di
applicazione di tali poteri, e dopo aver previsto al co. 2° che l’amministratore può
essere altresì convenuto in giudizio per qualsiasi azione concernente le parti comuni dell’edificio e individuato in lui il soggetto destinatario delle notificazioni dei
provvedimenti dell’autorità amministrativa afferenti allo stesso oggetto, configura
espressamente al co. 3° uno specifico obbligo di comunicazione e, con la disposizione del 4° ed ult. co., ricollega all’inadempimento di tale dovere di informativa la
possibilità di revoca dell’amministratore e l’obbligo a carico dello stesso di risarcire
l’eventuale danno che dal comportamento negligente sia derivato.
Si tratta evidentemente di una previsione specifica rispetto al generale disposto dell’art. 1712 c.c. («Comunicazione dell’eseguito mandato») e dell’art. 1713
c.c. («Obbligo di rendiconto») che impone al mandatario di rendere al mandante
il conto del suo operato, non solo sotto il profilo strettamente economico.
Da una prima lettura della norma in questione potrebbe trarsi il convincimento che la disposizione rappresenti un efficace strumento di tutela dei condomini
contro eventuali fattispecie di comportamento negligente dell’amministratore in
questo settore di attività nell’esercizio dei suoi poteri di rappresentanza.
In effetti nella prassi della vita condominiale molto spesso si verifica che l’amministratore del condominio intraprenda azione giudiziali o resista in giudizi
promossi da terzi o da condomini contro il condominio senza avvertire il condominio non solo senza indugio, ma neppure con “accettabile” ritardo.
ascritte al precedente amministratore e risultanti dalla situazione di cassa registrata; Cass., 4 giugno
1999, n. 5449.
184
Cass., 4 marzo 2011, n. 5254.
840
Vincenzo Nasini
In qualche caso avviene addirittura che venga notificata al condominio una
sentenza passata in giudicato, addirittura a seguito dell’esperimento dei vari gradi
di giurisdizione senza che il condominio sia mai stato informato non si dice degli
esiti o degli sviluppi della procedura, ma neppure della sua esistenza.
Da quanto sopra esposto emerge quindi che per il disposto dell’art. 1131 c.c.
l’amministratore di condominio convenuto in giudizio da un terzo è tenuto a dare notizia senza indugio all’assemblea dei condomini solo qualora la citazione o il
provvedimento amministrativo notificatigli esorbitino dalle sue attribuzioni.
Ne consegue logicamente a contrariis, che l’amministratore non ha il dovere
di dare notizia “senza indugio”, qualora la citazione o il provvedimento rientrino
tra le sue attribuzioni.
La rilevanza pratica della disposizione del co. 3° dell’art.1131 c.c., già di per sé
ristretta per le ragioni esposte, risulta poi tanto più limitata quanto più nuovi
compiti ed attribuzioni vengano conferiti all’amministratore dal regolamento e
dall’assemblea.
Per non dire poi delle numerose leggi speciali emanate, specialmente in tempi
recenti, che hanno comportato nuove e sempre più numerose attribuzioni per
l’amministratore e, infine, dell’interpretazione estensiva operata, direttamente o
indirettamente, dalla giurisprudenza del novero delle sue attribuzioni tipiche.
In tale ordine di idee ad esempio è stato precisato che per “parti comuni” ai
fini della previsione del co. 2° dell’art. 1131 c.c. devono intendersi non solo quelle la cui comproprietà spetta a tutti i condomini, ma anche quelle che, pur appartenendo esclusivamente ad uno o ad alcuni dei condomini, sono tuttavia poste
stabilmente al servizio di tutti e, come tali, sono amministrate dall’amministratore del condominio 185.
È stato anche affermato che per parti comuni, per i fini che ci occupano, non
si intendono solo le parti intese in senso materiale, anche ubicate all’esterno dello
stabile condominiale, ma anche i rapporti giuridici derivanti dall’esistenza delle
parti comuni in quanto attinenti all’organizzazione all’amministrazione del condominio e al regime dei servizi comuni 186.
Va poi rilevato che può comunque configurarsi una responsabilità in caso di
informativa omessa tout court o data con notevole ritardo con riferimento a cause
attinenti a materie rientranti tra le attribuzioni dell’amministratore.
Un tale comportamento, infatti, pur non costituendo motivo di revoca da parte
dell’autorità giudiziaria, in forza del disposto del co. 4° dell’art. 1131 c.c., potrebbe
costituire motivo di revoca sotto il profilo dei fondati sospetti di grave irregolarità.
185
186
Cass., 29 novembre 1974, n. 3908.
Cass., 6 novembre 1975, n. 3751.
L’AMMINISTRATORE
841
36. L’OBBLIGO DI ESECUZIONE DEGLI ADEMPIMENTI FISCALI
L’art. 1130 c.c. prevede espressamente un obbligo (sarebbe più corretto dire
una serie complessa di attribuzioni) peraltro già gravante sull’amministratore,
non in forza del codice civile, ma di una serie di normative speciali succedutesi
nel tempo: quello di eseguire gli adempimenti fiscali.
Si tratta per la verità delle attribuzioni ormai più importanti e certo più gravose dell’amministratore, sia per le responsabilità che ad essa si ricollegano e le pesanti conseguenze negative che possono derivare sia a lui che al condominio dal
negligente adempimento dei numerosissimi incombenti, che possiamo sintetizzare come segue:
a) Incombenti connessi alla (o derivanti dalla) qualità di sostituto d’imposta del
condominio
Il condominio è stato dichiarato (art. 21, co. 11°, legge 27 dicembre 1997, n.
449) sostituto d’imposta per i compensi di lavoro autonomo corrisposti a terzi,
per i redditi di lavoro dipendente, per i compensi corrisposti ai propri amministratori, per i pagamenti effettuati da ditte fornitrici del condominio per prestazioni relative ai corrispettivi dovuti per contratti di appalto di opere o servizi. Le
ritenute possono classificarsi in ritenute alla fonte, «a titolo di imposta» (il sostituto effettua il prelievo in modo definitivo e il lavoratore dipendente è liberato da
ogni obbligo di natura tributaria ed esonerato dalla dichiarazione annuale in assenza di altri redditi) e ritenute denominate «a titolo di acconto» (20%-4%),
poiché il prelievo è provvisorio e quindi soggetto a conguaglio in sede di dichiarazione dei redditi da parte dei lavoratori autonomi e delle imprese.
In forza della normativa vigente quindi il condominio deve operare le ritenute
sulle somme corrisposte ai propri dipendenti (ad esempio portiere o lava scale,
laddove per lava scale non si intende un’impresa in possesso di partita IVA e pertanto regolarmente iscritta nell’apposito elenco costituito presso le Camere di
Commercio), applicando così le regole vigenti per tutti i lavoratori dipendenti.
Inoltre il condominio dovrà effettuare una ritenuta anche sui redditi di lavoro autonomo e occasionale, quindi per le prestazioni fornite, ad esempio, da un avvocato, un geometra o per le collaborazioni coordinate e continuative, e pertanto la
ritenuta d’acconto dovrà essere applicata anche nei confronti dell’amministratore
di condominio, sia che quest’ultimo sia o meno in possesso della partita IVA, e
per le ditte fornitrici del condominio per prestazioni relative ai corrispettivi dovuti per contratti di appalto di opere o servizi.
La ritenuta d’acconto deve essere versata entro il giorno 16 del mese successi-
842
Vincenzo Nasini
vo a quello in cui è stato effettuato il pagamento. Per l’omesso o insufficiente versamento è prevista una sanzione pari al 30% dell’importo non versato, tranne nel
caso in cui sia possibile sanare il ritardo attraverso lo strumento del «ravvedimento operoso per tardivi versamenti».
L’obbligo di versamento scatta dal momento in cui il condominio provvede
ad effettuare il pagamento dei compensi relativi alle prestazioni. Pertanto è irrilevante il momento di emissione della fattura. La scadenza è rappresentata dal
giorno 16 del mese successivo a quello in cui viene effettuato il predetto pagamento. Se il termine scade di sabato o in un giorno festivo il versamento può essere effettuato il primo giorno lavorativo successivo.
b) Versamenti delle ritenute d’acconto del 4% (art. 1, co. 43°, legge n. 296 del 2006;
art. 25 ter del d P.R. n. 600 del 1973)
Il condominio, sempre nella sua qualità di sostituto d’imposta, ma in forza di
quanto previsto dall’art. 1, co. 43°, legge n. 296 del 2006, dovrà operare una ritenuta d’acconto anche per i corrispettivi dovuti per prestazioni relative ai contratti
di appalto di opere o servizi, effettuati nell’esercizio di impresa. Detta ritenuta
deve essere inoltre operata anche sui corrispettivi qualificabili come redditi diversi, in base all’art. 67, co. 1°, lett. i), del d.P.R. n. 917 del 1986, ovvero redditi
derivanti da attività commerciali non abituali.
Anche questo nuovo obbligo è a carico del condominio, ma il soggetto normalmente incaricato a porre in essere gli adempimenti correlati alle funzioni di
sostituto di imposta è l’amministratore, che dovrà effettuare una ritenuta pari al
4% dell’importo corrisposto per tali corrispettivi, e successivamente provvedere
al versamento all’erario.
La funzione del sostituto d’imposta è quella di anticipare all’Erario parte dei
tributi dovuti da chi è pagato, attraverso le ritenute, che vanno versate tramite il
modello F24. Pertanto l’amministratore dovrà trattenere la quota relativa alla ritenuta del 4% e provvedere al versamento.
Per consentire il versamento delle ritenute sono istituiti i codici «1019», per
ritenute del 4% operate dal condominio come sostituto d’imposta a titolo di acconto per i soggetti Irpef e «1020» per ritenute del 4% operate all’atto del pagamento da parte del condominio quale sostituto d’imposta a titolo di acconto
per i soggetti Ires.
La ritenuta d’acconto deve essere versata entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è stato effettuato il pagamento.
Per l’omesso o insufficiente versamento è prevista una sanzione pari al 30%
dell’importo non versato, tranne nel caso in cui sia possibile sanare il ritardo at-
L’AMMINISTRATORE
843
traverso lo strumento del «ravvedimento operoso per tardivi versamenti».
Si tratta, come già detto, di un’attribuzione particolarmente onerosa considerato anche che, non prevedendo la normativa un importo minimo al di sotto del
quale la ritenuta del 4% non debba essere operata, l’amministratore deve provvedere al versamento senza limite di importo.
Occorre precisare anche che il condominio, non essendo in possesso di partita IVA, non è obbligato a effettuare il versamento delle ritenute tramite modalità
telematiche, e potrà adempiere anche tramite il modello F24 cartaceo. Infatti
l’obbligo di procedere al versamento dei tributi tramite modalità telematiche è
stato introdotto dall’art. 37, co. 49°, d.l. n. 223 del 2006, ma riguarda esclusivamente i soggetti titolari di partita Iva.
