DIRITTO TRIBUTARIO PARTE GENERALE Capitolo Primo: Gli istituti

DIRITTO TRIBUTARIO
PARTE GENERALE
Capitolo Primo: Gli istituti
1. La nozione di tributo
Nel linguaggio ordinario, i termini tributo, imposta, tassa, contributo ed altri sono
in sostanza, semanticamente equivalenti; in sede giuridica tali termini, sono
specialistici.
La definizione di tributo è affidata all’interprete.
Per ripercorrere sommariamente le tappe dell’evoluzione dottrinale, si può
cominciare col ricordare che, nelle prime elaborazioni dei giuristi, la nozione di
tributo è influenzata dagli studi di scienza delle finanze:
tali studi distinguono le entrate pubbliche in relazione al tipo di spese pubbliche
che servono a finanziare.
Essendovi spese pubbliche indivisibili e divisibili,…
… le entrate destinate a finanziare le spese indivisibili sono dette imposte,…
… mentre le entrate destinate a finanziare quelle divisibili sono dette tasse.
Oltre che l’impostazione degli studi di scienza delle finanze, sui giuristi italiani
ha operato l’influenza della dottrina tedesca del diritto pubblico…
… che, caratterizzava il tributo come espressione di sovranità.
Da qui nasce il tributo come entrata coattiva o autoritativa, ossia un’entrata la
cui obbligatorietà è imposta con un atto dell’autorità, senza che vi concorra la
volontà dell’obbligato.
La coattività distingue il tributo dalle entrate di diritto privato (entrata con base
contrattuale);
essa (la coattività) è però carattere tipico ma non esclusivo del tributo. [Infatti
non lo distingue da altre entrate di diritto pubblico come ad esempio le sanzioni
pecuniarie,
che
sono
anch’esse
prestazioni
pecuniarie
imposte
autoritativamente, ma derivano da fatti illeciti].
Perciò il tributo viene definito in base ai seguenti ulteriori caratteri distintivi:
a) dal punto di vista degli effetti il tributo comporta il sorgere di una
obbligazione, l’obbligazione tributaria, che è un’obbligazione di pagamento
a titolo definitivo (obbligazione con effetti definitivi e ciò la distingue dai
prestiti forzosi);
b) dal punto di vista della fattispecie (cioè il fatto generatore del tributo) il
tributo si collega ad un fatto di natura economica. Ciò consente di
distinguere il tributo dalle sanzioni pecuniarie, che pure si risolvono in
prestazioni pecuniarie imposte autoritativamente, ma derivano da fatti
illeciti;
c) dal punto di vista funzionale, il tributo è definito come un istituto la cui
finalità è essenzialmente fiscale, ossia di procurare un’entrata ad un ente
pubblico, senza però destinazioni prestabilite. Vi possono comunque essere
tributi con destinazione specifica, detti “tributi di scopo” o “tributi parafiscali”:
ad esempio vi può essere un tributo che colpisce indistintamente le imprese
che operano in un dato settore produttivo, il cui gettito venga destinato a
finanziare attività che giovano in modo specifico alle imprese tassate.
Il tributo comunque è un istituto giuridico attraverso il quale si ottempera all’art.
53 della Costituzione secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
2. Classificazione dei tributi
La categoria dei tributi si può suddividere in: imposta, tassa e contributo.
La distinzione avviene in base al presupposto al quale il legislatore collega il
tributo.
A) L’imposta è il tributo per eccellenza. Soprattutto al fine di distinguere
l’imposta dalla tassa, l’imposta è un tributo che ha come presupposto un
fatto posto in essere da un soggetto passivo (come ad es. il conseguimento
di un reddito, il possesso di un bene, la stipula di un contratto..) cui sono
estranei l’ente e l’attività pubblica.
B) La tassa è un tributo che ha come presupposto un atto o un’attività pubblica,
cioè l’emanazione di un provvedimento o di un atto amministrativo, o la
prestazione di un servizio, specificatamente riguardanti un determinato
soggetto. La tassa si distingue da un’entrata di diritto privato in quanto la
tassa è un’entrata imposta coattivamente mentre l’entrata di diritto privato è
un’entrata con base contrattuale.
C) Il contributo è un tributo che ha come presupposto l’arricchimento che
determinate categorie di soggetti ritraggono dall’esecuzione di un’opera
pubblica destinata, di per sé, alla collettività (ad es. l’incremento di valore
degli immobili).
D) Taluni includono nelle entrate tributarie anche quelle derivanti dai monopoli
fiscali. Il monopolio fiscale è un tributo quando ha per scopo procurare delle
entrate.
3. Valore ed usi delle definizioni di tributo.
In passato, veniva attribuita grande importanza, non solo teorica ma anche
pratica alla distinzione tra entrate patrimoniale dello Stato ed entrate
tributarie. Inoltre rivestiva importanza la distinzione tra imposte dirette ed
indirette, in relazione alle disposizioni del vecchio codice civile in materia di
privilegi. La dottrina tradizionale poneva delle definizioni che rispecchiavano
il quadro ideologico e normativo dell’epoca in cui quelle definizioni furono
elaborate, e se ne serviva in modo uniforme per l’interpretazione delle
disposizioni. L’utilizzazione oggi di quelle nozioni deve essere invece
sottoposta ad un duplice vaglio: occorre vedere se rispecchiano il nuovo
quadro normativo, e se si prestano ad essere usate per intendere le
disposizioni vigenti. La dottrina affronta tuttora il problema con un approccio
di tipo aprioristico-deduttivo. Inoltre, essa non sembra rendersi conto del
fatto che le definizioni non sono da apprezzare per il loro valore logico, ma
per il loro valore operativo; non conta, insomma, che una definizione sia
vera, esatta ecc., conta se vale per intendere le formule di legge in cui è
adoperato il termine definito; e poiché le disposizioni da interpretare sono
diverse, le definizioni di tributo possono essere molteplici; un certo istituto
potrebbe essere tributo ai fini di una norma, potrebbe non esserlo ai fini di
un’altra norma. Le definizioni e classificazioni in uso nella dottrina
tradizionale si dimostrano poco utili al fine di definire l’ambito di
applicazione delle due più importanti disposizioni costituzionali che
riguardano il diritto tributario. Infatti le definizioni e classificazioni
tradizionali non valgono ai fini dell’art. 23 Cost. che, come vedremo,
comprende tutte le prestazioni imposte e quindi anche prestazioni non
tributarie secondo la definizione tradizionale di tributo. Inoltre, le definizioni
e classificazioni tradizionali non valgono ai fini dell’art. 53 Cost. che, come
vedremo correla alla capacità contributiva ogni prestazione che costituisce
concorso alla spesa pubblica prescindendo quindi dalla qualificazione
tributaria della prestazione.
4. Delimitazione del diritto tributario.
La nozione di tributo e quella di diritto tributario sono coestensive; il diritto
tributario è per definizione quel settore dell’ordinamento che disciplina i
tributi. Il diritto tributario fa parte del diritto finanziario che a sua volta è
parte del diritto amministrativo. Nella disciplina di ogni tributo, possiamo
distinguere una disciplina sostanziale (dir. trib. in senso stretto) ed una
disciplina (in senso lato) formale. Per disciplina sostanziale si intende il
complesso di norme che di un tributo stabiliscono il presupposto , le
esenzioni , i soggetti passivi e la misura. Ma hanno a che vedere con il
tributo altri tipi di norme : quelle che disciplinano l’istituzione e
l’applicazione del tributo (accertamento, riscossione, rimborsi), cui si
accompagnano norme punitive e norme processuali.
Capitolo Secondo
Le Fonti
1. Le fonti
L’espressione fonte del diritto è quella con cui metaforicamente sono
designati gli atti e i fatti normativi, da cui sono prodotte norme astratte e
generali. Le principali norme sulle fonti sono contenute nella Costituzione,
negli statuti regionali, nelle disposizioni preliminari al codice civile, nella
legge sull’attività di governo ecc. Le diverse fonti del diritto costituiscono
un ordinamento gerarchico; esse sono disposte a gradi: le fonti di ciascun
grado possono abrogare o modificare norme dello stesso grado o norme
di grado inferiore, e devono conformarsi alle norme di grado superiore.
Secondo la terminologia tradizionale, le leggi sono fonti primarie e i
regolamenti sono fonti secondarie.
2. La riserva di legge ( art. 23 Cost.)
Già la Statuto Albertino (art. 30) poneva una riserva di legge in materia
tributaria stabilendo che “nessun tributo può essere imposto o riscosso se
non è stato consentito dalle camere e sanzionato dal Re”. La norma,
esprimeva un certo assetto di rapporti di potere tra le classi sociali
rappresentate dai parlamenti, da un lato, e dal monarca e dall’esecutivo,
dall’altro. Nel pensiero liberale, la norma è invece ricondotta al più
generale principio per cui solo la legge può incidere nella sfera della
proprietà e libertà individuali. Nella nostra Cost., il principio trova
espressione nell’art. 23, secondo il quale “nessuna prestazione personale
o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. La dottrina
tradizionale e la stessa Corte Cost., nelle prime sentenze hanno attribuito
a tale norma la funzione garantista., conforme all’ideologia liberale di
tutelare la libertà e la proprietà dei singoli. Anche l’art. 23 va interpretato
nel contesto dei valori costituzionali: ciò non significa negare che esso
tuteli la proprietà e la libertà dei singoli, ma comporta che la riserva di
legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte, si pone nell’ambito
della Cost. vigente, in funzione immediata e prevalente di interessi
generali e solo in via mediata e subordinata degli interessi dei privati.
• Esegesi dell’art.23 Cost.
I problemi esegetici posti dall’art. 23 Cost. sono essenzialmente tre:
nozione di prestazione imposta, nozione di legge, nozione di base
legislativa.
A) L’art. 23 concerne le prestazioni personali e patrimoniali imposte.
Adoperando tale locuzione si è costituzionalizzato un principio
elaborato dalla dottrina amministrativa sotto il vigore dello statuto
albertino: il principio per cui le prestazioni coattive dei singoli, a favore
degli enti pubblici rappresentano una limitazione della proprietà e
libertà individuali, possono essere stabiliti solo con legge. Nell’ambito
di tale teoria i tributi sono prestazioni coattive. La norma contempla
non soltanto le prestazioni patrimoniali ma anche quelle personali. La
categoria delle prestazioni patrimoniali ha maggiore importanza
pratica ed è quella che più interessa in questa sede, perché in tale
categoria rientrano le prestazioni tributarie.
B) Circa il significato in cui il termine legge è assunto nell’art. 23, vi è
concordia nel ritenere che legge non è soltanto quella statale
ordinaria, ma ogni atto normativo avente efficacia formale di legge:
decreto legge e decreto legislativo. Non vi è poi ragione di escludere
la legge costituzionale. Si ritiene inoltre, che anche la legge regionale
o provinciale soddisfa il precetto dell’art. 23 (fermo restando i limiti
costituzionali della potestà legislativa regionale o provinciale, in
materia impositiva). Molto dibattuto è il problema del rapporto tra
riserva di legge e fonti comunitarie. Il problema riguarda, in particolare,
i regolamenti comunitari self executing. La tesi prevalente è quella
secondo cui, con adesione al trattato, l’Italia ha operato una
limitazione della propria sovranità pienamente legittimata dall’art. 1
Cost. : il che comporta deroga alle norme costituzionali sia in materia
di potestà legislativa, sia in materia di riserva di legge.
C) La riserva dell’art. 23 Cost. è relativa, non assoluta; vediamo perciò
quale sia la base legislativa, che deve essere contenuta nella legge:
distinguiamo in altri termini, quali elementi della disciplina di un tributo
devono essere previsti dalla legge e quali possono essere previsti con
altri atti non legislativi. Il problema riguarda non tutti i tipi di norme che
si definiscono correttamente tributarie, ma soltanto quelle impositive.
Si ritiene concordemente, innanzitutto, che la legge debba
determinare il presupposto ed i soggetti passivi del tributo. La legge
deve fissare, inoltre la misura del tributo. In proposito, la Corte Cost.
reputa rispettato il precetto ex art. 23 se la legge indica la misura
massima dell’aliquota, o fissa i criteri idonei a delimitare la
discrezionalità dell’ente impositore. Sovente la legge attribuisce
all’autorità amministrativa poteri normativi che influiscono sulla
determinazione della base imponibile : anche qui, il criterio che
consente di ritenere legittime o no tali previsioni, sta nel vedere se la
discrezionalità dell’autorità amministrativa è sufficientemente
delimitata.
3. Le leggi e gli atti aventi forza di legge.
A) La legge dello Stato è la fonte, per così dire, normale delle norme
tributarie: ciò è una conseguenza della riserva di legge contenuta
nell’art. 23 . Il che comporta che ,di massima, le norme tributarie siano
contenute in atti aventi forma di legge o efficacia di legge. Nessuna
peculiarità vi è per la formazione e l’approvazione delle leggi tributarie:
si applicano gli artt. 70 e seg. della Cost. Le leggi tributarie però non
possono essere abrogate con referendum popolare e non possono
essere approvate con la legge di bilancio. Si è inteso conservare la
distinzione tra leggi (sostanziali) di prelievo e di spesa, e legge
(formale) di approvazione del bilancio.
B) Anche la legge regionale è fonte di norme tributarie: essa soddisfa la
riserva di legge ex art. 23, ma può disporre solo entro certi limiti, che
sono più ristretti per le regioni a statuto ordinario, più larghi per quelle
a statuto speciale. Per le regioni ordinarie, occorre far capo all’art. 119
Cost. che, nel primo comma, proclama l’autonomia finanziaria (Le
regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da
leggi della Repubblica che la coordinano con la finanza dello Stato,
delle Provincie e dei Comuni) e, nel secondo, delimita la potestà
tributaria (alle regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi......).
Questi precetti costituzionali sono stati interpretati in vario modo. Di
fatto il legislatore ha optato per una soluzione piuttosto riduttiva: con la
l. Del 16/5/70 n° 281, sono state attribuite alle r egioni di diritto comune
quattro specie di tributi (imposta sulle concessioni statali dei beni del
demanio e del patrimonio indispensabile; tassa sulle concessioni
regionali; tassa di circolazione; tassa per l’occupazione di spazi e aree
pubbliche). La legge statale regola completamente questi tributi,
lasciando al legislatore regionale la sola facoltà di fissare le aliquote,
entro minimi e massimi prefissati dalle legge statale. Questi tributi
quindi sono propri delle regioni solo perché le regioni ne ricevono il
gettito; nella sostanza, sono tributi voluti dallo Stato, che provvede
anche ad amministrarli. Per le regioni a statuto speciale, andrebbero
analizzate le singole norme statutarie: queste sembrano attribuire alle
regioni differenziate un’autonoma potestà normativa in campo
tributario in armonia con il sistema tributario statale . Di tale potestà le
regioni hanno fatto uso soltanto per concedere esenzioni o
agevolazioni rispetto a tributi erariali : il che è stato ritenuto
ammissibile dalla Corte solo a condizione che le norme regionali di
favore trovino riscontro in un tipo di esenzione già contemplato dalle
norme statali.
C) I decreti legge sono abbastanza frequenti in materia tributaria. Essi
possono essere emanati dal Governo in casi straordinari di necessità
ed urgenza e debbono essere convertiti in legge entro 60 gg.,
altrimenti decadono ex-tunc. Le Camere possono regolare con legge i
rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti (art. 77).
D) Anche i decreti legislativi sono molto frequenti in materia tributaria.
Essi trovano fondamento nell’art. 76 Cost. , che consente alle Camere
di delegare al Governo l’esercizio della funzione legislativa “con
determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo
limitato e per oggetto definiti”. Il ricorso frequente in materia tributaria
al meccanismo della delega trova la sua ragione in ciò che le norme
tributarie, per il loro tecnicismo, mal si prestano ad essere elaborate e
discusse in sede parlamentare, soprattutto quando l’area di intervento
è piuttosto estesa.
4. I testi unici.
La legge per la riforma tributaria ha attribuito al Governo il potere di
emanare : a) decreti legislativi per l’attuazione della riforma; b) decreti
legislativi con disposizioni integrative e correttive; c) decreti legislativi
recanti testi unici. Circa il contenuto dei testi unici, la legge delega
dispone che essi contengano le norme emanate in attuazione della
riforma e le norme previgenti rimaste in vigore, con la possibilità di
apportare le modifiche necessarie per il coordinamento delle diverse
disposizioni e per eliminare ogni contrasto con i principi e criteri direttivi
della delega. I testi unici di attuazione della riforma tributaria, quindi, non
sono testi soltanto compilativi (di pura raccolta di disposizioni vigenti), ma
testi innovativi, in quanto possono contenere disposizioni integrative e
correttive delle norme preesistenti.
5. I regolamenti.
Nella gerarchia delle fonti sono subordinati alle leggi; quindi non possono
essere in contrasto con norme di legge; se sono contrari alla legge,
possono essere annullati dal giudice amministrativo e disapplicati dagli
altri giudici (ordinario e tributario). I regolamenti non sono oggetto di
giudizio di costituzionalità; se contrari a norme costituzionali, sono
annullati o disapplicati come nel caso in cui sono contrari alla legge. Nei
limiti in cui ciò è consentito dalla riserva di legge (art. 23), fonte di
produzione di norme tributarie possono essere anche i regolamenti, sia di
organi statali sia di enti locali.
A) La l. 23/8/88 n°400, recante “disciplina dell’at tività di governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, ha
disciplinato (art. 17) la potestà regolamentare prevedendo che i
regolamenti governativi sono deliberati dal Consiglio dei Ministri, dopo
aver sentito il parere del Consiglio di Stato, e sono emanati dal Pres.
Della Rep.. Tali regolamenti possono essere emanati per disciplinare:
1) l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi; 2) L’attuazione ed
integrazione delle leggi e dei decreti legislativi; 3) le materie in cui
manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge; 4)
l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche
secondo le disposizioni dettate dalla legge; 5) L’organizzazione del
lavoro e i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi
sindacali.
Il Governo dispone di una potestà regolamentare generale esercitabile
anche senza specifica autorizzazione legislativa; esso è titolare,
inoltre, di una potestà esercitabile solo previa autorizzazione
legislativa, nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge.
B) I regolamenti ministeriali sono adottati con decreto del Ministro nelle
materie di
competenza del ministro. Quando la materia è di
competenza di più ministri, sono emanati regolamenti interministeriali,
sempre in base ad apposite autorizzazione legislativa. I regolamenti
ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei
regolamenti governativi e debbono essere comunicati al Pres. del
Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.
C) Vi sono poi i regolamenti locali, emanati da regioni, province e comuni;
per lo più essi hanno per oggetto la fissazione di aliquote (la legge
però fissa sempre il tetto max).
6. Le fonti comunitarie.
Il trattato istitutivo della CEE è stato ratificato con legge ordinaria; è stato
così inserito, nel sistema delle fonti del nostro diritto, un meccanismo in
base al quale valgono nell’ordinamento italiano anche le norme
comunitarie. Il sistema delle fonti del diritto comunitario è costituito,
innanzitutto, dal diritto c.d. primario, elaborato direttamente dagli stati
membri, e vi è poi il diritto derivato, costituito dalle norme emesse dagli
organi comunitari. Tra le fonti di produzione del diritto comunitario
derivato hanno particolare importanza i regolamenti e le direttive. Il
regolamento a norma dell’art. 189 del trattato, ha portata generale, è
obbligatorio in tutti i suoi elementi, ed è direttamente applicabile in
ciascuno degli stati membri. La diretta applicabilità comporta che gli Stati
non possono e non debbono emanare norme per introdurre un
regolamento nell’ordinamento interno. In quanto produttivo di effetti
immediati, il regolamento è idoneo ad attribuire ai singoli dei diritti che i
giudici nazionali devono tutelare. Le direttive secondo l’art. 189 del
trattato CEE, vincolano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, mentre è rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati
l’adozione degli strumenti e dei mezzi per raggiungerlo.
7. Efficacia delle norme nel tempo.
A) A norma dell’art. 73 Cost., “le leggi sono pubblicate subito dopo la
promulgazione ed entrano in vigore 15 gg. dopo la loro pubblicazione,
salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”. Vi possono
essere casi, nei quali entrata in vigore ed efficacia non coincidono ; ci
si riferisce ai casi in cui il momento dell’entrata in vigore indica soltanto
che la legge è perfetta e vale come tale, ma i suoi effetti sono differiti o
retroagiscono. I decreti legge, di solito hanno efficacia dal giorno della
loro pubblicazione, e perdono efficacia (sin dall’inizio) se non sono
convertiti in legge entro 60 gg. dalla loro pubblicazione.
B) Di regola la legge non dispone che per l’avvenire : essa non ha effetto
retroattivo; possono però darsi leggi retroattive. Possono dunque darsi
leggi tributarie retroattive; la retroattività può concernere la fattispecie
(dell’imposta), gli effetti od entrambi gli elementi della norma tributaria.
La retroattività attiene alla fattispecie quando, ad esempio , viene
istituito un tributo su fatti già avvenuti quando è approvata la legge. La
retroattività attiene agli effetti quando, ad un fatto che si verifica dopo
l’entrata in vigore della legge, sono collegati effetti che invece
riguardano il passato; si pensi, ad esempio, ad una legge di condono.
C) Una volta individuato il momento in cui inizia l’efficacia di una legge
può essere dubbio quale sia il trattamento giuridico di fatti o di
situazioni che avvengono in parte sotto l’impero di una legge, in parte
sotto l’impero della legge successiva. Di solito il legislatore risolve i
problemi che si pongono in caso di successione di legge con norme
apposite dette norme di diritto transitorio.
D) Secondo un principio consolidato, le norme procedimentali sono
norme di applicazione immediata: con il che si vuole dire che si
applicano ai procedimenti che iniziano o che sono in corso di
svolgimento al momento dell’entrata in vigore della nuova legge,
anche se hanno per oggetto fatti avvenuti in passato. Spesso, invece,
nel diritto tributario, le nuove leggi procedimentali si applicano solo ai
presupposti d’imposta successivi all’entrata in vigore della legge. Ciò
dipende dalla stretta correlazione, di solito esistente, tra norme
sostanziali di un dato tributo, e norme relative alla sua applicazione.
E) Le leggi cessano di essere efficaci quando sono abrogate, quando
sono dichiarate incostituzionali, e in caso di leggi temporanee quando
scade il termine previsto. L’abrogazione di una legge può avvenire in 3
modi: “per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilità
tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge
regola l’intera materia già regolata dalla legge precedente”. Con
l’abrogazione, l’efficacia della legge abrogata cessa ex-nunc; il che
significa che la legge continua ad essere la legge regolatrice dei fatti
avvenuti nell’arco temporale che va dalla sua entrata in vigore alla
data della sua abrogazione; quindi una legge tributaria abrogata
continua ad essere applicabile ai fatti avvenuti prima dell’abrogazione.
Analogo discorso vale per le leggi temporanee dopo la scadenza del
termine. Invece la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa
cessare l’efficacia ex-tunc; perciò, dopo la pronuncia della Corte Cost.,
la legge giudicata illegittima è da considerare come mai esistita.
F) Infine, le norme nazionali pur rimanendo formalmente vigenti,
diventano inapplicabili quando sopravviene una norma comunitaria
non compatibile con la norma nazionale.
Capitolo Terzo
L’interpretazione – sezione prima –
1. Testo, norma, interpretazione.
L’interpretazione mira a scoprire la norma che il legislatore ha inteso
esprimere, quindi, è vista come attività meramente ricognitiva di una
realtà che le preesiste. Il legislatore produce (non norme ma ) testi, ai cui
enunciati l’attività interpretativa attribuisce un significato: a questo
significato di da il nome di norma.
2. I vincoli dell’interpretazione.
L’attività interpretativa non è del tutto libera né del tutto vincolata. I vincoli
d’interpretazione, posti dallo stesso ordinamento giuridica sono i
seguenti:
a) vincoli derivanti dalla struttura gerarchica dell’ordinamento: i testi di
legge devono essere interpretati in modo da risultare conformi alla
Cost.; in materia tributaria le leggi devono essere interpretate in modo
da risultare conformi all’art. 53 Cost.; i testi delle leggi delegate
devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle leggi di
delegazione; i testi delle norme nazionali devono essere interpretati in
modo da risultare conformi alle norme comunitarie; i testi dei
regolamenti devono essere interpretati in modo da risultare conformi
alle norme di legge , ecc;
b) Vincoli derivanti da leggi interpretative e dalle definizioni legislative;
c) Vincoli derivanti dalle norme sull’interpretazione.
Tra le norme generali sull’interpretazione vanno ricordate le seguenti.
Innanzitutto va ricordato l’art. 12 disp. Prel. C. C. Primo comma
(nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che
quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la
connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. In secondo luogo
vi è l’art. 12 cit. Secondo comma ( se una controversia non può essere
decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio,
si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello
Stato). Terzo luogo, art. 13, che vieta l’analogia per le leggi penali e per
quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi.
3. Semantica delle leggi tributarie.
Nel lavoro interpretativo debbono essere risolti problemi di vario tipo :
semantici, sintattici, logici, ecc.. I problemi semantici sono quelli che
ineriscono al significato delle parole. E’ immanente, nell’uso giuridico
della lingua storico-naturale, il fenomeno della specializzazione; l’uso di
un termine da parte del legislatore tecnicizza il termine, che assume un
significato che si differenzia da quello ordinario; abbiamo così parole che
hanno un significato generale nella lingua comune e sensi specializzati in
sfere più ristrette. Vengono detti vocaboli tecnici quelli che nell’uso
giuridico hanno significato specialistico; può trattarsi di termini che non
ricorrono nell’uso ordinario, ma solo in quello giuridico o di termini in uso
sia nel linguaggio comune che in quello giuridico. Vediamo ora quali sono
i problemi semantici più ricorrenti:
A) La specializzazione del significato di un termine può essere implicita o
esplicita. L’uso di un termine da parte del legislatore è o può essere, di
per sé un fatto che specializza il termine. Quando si dice che un
termine assume un determinato significato agli effetti della tale
disposizione o della tale legge, si postula appunto che il legislatore
abbia in qualche modo operato un mutamento semantico del testo. La
specializzazione è esplicita quando il legislatore fornisce la definizione
del significato di un termine o di un complesso di termini. In presenza
di definizioni legislative esplicite, diventa irrilevante ogni diverso
significato attribuito o attribuibile al termine legislativamente definito.
B) Non solo le parole della lingua ordinaria ma anche quelle tecnico
giuridiche possono essere ambigue, polisemiche, di significato incerto.
C) Quando un termine, oltre che d’uso comune, ha un significato tecnico,
s’intende che è usato nel suo significato tecnico. Il significato tecnico
prevale dunque su quello ordinario.
D) La dottrina ha discusso ampiamente il problema se l’uso, nelle leggi
tributarie, di termini tecnici o tecnicizzati di altri settori dell’ordinamento
giuridico, costringa l’interprete ad attribuire al termine lo stesso
significato che il termine ha nel settore giuridico di provenienza, o se
invece l’interprete gli debba attribuire un significato autonomo. Nella
prassi interpretativa, si pensa generalmente che il legislatore tributario
usi il termine con il significato tecnico che ha nel settore di origine (es:
appalto, S.p.A., testamento). In altre parole, si presume esservi
costanza nell’uso tecnico del discorso legislativo.
4. Peculiarità delle leggi tributarie.
Le leggi tributarie sono talvolta di difficile comprensione per altre
peculiarità. Le leggi tributarie sono assi poco stabili, le modifiche
legislative sono continue. Ciò dipende da più fattori. Un primo fattore è
costituito dall’esigenza di adeguare la legislazione alle nuove realtà
economiche. Un secondo fattore è la condizione permanente di crisi
fiscale dello Stato medesimo; in uno Stato afflitto da una crisi di bilancio
che sembra irrimediabile, le leggi tributarie sono continuamente ritoccate
e modificate per individuare nuovi oggetti imponibili e nuove fonti di
entrata, per tappare lacune, impedire espedienti elusivi, ecc.. Un terzo
fattore è che le leggi tributarie nascono di solito all’insegna della fretta e
della poca ponderazione; ne è la prova il ricorso frequentissimo alla
decretazione d’urgenza. Accade che vengano elaborati frettolosamente
decreti-legge, la cui emanazione suscita polemiche ed avversioni; può
accadere che il decreto-legge non venga convertito. Un altro elemento di
instabilità della legislazione tributaria è dato dall’emanazione frequente di
leggi a termine; sono le leggi, ad esempio, con cui viene stabilito un certo
trattamento fiscale per determinati fatti posti in essere entro una certa
data. Molto di frequente, gli enunciati delle leggi tributarie non hanno per
oggetto dei comportamenti , ma altre disposizioni (norme su norme). Ciò
può dipendere, ad esempio: da una preoccupazione precisionistica del
legislatore; o dal proposito di nascondere l’esatta portata di una legge.
Può aversi poi una catena di richiami quando la legge richiamata è stata
modificata più volte, e sono quindi richiamate le leggi modificatrici. Altre
difficoltà interpretative delle leggi tributarie sono legate alla preferenza
per le formulazioni casistiche, piuttosto che alle formulazioni di regole
generali. Ciò comporta diversi inconvenienti. Quando il legislatore non
considera una classe di fenomeni (con una regola generale), ma
pretende di indicare uno per uno gli specifici fenomeni di una data classe,
è inevitabile che la legge presenti delle lacune. La formulazione casistica
delle leggi, associata ad interpretazioni di tipo formalistico genera
trattamenti diseguali per casi uguali, lacune, ecc.. Infine, essendo il diritto
tributario un diritto senza codice, accade che l’istituzione di un tributo
implichi, non solo la formulazione di norme di diritto sostanziale
(concernenti i soggetti passivi, il presupposto, la base imponibile), ma
anche di norme strumentali o secondarie (sull’accertamento, sanzioni,
riscossioni). Di qui il problema di individuare ed interpretare volta per
volta le norme strumentali o secondarie che si correlano ad ogni
particolare tributo. Invece, sarebbe auspicabile una legge tributaria
generale, contenente norme sull’accertamento, sulla riscossione, sulle
sanzioni, ecc..
5. Gli argomenti dell’interpretazione.
Le dottrine dell’interpretazione oscillano tra due poli: da un lato quello del
formalismo e della fedeltà alla lettera della legge, dall’altro quello di una
interpretazione sostanzialistica, più sensibile alla ratio della legge, agli
elementi logici dell’interpretazione, agli scopi della legge. Nel diritto
tributario, v’è tradizionalmente una prevalenza dell’indirizzo formalistico,
giustificato con il richiamo alla certezza del diritto. La giurisprudenza
sembra seguire un procedimento per gradi; viene dato anzitutto rilievo al
criterio generale ( che ha , dunque, valore preminente e preclusivo del
ricorso ad altri argomenti, quando la lettera della legge è chiara); solo
quando la lettera della legge non è chiara, è consentito il ricorso ad altri
criteri ( che hanno dunque valore sussidiario rispetto all’interpretazione
letterale). Non mancano casi, però, in cui vengono seguite altre scale di
valori; vale a dire: a) la lettera della legge è considerato un argomento
interpretativo non preminente sugli altri; b) si ammette la liceità di
interpretazioni che fanno prevalere il criterio della ratio della legge sul
significato letterale.
6. Le lacune e l’analogia.
Sull’ammissibilità dell’analogia in diritto tributario, vi è largo consenso nel
ritenere che nulla vi è di peculiare per quel che attiene alle norme
tributarie non sostanziali: norme sui procedimenti, n. processuali, ecc..
Naturalmente vale anche per le norme penali tributarie il divieto di
analogia. L’analogia è ammessa per le norme tributarie sostanziali: più
precisamente, per le norme che delimitano gli oggetti imponibili. IN
materia di oggetti imponibili, vige il principio della completezza. E’ vietata
l’analogia per le norme che indicano che cosa è tassabile: nulla esclude
l’analogia per le norme che indicano in che modo deve avvenire la
tassazione. Possono darsi, infatti, nel diritto tributario le lacune c.d.
tecniche. Si prenda il caso di una legge che stabilisca l’imponibilità di un
dato fatto economico, ma si presenti lacunosa, ad esempio, su come si
determina l’imponibile , su come si fa la dichiarazione, su come si versa
,ecc. In una simile ipotesi, l’interprete è autorizzato a ricorrere
all’analogia.
7. Gli autori dell’interpretazione.
L’interpretazione viene detta dottrinale, giurisprudenziale, forense,
autentica, ecc, a seconda di chi la pone in essere. Non è indifferente la
provenienza, poiché ogni autore, a seconda del suo ruolo
nell’organizzazione giuridica, tenderà ad accreditare risultati interpretativi
conformi agli interessi di cui è portatore ed ai fini per i quali l’operazione è
compiuta.
8. Le leggi interpretative.
Anche il legislatore si fa interprete, quando, data una disposizione di
dubbio significato, interviene con una disposizione interpretativa. La
disposizione interpretativa presuppone una disposizione suscettibile di
più interpretazioni; la disposizione di interpretazione autentica, quindi,
lasciando immutato il testo cui si riferisce, elimina, tra le due o più norme
potenzialmente contenute in quel testo, le interpretazioni considerate
errate, lasciandone sopravvivere una soltanto. L’interpretazione autentica
si basa sulla finzione che, delle possibili interpretazioni di cui un testo è
suscettibile, tutte meno una siano errate. Le disposizioni interpretative
sono retroattive; perciò è importante distinguere tra disposizioni
interpretative (retroattive) e disposizioni innovative (non retroattive).
Accade però nella pratica, che nuove disposizioni, che sostituiscono
disposizioni previgenti, ma con formulazione più chiara o più completa,
vengano considerate retroattive.
9. Le circolari interpretative.
L’amministrazione svolge quotidianamente opera di interpretazione;
l’opera di interpretazione l’Amm. la esplicita nelle circolari e negli altri atti,
con cui gli uffici centrali dell’Amm. impartiscono ordini e direttive agli uffici
periferici. Di solito, all’emanazione di una nuova legge, il Ministero fa
seguire una circolare, con la quale illustra agli uffici periferici il significato
della legge. La pronuncia del Ministero viene inoltre sollecitata da quesiti
posti dagli uffici periferici o dai cittadini, in relazione a casi specifici; la
risposta a tali quesiti (espressa in atti che prendono il nome di risoluzioni
o note) costituiscono occasione per altri esercizi di interpretazione della
legge. Ora, è pacifico che tutti questi atti sono interni; ciò significa che
vincolano, in base al rapporto gerarchico, l’ufficio periferico a conformarsi
a quanto stabilito dall’ufficio sopraordinato; ciò significa, inoltre, che non
hanno effetti vincolanti all’esterno dell’Amm.. L’interpretazione
ministeriale, quindi non è vincolante; mentre, quanto alla sua attendibilità,
vi sono fattori che la rendono attendibile, e fattori che la rendono
inattendibile. La rende inattendibile l’essere un’interpretazione di parte,
cioè dalla parte interessata a che la questione dubbia sia risolta pro fisco.
Capitolo terzo
Interpretazione ed elusione – sezione seconda –
10.
Nozione di elusione.
A) Cerchiamo innanzi tutto di definire l’elusione. Data una norma fiscale
che, ad un certo fatto, fa seguire l’obbligo di pagare un certo tributo, si
dice che la norma è elusa quando il contribuente non realizza
esattamente la fattispecie imponibile, ma un fattispecie equivalente
sotto il profilo del risultato economico considerato dalla norma elusa.
La nozione di elusione rimanda, quindi ,ad una duplice possibile
interpretazione della disposizione fiscale: una interpretazione letterale
o restrittiva, o formalistica, in base alle quale il comportamento elusivo
non è tassabile, ed una interpretazione non letterale, non rigida, non
formalistica, in base alla quale il fatto elusivo è tassabile. I tratti che
identificano il comportamento elusivo sono i seguenti: 1) il ricorso
all’uso di uno strumento giuridico anormale, ossia diverso da quello
che normalmente si usa per raggiungere un dato risultato ; 2) con
questo strumento, viene raggiunto lo stesso risultato che sarebbe
raggiungibile con lo strumento giuridico normale, considerato dalle
legge fiscale; 3) la scelta viene operata perché i vantaggi fiscali sperati
fanno preferire l’operazione elusiva nonostante eventuali svantaggi
giuridici dell’uso dello strumento; 4) lo strumento giuridico anormale
viene prescelto con il fine di eludere l’imposta. La definizione che
precede riguarda l’elusione di norme impositive; ma può esservi
elusione anche rispetto alle norme di agevolazione, quando viene
posto in essere un comportamento che, apparentemente, è da
assumere nella fattispecie della norma agevolatrice, ma che, in realtà,
non è da considerare agevolato, perché non realizza il tipo di
fenomeno economico considerato dal legislatore fiscale. La fattispecie
elusiva è quindi contraddistinta da tre elementi: assenza di valide
ragioni economiche; scopo esclusivo di ottenere un vantaggio fiscale;
animo fraudolento.
B) L’elusione va distinta dal risparmio di imposta. Con l’elusione viene
posto in essere un risultato pratico identico a quello considerato dalla
norma elusa; nel c.d. risparmio lecito d’imposta, viene posto in essere
un risultato pratico diverso. Una forma di risparmio lecito d’imposta è
quella che, nel linguaggio giornalistico viene detta erosione. Una
persona che in sede di dichiarazione dei redditi deduce molti oneri,
fruisce di redditi esenti o agevolati, ecc., paga, alla fine un’imposta
minore di chi, a parità di reddito, non fruisce delle stesse deduzioni,
agevolazioni, ecc.. Nel linguaggio degli studiosi di scienza delle
finanze, si parla di rimozione dell’imposta per riferirsi al
comportamento di chi, essendo tassato un certo comportamento
economico, opera scelte economiche diverse da quelle tassate.
L’erosione e la rimozione dell’imposta sono casi di risparmio lecito
d’imposta.
C) L’elusione si distingue dall’evasione; nell’evasione, viene posto in
essere il fatto o negozio o risultato considerato dal legislatore, ma la
fattispecie viene occultata, mascherata, ecc.; es: documenti falsi, falsa
dichiarazione dei redditi. Sia nell’evasione che nell’elusione,
l’operatore mira a non pagare l’imposta; ma nell’elusione l’operazione
è posta in essere con strumenti leciti e non occulti cosa che non
avviene per l’evasione. Chi elude confida su una determina
interpretazione della legge; chi evade confida di non essere scoperto.
D) L’elusione viene distinta dalla frode alla legge. La fattispecie contratto
in frode alla legge è regolato dall’art. 1344 c.c., ove si dispone che è
nullo per illiceità della causa il contratto che costituisce il mezzo per
eludere l’applicazione di una norma imperativa. L’art. 1344 non si
applica al contratto stipulato per eludere l’applicazione di una norma
fiscale, perché le norme fiscali non sono norme imperative, nel
significato in cui tale espressione è adoperata in tale articolo . Ciò
comporta che il contratto (rivolto ad eludere una norma fiscale) non è
nullo tra le parti , ma ciò non dovrebbe impedire al fisco di pretendere
l’imposta dovuta sull’affare effettivamente compiuto.
11.
L’interpretazione antielusiva.
Il legislatore dispone, fondamentalmente, di due tecniche per fronteggiare
l’elusione: porre una o più norme di carattere generale, oppure porre
norme specifiche. I due sistemi non sono alternativi: ogni sistema
presenta norme antielusive specifiche. Le norme specifiche risolvono un
problema specifico ma non è detto che lo risolvano definitivamente,
anche la norma antielusiva potrebbe essere elusa. Schematicamente due
sono i metodi interpretativi da considerare per fini antielusivi. I metodi
rigidi e formalistici non consentono interpretazioni antielusive. Ci si
riferisce ai metodi strettamente legati alla lettera della legge ( ed al
significato strettamente giuridico dei termini usati dalla legge) e alla
casistica legislativa; e non si ammette che l’interprete possa distaccarsi
dalla volontà del legislatore, inteso come legislatore di un dato momento
storico. La giustificazione ideologica di questo metodo di interpretazione
sta nel richiamo alla certezza del diritto. Viceversa, la possibilità di
interpretazioni antielusive sono favorite da metodi non formalistici; per tali
metodi, i problemi semantici sono risolti facendo prevalere il significato
economico dei termini usati dal legislatore, a preferenza del significato
strettamente giuridico; si fa prevalere, sull’intenzione del legislatore
storico, la volontà attualizzata della legge.
