Diritto secolare - Aracne editrice

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A
Claudio Sartea
Diritto secolare
Religione e sfera pubblica, oggi
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 
Indice

Introduzione

Capitolo I
Quale diritto per l’età secolare?
.. Dalla secolarizzazione alla postsecolarizzazione. Il contesto,  – .. I
pilastri del paradigma umanistico–esclusivo,  – .. Limiti del paradigma umanistico–esclusivo,  – .. Diritto e postsecolarizzazione, .

Capitolo II
Ragione relazionale e nuove declinazioni della laicità
.. Habermas e Ratzinger in dialogo,  – .. Una proposta dopomoderna: riallargare la razionalità,  – .. Oltre le comprehensive doctrines, 
– .. La tolleranza liberale non è sufficiente,  – .. Per concludere:
quel che si guadagna e quel che si perde, .

Capitolo III
Libertà religiosa: il caso italiano
.. Premessa,  – .. “Caso Lautsi” e dintorni,  – .. Il contesto
odierno: secolarizzazione e secolarismo,  – .. Che cosa dice di sé
oggi lo Stato,  – .. Che cosa dice di sé oggi la Chiesa, .

Capitolo IV
“Io credo, noi crediamo”. Che cosa è la libertà religiosa?
.. Introduzione,  – .. Di che cosa parliamo quando parliamo di
libertà religiosa,  – .. Libertà religiosa e diritto,  – .. I contenuti
del diritto di libertà religiosa,  – .. Il contesto odierno tra realtà
e ideologia,  – .. Libertà religiosa e filosofia dei diritti umani,  –
.. Attualità ed ambiguità dei diritti umani,  – .. Le grandi narrazioni
religiose come orizzonte di senso collettivo,  – .. Rispetto e promozione di tutte le persone,  – .. Il dialogo tra fede e ragione,  –
.. Conclusione, .

Indice


Capitolo V
Diritti dell’uomo: quali diritti, quale uomo
.. Premessa: la rivoluzione è un ritorno,  – .. “L’eterno ritorno”
del problema del fondamento,  – .. Tradizioni rivali,  – .. Cause
di tensioni ed insoddisfazione,  – .. Fondazione obiettiva dei diritti
e priorità dei doveri,  – .. “Conta una sola cosa: la fedeltà”, .

Congedo

Bibliografia
Who is the third who walks always beside you?
When I count, there are only you and I together
But when I look ahead up the white road
There is always another one walking beside you
Gliding wrapt in a brown mantle, hooded
Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto?
Se conto, ci siamo solo tu e io assieme
Ma se guardo avanti sulla bianca strada
C’è sempre un altro che ti cammina accanto
E scivola avvolto in un mantello scuro, il capo coperto
(Thomas S E, The waste Land, )
Introduzione
. Con l’espressione “diritto secolare” intendo sintetizzare uno dei
grovigli teorici più intricati dell’odierna filosofia politica e giuridica,
quello del rapporto tra dimensione civica e dimensione religiosa dell’esistenza umana. Il sottotitolo a fini esplicativi ricorre all’espressione
“sfera pubblica”, peraltro polisemica ed intesa secondo modalità differenziate dai sociologi, dai politologi, dai giuristi, dai filosofi. Per
comprendere il filo rosso dei capitoli che compongono il presente
volume, che vuole costituire un contributo all’approccio filosofico
a temi e problemi di grande momento e complessità, è allora indispensabile provare a chiarire che cosa possiamo intendere quando ci
riferiamo a tali dimensioni del vivere.
. Anzitutto, è da ritenere fondamentale la consapevolezza che in
ogni caso ci troviamo di fronte a relazioni. L’antropologia filosofica
ha da tempo posto l’accento sulla relazionalità quale carattere tipico
del vivente umano. Se essere, per l’uomo come per ogni altro essere
vivente, è appunto vivere , il vivere umano rispetto agli altri modi
di vivere dei viventi è intrinsecamente relazionale: nel senso che le
relazioni assumono nel nostro vivere un significato specifico e pregnante . Anche molti altri animali vivono in branco, formano gruppi
simili ai gruppi familiari e sociali, talvolta organizzano la propria vita
in comune secondo moduli non estranei ad assetti istituzionali, con
individuazione di capi e seguaci, con squadre di comando e sudditi,
con distribuzione di compiti e così via. Quel che però marca costantemente la differenza tra gli uomini e gli altri viventi, anche senza
. R. Spaemann, Persone. Sulla differenza tra ‘qualcosa’ e ‘qualcuno’, (), trad. it. a cura
di L. Allodi, Roma–Bari, , p. .
. A. Malo, Io e gli altri. Dall’identità alla relazione, Roma, . Muove da un’antropologia filosofica di tipo relazionale una corrente di pensiero giusfilosofico a cui farò frequente
riferimento in queste pagine: cfr. S. Cotta, Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia
giuridica, Milano, ; F. D’Agostino, Lezioni di filosofia del diritto, Torino, .