L’amministratore che abbia omesso un versamento, può regolarizzare la propria situazione attraverso l’istituto del “ravvedimento operoso”, ossia pagando
una sanzione giornaliera pari allo 0,20% se il versamento viene effettuato entro il
termine dei 14 giorni dalla scadenza originaria, ovvero pari al 3% dell’importo
dovuto se la regolarizzazione avviene entro trenta giorni dalla data del termine
originario dell’adempimento, o ancora pari al 3,75% se la regolarizzazione avviene entro il termine di un anno dall’omissione o dalla tardività.
Il ravvedimento è quindi una sorta di autodenuncia del contribuente, che
permette però di rimediare spontaneamente alle omissioni e tardività dei versamenti, evitando la sanzione “ordinaria” del 30%.
Condizione essenziale per poter usufruire di tale regolarizzazione, è che la
violazione non sia stata già contestata e siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche
o altre attività di accertamento.
c) Incombenti connessi alle agevolazioni fiscali per risparmio energetico
I contribuenti che fino al 30 giugno 2013 sosterranno spese per interventi finalizzati al risparmio energetico e possono usufruire di una particolare agevolazione fiscale, consistente in una detrazione d’imposta. Tra le persone fisiche possono fruire dell’agevolazione anche i titolari di un diritto reale sull’immobile ed i
condomini per gli interventi sulle parti comuni condominiali (Decreto attuativo
del 19 febbraio 2007 modificato dal decreto 7 aprile 2008; allegato A del decreto
legislativo n. 192 del 2005; circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 21/E del 23
aprile 2010; risoluzione n. 12/E del 7 febbraio 2011; circolare 23 aprile 2010, n.
21/E; d.l. n. 201 del 2011; legge 7 agosto 2012, n. 34).
L’agevolazione consiste nel riconoscimento di detrazioni d’imposta nella misura del 55% delle spese sostenute, da ripartire in rate annuali di pari importo. La
detrazione d’imposta del 55% non è cumulabile con altre agevolazioni fiscali pre28.
844
Vincenzo Nasini
viste per i medesimi interventi da altre disposizioni di legge nazionali (quale, ad
esempio, la detrazione del 36% per il recupero del patrimonio edilizio).
Dal 1°luglio 2013, la detrazione del 55% sarà sostituita da quella del 36%, uniformandosi a quella prevista per le ristrutturazioni edilizie.
Altre detrazioni sono previste per interventi di riqualificazione energetica di
edifici esistenti con un valore massimo della detrazione fiscale di 100.000 euro;
per interventi sugli involucri degli edifici il valore massimo della detrazione è di
60.000 euro, come per l’installazione di pannelli solari, e di 30.000 per gli interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale.
Per gli interventi condominiali, l’ammontare massimo di detrazione deve essere riferito a ciascuna delle unità immobiliari che compongono l’edificio tranne
le ipotesi in cui l’intervento si riferisce all’intero edificio e non a “parti” di edificio. In quest’ultimo caso, l’ammontare massimo deve ritenersi che costituisca il
limite complessivo della detrazione, da ripartire tra i soggetti che hanno diritto al
beneficio.
Questa normativa interessa l’amministratore perché egli deve attestare di aver
adempiuto a tutti gli obblighi previsti e ripartire la spesa relativa alle parti comuni
imputabile a ciascuna delle unità immobiliari, calcolata in base ai millesimi.
Per fruire dell’agevolazione fiscale sulle spese energetiche è necessario acquisire l’asseverazione, che consente di dimostrare che l’intervento realizzato è conforme ai requisiti tecnici richiesti. l’attestato di certificazione (o qualificazione)
energetica, che comprende i dati relativi all’efficienza energetica propri dell’edificio e la scheda informativa relativa agli interventi realizzati, redatta secondo lo
schema riportato nell’allegato E del decreto attuativo o allegato F, se l’intervento
riguarda la sostituzione di finestre comprensive di infissi in singole unità immobiliari o l’installazione di pannelli solari seguenti documenti:
d) Trasmissione di documentazione
Entro 90 giorni dalla fine dei lavori occorre trasmettere all’Enea:
– copia dell’attestato di certificazione o di qualificazione energetica;
– la scheda informativa (allegato E o F del decreto – v. appendice), relativa
agli interventi realizzati.
La data di fine lavori, dalla quale decorre il termine per l’invio della documentazione all’Enea, coincide con il giorno del c.d. “collaudo” (e non di effettuazione
dei pagamenti). Se, in considerazione del tipo di intervento, non è richiesto il collaudo, il contribuente può provare la data di fine lavori con altra documentazione
emessa da chi ha eseguito i lavori (o dal tecnico che compila la scheda informati-
L’AMMINISTRATORE
845
va). Non è ritenuta valida, a tal fine, una dichiarazione del contribuente resa in
sede di autocertificazione.
Le modalità per effettuare i pagamenti variano a seconda che il soggetto sia titolare o meno di reddito d’impresa. In particolare è previsto che i contribuenti
non titolari di reddito di impresa devono effettuare il pagamento delle spese sostenute mediante bonifico bancario o postale; nel modello di versamento con
bonifico bancario o postale vanno indicati:
– la causale del versamento;
– il codice fiscale del beneficiario della detrazione;
– il numero di partita Iva o il codice fiscale del soggetto a favore del quale è effettuato il bonifico (ditta o professionista che ha effettuato i lavori).
e) Richiesta di registrazione dei contratti di locazione di immobile condominiale e
altri adempimenti connessi
Molti incombenti gravano sull’amministratore anche in caso di locazione di
locali condominiali deliberata dall’assemblea con la maggioranza legalmente prescritta.
L’amministratore, infatti, deve procedere alla registrazione del contratto di
locazione, presentando presso un ufficio dell’Agenzia delle Entrate almeno due
copie del contratto di locazione con apposta, su ogni copia, una marca da bollo
da Euro 14,62 per ogni 100 righe scritte; Mod. 69 di richiesta di registrazione;
Mod. F23 per pagamento imposta di registro.
Oltre alla registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, è necessario effettuare
all’Autorità di Pubblica Sicurezza, entro quarantotto ore dalla data di consegna
delle chiavi, la comunicazione di cessione di fabbricato.
La registrazione deve essere effettuata entro trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto se anteriore alla data di decorrenza del contratto stesso.
L’imposta di registro per il rinnovo relativo alle annualità successive deve essere versata entro trenta giorni dalla data di decorrenza della rinnovazione annuale. Si tratta di un incombente particolarmente rilevante, attesoché l’art. 69,
d.P.R. n. 131 del 1986, come sostituito dall’art. 1 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 473,
prevede che «chi omette la richiesta di registrazione degli atti e dei fatti rilevanti
ai fini dell’applicazione dell’imposta, ovvero la presentazione delle denunce previste dall’articolo 19 è punito con la sanzione amministrativa dal centoventi al
duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta».
In base alle istruzioni relative alla dichiarazione dei redditi Mod. Unico, i locali per la portineria, l’alloggio del portiere e gli altri servizi di proprietà condominiale dotati di rendita catastale autonoma devono essere dichiarati dal singolo
846
Vincenzo Nasini
condomino solo se la quota di reddito che gli spetta per ciascuna unità immobiliare è superiore a euro 25,82. L’esclusione non si applica per gli immobili concessi in locazione e per i negozi.
Pertanto in caso di locazione il relativo canone andrà comunque dichiarato
secondo le ordinarie regole, nel quadro RB di Unico persone fisiche o nel quadro
B del modello 730.
f) Adempimenti fiscali per l’ipotesi di attività svolta in forma societaria
Altri oneri fiscali sono relativi all’ipotesi che l’attività di amministratore venga
svolta in forma societaria. In tal caso, infatti, i compensi percepiti dalle società in
qualità di amministratore del condominio, ed erogati dal condominio stesso, costituiscono compensi positivi di reddito. Per effetto del principio di attrazione
questi proventi entrano a far parte del reddito d’impresa.
La società deve rilasciare la fattura ed è tenuta ai comuni obblighi fiscali quali,
ad esempio, il versamento dell’Iva, l’istituzione e la tenuta dei registri Iva, dei registri obbligatori ai fini delle imposte sui redditi, la presentazione delle dichiarazioni, e più in generale ad effettuare tutti gli adempimenti fiscali e contabili obbligatori, connessi e riconducibili alle Società di persone e alle società di capitale.
La società è altresì tenuta, quale amministratore del condominio, così come
previsto dalla norma, ad effettuare la comunicazione annuale all’anagrafe tributaria, con la presentazione del quadro AC, dei beni e servizi acquistati dal condominio.
L’art. 25, co. 1°, d.P.R. n. 600 del 1973, recita: «I soggetti indicati nel primo
comma dell’art. 23, che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello
Stato compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli
utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente
ovvero siano rese a terzi o nell’interesse di terzi o per l’assunzione di obblighi di
fare, non fare o permettere, devono operare all’atto del pagamento una ritenuta
del 20% a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta
dai percipienti, con l’obbligo di rivalsa».
La predetta ritenuta deve essere operata dal condominio quale sostituto d’imposta anche sui compensi percepiti dall’amministratore di condominio. La stessa
ritenuta deve essere operata sulla parte imponibile delle somme di cui alla lett. b)
e sull’intero ammontare delle somme di cui alla lett. c) del co. 2° dell’art. 49 del
testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917. La ritenuta è elevata al 20% per le indennità di cui alle lett. c) e d) del co. 1°
dell’art. 16 dello stesso testo unico, concernente tassazione separata.
Il legislatore, dopo aver indicato i soggetti (compreso il condominio), che de-
L’AMMINISTRATORE
847
vono operare la ritenuta d’acconto del 20%, afferma che essa non va operata per
le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese, e pertanto non deve essere effettuata sui compensi spettanti alle società di persone e alle società di capitali,
considerato che i redditi conseguiti dalle succitate società costituiscono redditi
d’impresa da qualsiasi fonte provengano.
In merito all’obbligatorietà o meno di operare la ritenuta d’acconto del 4%, va
precisato che essa non deve essere operata in quanto il contratto che viene instaurato si configura come rapporto di mandato e non come contratto d’opera o
di appalto.
37. LA POLIZZA DI ASSICURAZIONE
In base all’art. 1129, co. 3°, c.c., l’assemblea può subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di
assicurazione per la responsabilità civile «per gli atti compiuti nell’esercizio del
mandato».
Il successivo co. 4° prevede altresì l’obbligo per l’amministratore di adeguare i
massimali della polizza se nel periodo del suo incarico l’assemblea deliberi lavori
straordinari.
La norma precisa che tale adeguamento non deve essere inferiore all’importo
di spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente all’inizio dei lavori.