12.
Il superamento delle forme.
Le tecniche attraverso le quali si può pervenire a tassare le fattispecie
elusive sono due: la prima consiste nell’interpretare la norma elusa in
modo da applicarla anche a fattispecie che essa formalmente non
prevede; la seconda consiste nell’interpretare e ricostruire i negozi
giuridici elusivi in modo da far emergere, di la dall’apparenza formale ed
esteriore, il vero affare e il vero negozio posto in essere dalle parti. Viene
così operata una riqualificazione del negozio ovvero un superamento
della forma.
13.
L’interpello.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori
economici i quali, proponendosi di porre in essere un’operazione, hanno
motivo di ritenere che il fisco la consideri elusiva, è stato istituito uno
speciale procedimento, con il quale i contribuenti possono interpellare
l’amministrazione finanziaria e conoscerne preventivamente il giudizio in
ordine ad una determinata operazione. I contribuenti possono interpellare
l’amm. finanziaria in ordine all’applicazione delle seguenti norme:
operazioni di fusione, concentrazione, trasformazione, scorporo e
riduzione di capitali; in caso di interposizione di persona i redditi sono
imputati al titolare effettivo e non a quello apparente; sulla qualificazione
di determinare spese come spese di rappresentanza ovvero di pubblicità
e propaganda. La procedura di interpello è così articolata: il contribuente,
quando sta per porre in essere un comportamento che potrebbe dar
luogo all’applicazione di una delle citate norme antielusive, può richiedere
il preventivo parere alla competente direzione generale del Ministero delle
finanze fornendole tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta
qualificazione tributaria della fattispecie prospettata; in caso di mancata
risposta della direzione generale, o di risposta alla quale il contribuente
non intende uniformarsi, è dato al contribuente il diritto di richiedere il
parere del “comitato consultivo per l’applicazione delle norme
antielusive”; la mancata risposta da parte del comitato consultivo entro 60
gg. dalla richiesta del contribuente, e dopo ulteriori 60 gg. da una formale
diffida ad adempiere, equivale a silenzio-assenso.
Capitolo quarto
I principi
1. Principi generali (legislativi e superlegislativi)
La nozione di principio generale del diritto è tutt’altro che univoca. In uno
dei significati dell’espressione, per principio generale si intende un
principio che occupa un alto grado nella gerarchia delle fonti, in questo
significato, sono principi generali: le norme costituzionali rispetto alla
legislazione ordinari, le norme delle leggi di delegazione rispetto alla
legislazione delegata, le norme comunitarie rispetto alle norme nazionali.
A livello di legislazione ordinaria, la più parte dei principi generali
espressamente formulati sono racchiusi nella legge di delega 9/10/71 n°
825 che, con la successiva legislazione delegata, ha determinato
un’ampia e profonda riforma di quasi tutto il nostro sistema tributario.
Dalla citata legge delega si desume, ad esempio, che possono essere
considerati principi generali del diritto tributario: il principio secondo cui le
imposte sui redditi colpiscono il reddito netto; il carattere personale e
progressivo dell’IRPEF; la determinazione dei redditi d’impresa secondo
criteri di adeguamento del reddito imponibile a quello calcolato secondo
principi di competenza economica; la territorialità dell’ILOR e dell’I.V.a.; la
neutralità dell’IVA; la commisurazione dell’imposta di successione al
valore netto dell’eredità.
2. Capacità contributiva, dovere tributario ed extrafiscalità.
Nella Cost. vi sono diverse disposizioni che, più o meno esplicitamente,
riguardano il diritto tributario. Le due disposizioni più importanti sono, da
un lato, l’art. 23. , e dall’altro l’art. 53 che, proclamando il principio di
capacità contributiva, pone un principio che deve informare tutto il
sistema giuridico tributario. Per intendere il senso dell’inserimento, nel
testo della Cost., del principio della capacità contributiva, occorre
innanzitutto considerare la nuova forma di Stato tracciata nella Cost.
repubblicana: nella Repubblica democratica (art. 1) sono riconosciuti e
garantiti i diritti individuali dell’uomo, ma è altresì richiesto l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2).
Il dovere tributario è appunto un dovere di solidarietà, che l’art. 53 impone
a tutti in ragione della loro capacità contributiva. La ragione sostanziale
del dovere tributario, quindi, non deriva da un rapporto commutativo del
singolo con lo Stato, ma nel dovere di solidarietà cui è tenuto ogni
membro della comunità, per il fatto stesso di essere membro della
comunità. Il singolo deve contribuire alle pubbliche spese, non in ragione
di ciò che riceve dallo Stato, ma in ragione della sua capacità
contributiva, in quanto membro di una collettività; e deve farlo, non in
ragione proporzionale, ma in ragione progressiva rispetto alle sue
potenzialità economiche. Se lo Stato preleva i tributi in relazione ad un
dovere di solidarietà, ciò implica che la funzione del prelievo tributario non
sia meramente fiscale (e cioè di procurare entrate allo Stato) ma sia
anche extrafiscale. La Cost. ripudia il concetto liberale della finanza
neutrale, e delinea un concetto funzionale della finanza pubblica; il tributo
deve essere utilizzato, non solo per procurare entrate, ma anche per gli
altri fini, che la Cost. assegna alla Rep.. Lo Stato non deve limitarsi a
garantire il libero svolgimento della vita economica e sociale, ma ne deve
essere parte attiva, al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini
impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3). La politica
tributaria è uno degli strumenti fondamentali dell’azione pubblica rivolta al
perseguimento di quel fine.
3. La nozione di capacità contributiva e divieto di tassare fatti non
espressivi di forza economica.
Occorre ora esaminare il principio di capacità contributiva, che l’art. 53
Cost. proclama stabilendo che: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
A) La disposizione costituzionale, nel suo significato letterale può
apparire assai poco significativa; può sembrare cioè in quanto mera
enunciazione del dovere di pagare i tributi, priva di significato pratico,
perché il dovere di pagare i tributi, in concreto, sorge solo per effetto di
quanto stabiliscono le leggi.
B) Si cogli la funzione normativa dell’art. 53, solo se in esso si scorge
una delimitazione di quel potere (dello Stato) e di quel dovere (dei
consociati). L’art. 53 infatti delimita il potere legislativo in quanto in
esso è stabilito che è costituzionalmente legittimo imporre tributi solo
in ragione di un fatto che sia indicativo di capacità contributiva.
Correlativamente, l’art. 53, delimita il dovere contributivo, in quanto
garantisce ai consociati di non poter essere obbligati a contribuire alle
spese pubbliche in relazione a fatti che non siano espressivi di
capacità contributiva.
C) Quali sono i fatti che esprimono capacità contributiva? Cosa è la
capacità contributiva? Per rispondere a queste domande è bene
ricordare che, secondo la scienza delle finanze, le risorse pubbliche
possono essere reperite o secondo il principio del beneficio o secondo
il principio del sacrificio. Il primo principio importa che la spese
pubbliche sono finanziate da chi ne fruisce; secondo il principio del
sacrificio le spese pubbliche sono finanziate non da chi ne fruisce, ma
da chi è dotato di capacità contributiva. Mentre le spese pubbliche c.d.
divisibili possono essere finanziate in base al principio del beneficio, le
spese pubbliche c.d. indivisibili possono essere finanziate solo col
criterio della capacità contributiva. Dalla scienza delle finanze non ci è
però fornita una definizione rigorosa di capacità contributiva; perciò
alcuni autori ritennero che il precetto costituzionale fosse privo di
significato. Su di un punto, comunque, il consenso è unanime; e cioè
nell’attribuire alla capacità contributiva il significato di capacità
economica, e quindi nel dire che fatto espressivo di capacità
contributiva è un fatto di natura economica.
4. Gli indici di capacità contributiva.
Per dare concretezza al concetto di capacità contributiva, non basta dire
che esprimono capacità contributiva i fatti economici (e non basta
escludere i fatti non economici). Occorre anche indicare quali fatti
economici esprimono capacità contributiva. Dal punto di vista qualitativo il
sacrificio patrimoniale che viene imposto ai consociati deve essere
rapportato alla idoneità che il singolo mostra di potersi privare di una
parte dei propri averi per metterla a disposizione della collettività. Non è
perciò indice di capacità contributiva un reddito minimo. Il fatto espressivo
di capacità contributiva per eccellenza è il reddito. Ed il reddito
complessivo delle persone fisiche, al netto, non solo delle spese di
produzione, ma anche di particolari oneri (personali e familiari), si presta,
più di ogni altra forma di ricchezza, a rispecchiare la capacità contributiva,
non solo specifica, ma anche globale delle persone, ed a fungere da base
di commisurazione dell’imposta progressiva del reddito globale. Insieme
con il reddito, sono considerati indici diretti di capacità contributiva il
patrimonio e gli incrementi di valore del patrimonio. Sono, invece, indici
indiretti il consumo e gli affari. Se, in generale, il consumo di beni o servizi
è indice di capacità contributiva perché implica disponibilità economica,
ciò non vale per ogni consumo. Altro indice indiretto è il trasferimento di
un bene.
5. Capacità contributiva, uguaglianza e ragionevolezza.
La legge tributaria deve trattare in modo uguale i fatti economici che
esprimono pari capacità contributiva, e deve trattare in modo differenziato
i fatti che esprimono capacità contributiva in modo differenziato. In tal
modo, il principio di capacità contributiva integra il principio di
uguaglianza. Il sindacato della Corte cost., in materia di uguaglianza, è
legato alle seguenti massime: 1) il principio di uguaglianza postula
trattamenti uguali di situazioni uguali, trattamenti diversi di situazioni
diverse; 2) spetta al legislatore nella sua discrezionalità stabilire se due
situazioni sono uguali o diverse; 3) la Corte può sindacare le scelte
discrezionali del legislatore se queste sono irragionevoli; il limite alla
discrezionalità del legislatore è la ragionevolezza e la Corte può
intervenire quando le differenziazioni sono irragionevoli.
6. La ragionevolezza come coerenza della legge.
Il principio di uguaglianza esige che la legge non detti discipline
contraddittorie; esige, cioè, coerenza interna alla legge. Si parla di
coerenza interna perché ci si riferisce ai casi nei quali la contraddizione
emerge rispetto a situazioni che lo stesso legislatore mostra di
considerare eguali.
7. Capacità contributiva, uguaglianza e agevolazioni fiscali.
Il problema del rispetto del principio di uguaglianza non si pone soltanto
per le norme impositive ma anche per le norme agevolative ( dove
agevolazione significa qualsiasi norma di favore). Il legislatore può
concedere agevolazione se ciò risponde a scopi costituzionalmente
riconosciuti; in sostanza, se il trattamento differenziato trova
giustificazione in una norma costituzionale. Di solito, le questioni di
costituzionalità sorgono non in quanto si giudica incostituzionale un
norma agevolativa, ma in quanto si ritiene contrario al principio di
uguaglianza che una certa agevolazione sia accordata ad una certa
categoria di soggetti o di fatti imponibili, e non sia accordata ad altre
categorie. Le norme agevolative sono norme di deroga rispetto al regime
ordinario e che, perciò, costituiscono il frutto di scelte legislative
discrezionali; spetta soltanto al legislatore di valutare e di decidere, non
solo in ordine all’an, ma anche in ordine al quantum di una agevolazione.
Una volta stabilito che accordare o non accordare una agevolazione è
una scelta discrezionale del legislatore, il sindacato di tali scelte può
essere svolto dalla Corte solo nei modi e nei limiti in cui si svolge il
sindacato sulle scelte discrezionali, ossia come giudizio sulla
ragionevolezza delle scelte legislative.
8. Il requisito di effettività. Forfettizzazioni e principio nominalistico.
Nella giurisprudenza della Corte cost. è dato risalto all’esigenza che il
collegamento tra fatto rivelatore di capacità contributiva e tributo sia
effettivo, e non apparente o fittizio.
9. Il requisito di attualità, i prelievi anticipati e i tributi retroattivi.
Oltre che effettiva la capacità contributiva deve essere attuale. Il tributo,
nel momento in cui trova applicazione, deve essere correlato ad una
capacità contributiva in atto, non ad una capacità contributiva passata o
futura. I tributi retroattivi colpiscono fatti pregressi e quindi una capacità
contributiva appartenente al passato; in linea di massima, quindi, i tributi
retroattivi urtano contro il principio di capacità contributiva in quanto,
colpendo fatti del passato, colpiscono una capacità contributiva non
attuale e quindi non effettiva. I fatti del passato potrebbero esprimere
un’attitudine contributiva ancora presente nel momento in cui sopravviene
il tributo. Perciò, secondo la giurisprudenza, i tributi retroattivi non sono
sempre anticostituzionali, ma solo quando si collegano a fatti del passato
che, in base ad una verifica da compiersi volta per volta, non esprimono
capacità contributiva attuale. Il requisito di attualità impedisce al
legislatore anche di imporre prelievi che si collegano a presupposti
d’imposta che si verificheranno in futuro. Gli acconti sono ammissibili se
no del tutto disgiunti dal presupposto, se l’obbligo di versarli non è
incondizionato e se è assicurato il diritto al rimborso.
10.
Capacità contributiva e rapporti privati.
Di solito, le norme costituzionali sono dunque modelli per il legislatore, e
trovano attuazione attraverso la legislazione. A talune norme
costituzionali è stata però riconosciuta diretta applicabilità. Anche all’art.
53 la giurisprudenza ha talora riconosciuto diretta applicabilità, come
norma imperativa in materia di autonomia privata, traendone la
conseguenza che un negozio tra privati è nullo se si pone in contrasto
con il principio di capacità contributiva. La prevalente dottrina, però ritiene
(giustamente) che l’art. 53 non riguardi i rapporti tra i privati.
11.
Capacità contributiva e rimborso.
Il principio costituzionale, se da un lato impone che non vi siano prelievi
non collegati ad un fatto espressivo di capacità contributiva, dall’altro
richiede che il fisco non trattenga prelievi avvenuti in difetto del
presupposto d’imposta, e quindi in assenza di capacità contributiva. Ciò
significa, in definitiva, che viola l’art. 53 Cost. un meccanismo legislativo
che impedisce il rimborso dei tributi indebitamente pagati.
12.
Capacità contributiva e tributi “commutativi”.
Secondo la lettera dell’art. 53 deve essere giustificato dalla capacità
contributiva ogni concorso alle spese pubbliche, senza distinzioni né
rispetto ai modi del concorso, né rispetto alle spese pubbliche. Secondo
la Corte l’art. 53 non è criterio di riparto di tutte le spese pubbliche, ma
soltanto di quelle indivisibili. Questo orientamento restrittivo contrasta,
però, sia con la lettera dell’art. 53, sia con una visione d’insieme del testo
costituzionale. Perciò anche le entrate collegate a servizi divisibili
possono essere addossate a chi ne fruisce, solo se il fruirne è segno di
capacità contributiva.
13.
Il principio di progressività.
L’art. 53, secondo comma, della Cost. recita: il sistema tributario è
informato a criteri di progressività. Nella giurisprudenza della Corte cost.
viene sottolineato che il principio di progressività non riguarda i singoli
tributi ma il sistema nel suo complesso; non è quindi vietato che singoli
tributi siano ispirati a criteri diversi. Il principio di progressività, che, inteso
nel senso dell’aumento di aliquota col crescere del reddito, presuppone
un rapporto diretto tra imposizioni e reddito individuale di ogni
contribuente.
14.
Principi di diritto comunitario.
Si è visto che, tra le fonti del diritto tributario, vanno annoverate le fonti
comunitarie; queste vanno distinte in due gruppi: a) disposizioni fiscali del
Trattato istitutivo della CEE; b) norme di diritto comunitario derivato
(norme create dagli organi della comunità sulla base del Trattato). I più
importanti tra i principi del Trattato sono i seguenti: Il Trattato impone agli
Stati membri l’obbligo di non applicare, ai prodotti provenienti dagli stati
membri imposizioni interne superiori a quelle applicate ai prodotti
nazionali, ed il divieto di sovvenzionare le esportazioni con rimborsi
superiori alle imposizioni subite all’interno dello stato dai prodotti che
vengono esportati; l’obbligo degli stati membri di istituire un’imposta sulla
cifra d’affari con il sistema dell’imposizione del valore aggiunto;
l’armonizzazione delle legislazioni fiscali degli stati membri, al fine di
realizzare un mercato europeo comune.
Sul versante del diritto derivato, molti settori del diritto tributario interno
sono regolati da norme contenute in direttive comunitarie, o da norme
interne che si ispirano a norme di direttive comunitarie. Va in primo luogo
segnalato il corpus di direttive emanate in materia di imposta sul valore
aggiunto ed in materia di accise. In secondo luogo, vanno ricordate le
direttive intese ad armonizzare le imposte sulla raccolta dei capitali cui si
conformano le norme dell’imposta di registro sugli aumenti di capitale e
sui finanziamenti delle società. In terzo luogo, in materia di imposte
dirette, va ricordata una direttiva che istituisce un sistema di assistenza
reciproca fra le amministrazioni finanziarie al fine di reprimere l’evasione
mediante scambio di informazioni fra gli Stati membri.
Capitolo quinto
Le fattispecie
1. Sistematica dell’imposta.
La dottrina tributaristica tradizionale ordinava le varie norme che
disciplinano l’imposta adottando il concetto di rapporto d’imposta, inteso
come rapporto complesso; in questo rapporto confluiscono, da un lato, le
norme sostanziali dell’imposta ( quelle che stabiliscono chi, in presenza di
quali presupposti, in quale misura, deve pagare l’imposta) e, dall’altro le
norme formali sul procedimento d’accertamento, sulla riscossione, sul
processo, sul rimborso: tutte queste norme e le vicende da esse
disciplinate sono viste come svolgimento o attuazione del rapporto
complesso d’imposta nascente dal presupposto. La sistematica del
rapporto complesso d’imposta è stata abbandonata dalla dottrina
tributaristica più recente, che preferisce ordinare la materia intorno ai
concetti di potestà di imposizione e di procedimento: le norme tributarie
sono viste tutte come norme procedimentali, regolanti l’esercizio della
potestà d’imposizione. In conclusione, mentre la teoria del rapporto
d’imposta usa un concetto di diritto sostanziale inglobandovi le norme
procedimentali, la teoria della potestà d’imposizione ingloba le norme
sostanziali in quelle procedimentali. La prima pone l'enfasi sulla statica, la
seconda sulla dinamica ed entrambe sono unilaterali. Occorre invece
distinguere tra statica e dinamica: l’aspetto statico è dato dalle norme
sostanziali che stabiliscono le fattispecie e gli effetti d’imposta; l’aspetto
dinamico del fenomeno è quello che considera gli atti e i procedimenti
attraverso i quali avviene l’attuazione dell’imposta.
2. Il presupposto.
Ogni figura giuridica si compone di due elementi: la fattispecie e l’effetto.
La fattispecie che dà vita all’imposta è variamente denominata: fatto
imponibile, fatto generatore, presupposto. Preferire l’uno o l’altro termine
è questione puramente lessicale: qui si preferisce il termine presupposto
perché d’uso più comune. In relazione all’effetto principale, il presupposto
è quell’evento che determina, direttamente o indirettamente, il sorgere
dell’obbligazione tributaria. Qui il presupposto deve essere esaminato dal
punto di vista strutturale. Caratteri oggettivi del presupposto:
A) il presupposto d’imposta va tenuto distinto dall’oggetto; l’uno è nozione
giuridica, l’altro nozione economica;
B) la distinzione tra presupposto e oggetto dell’imposta rende ragione
delle divergenze di classificazione che si riscontrano a proposito di
taluni tributi che vengono considerati indiretti da chi tiene conto del
profilo giuridico formale, ed imposte dirette da chi ne considera
l’oggetto economico;
C) le classificazioni più correnti dell’imposta hanno come riferimento il
presupposto. La tassonomia più in uso è quella che distingue le
imposte in dirette ed indirette; le prime sono quelle che colpiscono il
reddito o il patrimonio, le seconde tutte le altre (imposte sui consumi,
affari). Le imposte sul reddito poi, sono ulteriormente distinte in
personali e reali, a seconda che, nella loro disciplina, abbia o no rilievo
qualche elemento che attiene alla persona del soggetto passivo.
3. Esenzioni ed esclusioni.
Nella disciplina di un tributo, con gli enunciati legislativi che definiscono la
fattispecie tipica ( il presupposto), possono coesistere delle disposizioni
che ne ampliano o ne restringono l’area di applicabilità. Tra queste
disposizioni, va innanzitutto considerato il caso delle esenzioni che sono
costituite da enunciati normativi che sottraggono all’applicazione del
tributo ipotesi che dovrebbero esservi soggette in base alla definizione
generale del presupposto. Secondo la dottrina tradizionale, le norme
esentative presentano le seguenti caratteristiche: a) sono norme distinte
rispetto a quelle che definiscono il presupposto, ed hanno un autonomo
effetto giuridico (effetto impeditivo); b) sono norme eccezionali, come tali
non suscettibili di integrazione analogica; c) sono norme che conferiscono
al soggetto esentato un diritto soggettivo (il diritto d'esenzione).
L’impostazione della dottrina tradizionale è criticata nella letteratura più
recente. Si ritiene, che l’esenzione non sia il portato di una norma distinta
ed autonoma, ma che l’enunciato legislativo che indica il caso esentato
concorra, con la disposizione che definisce il presupposto, a definire
l’area di applicabilità del tributo. Cade , quindi, anche la possibilità di
ravvisare nell’esenzione la fattispecie d’un effetto impeditivo, ovvero la
fattispecie di un particolare diritto soggettivo. Anche la eccezionalità delle
norme esentative è contestata dalla moderna dottrina. Dal punto di vista
delle conseguenze si ha esenzione quando è escluso il sorgere del debito
d’imposta; ma ciò non necessariamente implica esclusione di obblighi
strumentali di varia natura (di presentare la dichiarazione). Rispetto alle
imposte periodiche, le esenzioni possono essere temporanee oppure
permanenti. Altra distinzione è tra esenzioni oggettive e soggettive.
Diverso può essere il modo di operare delle esenzioni: vi sono infatti
esenzioni operanti ex lege, ed esenzioni operanti solo a seguito di istanza
di parte, o di apposito provvedimento esonerativo. Le esenzioni si
differenziano dalle esclusioni perché le prime costituiscono una deroga
rispetto alla disciplina generale del tributo, mentre le esclusioni risultano
da enunciati con cui il legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del
tributo, senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali.
4. Fattispecie sostitutive.
Il legislatore può sottrarre una certa categoria di ipotesi al genere di
quelle che costituiscono il presupposto dell’imposta non solo
esentandola, ma anche disponendo che, in via di deroga, quella categoria
sia sottoposta ad altra imposta. Si ha, in tal caso, una fattispecie
sostitutiva e correttamente si dice che si ha un regime fiscale sostitutivo.
La ragion d’essere d’un simile regime derogatorio può risiedere sia in
scopi di agevolazione, sia in motivi di tecnica impositiva. Ecco alcuni casi
notevoli di tributi sostitutivi: a) le imposte sulle assicurazioni e sui contratti
di rendita vitalizia sostituiscono le imposte di registro e di bollo; b) le tasse
sui contratti di borsa sostituiscono le imposte di registro e di bollo.
Pongono in essere dei regimi sostitutivi le norme che sottopongono
determinati redditi a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Rispetto al
regime normale, in tali ipotesi si hanno le seguenti differenze: soggetto
passivo del tributo non è il reddituario ma il sostituto; il reddito è tassato in
via autonoma con aliquota fissa, non è quindi componente del reddito
complessivo ed è sottratto alla progressività; la tassazione alla fonte in
via definitiva sostituisce ogni imposta diretta (IRPEF ed IRPEG da un
lato, ILOR dall’altro).
5. Fattispecie equiparate.
Con le esenzioni e con le fattispecie sostitutive il legislatore pone delle
deroghe alla fattispecie tipica sottraendo certe ipotesi alla sua sfera di
applicazione: ma deroghe possono esservi anche in direzione inversa,
ossia mediante la previsione di altre ipotesi diverse da quelle tipiche cui
pure si applica l’imposta. Il legislatore può prevedere che siano sottoposti
ad un certo tributo anche casi diversi dal presupposto tipico,
semplicemente perché vuole che certi fatti economici siano sottoposti a
quella imposta. Si ha quindi una equiparazione di queste fattispecie a
quella tipica. In altri casi, l’ampliamento della sfera di applicazione del
tributo risponde a fini antielusivi. Per distinguere terminologicamente le
due ipotesi, si può parlare, nel primo caso, di fattispecie equiparate o
assimilate, e, nel secondo, di fattispecie surrogatorie o supplementari.
6. Fattispecie supplementari (o antielusive).
L’elusione può essere ostacolata dal legislatore o con l’introduzione di
una clausola generale o con la previsione di norme ad hoc. Tra gli
strumenti antielusivi di carattere specifico hanno un rilievo preminente le
fattispecie supplementari; le previsioni di tassabilità, accanto alle ipotesi
tipiche, di altre ipotesi che il legislatore aggiunge a quelle tipiche al solo
fine di distogliere i soggetti dal ricorso ad esse per fini di elusione.
7. Fattispecie sovrapposte ( le sovraimposte).
La sovrapposizione di fattispecie tributarie si ha quando più imposte
colpiscono un medesimo rapporto della vita, ossia un medesimo
presupposto. La dottrina parla di imposta madre e imposta figlia quando
una fattispecie, già perfetta ed esattamente accertata ( viene usata) per
applicarla, mutata od invariata, come fattispecie di un’altra imposta. Di
regola dunque, il fatto che un medesimo evento integri la fattispecie di più
imposte comporta il cumulo delle imposte, senza che ciò possa essere
escluso invocando il divieto della doppia imposizione. Prossimo al
fenomeno descritto è quello della sovrimposta e dell’addizionale. Nel
caso della sovraimposta si assume la base imponibile di un’imposta come
base imponibile di un’altra imposta. Nel caso dell’addizionale si impone il
pagamento di un quantum, ragguagliato ad una frazione o multiplo di
quanto dovuto per un certo tributo.
8. Fattispecie alternative.
Si hanno fattispecie alternative quando un certo fatto od evento,
normalmente soggetto ad una certa imposta, cessa di esserlo (o lo è in
misura ridotta), se è soggetto anche ad un’altra imposta. Può darsi, cioè,
che la sovrapposizione di fattispecie non determini l’applicazione di più
imposte, ma l’applicazione d’una sola imposta e la non applicazione
dell’altro tributo.
9. Fattispecie condizionali.
L’efficacia della fattispecie tributaria può essere sottoposta a condizione,
sospensiva o risolutiva. Nel primo caso (cond. sospensiva) l’avveramento
della condizione determina il sorgere del debito d’imposta; nel secondo la
condizione estingue il debito. Se l’evento cui è subordinata l’efficacia non
è incertus an, ma certus an ed incertus quando, sarà tecnicamente più
appropriato dire che l’efficacia è soggetta ad un termine ( con valore
sospensivo o risolutivo).
10.
Le fattispecie nello spazio (principio di territorialità).
Può essere rilevante, ai fini tributari, la localizzazione del presupposto
d’imposta; per lo più, è determinante il fatto che il presupposto si verifichi
nel territorio dello Stato (applicazione del principio di territorialità), ma
certe imposte prescindono dalla territorialità, dando rilievo determinante
ad altri elementi (di natura personale). La dimensione spaziale della
fattispecie dell’imposta non risponde dunque ad un principio generale, ma
varia da imposta ad imposta. Le imposte personali sui redditi sono
informate al principio per cui, nei confronti dei residenti, si tassa il
complesso dei redditi posseduti, indipendentemente dal luogo di
produzione; nei confronti degli stranieri invece, si tassano soltanto i redditi
prodotti nello Stato. La territorialità svolge un ruolo assai rilevante
nell’IVA, ove peraltro si combina con criteri personali: è principio
fondamentale dell’imposta quello della imponibilità delle operazioni
effettuate nello Stato, e quindi quello della non imponibilità delle
operazioni non effettuate nello Stato. L’imposta di registro si applica, in
via di principio, agli atti formati nello Stato; si applica agli atti formati
all’estero solo quando esplicano effetti di natura reale o locatizia su beni
situati nello Stato; l’imposta sulle successioni si applica, nel caso di
residenti, su tutti i beni, anche se situati all’estero; si applica solo sui beni
situati in Italia, nel caso di defunto non residente.
11.
La fattispecie nel tempo; imposte istantanee e periodiche.
La fattispecie d’imposta può essere costituita da un fatto istantaneo o da
un fatto di durata; di qui la distinzione tra imposte istantanee e periodiche.
Le imposte istantanee hanno la seguente caratteristica: che per ogni
singolo avvenimento, che ne forma il presupposto, sorge una distinta ed
unica obbligazione; nel caso delle imposte periodiche, il legislatore
segmenta il fatto di durata assunto a presupposto, suddividendolo in
periodi d’imposta, ed attribuendo rilevanza autonoma all’insieme dei fatti
che si verificano nel periodo. Tipiche imposte periodiche sono quelle sui
redditi e l’imposta sul valore aggiunto.
12.
L’imputazione soggettiva.
La fattispecie dell’imposta non può non essere riferita, o imputata ad un
soggetto. Il criterio di imputazione varia a seconda della natura e
dell’oggetto dell’imposta; e diverse sono le tecniche, cui il legislatore
ricorre, per stabilire l’imputazione soggettiva del presupposto. In certi casi
il legislatore dapprima indica i soggetti passivi, quindi il fatto che li rende
obbligati; in altri casi viene dapprima indicato il presupposto, quindi i
soggetti cui è riferibile.
Capitolo sesto
Gli effetti
1. Rapporto d’imposta e obbligazione tributaria.
Esaminata la fattispecie dell’imposta, ne vanno ora indagati gli effetti. La
dottrina tradizionale, come già sappiamo, ordinava la materia in termini di
rapporto d’imposta, inteso come rapporto complesso, comprendente tutte
le situazioni soggettive facenti capo sia al contribuente che all’ente
impositore. La dottrina moderna ha abbandonato tale impostazione
teorica che aveva il duplice difetto di unificare in uno schema unitario
situazioni giuridiche eterogenee (sostanziali e formali, finali e strumentali)
e di trascurare l’aspetto dinamico del fenomeno, dando esclusivo rilievo al
profilo statico. Sotto il profilo oggettivo, effetto principale della fattispecie
dell’imposta è l’obbligazione tributaria.
2. La base imponibile.
La misura del debito d’imposta risulta dall’applicazione del tasso
d’imposta fissato dalla legge, ad una grandezza, denominata base
imponibile. Non bisogna confondere presupposto e base imponibile,
anche quando lo stesso evento viene assunto dalla legge sia come
presupposto, sia come base imponibile. Concettualmente, presupposto è
ciò che provoca l’applicabilità di un tributo; base imponibile ciò che ne
determina la misura; il primo determina l’an debeatur, la seconda il
quantum, Può darsi peraltro identificazione o sovrapposizione di concetti;
il reddito, ad esempio, è al tempo stesso presupposto e base imponibile.
La base imponibile è costituita prevalentemente da una grandezza
monetaria: l’ammontare del reddito, il valore di un bene, un corrispettivo
contrattuale. Ma può essere anche costituita da cose misurate secondo le
loro caratteristiche di misura e peso, o considerate nella loro unità.
3. Segue: composizione e stima.
Il legislatore non si limita ad indicare quale sia la base imponibile di un
tributo (reddito, patrimonio ereditario), ma detta anche le norme che, da
un lato, stabiliscono la composizione della base imponibile, dall’altro ne
regolano i criteri di valutazione.
A) le norme sulla composizione della base imponibile possono
riguardare, da un lato, gli elementi attivi, dall’altro gli elementi passivi.
B) Rilevata la composizione della base imponibile, subentra poi la stima
della stessa: stima o valutazione che è regolata di solito anch’essa
dalla legge. Il valore imponibile può essere configurato in più modi.
Secondo una classificazione possono distinguersi: 1) il valore effettivo,
cioè il valore che la base imponibile ha assunto nel caso concreto,
sottoposto all’imposta; 2) il valore normale o corrente: ai fini
dell’imposta di registro, si pensi al valore del bene negoziato; ai fini
dell’imposta sul reddito, si ricordi il valore dei corrispettivi dei contratti
tra società di un medesimo gruppo; 3) il valore ordinario, cioè il valore
che si ricava dalla media di una serie di osservazioni operata su casi
tipici; 4) il valore medio, cioè il valore che si ottiene dalla media dai
valori assunti dal bene imponibile in un dato periodo di tempo; 5) il
valore presunto, cioè quello forfettizzato dalla legge con la
predeterminazione di indici o parametri.
4. Il tasso.
Il tasso può essere fisso o variabile. Si ha il primo quando l’imposta è
predeterminata in una somma fissa. Il sistema prevalente è però quello
del tasso variabile, costituito, quando la base imponibile è una grandezza
monetaria, da una aliquota. L’aliquota può essere fissa o progressiva. Nel
caso di imposta proporzionale, l’aliquota non muta con il variare della
base imponibile. Nel caso di imposta progressiva, possono aversi diverse
soluzioni matematiche che determinano il variare dell’aliquota in relazione
al variare della base imponibile. Nell’IRPEF, la progressività è per
scaglioni: ad ogni scaglione di reddito corrisponde un’aliquota via via
crescente. Possono aversi imposte regressive, quando l’aliquota
diminuisce con l’aumentare della base imponibile; o graduali quando la
base imponibile è divisa in più gradi , a ciascuno dei quali corrisponde
un’imposta fissa in misura diversa.
5. Imposta principale, complementare e suppletiva.
Il legislatore, nella disciplina dell’imposta di registro definisce come
principale l’imposta liquidata all’atto della registrazione; suppletiva
l’imposta successivamente applicata quando è diretta a correggere errori
od omissioni commessi dall’ufficio in sede di liquidazione dell’imposta
principale; complementare l’imposta richiesta successivamente a quella
principale, in ogni caso diverso da quello in cui l’imposta è suppletiva.
6. Obbligazioni d’acconto.
Il verificarsi del presupposto rende definitivamente dovuto il tributo.
L’obbligazione tributaria che si ricollega al presupposto può essere
preceduta da altre obbligazioni, che possono essere definite provvisorie.
Si tratta di obbligazioni che sorgono prima del perfezionarsi del
presupposto; esse realizzano, dunque, un’anticipazione della riscossione
rispetto al presupposto e sono soprattutto presenti nella disciplina delle
imposte periodiche (imposte sui redditi e IVA).
A) si consideri, nel campo delle imposte dirette, il sistema dei versamenti
d’acconto. Nel corso del periodo d’imposta, ciascun soggetto passivo
deve versare un acconto dell’imposta che risulterà dovuta per quel
periodo: l’acconto deve essere versato in due rate; la prima con la
presentazione della dichiarazione relativa all’anno precedente, la
seconda entro il 30 novembre.
B) Pure nell’ambito delle imposte sui redditi, si consideri il sistema delle
ritenute d’acconto. Nell’IRPEF le somme costituenti reddito di capitale,
i compensi dei lavoratori dipendenti, i compensi percepiti dai lavoratori
autonomi, sono soggetti a ritenuta. Si ha qui il fenomeno della
sostituzione: colui che eroga la somma deve effettuare una ritenuta e
versarne l’importo allo Stato. Chi subisce la ritenuta acquista nei
confronti dell’erario il diritto di decurtarne gli importi delle ritenute
stabilite.
C) Nell’Iva ogni soggetto passivo deve, mensilmente o trimestralmente,
liquidare e versare la differenza tra l’ammontare dell’imposta dovuta
sulle operazioni attive e l’ammontare dell’imposta detraibile relativa
agli acquisti. Se dal calcolo risulta una differenza a favore del
contribuente, il relativo importo è computato in detrazione del mese o
nel trimestre successivo. A chiusura del periodo d’imposta, con la
dichiarazione annuale, viene calcolata l’imposta globalmente dovuta,
ed il globale delle detrazioni.
7. Obbligazioni dipendenti.
All’obbligazione d’imposta possono accompagnarsi obbligazioni
accessorie, legate alla prima da un nesso di pregiudizialità-dipendenza.
Ecco le principali obbligazioni accessorie: a) obbligazioni relative
all’indennità di mora, se decorre inutilmente il termine utile per il
pagamento delle imposte iscritte a ruolo, il contribuente è obbligato a
corrispondere un’indennità di mora nella misura del 2% del debito, se il
pagamento è eseguito entro i 3 gg. successivi alla scadenza, e del 6% se
il pagamento è effettuato oltre detto termine; b) obbligazioni relative agli
interessi: per le imposte sui redditi la legge stabilisce che , decorso un
semestre dalla data di presentazione della dichiarazione, sono dovuti
interessi sulle imposte o maggiori imposte dovute in base a rettifica od
accertamento d’ufficio, per ogni semestre successivo fino alla consegna
dei ruoli all’esattore; nella stessa misura sono dovuti gli interessi nel caso
di prolungata rateazione.
8. Effetti connessi.
In connessione con l’obbligazione tributaria, possono sorgere degli altri
rapporti intercorrenti tra il soggetto passivo del debito d’imposta ed un
terzo diverso dall’ente pubblico creditore. E’ il caso del rapporto di rivalsa
del credito, cioè, attribuito al soggetto passivo del tributo, nei confronti di
un altro soggetto. Le ragioni del rapporto di rivalsa possono essere molto
varie nei diversi tributi.
A) vi sono innanzitutto tributi posti a carico di un soggetto che il
legislatore intende far gravare economicamente su di un altro. Ciò
avviene, per lo più, nelle imposte sui consumi, nelle quali il soggetto
passivo è un imprenditore, cui la legge consente di trasferire su altri (i
consumatori) il peso economico del tributo. Non bisogna però
confondere il fenomeno puramente economico della traslazione
d’imposta che si ha quando il contribuente di un’imposta trasferisce su
altri l’onere del tributo inglobandone l’ammontare nel prezzo di
trasferimento ad altri di un bene o di un servizio, con il fenomeno
giuridico della rivalsa che si verifica quando il contribuente c.d. di
diritto ha un credito nei confronti del contribuente di fatto, credito che
si aggiunge al corrispettivo contrattuale.
B) Ma vi sono anche dei casi in cui il soggetto passivo dell’imposta è un
soggetto diverso da colui che realizza il presupposto; tali soggetti sono
denominati sostituto d’imposta e responsabile d’imposta. Essi hanno
diritto di rivalsa nei confronti di colui che ha posto in essere il
presupposto; le leggi tributarie prevedono espressamente tale diritto di
rivalsa. In generale, ha diritto di rivalsa, verso colui che realizza il
presupposto dell’imposta, ogni terzo che sia tenuto a corrispondere il
tributo. Fonte del diritto di rivalsa può essere non solo la legge ma
anche una clausola contrattuale. La rivalsa del sostituto d’imposta che
si esercita mediante ritenuta è infatti normalmente obbligatoria, e sono
previste sanzioni per la mancata effettuazione della rivalsa. Ma vi
sono, anche, dei casi in cui il legislatore vieta la rivalsa; nell’INVIM ad
esempio che grava sul venditore è vietato pattuire che il compratore si
accolli l’onere dell’imposta.