Introduzione
parlare della dimensione religiosa dell’umana relazionalità, è la rilevanza che ciascun singolo acquista e mantiene in ordine alla posizione
che occupa, e viceversa, nonché la possibilità che abbiamo nel caso
degli uomini, e ci è interdetta per qualunque altro animale, di conoscere, comunicare e condividere l’autocomprensione di ognuno in
funzione alla propria posizione sociale e alle relazioni che ne derivano.
La relazionalità umana è in definitiva consapevole, comprensibile e
dotata di senso — ciò che non possiamo dire di altre forme, anche
apparentemente simili, di relazione nel mondo animale. Così tale
dimensione del vivere umano è avviata a divenirne una delle cifre:
come avrebbe detto Hannah Arendt mescolando con profondità le
due indicazioni aristoteliche, l’uomo è animale che ha il discorso ed
animale politico, in sintesi, animale relazionale se si intende che in tale
relazionalità è compresa anche la coscienza di essa.
. Quel che nelle prossime pagine cerco di portare avanti è una riflessione filosofica sul significato dei due ambiti relazionali considerati,
quello civico e quello religioso, e sul loro rapporto. È certo evidente
che la relazione religiosa, per natura propria, tende ad uno sfondamento trascendente: ma è appunto perché intendo qui considerarla dal
suo punto di vista mondano (in altri termini, cerco di muovere da una
filosofia della religione, e non da una teologia), che essa trova punti
di contatto, anche molto significativi, con la sfera pubblica. Peraltro,
le stesse relazioni civiche hanno manifestato in passato — e non solo
— una certa tendenza al medesimo sfondamento: è quel che è avvenuto ogniqualvolta qualche gruppo politico o etnico ha rivendicato
per sé qualità o compiti sostanzialmente religiosi (per esempio, palingenetici, o di purificazione/salvezza del mondo). Né dell’elevazione
religiosa dell’umano, né dell’umanizzazione (per esempio politica
o istituzionale) del divino, parla questo libro: che ha il più limitato
scopo di proporre alcune considerazioni di stampo prevalentemente
teoretico circa i punti di contatto tra la dimensione religiosa e quella civica della relazionalità umana considerata sul piano immanente,
delle vicissitudini storiche e delle riflessioni filosofiche.
. La dimensione civica è quella delle relazioni pubbliche. Sin dai tempi
. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, (), trad. it. a cura di S. Finzi, Milano,
.
Introduzione

della Politica di Aristotele è abbastanza chiaro e condiviso che la nostra
esistenza si muove tra due ambiti, la “sfera” privata e la “sfera” pubblica , in cui dominano rispettivamente le preoccupazioni individuali
e quelle collettive. In realtà, il confine tra le due sfere non è affatto
impenetrabile, ed anzi si caratterizza per una ineliminabile porosità.
Addirittura, vi sono temi e problemi che non sono propriamente (di
per sé o in un determinato momento storico o assetto sociale) né
pubblici né privati, nel senso che trapassano il confine e appartengono simultaneamente, sebbene per profili differenziati, sia all’una che
all’altra sfera. Distinzione dunque, ma non separazione, e meno che
meno separazione rigida.
. Il problema della dimensione civica, che fin qui ho fatto coincidere
con la “sfera pubblica”, il luogo delle relazioni “esterne” identificato
dalla metafora dell’agorà o semplicemente identificato con la civitas, è
che in essa insistono tensioni e dinamiche che almeno astrattamente
possiamo ulteriormente differenziare. È molto accesa, e non da oggi,
la discussione di sociologi e politologi circa la posizione da assegnare
alla cosiddetta “società civile”: com’è noto, Hegel la introdusse tra
famiglia e Stato per indicare una zona di relazioni già esterne a quelle intime di famiglia, ma ancora non istituzionalizzate nell’apparato
statale. Alcuni autori contemporanei fanno leva su questa “zona” intermedia per rivendicare l’autonomia sia dal pubblico che dal privato
di numerosi fenomeni, da quello educativo a quello professionale; non
ultimo, per i nostri attuali interessi, il fenomeno religioso. Non solo:
abbiamo anche la possibilità, almeno in astratto, di individuare una
dimensione sociale che non coincide con quella politica — è uno dei
temi più cari ad Hannah Arendt, che difende accanitamente un’interpretazione aristotelica in cui si distinguono con paziente insistenza
l’ambito politico e quello sociale, al punto che la confusione tra i
due (che la pensatrice tedesca addebita alla tradizione cristiana ed alla
successiva modernizzazione borghese ) avrebbe generato i principali
. Uso il lessico di H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, cit. Come noto al
concetto di “sfere” dedica le riflessioni più importanti M. Walzer, Sfere di giustizia, (),
trad. it. a cura di G. Rigamonti, Roma–Bari, .
. Io farò in particolare riferimento a quelli raccolti in Aa.Vv., Laicità: la ricerca
dell’universale nelle differenze, a cura di P. Donati, Bologna, .
. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, cit., pp.  e ss. Per un’ampia ricostru-