Qualora l’amministratore sia (già) coperto da una polizza di assicurazione per
la responsabilità civile professionale generale per l’intera l’attività da lui svolta,
tale polizza deve essere integrata con una dichiarazione dell’impresa di assicurazione che garantisca le condizioni di cui sopra per lo specifico condominio.
Ora, se si considerano i limitati poteri gestionali dell’amministratore, la polizza in questione dovrebbe coprire eventuali illeciti (in particolare appropriazioni
di somme del condominio); in tal caso è evidente l’impropria formulazione della
disposizione in esame, in quanto tali illeciti non sarebbero commessi nell’“esercizio del mandato”, ma al massimo in occasione dell’esercizio del mandato.
Particolarmente gravosa, poi, la previsione contenuta nel comma successivo,
in base al quale l’amministratore è tenuto altresì ad adeguare i massimali della polizia se nel periodo del suo incarico l’assemblea deliberi lavori straordinari; tale
adeguamento non deve essere inferiore all’importo di spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente all’inizio dei lavori. Se si considera che vi sono
condominii con centinaia di condomini, i quali possono deliberare lavori di ingentissimo importo, si potrebbe verificare che l’amministratore debba pagare per
tale adeguamento della polizza un importo superiore al compenso pattuito.
848
Vincenzo Nasini
In considerazione, poi, di quelle che sono le evidenti finalità della polizza, è
evidente che difficilmente l’amministratore troverà una società assicuratrice disposta a stipularla, oppure, una volta stipulata, difficilmente il condominio otterrà l’indennizzo per le malversazioni compiute a suo danno dall’amministratore,
dal momento l’assicurazione della responsabilità civile non si estende ai fatti dolosi 187.
38. LA REVOCA DELL’AMMINISTRATORE DA PARTE DELL’ASSEMBLEA
L’art. 1129 c.c. prevede, al co. 11°, che l’assemblea possa deliberare in ogni
tempo la revoca dell’amministratore con la maggioranza prevista per la sua nomina «oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio», che
dovrebbero quindi ritenersi prevalenti.
Se si considera che l’art.1129 c.c. è dichiarato inderogabile dal regolamento in
base all’art. 1138 c.c., dal combinato disposto delle due disposizioni risulta che il
regolamento non può derogare quanto è consentito inserire nel regolamento.
In ordine al significato dell’espressione «modalità previste dal regolamento di
condominio», sembra da escludere che si sia inteso fare riferimento ad una maggioranza inferiore a quella prevista per la nomina. Se questa fosse stata l’intenzione del legislatore si sarebbe detto che l’assemblea può deliberare in ogni tempo la revoca dell’amministratore con la maggioranza prevista per la sua nomina o
con quella diversa prevista dal regolamento di condominio.
Se si considera che è pacifico che la revoca può avvenire anche senza giusta
causa, le modalità diverse previste dal regolamento di condominio potrebbero
riguardare la sussistenza di una giusta causa e la previa contestazione degli addebiti all’amministratore.
Il co. 10° dell’art. 1129 c.c. precisa inoltre che l’assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore.
A prescindere dalla considerazione che non si comprende su cosa debba deliberare l’assemblea in caso di dimissione dell’amministratore, non è chiaro se la
norma debba essere interpretata nel senso che alla nomina del nuovo amministratore l’assemblea debba o possa provvedere anche in assenza di espressa indicazione nell’ordine del giorno.
Deve propendersi per la soluzione affermativa, alla luce del fatto che non
avrebbe senso tale formalità quando è lo stesso art. 1129 c.c. a stabilire implicitamente quale è l’ulteriore oggetto su cui l’assemblea è chiamata a deliberare.
187
Cass., 28 febbraio 2008, n. 5273; Cass., 10 aprile 1995, n. 4118.
L’AMMINISTRATORE
849
Fermo restando quanto sopra in ordine alla derogabilità delle modalità di revoca da parte del regolamento, la normativa in tema di revoca dell’amministratore contenuta nell’art. 1129 c.c. è, per il resto, da ritenere inderogabile in forza
del disposto dell’art. 1138, ult. co., c.c.
Ciò comporta che il regolamento di condominio non possa introdurre limitazioni al potere di revoca, per cui non potrebbe quindi ritenersi valida una disposizione che stabilisse l’irrevocabilità temporanea o permanente dell’amministratore o ne subordinasse la revoca al verificarsi di determinate condizioni quali una
giusta causa ovvero al decorso di un certo lasso di tempo dalla nomina.
Come è stato osservato in passato in dottrina 188, la risoluzione ad nutum del
rapporto disposta dalla legge e la conseguente inderogabilità della relativa disciplina continua a giustificarsi sulla scorta della considerazione che alla base di tale
rapporto vi è l’essenziale fiducia che i condomini debbono avere nella idoneità
dell’amministratore allo svolgimento delle sue funzioni, per cui, venuto meno di
fatto tale fondamento, non è possibile pretendere che quel rapporto abbia a protrarsi.
Rimane aperta la questione posta dalla giurisprudenza di merito che, partendo dalla premessa secondo la quale nei condominii con meno di cinque partecipanti la nomina dell’amministratore non è regolata dall’art. 1129 c.c., ha tratto la
conseguenza che, correlativamente, non sarebbero nemmeno applicabili a tali
condominii le disposizioni concernenti la revoca dell’amministratore contenute
nella norma predetta e quindi, in particolare, sarebbe possibile derogare al principio della revocabilità dell’amministratore, da parte dell’assemblea, con le maggioranze qualificate, o da parte dell’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, nel caso in cui si verificassero le ipotesi previste dall’art. 1131 c.c. 189. In
senso contrario si è osservato 190, partendo dalla premessa opposta, che la revoca
potrebbe essere dichiarata dall’autorità giudiziaria su ricorso di un solo condomino anche nell’ipotesi di condominio con due soli partecipanti, nel quale per la
nomina dell’amministratore è richiesta l’unanimità dei consensi.
Il fatto che la revoca dell’amministratore di un condominio non richieda la
sussistenza di una giusta causa è giustificato dal fatto che il rapporto tra amministratore e condomini è basato sull’intuitus personae, cioè sulla fiducia, con la conseguenza che, qualora quest’ultima venga meno non è possibile che il rapporto
abbia a protrarsi 191.
188
M. ANDREOLI, I regolamenti di condominio, Utet, Torino, 1961, p. 84.
App. Napoli, 16 luglio 1963, in Foro pad., 1964, I, c. 480.
190
L. SALIS, Condominio: nomina dell’amministratore e accettazione, cit.
191
Cass., 28 ottobre 1991, n. 11472, in Arch. locazioni, 1992, p. 579.
189
850
Vincenzo Nasini
Ne consegue che la revoca è possibile senza necessità di far constatare la serietà dei motivi della deliberazione assembleare e che la revoca può essere disposta con deliberazione a maggioranza, anche se la nomina sia avvenuta all’unanimità.
La sussistenza di una giusta causa può, però, essere rilevante ai fini della successiva regolamentazione dei rapporti tra le parti, soprattutto se trattasi di mandato oneroso.
Nulla disponendo sul punto la nuova normativa, all’uopo soccorrono le norme dettate per la figura generale del mandato, applicabile nella specie in forza
appunto di quell’inquadramento della figura dell’amministratore in quella del
mandatario.
In particolare l’art. 1725 c.c. dispone che «la revoca del mandato oneroso,
conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa».
Alla stregua del principio sopra esposto, quindi, in caso di revoca dell’amministratore di condominio senza giusta causa, comunque all’amministratore sarebbe dovuto ai sensi dell’art. 1725 c.c. il risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento della controparte dell’obbligazione contrattuale, come riconosciuto dalla S.C. 192, danni da liquidarsi secondo i criteri generali fissati dagli artt.
1223 e 2697 c.c.
A sostegno della tesi negativa si è affermato 193 che, non essendo stato richiamato l’art. 1725 c.c., in materia di condominio, a differenza di quanto avviene in
materia di società (artt. 2259 e 2383 c.c.), l’assemblea può in qualsiasi momento
deliberare la revoca dell’incarico fiduciario, senza necessità di addurre alcuna giustificazione e senza esporre il condominio ad una responsabilità per risarcimento
dei danni in caso di difetto di giusta causa. D’altra parte, la nomina dell’amministratore nel condominio comporta il conferimento di un incarico fiduciario, il
quale viene dato, esercitato e revocato senza troppe formalità. Il richiedere, da
parte dell’assemblea, giustificazioni per la revoca di tale mandato prima della
scadenza del termine, non solo complicherebbe le cose, ma porterebbe necessariamente a verbalizzare addebiti, o critiche, all’operato dell’amministratore (scelto, spesso, tra gli stessi condomini) suscettibili di invelenire quei dissensi o disaccordi, purtroppo connaturali alla gran parte delle comunioni, favorendo l’insorgere di controversie dannose per tutti.
192
Cass., 29 ottobre 2004, n. 20957, in Giust. civ., 2005, I, p. 53.
L. SALIS, Revoca anticipata dell’amministratore del condominio e risarcimento dei danni, in Riv.
giur. edilizia, 1967, I, p. 52.
193
L’AMMINISTRATORE
851
Si è replicato 194 che si tratta di considerazioni che non sembrano decisive, in
quanto non è in discussione l’efficacia di una revoca dell’amministratore senza
giusta causa; il problema consiste nello stabilire se all’amministratore revocato
spetti o meno il risarcimento e, in mancanza di una espressa deroga, non vi sono
motivi per escludere l’applicazione dell’art. 1725 c.c., se si parte dalla premessa
che al rapporto tra amministratore e condominio vanno applicate le norme in
tema di mandato.
In una prospettiva diversa si è posta una decisione di merito 195, partendo dalla
premessa che è da escludere la possibilità di un’applicazione in via estensiva o
analogica delle norme in tema di mandato, dal momento che l’amministratore è
un organo, lato sensu, del condominio. Occorre basarsi sul fatto che l’art. 1129,
co. 2°, c.c. stabilisce che l’amministratore può essere revocato in ogni tempo
dall’assemblea, senza distinguere se trattasi di funzione esercitata con retribuzione o meno e senza prescrivere che debbano ricorrere giustificati motivi perché la
revoca sia legittima.
D’altra parte, il co. 3° dello stesso articolo, allorché conferisce all’autorità giudiziaria, su istanza di ciascun condomino, il potere di revoca dell’amministratore,
specifica i casi nei quali questo potere può essere esercitato, contrapponendo,
quindi, tale ipotesi a quella disciplinata nel comma precedente, in cui nessun limite è posto dalla legge. Se, dunque, non vi sono condizioni cui è subordinata la
legittimità della revoca, non è ipotizzabile un risarcimento del danno, che nella
specie conseguirebbe ad un comportamento legittimo, essendo evidente che una
responsabilità per comportamento legittimo in tanto può essere ipotizzata in
quanto sia espressamente prevista dalla legge, come nelle ipotesi contemplate
dagli artt. 1725 e 2259 c.c., che non possono trovare applicazione all’ipotesi di
revoca dell’amministratore del condominio.