9. Le garanzie: i privilegi.
Il credito d’imposta può essere ed è per lo più assistito da garanzie di
vario tipo, un esame sommario delle quali deve dare particolare rilievo ai
privilegi, che assicurano al fisco di essere soddisfatto a preferenza di altri
creditori in caso di espropriazione. Sono previsti privilegi generali e
speciali, sui mobili e sugli immobili. Una indicazione sommaria delle
norme che prevedono privilegi può raggruppare tali norme in 4 classi: a)
privilegio generale sui mobili del debitore: tale garanzia è prevista per
l’IRPEF, l’IRPEG e l’ILOR; identico privilegio è accordato per i crediti IVA;
b) privilegio speciale sui mobili: i crediti dello Stato per i tributi indiretti
hanno privilegio sui mobili ai quali i tributi si riferiscono. Uguale privilegio
hanno i crediti di rivalsa IVA; c) privilegio generale immobiliare: i crediti
per l’IRPEF, IRPEG e ILOR, limitatamente alla quota imputabile ai redditi
immobiliari o fondiari non determinabili esattamente, hanno privilegi sugli
immobili del debitore situati nel comune in cui il tributo si riscuote; d)
privilegio speciale immobiliare: tale privilegio assiste crediti per tributi
indiretti (compresa l’INVIM), in relazione agli immobili cui il tributo si
riferisce.
10.
Segue: l’ipoteca
Il credito d’imposta può essere garantito da ipoteca; l’intendente di
finanza, quando vi sia pericolo nel ritardo può chiedere al presidente del
tribunale competente l’iscrizione di ipoteca legale sui beni del
trasgressore, ed anche l’autorizzazione a procedere a mezzo di ufficiale
giudiziario, al sequestro conservativo. Ipoteca e sequestro possono
essere impugnati da chiunque vi abbia interesse, innanzi al giudice civile
quando non vi sia reato, o innanzi al giudice penale secondo le norme del
codice di procedura penale.
11.
Altre garanzie.
Esaminati i privilegi e l’ipoteca, vediamo ora le altre forme di garanzia.
Talune garanzie sono richieste per la concessione di dilazioni o
rateizzazioni. La dilazione del pagamento dell’imposta sulle successioni
può essere concessa a condizione che il contribuente presti garanzia
mediante ipoteca o cauzione in titoli di Stato, o garantiti dallo Stato al
valore di borsa, o fideiussione rilasciata da un istituto o azienda di credito.
La stessa norma vale anche per l’INVIM. Per ottenere in via anticipata il
rimborso dell’IVA è previsto che il contribuente presti delle garanzie,
ossia: cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato; oppure fideiussione
rilasciata da un istituto o azienda di credito; oppure polizza fideiussoria
rilasciata da un’impresa di assicurazioni.
12.
Decadenza e prescrizione.
L’istituto della prescrizione non è estraneo al diritto tributario, poiché
anche il credito d’imposta può estinguersi per prescrizione. Quando il
credito presuppone un procedimento, diretto alla costituzione o alla
riscossione del credito, le relative potestà amministrative sono sottoposte
a termini di decadenza. Il potere di emettere l’avviso di accertamento è
soggetto a decadenza rispetto a tutte le imposte. E’ pure soggetto a
decadenza il potere di iscrivere a ruolo. Bisogna tenere distinto il
fenomeno della prescrizione, che afferisce il credito d’imposta che ha già
costituito oggetto di avviso di accertamento o di iscrizione a ruolo, dalla
decadenza, che riguarda le potestà impositive o esattive. La legge
tributaria non prevede alcuna prescrizione in materia di imposte sui
redditi: la relativa obbligazione, una volta iscritta a ruolo, può certo
estinguersi secondo le norme civilistiche in tema di prescrizione (ma in
pratica è difficile che ciò si avveri, in quanto l’esattore tenuto all’obbligo
del non riscosso per il riscosso, non rimarrà certo inattivo). In materia di
imposte indirette, invece, sono previsti termini di prestazione dell’imposta
definitivamente accertata: il termine è decennale per l’imposta del registro
e per l’imposta sulle successioni. In materia doganale il termine è
quinquennale.
Capitolo settimo
I soggetti
1. Il creditore.
L’imposta si concreta in un rapporto obbligatorio, esaminare i profili
soggettivi significa studiare la figura del creditore e quella del debitore.
Creditore d’imposta è, nella maggior parte dei casi, lo Stato che agisce
per tramite dell’amministrazione delle finanze ed, in particolare, di una
molteplicità di uffici preposti alla gestione delle diverse imposte. Creditore
d’imposta è lo Stato anche per talune imposte denominate locali o
comunali, in quanto gestite da organi statali ed in quanto il rapporto
d’imposta s’instaura tra Stato e soggetto passivo. Creditori d’imposta
possono essere anche enti diversi dallo Stato ( regioni, provincie, comuni)
o addirittura dei privati, investiti di pubbliche funzioni (appaltatori delle
imposte).
2. L’amministrazione finanziaria.
Dobbiamo ora occuparci della struttura dell’amministrazione finanziaria.
A) al vertice vi è il Ministro delle finanze, le sue direttive sono attuate dal
consiglio di amministrazione, che ha anche compiti di coordinamento
complessivo dell’attività del Ministero e di gestione del personale. Il
Ministro delle finanze è coadiuvato dal Segretario generale, il cui
compito specifico è quello di coordinare le attività degli uffici. Altri uffici
centrali sono il Servizio centrale degli ispettori tributari (Secit) e il
servizio centrale della riscossione.
B) Il Secit ha fondamentalmente tre compiti: 1) controllare l’attività di
accertamento degli uffici e le verifiche eseguite dalla Guardia di
finanza; 2) provvedere, in via straordinaria, a verifiche e controlli nei
confronti di contribuenti sospettati di evasioni di grandi proporzioni; 3)
formulare proposte al Ministro per la predisposizione e l'attuazione dei
programmi di accertamento.
C) Il Ministero è strutturato in tre dipartimenti: uno si occupa delle entrate,
uno delle dogane ed uno del territorio; ai tre dipartimenti si affianca la
direzione generale del personale. I dipartimenti hanno funzioni di
indirizzo, programmazione e coordinamento degli uffici periferici.
D) L’organizzazione periferica del Ministero delle finanze è articolata in
direzioni regionali. Dalla direzione regionale delle entrate dipendono:
1) i centri di servizio, la cui funzione è quella di effettuare il controllo
formale delle dichiarazioni dei redditi e di quelle dell’imposta sul valore
aggiunto; essi curano la riscossione delle imposte ( dovute in base alle
dichiarazioni) e i rimborsi (spettanti in base alle dichiarazioni); 2) gli
uffici delle entrate, cui spettano il controllo sostanziale delle
dichiarazioni, emanazione di avvisi di accertamento, e riscossione dei
tributi dovuti in base agli accertamenti.
E) La riscossione delle imposte dirette, e la riscossione coattiva della
maggior parte delle imposte indirette, è demandata al Servizio della
riscossione che ha un ufficio centrale e uffici periferici.
F) La cura degli affari doganali è affidata, nell’ambito del Ministero delle
finanze, al dipartimento delle dogane e delle imposte indirette; tale
dipartimento è articolato in uffici centrali e periferici.
3. Il contribuente.
Il contribuente viene usato in due accezioni: una assai lata, per cui esso
designa ogni soggetto, che sia o possa diventare termine passivo di
riferimento di obbligazioni verso il fisco; in un significato più ristretto indica
quello che, nella varietà dei soggetti passivi è da denominare obbligato
principale. Nel primo significato il termine ricorre nel decreto istitutivo
dell’anagrafe tributaria; l’iscrizione all’anagrafe implica attribuzione di un
n° di codice fiscale; contribuente è dunque ogni so ggetto iscritto o
iscrivibile all’anagrafe ovvero ogni soggetto la cui esistenza è fiscalmente
rilevante.
4. L’obbligato principale.
Normalmente, soggetto di un’imposta è colui che ne realizza il
presupposto. La normale identità tra autore del presupposto e soggetto
passivo dell’imposta risponde ad un requisito di costituzionalità del
tributo; sarebbe violato l’art. 53 Cost. se il gravame fiscale ricadesse su
un soggetto che, non avendo realizzato il presupposto, non ha posto in
essere il fatto espressivo di capacità contributiva che il legislatore ha
avuto di mira. Vi sono infatti dei casi in cui il tributo è posto a carico di
soggetti diversi da colui che ne realizza il presupposto di fatto ( in
aggiunta o in sostituzione di colui che realizza il presupposto), ma in tali
casi occorre che il soggetto obbligato sia posto in condizione di riversare
l’onere economico del tributo stesso su colui che realizza il fatto
espressivo di capacità contributiva. Chi realizza il presupposto di fatto di
un tributo può essere definito obbligato principale, per distinguerlo dagli
altri obbligati. Ma è d'uso definirlo contribuente.
5. La solidarietà: a) le fattispecie.
Le diverse situazioni passive che scaturiscono dalle fattispecie tributarie,
possono far capo a più soggetti in solido.
A) in proposito, va innanzitutto affrontato il tema della fonte della
solidarietà. Parte della dottrina ritiene applicabile, in materia tributaria,
l’art. 1294 c.c., a norma del quale i debitori sono tenuti in solido se
dalla legge o dal titolo non risulta diversamente. Non solo non esiste
una legge tributaria che escluda la solidarietà, ma molte ve ne sono
che espressamente la sanciscono. Perciò tutte le volte che più
persone si trovano rispetto ad un medesimo presupposto, nella
situazione di soggetti passivi del tributo, essi sarebbero solidamente
obbligati verso il fisco. La legge tributaria si preoccupa sempre, nel
disciplinare le varie imposte, di indicare i soggetti passivi e di stabilire
quando sono tenuti in solido, sicché, in definitiva, il problema
dell’applicabilità dell’art. 1294 c.c. sembra privo di rilevanza pratica.
B) I casi nei quali si ha solidarietà tributaria sono caratterizzati dal fatto
che il presupposto del tributo è riferibile a più soggetti. Il reddito, quale
arricchimento di un soggetto, è per sua natura riferibile ad un
soggetto soltanto, e quindi debbono considerarsi eccezionali le norme
delle imposte sui redditi che stabiliscono la solidarietà. Ricorderemo:
la solidarietà tra cedente e cessionario di un immobile per l’ILOR
relativa al periodo di tempo successivo al titolo che serve da base per
la voltura catastale; La solidarietà tra coniugi può scaturire dalla
circostanza che essi presentino una dichiarazione congiunta; è
questa una singolare ipotesi di solidarietà voluta dagli obbligati. La
sostituzione d’imposta si trasforma in solidarietà nel caso in cui il
sostituto a titolo d’imposta viene iscritto a ruolo per imposte,
soprattasse, e interessi relativi a redditi per i quali non ha effettuato
ne le ritenute ne i versamenti. Più frequentemente s’incontra la
solidarietà nel campo delle imposte indirette: obbligati al pagamento
dell’imposta di registro sono, di solito, pluralità di soggetti; le imposte
ipotecarie sono dovute, oltre che da coloro nel cui interesse è stata
fatta la richiesta di trascrizione, anche dai debitori contro cui è stata
iscritta o rinnovata l’ipoteca; l’imposta sulle successioni è dovuta agli
eredi in solido. La solidarietà ricorre anche per il pagamento di
sanzioni amministrative. Di particolare rilievo è la norma, di portata
generale, secondo cui, quando la violazione sia imputabile a più
persone, queste sono tenute in solido al pagamento della pena
pecuniaria o soprattassa.
6. La solidarietà: b) gli effetti.
Occorre esaminare le conseguenze della solidarietà, tenendo presente
che il diritto tributario presenta una varietà di situazioni.
A) innanzitutto va notato che il soggetto passivo del tributo non è soltanto
obbligato all’adempimento di una prestazione pecuniaria, ma è tenuto
all’adempimento di obblighi formali, come la presentazione della
dichiarazione. Ora, anche nei riguardi di tali obblighi, vale il concetto
per cui l’adempimento di un soggetto libera tutti gli altri. Se la
dichiarazione è presentata e sottoscritta da uno solo, anche gli altri
sono liberati, ma se la dichiarazione comporta sanzioni, queste sono
applicabili nei confronti di tutti.
B) Rispetto al potere impositivo, vi sono più soggetti nei confronti dei
quali può essere esercitato il potere; solidarietà equivale quindi a
cosoggezione. Così l’amministrazione finanziaria può a sua scelta
emettere l’avviso di accertamento nei confronti di uno solo o di tutti i
coobbligati. Con la conseguenza, però, che l’avviso se non è notificato
a tutti, vale solo nei confronti dei soggetti cui è notificato. La
giurisprudenza ed una parte minoritaria della dottrina ritenevano infatti
che l’avviso di accertamento sebbene notificato ad uno soltanto dei
condebitori, esplicasse i suoi effetti anche nei confronti degli altri.
Questa dottrina è stata contraddistinta con il termine di
superdsolidarietà tributaria, solidarietà formale o solidarietà
processuale. Questa concezione è stata avversata per lungo tempo
dalla migliore dottrina: in sede pratica, essa ha avuto fine quando la
Corte cost. ne ha dichiarata l’illegittimità costituzionale. Molti dei
problemi sorti in materia di solidarietà tributaria sono quindi risolti
richiamando norme civilistiche. 1) La giurisprudenza ha innanzitutto
posto il principio che l’avviso di accertamento notificato ad un
soggetto, non estende i suoi effetti agli altri soggetti. 2)La
giurisprudenza ha ritenuto che, se uno dei condebitori nova, il debito
d’imposta mediante presentazione di istanza di condono e lo estingue
pagando l’imposta ex condono, di questi effetti beneficiano anche gli
altri condebitori.
3) sono poi ritenuti applicabili, in materia tributaria,
alcuni principi posti dall’art. 1306 c.c., secondo il quale “la sentenza
pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido, non ha effetto
contro gli altri debitori..” perciò la sentenza che abbia respinto il ricorso
proposto da un coobbligato non esplica effetti nei processi promossi
da altri coobbligati. L’estensione degli effetti della sentenza favorevole
ad un coobbligato è pacificamente ammessa quando gli altri
coobbligati abbiano impugnato l’accertamento, mentre è discussa nel
caso in cui un coobbligato abbia impugnato l’accertamento e l’altro
non lo abbia impugnato.
4) applicando in materia tributaria un principio pacifico in materia
civilistica, la giurisprudenza ritiene che l’impugnazione della sentenza
da parte di un condebitore non giova al condebitore solidale che, pur
avendo partecipato al relativo giudizio, non abbia impugnato.
5) la giurisprudenza ritiene applicabile in materia tributaria l’art. 1310,
secondo cui gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione
contro uno dei debitori in solido hanno effetto anche nei riguardi degli
altri debitori.
C) per quel che riguarda la riscossione, quando vi sono più soggetti
obbligati in solido, e cointestatari di una medesima partita di ruolo, il
concessionario non è tenuto a notificare la cartella esattoriale a tutti,
ma può notificarla solo al primo intestatario della partita. Agli altri può
inviare una comunicazione.
7. Il responsabile d’imposta.
Viene denominato responsabile d’imposta una particolare figura di
debitore del tributo, al quale le legge addossa l’obbligazione tributaria in
solido con l’obbligato principale; ciò che distingue il responsabile
d’imposta, dall’ordinaria figura di coobbligato in solido, è la circostanza
che la fattispecie della sua responsabilità non è la sua partecipazione al
presupposto dell’imposta, ma la realizzazione di una fattispecie ulteriore e
diversa. L’obbligazione del responsabile, in tanto esiste, in quanto esiste
quella principale; si dice, perciò, che il responsabile è un coobbligato
dipendente in contrapposizione all’istituto della solidarietà ordinaria o
paritaria. Ecco due esempi di questa particolare figura: a) i nuovi
possessori di immobili, divenuti proprietari o titolari di altri diritti reali, sono
responsabili d’imposta; rispondono cioè in solido con i precedenti
possessori dell’ILOR; b) le aziende di credito che rilascino fideiussione ai
soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto che conseguono rimborsi
d’imposta, rispondono insieme con il garantito, dell’obbligo di restituire al
fisco le somme indebitamente rimborsate.
8. Il responsabile limitato ed i terzi.
Vi sono casi, nei quali risponde del debito d’imposta un soggetto diverso
da colui che ne realizza il presupposto e ne risponde non con tutto il suo
patrimonio, ma soltanto con un determinato bene; lo si è denominato
perciò responsabile limitato.
A) in un primo gruppo di casi la posizione del terzo è un riflesso della
disciplina dei privilegi speciali. Quando il credito d’imposta è garantito
da privilegio speciale sui beni ai quali il tributo si riferisce, il privilegio
importa il diritto di seguito; il bene continua ad essere gravato dal
privilegio anche se viene trasferito a terzi; i terzi assumono così la
veste di responsabile (limitatamente a quel bene che può essere
espropriato per soddisfare il credito d’imposta). Secondo la
giurisprudenza l’azione del fisco nei confronti del terzo può essere
esercitata solo dopo che è stata infruttuosamente esperita l’azione
esecutiva nei confronti dell’obbligato principale; la responsabilità del
terzo quindi viene detta sussidiaria.
B) in un altro gruppo di ipotesi, la responsabilità del terzo è un riflesso di
norme in materia di pignoramento; una prima ipotesi si ha in caso di
cessione d’azienda; avviata l’esecuzione nei confronti di chi sia stato
titolare di azienda, e l’abbia ceduta, l’esattore può sottoporre a
pignoramento i beni mobili e le merci dell’azienda ceduta. Un’altra
concerne i beni mobili rinvenuti nella casa di abitazione del
contribuente; contro il pignoramento di tali beni non possono proporre
opposizione di terzo il coniuge, i parenti e gli affini entro il terzo grado
del contribuente e dei coobbligati. Infine, i frutti degli immobili del
debitore, soggetti a privilegio, possono essere espropriati, nelle forme
dell’espropriazione presso il debitore, anche se l’immobile è affittato
(quindi anche se i frutti appartengono all’affittuario). In questo secondo
gruppo di ipotesi, l’esecuzione si svolge sulla base dell’atto di
imposizione e dell’iscrizione a ruolo del debitore d’imposta, il terzo,
quindi, subisce l’esecuzione forzata per l’attuazione d’un debito altrui
senza essere soggetto passivo del processo esecutivo.
9. Il sostituto a titolo d’imposta.
La figura del responsabile d’imposta è contraddistinta da ciò che
l’obbligazione tributaria ricade, non solo su chi realizza il presupposto, ma
anche solidalmente, su di un altro soggetto, detto appunto responsabile.
Nella c.d. sostituzione invece il soggetto che realizza il presupposto non è
soggetto passivo; soggetto passivo è un altro soggetto denominato
sostituto (mentre sostituito è colui che pur realizzando il presupposto non
è debitore). La ragione di questa deviazione rispetto al normale congegno
della norma tributaria, che imputa l’obbligazione a chi realizza la
fattispecie imponibile, non ad un terzo, sta in ciò, che questo terzo è
debitore verso il sostituto di somme, la cui corresponsione realizza,
presso il creditore, un fatto fiscalmente rilevante; si tratta nella quasi
generalità dei casi, di redditi o di componenti reddituali; il coinvolgimento
del terzo, nell’attuazione di un tributo, mediante imputazione ad esso di
particolari doveri, è per il fisco notevole garanzia che non vi sarà
evasione, essendo il terzo non interessato a violare la norma. Esso infatti
è si obbligato in proprio verso il fisco, ma ha il diritto che è anche un
dovere di trattenere dalla somma che corrisponde al reddituario, un
importo pari a quello di cui è debitore verso il fisco. Il sostituto d’imposta è
unico debitore, verso il fisco, dell’imposta dovuta sul presupposto che altri
realizza ( il sostituito). Il rapporto tra fisco e sostituto è dunque un
rapporto d’imposta; tra fisco e sostituito non v’è alcun rapporto a titolo
d’imposta. Tra sostituto e sostituito v’è un rapporto privatistico v’è il
rapporto di base che vede il sostituto in posizione debitrice verso il
sostituito (es: debito di lavoro del datore di lavoro verso il dipendente). La
norma tributaria influisce su questo rapporto, in quanto il sostituto
estingue il suo debito verso il sostituito versandogli, non quanto dovuto
secondo il rapporto che corre tra di essi, ma una minor somma; ciò è una
conseguenza del diritto di rivalsa ossia del diritto del sostituto di operare
una ritenuta sulle somme che corrisponde al sostituito ( es. di sostituzione
a titolo d’imposta: le ritenute sui dividendi percepiti per le azioni di
risparmio e sui dividendi spettanti alle persone residenti all’estero; le
ritenute sulle vincite;).
10.
Il sostituto a titolo d’acconto.
Va tenuta distinta dalla sostituzione d’imposta o sostituzione in senso
proprio, la sostituzione a titolo di acconto o sostituzione impropria.
L'analisi dei rapporti tra i 3 soggetti implicati nel fenomeno porta ai
seguenti rilievi: a) il sostituto è obbligato verso il fisco non per
l’obbligazione d’imposta vera e propria, commisurata al presupposto, ma
per un versamento commisurato alle ritenute che viene fatto coincidere in
certi casi (lavoro dipendente), con l’imposta che sarebbe dovuta su quei
redditi se fossero gli unici del sostituito; b) tra sostituto e sostituito vi è un
rapporto di rivalsa, ossia il sostituto, nel momento in cui corrisponde le
somme soggette a ritenuta, ha diritto di trattenerne una quota; c) il
sostituito, nei confronti del fisco, non ha alcun obbligo od obbligazione,
ma per il fatto di subire la ritenuta acquista il diritto di dedurre,
dall’imposta globalmente dovuta, l’importo delle ritenute subite. Tale
diritto viene acquisito per il solo fatto di aver subito le ritenute,
indipendentemente dal fatto che il sostituto adempia o no l’obbligo di
versamento.
Se il sostituto opera la ritenuta, ma non versa, il sostituito acquista
ugualmente una sorta di credito verso il fisco; questo rapporto sostituitofisco è indipendente dal rapporto sostituto-fisco; se il fisco non riceve il
versamento, esso può agire solo nei confronti del sostituto.
11.
Il successore.
La successine ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le
situazioni giuridiche (trasmissibili) che facevano capo al defunto, implica
anche il subentro degli eredi nelle situazioni giuridiche di natura tributaria.
A) per le imposte sui redditi gli eredi rispondono in solido delle
obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente
alla morte del dante causa. L’importanza della norma non sta nel fatto
che sancisce la successione nelle obbligazioni, ma in quanto sancisce
la solidarietà degli eredi. Gli eredi sono tenuti verso i creditori al
pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione
della loro quota ereditaria. Gli eredi subentrano nella stessa posizione
del dante causa anche per quel che riguarda gli obblighi formali e le
situazioni procedimentali. Per le imposte sui redditi, la legge dispone
che tutti i termini pendenti alla data della morte del dante causa o
B)
C)
D)
E)
scadenti entro 4 mesi da essa sono prorogati di 6 mesi a favore degli
eredi. Gli eredi devono comunicare all’ufficio delle imposte dell’ultimo
domicilio fiscale del de cuius le proprie generalità e il proprio domicilio
fiscale.
In materia di Iva è previsto che gli obblighi fiscali derivanti da
operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono essere
adempiuti dagli eredi entro tre mesi dalla morte
Per quel che riguarda le altre imposte, non vi sono disposizioni
specifiche, per cui si applicano i principi civilistici
Discusso è il problema se gli eredi subentrino al de cuius anche per
quel che riguarda le sanzioni pecuniarie. La giurisprudenza è orientata
in senso affermativo.
Se vi è processo pendente, questo non si interrompe, ma i termini
pendenti sono prorogati di 6 mesi a decorrere dalla morte.
12.
Il rappresentante fiscale.
Per le imposte sui redditi è previsto che le società e gli enti che non
hanno la sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato, devono
indicare (al fisco) le generalità e l’indirizzo in Italia di un rappresentante
per i rapporti tributari. Per l’Iva i non residenti che effettuino operazioni
rilevanti ai fini del tributo nell’ambito del territorio dello Stato, possono
nominare un rappresentante che provveda ad adempiere gli obblighi e ad
esercitare i diritti derivanti dall’applicazione dell’imposta. Se non è
nominato un rappresentante, i soggetti residenti che acquistino beni o
servizi da non residenti debbono provvedere essi stessi agli adempimenti
IVA (c.d. autofatturazione).
Parte terza
Dinamica dell’imposta
Capitolo ottavo
Profili generali
1. I modelli.
Abbiamo, sin qui, dato un immagine statica dell’imposta; ne abbiamo cioè
descritto le fattispecie e gli effetti. Dobbiamo ora vederne la dinamica;
dobbiamo cioè indagare in qual modo la norma astratta e generale, che
racchiude fattispecie ed effetti dell’imposta, trova attuazione ed
individuazione. Possono darsi nelle leggi d’imposta, più modelli di
individuazione delle norme astratte e generali, ma tre sono gli schemi
paradigmatici.
A) il modello più semplice è quello dei tributi c.d. immediati o senza
imposizione. Al verificarsi della fattispecie, l’obbligato deve senz’altro
versare una somma all’ente pubblico: non sono previsti adempimenti
che s’inseriscono nel meccanismo genetico dell’obbligazione
dell’imposta; l’obbligazione nasce direttamente dalla legge, al
verificarsi del presupposto di fatto . Tosto che si verifichi la situazione
base del tributo.. si determina subito l’obbligazione tributaria, che di
solito viene spontaneamente adempiuta senza bisogno d’una qualsiasi
manifestazione finanziaria. L’attività della finanza suole intervenire
successivamente, a scopo di revisione, per controllare se
l’obbligazione sia stata soddisfatta.
B) Ai tributi senza imposizione la dottrina affianca i tributi con
imposizione; imposizione che può essere eventuale o necessaria. Nel
modello dell’imposizione eventuale al soggetto passivo del tributo non
si richiede soltanto il versamento di una somma di danaro, ma anche
un’attività formale ( presentare una dichiarazione). L’omissione della
dichiarazione, o la presentazione di una dichiarazione imperfetta
implicano l’emissione di un atto amministrativo, che viene denominato
avviso di accertamento; l’omissione del versamento provoca
l’emissione da parte dell’ente pubblico, d’un fatto di riscossione
coattiva.
C) Il terzo modello è quello dell’imposizione necessaria; la riscossione
implica un atto dell’amministrazione, che determina l’imposta e ne
rende dovuto il pagamento.
2. La potestà d’imposizione.
L’amministrazione finanziaria è dotata di potestà intesa a statuire
sull’obbligazione tributaria; questa potestà o potere si esprime in
provvedimenti. Esaminiamo alcuni caratteri di questo potere.
A) L’esercizio del potere impositivo non è libero ne discrezionale, ma
vincolato. Ciò è un riflesso del principio di legalità (art. 23): la legge
pone norme materiali che disciplinano compiutamente l’obbligazione
d’imposta, per cui l’individualizzazione amministrativa della norma
generale ed astratta avviene in presenza dei presupposti
predeterminati dalla legge, senza esercizio di discrezionalità. Una
certa discrezionalità può riconoscersi all’amministrazione nella
selezione dei soggetti da sottoporre a controllo.
B) La particolare potestà cui ci riferiamo, è quella che ha per oggetto la
sussistenza dell’obbligazione tributaria e che viene di solito
denominato potestà di imposizione o potestà accertativa. Essa non è
da confondere con il potere governativo di emanare norme astratte e
generali, ne con i poteri che l’amministrazione esercita per riscuotere
coattivamente i crediti d’imposta. E’ anch’essa un potestà normativa:
attua la individualizzazione di norme generali ed astratte mediante la
produzione di norme individuali e concrete.
3. Il procedimento d’imposizione.
L’attuazione dell’imposta da parte dell’amministrazione avviene con una
serie di attività di varia natura coordinate all’emanazione di un atto
conclusivo. Nel diritto amministrativo generale il procedimento ha trovato
riconoscimento e disciplina nella l. 7/8/90 n° 241. Tale legge si applica
anche ai procedimenti tributari con la sole eccezione del capo dedicato
alla partecipazione (del cittadino al provvedimento). Il procedimento
amministrativo in generale si articola in più fasi: le principali sono a) la
fase iniziale, b) la fase istruttoria, c) la fase conclusiva. Il procedimento
d’imposizione inizia sempre d’ufficio sia quando è mancata la
dichiarazione, sia quando questa è presentata, e quindi l’azione
dell’ufficio è rivolta a controllare e rettificare la dichiarazione. Inoltre, nel
criterio tributario d’imposizione non abbiamo una serie prestabilita di atti
da porre in essere prima dell’emanazione dell’atto finale. Ai procedimenti
tributari non si applicano come si è detto le norme generali in tema di
partecipazione del cittadino al procedimento. Solo in alcuni casi la legge
obbliga l’ufficio ad interpellare il contribuente ad a consentirgli una
qualche forma di difesa; è quindi rimesso alla discrezionalità dell’ufficio
dar vita ad un contraddittorio nel corso del procedimento. Nella fase
istruttoria , l’ufficio esperisce le indagini del caso per ricercare e verificare
i fatti fiscalmente rilevanti con l’uso dei poteri d’indagine che la legge gli
conferisce. Infine, si ha la fase conclusiva, ossia l’emanazione del
provvedimento d’imposizione. Il procedimento può concludersi però
anche senza emanazione di provvedimenti: ciò avviene quando l'ufficio
constata che non vi sono i presupposti per la emanazione di
provvedimenti.
4. Cinque problemi teorici.
a) problema della natura o struttura della norma tributaria
b) problema della natura della posizione soggettiva del singolo a fronte
dell’imposizione
c) problema della natura giuridica dell’atto d’imposizione
d) problema degli effetti dell’atto di imposizione
e) problema della natura del giudizio tributario.
5. La teoria dichiarativa.
Il complesso di problemi teorici ora indicati sono risolti in dottrina secondo
due orientamenti dei quali quello tradizionale è di tipo dichiarativo.
Secondo tale orientamento le leggi tributarie fanno scaturire direttamente
dal presupposto gli effetti obbligatori in cui si risolve il tributo. Di
conseguenza, tutti gli atti posti in essere dal contribuente o
dall’amministrazione finanziaria, non fanno parte del meccanismo
costitutivo del rapporto d’imposta, ma sono rivolti a dargli esecuzione o
ad accettarlo. Dal fatto che la legge tributaria descrive compiutamente il
fatto cui si collega l’imposta, alcuni deducono che il potere impositivo
dell’amministrazione ha natura di potere di mero accertamento, altri che
non esiste alcun potere amministrativo in senso proprio (mero atto). Per
la formulazione più nota della teoria dichiarativa, l’avviso di accertamento
( l’atto in cui si esprime il potere d’imposizione) è una manifestazione del
potere d’impero. Esso non produrrebbe una situazione giuridica nuova,
ma si limiterebbe a dichiarare ed accertare una situazione giuridica
preesistente ( il rapporto d’imposta sorto ex lege). Inoltre per questi
orientamenti dottrinali, il contribuente è titolare di un diritto soggettivo; di
conseguenza il contribuente cui è notificato un atto di accertamento che
non rispecchia esattamente la situazione di fatto o che non è conforme
alla legge, agisce in giudizio a tutela del diritto soggettivo leso dall’atto
amministrativo.
a) le norme tributarie sono norme materiali che danno vita direttamente
al verificarsi del presupposto d’imposta di un rapporto complesso
b) il contribuente, nello stadio che precede l’imposizione è titolare d’un
diritto soggettivo
c) l’atto di imposizione è, per alcuni, un provvedimento amministrativo (
autoritativo ed imperativo); per altri, invece, è un mero atto
d) effetto dell’atto di imposizione è quello di accertare il rapporto già sorto
ex lege; si ha dunque un effetto formale di accertamento, non una
modificazione sostanziale
e) il processo ha il compito di reintegrare il diritto soggettivo leso
dall’attività amministrativa, e di accertare il rapporto d’imposta sorto ex
lege, disapplicando l’atto impositivo.
6. La teoria costitutiva.
Alla teoria dichiarativa si contrappone la teoria costitutiva. Essa muove
dalla premessa che le norme tributarie non sono norme materiali, ma
norme strumentali norme, cioè che hanno per oggetto dei poteri:
nell’esercizio di questi poteri, l’amministrazione finanziaria emana atti di
imposizione, i quali hanno l’effetto, non già di accertare una preesistente
situazione giuridica, ma di costituire tale situazione. Situazione giuridica
del contribuente, di fronte al potere e all’atto di imposizione, come
posizione di interesse legittimo. Le dottrine costitutivistiche rispondono ai
problemi sopraindicati nel modo seguente:
a) considerano le norme tributarie come norme strumentali attributive
all’amministrazione finanziaria di un potere autoritativo
b) considerano il contribuente, nello stadio che precede l’imposizione, in
posizione di interesse legittimo
c) risolvono il problema della natura dell’atto di imposizione
considerandolo come un provvedimento autoritativo
d) assegnano a tale provvedimento ( definito atto di imposizione) effetti
costitutivi del rapporto obbligatorio d’imposta
e) ritengono che il processo tributario abbia per destinazione ( e per
oggetto) la verifica della legittimità degli atti di imposizione in funzione
del loro annullamento.
7. Considerazioni critiche e ricostruttive.
Vanno ora sviluppati alcuni rilievi critici:
a) è una stabile conquista dell’elaborazione kelseniana l’assunto che da
norme astratte generali, non scaturiscono, sul piano normativo, norme
individuali e concrete, se non interviene un atto normativo ( con
effetto) individuale e concreto. Ciò che da esistenza ad una norma è
soltanto l’essere enunciata da un atto normativo, non la deducibilità
logica della norma da norme preesistenti
b) la disputa se il contribuente, prima dell’imposizione, sia in posizione di
diritto soggettivo o di interesse legittimo, sembra priva di senso
perché, prima dell’imposizione, il privato non è titolare di alcuna
situazione giuridica soggettiva, ne di diritto soggettivo, ne di interesse
legittimo.
Prima dell’imposizione, c’è soltanto la norma tributaria che determina se e
quanto si deve pagare: ci sono norme indirizzate al fisco, circa il suo
potere d’imposizione; la situazione di diritto soggettivo, o di interesse
legittimo, del contribuente, quindi non è altro che un modo di vedere tali
norme dal punto di vista del contribuente. Concludendo: prima
dell’imposizione, non vi sono situazioni soggettive del privato, ma vi è
soltanto la situazione soggettiva di potere attribuita all’amministrazione
finanziaria. Non vi sono situazioni soggettive di diritto soggettivo del
privato, perché un simile diritto soggettivo non è altro che il riflesso, dal
punto di vista del privato, del dovere dell’amministrazione di esercitare il
potere impositivo nei modi, nella misura, in presenza dei presupposti
legislativamente previsti. Non vi sono situazioni soggettive di interesse
legittimo, perché le varie definizioni di interesse legittimo, che descrivono
la posizione del privato prima dell’imposizione, non denotano alcuna
effettiva posizione giuridica del privato: esse connotano una futura
situazione soggettiva del privato, legata all’eventualità che l’imposizione
sia illegittima.
c) l’atto d’imposizione è un atto normativo, esercizio di una situazione
soggettiva di potere, ed è un atto autoritativo. Esso ha effetti costitutivi, in
quanto costituisce, una norma individuale e concreta, non esistente in
precedenza. Esso non ha, quindi, effetti di accertamento di un
preesistente effetto giuridico. Sul piano descrittivo, nulla ci impedisce di
indicare il potere dell’amministrazione, che scaturisce dall’atto di
imposizione, in termini di credito dell’amministrazione; nulla ci impedisce
di denotare la posizione del privato, cui quel credito si rivolge, in termini di
obbligazione, è nulla ci impedisce di sintetizzare il tutto in termini di
rapporto giuridico, purché, però, risulti ben chiaro, sul piano della teoria
generale, che non vi sono due situazioni giuridiche ( credito da un lato,
obbligazione dall’altro), ma ve ne è una soltanto ( la seconda essendo
soltanto il riflesso della prima).
Capitolo nono
Gli obblighi dei contribuenti
Sezione prima – gli obblighi contabili –
1. Considerazioni preliminari.
Dei tre modelli di attuazione delle leggi d’imposta, indicati in via astratta,
quello accolto dal nostro ordinamento per la più parte dei tributi è il
modello della imposizione eventuale. Le ragioni della scelta legislativa
sono evidenti: la massa enorme di adempimenti richiesti da tali imposta
non possono che essere affidate, innanzitutto agli stessi contribuenti, i
quali devono adempiere una serie assai vasta di obblighi c.d. formali o
strumentali.
2. La contabilità degli imprenditori ( norme civilistiche).
Le norme fiscali in materia di contabilità presuppongono e integrano le
norme del codice civile ed i canoni della ragioneria.
A) Ai sensi dell’art. 2214 c.c., l’imprenditore che esercita un’attività
commerciale deve tenere il libro giornale e i libro degli inventari. Il libro
giornale è una scrittura contabile che ripete il suo contenuto dal
brogliaccio o prima nota. Nella prima nota i fatti di gestione sono
rilevati in ordine cronologico; essa è il presupposto dal quale i fatti di
gestione sono poi riportati nel libro giornale (ord. Cronologico) e nel
mastro (ord. Sistematico). Nel libro giornale sono registrate, giorno per
giorno, in articoli separati, le operazioni relative all’esercizio
dell’impresa. Esso è dunque una scrittura la cui caratteristica
principale è data dal fatto che i fatti di gestione sono annotati in ordine
cronologico, giorno per giorno. Nel diritto tributario è previsto che le
annotazioni siano compiute entro 60 gg.
B) Il c.c. non menziona il libro di mastro, ma l’obbligo di tenerlo deriva da
ragioni sistematiche. Nei conti di mastro, i fatti di gestione sono rilevati
in ordine sistematico, ossia in relazione all’oggetto della rilevazione.
Nel libro mastro confluiscono i conti: ogni conto si compone di due
sezioni , quella del dare e quella dell’avere.
C) La natura e la dimensione dell’impresa possono rendere necessarie
altre scritture ( obbligatorie ausiliarie). La normativa del c.c. tiene in
considerazione, principalmente, le imprese industriali e mercantili.
D) Il libro giornale ripete il suo contenuto dalla prima nota; a sua volta gli
inventari derivano dal libro giornale e dai conti di mastro. Nel libro
degli inventari sono riportati annualmente i bilanci, ossia lo S.P. ed il
C.E.. Il bilancio d’esercizio delle società deve essere accompagnato
dalla relazione del consiglio di amministrazione e da quella dei sindaci.
3. La contabilità fiscale ordinaria.
All’interno della categoria (fiscale) degli imprenditori commerciali,
bisogna distinguere gli imprenditori soggetti al regime della contabilità
ordinaria e gli imprenditori (imprese minori) il cui regime di contabilità è
semplificato. Sono soggetti al regime della contabilità ordinaria i seguenti
soggetti:1) le società e gli enti commerciali soggetti all’imposta sul reddito
delle persone giuridiche; 2) gli imprenditori individuali e le società di
persone con ricavi superiori a 360 ml. annui; 3) gli imprenditori minori che
optano per il regime di contabilità ordinaria.
A) ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i soggetti passivi debbono
emettere fattura per ogni operazione fiscalmente rilevante. Le fatture
devono essere annotate, entro 15 gg. dalla loro emissione, secondo
l’ordine della loro numerazione, nel registro delle fatture. I
commercianti al minuto, non obbligati ad emettere le fatture, devono
tenere ( in luogo del registro delle fatture), il registro dei corrispettivi.
Soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto devono numerare in
ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni e
servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o
professione, ed annotarla in apposito registro (reg. degli acquisti) entro
il mese successivo a quello in cui le hanno ricevute.
B) Agli effetti delle imposizioni sui redditi, gli imprenditori commerciali
devono tenere le seguenti scritture contabili: 1) i libro giornale e il libro
degli inventari; 2) i registri prescritti ai fini dell’imposta sul valore
aggiunto; 3) le scritture ausiliarie in cui registrare gli elementi
patrimoniali e reddituali che concorrono alla formazione del reddito; 4)
le scritture ausiliarie di magazzino; 5) il registro dei beni
ammortizzabili; 6) il registro riepilogativo di magazzino; 7) il registro
della lettura dei codici. Le scritture di magazzino devono essere tenute
soltanto dalle imprese che abbiano superato i limiti di 2 mld. di ricavi e
di 500 ml. di rimanenze. Tali scritture indicano le quantità, non il
valore, dei beni da valutare con il criterio delle rimanenze (così detti
beni merce). Il libro dei cespiti ammortizzabili registra i beni per i quali
è ammesso l’ammortamento: in esso sono annotati i costi di acquisto,
gli ammortamenti, eventuali rivalutazioni, le cessioni ed altri eventi che
comportano l’eliminazione del bene dal processo produttivo. Le
irregolarità contabili sono punite con sanzioni amministrative e penali e
legittimano l’ufficio ad accertare il reddito in via induttiva.