Introduzione
fraintendimenti della filosofia e della prassi politiche post–classiche.
. In generale, possiamo far coincidere la dimensione civica con l’insieme delle relazioni collettive. Ogniqualvolta il numero di soggetti
coinvolti è significativamente elevato, e certamente tutte le volte in cui
si va oltre il mero rapporto duale , siamo di fronte ad un atteggiarsi
civico delle relazioni. Tipicamente, non sono da considerarsi collettive
le relazioni affettive (l’innamoramento e l’amore, l’amicizia, la relazione nuziale, la fraternità, i rapporti genitori–figli, i quali anche quando
plurimi assumono sempre caratteristiche individualizzate), e più in
generale tutte le relazioni in cui il singolo protagonista non è in alcun
modo sostituibile: relazioni cioè in cui la dimensione di ruolo è così
pallida che il singolo conta di più dell’individuo. È evidente che ogni
donna che contrae matrimonio con un uomo entra nel ruolo della
moglie/sposa, e reciprocamente ogni uomo come marito/sposo. È
altrettanto evidente che ogni generato da quella coppia di genitori
è semplicemente figlio, come tutti gli altri generati. Ma nonostante
l’indubitabile sussistenza anche di ruoli familiari, sappiamo bene che
l’assunzione qui ed ora da parte mia di questo ruolo non è in alcun modo fungibile : a differenza di tutte le altre assunzioni di ruolo (sociale,
politico, professionale, e così via), in cui il marcatore è quantitativo e
non qualitativo.
. In altri termini, se è corretto affermare che l’assunzione di ruoli
familiari è caratteristica della capacità umana di trascendere la sfera
biologica (per esempio in materia di riproduzione) e passare dalla natura alla cultura nella sequenza delle generazioni (grazie alla mediazione
normativa del tabù dell’incesto) , è altrettanto corretto osservare che
zione storica e concettuale della problematica, nel fuoco prospettico dell’evoluzione del
concetto di cittadinanza, si veda anche lo studio di A.C. Amato Mangiameli, “Desiderai
essere un cittadino”. Oltre il retaggio simbolico della moderna sovranità, Torino, .
. Profondamente D’Agostino osserva che il modo verbale duale era tipico di una
classicità che sapeva meglio di noi distinguere tra relazioni collettive o plurime e relazioni
interindividuali, più profonde ed intime: cfr. F. D’Agostino, Il carattere interpersonale del
diritto, in Id., Lezioni di filosofia del diritto, cit., pp.  e ss. Oggi si passa bruscamente
dall’individuo alla massa, ma così rischia di andar smarrito il senso interpersonale delle
relazioni con gli altri.
. Ciò è dimostrato, sul piano esperienziale ed in maniera davvero impressionante,
dal vuoto drammatico che lascia in una famiglia la morte di un bambino prima del parto.
. F. D’Agostino, Una filosofia della famiglia, Milano, , passim.
Introduzione