A seguito dell’adozione della delibera di revoca l’amministratore è tenuto, tra
l’altro, a restituire ogni cosa di pertinenza del condominio, senza che per l’inottemperanza a tale obbligo si debba fare ricorso al Tribunale a norma dell’ult. co.
dell’art. 1105 c.c., potendosi legittimamente richiedere l’adozione di un provvedimento di urgenza a norma dell’art. 700 c.p.c. 196.
Per quanto riguarda il diritto al compenso in favore dell’amministratore revocato, sono state invocate le norme in tema di mandato 197, precisando che l’inden194
R. TRIOLA, Il condominio, cit., p. 597.
Pret. Roma, 26 ottobre 1966, in Giust. civ., 1966, I, 2284.
196
Cass., 28 ottobre 1991, cit.
197
D.R. PERETTI GRIVA, op. cit., p. 410.
195
852
Vincenzo Nasini
nizzo spettante all’amministratore è limitato al corrispettivo che era stato pattuito per l’opera da lui prestata 198.
La nomina di un nuovo amministratore del condominio di edificio non richiede la previa formale revoca dell’amministratore in carica, atteso che, dando
luogo ad un rapporto di mandato, comporta, ai sensi dell’art. 1724 c.c., la revoca
di quello precedente 199.
39. LA REVOCA DA PARTE DELL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA: A) I FONDATI SOSPETTI DI GRAVI IRREGOLARITÀ
Prima della riforma del condominio l’amministratore del condominio può essere revocato dall’autorità giudiziaria, per mancata presentazione del rendiconto
per due anni, per omessa informativa o convocazione dell’assemblea nell’ipotesi
del co. 3° dell’art. 1131 c.c. e per gravi irregolarità dell’amministrazione.
La giurisprudenza assolutamente prevalente aveva statuito che il presupposto
per la revoca ricorreva solo nel caso di «inadempienze particolarmente gravi che
pongano in pericolo la gestione economica e sociale del condominio o che incidano sensibilmente sul rapporto di fiducia che è alla base di ogni mandato» 200.
Nella giurisprudenza di merito si era sostenuto 201 che tale ipotesi di revoca ha
una funzione sussidiaria rispetto alla competenza dell’assemblea, sicché solo in caso di omessa iniziativa della stessa, per mancata formazione della volontà della maggioranza, sarebbe possibile rivolgersi al giudice in sede di volontaria giurisdizione.
Un intervento autoritativo esterno che si sovrapponga alla volontà dell’assemblea è giustificato soltanto in presenza di fondati sospetti di gravi irregolarità incidenti sulla fedeltà sostanziale e incompatibili con la prosecuzione del mandato.
Nel contesto delle disposizioni in materia di comunione e condominio l’intervento autoritativo è sempre previsto in funzione sussidiaria ed eventuale, ipotesi
il più delle volte marginali e strumentali a situazioni non altrimenti giustificabili
ed evitabili.
198
A. VISCO, Se l’amministratore del condominio ha diritto ad un risarcimento del danno in caso di revoca senza giusto motivo, in Nuovo dir., 1967, p. 251; nel senso che quando l’incarico è a titolo oneroso,
l’amministratore avrà diritto al compenso per tutto il periodo di effettiva durata dell’incarico e qualora
il compenso fosse stato stabilito forfettariamente in una somma da versare una tantum, all’amministratore andrebbe riconosciuto il diritto di conseguirla integralmente ove il suo incarico venga revocato senza giusta causa prima del termine stabilito, cfr. L. SALIS, op. ult. cit.
199
Cass., 9 giugno 1994, n. 5608, in Riv. giur. edilizia, 1994, I, p. 953.
200
In tale senso cfr.: Trib. Firenze, 22 aprile 1991, in Arch. locazioni, 1991, p. 782; Trib. Lecco, 2
giugno 1987, in Giur. it., 1988, I, 2, c. 206.
201
Trib. Napoli, 18 novembre 1994, in Rass. loc. cond., 1995, p. 293.
L’AMMINISTRATORE
853
Come nella stragrande maggioranza dei provvedimenti di giurisdizione volontaria, l’intervento, sostanzialmente amministrativo, dell’autorità si giustifica in
funzione dell’interesse delle persone che, per motivi particolari, non vogliono o
non possono provvedere alla bisogna.
Facendo riferimento alla comparabile ipotesi di cui all’art. 2409 c.c. in materia
societaria, dalla quale la disciplina condominiale mutua molte disposizioni, si era
formata una casistica giurisprudenziale estremamente ampia che aveva individuato ipotesi di revoca connesse a pagamenti in assenza totale di documenti giustificativi attendibili, oppure nell’avere l’amministratore agito in evidente conflitto di
interessi con il condominio rappresentato, mentre non si erano ravvisati motivi
sufficienti di revoca nella redazione dei bilanci o di documenti contabili non del
tutto trasparenti e conformi alle buone norme della contabilità, non essendo prevista in subiecta materia la redazione del bilancio secondo formule sacramentali.
Si riteneva invece ricorresse grave irregolarità la mancata utilizzazione da parte dell’amministratore di un conto corrente separato rispetto a quello suo personale, con conseguente promiscuità gestionale e confusione del suo patrimonio
con quello dei condomini.
Al contrario si riteneva non potessero dar luogo alla revoca né una lacunosa
iniziativa per il recupero delle spese o per il risarcimento dei danni verso il precedente amministratore né il ritardo nella convocazione dell’assemblea condominiale. Era condivisa comunque l’opinione che i fondati sospetti di gravi irregolarità dovessero comunque consistere in supposizioni che trovassero riscontro in
elementi e dati oggettivi (che presentino una certa validità e concretezza), non
essendo sufficiente un dubbio o una mera impressione 202.
Ed era del pari indubbio che le gravi irregolarità, a loro volta, dovessero essere
individuate in violazioni di disposizioni di legge o regolamentari ovvero in comportamenti non completi, non esatti, non tempestivi, non adeguati alle esigenze
da soddisfare, tali da causare turbamenti della vita condominiale 203.
Nella giurisprudenza di merito si era così ritenuto che:
a) la fattispecie dei fondati sospetti di gravi irregolarità, di cui all’art. 1129,
co. 3°, c.c., non si potesse ravvisare ogni qualvolta l’assemblea condominiale
abbia adottato deliberazioni nulle o annullabili e l’amministratore si sia limitato
a darvi esecuzione, perché in questo caso il condomino che si ritiene leso ha il
più agevole e corretto rimedio dell’impugnazione della delibera o del ricorso
202
Nel senso che la formulazione dell’art. 1129, c. 3°, c.c. è criticabile per l’antinomia tra i «sospetti», escludenti, per loro intuitiva nozione, la sussistenza di una prova, e i «fondati», termine che dovrebbe implicare la sussistenza di un accertamento, cfr. D.R. PERETTI GRIVA, op. ult. cit., p. 410 ss.
203
F. LAZZARO-W. STINCARDINI, op. cit., p. 84.
854
Vincenzo Nasini
all’autorità giudiziaria mediante strumenti appositamente previsti dalla legge 204;
b) non potesse chiedersi la revoca per «fondato sospetto di gravi irregolarità»
relative a bilanci condominiali quando tali bilanci siano stati approvati dall’assemblea e la relativa delibera non sia stata impugnata 205.
40. B) LA MANCATA PRESENTAZIONE DEL RENDICONTO
È necessaria una precisazione in ordine al contenuto dell’obbligo di presentazione del rendiconto.
Infatti, mentre in precedenza la legge non stabiliva alcunché in merito alle caratteristiche del rendiconto condominiale, ora l’art. 1130 bis c.c. detta regole precise,
dalle quali emerge trattarsi di un adempimento complesso che impegnerà più che
nel passato l’amministratore. In tale ottica vi è da chiedersi se l’adempimento parziale dell’obbligo possa costituire motivo di revoca giudiziale dell’amministratore.
Posto che i documenti indicati dall’art. 1130 bis che compongono il “rendiconto” sono parti costitutive ed essenziali di esso, quid juris in caso di presentazione di un documento incompleto in quanto mancante di qualche sua parte?
Considerato che il rendiconto deve contenere dati espressi in modo da consentire l’immediata verifica, è da ritenere che la presentazione di un rendiconto
incompleto sia da equiparare alla mancata presentazione del rendiconto.
41. C) LA MANCATA INFORMATIVA DEI CONDOMINI EX ART. 1131, CO. 3°, C.C.
Come già esaminato in precedenza, l’art. 1131 c.c., dopo aver previsto al co. 1°
il potere dell’amministratore di rappresentanza dei partecipanti e di agire in giudizio sia contro i condomini che contro i terzi nei limiti delle attribuzioni stabilite
dall’art. 1130 c.c. o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dell’assemblea, e dopo aver precisato al co. 2° che l’amministratore può essere altresì convenuto in giudizio per qualsiasi azione concernente le parti comuni dell’edificio e individuato in lui il soggetto destinatario delle notificazioni dei
provvedimenti dell’autorità amministrativa afferenti allo stesso oggetto, configura espressamente al co. 3° uno specifico obbligo di comunicazione e, con la disposizione del 4° ed ult. co., ricollega all’inadempimento di tale dovere di informativa la possibilità di revoca dell’amministratore e l’obbligo a carico dello stesso
di risarcire l’eventuale danno che dal comportamento negligente sia derivato.
204
205
Trib. Firenze, 22 aprile 1991, cit.
Trib. Napoli, 15 luglio 1960, in Riv. giur. edilizia, 1961, I, p. 275.
L’AMMINISTRATORE
855
Si è già detto che, in caso di lite esorbitante dalle sue attribuzioni, l’amministratore deve darne notizia all’assemblea “senza indugio”.
Va peraltro rilevato che può comunque configurarsi una responsabilità in caso
di informativa omessa tout court o data con notevole ritardo.
Va rammentato in proposito che la S.C. ha ritenuto adeguata e congrua la decisione del giudice di merito secondo la quale il non aver tempestivamente informato l’assemblea dell’impugnazione di una delibera assembleare (quindi, si
noti, di una materia rientrante tra le attribuzioni dell’amministratore e come tale
non compresa nella previsione dell’art. 1131, ult. co., c.c.), non giustificasse la
rimozione dell’amministratore, «non avendo tale condotta influenzato il rapporto fiduciario con il condominio» 206.
Nella giurisprudenza di merito si è ritenuta 207 «non grave» l’irregolarità commessa dall’amministratore che aveva informato i condomini di un contenzioso in
atto con un singolo condomino con ritardo di circa quattro mesi precisando che
la revoca dell’amministratore sotto il profilo dei fondati sospetti di gravi irregolarità si giustifica solo quando sussistano elementi precisi e concordanti che facciano prevedere come verosimile un pregiudizio imminente e irreparabile per l’ente
rappresentato.