C) La tenuta della contabilità con sistemi meccanografici è considerata
regolare se il contribuente è in grado di procedere alla stampa non
appena richiesto dagli organi verificatori.
4. Le imprese minori e la contabilità semplificata.
Alla regole della contabilità ordinaria non sono soggetti tutti gli
imprenditori perché, per le imprese minori, è previsto un regime
semplificato di contabilità. Va messo in rilievo, da un lato, che la nozione
di impresa minore ai fini tributari non coincide con la nozione civilistica di
piccolo imprenditore e, dall’altro, che lo statuto fiscale dell’impresa minore
ha rilievo, non soltanto ai fini degli obblighi contabili, ma anche ad altri
fini. La nozione fiscale di impresa minore è legata alle dimensioni del
fatturato; sono imprese minori le imprese individuali e società di persone
il cui fatturato non supera una determinata soglia (360 ml. per periodo
d’imposta). La contabilità fiscale semplificata è composta,
essenzialmente, dai registri IVA, cioè da registri dove sono annotati
acquisti e vendite. Le imprese minori non sono obbligate a tenere, le
scritture contabili di cui consta la contabilità ordinaria (giornale, inventari,
scritture ausiliarie) e la dichiarazione dei redditi sarà elaborata sulla base
dei dati desunti dai registri IVA. Data la sua rudimentalità la contabilità
semplificata è poco attendibile quindi il controllo del fisco nei confronti
delle imprese minori, è fondato, non sulla contabilità, ma su standards
medi di redditività di coefficienti presuntivi.
5. La contabilità dei lavoratori autonomi.
Anche i lavoratori autonomi sono gravati da obblighi contabili ed anche
tra i lavoratori autonomi dobbiamo distinguere quelli in contabilità
ordinaria dai minori. I lavoratori autonomi che percepiscono compensi
superiori ad un dato ammontare, sono soggetti al regime di contabilità
ordinaria, tale regime comporta: 1) la tenuta dei registri degli incassi e dei
pagamenti; nel primo registro devono essere indicate le somme
percepite; 2) le indicazioni degli incassi e delle spese devono essere
integrate dall’annotazione delle movimentazioni finanziarie inerenti
all’esercizio dell’arte o della professione, collegate alle movimentazioni di
un apposito c/c bancario, utilizzato soltanto per i movimenti finanziari
relativi all’attività di lavoro autonomo, e i movimenti di tale conto devono
essere annotati nei registri; 3) la tenuta dei registri obbligatori ai fini
dell’imposta sul valore aggiunto; 4) la tenuta del registro dei beni
ammortizzabili; 5) la tenuta del registro dei compensi a terzi, cioè a
lavoratori non dipendenti, che collaborano in veste di lavoratori autonomi.
I lavoratori autonomi che realizzano entrate inferiori ad una certa soglia
sono anch’essi soggetti ad obblighi contabili semplificati. Essi possono
optare tra contabilità ordinaria o semplificata. I contribuenti in regime di
contabilità semplificata possono limitarsi a tenere un unico registro per gli
incassi e i pagamenti, valido sia ai fini IVA che ai fini delle imposte dirette.
Non sono obbligati ad istituire il conto bancario utilizzato solo per la
professione. Non devono tenere il libro dei cespiti ammortizzabili e dei
compensi a terzi. Anche per loro come per le imprese minori, vi sono
coefficienti presuntivi per il controllo delle dichiarazioni.
6. Fatture, ricevute, bolle, scontrini.
Va ricordato che i contribuenti sono obbligati ad emettere taluni particolari
documenti:
a) i soggetti passivi dell’IVA devono emettere fattura per le operazioni
comunque rilevanti ai fini di tale tributo
b) i soggetti passivi dell’IVA che effettuino operazioni al dettaglio,
possono emettere in luogo della fattura una ricevuta fiscale
c) alcuni soggetti passivi dell’IVA, che effettuano operazioni al dettaglio
devono tenere un registratore di cassa e rilasciare lo scontrino fiscale
d) per i beni viaggianti, deve essere emessa una bolla di
accompagnamento
7. La contabilità dei sostituti.
Le scritture contabili che devono tenere i sostituti sono: i libri paga; i libri
matricola; le schede dei compensi a terzi. Nelle prime due scritture sono
annotate le somme corrisposte ai dipendenti, con le ritenute effettuate,
mentre la terza concerne le somme erogate ad altri soggetti da sottoporre
a ritenuta. Come vedremo, i dipendenti possono omettere la
presentazione al fisco della dichiarazione dei redditi presentando al
sostituto una speciale dichiarazione nella quale sono indicati gli altri
redditi posseduti e gli oneri deducibili.
8. I centri autorizzati di assistenza fiscale.
La tenuta della contabilità può essere affidata ai centri autorizzati di
assistenza fiscale. Si tratta di enti privati, aventi forma di S.p.A. e costituiti
previa autorizzazione del Ministero delle finanze. Essi possono: tenere e
conservare le scritture contabili controllando la regolarità formale della
documentazione contabile prodotta dagli utenti; predisporre le
dichiarazioni annuali e i relativi allegati cui sono tenuti i titolari di reddito di
imprese e di redditi dei terreni; apporre il visto di conformità formale;
inoltrare le dichiarazioni dei redditi da essi predisposte e le relative
registrazioni su floppy disk. Le attività dei centri possono essere svolte
anche da professionisti abilitati (dottori commercialisti, ragionieri) i quali
possono anche apporre sulle dichiarazioni d essi predisposte il visto di
conformità.
Capitolo nono
Sezione seconda – gli obblighi di dichiarazione –
9. La dichiarazione dei redditi.
A) La regola generale, in materia di soggetti obbligati, è che ogni persona
fisica che nel periodo d’imposta di riferimento abbia posseduto redditi,
è obbligata a presentare la dichiarazione anche se da tali redditi non
consegue alcun debito d’imposta; inoltre i soggetti obbligati alla tenuta
di scritture contabili ( imprenditori e lavoratori autonomi) devono
presentare annualmente la dichiarazione anche se non hanno
prodotto redditi.
B) La principale ipotesi di esonero dall’obbligo di dichiarazione riguarda i
lavoratori dipendenti. Essi sono esonerati dall’obbligo di dichiarazione
se hanno percepito redditi da un solo datore di lavoro e non hanno
altri redditi da dichiarare. Se hanno altri redditi da dichiarare, o oneri
deducibili da far valere possono presentare una speciale dichiarazione
al sostituto d’imposta, il quale a sua volta riprenderà tali dati nella
propria dichiarazione. Sono inoltre esonerati dall’obbligo di
dichiarazione i soggetti che possiedono soltanto redditi esenti o redditi
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
C) La dichiarazione dei redditi è un atto il cui contenuto è molto vario e
complesso. La indicazione dei redditi è comunque il contenuto tipico e
D)
E)
F)
G)
H)
caratteristico di tale atto. Nella dichiarazione devono essere indicati gli
elementi attivi e passivi rilevanti per l’applicazione delle imposta sui
redditi; è questo il contenuto necessario dell’atto. La dichiarazione si
compone di vari quadri, corrispondente ciascuno ad una categoria
reddituale. Vi sono poi dei quadri riassuntivi nei quali devono essere
indicati il reddito complessivo, gli oneri deducibili, l’imposta lorda, le
detrazioni d’imposta, l’imposta netta, le ritenute e i versamenti
d’acconto, i crediti d’imposta ed infine il saldo finale (somma da
versare o credito)
Se il contenuto tipico e caratteristico della dichiarazione dei redditi è la
indicazione di elementi reddituali la legge impone anche la
dichiarazione di altri dati ed elementi. Ecco l’elenco: 1) aeromobili da
turismo, navi, imbarcazioni da riporto, altri mezzi di trasporto a motore
oltre i 250 centimetri e roulotte per cavalli da equitazione e da corsa;
2) residenze principali e secondarie; 3) collaboratori familiari e altri
lavoratori addetti alla casa e alla famiglia; 4) riserve di caccia e di
pesca; 5) assicurazioni; 6) utenze telefoniche. Il Ministro delle finanze
può con suo decreto modificare e integrare tali dati o escludere
l’obbligo di indicare dati e notizie che l’amm. è in grado di acquisire
direttamente.
Vi sono diverse voci della dichiarazione che il contribuente deve
essere in grado di comprovare documentalmente. Il contribuente non
deve allegare i documenti, ma è obbligato a conservarli e, se richiesto,
a esibirli all’ufficio delle entrate che voglia controllarli.
La dichiarazione può essere presentata in due luoghi: o presso il
comune di domicilio fiscale, o all’amministrazione finanziaria. La
dichiarazione deve essere redatta su stampati conformi ai modelli
approvati con decreto ministeriale; le persone fisiche ne devono
presentare anche una copia per il comune di domicilio fiscale. Dal
punto di vista dei termini le legge pone termini iniziali e finali. La
dichiarazione delle persone fisiche deve essere presentata entro il 1°
maggio e il 30 giugno; le società devono presentarla entro un mese
dall’approvazione del bilancio; i sostituti tra il 1° e il 30 aprile. Le
dichiarazioni presentate entro un mese dalla scadenza sono valide ma
il dichiarante è punito con una pena pecuniaria. Invece le dichiarazioni
presentate con ritardo superiore al mese si considerano omesse a tutti
gli effetti, ma sono titolo per la riscossione degli imponibili in esse
dichiarate
Presentare la dichiarazione è di regola, un obbligo dei soggetti passivi
delle imposte sul reddito; ma non tutti i contenuti della dichiarazione
sono oggetto di un obbligo. Vi sono dati che è obbligatorio indicare,
dati che è facoltativo indicare. E’ obbligatorio indicare ciò che risponde
all’interesse del fisco ed è facoltativo indicare gli elementi che hanno
rilievo a favore del contribuente.
Gli obblighi relativi alla dichiarazione sono presidiati da sanzioni
amministrative e penali. Ai fini delle sanzioni amministrative la
dichiarazione può essere omessa, nulla, incompleta e infedele. Si
parla di omissione non solo quando la dichiarazione non è stata
presentata affatto, ma anche quando è stata presentata oltre un mese
dalla scadenza. La legge qualifica come nulla la dichiarazione non
redatta su stampati conformi al modello ministeriale e quella non
sottoscritta. Si parla di dichiarazione infedele quando un reddito netto
non è indicato nel suo esatto ammontare, e di dichiarazione
incompleta quando è completamente omessa l’indicazione di una
fonte reddituale; l’infedeltà è punita con pena pecuniaria da una a due
volte l’imposta non dichiarata; l’incompletezza e l’omissione sono
punite con pena pecuniaria da due a quattro volte.
10.
Fattispecie particolari.
Passiamo ora ad esaminare alcune fattispecie particolari.
A) La dichiarazione delle società semplici, delle altre società di persone e
degli enti equiparati, vale sia agli effetti dell’ILOR, sia agli effetti
dell’imposta sui redditi dovuta dal socio.
B) Per le persone fisiche legalmente incapaci (minori non emancipati,
interdetti), l’obbligo della dichiarazione è imposto al rappresentante
legale; abbiamo in questo caso, dissociazione tra titolarità del reddito
e obbligo di dichiarazione, perché il rappresentante legale è obbligato
alla dichiarazione ma non è soggetto passivo del tributo.
C) In caso di liquidazione di società o enti soggetto all’IRPEG, o di
società di persone ed enti equiparati, il periodo d’imposta in corso al
momento della messa in liquidazione si interrompe; l’obbligo di
dichiarare redditi relativi a tale particolare periodo spetta al liquidatore,
che deve presentare la dichiarazione entro 4 mesi dalla messa in
liquidazione.
D) In caso di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa, curatore e
commissario liquidatore devono presentare due dichiarazioni: una
relativa al periodo intercorrente tra l’inizio del periodo d’imposta in
corso alla data del fallimento o della liquidazione e l’inizio del
fallimento o della liquidazione coatta amministrativa; una successiva
alla chiusura del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa.
E) In caso di trasformazione di una società di persone in società di
capitali e viceversa, si ha interruzione del periodo d’imposta e quindi
l’obbligo di presentazione della dichiarazione entro 4 mesi dalla
trasformazione. Analogo obbligo si ha in caso di incorporazione o di
fusione.
F) Gli eredi di un soggetto obbligato a presentare la dichiarazione dei
redditi succedono al de cuius nel relativo obbligo: si ha però a favore
degli eredi, una proroga del termine per la presentazione della
dichiarazione stessa.
G) Nel caso di impresa familiare la dichiarazione dell’imprenditore deve
recare l’indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai
familiari e l’attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla
quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa nel periodo
d’imposta.
11.
Natura giuridica della dichiarazione dei redditi.
Il contribuente non deve soltanto enunciare una serie di fatti, dati e
notizie, ma deve anche qualificarli giuridicamente; ad esempio, non basta
indicare di aver conseguito un dato reddito, ma occorre anche inserirlo
nel quadro appropriato. Gli effetti giuridici che derivano dalla
dichiarazione non sono comunque, effetti voluti dal dichiarante; la
dichiarazione, perciò, non è un atto negoziale, ma un mero atto. In
passato la dichiarazione dei redditi era assimilata ad una confessione, e
quindi si riteneva applicabile ad essa l’art. 2732 del c.c. secondo cui la
confessione non può essere revocata se non si prova che è stata
determinata da un errore di fatto o da violenza. Oggi tale impostazione
deve considerarsi superata, si ammette infatti la rettificabilità dei dati
dichiarati.
12.
Effetti della dichiarazione dei redditi.
A) La dichiarazione è innanzitutto ,un atto che assume rilievo nelle attività
amministrative rivolte al controllo degli adempimenti cui sono tenuti i
contribuenti e all’emissione di avvisi di accertamento. La dichiarazione
ha , insomma, rilevanza procedimentale. Essa condiziona l’attività di
controllo dell’amministrazione, i metodi di rettifica del reddito
dichiarato, il tipo di avviso di accertamento. Nel quadro del rilievo
procedimentale della dichiarazione, ne va considerato anche il rilievo
probatorio. Tutto ciò che non emerge dalla dichiarazione deve essere
motivato e provato dall’amministrazione.
B) Rispetto all’obbligazione tributaria, la dichiarazione è da considerare
diversamente a seconda che si segua la teoria costitutiva o quella
dichiarativa. Secondo la teoria costitutiva, la dichiarazione è elemento
della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, mentre, secondo la teoria
dichiarativa, la fattispecie costitutiva dell’obbligazione è integrata (
soltanto) dal presupposto, e quindi la dichiarazione è estranea al
congegno che genera l’obbligazione.
C) La dichiarazione è titolo per la riscossione delle somme in essa
indicate come somme da versare.
D) Ove dal saldo finale della dichiarazione risulti un credito del
dichiarante, la dichiarazione è titolo che obbliga l’amministrazione a
provvedere al rimborso; la dichiarazione, quindi, è , alternativamente,
titolo di riscossione o titolo di rimborso.
13.
Rettificabilità della dichiarazione dei redditi.
Può accadere che la dichiarazione sia errata, a danno del fisco o a danno
del contribuente. La dichiarazione, una volta presentata è acquisita in
modo definitivo dal fisco. Scaduto il termine la dichiarazione presentata
non è sostituibile ma ne è possibile entro certi limiti la rettifica.
A) La legge disciplina espressamente la possibilità di presentare una
dichiarazione integrativa la cui funzione è quella di porre rimedio ad
infedeltà o incompletezze della dichiarazione originaria. Ciò può
essere fatto al più tardi entro il termine per la presentazione della
dichiarazione relativa al secondo periodo d’imposta successivo. Uno
dei vantaggi derivanti da questo ravvedimento operoso attiene alle
sanzioni; per effetto della dichiarazione integrativa, non si applicano le
pene pecuniarie previste per la incompletezza e infedeltà della
dichiarazione originaria, ma si applica una soprattassa, graduata in
ragione del momento in cui viene presentata la nuova dichiarazione.
B) La legge non disciplina espressamente il caso in cui il dichiarante
abbia errato a suo danno ( es: abbia dichiarato redditi inesistenti). Qui,
se in conseguenza di tale errore, il contribuente ha quantificato e
versato una somma maggiore di quella dovuta, il rimedio è dato, non
dalla presentazione di una nuova dichiarazione, ma dall’istanza di
rimborso. Gli errori della dichiarazione possono essere fatti valere
mediante ricorso contro il ruolo. Sulla base della dichiarazione, se non
sono state versate le somme dovute in base alla stessa dichiarazione,
l’amministrazione può procedere ad iscrizione a ruolo; in sede di
ricorso contro il ruolo, possono essere fatti valere gli errori commessi
in sede di dichiarazione. Errori rettificabili sono soltanto quelli che
attengono alle dichiarazioni di scienza; le opzioni non sono rettificabili.
14.
Le dichiarazioni dei sostituti.
Anche i sostituti d’imposta sono gravati da obblighi di dichiarazione.
Vanno distinti due tipi di obblighi.
A) I sostituti d’imposta sono tenuti a presentare una dichiarazione dalla
quale risultino le somme ed i valori corrisposti e le ritenute effettuate;
nel caso di ritenute d’acconto, debbono essere indicate le generalità
dei percipienti, mentre tale indicazione non è richiesta per le ritenute a
titolo d’imposta.
B) Un secondo ordine di obblighi concerne i sostituti che corrispondono
redditi di lavoro dipendente. Coloro che possiedono redditi di lavoro
dipendente possono non presentare la dichiarazione dei redditi al
fisco, ma presentare al sostituto, una speciale dichiarazione nella
quale devono indicare gli altri redditi posseduti, gli oneri deducibili e gli
altri elementi necessari per la determinazione dell’imponibile e la
liquidazione dell’imposta. Il sostituto d’imposta ha l’obbligo di ricevere
le dichiarazioni ( e di controllarne la regolarità formale); esso deve,
inoltre, liquidare le imposte ed effettuare i conguagli in relazione alle
ritenute effettuate ed ai versamenti d’acconto. Il sostituto deve, infine,
presentare la propria dichiarazione, indicando in essa anche gli
elementi risultanti dalle dichiarazioni che gli sono state rese dai
sostituti.
15.
Le dichiarazioni di imposte indirette.
A) Nel procedimento applicativo dell’imposta di registro, la dichiarazione
occupa un’importanza ridotta, poiché gli elementi da portare a
conoscenza del fisco sono generalmente racchiusi nello stesso atto da
registrare: la dichiarazione, quindi, non è un atto autonomo e dotato di
autonoma rilevanza giuridica, ma è piuttosto un dato soltanto logico ed
implicato nell’atto da registrare. Lo sviluppo del procedimento
applicativo dell’imposta di registro è il seguente: sulla base dei soli
elementi risultanti dall’atto da registrare e comunque denunciati dalle
parti, il fisco liquida l’imposta c.d. principale, che va assolta senza
indugio; successivamente potrà aversi un’imposta supplementare ( per
rimediare ad eventuali errori commessi nella liquidazione dell’imposta
principale) o un’imposta supplementare ( in ogni caso in cui l’imposta
principale non esaurisca la tassazione).
B) Per l’imposta sulle successioni abbiamo una disciplina piuttosto
articolata. La dichiarazione deve essere presentata dai chiamati
all’eredità e legatari. La dichiarazione deve essere redatta in
conformità al modello approvato dal Ministro delle finanze e deve
indicare, tra l’altro, le generalità del defunto e degli eredi e legatari, i
beni compresi nell’asse ereditario, con il loro valore; gli atti compiuti
dal defunto negli ultimi 6 mesi, con i corrispettivi relativi; le passività
con l’indicazione delle prove. Alla dichiarazione devono essere allegati
vari documenti tra cui: certificato di morte e stato di famiglia del
defunto. Il termine per la presentazione della dichiarazione è di 6 mesi
dall’apertura della successione.
C) Per l’imposta sull’incremento di valore degli immobili bisogna
distinguere l’imposta dovuta in caso di alienazione, dall’imposta
dovuta per decorso del possesso decennale. Nel primo caso, occorre
presentare una dichiarazione indicante valore iniziale, valore finale e
spese incrementative. Nel caso di possesso decennale, va presentata
apposita dichiarazione entro il 31/1 o il 31/7 successivo al semestre in
cui si è compiuto il decennio.
D) Per l’imposta sul valore aggiunto, vi è obbligo di presentare una
dichiarazione tra il 1/2 e il 15/3 di ciascun anno, indicando in essa:
l’ammontare delle operazioni imponibili e delle relative imposte;
l’ammontare degli acquisti e delle importazioni, con le relative imposte,
l’ammontare delle somme versate, ed il saldo finale. La dichiarazione
deve essere presentata da tutti i soggetti passivi IVA, anche se,
nell’anno, non sono state compiute operazioni imponibili.
Capitolo decimo
L’istruttoria
1. L’istruttoria ai fini delle imposte sui redditi e Iva.
Passiamo ora ad esaminare l’attività dell’amministrazione, volta al
controllo degli adempimenti dei contribuenti, e quindi, all’eventuale
emanazione di un atto di imposizione (c.d. avviso di accertamento) o di
riscossione ( avviso di liquidazione, iscrizione a ruolo). Mentre
l’emanazione dell’avviso di accertamento è una prerogativa esclusiva
degli uffici, l’attività investigativa è svolta anche da altri organi (g.d.f.,
secit). In materia di imposte dirette ed Iva, il controllo non è generale; non
ha cioè per oggetto la generalità delle dichiarazioni e dei contribuenti, ma
si rivolge nei confronti di soggetti selezionati secondo particolari criteri. Il
Ministro delle finanze programma annualmente l’attività istruttoria degli
uffici, emanando decreti, nei quali sono stabiliti i criteri selettivi in base ai
quali deve essere operata la scelta dei contribuenti da controllare.
2. La partecipazione del privato.
La partecipazione del contribuente all’attività di controllo è assai ridotta;
l’ufficio non è obbligato ad avvertirlo dell’indagine avviata nei suoi
confronti, ne vi è un generale riconoscimento legislativo del diritto del
privato a partecipare al procedimento ed a difendersi, prima che sia
emesso a suo carico un fatto impositivo. Non è infatti previsto in modo
sistematico e vincolante un contraddittorio tra uffici e contribuenti. In
generale è una facoltà non un obbligo dell’ufficio, interpellare il
contribuente nello svolgimento delle indagini e consentirgli di difendersi
prima dell’emanazione di atti di accertamento a suo carico; solo in alcuni
casi, la partecipazione del privato è obbligatoria. Il coinvolgimento del
contribuente è invece obbligatorio, ad esempio, quando l’ufficio intenda
emettere un accertamento sulla base dei coefficienti presuntivi, o quando
si procede ad accessi, ispezioni o verifiche.
3. Controllo formale della dichiarazione.
Il primo dei controlli cui è sottoposta la dichiarazione è di tipo formale, e si
inserisce, non nel processo di imposizione, ma in quelli rivolti alla
riscossione a ai rimborsi.
A) La dichiarazione dei redditi è infatti sottoposta ad un controllo formale
effettuato dai Centri di servizio; tali centri hanno compiti limitati,
finalizzati alla liquidazione dell’imposta dovuta in base alla
dichiarazione, ovvero all’effettuazione dei rimborsi. In sede di controllo
formale essi: correggono gli errori materiali e di calcolo; escludono le
ritenute non comprovate dai certificati dei sostituti d’imposta;
escludono le detrazioni d’imposta non previste dalla legge; escludono
le deduzioni dal reddito complessivo delle persone fisiche di oneri non
previsti dalla legge o non comprovati da documenti idonei; controllano
i crediti d’imposta e i versamenti. L’esito di tale controllo può
comportare la riliquidazione dell’imposta dovuta; la maggiore imposta
sarà riscossa mediante iscrizione a ruolo. Poiché le rettifiche effettuate
in sede di controllo formale danno luogo ad una iscrizione a ruolo
diretta ( e non all’emanazione di un avviso di accertamento), le ipotesi
di rettifiche qui considerate sono tassative; ogni altra rettifica della
dichiarazione deve essere effettuata con avviso di accertamento.
B) Nell’imposta sulle successioni, di registro, e nell’INVIM, la
dichiarazione del contribuente costituisce il dato istruttorio sulla cui
base l’ufficio opera la liquidazione dell’imposta principale. La
liquidazione dell’imposta viene comunicata al contribuente oralmente
o con apposito avviso ( avv. di liquidazione). Nella disciplina
dell’imposta sulle successioni, vi è una norma che regola il controllo
formale delle denunce di successione simile alla norma in materia di
imposte dirette. Nella denuncia di successione, deve essere indicata
la base imponibile, non l’imposta; correlativamente, il controllo formale
si esercita sulla determinazione della base imponibile fatta dal
dichiarante. Gli uffici preposti ad amministrare tale imposta possono:
correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante
nella determinazione della base imponibile; escludere le passività non
deducibili o non documentate; disconoscere le riduzioni o detrazioni
non previste dalla legge o non documentate. L’imposta dovuta in base
a questo controllo, ed a queste rettifiche, è richiesta al contribuente
mediante avviso di liquidazione; ogni altra rettifica della dichiarazione
deve essere effettuata con avviso di accertamento.
4. Accessi, ispezioni e verifiche.
Il controllo sostanziale è affidato agli uffici delle imposta ad alla g.d.f.; per
lo svolgimento di tali indagini, uno degli strumenti più efficaci è
l’effettuazione di accessi, ispezioni e verifiche.
A) Per quel che riguarda l’accesso, gli impiegati dell’amministrazione
finanziaria che eseguono l’accesso devono essere muniti, in ogni
caso, di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal
capo dell’ufficio da cui dipendono. In alcuni casi è richiesta anche
l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Per l’accesso nei
locali adibiti ad attività commerciali e per l’accesso in locali adibiti ad
attività di lavoro autonomo è sufficiente l’autorizzazione del capo
dell’ufficio. Però, nel caso di accesso nei locali destinati all’esercizio di
arti e professioni, è richiesta la presenza del titolare dello studio (o di
un suo delegato). Nel caso di accessi in studi professionali, vi è da
contemperare la tutela dell’interesse fiscale con quella del segreto
professionale. Per l’esame di documenti e la richiesta di notizie cui
venga eccepito il segreto professionale si esige l’autorizzazione del
Procuratore della Repubblica. Per l’accesso nelle abitazioni, si
richiede (oltre all’autorizzazione del capo dell’ufficio) anche
l’autorizzazione del P. Della Rep., che può essere concessa soltanto
in presenza di gravi indizi di violazioni della norme fiscali, ed allo
scopo di reperire libri, registri, documenti ed altre prove delle
violazioni. La norma contempera due esigenze: da un lato la tutela del
domicilio, dall'altro la tutela degli interessi fiscali. Art. 14: il domicilio è
inviolabile. E’ quindi in ossequio ad una esigenza costituzionalmente
prevista che l’accesso nelle abitazioni per motivi fiscali è consentito
solo in presenza di due presupposti, uno sostanziale ( gravi indizi di
violazioni) ed una formale ( autorizzazione motivata dell’autorità
giudiziaria). L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica è
necessaria anche per procedere a perquisizioni personali e
all’apertura di plichi, casseforti, ecc.
B) L’ispezione documentale ha per oggetto i libri, registri, documenti e
scritture che si trovano nei locali compresi quelli la cui tenuta e
conservazione non sono obbligatori.
C) Le verificazioni infine, sono i controlli sugli impianti, sul personale
dipendente, sull’impiego di materie prime ed altri acquisti.
D) Di ogni accesso deve essere redatto un processo verbale da cui
risultino le ispezioni e rilevazioni eseguite, le richieste fatte al
contribuente, e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto
dal contribuente, che ha diritto di averne copia. Viene redatto, inoltre,
un processo verbale di constatazione, che sintetizza i dati rilevati. Nel
processo verbale di constatazione sono anche quantificate le sanzioni
pecuniarie irrogabili, al fine di consentire al contribuente la c.d.
definizione in via breve.
5. Indagini bancarie.
A) Gli uffici delle imposte e la G.d.f. hanno il potere di richiedere alla
aziende ed istituti di credito copia dei conti intrattenuti con il
contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti e connessi
a tali conti. Dal punto di vista procedurale, vi è da notare che gli uffici
delle imposte e la G.d.f., prima di svolgere indagini bancarie, debbono
essere autorizzati, rispettivamente dall’ispettore compartimentale delle
imposte dirette e dal comandante di zona; e che l’azienda di credito
deve dare immediatamente notizia al contribuente delle richieste
ricevute. Acquisiti i dati bancari, l’ufficio può chiedere dati e notizie al
contribuente, invitandolo a comparire di persona o inviandogli
questionari. Il motivo di questa ulteriore fase istruttoria è in ciò che, se
i dati rilevati dai conti non trovano riscontro nella contabilità, operano
delle presunzioni legali relative di evasione. Più esattamente, se vi
sono incassi non registrati, si presume che ad essi corrispondano
ricavi non registrati; quando vi sono prelevamenti non registrati, si
presume che ai prelevamenti corrispondano costi non registrati, e che
a tali costi corrispondano ricavi ugualmente non registrati; il
contribuente può vincere tali presunzioni offrendo la prova contraria,
ed indicando il beneficiario dei prelevamenti.
B) La G.d.f. che scopra, in sede di indagini preliminari, documenti, dati e
notizie relativi alle situazioni e movimentazioni bancarie, può
trasmettere tali dati agli uffici delle imposte, ma occorre
un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che
disciplinano il segreto delle indagini penali.
6. Inviti e richieste.
Meno penetranti e perciò non subordinati a particolari presupposti, sono
altri poteri di cui il fisco dispone, sia nei confronti del soggetto controllato,
sia nei confronti di terzi. Esaminiamo, tali poteri, distinguendo tra quelli
che riguardano il contribuente e quelli che riguardano i terzi.
A) L’ufficio può innanzitutto, invitare i contribuenti a comparire di persona
per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro
confronti. In secondo luogo l’ufficio può invitare il contribuente ad
esibire o trasmettere atti e documenti. In terzo luogo, l’ufficio può
inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere
specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti.
B) Per quanto riguarda i terzi, bisogna ulteriormente distinguere i terzi
che hanno veste pubblica, dai terzi che sono soggetti di diritto privato.
L’ufficio può richiedere agli organi e alle amministrazioni dello Stato,
agli enti pubblici non economici, alle società di assicurazioni, agli enti
che effettuano pagamenti e riscossioni per conto terzi o che svolgono
attività di intermediazione e gestione finanziaria, la comunicazione di
dati e notizie relativi a determinati soggetti o categorie di soggetti.
Inoltre, l’ufficio può richiedere ai notai, ai procuratori del registro, ai
conservatori dei registri immobiliari e ad ogni altro pubblico ufficio
copia di atti depositati presso di essi. Per quanto riguarda gli altri terzi,
il fisco può chiedere ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture
contabili dati e documenti relativi ad attività svolte nei confronti di
clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo.
7. Anagrafe tributaria e codice fiscale.
Un potente ausilio può essere fornito agli uffici da i sistemi informatici; a
tale scopo esiste l’anagrafe tributaria, che è una struttura che raccoglie
ed ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni
presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria e dai relativi
accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere
rilevanza ai fatti fiscali. Ogni cittadino od ente deve essere iscritto
all’anagrafe, ed avere un numero di codice fiscale, la cui indicazione è
obbligatoria in una vasta serie di atti destinati ad essere memorizzati
presso l’anagrafe.
8. Collaborazione dei comuni.
Per l’accertamento dei redditi delle persone fisiche e per l’accertamento
dell’INVIM, gli uffici fiscali sono coadiuvati, nella loro attività istruttoria, dai
comuni. Per l’IRPEF, la collaborazione dei comuni si esplica in due modi
e fenomeni diversi.
A) La prima forma di collaborazione si concreta nella segnalazione
all’ufficio, da parte del comune, di dati, fatti, ed elementi idonei ad
integrare la dichiarazione dei redditi; a tal fine una copia delle
dichiarazioni deve essere inviata ai comuni.
B) Altra forma di collaborazione si ha quando l’ufficio sta per emettere un
accertamento. Stabilisce la legge che gli uffici devono trasmettere ai
comuni, entro il 1° luglio dell’anno in cui scade i l termine per
l’accertamento, le proposte di accertamento. Il comune, dal canto suo,
può proporre l’aumento degli imponibili (entro 90 gg. da quando ha
ricevuto la proposta dall’ufficio). Decorso il termine di 90 gg., l’ufficio
provvede alla notificazione degli accertamenti per i quali non siano
intervenute proposte da parte dei comuni o accogli le proposte di
aumento. Le proposte di aumento non condivise dall’ufficio devono
essere trasmesse alla Commissione per l’esame delle proposte del
comune, operante presso ciascun ufficio delle imposte, la quale
determina gli imponibili da accertare. Se la commissione non delibera
entro 45 gg. dalla trasmissione della proposta, l’ufficio provvede
all’accertamento dell’imposta nella misura da esso determinata. La
commissione è presieduta dal capo dell’ufficio delle imposte ed è
composta per metà da impiegati dell’ufficio, e per l’altra metà da
persone designate dal consiglio comunale di ciascuno dei comuni
compresi nel distretto. Va rilevato che la partecipazione del comune
all’accertamento è suscettibile di due distinti inquadramenti teorici: per
un primo indirizzo, che valorizza al massimo tale partecipazione, il
comune partecipa al procedimento di formazione dell’atto; perciò
mancando la partecipazione, l’avviso di accertamento è privo di un
requisito strutturale ed è invalido; per l’altro indirizzo, che è quello qui
seguito, la partecipazione del comune ha valore soltanto istruttorio;
donde la irrilevanza, ai fini della completezza strutturale dell’atto, della
mancanza o del vizio di tale partecipazione. IN ogni caso, è da negare
che la viziata o mancata partecipazione del comune possa comportare
l’annullamento dell’avviso di accertamento.
9. I poteri istruttori dell’ufficio del registro.
A) Per l’applicazione dell’imposta di registro i poteri istruttori dell’ufficio
sono piuttosto limitati; ciò dipende dal fatto che gli elementi da
acquisire per l’applicazione di tale imposta si rilevano dall’atto
sottoposto alla registrazione. La necessità di svolgere indagini si pone
per l’ufficio quando occorre determinare il valore venale in comune
commercio dei beni o diritti cui si riferisce l’atto registrato.
L’acquisizione di atti non registrati è assicurata da una serie di norme
a tutela del fisco. Le norme in materia di registro valgono anche per
l’imposta ipotecaria e per l’imposta sull’incremento di valore degli
immobili.
B) Più estesi sono i poteri dell’ufficio ai fini dell’applicazione dell’imposta
sulle successioni. L’ufficio può invitare i contribuenti a produrre
documenti a comparire di persona per fornire dati, notizie rilevanti, ed
inviare questionari.
Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
Sezione prima – disciplina generale –
1. Natura giuridica.
Il procedimento amministrativo di applicazione delle imposte sfocia in un
atto che le leggi denominano avviso di accertamento. Tale atto è ben più
che un avviso e non è affatto sicuro che il suo effetto sia di mero
accertamento. L’avviso di accertamento viene denominato, da molti
autori, come atto d’imposizione: espressione questa, che vuol mettere in
rilievo che, con questo provvedimento, l’ufficio impone qualcosa.
2. Le statuizioni.
Esaminiamo il contenuto dispositivo dell’atto d’imposizione.
A) In materia di imposte sui redditi, la legge prescrive che l’avviso di
accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli
imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate....
Ciò che sembra essenziale è soltanto la determinazione
dell’imponibile; vi sono infatti ipotesi in cui l’atto non va oltre tale
determinazione. Una prima ipotesi è data dall’accertamento dei redditi
delle società di persone; con esso viene determinata l’imposta dovuta
dalla società ILOR ma , agli effetti dell’imposta dovuta dal socio, rileva
soltanto la determinazione dell’imponibile della società, da imputare
poi, pro quota, a ciascun socio, agli effetti dell’imposta dovuta al socio.
Un’altra ipotesi si ha quando l’imponibile è di segno negativo oppure
costituito dal c.d. pareggio fiscale; l’avviso che accerta delle perdite o
accerta il pareggio non comporta, evidentemente, statuizioni circa
l’imposta; si può dire, anche, che comporta la statuizione che non è
dovuta alcuna imposta per quel periodo.
B) Nella disciplina dell’Iva, il contenuto dell’avviso di accertamento non è
specificato dal legislatore, che si limita a stabilire che “l’ufficio imposta
sul valore aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale
presentata dal contribuente quando ritiene che ne risulti un’imposta
inferiore a quella dovuta ovvero una eccedenza detraibile o
rimborsabile superiore a quella spettante”.
C) Le imposte indirette si differenziano da quelle dirette in quanto la loro
applicazione avviene attraverso una sequenza di atti in parte diversa.
All’avviso di accertamento delle imposte sui redditi corrisponde nelle
imposte indirette, l’avviso di accertamento di valore così denominabile
in quanto di regola, in tali imposte, occorre stabilire il valore venale del
bene su cui incide l'imposta. L’essenziale caratteristica che differenzia
tale avviso da quello delle imposte dirette non è però tanto il fatto che
esso implichi la valutazione del valore venale di un bene, quanto al
fatto che il suo contenuto riguarda soltanto tale valore, senza
estendersi alla determinazione dell’imposta. La determinazione
dell’imposta è infatti affidata ad un altro atto, avente una sua specifica
individualità e funzione: l’avviso di liquidazione. La determinazione
dell’imponibile può assumere articolazioni differenziate nelle tre
imposte cui ci si riferisce: registro, successione ed INVIM. Agli effetti
dell’imposta di registro l’avviso di accertamento stabilisce il valore
venale degli immobili o delle aziende. Agli effetti dell'imposta sulle
successioni, l'avviso contiene la determinazione del valore dei beni
caduti in successione, ma esso può riguardare anche le passività
ereditarie. Per l’INVIM, quando il tributo viene applicato su beni il cui
trasferimento sia soggetto all’imposta di registro o sulle successioni, o
sul valore aggiunto, i valori accertati o i corrispettivi assunti ai fini di tali
imposte valgono anche per l’INVIM. Peraltro, ai fini di quest’ultima
imposta, l’accertamento imponibile assume un contenuto più
articolato, riguardando non solo il valore finale ma anche quello
iniziale e le spese incrementative detraibili.
3. La motivazione.
A) Che gli atti di disposizione debbano essere sempre motivati è un
principio alla cui affermazione generale si è pervenuti solo di recente.
Sono due i dati normativi nei quali trova sicuro fondamento il principio
generale
dell’obbligo
di
motivazione
dei
provvedimenti
dell’amministrazione finanziaria. Il primo è nella legge che regola in
generale ogni provvedimento amministrativo; ci si riferisce all’art. 3
della l. 7/8/ 90 n° 241, ove è stabilito, con formu la di portata generale,
che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato. Il
secondo dato normativo è nell’art. 21 del d.p.r. n° 636, il quale
stabilisce che la commissione tributaria non può disporre la
rinnovazione dell’atto impugnato quando sia fatto valere il vizio di
motivazione: il che implica, da un lato, l’obbligo dell’amministrazione di
motivare i provvedimenti impugnabili e dall'altro il carattere invalidante
del vizio di motivazione.
B) Motivazione, negli atti discrezionali, è l’esternazione dei motivi di
opportunità, di convenienza amministrativa, ecc, che stanno a
fondamento dell’atto. Per gli atti d’imposizione, sembra valida la
formula giurisprudenziale: motivazione è l’indicazione dell’iter logico
giuridico seguito dall’organo nella formazione dell’atto. Il lettore del
provvedimento deve essere posto in grado di ripercorrere l’itinerario
logico seguito dall’autorità nella formazione del provvedimento.