sul piano biografico queste tappe coincidono con rilevantissimi eventi
esistenziali, in cui ognuno dei protagonisti è coinvolto in modo singolare e non è in nessun modo sostituibile. L’aspirazione all’esclusività
così tipica delle relazioni private lo manifesta, sul piano fenomenologico, nel modo più lampante: ed allo stesso modo opera tutto il
corteo delle reazioni sentimentali, positive e negative, che la circonda (dalla gelosia allo spirito possessivo, dall’ammirazione fino alla
disponibilità al sacrificio di sé). Le relazioni civiche, che strutturano
la sfera pubblica ed intessono il mondo comune, consistono dunque
in dinamiche fortemente caratterizzate dalla pluralità , in cui a causa
dell’importanza dei ruoli sociali anche la fungibilità ha un suo spazio.
Per certi versi, questo è ancora più evidente a causa dell’evoluzione in
senso democratico degli assetti politici, che ratifica sul piano istituzionale il superamento del modello dinastico e “personalistico/familiare”
ed afferma su scala praticamente universale il principio formale (e
secondo alcuni volontaristico) della politica.
. Riassumendo quanto fin qui osservato circa la dimensione civica
delle relazioni umane, possiamo allora provvisoriamente concludere che in essa è legittimo includere tutte le relazioni collettive — e
perciò pubbliche —, si manifestino esse sul piano meramente sociale (professionale, civico, di “vicinato” come direbbe Aristotele), sul
piano politico (nei diversi sensi e livelli a cui si può parlare di “politica”), e sul piano istituzionale (considerando con questo termine
l’organizzazione normativa stabile degli assetti sociali e politici).
. La dimensione religiosa, dal canto suo, fa riferimento a relazioni che
possono essere riguardate secondo angolature molto diverse ma si
trovano accomunate dal convergere verso un rapporto trascendente.
Anche senza avventurarsi in un’indagine contenutistica (di teologia di
una qualche religione, o di riflessione comparativa tra molteplici fedi),
resta pure molto da dire sulle dinamiche immanenti che promanano
da tale rapporto . È qui importante far notare al lettore che, sebbene
. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, cit., p. .
. E che consentono di condividere pienamente l’affermazione secondo cui “nello Stato occidentale contemporaneo, le separazioni spirituale/temporale (‘i cristiani partecipano
a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri’), e privato/pubblico (ambiti
stretti tra un uomo che prova ad avere la meglio sul cittadino e uno Stato che giudica

Introduzione
lo sforzo lungo tutto il libro resti quello di sviluppare una riflessione
che valga in generale per il fenomeno religioso nei suoi rapporti con
la civitas, pure il riferimento all’esperienza storica occidentale non
può che conferire al cristianesimo una priorità giuridica e culturale in
numerose delle analisi e proposte che seguono. Anzitutto, la relazione
religiosa consiste in una fede personale. Si tratta del nucleo più intimo
della sfera religiosa, quello che più direttamente ha a che vedere con
il rapporto trascendente. È molto arduo negare di principio il rilievo
anche pubblico di questo atto intimo ed inconculcabile: ad esso si connette sempre una prassi morale ed un’attività cultuale (degli individui
così come delle comunità credenti) che può avere frequenti ed importanti ricadute sociali, e perciò rivendica spazi di visibilità/accettazione
nella sfera pubblica.
. Molto spesso, per non dire sempre, la fede personale è anche al
tempo stesso un’adesione. Intendo con questa espressione sbalzare
uno dei caratteri più impressionanti (anche se non esclusivo) del fenomeno religioso: la sua tendenza centripeta, la sua idoneità aggregativa.
Attorno ad una fede si raccolgono ordinariamente numerosi credenti, e più avanza nella storia, con ciò di fatto legittimandosi, più la
dottrina religiosa assume caratteri comunitari e si organizza anche
istituzionalmente. Così, sul piano dei contenuti la fede si mostra quale
adesione intellettiva ed emotiva a idee e valori preesistenti, non cioè
concepiti dal singolo credente ma tali da precederlo e da chiedere la
sua accettazione (spesso passiva, o comunque non specialmente innovativa almeno in ordine al deposito dottrinale), giustificando questa
sottomissione in termini trascendenti. Allo stesso modo, sul piano dei
comportamenti la fede genera regole morali e chiede l’assenso e una
prassi conseguente ai suoi adepti: sia sul piano intellettivo, dunque,
sia sul piano etico, la fede diviene sistema di credenze ed organizza la
visione del mondo nonché la prassi dei singoli, sempre più identificati
in una comunità.
. La crescita numerica e la durata temporale della comunità dei
credenti/adesori giustifica la sua trasformazione in chiesa, in gruppo
dei vocati/eletti. Essi si richiamano ad una fede comune, ad una mosospetta ogni volontà privata e tende a sostituirla con la volontà della legge) sono ormai in
crisi”: così A.C. Amato Mangiameli, Sfide di teoria giuridica, Padova, , p. .
Introduzione