Infine, si è affermato 208 che la mancata informativa da parte dell’amministratore della pendenza di una lite promossa nei confronti del condominio per risarcimento danni (e quindi non rientrante nella previsione dell’art. 1131, ult. co.,
c.c.) in una con la mancata denunzia del sinistro alla compagnia di assicurazione,
costituisce violazione dell’obbligo di diligenza del mandato e comporta l’obbligo
per l’amministratore di risarcire il danno.
Orbene, le pronunce citate, a prescindere dalle riserve che si possono formulare rispetto alla tesi che la revoca per fondati sospetti di gravi irregolarità possa
essere subordinata all’esistenza di un pregiudizio che in realtà la legge non contempla per questo motivo di revoca, sono tuttavia importanti, poiché consentono
di argomentare a contrariis che la mancata informativa all’assemblea o il fatto che
essa venga data con ritardo possono costituire, in presenza o meno di altri elementi, un motivo di revoca sotto questo profilo e quindi anche con riferimento a
liti che esulano dalla previsione dell’art. 1131, ult. co., c.c.
Per concludere la disamina dell’argomento, appare opportuno un cenno in
ordine all’elaborazione da parte della dottrina del concetto di danno risarcibile ai
sensi dell’ultimo comma dell’art. 1131, ult. parte, c.c.
206
Cass., 23 ottobre 1999, n. 8837.
Trib. Napoli, 24 novembre 1994, in Rass. loc. cond., 1995, p. 293.
208
Trib. Milano, 3 maggio 2001.
207
856
Vincenzo Nasini
Da un lato (salva l’ipotesi che l’amministratore abbia non solo omesso l’informativa, ma anche tenuto nel giudizio un comportamento tale da pregiudicarne
l’esito) si esclude che egli possa essere chiamato a rispondere di ogni conseguenza dannosa derivante dalla soccombenza del condominio, poiché da ciò conseguirebbe un arricchimento senza causa a favore di quest’ultimo e a danno dello
stesso amministratore. D’altro canto non può neppure ritenersi sufficiente ad
esonerarlo da qualsiasi obbligo risarcitorio la prova da parte sua che la causa
avrebbe avuto esito ugualmente negativo.
Un giudizio comporta, infatti, spese che possono essere evitate addivenendo ad
una soluzione transattiva. Questi maggiori oneri saranno sempre a carico dell’amministratore sia in caso di mancata informativa, sia qualora questa venga data con
ritardo tale da compromettere la decisione dell’assemblea, impedendo alla stessa di
valutare tempestivamente e adeguatamente il comportamento da tenere.
42. D) LE ALTRE IPOTESI
Vengono anche previste ulteriori specifiche ipotesi che rientrerebbero logicamente nella più ampia fattispecie delle gravi irregolarità in senso lato: quella consistente nel fatto che siano emerse gravi irregolarità fiscali e quella di non ottemperanza all’obbligo di apertura del conto corrente dedicato previsto dal n. 3 del co.
12° dell’art. 1129 c.c.
In questi due casi è previsto che anche un singolo condomino possa chiedere la
convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato
all’amministratore e che, in caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun
condomino possa rivolgersi all’autorità giudiziaria.
In mancanza di una deroga espressa, è da ritenere che il condomino dovrà seguire la procedura prevista dall’art. 66 disp. att. c.c., per cui dovrà inizialmente rivolgere la richiesta di convocazione dell’assemblea dall’amministratore e solo nel
caso in cui questi non ottemperi entro dieci giorni potrà precedere direttamente a
tale convocazione.
In caso di mancata revoca da parte dell’assemblea ciascun condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria e, in caso di accoglimento della domanda, per le spese legali che ha dovuto sostenere, ha titolo alla rivalsa nei confronti del condominio
che a sua volta può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.
In considerazione della formulazione della norma, è da ritenere che il ricorso
all’autorità giudiziaria sia consentito anche a chi non aveva inizialmente chiesto la
convocazione dell’assemblea, ma ha votato in senso favorevole alla revoca dell’amministratore. Questa previsione suscita perplessità.
L’AMMINISTRATORE
857
In primis non si vede perché, in caso di gravi irregolarità fiscali rispetto a quelle
non fiscali che possono, all’evidenza, rivestire anche minore gravità, sia previsto,
per così dire, un passaggio burocratico in più (con conseguente perdita di tempo)
costituito dalla preliminare obbligatoria convocazione dell’assemblea, per di più
finalizzata ad una verifica che l’assemblea non è in genere in condizione di compiere, se non per il tramite del “revisore” la cui nomina è peraltro prevista come meramente facoltativa.
Né si comprende poi perché solo in caso di giudizio per gravi irregolarità fiscali
sia previsto l’obbligo per l’assemblea di rifondere le spese al ricorrente, posto che in
tutti i casi nei quali l’autorità giudiziaria adita per iniziativa di un singolo condomino nella completa inerzia degli altri (ciò che quasi sempre accadde nella prassi
condominiale) ravvisi l’esistenza di un motivo di revoca, il ricorrente ha comunque
pur sempre agito nell’interesse collettivo, conseguendo un risultato consistente
nella tutela dei diritti (anche) degli altri condomini.
Quanto alla generica ed ampia fattispecie delle “gravi irregolarità”, l’art. 1129,
recependo quasi in toto l’elaborazione giurisprudenziale consolidatasi nel vigore
della precedente normativa, elenca analiticamente, sia pure a titolo meramente
esemplificativo e non tassativo, come si desume chiaramente dall’inciso «tra le altre», contenuto all’inizio del dodicesimo comma, otto situazioni concrete integranti «gravi irregolarità».
La prima consiste nell’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale (nel termine di centottanta giorni, secondo la
previsione di cui all’art. 1229, ult. co., n. 10). Non è necessario che si tratti di
omessa resa del conto per due anni consecutivi, come previsto dal previgente art.
1129 c.c., nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza. È sufficiente la mancata convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto di un anno.
La seconda è integrata dal rifiuto ripetuto di convocare l’assemblea per la revoca e la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge.
Va detto che nella prassi, solitamente questa ipotesi concorre con la precedente
poiché l’amministratore che non convoca l’assemblea per la nomina non la convoca neppure per l’approvazione del rendiconto. Piuttosto va rilevato che la previsione non sembra molto coerente con il meccanismo predisposto dal legislatore per la nomina.
Infatti delle due l’una: o si verte ipotesi di dimissioni dell’amministratore che
non intende più proseguire nel mandato, e allora non avrebbe alcun senso una
revoca giudiziale di un amministratore dimissionario, oppure si verte in ipotesi di
conferma dell’amministratore uscente: in tal caso però v’è da chiedersi nuovamente che portata abbia la previsione dell’art. 1129 c.c. secondo la quale l’incarico, alla scadenza annuale, si intende rinnovato per uguale periodo. Per quanto
858
Vincenzo Nasini
la disposizione in esame faccia riferimento al rifiuto, il che potrebbe intendersi
come manifestazione espressa di volontà contraria, non sembra potersi dubitare
che la sanzione sia applicabile anche nel caso di c.d. rifiuto tacito, cioè di inerzia.
Infine, non sembra che il rifiuto debba seguire a più richieste formali di convocazione ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c., per cui si devono ritenere sufficienti
più richieste anche di un solo condomino o più richieste autonome di condomini
diversi che non rappresentino un sesto del valore dell’edificio.
La terza fattispecie di revoca giudiziale consiste nella mancata esecuzione di
provvedimenti giudiziari e amministrativi nonché di deliberazioni dell’assemblea.
Il rischio di un considerevole aumento del contenzioso con riferimento a questa
ipotesi è concreto, stante la genericità della previsione. Va detto anche che non
viene previsto un termine al di là del quale la mancata esecuzione del provvedimento o della delibera integra la grave irregolarità: molto sarà lasciato alla discrezionalità del giudice.
La quarta situazione legittimante la revoca consiste nell’omessa apertura e/o
mancata utilizzazione del conto di cui al settimo comma. Su questa ipotesi non vi
sono considerazioni da fare se non che la giurisprudenza in passato aveva già ravvisato in questa situazione una grave irregolarità qualora la mancata apertura del
conto avesse generato confusione contabile.
Ora tale ulteriore elemento non è più necessario. Anzi, va rilevato che la gestione del condominio con modalità che siano potenzialmente fonte di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini costituisce una fattispecie specifica ed autonoma prevista dal n. 4: quindi la mancata apertura e utilizzazione del conto costituisce di per
sé, senza ulteriori requisiti concorrenti, motivo di revoca.
La quinta ipotesi consiste nell’aver «acconsentito per un credito insoddisfatto
alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio». Si tratta di un’ipotesi che non ha alcuna possibilità di verificarsi, in quanto il Conservatore dei RR.II., in considerazione del fatto che l’assemblea e non l’amministratore ha il potere di rinunciare al pignoramento o all’ipoteca, non provvederà alla cancellazione sulla base del consenso espresso dall’amministratore a tanto non autorizzato.
La sesta fattispecie si concretizza qualora, essendo stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l’amministratore
abbia omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva. Così come è formulata, la disposizione accolla all’amministratore la responsabilità per la mancata diligenza del difensore del condominio. La mancata diligenza dell’amministratore è configurabile solo nel caso in cui, dopo avere ottenuto un provvedimento giudiziale favorevole, non provveda all’esecuzione coattiva.
L’AMMINISTRATORE
859
Il settimo e l’ottavo motivo di revoca sono in qualche misura connessi tra loro. L’amministratore può essere, infatti, revocato dall’autorità giudiziaria in caso
di inottemperanza all’obbligo di cura dei registri previsti dall’art. 1130, nn. 6 e 7,
c.c. e a quello di fornire al condomino richiedente l’attestazione relativa allo stato
dei pagamenti condominiali e delle eventuali liti in corso stabilito dal n. 9 dello
stesso articolo. Inoltre costituisce grave irregolarità l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al co. 2°dello stesso art. 1129 c.c., cioè dei dati
anagrafici e “professionali” dell’amministratore, del suo codice fiscale e, se si tratta di società, anche della sede legale e denominazione e, infine, dei locali dove si
trovano i registri di cui ai nn. 6 e 7 dell’art. 1130 (registro di anagrafe, condominiale, registro dei verbali e registro di contabilità). Si tratta di una disposizione
della quale non si può non rilevare la stranezza.
La comunicazione dei dati in questione deve, infatti, avvenire contestualmente alla nomina e dovrebbe costituire condizione per la validità della stessa o per il
rinnovo dell’incarico. Non si comprende, pertanto, come il mancato adempimento a tale obbligo possa costituire causa di revoca di un rapporto, il quale deve
intendersi come mai validamente costituito.