Questa idoneità del provvedimento a rendere noto l’itinerario logico
che sorregge il dispositivo sussiste o non sussiste: il provvedimento,
cioè, è motivato o non lo è.
C) Un provvedimento con motivazione insufficiente, omessa,
contraddittoria, ecc; un provvedimento, cioè viziato nella motivazione è
invalido; esso è destinato ad essere annullato dall’autorità
giurisdizionale; il giudice, a fronte di un atto invalido, può soltanto
annullarlo; non può mai sostituirlo.
4. Invalidità.
I civilisti distinguono tra negozio nullo e negozio annullabile. Negozio
nullo è quello che nullum producit effectum; annullabile è il negozio
precariamente efficace. Nel diritto amministrativo, il provvedimento viziato
si dice illegittimo; provvedimento nullo è espressione impropria per
designare il provvedimento precariamente efficace, suscettibile di
eliminazione ( ossia annullabile). Nel diritto tributario, valgono gli schemi
del diritto amministrativo, con questa sola particolarità: non essendovi,
almeno di regola, atti discrezionali, e non essendo configurabile un merito
dell’atto, non si danno vizi di merito, ne vizi di eccesso di potere; ogni
possibile vizio dell’atto d’imposizione è un vizio di violazione di legge. Si
può distinguere, per gli atti d’imposizione, tra vizi di contenuto e vizi di
forma. I primi riguardano la parte dispositiva dell’atto, e sono costituiti da
violazioni delle norme tributarie sostanziali; vizi formali sono tutti gli altri (
di motivazione, incompetenza). Nel diritto amministrativo, in generale, ed
in quello tributario in particolare, non è positivamente stabilito un criterio
preciso per discernere i vizi innocui (che generano solamente la
irregolarità dell’atto) dai vizi invalidanti. La giurisprudenza segue un
criterio empirico; giudica cioè di volta in volta se il vizio è tanto grave da
essere invalidante.
5. Inesistenza.
L’atto invalido è un atto esistente; il provvedimento amministrativo
illegittimo è efficace, finché non invalidato. E’ inesistente l’atto emanato
dall’autorità finanziaria, non provvista del potere impositivo; si può
esemplificare indicando un atto che applica un’imposta abrogata o
dichiarata incostituzionale. E’ inesistente un atto d’imposizione, che
manca dei requisiti minimi, senza i quali l’atto non può dirsi venuto ad
esistenza: atto non notificato, atto privo di dispositivo.
6. La notificazione.
L’atto di imposizione è recettizio: in tanto esiste, ed esplica effetti giuridici,
in quanto sia notificato al destinatario; l’imposizione viene ad esistenza,
cioè, solo qualora sia compiuto un cero rito, denominato notificazione,
che ha per scopo di portare l’atto a conoscenza del destinatario. La
notificazione degli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi
è eseguita secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile: a) la
notificazione è eseguita dai messi comunali;
b) il messo deve far sottoscrivere l’atto al consegnatario
c) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto fiscale del
destinatario
d) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto dal contribuente
nel comune di domicilio fiscale
e) nel caso di irreperibilità del destinatario, il messo deposita copia
dell’atto presso la casa del comune, ne affigge l’avviso presso l’albo del
comune e ne da notizia al destinatario con raccomandata
Tale disciplina vale anche per la notificazione degli atti d’imposizione in
materia di IVA.
7. Il termine.
L’atto d’imposizione deve essere notificato entro un certo termine,
previsto dalla legge a pena di decadenza; se l’amministrazione non
esercita il potere d’imporre entro quel termine, essa ne decade. Per le
imposte sui redditi, l’amministrazione deve notificare l’avviso entro il
31/12/ del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la
dichiarazione; nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, o di
presentazione di dichiarazione nulla, il termine è quello del 31/12 del
sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto
essere presentata. Per l’IVA il termine è il 31/12 del quarto, o del quinto
anno successivo a quello in cui è stata rispettivamente presentata, o
avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione; per l’imposta di
registro vi è un termine di 5 anni per gli atti non registrati e di 3 anni per
quelli registrati; analogamente, per l’imposta sulle successioni vi è un
termine di 5 anni per le successioni non denunciate e di tre per quelle
denunciate.
8. Effetti soggettivi.
Consideriamo l’efficacia soggettiva dell’atto d’imposizione: esso esplica
effetti soltanto nei confronti dei soggetti contemplati come suoi destinatari
( ossia come soggetti passivi dei suoi effetti) ed, ai quali sia notificato. In
linea di principio, non vi sono altri soggetti investiti dall’atto. La posizione
dei terzi implica la soluzione di due quesiti: a) se vi siano casi in cui l’atto
vincoli, oltre che il suo destinatario anche dei terzi; b) se l’atto, emesso
nei confronti di un soggetto, legittimi l’amministrazione a procedere
all’esazione nei confronti di altri soggetti. Il problema sorge nei casi in cui
più soggetti siano implicati nella vicenda di attuazione del tributo.
Conviene perciò precisare che l’atto non ha effetti verso i terzi, nei casi
seguenti:
a) quando vi sia sostituzione d’imposta, l’atto d’imposizione, ha come
possibile destinatario il c.d. sostituto; l’imposizione, emessa nei
confronti del sostituto, non esplica effetti verso il sostituito;
b) nel caso di sostituzione d’acconto, l’atto d’imposizione, emesso nei
confronti del sostituto, non esplica effetti verso il sostituto
c) quando vi sia solidarietà paritaria, l’atto emesso nei confronti di un
soggetto ( che diviene, così, obbligato, non esplica effetti nei confronti
di altri; è l’emissione dell’atto a carico di più soggetti che crea la
solidarietà
d) quando vi sia solidarietà dipendente ( responsabile d’imposta) ,vale la
stessa regola; l’atto emesso nei confronti di un soggetto vincola
soltanto il destinatario dell’atto, cui l’atto sia notificato.
I soli casi nei quali l’atto esplica effetti verso soggetti diversi da quelli in
esso contemplati, sembrano essere i seguenti: 1) quando un soggetto
subentri ad un altro nell’obbligazione; quando cioè vi sia successione nel
debito d’imposta; 2) quando vi sia coobbligazione dipendente limitata;
quando, cioè, l’amministrazione sia titolare del privilegio speciale, perché
in tal caso l’atto emesso nei confronti del soggetto passivo legittima
l’esecuzione sul bene, indipendentemente dalla proprietà del bene
stesso; 3) nei confronti della moglie, che ha presentato dichiarazione dei
redditi congiunta con il marito.
9. La definitività.
L’atto di imposizione si dice definitivo quando sono decorsi i termini
d’impugnazione, e non è impugnato, ovvero quando l’impugnazione viene
respinta. La definitività non è un quid che si aggiunge agli effetti dell’atto;
è solo il riflesso della vicenda estintiva, ovvero dell’esaurimento, del
potere d’impugnare.
Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
Sezione seconda – tipologia –
10.
L’accertamento analitico del reddito complessivo.
L’atto di imposizione ( o avviso di accertamento) assume denominazioni
diverse, a seconda del metodo con cui viene determinato l’imponibile. In
via di prima approssimazione, accertamento analitico è quello che
ricostruisce l’imponibile considerandone le singole componenti: più
precisamente, per le persone fisiche, si ha accertamento analitico quando
il reddito complessivo imponibile viene determinato con riferimento alle
singole categorie reddituali; essendo note le fonti dei redditi, distinte per
categorie, si quantificano i redditi delle varie categorie. Per i redditi
d’impresa, l’accertamento analitico è quello effettuato determinando o
rettificando singole componenti (attive o passive) del reddito; esso
presuppone che la contabilità, nel suo complesso, non venga considerata
inattendibile, e che se ne rettifichino singole risultanze. Anche nell’Iva si
ha accertamento analitico quando la rettifica investe singole componenti
dell’imponibile. Il fatto che un accertamento sia analitico non significa
nulla più di ciò che si è detto, ossia riferimento alle singole categorie per i
redditi delle persone fisiche, e alle singole componenti dell’imponibile, per
i redditi d’impresa o per l’IVA; quando si ricorre a presunzioni, si dice che
l’accertamento è analitico induttivo.
11. L’accertamento sintetico del reddito complessivo.
Di accertamento sintetico si parla a proposito del reddito complessivo
delle persone fisiche. Mentre l’accertamento analitico ha per oggetto
redditi appartenenti a determinate categorie, con l’accertamento sintetico
si ottiene direttamente la determinazione del reddito complessivo. Con il
metodo analitico, l’iter conoscitivo ha come punto di partenza
l’individuazione di determinate fonti reddituali e come esito la
quantificazione del reddito attribuibile a tali fonti; il metodo sintetico,
invece, ha come punto di partenza l’individuazione di elementi e fatti
economici diversi dalle fonti di reddito ( spese per consumi, investimenti,
ecc). Perciò l’accertamento sintetico viene da taluni definito come
accertamento basato sulla spesa. Partendo da tali indici indiretti di reddito
viene calcolato, in via presuntiva, il reddito globale.
1) l’ufficio non è obbligato a tentare la determinazione del reddito
complessivo con metodo analitico, prima di adottare il metodo
sintetico; al metodo sintetico l’ufficio, quindi, può ricorrere tutte le volte
che ne sussistono i presupposti, indipendentemente dalla possibilità di
determinazione analitica.
2) L’ufficio può procedere all’accertamento sintetico in base ad elementi
e circostanze di fatti certi in relazione al contenuto induttivo di tali
elementi e circostanze.
3) L’accertamento sintetico è legittimo quando il reddito complessivo
netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato;
l’ufficio, quindi, deve astenersi dall’emettere l’avviso di accertamento
quando il divario tra reddito dichiarato e reddito accertabile
sinteticamente non supera il quarto del dichiarato.
4) Il reddito determinato sinteticamente è qualificato dalla legge, con
presunzione relativa, reddito di capitale, ed è quindi assoggettato, non
solo ad IRPEF, ma anche ad ILOR; la presunzione legale circa la
provenienza del reddito non riflette una massima di esperienza ma
risponde alla necessità di dare imperativamente una qualificazione
reddituale ad un reddito che è, per definizione, di provenienza ignota;
essendo consentita la prova contraria, il contribuente ammettendo di
aver conseguito un reddito non dichiarato potrà rivelarne la fonte e
vincere la presunzione legale;
5) Il risultato dell’accertamento sintetico è la determinazione del reddito
complessivo netto; perciò, dal reddito così determinato, non sono
deducibili gli oneri;
6) L’ufficio ha l’onere di dimostrare la sussistenza dei fatti indice sui quali
basa l’accertamento sintetico; il contribuente, per contro, può
dimostrare che il maggiore reddito, determinabile o determinato
sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi non tassabili
(redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta);
ovvero può opporre di aver utilizzato disponibilità economiche di
natura non reddituale.
11.
I parametri dell’accertamento sintetico.
Dobbiamo ora vedere in qual modo l’ufficio, dall’accertamento dei fatti –
indice perviene alla quantificazione del reddito. Schematicamente,
possiamo enucleare tre criteri di quantificazione del reddito sintetico, che
si basano, sul redditometro, sugli investimenti e sulla spesa globale.
A) Innanzitutto, occorre dire del redditometro. La legge attribuisce al
Ministro delle finanze il potere di individuare dei fatti – indice, in base
ai quali ( con l’applicazione di coefficienti) gli uffici possono
determinare induttivamente il reddito globale, quando il reddito
dichiarato non risulta congruo rispetto a tale determinazione per due o
più periodi d’imposta. Il decreto ministeriale considera, come indici, la
disponibilità di aerei, navi e imbarcazioni da diporto, automobili a altri
mezzi di trasporto, residenze principali e secondarie, la spesa per
collaboratori familiari, ma l’ufficio può considerare anche altri indici.
Tale decreto ha natura regolamentare; pertanto, ne è possibile il
sindacato giurisdizionale, sia da parte del giudice amministrativo ( che
ha potere di annullarlo, sia da parte del giudice tributario (che può
disapplicarlo). E’ ovvia la possibilità di contestare la sussistenza dei
fatti – indice; è invece assi limitata la possibilità di contestare che, dati
certi fatti indice, il reddito che se ne può inferire è inferiore a quello
calcolato in base ai coefficienti redditometrici.
B) L’accertamento sintetico, oltre che in base ai fatti indice tipici presi a
base del redditometro, può essere effettuato anche in base ad altri
fatti, tra cui ha rilievo preminente la spesa per incrementi patrimoniali (
acquisto di titoli, di immobili). Quando l’esborso effettuato è molto
elevato in rapporto ai redditi dichiarati dal contribuente nell’anno in cui
viene effettuata la spesa e negli anni precedenti, è legittimo
presumere che siano stati utilizzati redditi non dichiarati. Per delimitare
la discrezionalità degli uffici, la legge stabilisce che la spesa per
incrementi patrimoniali si presume sostenuta, salvo prova contraria,
con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata
effettuata e nei 5 anni precedenti. L’ufficio deve tenere conto della
somma effettivamente sborsata. Se la somma sborsata è di 120 ml.,
l’importo accertabile è di 20 ml. per 6 anni. L’ufficio deve valutare se il
reddito dichiarato nell’anno della spesa e nei 5 anni precedenti è tale
da permettere un accantonamento annuo ( c.d. quota risparmio) di lire
20 ml.. La quota risparmio si aggiunge al reddito determinabile in base
agli altri indici e coefficienti redditometrici.
C) Mentre con il redditometro si mira a ricostruire il reddito globale
muovendo solo da determinate spese, il metodo cui ci riferiamo muove
dalla ricostruzione della spesa globale per inferire, da questa, il reddito
globale. In sostanza, viene quantificata presuntivamente la somma
spesa dal singolo contribuente e dal suo nucleo familiare nel periodo
d’imposta; a questa si aggiunge la c.d. quota risparmio; e così il
reddito complessivamente prodotto viene considerato pari alla somma
di quanto speso per vivere e della quota risparmio.
12.
L’accertamento analitico – contabile dei redditi d’impresa.
L’accertamento analitico – contabile dei redditi d’impresa è quello che
consta di rettifiche di singole componenti del reddito imponibile. La
rettifica può essere giustificata da sole ragioni di diritto, quando ,ad
esempio, risulta violata una delle norme in materia di reddito d’impresa. In
pratica la rettifica può scaturire:
a) dal confronto tra dichiarazione ed allegati
b) dal confronto tra dichiarazione, bilancio e scritture contabili;
c) dall’esame della documentazione che sta a base della contabilità
d) dalle circostanze estranee alla contabilità o alla sfera dell’impresa
Nella prassi si usa distinguere tra accertamento analitico tout court e
accertamento analitico – induttivo. Accertamento analitico tout court è
quello che deduce la incompletezza, la falsità o la inesattezza degli
elementi indicati nella dichiarazione o nei relativi allegati in modo certo e
diretto da una delle risultanze probatorie acquisite dall’ufficio attraverso i
verbali, le risposte ai questionari, l’esame di atti o documenti del
contribuente o di altri soggetti. Accertamento analitico induttivo è invece
quello che rettifica la dichiarazione sulla base di presunzioni.
L’accertamento analitico induttivo può dunque essere fondato: su
presunzioni gravi, precise e concordanti;
su gravi incongruenze, ad es. discordanze tra prezzo di vendita di un
bene e suo valore corrente; su studi di settore ( non ancora elaborati).
13.
L’accertamento induttivo – extracontabile dei redditi
d’impresa.
L’accertamento analitico presuppone l’attendibilità complessiva della
contabilità. Molto diverso è invece il metodo d’accertamento quando la
contabilità è complessivamente inattendibile, o quando si verificano altre
circostanze che possono legittimare l’ufficio ad operare un accertamento
induttivo che non riguarda singole componenti reddituali ma il reddito nel
suo complesso. L’ufficio può procedere ad accertamento induttivo –
extracontabile solo nei casi tassativamente indicati dalle legge, e cioè: a)
quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
b) quando alla dichiarazione non è stato allegato il bilancio con il C.E.;
c) quando, dal verbale d’ispezione, risulta che il contribuente non ha
tenuto o ha sottratto all'ispezione una o più delle scritture contabili
prescritte ai fini fiscali o quando le scritture non sono disponibili per causa
di forza maggiore;
e) quando le omissioni e le false indicazioni riscontrate nella
dichiarazione e quando le irregolarità formali delle scritture contabili
sono così gravi, numerose e ripetute da rendere nel complesso
inattendibili le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di
una contabilità sistematica. Altra è invece la situazione che si verifica
quando l’accertamento non può essere ancorato alla contabilità
perché, per causa di forza maggiore, la contabilità non è disponibile (
es. distrutta da un disastro naturale). Altra ancora, infine, è la
situazione di chi ha omesso di redigere una scrittura contabile o ha
tenuto la contabilità con irregolarità formali o sostanziali. In presenza
di tali situazioni, l’ufficio può procedere ad una forma particolare di
accertamento, che è caratterizzata da 3 facoltà: a) l’ufficio può
avvalersi dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua
conoscenza; b) l’ufficio può prescindere in tutto o in parte dalle
risultanze del bilancio e delle scritture contabili; c) l’ufficio può
avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione
e concordanza. Nell’iter che l’ufficio deve seguire occorre distinguere
l’accertamento dei presupposti che legittimano l’adozione del metodo
induttivo dalla determinazione (induttiva) del reddito. L’ufficio può
ritenere inattendibile la contabilità solo in base a prove circostanziate
circa le irregolarità contabili; a questi fini, quindi, l’ufficio non può
servirsi di dati astratti ( la redditività media del settore), ma deve
basarsi su prove concrete, riguardanti il singolo contribuente. Una
volta appurata, in modo concreto, l’inattendibilità della contabilità, si
apre una seconda fase, rivolta a costruire il reddito; in questa seconda
fase, l’ufficio può prescindere dalla contabilità e servirsi di dati ed
elementi comunque raccolti e di presunzioni non assistite dai requisiti
di gravità, precisione e concordanza. E’ solo in questa seconda fase
che l’ufficio può servirsi di studi di settore, medie statistiche, non
desunti in modo diretto dalla situazione del singolo contribuente.
14.
L’accertamento mediante coefficienti presuntivi dei redditi
delle imprese minori.
Nei confronti dei soggetti con contabilità semplificata, l’accertamento può
essere fatto, oltre che in base alle norme ordinarie, con l’uso di
coefficienti presuntivi, sia ai fini dell’imposta sul reddito sia ai fini dell’Iva.
Poiché vi è analogia tra questi coefficienti e quelli del redditometro, è
opportuno notare che i coefficienti contenuti nel redditometro concernono
il reddito complessivo delle persone fisiche; i coefficienti di cui passiamo
ora ad occuparci riguardano invece i componenti positivi di reddito e il
volume di affari dell’attività d’impresa e dell’attività di lavoro autonomo dei
contribuenti c.d. minori.
A) Rileviamo che i coefficienti sono determinati annualmente con decreto
del Pres. del Cons. Dei ministri, su proposta del Min. Delle finanze e
sentito il consiglio dei ministri, entro il 30/9 dell’anno cui si riferiscono.
B) In base a quali elementi vengono determinati i coefficienti?
L’amministrazione si avvale di 3 ordini di dati: - dati desunti dalle
dichiarazioni dei redditi, dagli accertamenti degli uffici, e altri dati ed
elementi in possesso dell’amministrazione; - di informazioni richieste
agli enti locali, alle organizzazioni economiche di categoria; - del c.d.
contributo diretto lavorativo.
C) A che scopo servono i coefficienti? Quale ne è il contenuto e
l’oggetto? I coefficienti hanno per oggetto, non la determinazione
presuntiva del reddito, ma la determinazione presuntiva dei ricavi e dei
compensi, e del volume d’affari ( ai fini dell’IVA). Il redditometro si
basa su elementi che, indicando una certa spesa, fanno presumere un
certo reddito; gli indici del redditometro sono quindi costituiti da spese
di erogazione del reddito; nel caso dei coefficienti presuntivi, invece,
gli indici sono costituiti da spese di produzione del reddito.
Determinati, in base ai coefficienti, i ricavi (delle imprese) i compensi
(dei lavoratori autonomi), da essi si deducono soltanto le spese e gli
altri componenti negativi dichiarati dal contribuente o presi a base dei
coefficienti. Da tale sottrazione risulta, alla fine, il reddito imponibile.
D) Sulla base del reddito determinato mediante i coefficienti, e di altri
elementi eventualmente in possesso dell’ufficio specificatamente
relativi al singolo contribuente, l’amministrazione è legittimata a
rettificare il reddito dichiarato dalle imprese minori e dai lavoratori
autonomi che hanno conseguito compensi inferiori ad una data soglia.
Nei confronti di tali soggetti, quindi, gli uffici possono utilizzare sia la
procedura ordinaria, sia la procedura prevista per i coefficienti.
E) Vi sono particolari regole procedurali che l’ufficio deve seguire quando
si avvale dei coefficienti. L’ufficio deve inviare al contribuente, a pena
di nullità dell’accertamento, con lettera raccomandata, una richiesta di
chiarimenti; il contribuente deve rispondere entro 60 gg.; nella risposta
devono essere indicati i motivi per cui, in relazione alle specifiche
condizioni di esercizio dell’attività , i ricavi, i compensi o i corrispettivi
dichiarati sono inferiori a quelli risultanti dall’applicazione dei
coefficienti; i motivi non addotti in risposta alla richiesta di chiarimenti
non possono essere fatti valere in sede di impugnazione dell’atto di
accertamento. I coefficienti presuntivi non hanno lo stesso valore per
tutte le imprese; per le imprese c.d. minori, possono essere utilizzati in
ogni caso; per le imprese minori, che hanno optato per la contabilità
ordinaria, i coefficienti presuntivi possono essere utilizzati in due casi:
1) il primo caso si ha quando sono state violate regole relative al
bilancio e alla contabilità; 2) in secondo luogo, i coefficienti presuntivi
possono essere utilizzati quando il reddito dichiarato è inferiore a
quello determinato in basa ai coefficienti.
15.
L’accertamento d’ufficio.
Per le imposte sui redditi, e per l’Iva, l’accertamento d’ufficio viene
emesso quando non è stata presentata, o è nulla, la dichiarazione. Anche
in tale caso, vale la regola che l’accertamento deve essere analitico, e
può essere sintetico o induttivo solo se l’ufficio non ha potuto raccogliere
elementi idonei per una determinazione analitica dell’imponibile.
16.
L’accertamento parziale.
L’ufficio, dopo che ha svolto le sue indagini sui redditi di un soggetto, ne
utilizza i risultati emettendo, se ne ricorrono i presupposti, un avviso di
accertamento. Di regola, l’accertamento riflette tutti i dati ed elementi
probatori acquisiti d’ufficio; l’accertamento, insomma, è unico e globale;
l’ufficio non può in altri termini, emettere un primo accertamento,
utilizzando solo una parte dei dati acquisiti, per poi emetterne altri sulla
base di altri dati già acquisiti. Questa regola subisce due deroghe,
costituite dall’accertamento parziale e dall’accertamento integrativo.
L’accertamento parziale è quello che si basa su segnalazioni provenienti
dal Centro informativo delle imposte dirette, dalla G.d.f., da pubbliche
amministrazioni ed enti pubblici, o dall’anagrafe tributaria. In base a tali
segnalazioni, l’ufficio può rettificare la dichiarazione accertando un reddito
non dichiarato, il maggiore ammontare di un reddito parzialmente
dichiarato, o la non spettanza di deduzioni, esenzioni o agevolazioni.
L’accertamento parziale si caratterizza dunque sotto due profili: per la
provenienza e per l’oggetto delle segnalazioni. L’oggetto delle
segnalazioni è costituito da dati concernenti un dato reddito o elementi
che incidono sulle deduzioni, sulle esenzioni o agevolazioni; di regola,
quindi, l’accertamento parziale è un accertamento analitico. Oggetto di
segnalazione possono però essere anche i nominativi di soggetti ai quali
sono applicabili i coefficienti presuntivi; in tal caso, l’accertamento
parziale avrà natura induttiva, ma potrà essere effettuato unicamente
utilizzando il coefficiente basato sul contributo diretto lavorativo.
17.
L’accertamento integrativo.
Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti,
l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la
notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di
nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificatamente indicati, a
pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o i fatti attraverso i quali sono
venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposta. Tale disposizione consente
l’emanazione di nuovi accertamenti solo in base alla sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi. Va rilevato che il limite posto da tale
disposizione all'azione accertatrice degli uffici concerne soltanto gli
accertamenti integrativi o modificativi, ma non impedisce all’ufficio
l’esercizio del potere di ridurre o annullare il precedente accertamento
perché, ad es., l’ufficio si avvede di aver errato a danno del contribuente.
Questo è il potere di autocorrezione.
18.
L’accertamento catastale.
L’accertamento catastale ha per oggetto i redditi fondiari (dei terreni e
fabbricati). Il catasto dei terreni è un inventario che descrive la proprietà
terriera suddivisa in particelle, con l'indicazione dell'appartenenza, della
qualità, della classe e del relativo reddito medio ordinario. La formazione
del catasto implica in primo luogo il rilevamento delle proprietà e delle
particelle; quindi la qualificazione, ossia la determinazione dei tipi di
coltivazione e, infine, la classificazione (ossia la distinzione dei terreni per
classi, in base al grado di produttività). Vi è poi la tariffa (reddito medio
imponibile di un ettaro in relazione a ciascuna qualità e classe), con
conseguente attribuzione, a ciascuna particella, in relazione alla qualità,
classe ed estensione, del reddito medio ordinario ad essa riferibile.
Analogo il contenuto ed il procedimento di formazione del catasto urbano.
Le singole unità immobiliari sono contraddistinte non per qualità e classe,
ma per categoria e classe. I catasti contengono la determinazione del
reddito agli effetti dell’applicazione delle relative imposte: quindi la loro
pubblicazione può essere equiparata alla notificazione degli avvisi di
accertamento. Utilizzato per imposte globali come IRPEF e l’IRPEG, il
catasto appare come una sorta di accertamento parziale; esso determina
infatti, solo una delle componenti del reddito complessivo; ma lo stesso
vale per l’ILOR, che non colpisce solo i redditi fondiari.
19.
L’avviso di liquidazione.
La liquidazione delle imposte indirette è operazione distinta dalla
determinazione dell’imponibile, in molte ipotesi, tali operazioni sfociano in
atti distinti.
A) Nell’imposta di registro, la determinazione del valore imponibile è
effettuata con l’avviso di accertamento; la determinazione dell’imposta,
invece, è effettuata con un atto distinto, denominato avviso di
liquidazione, con cui viene anche richiesto il pagamento. La
liquidazione dell’imposta, quindi, presuppone che sia stata già
determinata (in via provvisoria o definitiva) la base imponibile. Avviso
di liquidazione, quindi, è l’atto con cui l’ufficio, essendo già stata
determinata la base imponibile, determina l’imposta e ne richiede il
pagamento. In quanto atto determinativo dell’imposta, l’avviso di
liquidazione è atto impositivo; se il contribuente intende contestare la
liquidazione dell’imposta, deve impugnare l’avviso di liquidazione. In
quanto atto con cui viene richiesto il pagamento dell’imposta, l’avviso
di liquidazione è atto della procedura di riscossione. Se l’avviso di
liquidazione non segue il pagamento del tribunale, l’amministrazione
procede alla riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo.
B) Nell’imposta sulle successioni, l’ufficio emette avviso di liquidazione
per riscuotere l’imposta dovuta in base alla dichiarazione.
Analogamente a quanto previsto in materia di controllo formale della
dichiarazione dei redditi e di riscossione di quanto dichiarato, l’ufficio,
in sede di controllo della dichiarazione di successione, corregge gli
errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante nella
determinazione della base imponibile ed esclude dalla base imponibile
le passività non deducibili. Tali correzioni ed esclusioni sono riportate
nell’avviso di liquidazione; con tale atto, quindi, l’ufficio liquida
l’imposta previa correzione dell’imponibile dichiarato. Quando invece
le rettifiche da apportare alla dichiarazione abbiano un oggetto diverso
da quello indicato, l’ufficio emette un atto che la legge denomina
avviso di rettifica (della dichiarazione) e di liquidazione della maggiore
imposta. Con tale atto, l’ufficio rettifica la dichiarazione giudicata
incompleta o infedele, e, in relazione alla maggior base imponibile così
determinata, liquida la maggiore imposta dovuta e ne richiede il
pagamento. L’imposta deve essere pagata entro 90 gg dalla
notificazione dell’avviso di liquidazione; decorso tale termine, l’imposta
insoluta viene iscritta a ruolo.
20.
Il concordato.
Nel procedimento di accertamento possono intervenire anche degli
accordi tra ufficio e contribuente. Con termine consolidato dall’uso si parla
correntemente di concordato. La disciplina di questo atto è caratterizzata
dai seguenti tratti: l’accertamento con adesione è un atto di rettifica della
dichiarazione dei redditi delle persone fisiche che esercitano, anche in
forma associata, attività di impresa o di lavoro autonomo ( il concordato,
quindi, riguarda le persone fisiche e non le società; l’IRPEF e non
l’IRPEG); L’istituto riguarda, in pratica, la sola categoria dei c.d.
contribuenti minori. Il concordato può essere stipulato quando non sono
stati commessi reati (quando non vi sono fatti che costituiscono frode e
quando i ricavi omessi non superano i 50 ml.). L’accertamento
concordato è definitivo; perciò, non è impugnabile dal contribuente e non
può essere modificato o integrato dall’ufficio; esso comporta una
riduzione delle sanzioni amministrative ( ridotte ad un terzo del minimo:
da rapportare al fatto che se il contribuente non impugna l’accertamento
beneficia di una riduzione pari alla metà del minimo). L’efficacia del
concordato è subordinata al pagamento di quanto risulta dovuto in base
ad esso.
L’avviso di accertamento
Sezione terza – Misure antielusive –
1. Nozione di elusione.
A) Cerchiamo innanzitutto di definire l’elusione, che solitamente
viene confrontata con l’evasione. L’evasione è sinonimo di
violazione delle norme fiscali; l’elusione, invece, indica un
atto o un comportamento che non è direttamente contrario
alla legge, ma che, tuttavia, non la rispetta: potremmo dire
che, chi elude, rispetta la legge ma ne viola lo spirito. I tratti
che identificano il comportamento elusivo sono:
a) il contribuente si propone di raggiungere un dato
risultato economico, ma viene adoperato uno
strumento giuridico insolito, anormale, diverso da
quello che normalmente si usa per raggiungere quel
risultato;
b) la scelta di quel percorso viene fatta per conseguire
determinati vantaggi fiscali;
c) lo strumento giuridico anormale viene prescelto con il
fine di eludere l’imposta.
B) L’elusione a differenza dell’evasione viene posta in essere
alla luce del sole, ossia con atti palesi, senza occultamenti
della materia imponibile. Con l’elusione viene posto in essere
un risultato pratico identico a quello considerato dalla norma
elusa; nel c.d. risparmio lecito d’imposta, viene posto in
essere un risultato pratico diverso, senza aggirare alcuna
norma. Una forma di risparmio lecito è quella che viene detta
erosione. Una persona che, in sede di dichiarazione dei
redditi, deduce molti oneri, fruisce di redditi esenti o
agevolati, paga alla fine un’imposta minore.
C) L’elusione si distingue dall’evasione per il fatto che l’evasione
è sinonimo di illecito ed è realizzata occultando il
presupposto dell’imposta.
D) L’elusione viene distinta dalla frode alla legge, intesa come
contratto in frode alla legge. E’ nullo per illiceità della causa il
contratto che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione
di una norma imperativa.
2. Norme antielusive specifiche.
Nel nostro ordinamento non esiste una norma antielusiva generale. Le
norme antielusive specifiche possono essere della più diversa specie
e natura. Talvolta le norme antielusive riguardano il quantum
dell’imponibile, come nel caso della norma relativa al transfer price, in
base al quale, nei trasferimenti infragruppo, si sottopone a tassazione
il valore normale non il prezzo pattuito. Altro tipo di norma è quello che
prevede presunzioni, assolute o relative. Per evitare che tra parenti
vengano poste in essere vendite dirette ad eludere l’imposta sulle
successioni, è previsto che tali vendite si presumono donazioni, con
esclusione della prova contraria, se le imposte dovute per il
trasferimento a titolo oneroso sono inferiori a quelle dovute per il
trasferimento a titolo gratuito. Le norme antielusive possono limitare
determinati benefici; si pensi ad esempio alla norma che limita il
riporto delle perdite.
3. L’interpretazione antielusiva.
Un altro strumento antielusivo può essere dato dall’interpretazione
antielusiva, che può essere adottata quando il contribuente che elude
si avvale di strumenti che possono essere considerati, o che
apparentemente sono , estranei alla fattispecie della norma impositiva,
ma che, in realtà, vi rientrano, o vi possono rientrare, ove le regole
sull’interpretazione permettano di tener conto in modo prevalente del
risultato economico avuto di mira dal legislatore. Una duplice possibile
interpretazione della disposizione fiscale: una letterale, formalistica, in
base alla quale il comportamento elusivo non è tassabile; ed una
interpretazione non letterale, non rigida, in base alla quale il
comportamento elusivo è tassabile.
4. Il superamento delle forme negoziali.
Una tecnica con la quale si può pervenire a tassare le fattispecie
elusive consiste nel qualificare i negozi giuridici elusivi in modo da far
emergere, di la dall’apparenza formale ed esteriore, il vero affare ed il
vero negozio posto in essere dalle parti. In questo caso viene operata
una riqualificazione del negozio, ovvero un superamento della forma
che i contraenti hanno dato al contratto. Uno degli artifici elusivi più
diffusi è la costituzione di società di comodo; di società, cioè, costituite
non tanto per svolgere un’attività economica, quanto per un fine di
elusione fiscale. Un’altra fattispecie da richiamare è quella dei contratti
a gradini. Con tale espressione si indica un’operazione realizzata con
una pluralità di contratti, tutti finalizzati ad una dato risultato.
5. I casi di elusione positivamente previsti.
A) Secondo la definizione legislativa. L’elusione è data da atti ,
fatti o negozi privi di valide ragioni economiche, diretti ad
aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario,
e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti
indebiti. L’elusione consiste dunque: 1) nel porre in essere un
atto, fatto o negozio che aggira un obbligo o un divieto; 2)
nell’ottenimento di una riduzione di imposta o di un rimborso,
che, se non fosse stata aggirata la norma tributaria,
sarebbero indebiti.
B) Le disposizioni ora citate si applicano quando, nell’ambito del
comportamento elusivo, vi sia una delle seguenti operazioni:
1) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e
distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del
patrimonio netto diverse da quelle formate con utili; 2)
conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il
trasferimento o il godimento di aziende; 3) cessione di crediti;
4) cessioni di eccedenze di imposta; 5) operazioni aventi per
oggetto partecipazioni sociali.
6. Applicazione della norma elusa.
Quali sono le conseguenze del comportamento elusivo? Gli atti, fatti o
negozi elusivi non sono colpiti da alcuna sanzione sul piano civilistico,
ma sono in opponibili all’amministrazione finanziaria, la quale
disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante l’operazione
elusiva. Per l’applicazione della norma elusa l’amministrazione
finanziaria deve prima di emettere l’avviso di accertamento, chiedere
chiarimenti al contribuente, il quale ha l’onere di rispondere entro 60
gg.
7. Elusione mediante interposizione.
Dove vi è un titolare apparente di reddito, la fattispecie imponibile
deve essere imputata al titolare effettivo. In sede di rettifica o di
accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui
appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato, anche sulla base
di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo
possessore per interposta persona. Secondo la dottrina maggioritaria,
la norma in esame vale solo nel caso di interposizione fittizia; per
L’amm. Finanziaria, la norma va applicata anche nel caso di
interposizione reale, altrimenti sarebbe inutile. Un medesimo reddito
non può appartenere contemporaneamente a più soggetti: perciò il
legislatore ha espressamente previsto che le persone interposte
possono richiedere il rimborso di quanto versato, dopo che è divenuto
definitivo l’accertamento emesso nei confronti dell’interponente.
8. L’interpello dell’amministrazione.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori
economici, i contribuenti possono interpellare l’amm. Finanziaria e
conoscerne preventivamente il giudizio. I casi sono predeterminati:
operazione che potrebbe essere considerata elusiva, ed inquadrata in
uno dei casi di elusione espressamente stabiliti; operazione alla quale
potrebbe essere applicata la norma in tema di interposizione di
persona. La procedura di interpello è così articolata:
- il contribuente, quando sta per porre in essere uno dei
comportamenti sopra indicati può richiedere preventivo
parere alla competente direzione generale del Ministero delle
finanze
- in caso di mancata risposta della Dir. generale, o di risposta
alla quale non si intende uniformarsi, è dato al contribuente il
diritto di richiedere il parere del Comitato consultivo per
l’applicazione delle norme antielusive.
- La mancata risposta del Comitato entro 60 gg. dalla richiesta
del contribuente, e dopo ulteriori 60 gg. da una formale
diffida ad adempiere, equivale a silenzio assenso.
Capitolo dodicesimo
La riscossione
Sezione prima – Profili generali –
1. Riscossione ed estinzione dell’imposta.
L’obbligazione tributaria, non si differenzia concettualmente dalle altre
obbligazioni pubbliche o private. L’obbligazione tributaria, però, presenta
dei tratti caratteristici. Ecco i principali tratti caratteristici (sotto il profilo
dell’estinzione) dell’obbligazione tributaria.
A)Il diritto comune ci ha assuefatti a pensare all’obbligazione come una
figura di qualificazione giuridica che segue una vicenda scandita in
momenti che si succedono in un ordine prestabilito ( nascita
dell’obbligazione, eventuali modificazioni, estinzione). Nel diritto tributario,
invece, vi sono fenomeni di anticipazione della riscossione rispetto al
sorgere dell’obbligazione( c.d. riscossione anticipata). In altri termini,
mentre nel diritto comune non si ha, di regola, pagamento senza
obbligazione, nel diritto tributario possiamo avere una riscossione senza
obbligazione.
B) Nel diritto comune, il titolo che attribuisce ad un soggetto la qualifica di
creditore (ad es. un contratto), è anche il titolo che gli consente di
ricevere la prestazione e di agire in giudizio. Nel diritto tributario, non
sempre il titolo dell’obbligazione tributaria ( ad es. dichiarazione, avviso di
accertamento) è anche il titolo della riscossione; in altri termini, talvolta la
riscossione avviene in base al titolo costitutivo dell’obbligazione, altre
volte occorre un atto ulteriore (iscrizione a ruolo).
C) Infine, non tutti i modi di estinzione dell’obbligazione civilistica trovano
riscontro nel diritto tributario: nel diritto tributario, infatti, non troviamo
quelle forme di estinzione, che sono espressione del potere di disporre
del rapporto. Non vi troviamo la novazione e la remissione del debito.
2. Il conto fiscale, la compensazione e i rimborsi.
Vediamo la disciplina del conto fiscale.
A) Ciascun imprenditore o lavoratore autonomo deve essere titolare di un
conto fiscale, sul quale sono registrati i versamenti ed i rimborsi relativi
alle imposte sui redditi e
all’Iva. Il conto è tenuto presso il
concessionario della riscossione; su tale conto sono accreditati i
versamenti del contribuente fatti direttamente al concessionario o fatti
mediante delega ad un istituto o azienda di credito.
B) La compensazione è un modo di estinzione dell’obbligazione
tributaria; la compensazione è ammessa solo in casi previsti in via
tassativa ( imposte sui redditi ed Iva). Nel campo delle imposte dirette,
in sede di dichiarazione dal debito di imposta liquidato nella stessa
dichiarazione si deducono i crediti ( relativi allo stesso periodo
d’imposta). Se la dichiarazione reca un saldo attivo il contribuente ha
diritto a sua scelta a computare l’eccedenza in diminuzione
dell’imposta relativa al periodo di imposta successivo o di chiederne il
rimborso in sede di dichiarazione dei redditi. L’ammontare
complessivo delle eccedenze di imposte risultanti dalla dichiarazione
può essere computato in diminuzione anche dell’ammontare degli
acconti e del saldo dovuti per il periodo d’imposta successivo.