rale condivisa e ad azioni cultuali caratteristiche ed esclusive (magari
persino esoteriche). A queste condizioni, sussistono tutti i requisiti
per un’affermazione anche istituzionale della comunità, che anzi non
può farne a meno se desidera assicurare la propria permanenza nel
tempo. Si struttura così una classe sacerdotale, a cui in qualche maniera
viene riservato un ruolo di leadership etica (e spesso anche di comando
giuridico e magari persino dogmatico nella vita del gruppo), ed una
classe di seguaci: è posto in tal modo il distinguo tra clero (in senso
a–tecnico e generalissimo) e comuni fedeli .
. Tende in tal modo a riprodursi anche nella sfera religiosa il processo di stabilizzazione istituzionale che si verifica nei gruppi civici. Il che
ribadisce, anche sul piano storico e descrittivo, la difficoltà pratica ma
ancor prima teorica di una rigida separazione tra le due dimensioni
relazionali. Non è decisivo, ai nostri fini, stabilire se genealogicamente il gruppo primario da cui l’altro deriva per imitazione sia quello
religioso o quello civile : è sufficiente coglierne il nesso reciproco
per comprendere quanto siano arbitrarie — anzi, semplicemente falsificanti ed irreali — le distinzioni teoriche da cui si è peraltro soliti
dedurre divergenze inconciliabili. Questo libro, raccogliendo su amabile invito della professoressa Agata C. Amato Mangiameli studi ed
interventi inediti sui temi di cui ho detto, è uno dei tanti tentativi di
riflettere sul rapporto tra le due sfere non seguendo una modellizzazione divisoria, che sembra avere ormai definitivamente perso di
credibilità, ma esplorando linee di dialogo e sinergia in vista di una
. Quello di collegare libertà religiosa e libertà di culto secondo i canoni pratici dell’esperienza giuridica è uno dei meriti specifici del libro di Aa.Vv., Le libertà di religione e di
culto, a cura di F. D’Agostino e P.A. Amodio, Torino, , con scritti di F. D’Agostino, P.A.
Amodio, A. Battisti, M. Borrmans, G. Dalla Torre, G. Garancini, L. Musselli, M. Ronco, P.
Veronese, nell’ordine di apparizione nel volume.
. Che sia questa la matrice lessicale e semantica del termine “laico” è quanto confermano le accurate ricerche di J. Hervada, Tres estudios sobre el uso del término laico, Pamplona,
.
. È noto che Carl Schmitt ha introdotto il concetto di “teologia politica” proprio alla
luce di questa constatazione: si veda per tutti il capitolo dedicato al tema da C. Schmitt, Le
categorie del politico, nonché dello stesso autore l’originale saggio, recentemente tradotto
di nuovo in italiano, Cattolicesimo romano e forma politica, ove è agevole reperire il metodo
seguito nelle sue ricerche dal pensatore tedesco: seguito anche dal suo più importante
allievo, Ernst–Wolfgang Böckenförde, molte delle cui idee più avanti incontreremo.
. Che colgo l’occasione per ringraziare per il suggerimento e per l’accoglienza nella
Collana di Studi Interdisciplinari da Lei diretta Jus et Fas.

Diritto secolare
risemantizzazione più adeguata e rispettosa dell’umana relazionalità
che in questi fenomeni si manifesta .
. Ricostruita, con l’aiuto degli studi di Charles Taylor , la cornice
culturale occidentale, all’interno della quale si sono avviati i diversi
processi di secolarizzazione della sfera pubblica, il presente testo cerca
di esplorare dunque le possibilità di una nuova elaborazione teorica
del rapporto tra sfera pubblica e dimensione religiosa, nel nome
di una comune base antropologica (la relazionalità umana), e nel
segno di una laicità intesa come merito acquisito della cultura politica
e giuridica che è la nostra: a questo sono in particolare dedicati i
primi due capitoli. Nel terzo capitolo trova spazio una ricognizione
sommaria della situazione italiana, e si tentano al tempo stesso alcune
chiarificazioni e puntualizzazioni storiche e terminologiche. Negli
ultimi due capitoli cerco di sviluppare delle linee di riflessione sulla
libertà religiosa e sul più vasto argomento dei diritti umani, in seno
ai quali anche tale libertà trova odiernamente il suo inquadramento
giuridico.
. In tal senso mi servirò spesso delle tesi di P. Donati, come emergono più recentemente per esempio nel saggio Oltre il multiculturalismo, Roma–Bari, , nonché nella già
menzionata raccolta a sua cura: Aa.Vv., Laicità: la ricerca dell’universale nelle differenze, cit.
. In particolare C. Taylor, L’età secolare, (), trad. it. di P. Costa, Milano, .
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