43. E) IL PROCEDIMENTO
In forza del disposto dell’art. 64 disp. att. c.c., nella sua nuova formulazione, sulla revoca dell’amministratore nei casi indicati dal co. 11° dell’art. 1129 e dal co. 4°
(rectius: co. 3° e 4°) dell’art. 1131 c.c., provvede il Tribunale in camera di consiglio
con decreto motivato, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente.
Il co. 2° precisa, in modo del tutto superfluo, in considerazione del disposto
dell’art. 739, co. 1°, c.p.c., che contro il provvedimento del Tribunale può essere
proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione.
Prima della riforma, secondo un orientamento 209, prima di adire l’autorità
giudiziaria il condomino aveva l’onere di sottoporre l’istanza di revoca, a pena di
improcedibilità del ricorso, alla decisione dell’assemblea, in quanto, nel sistema
normativo che disciplina la comunione, l’intervento del giudice avrebbe sempre
carattere suppletivo o secondario, non potendo mai prescindere o sorpassare la
competenza dell’assemblea, se non al fine di supplirne l’inerzia o rimediare al cat209
U. GUIDI, Il condominio nel nuovo codice civile, Giuffrè, Milano, 1942, p. 239 ss.; M. FRAGALI, La
comunione, Giuffrè, Milano, 1983, p. 404 ss.; M. DOGLIOTTI-A. FIGONE, Il condominio, Utet, Torino,
2001, p. 389 ss.
860
Vincenzo Nasini
tivo uso dei suoi poteri gestori. In tal senso deporrebbe la stessa evidente analogia ricorrente tra il caso de quo e quello della nomina giudiziale dell’amministratore, la quale, per espressa previsione normativa, può avere luogo soltanto qualora l’assemblea abbia omesso di provvedere alla nomina (art. 1129, co. 1°, c.c.).
In senso contrario, però, si era osservato 210 che è difficile sostenere l’analogia
tra nomina e revoca giudiziale dell’amministratore.
In primo luogo non potrebbe non essere significativa la diversità di formulazione tra il co. 1° dell’art. 1129 c.c., il quale prevedeva espressamente la facoltà di
adire l’autorità giudiziaria per ottenere la nomina dell’amministratore soltanto
quando l’assemblea non vi avesse provveduto, ed il co. 2°, che, nel consentire ai
condomini di domandare la revoca giudiziale dell’amministratore, prescindeva
da un qualunque riferimento ad una previa delibera dell’assemblea.
Nel caso di nomina dell’amministratore, poi, in considerazione del carattere
fiduciario del mandato conferito, occorre tutelare l’autonomia dell’assemblea,
alla quale deve essere assicurata piena libertà di scelta del soggetto a cui conferire
il compito di amministrare il bene comune; tale autonomia non può essere compressa dall’intervento esterno del giudice che privi l’assemblea delle sue prerogative. Solo nel caso in cui l’assemblea tralasci di esercitare il proprio diritto di scelta (o si trovi nell’impossibilità di esercitarlo, per il mancato raggiungimento della
maggioranza prescritta) finisce per pregiudicare l’interesse dei singoli condomini
alla cura e all’amministrazione dei beni comuni, per cui la necessità di tutelare tale interesse rende legittimo l’intervento del giudice, consentendo a ciascun condomino di rivolgersi al Tribunale per ottenere la nomina di un amministratore.
In presenza, invece, delle circostanze previste per chiedere la revoca giudiziale, l’assemblea dei condomini non ha alcun potere discrezionale; tali circostanze,
infatti, costituiscono ipotesi tipiche di inadempimento del mandato gestorio di
tale rilevante gravità da obbligare l’assemblea a revocare l’amministratore. In siffatte evenienze l’intervento del giudizio non limita, quindi, in alcun modo l’autonomia dell’assemblea, ma si traduce nell’adozione di un provvedimento avente
il medesimo contenuto ed i medesimi effetti della mancata delibera assembleare
di revoca, della quale tiene luogo.
La fondatezza della seconda tesi trova ora indirettamente conforto nella già
commentata (e criticata) disposizione dell’art. 1129 c.c. che prevede la convocazione dell’assemblea come una sorta di filtro prima di rivolgersi all’autorità giudiziaria solo con riferimento al caso in cui siano emerse “gravi irregolarità fiscali”,
mentre non la contempla per tutte le altre ipotesi.
210
M. BELLANTE, La revoca giudiziale dell’amministratore di condominio, in Giust. civ., 2010, II,
p. 1033.
L’AMMINISTRATORE
861
Ne consegue che nel giudizio per la revoca dell’amministratore interessato e
legittimato a contraddire è soltanto l’amministratore e non il condominio, il quale non è tenuto né ad autorizzare né a ratificare la resistenza in giudizio dell’amministratore medesimo, trattandosi di ipotesi estranea a quelle previste negli artt.
1130 e 1131 c.c. e ciò malgrado le ripercussioni nei confronti del condominio
degli effetti della pronuncia giudiziale 211.
Ciò con l’ulteriore conseguenza che, ove il condominio non abbia autorizzato,
né successivamente ratificato, la resistenza in giudizio dell’amministratore, a questi devono far carico le spese processuali 212.
Sulla revoca dell’amministratore, secondo quanto previsto dall’art. 64 disp.
att. c.c., il Tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore medesimo 213. Il Tribunale può giovarsi anche di informazioni assunte direttamente 214.
Il provvedimento statuente la revoca dell’amministratore del condominio ha
efficacia, ai sensi dell’art. 741 c.p.c., dalla data dell’inutile spirare del termine per
il reclamo avverso di esso, e non già dalla data della relativa istanza, non essendo
al riguardo applicabile – data la diversità per natura, funzione e contenuto del
detto provvedimento di volontaria giurisdizione rispetto alla sentenza – il principio di retroattività di questa al momento della domanda 215.
L’amministratore revocato non rimane in carica fino alla nomina del nuovo
amministratore in regime di c.d. prorogatio, per quanto il contrario sia stato sostenuto in dottrina 216, pur precisando che la proroga non si risolverebbe in un
mero prolungamento della sua abusiva e irregolare gestione a danno dei condomini, ma è finalizzata a tutelare l’interesse di questi ultimi a vedere assicurata, in
via interinale, l’amministrazione e la rappresentanza del condominio, evitando
vuoti gestionali fonte di inevitabile caos. A parte l’anomalia di un amministratore,
il quale pur essendo stato revocato con provvedimento esecutivo, continuerebbe
a svolgere le sue mansioni, a colmare vuoto gestionale può provvedere, infatti, in
breve termine l’assemblea con la nomina di un nuovo amministratore.
La S.C. ha inizialmente affermato che il procedimento di nomina o di revoca
dell’amministratore di condominio, anche quando si inserisce in una situazione
211
Cass., 23 agosto 1999, n. 8837, in Foro it., 2000, I, c. 1673; Cass., 9 dicembre 1995, n. 12636, in
Arch. locazioni, 1996, p. 358; Cass., 13 marzo 1988, n. 1274.
212
Cass., 13 marzo 1989, n. 1274.
213
Nel senso che è inammissibile la domanda di revoca dell’amministratore del condominio proposta in sede contenziosa, cfr. Trib. Napoli, 9 marzo 1981, in Vita not., 1981, p. 1044.
214
App. Roma, 20 gennaio 1955, in Giust. civ. Mass. app., 1955, p. 12.
215
Cass., 1° febbraio 1990, n. 666, in Giust. civ., 1990, I, p. 2613.
216
M. BELLANTE, op. cit.
862
Vincenzo Nasini
di conflitto tra i condomini o tra alcuni condomini e l’amministratore ha natura
di procedimento di volontaria giurisdizione e, pertanto, si sottrae all’applicabilità
delle regole dettate dagli artt. 91 ss. c.p.c. in materia di spese processuali, le quali
postulano l’identificabilità di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in
esito alla definizione di un conflitto di tipo contenzioso. Ne consegue che le spese relative al procedimento in oggetto devono rimanere a carico del soggetto che
le abbia anticipate assumendo l’iniziativa giudiziaria e interloquendo nel procedimento 217.
Nella giurisprudenza più recente, invece, tale ricorso è stato ritenuto ammissibile, in quanto la statuizione in tema di revoca inerisce a posizioni giuridiche
soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto autonomo rispetto a
quello in esito al cui esame è stata adottata, possedendo i caratteri della decisione
giurisdizionale ed essendo idonea a passare in giudicato, non rilevando che la
stessa acceda ad un provvedimento avente natura, formale e sostanziale, di volontaria giurisdizione 218.
Il sindacato della S.C. rimane peraltro limitato alla verifica del vizio di violazione di legge, senza alcuna possibilità di estendersi alla disamina della sufficienza e logicità della motivazione 219.
Il legislatore non ha risolto, come avrebbe potuto e come sarebbe stato opportuno, la questione relativa alla possibilità di ricorrere in cassazione contro la decisione della corte d’appello.
Secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, infatti, contro la decisione della corte d’appello il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. non sarebbe proponibile.
A fondamento di tale soluzione viene sostanzialmente dedotto che il provvedimento de quo riveste natura di atto di volontaria giurisdizione, e come tale non
è suscettibile di passare in giudicato, tanto che le parti interessate possono nuovamente ricorrere al giudice per chiedere l’emissione di un nuovo provvedimento in senso difforme da quello precedentemente emesso 220, per cui in tali casi la
217
Cass., 30 marzo 2001, n. 4706; nel senso che il giudice non può emettere provvedimenti in ordine alle spese, in considerazione della natura sostanzialmente amministrativa del provvedimento di
revoca, cfr. Cass., 27 marzo 1998, n. 3246, per la quale contro la pronuncia sulle spese sarebbe ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
218
Cass., 29 ottobre 2004, n. 20957, in Giust. civ., 2005, I, p. 53; Cass., 26 giugno 2006, n. 14742.
219
Cass., 6 maggio 2006, n. 9516.
220
Cass., 29 ottobre 2004, cit.; Cass., 30 marzo 2001, n. 4706, in Foro it., 2001, I, c. 1499; Cass., 21
febbraio 2001, n. 2517, ivi, 2001, I, c. 1500; Cass., 15 maggio 2000, n. 6249; Cass., 23 febbraio 1999, n.
1493, in Giust. civ., 1999, I, p. 3018; Cass., 25 agosto 1993, n. 8994, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 393; Cass.,
20 febbraio 1992, n. 2085.
L’AMMINISTRATORE
863
garanzia del controllo di legittimità sarebbe priva della sua ragione di essere 221.