Quest’ultima previsione è più ampia per due ragioni; perché consente
la compensazione, non solo con i saldi, ma anche con gli acconti (c.d.
compensazione verticale); perché la compensazione può investire
anche imposte diverse ( c.d. comp. orizzontale).
C) Nell’Iva il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza
in detrazione nell’anno successivo... ovvero di chiedere il rimborso.
D) Il conto fiscale non solo consente la compensazione tra crediti e debiti
fiscali dello stesso contribuente, ma consente anche la effettuazione di
rimborsi (in materia di imposte dirette e di Iva).
3. Modalità della riscossione.
Le forme della riscossione sono diverse, a seconda del tipo di tributo a
cui si riferisce; vi è però una fondamentale bipartizione, tra imposte sui
redditi ed imposte indirette e tasse. Con riguardo alle imposte sui redditi:
a) Le imposte sui redditi non sono mai riscosse dagli uffici accertatori, ma
da altri organi o soggetti;
b) Nella riscossione delle imposte dirette troviamo tipizzate tre forme di
riscossione (ritenuta diretta, versamento diretto e riscossione
mediante ruolo)
c) La riscossione ad iniziativa dell’amministrazione finanziaria avviene
sempre mediante ruolo
Con riguardo alle imposte indirette:
a) tali imposte sono riscosse dagli uffici accertatori
b) la riscossione avviene sempre mediante versamento all’ufficio
accertatore
c) la riscossione coattiva è affidata anche qui, nella maggior parte dei
casi, al “Servizio della riscossione”.
4. Il “Servizio” e i “concessionari della riscossione”.
La riscossione quando non è svolta dagli stessi uffici accertatori è affidata
ad un’apposita struttura organizzativa, denominata “Servizio di
riscossione dei tributi”. Tale servizio è costituito da un ufficio centrale,
denominato servizio centrale, e da uffici periferici (gli agenti della
riscossione). Il servizio di “agente della riscossione” è affidato, nei singoli
ambiti territoriali, in concessione amministrativa. Il concessionario della
riscossione, quindi, è un privato concessionario di un pubblico servizio.
Ecco in sintesi i compiti del concessionario. Esso provvede alla
riscossione delle entrate iscritte a ruolo; provvede, inoltre, alla riscossione
dei versamenti diretti. Il concessionario promuove l’esecuzione forzata
delle somme iscritte a ruolo e provvede agli sgravi ed ai rimborsi. Il
concessionario del servizio di riscossione può svolgere anche funzione di
tesoriere degli enti locali. Tra lo Stato e il concessionario vi è un rapporto
contrattuale, che è stipulato in seguito ad un’asta pubblica, cui possono
partecipare soltanto determinati soggetti (aziende ed istituti di credito,
casse rurali ed artigiane). Il concessionario non è titolare dei crediti da
riscuotere, ma è soltanto incaricato della riscossione; pertanto, le
controversie sui crediti da riscuotere non vanno promosse nei confronti
del concessionario, ma nei confronti dell’ente impositore (salva l’azione di
risarcimento danni).
Capitolo dodicesimo – La riscossione –
Sezione seconda - La riscossione delle imposte sui redditi –
5. Tempi e titoli della riscossione.
Per illustrare la riscossione delle imposte sui redditi adottiamo la
seguente tripartizione:- riscossione anticipata; - riscossione provvisoria; riscossione definitiva
A) La riscossione anticipata avviene nel corso del periodo d’imposta, in
due forme: mediante ritenuta e mediante versamento di acconti.
Questa riscossione precede sia il perfezionarsi del presupposto (che
si realizza con il decorso dell’intero periodo d’imposta) sia il sorgere
dell’obbligazione ( che si ha con la dichiarazione e con l’avviso). Le
ritenute d’acconto sono una decurtazione di somme che per il
percipiente costituiscono componente attiva del reddito: esse
decurtano stipendi (dei lavoratori dipendenti), ricavi (di alcuni
imprenditori), compensi (dei lavoratori autonomi). Sono definite dalla
legge “acconti”; rappresentano, per chi subisce le ritenute,
un’anticipazione o acconto, dell’imposta che sarà dovuta per quel
periodo d’imposta. Il parametro di riferimento della “ritenuta d’acconto”
è la somma corrisposta al reddituario. Sotto il profilo in esame, la
ritenuta d’imposta assume tutt’altra configurazione; il sostituto deve
versare all’erario una certa somma, che non costituisce sotto alcun
profilo anticipazione dell’imposta dovuta dal sostituito; qui obbligato è
il sostituto, il quale, versando, estingue l’obbligazione d’imposta di cui
esso è soggetto passivo; la ritenuta, subita dal sostituito, è esercizio
della rivalsa del sostituto, ma non vale come acconto dell’imposta
perché egli non è debitore. V’è poi un’altra forma di anticipazione della
riscossione, rappresentata dai versamenti che ciascun contribuente
deve effettuare nel corso del periodo d’imposta ( a maggio e
novembre); tali versamenti hanno come parametro l’imposta dovuta
per il precedente periodo d’imposta, e valgono come acconti
dell’imposta che risulterà dovuta per il periodo in corso.
B) La riscossione provvisoria è quella che si fonda sopra titoli non
definitivi: ossia quella che avviene in corso di causa, sulla base di
accertamenti che, in quanto sub iudice, non sono definitivi.
C) Riscossione definitiva è quella che avviene in base a titoli definitivi;
dichiarazione ed avviso di accertamento (divenuto) definitivo.
6. Autonomia della riscossione.
L’autonomia della riscossione, rispetto alle vicende dell’obbligazione
tributaria, consente di vedere in esse una funzione amministrativa
autonoma, dotata di suoi caratteri specifici; essa si svolge in modi tipici;
l’ente pubblico può agire e riscuotere solo con gli atti e le procedure
previste dalla legge; il contribuente può liberarsi solo adempiendo nei
modi e forme previste dalla legge.
7. La ritenuta diretta.
Il decreto sulla riscossione delle imposte sui redditi esordisce con
l’affermazione che tali imposte sono riscosse mediante:
a) ritenuta diretta;
b) versamenti diretti al concessionario della riscossione;
c) iscrizione a ruoli.
Ritenuta diretta è una forma di riscossione che si ha quando le
amministrazioni statali corrispondono compensi od altre somme, con il
diritto di decurtarle d’un certo importo ; la ritenuta viene detta diretta
perché effettuata direttamente dell’ente impositore. L’amministrazione
statale, pertanto nel corrispondere somme soggette a ritenuta: a) è
debitrice verso il contribuente d’una certa somma; b) può, anzi, deve
operare una ritenuta; c) deve, infine, trasferire le ritenute alla tesoreria,
secondo le norme della contabilità di Stato. La ritenuta diretta può essere
a titolo d’acconto o a titolo d’imposta.
8. Il versamento diretto.
E’ denominato versamento diretto il versamento di somme effettuato dal
contribuente, in base ad autonoma liquidazione della somma da versare
(c.d autoliquidazione o autotassazione); viene detto diretto per
distinguerlo da quello effettuato in base al ruolo. Nel campo delle imposte
sui redditi, si ha versamento diretto nelle seguenti ipotesi:
a) versamenti delle ritenute operate dai sostituti d’imposta;
b) versamenti a titolo d’acconto dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR; tali
versamenti costituiscono un acconto dell’imposta che risulterà dovuta
per l’anno in cui sono versati gli acconti, e sono commisurati
all’imposta dichiarata per l’anno precedente;
c) versamenti a saldo dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR: tali versamenti
debbono essere effettuati entro il termine entro il quale deve essere
presentata la dichiarazione annuale. Le somme predette debbono
essere versate al concessionario della riscossione territorialmente
competente da individuare in base al luogo di domicilio fiscale del
contribuente. Il versamento si effettua o presso gli sportelli del
concessionario o mediante delega bancaria. La banca, ricevuta dal
contribuente la somma da versare all’erario, rilascia al contribuente
una quietanza che libera il contribuente nei confronti del fisco.
Secondo la giurisprudenza, l’accettazione della delega da parte
dell’azienda di credito comporta la novazione dell’obbligazione
preesistente: all’obbligazione tributaria (del contribuente) subentra
quella della banca; l’obbligazione della banca verso il fisco ha natura
privatistica.
9. I ruoli.
A) I casi nei quali la riscossione delle imposte sui redditi avviene
mediante ruolo possono essere indicati, innanzitutto, in via residuale,
cioè come l’insieme dei casi nei quali non è prevista la riscossione
mediante ritenuta diretta o versamento diretto. Ricevuta la
dichiarazione, non corredata dalla quietanza del versamento diretto
delle imposte dovute in base all dichiarazione stessa,
l’amministrazione finanziaria iscrive a ruolo le somme non versate. Vi
sono tre ipotesi di iscrizioni a ruolo in base all dichiarazione: 1)
presentazione della dichiarazione senza previo versamento diretto ( o
con insufficiente versamento) delle somme liquidate ( nella stessa
dichiarazione); 2) maggiori somme liquidate in base all dichiarazione
per effetto del controllo formale e documentale della dichiarazione; 3)
dichiarazione dei redditi soggetti a tassazione separata ( per tali
somme non è previsto il versamento diretto).
Sono poi riscosse mediante ruolo le somme dovute in base agli
accertamenti; nel campo delle imposte dirette, la riscossione tramite
ruolo è l’unica prevista per gli importi dovuti in base agli accertamenti .
B) La legge distingue diverse specie di ruoli: - ruoli principali, nei quali
sono iscritte le imposte liquidate in base alla dichiarazione; - r.
suppletivi, nei quali sono iscritte le imposte dovute in base agli
accertamenti; - r. speciali, nei quali sono iscritte le somme dovute dai
sostituti; - r. straordinari, nei quali sono iscritte in via anticipata rispetto
ai tempi ordinari, le somme per le quali vi sia fondato pericolo per la
riscossione. Le imposte iscritte nei ruoli speciali e straordinari sono
riscossi in unica soluzione, mentre sono riscosse in più rate quelle
iscritte negli altri ruoli.
C) La formazione dei ruoli è di competenza degli uffici delle imposte ( per
le riscossioni che hanno per titolo l’avviso di accertamento) e dei centri
di servizio ( per le riscossioni che hanno per titolo la dichiarazione);
nella formazione materiale dei ruoli, l’amministrazione è coadiuvata
dal Consorzio obbligatorio dei concessionari della riscossione: i ruoli
sono quindi trasmessi all direzione regionale che, a sua volta, dopo
avervi apposto il visto di esecutorietà, li consegna al concessionario.
D) La consegna del ruolo al concessionario lo rende esigibile; il
concessionario deve rendere note ai singoli soggetti iscritti le iscrizioni
che li riguardano, mediante notificazione della cartella esattoriale; la
cartella riproduce, in sostanza, i dati della singola partita di ruolo; dalla
sua notificazione decorre il termine per ricorrere.
E) Dal punto di vista del contenuto, il ruolo si presenta come un elenco
dei contribuenti con l’indicazione del tributo, nel periodo d’imposta,
dell’imponibile, dell’imposta, delle somme dovute, ecc.. Il punto critico
concerne la motivazione. A tal fine, può essere utile la distinzione tra
ruolo meramente riproduttivo di un atto precedente ( nel qual caso non
si ravvisa alcuna esigenza di motivazione) e ruolo innovativo, per il
quale invece si pone l’esigenza di rendere edotto il contribuente delle
ragioni dell’iscrizione.
10.
Riscossione provvisoria e definitiva.
Le iscrizioni nei ruoli presuppongono un titolo che le giustifichi. Due sono i
titoli che legittimano la riscossione mediante ruoli: la dichiarazione e
l’avviso di accertamento. La legge distingue poi, in relazione al grado di
stabilità del titolo, iscrizioni a ruolo a titolo definitivo e iscrizioni in base ad
accertamenti non definitivi (o iscrizioni provvisorie). Le iscrizioni a titolo
definitivo sono quelle che hanno per titolo la dichiarazione, gli
accertamenti definitivi, le risultanze catastali e quelle che hanno per
oggetto gli interessi, le soprattasse e le pene pecuniarie. Va precisato che
iscrizione a titolo definitivo non significa iscrizione d’una somma
irreversibilmente dovuta, in quanto i titoli delle iscrizioni in esame non
sono definitivi in ogni caso. Infatti: a) la dichiarazione può essere
contestata dal contribuente, mediante impugnazione del ruolo; b)
l’accertamento definitivo potrebbe essere annullato in tutto o in parte
dall’ufficio; c) anche le risultanze catastali potrebbero essere contestate;
d)le soprattasse e le pene pecuniarie sono irripetibili solo quando l’atto
che le ha irrogate è divenuto definitivo.
Le iscrizioni provvisorie sono quelle che hanno come titolo un avviso di
accertamento non definitivo, ossia impugnato. Il nostro legislatore ha
adottato un criterio intermedio, in base al quale: - se è proposto ricorso,
diviene iscrivibile nei ruoli un terzo dell’imposta o della maggiore imposta
accertata; - dopo la decisione di primo grado, è riscuotibile un importo
pari a due terzi dell’imposta giudicata dovuta da tale decisione; - dopo la
decisione di secondo grado, è iscrivibile una somma pari a tre quarti
dell’imposta giudicata dovuta; - dopo la decisione di terzo grado, è
riscuotibile l’intera imposta giudicata dovuta (con le pene pecuniarie).
11.
Il pagamento delle somme iscritte a ruolo.
A) Circa il tempo del pagamento delle somme iscritte a ruolo, assume
rilevanza la distinzione tra le diverse specie di ruoli.
B) Le imposte iscritte nei ruoli principali e suppletivi possono essere
riscosse in dieci rate, se l’amministrazione lo consente. Il Ministro delle
finanze può consentire la rateazione in 5 rate per le imposte iscritte nei
ruoli speciali e straordinari nei confronti dei soggetti per i quali sussiste
la necessità di mantenere i livelli occupazionali e di assicurare il
proseguimento delle attività produttive, nonché nei confronti di soggetti
che svolgono un servizio pubblico essenziale e nei confronti di enti
territoriali.
C) Il giorno effettivo di scadenza non è il giorno 10 del mese, ma il 18,
perché alla norma che fissa la scadenza al giorno 10 si sovrappone
quella per cui il pagamento deve essere effettuato presso la sede
dell’esattoria entro 8 gg. dalla scadenza. Decorso il termine utile per il
pagamento, si rende dovuta una indennità do mora pari al 2% della
somma non pagata, se il pagamento avviene nei 3 giorni successivi
alla scadenza ( entro il 21); l’indennità sale al 6% se il pagamento è
successivo al giorno 21.
D) Il pagamento può essere parziale e deve avvenire in contanti o con
cedole del debito pubblico ovvero con altri titoli di credito bancari o
postali a copertura garantita. Una singolare forma di datio in solutum è
l’assolvimento del tributo mediante cessione allo Stato dei beni
d’interesse storico od artistico, sottoposti a speciale tutela.
12.
Gli effetti del ruolo.
Il ruolo è atto collettivo: contiene una molteplicità di “partite”, o iscrizioni.
Interessa l’effetto della singola iscrizione, che è duplice: concerne, da un
lato, l’obbligo di pagare, dall’altro l’esecuzione forzata. Nel caso di ruolo
fondato su dichiarazione, non pare corretto affermare che il ruolo
determina l’esigibilità del debito; questo debito, già in precedenza, doveva
essere soddisfatto; il ruolo reitera l’obbligo, e l’inadempimento di questo
obbligo apre la via all’esecuzione forzata. L’effetto del ruolo è invece
definibile in termini di esigibilità quando il ruolo si fonda sull’avviso di
accertamento; in tale ipotesi, l’iscritto non avrebbe potuto adempiere,
prima del ruolo. Qui dunque il ruolo produce un effetto definibile in termini
di esigibilità; inoltre, pone un obbligo di adempimento, la cui omissione
permette anche qui l’esecuzione forzata. Poiché è stabilito che, se il ruolo
non è impugnato, non è permesso agire per ripetere (ciò che è stato
corrisposto in base all’iscrizione divenuta definitiva), è parso di doverne
desumere che il ruolo abbia, in generale, valore di atto d’imposizione. Il
ruolo non è atto costitutivo dell’obbligazione tributaria; esso è mero
strumento di riscossione (ossia atto che se non viene pagata la somma
iscritta, abilita l’amministrazione all’esecuzione forzata); posto tutto ciò, la
mancata impugnazione del ruolo non dovrebbe consolidare altro che gli
effetti del ruolo (azione esecutiva), e non dovrebbe impedire il rimborso
delle somme riscosse mediante ruolo. L’art. 16 del d.p.r. n° 636 sembra
peraltro contraddire questo svolgimento logico, in quanto stabilisce che
l’istanza di rimborso è proponibile solo in assenza di atti impugnabili;
quindi quando vi è l’iscrizione a ruolo, l’impugnazione del ruolo è la via
obbligata da percorrere per ottenere l’annullamento del ruolo, il rimborso
di ciò che è stato versato in base a ruolo. Tale norma però non riguarda
tutte le iscrizioni a ruolo.
A) Essa riguarda in primo luogo, le iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio;
tali iscrizioni implicano un conguaglio, per cui, se in sede di iscrizione
provvisoria viene riscosso più di quello che era riscuotibile per tale via,
in sede di iscrizione definitiva sarà detratto tutto l’importo
provvisoriamente riscosso, iscrivibile o no che fosse.
B) Il problema no riguarda il ruolo affetto da vizi propri, ossia il ruolo che,
dovendo riprodurre un atto precedente, illegittimamente se ne discosti,
per cui il rimborso deve essere effettuato d’ufficio a prescindere da
istanze di parte.
C) Il problema non riguarda il ruolo che non sia stato preceduto da avviso
di accertamento o di liquidazione; l’unico caso in cui si ha preclusione
del rimborso è dunque quello in cui il ruolo sia stato formato in base
alla dichiarazione, e si assuma che la dichiarazione è dichiarazione di
un’imposta non dovuta.
13.
Gli effetti riflessi del ruolo.
Si discute se il ruolo esplichi effetti, non solo sul soggetto iscritto, ma
anche nei confronti di altri soggetti. In linea di principio , il ruolo – come
ogni altro atto giuridico – esplica effetti solo nei confronti del soggetto, a
cui si rivolge. Il titolo esecutivo non ha efficacia contro terzi, eccettuati gli
eredi (l’eccezione è apparente; gli eredi non sono terzi, ma prendono su
di sé le posizioni giuridiche del de cuius). Il titolo esecutivo, in
conclusione, non ha efficacia verso i terzi; unica eccezione, a tale
principio, se di eccezione si tratta, è costituita dai coobbligati dipendenti
limitati; tali soggetti rimangono estranei al processo di esecuzione, ma il
particolare diritto di garanzia che insiste sui loro beni ne consente il
pignoramento e la vendita in virtù del titolo esecutivo riguardante
l’obbligato principale; il caso della moglie, che abbia presentato
dichiarazione congiunta con il marito.
Capitolo dodicesimo
Sezione terza – La riscossione delle imposte indirette –
14.
Quadro generale.
La riscossione non coattiva delle imposte indirette si differenzia da quella
delle imposte dirette perché è effettuata presso gli stessi uffici impositori;
la riscossione coattiva è invece effettuata, sia per le imposte dirette, sia
per le imposte indirette, mediante ruoli.
15.
Riscossione in base alla dichiarazione.
Cominciamo ad esaminare i casi di iniziativa spontanea del contribuente.
Dobbiamo allora distinguere tre gruppi: a) casi nei quali vi è l’obbligo di
presentare una dichiarazione; b) casi nei quali vi è l’obbligo di una attività
equivalente alla dichiarazione; c) casi in cui l’obbligo di pagamento sorge
senza dichiarazione.
La dichiarazione è prevista per l’imposta sulle assicurazioni, imposta sul
valore aggiunto, imposta sulle successioni, sulla pubblicità, gli spettacoli e
sugli incrementi di valore degli immobili. Per l’imposta di registro, e per le
imposte ipotecarie e catastali, in luogo della dichiarazione, vi è la richiesta
di registrazione o di effettuazione della formalità. Infine, pagamento senza
dichiarazione si ha per le tasse sulle concessioni governative e per talune
forme di adempimento dell’imposta di bollo.
16.
Riscossione in base all’avviso di accertamento.
Di questo atto, dobbiamo rilevarne due specie: a) l’avviso che determina
sia l’imponibile, sia l’imposta, generando l’obbligo immediato di
pagamento; b) l’avviso che, limitandosi a determinare l’imponibile, non
determina l’obbligo immediato di pagamento. Nell’Iva l’avviso stabilisce
imponibile ed imposta; dalla sua notificazione, sorge l’obbligo di
pagamento. L’avviso di accertamento determina imponibile ed imposta
anche nell’imposta sulla pubblicità e nell’imposta sugli spettacoli. In tutti
questi casi, l’avviso è anche atto della riscossione; il mancato pagamento
legittima l’iscrizione a ruolo. In altre imposte (registro, successioni ed
imposte connesse), l’avviso determina solo la base imponibile, onde lo si
denomina avviso di accertamento del maggior valore; ad esso segue
l’avviso di liquidazione.
17.
Riscossione in base all’avviso di liquidazione.
L’avviso di liquidazione è previsto per l’imposta di registro, imposta sulle
successioni e per le altre imposte indirette. In tali imposte, la base della
prima liquidazione è la stessa denuncia del contribuente; in seguito la
liquidazione avverrà in relazione agli avvisi di accertamento ( i quali, in tali
imposta indicano il valore dei beni, ma non l’imposta). L’avviso di
liquidazione contiene la determinazione imperativa dell’imposta; in quanto
atto della riscossione, esso racchiude un invito al pagamento
dell’imposta. L’imposta deve infatti essere pagata entro un certo termine
dalla notificazione dell’avviso (60 o 90 gg.). Se il pagamento non avviene
nel predetto termine, si rende dovuta un soprattassa pari al 20%
dell’imposta.
18.
La riscossione provvisoria.
La distinzione tra riscossione definitiva e riscossione provvisoria, opera
anche nelle imposte indirette. Solo per alcune imposte indirette è previsto
un frazionamento del prelievo, in relazione all’andamento del processo; in
altre imposte, l’amministrazione può riscuotere anche se vi è processo
pendente. La riscossione provvisoria è prevista per l’imposta di registro,
per l’imposta sulle successioni e donazioni, per l’INVIM e per l’Iva. La
riscossione dell’imposta di registro è informata al principio per cui il
ricorso del contribuente non sospende la riscossione, con due eccezioni:
- le imposte complementari si riscuotono per un terzo dopo il ricorso, due
terzi dopo il primo grado, l’intero dopo il secondo grado; - le imposte
suppletive sono riscosse dopo il terzo grado.
Capitolo dodicesimo
Sezione quarta – Esecuzione forzata –
19.
Il processo esecutivo.
Il ruolo non è soltanto strumento di legittimazione della riscossione
spontanea, ma anche titolo esecutivo, ossia in base ad esso il
concessionario può sottoporre ad esecuzione forzata i beni del debitore.
L’esecuzione forzata fiscale è disciplinata dalle norme del diritto comune.
L’avviso di mora deve contenere l’indicazione del debito e l’invito a
pagare entro 5 gg.. L’avviso non preceduto da iscrizione a ruolo è atto
impugnabile dinanzi alle commissioni. L’esecuzione immobiliare non può
aver luogo se non è stata previamente esperita quella immobiliare.
L’esecuzione si articola in tre momenti: pignoramento, vendita e
assegnazione del ricavato. Il pignoramento dei beni mobili avviene nelle
forme del diritto processuale comune, ad opera dell’ufficiale esattoriale,
che deve redigere un verbale da consegnare e notificare al debitore
esecutato. Per addivenire all vendita, il concessionario deve far affiggere
un avviso per 5 gg. consecutivi nella casa comunale, nel quale deve
essere indicata la data del primo e quella del secondo incanto. Se i beni
non sono venduti al secondo incanto provvede a venderli il sindaco per
trattativa privata. Il pignoramento dei beni immobili si esegue mediante
trascrizione di un avviso di vendita. La vendita è presieduta dal pretore.
Se dopo un primo ed un secondo incanto il bene non è venduto,
l’intendente può autorizzare un terzo incanto. Se il terzo incanto ha esito
negativo l’immobile è devoluto allo Stato. Epilogo della procedura è la
distribuzione del ricavato.
20.
Le opposizioni all’esecuzione.
Secondo il codice di procedura civile, vi sono tre forme di opposizione: opposizione all’esecuzione, con cui si contesta il diritto della parte istante
di procedere ad esecuzione forzata; - opposizione agli atti esecutivi, con
cui si contesta la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto o
dei singoli atti esecutivi: - opposizione di terzo, promossa da un terzo che
pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. In
relazione all’esecuzione esattoriale, la legge non ammette né
l’opposizione all’esecuzione, né l’opposizione agli atti esecutivi, ma solo
l’opposizione di terzo. In luogo dell’opposizione all’esecuzione, il diritto
tributario conosce un rimedio amministrativo; è il ricorso all’intendente.
21.
La sospensione dell’esecuzione.
La legge stabilisce che il ricorso contro il ruolo non sospende la
riscossione e che, tuttavia, l’intendente di finanza, sentito l’ufficio delle
imposte, ha facoltà di disporla (cioè di disporre la sospensione non la
riscossione). La sospensione può essere revocata ove sopravvenga
fondato pericolo per la riscossione. Esiste dunque un potere
dell’Amministrazione di sospendere la riscossione; l’esercizio del potere è
subordinato alla presentazione d’un ricorso contro il ruolo, ed in
mancanza di pericoli per la riscossione. Contro i provvedimenti
dell’amministrazione è ammesso ricorso al giudice amministrativo, che
potrebbe disporre la sospensione rifiutata.
22.
L’ingiunzione.
L’ingiunzione era lo strumento della riscossione di tutte le tasse e imposte
indirette: ora continua ad essere usata come atto di accertamento,
mentre per la riscossione occorre il ruolo. Con atto di ingiunzione, la
pubblica amministrazione ordina il pagamento dell’imposta; se il
pagamento non avviene entro 30 gg., la pubblica amministrazione ha il
diritto di dar corso all’esecuzione forzata. Quanto alla natura giuridica e
agli effetti dell’ingiunzione, essa: se segue un atto d’imposizione ha
natura di atto esattivo; se non è stata preceduta da avviso di
accertamento, cumula le funzioni di atto impositivo e di atto esattivo.
Capitolo tredicesimo
Il rimborso
Sezione prima – Le fattispecie –
1. Credito d’imposta e rimborso da indebito.
Svariati sono i rapporti nei quali i privati sono in posizione di credito verso
l’amministrazione finanziaria; simili posizioni possono essere denominate,
in senso ampio, crediti d’imposta o diritti di rimborso. Il credito d’imposta
si distingue dai rimborsi: il primo designa un credito estinguibile mediante
compensazione, il secondo indica corresponsione della somma oggetto
del credito. Dal punto di vista delle modalità di esercizio vi sono crediti
che debbono essere esercitati mediante la loro inclusione nella
dichiarazione dei redditi o nella dichiarazione Iva; e crediti da indebito,
che implicano un’apposita istanza. Si ha dunque un tripartizione così
articolata: a) crediti di rimborso la cui fattispecie costitutiva è un
pagamento indebito
b) crediti di restituzione la cui fattispecie non è un pagamento indebito; e
le cui modalità di esercizio non sono caratterizzate in termini di
compensazione necessaria con il debito d’imposta;
c) crediti d’imposta in senso stretto che, non derivano da un pagamento
indebito, e la cui modalità di esercizio è caratterizzata dalla
compensazione con il debito d’imposta.
2. Genetica dell’indebito: a) carenza della legge.
Un pagamento è dovuto se oggetto di obbligazione; il pagamento non è
vero e proprio pagamento, ma dazione indebita, quando manca ab
origine, o viene meno in seguito il rapporto obbligatorio. Tra le cause
della mancanza del rapporto, dobbiamo innanzitutto annoverare le ipotesi
in cui manca, o viene ex post a mancare la norma di legge istitutiva
dell’obbligazione. Le ipotesi prospettabili sono le seguenti:
a) inesistenza della norma di legge istitutiva del tributo: ossia
applicazione amministrativa d’un tributo non previsto da alcuna legge
vigente;
b) mancata conversione in legge di un decreto legge;
c) abrogazione retroattiva della norma impositiva, o introduzione
retroattiva di una norma di favore;
d) interpretazione autentica contra fiscum;
e) dichiarazione di incostituzionalità.
3. Segue: b) dichiarazione inesatta.
Un’altra causa di pagamento non dovuto può essere una dichiarazione
erronea: si ipotizzi, ad esempio, che la dichiarazione contenga redditi non
percepiti o non tassabili. Ove una simile dichiarazione sia accompagnata
dal versamento della somma liquidata nella dichiarazione stessa, tale
versamento appare parzialmente indebito. Se si concepisce la
dichiarazione come atto di per se sufficiente a costituire il debito, riesce
arduo ammettere che l’indebito possa essere ripetuto, in assenza d’un
contrarius actus che ponga nel nulla gli effetti della dichiarazione.
Seguendo, invece, la tesi secondo cui la dichiarazione è un mero atto,
costitutivo di una obbligazione ex lege quale componente, con il
presupposto, d’una fattispecie complessa, nel caso dianzi prospettato,
l’obbligazione nasce solo nella misura in cui, con la dichiarazione,
coesiste il presupposto. Il plus erroneamente dichiarato e versato, quindi,
è un plus indebito, che la finanza è tenuta a restituire.
4. Segue: c) accertamento illegittimo.
Se, con l’avviso di accertamento, l’ufficio accerta un debito superiore a
quello risultante dalla corretta applicazione della legge alla situazione di
fatto, l’obbligazione sorge ugualmente, nella misura in cui è determinata
dall’avviso. L’indebito si profila solo se, e nella misura in cui l’avviso è
annullato, in tutto o in parte, dal giudice: in tal caso, solo a seguito di
annullamento dell’avviso diviene indebito ciò che è stato pagato in
osservanza dell’atto.
5. Segue: d) riscossione indebita.
Un’altra serie di ipotesi, nelle quali può aversi indebito, attiene alla
riscossione. Nel campo delle imposte sui redditi può darsi:
a) liquidazione erronea di somme direttamente versate;
b) vizio proprio del ruolo (es. viene iscritta a ruolo una somma superiore
a quella dovuta in base al titolo che legittima la riscossione).
Capitolo tredicesimo
Sezione seconda – Il procedimento –
6. Articolazione generale.
Esiste tutto un complesso di regole, intese a disciplinare il procedimento
di rimborso: ossia il complesso di attività che verificano ed attuano il
credito di rimborso. La disciplina generale, applicabile nei casi in cui non
vi siano norme specifiche è così riassumibile: - atto iniziale del
procedimento di rimborso è una istanza dell’interessato;
- l’istanza è proponibile in caso di versamento diretto o qualora
manchino o non siano stati notificati atti impugnabili;
- l’istanza è proponibile nei termini previsti dalle singole leggi d’imposta
o, in mancanza di disposizioni specifiche, entro 2 anni dal pagamento,
ovvero se posteriore, da quando sia sorto il diritto alla restituzione;
- all’istanza segue l’accoglimento (atto di rimborso), o il rigetto della
stessa ( provvedimento di diniego), ovvero l’inerzia dell’ufficio;
- in caso di provvedimento di diniego l’interessato può proporre ricorso
alla commissione entro 60 gg.; se il ricorso è omesso non può essere
riproposta l’istanza;
- in caso di silenzio, l’interessato può ricorrere quando siano trascorsi
almeno 90 gg. dalla presentazione dell’istanza e fino a quando il
rimborso non è prescritto.
7. Imposte sui redditi.
In materia di rimborso di imposte sui redditi, la disciplina del
procedimento varia in funzione della modalità con cui è stata riscossa la
somma di cui si chiede il rimborso.
A) Per le ritenute dirette, è previsto che il contribuente possa chiederne il
rimborso con ricorso rivolto all Direzione regionale competente per il
luogo in cui ha il domicilio fiscale, entro il termine decennale di
prescrizione previsto dal codice civile.
B) Per il rimborso dei versamenti diretti, il soggetto che li ha effettuati può
presentare, alla Direzione regionale, istanza di rimborso entro 18 mesi
dalla data del versamento. Il rimborso può essere chiesto anche dal
soggetto che sia stato indebitamente assoggettato a ritenuta, o che sia
stato assoggettato a ritenuta superiore a quella dovuta, entro 18 mesi,
dalla data in cui è stata operata la ritenuta. Tale soggetto può tutelarsi
in due modi: può esporre, in sede di dichiarazione, le ritenute subite, e
può inoltre presentare domanda di rimborso, in base alla norma in
esame. Secondo la giurisprudenza, tale soggetto non può rivolgersi
contro il sostituto, che ha operato una ritenuta indebita, ma può agire
solo nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
C) Per le somme corrisposte in base ad iscrizione a ruolo, la legge non
disciplina espressamente l’istanza di rimborso; la ragione sta nel fatto
che, in tale ipotesi, la procedura muove, non tanto da un’istanza di
rimborso rivolta all’autorità amministrativa, ma dal ricorso contro il
ruolo; il rimborso, infatti, presuppone l’annullamento del ruolo;
annullato il ruolo il rimborso deve essere disposto d’ufficio. Vanno ora
indicate le norme concernenti l’esercizio dei crediti d’imposta; dei
crediti, cioè da far valere mediante dichiarazione. Conclusivamente
può dirsi che, in sede di dichiarazione, il contribuente deve indicare
l’imposta netta ( ossia l’imposta lorda meno le detrazioni); l’imposta
netta si compensa con i crediti d’imposta, con le ritenute e con i
versamenti d’acconto. Quando l’ammontare dei crediti d’imposta, delle
ritenute e degli acconti è superiore all’imposta netta, il dichiarante ha
un diritto di opzione sull’eccedenza; può domandarne il rimborso
oppure compensarla con l’imposta dovuta per il periodo successivo.
8. Imposte indirette.
Esaminiamo ora, le norme che disciplinano l’istanza di rimborso di
imposte indirette. In tale settore, ha un certo carattere di generalità la
regola per cui il rimborso deve essere richiesto, a pena decadenza, entro
3 anni dal pagamento. Tale termine vale per l’imposta di registro, per
l’INVIM, per l’imposta sulle successioni e donazioni, per le imposte
ipotecarie e catastali, per l’imposta sugli spettacoli, per le tasse sulle
concessioni governative e per il bollo pagato in modo virtuale. Per quel
che concerne l'imposta sul valore aggiunto, occorre distinguere il
rimborso di somme indebitamente versate dal credito d’imposta derivante
dall’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di
rivalsa. La legge regola minutamente l’esercizio del credito d’imposta,
stabilendo: a) che le detrazioni vanno computate nel mese di competenza
e che quelle non computate tempestivamente non possono essere
computate nei mesi successivi ma solo nella dichiarazione annuale; b)
che il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi
di competenza ne in sede di dichiarazione annuale.
9. Il rimborso d’ufficio.
E’ importante distinguere i casi in cui il procedimento di rimborso inizia
per impulso dell’interessato, dai casi di rimborso d’ufficio. In caso di
rimborso d’ufficio non essendo previsto alcun termine, opera solo quello
prescrizionale previsto dal codice civile.
A) Un primo ordine di fattispecie, in cui il rimborso deve essere disposto
d’ufficio, riguarda i crediti risultanti dalla dichiarazione dei redditi ( per i
quali il dichiarante non abbia optato per il riporto a nuovo, nella
dichiarazione d’imposta dell’anno successivo).
B) Un secondo ordine di casi riguarda i rimborsi da effettuare a seguito di
decisioni delle commissioni; se l’imposta iscrivibile a ruolo in base ad
una decisione è inferiore a quella iscritta, l’ufficio deve disporre lo
sgravio.
C) Infine, tutti i casi in cui la riscossione indebita dipende da errori
materiali o duplicazioni imputabili allo stesso ufficio (es. Iscrizione a
ruolo di una somma superiore a quella accertata), il rimborso deve
essere disposto d’ufficio.
10.
Il diniego.
Le norme che prevedono istanze di rimborso o che il fisco provveda al
rimborso di sua iniziativa, non sono norme che fondano il credito di
rimborso, ma norme che disciplinano l’attuazione: sono, cioè, norme di
natura procedimentale, non norme sostanziali. Bisogna dunque
distinguere il rapporto sostanziale di rimborso dal fenomeno
procedimentale che serve ad attuarlo; le norme passate in rassegna non
sono una duplicazione o una esplicitazione del principio generale
dell’indebito, ma norme regolatrici delle attività preordinate a verificare ed
attuare il diritto al rimborso. Dall’istanza di rimborso non nasce il diritto al
rimborso, ed il debito di rimborso, ma una situazione giuridica
procedimentale; l’istanza obbliga l’amministrazione ad attivarsi, per
verificare la fondatezza della domanda, ed a pronunciarsi su di essa,
accogliendola o rigettandola. Dall’istanza, cioè, sorge l’obbligo di
procedere e l’obbligo di pronuncia. Il provvedimento di diniego dispone il
rigetto dell’istanza, ed estingue il dovere di pronuncia.
11.
Il silenzio.
Quando l’amministrazione rimane inerte e non provvede sull’istanza,
l’interessato può presentare ricorso alla commissione, purché siano
decorsi 90 gg. dalla precedente istanza, e fino a quando il diritto al
rimborso non è prescritto. E’ invece da ritenere che il silenzio non abbia
valore di provvedimento e che, in particolare, non equivalga ad un
provvedimento di diniego. E’ dunque un silenzio privo di effetti sul piano
sostanziale ( esso non estingue il credito, come il diniego) ed ha valore
solo processuale, come presupposto del ricorso. Quando viene
presentato ricorso a seguito di silenzio, non viene proposta un’azione di
impugnazione, ma un’azione di accertamento; insieme con
l’accertamento del credito, l’interessato può altresì chiedere la condanna
dell’amministrazione al rimborso.
12.
L’atto di rimborso.
La competenza a disporre il rimborso spetta, in materia di imposte dirette,
alla Direzione regionale. E’ invece l’ufficio delle entrate che dispone il
rimborso dei versamenti diretti e delle ritenute non computati nel ruolo,
delle imposte riscosse in via provvisoria. Nel settore delle imposte
indirette, i rimborsi sono disposti dagli stessi uffici, che sono competenti
ad accertare e riscuotere le imposte.
Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
Sezione prima – introduzione –
1. Nozione di illecito e di sanzione.
Strutturalmente, sanzione è una norma che impone ad un organo dello
Stato l’applicazione di certe misure; siamo in presenza, dunque, di poteri
(e doveri) statali; la cui specificità deriva: - dai caratteri delle situazioni, in
presenza delle quali debbono essere esercitati; si tratta, come si usa dire,
di trasgressioni, di violazioni di norme; in una parola, di illeciti; dall’oggetto del potere, in altri termini dalla tipologia degli effetti, che
scaturiscono dall’esercizio di questo potere; le specie più notevoli di
questi effetti consistono in pene detentive o in pene pecuniarie. Il diritto
tributario pullula di sanzioni; difficile concepire dei consociati che
adempirebbero spontaneamente obblighi tributari non sanzionati; negli
ultimi tempi, il legislatore ha mostrato una predilezione particolare per le
misure penali.