Tale provvedimento, pur incidendo sul rapporto di mandato tra condomini
ed amministratore, non ha carattere decisorio, non precludendo la richiesta di
tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, del diritto su
cui il provvedimento incide; tutela che, per l’amministratore eventualmente revocato, non potrà essere in forma specifica, ma soltanto risarcitoria o per equivalente (non esistendo un diritto dell’amministratore alla stabilità dell’incarico, attesa la revocabilità in ogni tempo, in base all’art. 1129, co. 2°, c.c.), onde la diversità dell’oggetto e delle finalità del procedimento camerale e di quello ordinario,
unitamente alla diversità delle rispettive causae petendi, così come impedisce di
attribuire efficacia vincolante al provvedimento camerale nel giudizio ordinario,
del pari non consente di ritenere che il giudizio ordinario si risolva in un sindacato del provvedimento camerale 222.
In senso contrario a tale orientamento si è osservato 223, tuttavia, che il provvedimento di revoca dell’amministratore, emesso su istanza di alcuni soltanto tra
i condomini, comporta la risoluzione anticipata (contro la quale non è previsto
alcun altro rimedio) del rapporto esistente fra tutti i condomini, da un lato, e
l’amministratore, dall’altro, e cioè incide su diritti soggettivi.
A prescindere, poi, dalla possibilità teorica che il giudice ripristini un rapporto
contrattuale al quale in precedenza ha posto termine, la possibilità pratica per le
parti di ricorrere nuovamente al giudice per ottenere un provvedimento di senso
difforme da quello di revoca dell’amministratore in precedenza emesso è spesso
da escludere.
A seguito della revoca, infatti, il condominio potrebbe (e nel caso di condominio con più di quattro partecipanti dovrebbe) avere nominato un nuovo amministratore, oppure tale amministratore potrebbe essere stato nominato dallo
stesso giudice adito da uno dei condomini ex art. 1129, co. 1°, c.c. Nella prima
ipotesi alla revoca osterebbe il disposto dell’art. 742 c.p.c., il quale fa salvi i diritti
acquisiti in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla revoca stessa. Nella seconda ipotesi la revoca della revoca sarebbe inefficace, se non accompagnata anche dalla revoca della nomina del nuovo amministratore, in relazione
alla quale, però, mancherebbero i presupposti di legge.
221
Cass., 31 luglio 1965, n. 1861, in Giur. it., 1965, I, 1, c. 1403; Cass., 25 agosto 1993, cit.
Cass., 29 ottobre 2004, cit.; nel senso che nulla osta a che, ove il provvedimento non venga revocato o disatteso dalla maggioranza dei condomini con la sua conferma, l’amministratore possa, in un
giudizio autonomo, da proporre nei confronti del condominio, che gli ha conferito il mandato, far valere le sue ragioni, cfr. Cass., 23 febbraio 1999, cit.
223
R. TRIOLA, op. ult. cit., p. 604.
222
864
Vincenzo Nasini
Si è anche sostenuto 224 che il provvedimento in questione non potrebbe acquistare carattere definitivo, non essendo presenti in giudizio tutti i condomini,
ma soltanto quelli che hanno assunto l’iniziativa di chiedere la revoca dell’amministratore di condominio, mentre in base all’art. 1726 c.c., nel caso di mandato
collettivo, ove ricorra una giusta causa, la revoca può essere fatta anche da un solo dei mandanti.
In dottrina si è replicato 225 che l’art. 64 disp. att. c.c., riconoscendo la legittimazione anche ad un solo condomino a chiedere la revoca dell’amministratore
deroga all’art. 1726 c.c., ammesso che tale norma sia applicabile nei rapporti tra
amministratore e condominio ed a prescindere dal fatto che la stessa prevede
che, ove ricorra una giusta causa, la revoca può essere fatta anche da un solo dei
mandanti.
Per quando riguarda l’affermazione secondo la quale l’amministratore potrebbe, in un giudizio autonomo, far valere le sue ragioni contro il condominio,
non si comprende a che titolo il condominio dovrebbe rispondere di un’iniziativa
assunta da alcuni soltanto dei suoi partecipanti e quale sarebbe il fondamento di
tale azione, dal momento che l’autorità giudiziaria ha ritenuto sussistente una
causa di revoca.
A favore dell’idoneità del provvedimento in questione a passare in giudicato
milita il fatto che con esso il giudice non sospende l’amministratore, cioè non
pone in uno stato di quiescenza temporanea il rapporto tra il condominio e amministratore, ma revoca quest’ultimo, cioè pone definitivamente fine ante tempus
al rapporto in questione 226.
44. LA NOMINA DA PARTE DELL’ASSEMBLEA DI UN AMMINISTRATORE REVOCATO DALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA
È sempre stata prevalente in dottrina l’opinione secondo la quale l’assemblea
non può affidare nuovamente le funzioni di amministratore alla persona che sia
stata revocata dall’autorità giudiziaria. Ciò peraltro fino al permanere della situazione che ha giustificato il provvedimento. Pertanto se la revoca fosse stata decisa
per la mancata presentazione dei bilanci, ad es., il revocato non avrebbe potuto
224
Cass., 23 febbraio 1999, cit.
R. TRIOLA, op. ult. cit., p. 605.
226
Cass., 18 maggio 1996, n. 4620, in Giust. civ., 1996, I, p. 2576; Cass., 10 gennaio 2003, n. 184, in
Foro it., 2003, I, c. 1094; per l’affermazione che nella specie il procedimento in camera di consiglio è
utilizzato per finalità estranee a quelle tipiche della giurisdizione volontaria, cfr.: V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, vol. IV, Jovene, Napoli, 1964, p. 514; M. BELLANTE, op. cit.
225
L’AMMINISTRATORE
865
essere nuovamente nominato a meno che non lo sia contestualmente alla presentazione e approvazione con la debita maggioranza dei bilanci omessi.
Pur dandosi atto che in tal modo si viene a determinare un caso di ineleggibilità che sostanzialmente risulta avulso dalla generale disciplina della designazione
dell’amministratore da parte di condomini, si era osservato che il pervenire a
conclusioni diverse significherebbe in pratica svuotare di ogni significato la previsione della revocabilità dell’amministratore in tutti quei casi in cui lo stesso sia
espressione di maggioranze precostituite legate alla particolare composizione del
condominio 227.
Veniva evidenziato in proposito che la vincolatività del principio maggioritario operante nell’istituto condominiale trova il suo limite nel diritto in capo ai
singoli partecipanti di far revocare l’amministratore ad opera del giudice e previo
accertamento delle condizioni indicate nell’art. 1129 c.c., altrimenti perderebbe
ogni significato il sindacato riservato dalla legge all’autorità giudiziaria e si priverebbero di qualsiasi tutela i condomini di minoranza rispetto all’operato dell’amministratore 228.
Poiché nel procedimento di revoca viene constatato, con le garanzie del contraddittorio, che la persona “revocata” non è un amministratore scrupoloso e che
sussiste una giusta causa di revoca espressamente prevista dalla legge, pertanto, è
preferibile opinare che – pur non conseguendo una sorta di “indegnità” all’incarico, neppure con specifico riferimento a quel condominio – non possa la maggioranza assembleare violare il diritto del singolo condomino a deliberare la nomina (che sarebbe “nuova”) dell’amministratore nella stessa persona di quello
“revocato” 229.
Secondo i più quindi la nomina di un amministratore revocato integrerebbe
un’ipotesi di nullità della relativa delibera, in quanto comportante la violazione di
un divieto implicito nel sistema normativo 230. Orbene, in tale contesto, viene ora
ad inserirsi la disposizione contenuta nel co. 12° dell’art. 1129 c.c., che fa espresso divieto per l’assemblea di nominare nuovamente l’amministratore revocato
dall’autorità giudiziaria.
Si tratta di una previsione che non lascia spazio a interpretazioni restrittive,
cosicché deve ritenersi che il divieto posto dalla norma sia incondizionato e assoluto e permanga anche qualora siano venute meno le ragioni che hanno portato
alla revoca giudiziale dell’amministratore.
227
M. CRESCENZI, Le controversie condominiali, Cedam, Padova, 1991, p. 287.
A. CELESTE, La riconferma assembleare dell’amministratore destituito dal magistrato: il braccio di
ferro tra maggioranza condominiale ed autorità giudiziaria, in Arch. locazioni, 2003, p. 165.
229
F. LAZZARO-W. STINCARDINI, op. cit., p. 87.
230
M. CRESCENZI, op. loc. cit.; A. CELESTE, op. cit.
228
866
Vincenzo Nasini
Deve infine ritenersi che in sede di revoca giudiziale, non possa farsi luogo alla
contestuale nomina di un nuovo amministratore, trattandosi di un atto rimesso
alla volontà assembleare che, soltanto in quanto mancante, potrebbe legittimare
l’intervento dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 c.c.
45. INERZIA DELL’AMMINISTRATORE ED INIZIATIVE DEI SINGOLI CONDOMINI
Secondo la S.C. l’inerzia dell’amministratore nel compimento di un atto di
ordinaria amministrazione non legittima il singolo condomino a rivolgersi all’autorità giudiziaria in sede contenziosa senza averne precedenza, provocato la convocazione dell’assemblea condominiale. La mancata convocazione dell’organo
assembleare, la mancata formazione di una volontà maggioritaria, l’adozione di
una delibera poi ineseguita legittimano, per l’effetto, il condomino ad agire non
in sede contenziosa bensì di volontaria giurisdizione, giusta il disposto dell’art.
1105 c.c. (mentre la deliberazione di maggioranza risulterà impugnabile in via
contenziosa nelle sole ipotesi di lesione di diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, ovvero di violazione di legge o del regolamento condominiale), non
rilevando, in contrario, la disposizione di cui all’art. 1133 c.c. (a mente della quale il ricorso avverso i provvedimenti dell’amministratore, per il singolo condomino, è proponibile, oltreché all’assemblea, anche all’autorità giudiziaria), poiché
detta norma delimita la possibilità di esercizio della ivi prevista facoltà ai casi
espressamente stabiliti nel successivo art. 1137 (ostativo, per l’autorità giudiziaria, all’esercizio di qualsivoglia sindacato di merito, sulle deliberazioni dell’assemblea), escludendo, pertanto, che il giudice possa, in sede contenziosa, sopperire
all’inerzia dell’amministratore nel compimento di atti di ordinaria amministrazione 231.
Si è anche affermato che i condomini i quali ritengono che si debba effettuare
una spesa per i lavori necessari, sia di manutenzione ordinaria che di manutenzione straordinaria, non possono adire direttamente il giudice in sede contenziosa, senza avere prima interpellato l’amministratore del condominio perché convochi, se necessario, l’assemblea o fatto ricorso al giudice in sede di volontaria
giurisdizione ai sensi dell’art. 1105 c.c., ovvero senza avere impugnato la deliberazione contraria 232.
In senso contrario si è osservato 233 che, in mancanza di un’espressa previsione
231
Cass., 27 dicembre 1963, n. 3226.
Cass., 18 marzo 1972, n. 823.