2. Tipologie degli illeciti e delle sanzioni.
La tipologia degli illeciti dipende da quella delle sanzioni; dove è prescritta
una sanzione penale, amministrativa, civile, disciplinare, ivi è un illecito
penale, amministrativo, ecc.. Un comportamento, o una omissione, non
sono illeciti ontologicamente, ma in quanto costituiscano l’antecedente di
una sanzione. Abbiamo dunque un illecito penale, ossia un reato, quando
ad esso è collegata una sanzione penale. Le sanzioni amministrative
tributarie, secondo la legge del 1929, sono di tre specie: a) pena
pecuniaria; b) soprattassa; c) chiusura di un esercizio pubblico o negozio,
o di uno stabilimento commerciale od industriale. Pena pecuniaria
(sanzione amministrativa) e sanzioni penali, dunque, sono in rapporto di
alternatività ; la legge può stabilire in aggiunta alla sanzione penale o
amministrativa, l’obbligo del pagamento di una soprattassa. La
soprattassa, vista come misura aggiuntiva rispetto alle sanzioni, sembra
non essere una sanzione, ma una misura riparatoria o risarcitoria. La
legislazione attuale non rispecchia quel modello; pena pecuniaria
(sanzione amministrativa) e sanzioni penali possono cumularsi; può
esservi cumulo anche tra sanzione penale e soprattassa; l’alternativa
sembra correre, piuttosto, tra pena pecuniaria e soprattassa; inoltre la
funzione risarcitoria sembra affidata agli interessi per ritardato
pagamento, che sono dovuti indipendentemente dalle sanzioni. Il cumulo
tra sanzioni penali e amministrative è previsto espressamente dalla
legge.
Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
Sezione seconda – Le misure amministrative –
4. Le fattispecie.
Iniziamo l’esame degli illeciti amministrativi cui è collegata una pena
pecuniaria o una soprattassa.
A) In materia di Iva, le violazioni degli obblighi formali (fatturazione,
registrazione, dichiarazione, contabilità, compilazione di elenchi,
mancata risposta a questionari) sono punite con pena pecuniaria;
l’omesso o tardivo versamento è punito con soprattassa.
B) In materia di imposte sui redditi, seguendo analogo criterio, il
legislatore punisce con pena pecuniaria le violazioni relative alla
dichiarazione e ad altri obblighi; le violazioni in materia di riscossione,
invece, sono punite prevalentemente con soprattassa.
C) In materia di imposte di successione e di registro il legislatore,
seguendo lo stesso criterio, punisce con pena pecuniaria le violazioni
relative alla dichiarazione e ad altri obblighi formali, e punisce con
soprattassa l’omesso o tardivo versamento.
5. La pena pecuniaria.
A) La pena pecuniaria consiste nell’obbligazione di pagare una somma di
denaro.
B) La misura della pena pecuniaria varia tra un minimo ed un massimo;
nell’applicazione si ha riguardo alla gravità della violazione e alla
personalità di chi l’ha commessa; la personalità del trasgressore è
desunta dai precedenti penali e giudiziari e, in genere dalla sua
condotta. Esistono peraltro dei casi nei quali la pena pecuniaria è
stabilita in misura fissa: es. È punita in misura fissa l’omessa
presentazione della copia della dichiarazione dei redditi destinata al
comune.
C) Gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non dovute le
pene pecuniarie quando la violazione è giustificata da obiettive
condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle
disposizioni alle quali si riferisce.
D) La giurisprudenza ha sempre fatto leve sul carattere civile della
obbligazione, in cui consiste l pena pecuniaria, per affermarne la
trasmissibilità agli eredi; la dottrina ha insistito sul carattere
sanzionatorio dell’istituto per escludere la trasmissibilità.
E) Se la violazione della norma finanziaria è commessa da più persone,
queste sono obbligate in solido.
F) E’ prevista un’attenuazione del principio del cumulo delle pene in caso
di continuazione.
6. La soprattassa.
La soprattassa si distingue dalla pena pecuniaria per la misura; essa non
varia da un minimo ad un massimo, ma è stabilita dalla legge in una
somma fissa, corrispondente all’ammontare del tributo, ovvero ad una
frazione o ad un multiplo di esso. Anche in materia di soprattasse le
commissioni hanno il potere di dichiararne la non applicabilità per motivi
di incertezza sulla portata della norma da applicare. Accentuandone il
carattere risarcitorio, la giurisprudenza tende a considerarla un
accessorio del tributo, e quindi ad estendere all soprattassa la disciplina
prevista, ad esempio, in materia di privilegi e di interessi moratori.
7. Altre sanzioni.
Gli illeciti amministrativi sono puniti, oltre che con le sanzioni già
esaminate, con altre sanzioni, c.d. accessorie: - lo scioglimento degli
organi amministrativi e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio del
credito, per gli enti di credito che violino le norme in tema di certificazioni
di passività bancarie e in tema di deroghe al segreto bancario; - la
decadenza dal diritto di fruire di contributi o altre provvidenze dello Stato;
- la sospensione dall’esercizio della professione; - la sospensione
dall’esercizio di un’attività commerciale.
8. Il procedimento applicativo della pena pecuniaria.
La legge del 11929 attribuisce la competenza ad applicare la pena
pecuniaria all’intendente (Direzione regionale) nella cui circoscrizione sia
stata accertata la violazione; i decreti di attuazione della riforma tributaria
hanno conferito tale competenza agli uffici delle imposte, per le pene
pecuniarie relative ai tributi le cui controversie appartengono alla
giurisdizione delle commissioni. Occorre dunque distinguere tra pene
pecuniarie irrogate dall’intendente e pene pecuniarie irrogate dall’ufficio.
A) La competenza dell’intendente (Dir. regionale) in materia di pena
pecuniaria, venuta meno per i tributi di maggiore rilievo (imposta sul
reddito, Iva, imposte di registro, ecc..), permane per le imposte di
bollo, concessione governativa, pubblici spettacoli, tasse di
circolazione, imposte di fabbricazione, imposte doganali, ecc..
Secondo la legge del 1929, la Dir. regionale, prima di applicare la
pena pecuniaria, deve notificare al trasgressore il verbale di
accertamento, invitandolo a presentare le sue deduzioni entro il
termine di 15 gg.. Decorso tale termine, l’amministrazione può irrogare
la pena pecuniaria con ordinanza motivata. L’ordinanza acquista
valore esecutivo se nel termine di 30 gg. non è impugnata con ricorso
al Ministro delle finanze. Contro il decreto del Ministro è consentito
agire dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.
B) Quando la pena pecuniaria è applicata dallo stesso ufficio che accerta
il tributo, esso irroga la pena pecuniaria con l’avviso di accertamento
relativo al tributo; se la pena non discende da fatti di evasione, ma
dalla violazione di prescrizioni meramente formali, l’ufficio irroga la
pena con apposito avviso. Il provvedimento è impugnabile con ricorso
alle commissioni tributarie.
9. Estinzione della pena pecuniaria.
Le sanzioni amministrative (pena pecuniaria e soprattassa) si estinguono
con l’adempimento, ma vi sono altre ipotesi di adempimento.
A) Vediamo, innanzitutto, la c.d. definizione in via breve “per le violazioni
delle norme delle leggi finanziarie, per cui sia stabilita la pena
pecuniaria, è consentito al trasgressore di pagare all’atto della
contestazione della violazione una somma pari al sesto del massimo
della pena, oltre l’ammontare del tributo”. Pagando e rinunciando
implicitamente a sollevare contestazioni, il trasgressore ottiene unno
sconto. In materia di imposte sui redditi, per le violazioni che non
danno luogo ad accertamenti, la pena pecuniaria non può essere
irrogata qualora, nel termine di 30 gg. dalla data del verbale, sia
eseguito il pagamento di un sesto del massimo della pena pecuniaria.
In questa ipotesi il pagamento del sesto del massimo della pena non si
accompagna al pagamento del tributo; la finanza non può irrogare la
sanzione ma resta indenne il potere di imporre il tributo. Una norma
analoga è presente in materia di Iva, anche qui non è richiesto il
pagamento del tributo.
B) Secondo la legge del 1929, si ha estinzione della pena pecuniaria, per
prescrizione con il decorso di 5 anni dal giorno della violazione; per la
soprattassa con il decorso del termine per la prescrizione del tributo.
C) Le sanzioni amministrative possono estinguersi per effetto di condono.
L’istituto non è previsto in via generale da alcuna legge, ma concesso
volta a volta con provvedimenti ad hoc. Il legislatore consente, a
coloro che abbiano commesso violazioni di leggi tributarie di
ravvedersi, ossia di provvedere, ora per allora, all’adempimento
omesso; le sanzioni sono condonate a chi si avvede.
D) Infine, vi può essere estinzione dell’illecito amministrativo per effetto
dell’esonero. In base ad un decreto ministeriale del 1931 l’autorità
amministrativa può con valutazione discrezionale, ridurre o
abbandonare le pene pecuniarie. La riduzione è ammessa per le
imposte indirette, quando ricorrano particolari circostanze che
giustificano un benevolo trattamento (mancato o insufficiente
pagamento, ovvero irregolarità di semplice forma). L’abbandono (o
esonero dal pagamento della sanzione) è consentito in tre casi: a) per
le violazioni che si riferiscono a casi di dubbia applicazione del tributo;
b) per le violazioni bagatellari dell’imposta di bollo; c) per le violazioni
anteriori ad una legge di condono, quando gli atti non siano stati
regolarizzati in tempo perché non in possesso del trasgressore.
Capitolo quattordicesimo
Sezione terza – Le misure penali –
10.
La riforma.
Consideriamo le norme penali riguardanti le imposte dirette e l’imposta
sul valore aggiunto.
A) La legge del 1929 conteneva il c.d. principio di fissità, non potevano
essere abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli
tributi, se non per dichiarazione espressa dal legislatore con specifico
riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate. La riforma
del 1982 lo ha soppresso.
B) Altro importante principio della legge del 1929 abolito nel 1982 è la
c.d. pregiudiziale tributaria; il principio, cioè, previsto per le imposte
dirette dalla legge del 1929 ed esteso all’Iva dal decreto istitutivo di
tale ultima imposta, per cui l’azione penale non può aver corso se non
quando è divenuto definitivo l’accertamento del tributo. Si constatò
che tale principio aveva reso praticamente inoperante l’efficacia
intimidatoria delle sanzioni penali poiché, data la lungaggine del
processo tributario, l’azione penale poteva avere inizio solo a distanza
di molto tempo dalla comunicazione del fatto illecito. Per abolire la
pregiudiziale sono state infatti modificate le norme incriminatrici, le
quali ora, prevalentemente non puniscono l’evasione ( ossia l’omessa,
incompleta o infedele dichiarazione) ma la commissione di fatti
prodromici o strumentali all’evasione o altri fatti il cui accertamento
non implica la risoluzione di questioni estimative.
11.
Principi generali.
Il diritto penale tributario segue le regole generali del diritto penale
comune. Vi sono però principi e norme particolari che vanno qui ricordati:
A) Una prima deroga alle norme penali comuni concerne la successione
di leggi penali finanziarie. Secondo il codice penale in caso di
successione di leggi penali nel tempo si applica la legge successiva
se più favorevole al reo; tale legge, cioè è retroattiva, se più
favorevole di quella vigente quando fu commesso il fatto. La
retroattività della legge più favorevole al reo non vale in materia
penale tributaria.
B) Secondo un principio generale del diritto penale, nessuno può
invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. Accogliendo
gli auspici di larga parte della dottrina, la Corte cost. Ha limitato la
portata dell’art. 5 c.p., statuendone l’incostituzionalità nella parte in cui
non esclude dall’inescusabilità della legge penale l’ignoranza
inevitabile. Dopo la sentenza della Corte cost., l’art. 5 c.p. va letto
così: “l’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti di
ignoranza inevitabile”. L’errore per escludere la punibilità dev’essere
un errore sulla norma e deve aver cagionato un errore sul fatto.
C) In materia di concorso di reati, la legge penaltributaria del 1929 reca
una norma particolare, che diverge dalla disciplina del codice penale.
Tale norma dispone innanzitutto che “per ogni violazione di legge si
applica la relativa sanzione”; il che significa che le pene si sommano
(cumulo materiale), in presenza di concorso omogeneo (violazione
della stessa disposizione); il codice penale, invece, prevede il cumulo
giuridico delle pene. La legge penaltributaria prevede, poi, delle
attenuazioni “nel caso di violazioni commesse anche in tempi diversi
in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione può essere
applicata una sola volta”.
D) In materia di prescrizione, la legge del 1982 deroga al codice penale
prevedendo una prescrizione di 7 anni per la contravvenzione di
omessa dichiarazione e di 6 anni per gli altri reati contravvenzionali;
pure di 6 anni è la prescrizione per i delitti.
12.
La contravvenzione di omessa dichiarazione.
E’ innanzitutto sanzionata penalmente l’omessa presentazione della
dichiarazione dei redditi e della dichiarazione Iva, quando l’ammontare
dei redditi fondiari, corrispettivi, ricavi, compensi o altri proventi non
dichiarati è superiore a 50 ml. di lire. E’ da notare che viene dato rilievo
penale all’omissione della dichiarazione, non quando l’ammontare
dell’imponibile supera una data soglia, ma quando i valori attivi non
dichiarati superano la soglia minima. Due sono pertanto gli elementi
costitutivi del reato: l’omessa presentazione della dichiarazione e il fatto
che gli elementi non dichiarati superino un certa entità. Ora nel caso di
omessa dichiarazione abbiamo che: - se l’importo non dichiarato è
superiore a 100 ml. si applicano congiuntamente la pena dell’arresto e
dell’ammenda; il reato quindi non è oblazionabile (l’arresto va da tre mesi
a due anni e l’ammenda da 10 a 20 ml.)
- se l’ammontare non dichiarato è superiore a 50, ma non a 100 ml., la
pena è disgiuntamente, l’arresto o l’ammenda (arresto fino a 2 anni a
ammenda fino a 5 ml.); il reato quindi è oblazionabile.
Non si considera omessa:
- la dichiarazione presentata entro 90 gg. dalla scadenza del termine
prescritto;
- la dichiarazione presentata ad un ufficio incompetente;
- la dichiarazione non sottoscritta;
- la dichiarazione non redatta su uno stampato conforme al modello
ministeriale.
13.
La contravvenzione di infedele dichiarazione.
La legge punisce, da un lato l’omessa dichiarazione (quale che sia il
soggetto che la ometta , ed eccettuati soltanto i lavoratori dipendenti, in
taluni casi), e dall’altro l’infedele dichiarazione: quest’ultima fattispecie,
però, concerne soltanto i titolari di redditi diversi da quelli di lavoro
autonomo e d’impresa. La legge distingue, infatti, i lavoratori autonomi e
gli imprenditori (nei cui confronti punisce l’omessa contabilizzazione) dai
soggetti non obbligati alla tenuta della contabilità: per questi ultimi, è
criminalizzato il comportamento di infedele dichiarazione che, in assenza
di obblighi di contabilizzazione, si presenta come l’unico comportamento
suscettibile di sanzione. Come per il reato di omessa dichiarazione, vi è
da distinguere un’ipotesi standard (non oblazionabile) e un’ipotesi minore,
che è invece oblazionabile. Infatti:
- quando l’ammontare dichiarato è inferiore a quello effettivo di oltre 100
ml., si ha congiuntamente, la pena dell’arresto e quella dell’ammenda
(arresto da tre mesi a due anni e ammenda da dieci a 20 ml.); il reato
quindi non è oblazionabile;
- quando l’ammontare dichiarato è inferiore a quello effettivo di oltre un
quarto di quest’ultimo e di oltre 50 ml. (ma non di oltre 100 ml.), il reato
è oblazionabile perché è applicabile, disgiuntamente, l’arresto fino a
due anni o l’ammenda fino a 4 ml..
14.
La contravvenzione di omessa fatturazione o annotazione di
corrispettivi.
Questo reato contravvenzionale è uno dei più caratteristici della riforma
del 1982; con tale legge, viene punita l’infedele dichiarazione per i redditi
per i quali non vi è l’obbligo di contabilità; dove invece vi è l’obbligo di
emettere fatture o di compiere annotazioni contabili, si puniscono le
violazioni di tali obblighi. Il reato è commesso quando non vengono
fatturati e non vengono annotati corrispettivi superiori a determinati
importi. Più precisamente si ha l’ipotesi base (non oblazionabile) quando:
- è omessa l’annotazione di corrispettivi nelle scritture contabili
obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi, per un ammontare
superiore a 150 ml. e allo 0,25 % dei corrispettivi indicati nell’ultima
dichiarazione o, comunque superiore a 500 ml.;
- è omessa la fatturazione o l’annotazione delle scritture contabili
obbligatorie ai fini Iva, per un ammontare superiore a 150 ml. e allo
0,25 % dei corrispettivi dell’ultima dichiarazione o superiore a 500 ml..
In tali ipotesi, il trattamento sanzionatorio è identico a quello previsto per
l’ipotesi base del reato di infedele dichiarazione: si applicano
congiuntamente, la pena dell’arresto e quella dell’ammenda ( arresto da
tre mesi a due anni e ammenda da dieci a venti ml.) Si ha invece ipotesi
attenuata, con possibilità di oblazione, quando l’ammontare complessivo
dei corrispettivi non fatturati o non annotati è superiore a 50 ml. e al 2 %
dei corrispettivi indicati nell’ultima dichiarazione o comunque superiore a
100 ml.; in questa ipotesi si applica la pena dell’arresto fino a due anni o
dell’ammenda fino a 4 ml..
Vediamo ora, le esimenti. Non si considerano omesse le annotazioni e le
fatturazioni di corrispettivi, quando ricorra una delle seguenti ipotesi:
a) le annotazioni siano state effettuate in taluna delle scritture contabili la
cui mancata tenuta o conservazione è punita come reato; i dati delle
operazioni risultino da documenti la cui emissione e conservazione è
obbligatoria, i relativi corrispettivi siano compresi nella dichiarazione
annuale e sia versata l’imposta dovuta;
b) i corrispettivi non annotati o non fatturati risultino compresi nelle
dichiarazioni e sia versata l’imposta dovuta,
c) si tratti di operazioni che non danno luogo all’applicazione delle
relative imposte;
d) le annotazioni risultino da scritture contabili obbligatorie del periodo
d’imposta precedente o successivo a quello di competenza.
15.
La contravvenzione di omessa tenuta o conservazione di
talune scritture contabili.
Questo reato è integrato all condotta di chi non tiene, o non osserva per
il periodo necessario taluna delle seguenti scritture contabili: libro
giornale; libro degli inventari; registro delle fatture; registro dei
corrispettivi; registro degli acquisti. Si considerano non tenute le scritture
contabili non regolarmente bollate e non vidimate, nonché quelle
inattendibili nel loro complesso a causa di irregolarità gravi, numerose e
ripetute.
16.
I reati del sostituto.
Sono tre le figure di reato che hanno come soggetto attivo il sostituto.
Una figura sanziona obbligo di dichiarazione, due obbligo di versamenti.
A) Il sostituto che omette di presentare la dichiarazione annuale è punito
a titolo contravvenzionale, quando l’ammontare delle somme pagate e
non dichiarate è superiore, nel periodo d’imposta, a 50 ml.. La pena
comminata è quella dell’arresto fino a 2 anni o quella dell’ammenda
fino a 5 ml.;
B) Il sostituto che omette di versare, entro il termine previsto per la
presentazione della dichiarazione annuale ritenute per un ammontare
complessivo superiore, in un periodo d’imposta, a lire 50 ml., è punito
con l’arresto fino a 3 anni oppure con l’ammenda fino a 6 ml.;
C) Il sostituto che omette di versare, entro il termine previsto per la
presentazione della dichiarazione annuale ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituti per un ammontare complessivo
superiore, in un periodo d’imposta, a 25 ml, è punito con la reclusione
da tre mesi a tre anni e con la multa da lire tre ml. a lire 5 ml..
Il secondo reato è contravvenzionale, il terzo è un delitto; le differenze tra
i due reati stanno in ciò che: - la soglia minima è di 50 ml. in un caso, di
25 nell’altro; - nel terzo reato si richiede il rilascio ai sostituti della
certificazione delle ritenute.
17.
I delitti di frode fiscale: generalità.
Frode fiscale torna utile per classificare una serie di ipotesi delittuose,
che il legislatore tratta unitariamente.
A) Le condotte.
Le sei ipotesi delittuose sono le seguenti:
a) rilascio o utilizzazione di scritture o documenti contraffatti o alterati;
b) distruzione o occultamento di scritture o documenti contabili;
c) indicazione di nomi diversi da quelli veri in elenchi allegati alla
dichiarazione;
d) rilascio o utilizzazione di fatture false o di altri documenti falsi;
e) indicazione nei certificati rilasciati dal sostituto al sostituito di somme
diverse da quelle effettivamente corrisposte;
f) indicazione nelle scritture contabili, o nel bilancio, o nella
dichiarazione, di elementi positivi o negativi di reddito, in misura falsa;
Abbiamo quindi accanto al reato di distruzione od occultamento della
contabilità, che viene indicata come “frode fiscale per soppressione” (sub
b), un’ipotesi di reato di “falso materiale” (sub a); le rimanenti 4 ipotesi
sono tutte inquadrabili come reati di falso ideologico.
B) Il dolo.
Per tutte le ipotesi di reato, il legislatore esige che il dolo sia specifico;
occorre, cioè, che il fatto sia commesso alfine di evadere le imposte sui
redditi o l’imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito
rimborso ovvero di consentire l’evasione o l’indebito rimborso a terzi.
C) La pena.
La legge prevede, come sanzioni, la reclusione da sei mesi a 5 anni e la
multa da 5 a 10 ml.. Se i fatti previsti alle lettere a, b, c, e, f, sono di lieve
entità, abbiamo un’attenuante: la sanzione detentiva e quella patrimoniale
sono alternative e la loro misura è minore. Non si ha lieve entità quando
gli importi sono superiori a 50ml..
18.
La frode mediante falso materiale.
Commette questo reato chiunque allega alla dichiarazione annuale dei
redditi dell’imposta sul valore aggiunto o di sostituto d’imposta,
comunque, rilascia o utilizza documenti contraffatti o alterati. I penalisti
distinguono il falso materiale dal falso ideologico: il primo riguarda il
documento come res, il secondo il documento come segno. Il documento
materialmente falso è non genuino, quello ideologicamente falso è non
veridico. La falsità materiale può aversi in due forme: a) con alterazione,
che si ha quando il documento, dopo la sua formazione, subisce
modificazioni (aggiunte, cancellature, ecc.); b) con la contraffazione, che
si ha quando il documento è formato da persona diversa da quella da cui
appare, provenire.
19.
La frode per soppressione.
Commette questo reato chiunque distrugge od occulta in tutto o in parte
le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in
modo da non consentire la ricostruzione del volume d’affari o dei redditi. Il
reato previsto dal codice penale ha per oggetto qualsiasi atto pubblico o
scrittura privata, quello fiscale ha per oggetto le scritture contabili o i
documenti di cui è obbligatoria la conservazione. Inoltre ai fini della
realizzazione del reato fiscale, non basta il fatto in se della distruzione o
dell’occultamento, ma occorre che il fatto sia concretamente lesivo;
occorre; cioè, che, a causa di quel fatto, risulti impedita la ricostruzione
del reddito o del volume d’affari su basi contabili.
20.
Le frodi mediante falso ideologico.
In questa classe di reati rientrano 4 fattispecie, tutte caratterizzate dal
fatto che la condotta si riferisce a documenti, fiscalmente rilevanti, nei
quali è scritto il falso.
1) Commette reato chi, negli elenchi nominativi allegati alla dichiarazione
annuale o nella dichiarazione annuale presentata in qualità di sostituto
d’imposta indica nomi immaginari o comunque diversi da quelli veri in
modo che ne risulti impedita l’identificazione dei soggetti cui si
riferiscono. Sono qui previste due figure criminose: quella di chi indica
nomi immaginari e quella di chi indica nomi diversi da quelli veri. In
relazione alla seconda ipotesi, si richiede che il fatto sia
concretamente lesivo e cioè che la indicazione di nomi falsi impedisca
l’individuazione dei nomi veri.
2) Commette reato chi emette o utilizza fatture o altri documenti per
operazioni in tutto o in parte inesistenti o recanti l’indicazione dei
corrispettivi o dell’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a
quella reale; ovvero emette o utilizza fatture o altri documenti recanti
l’indicazione di nomi diversi da quelli veri in modo che ne risulti
impedita l’identificazione dei soggetti cui si riferiscono. I tipi di condotta
penalmente rilevanti sono tre:- emissione o utilizzazione di fatture
aventi ad oggetto operazioni in tutto o in parte inesistenti; - emissione
o utilizzazione di fatture recanti la indicazione di corrispettivi o dell’Iva
in misura superiore a quella reale (c.d. sovrafatturazione); - emissione
o utilizzazione di fatture o altri documenti recanti la indicazione di nomi
diversi da quelli veri in modo che ne risulti impedita la identificazione
dei nomi veri.
3) Commette reato chi nei certificati rilasciati ai soggetti ai quali ha
corrisposto compensi o altre somme soggetti a ritenuta alla fonte a
titolo di acconto indica somme al lordo delle ritenute, diverse da quelle
effettivamente corrisposte e chi fa uso di essi.
21.
Falsità della dichiarazione o del bilancio.
La norma in esame punisce colui che indica nella dichiarazione dei redditi
ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi
previsti dall’art. 1, ricavi, proventi o altri componenti positivi del reddito,
ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da
quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti materiali non
corrispondenti al vero, ovvero ponendo in essere altri comportamenti
fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento dei fatti materiali.
A) Soggetti attivi del reato.
Nel caso di persone fisiche, vi è coincidenza tra soggetto dichiarante e
autore del reato; nel caso delle società invece autori del reato sono coloro
che agiscono per la società. E’ penalmente responsabile il soggetto che
sottoscrive la dichiarazione dei redditi della società; i singoli consiglieri di
amministrazione e i sindaci rispondono penalmente quando abbiano
partecipato al reato commesso, ad esempio, dall’amministratore
delegato.
B) La condotta
Nella condotta che integra questo reato vanno distinti due momenti:
l’indicazione dei componenti reddituali falsi e il comportamento
fraudolento. Commette reato infatti chi espone dati falsi nella
dichiarazione ovvero nel bilancio; il mendacio nella dichiarazione o nel
bilancio deve però essere accompagnato da un altro elemento, di tipo
fraudolento: o l’utilizzo di documenti falsi o in generale un altro
comportamento fraudolento.
C) L’oggetto della condotta.
Altro punto dubbio è se, per integrare il reato occorra che la condotta
investa congiuntamente bilancio e dichiarazione. Data la lettera della
legge (dichiarazione ovvero bilancio) sembra sufficiente che la condotta
investa uno soltanto di tali documenti. In pratica comunque sembra
improbabile che la falsità vi sia nel bilancio e non nella dichiarazione o
viceversa.
D) Assenza di soglia minima.
Ai fini di questo reato non vi è una soglia minima; la ragione di ciò è
evidente; chi pone in essere un comportamento fraudolento va punito per
il fatto che il comportamento è fraudolento, astraendo da valutazioni
quantitative; la quantità rileva solo come attenuante; se l’importo è
inferiore a 50 ml. si ha una circostanza di attenuazione della pena
edittale.
E) Alternatività tra contravvenzioni ex art. 1 e delitto ex art. 4 lett. f).
-
Capitolo Sedicesimo – Il processo tributario –
Sezione prima – Le commissioni e le parti –
1. Cenno storico.
Con la legge del 1865 furono aboliti i tribunali del contenzioso
amministrativo e la tutela dei cittadini nei confronti della pubblica
amministrazione, anche in materia tributaria, fu affidata al giudice
ordinario. Non furono abolite, però, le commissioni tributarie, che in
seguito assunsero veste di organi contenziosi, articolati in tre gradi. Si
aveva così un sistema di tutela molto complesso, che si componeva di tre
gradi di giudizio dinanzi alle commissioni, e di tre gradi dinanzi al giudice
ordinario. Il d.p.r. n° 636 del 72 è stato sostitui to con la riforma dal d.lgs.
n° 546 del 92. Con tale riforma vi erano due gradi di giudizio dinanzi a
commissioni di primo e secondo grado; vi era poi un terzo grado di
giudizio, che poteva svolgersi, alternativamente, dinanzi alla commissione
tributaria centrale o dinanzi alla corte d’appello. La sentenza di terzo
grado poteva essere impugnata per cassazione. La disciplina del
processo tributario contenuta nel d.p.r. 636 presentava difetti e lacune,
sia per quanto riguardava la composizione delle commissioni, sia per
quanto riguardava il processo.
2. La riforma del 1991-1992: luci ed ombre.
La riforma del 92 ha come base la l. N° 413 del 199 1, con cui il
parlamento delegò il governo a riformare le commissioni ed il processo
tributario. Da tale delega sono scaturiti i decreti legislativi 545 e 546 del
1992, concernenti rispettivamente, l’ordinamento delle commissioni ed il
processo tributario. Con tale riforma sono state istituite commissioni
tributarie provinciali e regionali; si ha così un giudizio su due gradi di
merito, cui segue il giudizio dinanzi alla Corte di cassazione. Vi è un
adeguamento del processo tributario alle norme del processo civile.
Inoltre vi è una norma generale di rinvio al c.p.c.. Il rinvio opera: a)
quando nessuna norma del decreto lgs. 546 del 92 disciplina una certa
fattispecie; b) se la norma del codice di p.c. risulta compatibile con i
caratteri del processo tributario. Aspetti positivi sono la riduzione dei gradi
di giudizio e l’istituzione della tutela cautelare; aspetti criticabili:
- la mancata introduzione di strumenti idonei a ridurre la massa
contenziosa
- la mancata istituzione dei giudici tributari e la scarsa preparazione
professionale di alcune categorie di membri delle commissioni
- il c.d. adeguamento al c.p.c. cioè ad un testo ideologicamente
superato.
3. L’ordinamento delle commissioni e i giudici tributari.
Le commissioni tributarie si articolano in commissioni provinciali e
regionali. La commissione tributaria provinciale è formata da 2 o più
sezioni, a ciascuna delle quali è assegnato un presidente, un
vicepresidente e 4 membri; il collegio giudicante è formato da 3
componenti: due membri e il presidente. Il presidente della commissione
è sempre un magistrato. I giudici delle commissioni tributarie sono
nominati con decreto del P. Della Repubblica, su proposta del Ministro
delle Finanze, a seguito di deliberazione del Consiglio di presidenza della
giustizia tributaria. A proposito dei requisiti: La delega imponeva la
qualificazione professionale dei giudici tributari in modo che venga
assicurata adeguata preparazione nelle discipline giuridiche o
economiche, acquisita con l’esercizio di almeno 10 anni di attività
professionali; ma le norme delegate non sono conformi alla delega. Il
decreto delegato non richiede per alcune categorie i 10 anni di attività, e
possono far parte delle commissioni anche ingegneri, architetti, geometri,
periti edili.
3.1 Competenza territoriale.
Nel processo tributario non vi è una distribuzione delle competenze per
materia o valore: il ricorso introduttivo della lite è da proporre sempre ad
una commissione tributaria provinciale. Unico criterio da seguire è quello
territoriale; lo stesso criterio si segue per individuare la commissione
tributaria regionale competente per l’appello. Se il ricorso è presentato ad
una commissione non competente, il ricorrente può riassumere la causa
dinanzi a quella competente.
4. Le parti e la difesa tecnica.
Il ricorso può essere proposto solo da chi è legittimato a farlo, ossia dal
destinatario dell’atto che viene impugnato. Per le azioni di rimborso è
legittimato colui che ha presentato istanza di rimborso. Il ricorrente deve
farsi assistere in giudizio da un difensore tecnico. Il difensore non è
necessario quando:
- controversie di valore inferiore a 5 ml.
- ricorsi contro i ruoli formati dai centri di servizio
- controversie promosse da soggetti che sono abilitati all’assistenza
tecnica.
Difensori tecnici possono essere: avvocati, procuratori legali,
commercialisti, ragionieri. La difesa può essere svolta anche da altri
soggetti, ma con capacità limitata:
- i consulenti del lavoro, per cause concernenti le ritenute alla fonte sui
redditi di lavoro dipendente ed assimilati
- ingegneri, architetti, geometri, per le cause in materia catastale
- i dipendenti delle associazioni di categoria, per le cause riguardanti gli
associati.
4.1. La parte resistente.
E’ parte necessaria al processo tributario il soggetto che ha emesso l’atto
che si impugna. Tenuto conto degli atti che possono essere impugnati, si
constata che la legittimazione passiva è attribuita a tre categorie di
soggetti:
- uffici del ministero delle finanze
- enti locali
- concessionari della riscossione.
Le prime due categorie stanno in giudizio senza difensore tecnico.
4.2. Il litisconsorzio necessario.
Al processo tributario possono partecipare, oltre al ricorrente e al
resistente, anche altri soggetti: si parla di litisconsorzio. Si ritiene che si
ha litisconsorzio necessario quando l’oggetto del contendere è una
situazione giuridica plurilaterale, tale per cui la decisione deve essere
pronunciata nei confronti di tutti, ossia quando sarebbe inefficace se
fosse pronunciata nei confronti di uno soltanto. Il caso più ricorrente è
l’atto di accertamento di obbligazioni solidali. Non si ha, però una
situazione di inscindibilità; la sentenza che dovesse accogliere
l’impugnazione proposta da uno soltanto dei coobbligati non sarebbe
inutiliter data, perché comunque essa produrrebbe effetti tra creditore e
ricorrente. La giurisprudenza, in materia di liti per il rimborso di ritenute,
esige, che al processo partecipino sostituto e sostituito; il sostituito non
può agire dinanzi al giudice ordinario contro il sostituto, ma deve agire
dinanzi alle commissioni, in contraddittorio sia del sostituto, sia
dell’amministrazione. Se vi è litisconsorzio necessario, il ricorso deve
essere proposto congiuntamente dai colegittimati necessari; se ciò non
avviene il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio e il ricorrente
deve chiamare in causa il litisconsorte. Altrimenti il processo si estingue.
4.3. L’intervento.
Il litisconsorzio può essere anche facoltativo. Esso può sorgere dal fatto
che altri soggetti intervengono in un processo già instaurato, o sono
chiamati in giudizio. Il d. lgs. 546 limita fortemente la possibilità di
intervento a due categorie di soggetti: a) a chi è destinatario dell’atto
impugnato; b) a chi è parte del rapporto controverso. Infatti, l’intervento
c.d. principale non è configurabile nei processi d’impugnazione, ma
soltanto nei processi di rimborso, nei quali si può ammettere l’intervento
di chi assume essere titolare del diritto di rimborso, in luogo di chi ha già
instaurato il processo, contrapponendosi all’originario ricorrente.
L’intervento nei processi d’impugnazione è limitato a chi assume come
titolo di legittimazione di essere destinatario dell’atto impugnato. Se è già
avvenuta la notifica dell’atto, il destinatario che lo ha già impugnato non
ha motivo di intervenire nel processo instaurato dal co- destinatario;
duplicherebbe il processo avviato come ricorrente; inoltre non ha motivo
di intervenire invece che proporre ricorso. Resta possibile l’intervento del
destinatario di un atto, che non ha ricevuto la notifica (il condebitore in
solido che interviene nel processo instaurato da altro coobbligato); egli
può intervenire per sostenere le ragioni del ricorrente, ove si ritenga che
sia legittimato da un interesse, non meramente di fatto, ma
giuridicamente rilevante.
Sezione seconda – Il giudizio di primo grado –
5. Contenuto del ricorso.
L’atto iniziale del processo tributario è il ricorso, che un atto il cui
contenuto è una domanda motivata rivolta al giudice. Il ricorso deve
contenere l’indicazione:
1) della commissione adita
2) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza,
e del codice fiscale
3) dell’ufficio del ministero o dell’ente locale o concessionario contro cui il
ricorso è proposto
4) dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda
5) dei motivi
Tranne l’indicazione del codice fiscale, tutte le altre indicazioni previste
dalle legge sono prescritte a pena di inammissibilità.
5.1. La notificazione del ricorso: modi e termini.
Il ricorso deve essere innanzitutto notificato al soggetto contro cui è
proposto. La notifica può essere fatta in tre modi: la prima modalità è
quella prevista dal c.p.c. ( ufficiale giudiziario). Gli altri due modi sono: la
spedizione postale e la consegna dell’atto alla controparte. La
notificazione del ricorso deve essere fatta entro 60 gg. dalla notificazione
dell’atto contro cui si ricorre. Per i ricorsi proposti contro il rifiuto tacito non
è previsto alcun termine decadenziale. Il termine per impugnare è
sospeso quando il contribuente, che riceve avviso di accertamento,
presenta all’ufficio istanza di concordato. Tale periodo di sospensione è di
90 gg..
5.2. Il ricorso contro il ruolo formato dai Centri di Servizio.
Il ricorso è indirizzato anche qui alla commissione, ma va presentato al
centro di servizio, che può accoglierlo prevenendo così la lite. Decorsi 6
mesi (non oltre i 2 anni) dalla presentazione del ricorso al C.d.S., se non
vi è stata accoglimento da parte del Centro, il ricorrente, deve presentare
copia del ricorso presso la segreteria della Commissione tributaria
provinciale. Tale segreteria richiede l’originale del ricorso al C.d.S..
5.3. Gli atti impugnabili.
Il processo tributario può essere instaurato solo con la impugnazione di
uno degli atti indicati dal legislatore. Tali atti si dividono in:
autonomamente impugnabili e non autonomamente impugnabili. I primi
sono i seguenti:
1) avviso di accertamento
2) avviso di liquidazione
3) provvedimento che irroga sanzioni
4) iscrizione a ruolo e cartella di pagamento
5) avviso di mora
6) rifiuto espresso o tacito di restituzione
7) atti delle operazioni catastali
Gli atti non inclusi nell’elenco sono impugnabili non autonomamente ma
insieme con quelli impugnabili.
5.4. I motivi del ricorso.
Ogni atto può essere impugnato per i vizi che lo concernono (vizi propri) e
non per i vizi che riguardano altri atti; un atto non può essere impugnato
per vizi di atti precedenti. Per i ricorsi contro l’avviso di accertamento non
vi sono limitazioni; tutti i vizi dell’avviso, di forma o di sostanza, che
possono determinare l’annullamento, sono deducibili come motivi del
ricorso. Nell’impugnazione dell’avviso di liquidazione, può essere fatto
valere ogni vizio che attenga alla liquidazione. L’iscrizione a ruolo con la
cartella di pagamento, presuppone un avviso di accertamento o una
dichiarazione; i vizi dell’accertamento debbono essere fatti valere
impugnando tale atto, e quindi non possono essere fatti valere
impugnando il ruolo. L’avviso di mora è atto del Concessionario della
riscossione e non dell’ufficio delle entrate. Se l’avviso di mora non è stato
preceduto dalla cartella di pagamento, lo si potrà impugnare per tale
motivo. Se invece è stato preceduto dalla notificazione della cartella potrà
essere impugnato contestando che vi sia mora. Circa il provvedimento
sanzionatorio, è da ricordare che la applicazione delle sanzioni
amministrative, nelle imposte le cui controversie sono attribuite alle
commissioni, è di competenza dello stesso ufficio che amministra
l’imposta. Pertanto l’impugnazione dell’atto amministrativo che applica
una sanzione, è diretta all’annullamento dell’atto sanzionatorio.
5.5. Azioni esperibili. Le azioni di impugnazione; critiche alla teoria
dichiarativa.
Per una parte della dottrina, l’impugnazione mira all’annullamento
dell’atto. Per un’altra parte della dottrina, invece, il giudizio avrebbe
natura impugnatoria, perché avrebbe come esito una sentenza di natura
dichiarativa. La giurisprudenza segue un orientamento sincretistico. Essa
è infatti legata agli assunti secondo cui il rapporto tributario nasce, per
legge, al verificarsi del presupposto, sicché gli atti dell’amministrazione
finanziaria hanno effetti dichiarativi. Da tali premesse le conseguenze
sono:
- quando l’impugnazione verte su vizi formali dell’atto, e il giudice
riconosce fondato il ricorso, si ha l’annullamento dell’atto impugnato; il
giudice riconosce fondato il ricorso, si ha l'annullamento dell'atto
impugnato; il giudizio ha quindi i caratteri del giudizio di annullamento,
ed in tale annullamento si esaurisce;
- quando non sono sollevate questioni di vizio formale, o queste sono
superate, il giudizio verte sull’an o sul quantum dell’imposta; in tali casi
il giudizio assume i caratteri di un giudizio di accertamento
- infine, hanno carattere impugnatorio anche le azioni di rimborso, sia
quando esercitate con ricorso avverso il provvedimento di rifiuto, sia
quando esercitate a seguito di silenzio dell’amministrazione.