233
R. TRIOLA, Il condominio, cit., p. 613.
232
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867
in tal senso, non si comprende perché il ricorso all’autorità giudiziaria in sede
contenziosa dovrebbe essere preceduto dall’esperimento della procedura prevista dall’art. 66 disp. att. c.c. o dall’art. 1105 c.c., né si comprende perché i condomini dovrebbero prima impugnare la delibera di rifiuto di esecuzione dei lavori e
poi promuovere un autonomo giudizio per ottenere una sentenza che ordini l’esecuzione di tali lavori. A rigor di logica, infatti, l’accoglimento dell’impugnazione contro la delibera di rifiuto dovrebbe comportare l’affermazione della legittimità della pretesa dell’effettuazione dei lavori.
In realtà, sarebbe da escludere la necessità dell’impugnativa della delibera negativa e sarebbe da dubitare della stessa ammissibilità di tale impugnazione, dal
momento che l’art. 1137, co. 2°, c.c. fa riferimento alle deliberazioni «contrarie
alla legge», mentre nella specie al giudice si richiede una valutazione di merito
(necessità o meno di determinati lavori).
Sarebbe, pertanto, più conforme al sistema ritenere che, a prescindere dalle
deliberazioni dell’assemblea, i condomini possono, ex art. 1105 c.c., rivolgersi direttamente al giudice in sede di volontaria giurisdizione.
46. LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE DELL’AMMINISTRATORE
In dottrina si è osservato 234 che se si parte dal principio secondo il quale l’amministratore è titolare di un ufficio privato, ai fini della valutazione della sua responsabilità non può farsi applicazione diretta dell’art. 1710 c.c. Nulla osta, peraltro, all’applicazione analogica di tale norma.
Ad ogni modo, anche se si dovesse ritenere che trovano applicazione i principi generali in tema di inadempimento, il risultato non cambierebbe, in quanto
l’art. 1175, co. 1°, c.c. stabilisce che nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve
usare la diligenza del buon padre di famiglia, cioè usa una formula identica a
quella dell’art. 1710, co. 1°, prima parte, c.c., in tema di mandato oneroso.
Le cose cambierebbero ove si dovesse considerare come professionale l’attività dell’amministratore, perché, in tale ipotesi, in base all’art. 1176, co. 2°, c.c., la
diligenza nell’adempimento dovrebbe valutarsi con riferimento alla natura dell’attività considerata.
Secondo una decisione della S.C., l’amministratore del condominio non può
essere ritenuto responsabile, ancorché sia tenuto a far osservare il regolamento
condominiale, dei danni cagionati dall’abuso dei condomini della cosa comune,
non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei singoli
234
R. TRIOLA, op. cit., p. 619.
868
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condomini – salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell’art. 70 disp.
att. c.c., preveda la possibilità di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull’uso delle cose comuni – né è obbligato a
promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una
espressa disposizione condominiale o di una delibera assembleare 235.
In senso contrario si è osservato 236 che in base all’art. 1130, n. 1, c.c. l’amministratore è tenuto a far osservare il regolamento di condominio e che in base al
successivo art. 1131 c.c., nei limiti delle sue attribuzioni, può agire in giudizio sia
contro i condomini che contro i terzi. Ne consegue che si può ipotizzare un concorso di responsabilità dell’amministratore il quale si astenga dall’intraprendere
azioni giudiziarie nei confronti degli abusi commessi dai condomini nell’uso delle cose comuni.
Correttamente, invece, sul presupposto che l’amministratore del condominio
non è legittimato a proporre azioni reali di riduzione in pristino nei confronti dei
singoli condomini contro la volontà dell’assemblea, in caso di violazione da parte
di singoli proprietari delle norme del regolamento condominiale prevedenti limiti alle innovazioni nelle proprietà individuali (nella specie recepiti come servitù
reciproche nei singoli contratti di acquisto), non è configurabile una sua responsabilità ove abbia omesso di agire in giudizio contro i responsabili al fine di conseguire la riduzione in pristino, qualora abbia investito delle specifiche questioni
l’assemblea del condominio e la stessa abbia deliberato, sia pure a maggioranza,
di tentare di risolvere in via extragiudiziale i contrasti insorti tra i vari comproprietari 237.
47. IL RICORSO CONTRO I PROVVEDIMENTI DELL’AMMINISTRATORE
In base all’art. 1133 c.c. i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito
dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini; contro tali provvedimenti è
ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’art. 1137 238.
In dottrina si è affermato che, nel caso in cui il provvedimento preso dall’amministratore fosse arbitrario («fuori dei suoi poteri»), esso non sarebbe più ob235
Cass., 20 agosto 1993, n. 8804.
R. TRIOLA, op. cit., p. 622 ss.
237
Cass., 16 ottobre 1999, n. 11688.
238
Per R. AMAGLIANI, L’amministratore e la rappresentanza degli interessi condominiali, Giuffrè, Milano, 1992, p. 157, l’assemblea adita ex art. 1133 c.c. può esercitare solo un controllo di legittimità, tenuto conto della formulazione di tale norma.
236
L’AMMINISTRATORE
869
bligatorio per il condomino, ma nulla vieta che anche contro di esso il condomino possa ricorrere all’assemblea, la quale può annullare il provvedimento dell’amministratore, dando ragione al condomino, o può, invece, ratificarlo; anche
in quest’ultimo caso il condomino ha la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria, ma, ove la deliberazione assembleare avesse violato la legge o un diritto del
condomino di cui all’assemblea non è dato disporre, il ricorso all’autorità giudiziaria sarebbe possibile anche al di fuori dei limiti precisati dall’art. 1137 c.c. 239.
Tenuto conto della formulazione dell’art. 1133 c.c., in giurisprudenza si è affermato che il diritto del condomino di rivolgersi all’autorità giudiziaria non è
subordinato al preventivo ricorso all’assemblea 240.
Appare evidente che la legge ha inteso lasciare alla discrezionale valutazione
del condomino la scelta tra il ricorso all’assemblea ed il ricorso immediato all’autorità giudiziaria: scelta ovviamente determinata dalla preventiva considerazione
della manifesta o presuntivamente prevedibile opinione dei condomini; e, ove
tale considerazione induca il condomino a ritenere che l’assemblea non accoglierà l’opposizione, egli proporrà direttamente ricorso all’autorità giudiziaria. Costringere anche in questi casi il condomino a proporre il previo ricorso all’assemblea rappresenterebbe un espediente inutile e dilatorio, informato a principi di
vieto formalismo 241.
Si è affermato che se, in base all’art. 1333 c.c., i singoli condomini possono ricorrere all’assemblea condominiale contro i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri, argomentando per analogia si deve affermare
che anche l’amministratore può rivolgersi all’assemblea condominiale per provocarne una deliberazione che sancisca la disciplina da lui adottata per l’uso delle
cose comuni, al fine di vincere l’asserita resistenza di uno dei condomini 242.
239
L. SALIS, Sulla proponibilità dell’azione possessoria nei confronti dell’amministratore del condominio, in Riv. giur. edilizia, 1974, I, p. 220; nel senso che il provvedimento preso dall’amministratore del
condominio, esorbitando dai suoi poteri, il quale leda i diritti dei singoli condomini sulle cose comuni,
in quanto affetto da radicale nullità, è impugnabile davanti all’autorità giudiziaria, con azione non soggetta ai termini di decadenza di cui agli artt. 1133 e 1137, co. 3°, c.c., cfr.: Cass., 29 novembre 1991, n.
12851; Cass., 10 giugno 1981, n. 3775; Cass., 13 febbraio 1976, n. 472.
240
Cass., 8 marzo 1977, n. 960; Cass., 21 marzo 1974, n. 804, in Giust. civ., 1974, I, p. 1058.
241
Cass., 4 agosto 1950, n. 2353, in Giur. compl. Cass. civ., 1950, III, p. 309; nel senso che per impugnare davanti all’autorità giudiziaria gli atti di gestione dell’amministratore del condominio, che
rientrano nell’orbita dei suoi poteri, quale quello che attiene al carico ed alla suddivisione delle spese
di riscaldamento, non è necessario che gli stessi ricevano il crisma e l’approvazione preventiva dell’assemblea e si traducano in regolari delibere di questo organo sovrano del condominio, cfr. Cass., 15
ottobre 1960, n. 2745.
242
Cass., 28 agosto 1975, n. 3024.
870
Vincenzo Nasini
In senso contrario si è osservato 243 che, in realtà, in un caso del genere si è del
tutto fuori dell’analogia, in quanto, a prescindere dal fatto che non si vede quale
sarebbe la lacuna da colmare, manca anche l’identità di ratio; il ricorso del condomino all’assemblea, infatti, mira a togliere efficacia ad un provvedimento dell’amministratore, mentre il ricorso di quest’ultimo mira ad una conferma del
proprio operato da parte del l’organo deliberante del condominio.
Il potere dell’amministratore di provocare una delibera assembleare di conferma del provvedimento adottato va, più semplicemente, desunto dal fatto che
egli, ex art. 66 disp. att. c.c., può convocare l’assemblea ogni volta che lo ritenga
necessario.
Secondo un’opinione 244, il silenzio tenuto dal legislatore in merito induce a
propendere per la libertà della forma del ricorso all’assemblea. Per decidere il ricorso, però, l’assemblea deve essere convocata a seguito di una richiesta rivolta
all’amministratore la quale non può non essere rivestita della forma scritta.
Poiché, inoltre, non possono esservi dubbi in ordine al fatto che il ricorso al
giudice previsto dall’art. 1133 c.c. deve essere fatto per iscritto, non si comprende
perché nello stesso articolo il legislatore, pur usando la stessa terminologia (“ricorso”), avrebbe fatto riferimento a due atti per i quali non sarebbero previsti gli
stessi requisiti di forma. L’art. 1133 c.c. prevede anche il ricorso al giudice.
Secondo l’opinione prevalente non occorre che il condomino si sia previamente rivolto all’assemblea, né il giudice avrebbe il potere di rimessione all’assemblea.
Sembra una conclusione difficilmente compatibile con la formulazione di tale
disposizione («senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nei
termini previsti dall’articolo 1137»).
In primo luogo, l’art. 1137 c.c. prevede l’impugnazione delle deliberazioni assembleari. In secondo luogo non si comprende per quale motivo il ricorso all’assemblea non sarebbe soggetto a limitazioni temporali, mentre il ricorso al giudice
sarebbe soggetto al termine di trenta giorni.
In considerazione del fatto che il ricorso al giudice è ammesso nei «casi …
previsti dall’art. 1137», è da ritenere che davanti al giudice potranno essere fatti
valere solo vizi di legittimità e non di merito.
243
R. TRIOLA, Il condominio, cit., p. 615.
F. GIRINO, Il concetto di provvedimento dell’amministratore (1133 cod. civ.), in Contr. e impr.,
2004, p. 519.
244
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