Critica alla teoria dichiarativa.
5.6. Le azioni di condanna.
Il ricorso può essere proposto, non solo dopo che l’amministrazione ha
rifiutato il rimborso, ma anche quando si impugna un provvedimento
d’imposizione, e si chiede il rimborso di ciò che sarà pagato in via
provvisoria nelle more del giudizio. L’atto con cui l’amministrazione
respinge un’istanza di rimborso è inserito espressamente tra gli atti
impugnabili. Con il ricorso il contribuente chiede: che venga accertato il
suo credito; che venga annullato il rifiuto del rimborso; che
l’amministrazione venga condannata a pagare. La domanda di rimborso
va presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta. Se le
singole leggi non dispongono nulla, il termine è di due anni. Il termine per
la presentazione del ricorso è invece collegato al rifiuto: se è espresso
entro 60 gg. dalla notificazione dell’atto; se è tacito non vi è alcun termine
processuale, ed opera il termine di prescrizione del diritto al rimborso.
5. La costituzione in giudizio.
Il ricorrente, dopo aver notificato il ricorso, deve costituirsi in giudizio;
deve, cioè, formare un fascicolo e depositarlo presso la segreteria della
commissione. La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile
il ricorso.
6. Esame preliminare del presidente della sezione.
Alla costituzione in giudizio segue: la segreteria forma il fascicolo del
processo e lo sottopone al presidente della commissione , che assegna il
ricorso ad una delle sezioni. Il presidente della sezione lo esamina e può
dichiararne l’inammissibilità :
se ricorre uno dei casi di inammissibilità previsti espressamente; se
l’inammissibilità è manifesta.
8. Le attività preparatorie dell’udienza di trattazione.
Il passo successivo del processo è la fissazione dell’udienza di
trattazione, di cui deve essere dato avviso alle parti costituite almeno 30
gg. prima.
9. L’udienza di trattazione e la decisione della controversia.
La trattazione della controversia può avvenire in pubblica udienza o in
camera di consiglio. La prima deve essere chiesta da una delle parti.
L’udienza si svolge nel modo seguente: le parti sono ammesse alla
discussione; quindi il collegio giudicante delibera in camera di consiglio,
ma la sentenza è resa pubblica con il deposito. Non sono ammesse
sentenze non definitive o limitate ad alcune domande. Il deposito della
sentenza avviene presso la segreteria della commissione.
10 La sospensione del processo.
Ogni giudice di regola può assolvere non solo la questione principale
della lite ma ogni altra questione logicamente prioritaria. Vi sono quindi
dei casi in cui il giudice deve sospendere il processo e attendere che la
questione sia risolta da altro giudice. Per il giudice tributario le regole di
sospensione sono diverse rispetto al giudice civile. Infatti si ha
sospensione in soli due casi: quando viene presentata querela di falso e
quando debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato
o sulla capacità delle persone. Il processo deve essere sospeso anche
quando viene presentato regolamento preventivo di giurisdizione, e
quando viene sollevata questione di costituzionalità o di interpretazione di
norme comunitarie.
11. L’interruzione del processo.
Quando muore la parte privata o il suo legale rappresentante o il suo
difensore. Le conseguenze dell’interruzione sono analoghe al quelle della
sospensione, non possono essere compiuti atti del processo.
12. Estinzione del processo.
La conclusione naturale del processo è la sentenza, ma si può anche
estinguere per:
1) rinuncia al ricorso
2) inattività delle parti
3) cessazione della materia del contendere
La rinuncia non ha effetto se non è accettata dalle parti costituite che
abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo. Per inattività
delle parti il processo si può estinguere nei casi in cui l’impulso di parte è
previsto come necessario per la prosecuzione del giudizio. Si ha
cessazione della materia del contendere quando viene meno l’oggetto del
processo: ad esempio quando vi è conciliazione.
Sezione terza – Le prove –
11. Le facoltà e poteri delle parti.
La norma cardine in tema di prove, è quella secondo cui il giudice, salvi i
casi previsti dalle legge, deve porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalle parti. Non sono ammesse prove orali.
12. I poteri del giudice.
Lo stesso giudice può assume iniziative istruttorie. Le commissioni
tributarie ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano
tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti
conferiti agli uffici tributari e all’ente locale da ciascuna legge d’imposta.
Pertanto il giudice può: 1) disporre accessi e ispezioni; 2) richiedere dati,
informazioni e chiarimenti; 3) ordinare l’esibizione di documenti; 4)
richiedere relazioni tecniche ad organi dello Stato; 5) disporre lo
svolgimento di una consulenza tecnica. Il giudice non può indagare su
fatti che non siano stati indicati dalle parti.
12.1. I singoli poteri istruttori: accesso, richiesta di dati e di
documenti.
A) Il potere di accesso è previsto sia ai fini iva, sia ai fini delle imposte sui
redditi; esso viene effettuato per procedere ad ispezioni documentali,
verificazioni e ricerche.
B) Tali poteri sono disciplinati mediante il rinvio alle singole leggi
d’imposta. Ai fini delle indagini tributarie non esiste più il segreto
bancario.
C) Le commissioni hanno la facoltà di ordinare alla parti il deposito di
documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia; tale
ordine non può invece coinvolgere i terzi.
13. Le relazioni e le consulenze tecniche.
Le commissioni possono nominare un consulente tecnico. Quando
occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, la
commissione tributaria può richiedere apposite relazioni ad organi tecnici
dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici, compreso il corpo
della g.d.f..
13.1. Regole in tema di giuramento, testimonianza e confessione.
Sono innanzitutto esclusi il giuramento e la prova testimoniale. Il divieto
della prova testimoniale ha come unica ratio la speditezza del processo.
La confessione non è né ammessa né esclusa. Può comunque accadere
che il contribuente dichiari, nel processo, fatti a se sfavorevoli, e non vi è
ragione per ritenere che il giudice non ne debba tenere alcun conto. Sono
escluse le prove non esibite in sede di ispezioni e verifiche.
13.2. Le prove assunte nel processo penale e il giudicato penale.
Nel corso di indagini di polizia giudiziaria, siano rinvenuti documenti, o
assunte dichiarazioni, che potrebbero essere rilevanti in ambito tributario.
In linea di principio , tali prove e notizie non sono utilizzabili, perché
coperte dal segreto previsto dall’art. 329 c.p.p.. In deroga a tale principio,
il giudice penale, se ritiene che non vi sia pregiudizio per il processo
penale, può autorizzarne l’utilizzazione ai fini fiscali. Dal punto di vista
dell’efficacia soggettiva, è da notare che il vincolo derivante dal giudicato
penale vale soltanto nei confronti dell’imputato, della parte civile e del
responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo
penale. Dal punto di vista oggettivo, è da precisare che il giudicato penale
è circoscritto da numerosi limiti oggettivi:
a) efficacia limitata ai fatti materiali, che siano stati accertati come fatti
rilevanti per il giudizio penale
b) deve trattarsi degli stessi fatti materiali, da cui dipende il
riconoscimento del diritto o dell’interesse su cui si controverte
c) infine deve trattarsi di fatti rispetto a cui la legge civile non ponga
limitazioni di prova.
13.3. Le prove vincolanti; in particolare, i processi verbali.
Di regola il giudice valuta liberamente le prove. Va ricordato che valgono
anche per il giudice tributario le norme sull’efficacia probatoria dell’atto
pubblico e della scrittura privata. L’atto pubblico fa piena prova, fino a
querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale
che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti
che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
13.4. Le presunzioni legali, assolute e relative. Le presunzioni del
redditometro.
Il diritto tributario è ricco di presunzioni legali. Abbiamo presunzione
legale, quando, da un fatto noto, il giudice in base ad un vincolo di legge,
ne deve inferire un fatto ignoto. In materia di IVA, si presumono venduti i
beni acquistati, quando non si rinvengono presso l’azienda
dell’imprenditore; e che si presumono acquistati senza fattura i beni
rinvenuti presso un imprenditore, di cui non sia giustificato il possesso. Se
non è ammessa alcuna prova contraria la presunzione è assoluta,
altrimenti è relativa. Un caso di presunzioni incerte tra l’assoluto e il
relativo riguarda quelle contenute nel redditometro. Il decreto ministeriale
contenente il redditometro prevede però che l’ufficio può escludere, per
comprovati motivi, e per non oltre un terzo, che il valore determinato in
base ai coefficienti ministeriali costituisca reddito attribuibile al
contribuente; quindi le presunzione è assoluta fino a due terzi, per il resto
è relativa. La giurisprudenza ritiene che siano presunzioni relative.
13.5. Presunzioni semplici e presunzioni semplicissime.
Le presunzioni semplici sono quelle formulate dal giudice e devono
essere basate su elementi gravi, precisi e concordanti. Vi sono però
anche dei casi in cui le presunzioni sono ammesse anche in assenza di
tali requisiti. Tali norme riguardano casi in cui non si tratta di accertare un
fatto ma di determinare un valore. Le presunzioni semplicissime non sono
autentiche presunzioni, perché non riguardano l’accertamento di un fatto,
ma ad un ragionamento di tipo induttivo ossia ad una valutazione
equitativa. Non sempre le presunzioni semplici sono ammesse nel
processo tributario; non lo sono quando il legislatore per certe imposte,
pone un sistema chiuso di regole probatorie, imponendo determinati
mezzi di prova.
14. L’onere della prova.
Il problema dell’onere della prova si presenta al giudice quando, al
momento della decisione, di un fatto non esista né la prova che è
avvenuto, né la prova che non si è verificato. In altri termini, in sede
giudiziale, il fatto non provato equivale a fatto non avvenuto. Nel processo
tributario di impugnazione la mancata prova dei fatti, se contestati dal
ricorrente, equivale alla prova negativa; il che significa dire che
l’amministrazione ha l’obbligo di provare i fatti sui quali si fonda l’atto
impugnato. Un fatto assunto come presupposto per l’emanazione di un
atto amministrativo, si aveva per processualmente provato, fino a che il
ricorrente non avesse fornito la prova negativa. Questo assurdo privilegio
del fisco ha cessato di operare. In conclusione l’amministrazione
finanziaria, deve provare i presupposti del provvedimento che ha emesso.
Quando il contribuente impugna un atto che nega una esenzione, si
ritiene che il contribuente sia onerato dalla prova dei presupposti
dell’esenzione. Quando il contribuente agisce invece per ottenere un
rimborso, deve dimostrare i presupposti del suo diritto.
Sezione quarta – I provvedimenti del giudice –
15 provvedimenti del collegio: sentenze e
ordinanze.
Il giudice tributario, come il giudice civile può emettere tre tipi di atto:
sentenze, ordinanza e decreto. Il collegio si pronuncia con sentenza in
tutti i casi in cui definisce il giudizio; si ha sentenza quindi, non solo
quando il collegio decide il ricorso al merito, ma anche quando dichiara
l’estinzione del giudizio o l’inammissibilità del ricorso. La sentenza è
l’unico atto di cui è disciplinato il contenuto. Sottoscritta dal presidente e
dal relatore deve contenere: 1) l’indicazione della composizione del
collegio, delle parti e dei difensori; 2) la concisa esposizione dello
svolgimento del processo; 3) le richieste delle parti; 4) la succinta
esposizione dei motivi in fatto e in diritto; 5) il dispositivo.
Il collegio pronuncia ordinanza in tutti i casi in cui non definisce il giudizio
( non pronuncia sentenza). Es: sospensione cautelare dell’atto
impugnato.
15.1. I decreti.
I decreti, per lo più, regolano lo svolgimento del processo, e sono
provvedimenti del presidente. Sono dunque atti generalmente ordinatori.
Il presidente della sezione dichiara con decreto l’inammissibilità manifesta
del ricorso, la sospensione del processo, e l’estinzione del processo.
Contro i provvedimenti del presidente è ammesso reclamo al collegio, da
notificare alle altre parti entro 30 gg. dalla comunicazione del
provvedimento.
16.
Questioni di competenza e giurisdizione.
Prima di decidere il merito, il giudice deve verificare se la causa
appartiene alla sua giurisdizione e alla sua competenza. Se la
commissione si dichiara incompetente, deve altresì indicare il giudice
competente.
16.1. La disapplicazione dei regolamenti e degli atti amministrativi
generali.
Dinanzi al giudice tributario si possono impugnare solo provvedimenti
individuali; il giudice tributario, non può quindi annullare gli atti
amministrativi generali e i regolamenti, ma , se sono legittimi, può
disapplicarli. Il vizio della norma generale o regolamentare è conosciuto
incidenter tantum, e la norma, disapplicata nel caso singolo, conserva la
sua vigenza ed efficacia erga omnes.
Anche nel processo tributario le spese della lite sono a carico del
soccombente.
16.2. Le sentenze in materia di annullamento.
Le sentenze con cui sono respinte le domande di impugnazione hanno
natura di sentenze di mero accertamento, in quanto esse si limitano a
dichiarare l’inesistenza del diritto all’annullamento dell’atto impugnato.
Quando l’amministrazione, a seguito della sentenza che respinge
l’impugnazione di un avviso di accertamento, iscrive a ruolo la somma da
riscuotere, non esegue la sentenza, ma segue l’avviso di accertamento;
analogamente, se viene respinto un ricorso contro il ruolo, il ruolo non è
sostituito dalla sentenza. Le sentenze, che accolgono le domande di
impugnazione hanno come contenuto caratteristico, l’annullamento (totale
o parziale) dell’atto impugnato. Con l’impugnazione che da vita al
processo tributario, quindi , si mira all’annullamento, non alla sostituzione
dell’atto: l’impugnazione è di tipo rescindente, non di tipo rescissorio.
16.3. Le sentenze in materia di rimborso.
Per conseguire una tutela completa, il contribuente non deve limitarsi a
impugnare il provvedimento negativo o a censurare il silenzio, ma deve
chiedere che venga accertato il suo diritto al rimborso e che
l’amministrazione sia condannata a rimborsare. Il ricorrente, dunque,
quando agisce per un rimborso, deve chiedere, ed il giudice deve
emettere, una decisione dal contenuto complesso, con cui viene statuito,
non solo l’annullamento del diniego, ma anche l’accertamento del credito
del ricorrente e la condanna dell’amministrazione a rimborsare.
17. La cosa giudicata sostanziale.
Per cosa giudicata sostanziale si intende dunque quel particolare effetto
della sentenza, che scaturisce dalla statuizione di esistenza (o di
inesistenza) del diritto fatto valere in giudizio. E' invece estraneo al
giudicato tutto ciò che precede la pronuncia di accertamento, come pure
ciò che la segue.
17.1. La cosa giudicata formale.
Indica la stabilità che una sentenza acquisisce, quando non è più
impugnabile in via ordinaria. Si dicono infatti passate in giudicato le
sentenze non suscettibili di impugnazione ordinaria.
Sezione quinta – Le impugnazioni –
18. Le impugnazioni in generale; impugnazioni sostitutive vs.
impugn. rescindenti.
I mezzi di impugnazione provocano un nuovo giudizio, per porre rimedio
ai vizi di una sentenza: essi devono essere distinti in due tipi: impugn.
rescindenti e sostitutive. Le prime conducono ad una pronuncia di mero
annullamento della sentenza impugnata, le seconde ad una pronuncia
che sostituisce a tutti gli effetti quella impugnata. Tipica impugnazione
rescindente è il ricorso per cassazione; tipica impugnazione sostitutiva è
l’appello. Si ha allora il seguente schema:
1) per quanto riguarda l’oggetto del giudizio di impugnazione, mentre le
impugnazioni sostitutive sottopongono, al giudice ad quem, lo stesso
oggetto di giudizio del grado precedente, le impugnazioni rescindenti
sottopongono, al giudice ad quem, quale oggetto del giudizio, la
decisione gravata;
2) per quanto riguarda i motivi, le impugnazioni rescindenti sono
proposte solo per motivi specificamente e tassativamente previsti dal
legislatore; nelle impugnazioni sostitutive, invece, i motivi non sono
predeterminati;
3) per quanto riguarda la cognizione del giudizio di impugnazione,
nell’impugnazione rescindente il giudice limita la sua cognizione ai
motivi dell’impugnazione; nei giudizi sostitutivi, sono devoluti al nuovo
giudice tutti i materiali già acquisiti nel processo
4) infine la decisione rescindente, se giudica fondati i motivi di gravame,
elimina la precedente sentenza, aprendo così la strada ad una nuova
decisione del merito (giudizio rescissorio); se giudica non fondati i
motivi, lascia in vita la pronuncia impugnata; la decisione sostitutiva,
invece, prende il posto in ogni caso, della pronuncia impugnata.
18.1. La disciplina generale delle impugnazioni nel processo
tributario.
Dal testo del D.lgs. n° 546 desumiamo che i mezzi d ’impugnazione,
conosciuti dal processo tributario sono: 1) l’appello alla commissione
tributaria regionale, contro le sentenze della commissione tributaria
provinciale; 2) il ricorso per cassazione, contro la sentenza della
commissione tributaria regionale; 3) la revocazione. Sono mezzi di
impugnazione ordinaria l’appello, il ricorso per cassazione, e la
revocazione c.d. ordinaria, e che le sentenze passano in giudicato
quando non sono più suscettibili di impugnazione con uno di tali mezzi; è
invece impugnazione straordinaria la revocazione straordinaria,
proponibile anche con sentenze passate in giudicato.
19. Appello principale e appello incidentale.
Le sentenze delle commissioni tributarie provinciali possono essere
appellate con ricorso alla commissione tributaria regionale. L’atto di
appello va proposto entro il termine di 60 gg. dalla notificazione della
sentenza di primo grado. L’appello dell’ufficio delle entrate deve essere
autorizzato dalla Direzione regionale, altrimenti è inammissibile. L’atto di
appello deve essere notificato alla controparte; alla notificazione deve
seguire la costituzione in giudizio. La parte appellata, se è anch’essa
soccombente, può a sua volta appellare proponendo, nell’atto di
controdeduzioni, appello incidentale.
19.1 Il contenuto dell’atto di appello e i motivi specifici
dell’impugnazione.
L’oggetto del giudizio di appello è fissato dall’atto di appello; tale atto
deve contenere, tra l’altro, a pena di inammissibilità l’esposizione dei fatti,
l’oggetto della domanda e i motivi specifici dell’impugnazione. Occorre
distinguere i motivi del ricorso di primo grado dai motivi dell’appello, che
sono , invece critiche rivolte contro la sentenza di primo grado.
L’appellante ha un doppio onere: riproporre i motivi di critica dei
provvedimenti, dedotti nel ricorso di primo grado, e censurare la sentenza
che non li ha accolti.
19.2. L’oggetto del giudizio di appello: il divieto di nuove domande e
l’effetto devolutivo.
L’oggetto del giudizio di appello è delimitato dall’atto di appello, ed, in
particolare, dal petitum dell’atto di appello, che, indica quali sono i capi
della decisione di primo grado, su cui viene richiesto un nuovo giudizio.
Se non viene richiesta la riforma integrale, si avrà una scissione della
prima sentenza, perché vi sarà una parte che sarà sostituita dalla
pronuncia di appello, ed una parte, non impugnata, che passa in
giudicato. Si parla, in tal caso, di giudicato interno o parziale, derivante da
acquiescenza impropria. Data la struttura impugnatoria del processo
tributario, il divieto di nuove domande in appello riguarda soltanto il
ricorrente, non l’amministrazione resistente. Quale è il significato di tale
divieto?
Ricordato che la domanda si compone del petitum e della causa petendi,
tale divieto, con riguardo al petitum, impedisce la richiesta di cosa diversa
o più estesa di quella richiesta in primo grado. Inoltre, non può essere
mutato il motivo della domanda, né possono essere introdotti nuovi
motivi. A proposito del divieto di nuove eccezioni: le eccezioni sono
dunque, nel processo tributario, le deduzioni che la parte resistente
contrappone al ricorrente; ma va precisato che le nuove eccezioni, vietate
in appello, sono soltanto le eccezioni in senso sostanziale, non le
semplici difese, che si collegano a quanto già contenuto nell’atto
impugnato.
19.3. Effetto devolutivo limitato ed onere di riproposizione delle
questioni ed eccezioni non accolte in primo grado.
In relazione ai capi che hanno formato oggetto di impugnazione, invece,
si ha il c.d. effetto devolutivo, per cui le deduzioni ed i materiali acquisiti in
primo grado passano automaticamente all’esame del secondo giudice.
Quindi la parte vittoriosa in primo grado, che abbia proposto più questioni,
e che sia risultata vittoriosa essendo stata accolta una soltanto delle
questioni dedotte, ha l’onere di riproporre le questioni non accolte.
20 Le sentenze di appello; sentenze di merito e sentenze di rito.
Anche le decisioni di appello possono avere contenuto soltanto
processuale o contenuto di merito. Le decisioni di merito sostituiscono
quelle di primo grado, sia quando accolgono, sia quando respingono
l’appello. Le decisioni di puro rito sono così classificabili:
1) decisioni dichiarative della inammissibilità dell’appello
2) decisione di estinzione del giudizio di appello
3) decisioni di rimessione al primo giudice.
20.1. La rimessione alla commissione provinciale.
Si ha tale rimessione nei seguenti casi:
1) quando dichiara (il giudice di appello) la competenza declinata o la
giurisdizione negata dal primo giudice
2) quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non
è stato regolarmente costituito o integrato
3) quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente
giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro
il provvedimento presidenziale
4) quando riconosce che il collegio della commissione tributaria
provinciale non era legittimamente composto
5) quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di
primo grado.
21. La cassazione.
Le sentenze delle commissioni tributarie regionali sono impugnabili
dinanzi alla Corte di Cassazione che stabilisce: a) la proponibilità del
ricorso per tutti i motivi previsti nell’art. 360 c.p.c. b) l’applicabilità al
ricorso e al procedimento delle norme del codice di procedura civile. I
motivi indicati nell’art. 360 c.p.c. sono:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione;
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto
il regolamento di competenza
3) per violazione e falsa applicazione di norme di diritto
4) per nullità della sentenza o del procedimento
5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio
E’ da notare che non possono essere riproposte al giudice di cassazione
questioni di fatto. Il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto a
pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in apposito albo (c.d.
cassazionista), munito di procura speciale. Quando si ricorre contro
l’amministrazione finanziaria dello Stato, il ricorso deve essere notificato a
tale amministrazione, in persona del Ministro, presso l’avvocatura
generale dello Stato a Roma. Il giudizio di cassazione, se viene accolto il
ricorso, si conclude con una sentenza che annulla la sentenza
impugnata; all’annullamento della sentenza impugnata può seguire un
giudizio di rinvio, dinanzi alla commissione tributaria regionale.
22. Il giudizio di rinvio.
La Corte di Cassazione può rinviare alla commissione tributaria regionale
o a quella provinciale. La Cassazione rinvia alla commissione provinciale
quando accerta anomalie del giudizio svoltosi davanti alla commissione
provinciale e cassa una sentenza della commissione regionale che
avrebbe dovuto rinviare, ed erroneamente non ha rinviato, alla
commissione provinciale. Altrimenti la Cassazione rinvia alla
commissione regionale ed il rinvio si caratterizza in modo diverso a
seconda del motivo del rinvio: il prototipo del giudizio di rinvio in senso
proprio, o prosecutorio, si ha quando la cassazione rinvia per aver
riscontrato nella sentenza impugnata i vizi del n° 3 dell’art. 360 c.p.c.;
negli altri casi il rinvio all commissione regionale ha natura restitutoria.
23. La revocazione.
La revocazione è un mezzo di impugnazione che ha scarsissima
applicazione pratica.
L’art. 395 del c.p.c. ammette la revocazione per i seguenti motivi:
1) se le sentenze sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno
dell’altra;
2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate
false dopo la sentenza
3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi,
che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza
maggiore o per fatto dell’avversario
4) se la sentenza è l’effetto di errore di fatto risultante dagli atti della
causa
5) se la sentenza è contraria al altra precedente avente fra le parti
autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa
eccezione
6) se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertamento con
sentenza passata in giudicato
Viene definita revocazione ordinaria quella che è proposta per i vizi sub 4
e 5 ossia per i vizi che possono essere rilevati dalla stessa sentenza. La
revocazione straordinaria è invece quella proposta per i motivi previsti dai
numeri 1,2,3,6. L’art. 64 ammette la revocazione per le sentenze delle
commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto
non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate. Da ciò si
deduce: - che le sentenze di primo grado non sono soggette a
revocazione ordinaria ma solo a revocazione straordinaria in quanto i vizi
palesi può porre rimedio l’appello
- che le sentenze di secondo grado, invece, sono sempre impugnabili
per revocazione, sia ordinaria che straordinaria, perché sui vizi relativi
al giudizio sul fatto non può porre rimedio il ricorso per cassazione.
Sezione sesta – I procedimenti speciali –
24. La sospensione della riscossione.
Il ricorrente può chiedere nel ricorso o con atto separato, la sospensione
dell’esecuzione dell’atto impugnato; ad es. se viene impugnato un avviso
di accertamento, nel ricorso ne può essere chiesta la sospensione per
impedire che l’amministrazione proceda ad iscrizioni a ruolo; se viene
impugnato il ruolo, il ricorrente ne può chiedere la sospensione per
impedire l’esecuzione forzata. La sospensione può riguardare qualunque
contenuto dell’atto impugnato: imposta, interessi, sanzioni. Per ottenere
la sospensione, debbono sussistere due presupposti: a) il fumus boni
iuris (la probabile fondatezza del ricorso); b) il periculum in mora (pericolo
di danno irreparabile). Circa la natura del danno, nulla è stabilito: di solito,
si tratta di danno patrimoniale, ma non è da escludere che l’azione della
finanza possa provocare danni morali. La sospensione è dunque
accordata dal collegio, il quale decide in camera di consiglio dopo aver
sentito le parti e dopo aver delibato il merito; la pronuncia ha la forma
dell’ordinanza, deve essere motivata, e non è impugnabile. La
sospensione può essere anche parziale; inoltre, la sospensione può
essere subordinata alla prestazione di idonea garanzia. Gli effetti della
sospensione cessano con la pubblicazione della decisione di primo
grado; pubblicata la sentenza, diviene operante la norma sulla
riscossione collegata ad essa. Il provvedimento che respinge la domanda
di sospensione non può essere appellato, ne alla commissione regionale
si può chiedere di sospendere l’esecuzione del provvedimento
amministrativo, dopo che si è pronunciato il giudice di primo grado. In
deroga a ciò, la commissione tributaria regionale può sospendere
l’esecuzione delle sanzioni.
25. La conciliazione: natura e oggetto.
Anche nel processo tributario le parti possono trovare un accordo, per cui
il processo si chiude, non con sentenza, ma con conciliazione. La
conciliazione tributaria equivale ad una transazione, e, poiché la
transazione non può avere ad oggetto diritti non disponibili, nella
conciliazione viene ravvisata una deroga alla c.d. indisponibilità del
rapporto d’imposta. La transazione disciplinata dal codice è realizzata
attraverso reciproche concessioni. La conciliazione invece, nel diritto
pubblico, si configura come un istituto autonomo, il cui scopo è quello di
realizzare la composizione consensuale giusta della lite. Quali
controversie possono essere conciliate? Il legislatore non ha esplicato
alcun limite, non significa però conciliabilità illimitata. In sostanza la
conciliazione deve presentarsi con contenuto accertativo, con effetti di
diritto sostanziale e processuale. La conciliazione appare legittima solo
nelle liti che riguardano l’avviso di accertamento, e solo per questioni di
tipo quantitativo. Non sono conciliabili le questioni che riguardano le
sanzioni, pur se si tratta di questione riguardante solo il quantum. Tale
ultimo limite si deduce dalla norma che fa seguire alla conciliazione la
riduzione delle sanzioni irrogate ad un terzo del minimo edittale.
25.1. Il procedimento della conciliazione.
Può avvenire solo davanti alla commissione tributaria provinciale.
A) La conciliazione da realizzare in sede processuale può essere
proposta sia da una delle parti, sia dalla commissione. La
conciliazione deve avvenire alla prima udienza, ma se l’accordo non
viene raggiunto, la commissione può assegnare alle parti un termine,
non superiore a 60 gg., per la formazione di una proposta in via
stragiudiziale.
B) La conciliazione può essere però realizzata fuori dal processo; in tal
caso, l’ufficio deve depositare in giudizio il documento che formalizza
l’accordo. L’atto di conciliazione, se è depositato prima della
fissazione della data dell’udienza collegiale, è esaminato dal
presidente della sezione. Dopo tale data la conciliazione è esaminata
dal collegio.
C) Come accennato, la conciliazione è sottoposta al vaglio del giudice
tributario, che ha il potere dovere di valutare la legittimità formale e la
sua ammissibilità, in relazione al tipo di controversia.
D) Raggiunta la conciliazione, gli importi concordati devono essere pagati
mediante versamento diretto, entro 20 gg. Secondo alcuni il mancato
pagamento comporterebbe la risoluzione di diritto dell’accordo
conciliativo e farebbe rivivere l’avviso di accertamento, da considerare
definitivo: e l’amministrazione potrebbe iscrivere a ruolo in via
definitiva tutto l’importo accertato. Ciò non ha nella legge nessun
fondamento.
26. Misure cautelari a tutela del credito per sanzioni amministrative.
La concessione di misure cautelari richieste dall’ufficio o ente impositore,
a garanzia del credito per il pagamento delle sanzioni. L’istanza è
presentata al Presidente della Commissione tributaria provinciale, ed ha
per oggetto l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e degli
obbligati solidali e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale
giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, ivi compresa
l’azienda. L’istanza deve essere notificata alle parti interessate, le quali
possono, entro 20 gg. dalla notifica, depositare memorie e documenti
difensivi. La commissione decide con sentenza. In caso di eccezionale
urgenza, il Presidente provvede con decreto motivato. Contro il decreto è
ammesso il reclamo al collegio entro 30 gg.. I provvedimenti cautelari
perdono efficacia se, nel termine di 120 gg. dalla loro adozione, non viene
notificato atto di contestazione o di irrogazione, ed altresì in esito alla
sentenza di primo grado che accoglie il ricorso. La sentenza costituisce
titolo per la cancellazione dell’ipoteca. In caso di accoglimento parziale,
su istanza di parte, il giudice d’appello riduce proporzionalmente l’entità
dell’iscrizione o del sequestro.
27. Esecuzione delle sentenze tributarie e giudizio di ottemperanza.
Il concetto di esecuzione riguarda solo le sentenze di condanna: alla
condanna, infatti, deve seguire l’adempimento dell’obbligazione, cui la
condanna si riferisce. Le sentenze delle commissioni sono suscettibili di
esecuzione nei modo propri di tutte le sentenze di condanna, a tale forma
naturale di esecuzione, la legge del processo tributario affianca il giudizio
di ottemperanza. Per le sentenze emesse nei processi di impugnazione,
non è invece configurabile una esecuzione in senso stretto. Le sentenze
che annullano un atto amministrativo non hanno bisogno di esecuzione
perché si eseguono da se. Le sentenze, che invece, respingono
l’impugnazione di un atto impositivo sono sentenze puramente
dichiarative. L’ottemperanza a differenza dell’esecuzione, bob ha per
oggetto soltanto l’adempimento dello specifico obbligo statuito dalla
sentenza: ad es. obbligo di restituzione che deriva indirettamente da una
sentenza, che abbia annullato un avviso di accertamento.
27.1. Rigetto dell’impugnazione ed esecuzione dell’atto impugnato.
Varie leggi tributarie prevedono che, quando è impugnato un avviso di
accertamento, l’amministrazione ha diritto di riscuotere in via provvisoria,
una frazione del tributo.
27.2. Esecuzione forzata delle sentenze di condanna.
Se la commissione condanna il Ministero o l’ente locale, il creditore può
agire per ottenere l’esecuzione di tale sentenza dopo che è passata in
giudicato.
28. Il giudizio di ottemperanza. Ambito di applicazione e
procedimento.
L’esecuzione forzata di obblighi pecuniari delle pubbliche amministrazioni
sovente non da risultati utili, a causa dei limiti alla pignorabilità dei beni
pubblici. Il creditore dell’amministrazione finanziaria può tutelarsi
promuovendo il giudizio denominato di ottemperanza, e che più efficace
dell’esecuzione forzata, in quanto la commissione, adita per
l’ottemperanza, può nominare un commissario ad acta, che emetta i
provvedimenti necessari. Ottemperanza è concetto più ampio di
esecuzione: ed infatti può riguardare non solo le sentenze di condanna,
ma anche altre sentenze, che comportino degli obblighi per
l’amministrazione. La competenza spetta alla commissione provinciale,
quando la sentenza cui ottemperare è di tale organo, ed alla
commissione regionale, in ogni altro caso. La disciplina del procedimento
di ottemperanza diverge da quella ordinaria. Infatti, il ricorso non è
indirizzato alla commissione ma al presidente; ed il ricorrente non deve
notificarlo alla controparte, ma depositarlo in doppio originale presso la
segreteria della commissione; sarà poi la segreteria a comunicarlo alla
controparte, che può entro 20 gg., presentare memorie e documenti. Le
sentenza è impugnabile solo per cassazione e solo per inosservanza
delle norme sul procedimento.
TRIBUTARIO
Parte speciale
PARTE SPECIALE
CRISI DELLA FISCALITÀ E SISTEMA DEI TRIBUTI
• Le disfunzioni del sistema tributario non dipendono dalle disfunzioni
del sistema in vigore, che ricalca nelle sue strutture i sistemi degli altri
paesi sviluppati:
• Imposte sui redditi
• Ordinarie (EG IRPEF)
• Sostitutive (EG redditi finanziari delle persone fisiche)
• Imposte sul patrimonio e sugli atti giudiziari
• Ordinarie (EG ICI)
• In occasione di atti di trasferimento (registro, Successioni)
• Imposte sui consumi:
• A carattere generale (IVA)
• Su beni specifici (Carburanti, energia elettrica, metano)
• I problemi del fisco italiano non derivano da distorsioni macroscopiche
ma limitate a singoli aspetti di singoli tributi (microscopiche)
CRISI FISCALE E RIDUZIONE DELLA SPESA PUBBLICA: I
MARGINI A DISPOSIZIONE
• Vedi tabelle pp. 4 – 6
I POCHI CRITERI BASE PER RIPARTIRE LE SPESE
PUBBLICHE E LE ANGOLAZIONI PER VALUTARNE COSTI E
BENEFICI
•
•
•
•
•
Gettito che l’entrata può fornire
Tollerabilità sociale del prelievo
Esigenza di semplificazione degli adempimenti
Possibilità di controllo degli enti percettori
Effetti incentivanti o penalizzanti sull’economia
TASSE E TARIFFE: IL PAGAMENTO DEI SERVIZI PUBBLICI
DA PARTE DI CHI SE NE SERVE (E IL PRINCIPIO DEL
“BENEFICIO”)
• Una parte delle spese pubbliche possono essere riferite ad una
determinata utenza. Con riguardo a queste si pone il problema se far
pagare l’utenza (principio del beneficio: paga chi beneficia del servizio)
o far pagare il costo alla collettività, quindi proporzionalmente non
all’uso del servizio ma al reddito prodotto (principio del sacrificio: paga
chi può)
IMPOSTE DIRETTE (SUL REDDITO E SUL PATRIMONIO):
VANTAGGI E INCONVENIENTI
• Le imposte sul reddito colpiscono la ricchezza come tale, senza
aspettare che si manifesti in consumo
• Reddito: aumento del patrimonio, nuova ricchezza
• Le imposte sul patrimonio non richiedono una nuova ricchezza cui
attingere. Si può tassare anche un patrimonio che diminuisce. Queste
imposte sono mal tollerate e percepite come vagamente espropriative
LE IMPOSTE INDIRETTE SUI CONSUMI DI BENI O SERVIZI E
SUGLI ATTI GIURIDICI
• Le imposte indirette colpiscono la ricchezza in occasione di un
consumo, di un investimento o di un trasferimento patrimoniale
• Anche le imposte applicate ad atti e documenti giuridico
amministrativi sono riconducibili alle imposte indirette a prescindere
dalla cessione di un bene o dalla prestazione di un servizio
I CONTRIBUTI PREVIDENZIALI E L’ABOLIZIONE DI QUELLI
SANITARI
• I contributi sociali sanitari e previdenziali sono senz’altro prestazioni
patrimoniali imposte ma è discutibile se siano anche dei tributi. I
contributi previdenziali sono ancora ispirati alla logica corrispettiva
dell’assicurazione sociale obbligatoria ma il sistema pensionistico
pubblico è a ripartizione, non a capitalizzazione.
IL GETTITO DELLE VARIE FORME DI ENTRATE PUBBLICHE: UN
QUADRO D’INSIEME
• Vedi pp. 14 – 16
LE RICCHEZZE “DIFFICILI DA TASSARE” E I FATTORI CHE
INFLUENZANO L’ADEMPIMENTO VOLONTARIO: ALIQUOTE,
CONTROLLI E SANZIONI
• Nel sistema di riscossione dei tributi bisogna tenere conto di tre
variabili: le aliquote dei tributi, la frequenza e la profondità dei controlli,
la severità delle sanzioni.
SEGUE: LE RICCHEZZE DIFFICILI DA TASSARE, LE
“IMPOSTE SOSTITUTIVE” E LE FORFETTIZZAZIONI (IL
DIFFICILE EQUILIBRIO TRA EQUITÀ ED EFFICIENZA)
• Anche un sistema tributario ben organizzato può dover scendere a
compromessi con fenomeni di difficile tassazione, quindi si è escogitato
il meccanismo delle imposte sostitutive (EG redditi finanziari e
plusvalenze realizzate dalle persone fisiche)
I LIVELLI DI TASSAZIONE E LO SVILUPPO ECONOMICO
• Il sistema tributario può scoraggiare il sistema produttivo e, alla lunga,
minare la prosperità economica di un paese
I CONDIZIONAMENTI INTERNAZIONALI SUL SISTEMA
FISCALE:
COLLOCAZIONE
DEGLI
INVESTIMENTI
PRODUTTIVI E DELLA RICCHEZZA FINANZIARIA
• La globalizzazione dell’economia ha provocato anche una concorrenza
fiscale. Questa si esercita poco su alcuni tipi di tributi (EG quelli sugli
immobili) ma molto su altri (EG quelli sulle attività finanziarie o sulle
multinazionali)
LA PRESSIONE FISCALE: NECESSITÀ DI VALUTARLA IN
RAPPORTO ALLA QUANTITÀ E ALLA QUALITÀ DEI SERVIZI
PUBBLICI FORNITI
• La pressione fiscale viene calcolata rapportando il peso del prelievo
fiscale alla ricchezza prodotta ogni anno da un paese
IL DIBATTITO SULLA SORTE DELLA PROGRESSIVITÀ
• Vedi pp. 23 – 24
COMPLESSITÀ ECONOMICA, GLOBALIZZAZIONE E NUMERO DEI
TRIBUTI
• La complessità economica provoca anche una complessità dei sistemi
tributari: grandi imposte globali, personali e progressive, come l’IRPEF,
sono state affiancate da molti tributi speciali elaborati tenendo conto
delle caratteristiche della ricchezza che colpiscono. Sono divenute più
numerose le imposte sostitutive
CONSIDERAZIONI GENERALI SULL’IMPOSIZIONE LOCALE: I
VANTAGGI E I RISCHI
• Le imposte locali producono effetti positivi in termini di maggiore
controllo da parte della pubblica opinione dell’utilizzo delle entrate
pubbliche
• Il rischio è quello della frammentazione e di eventuali diseconomie
gestionali rispetto ai tributi nazionali
• Per questo agli enti locali di solito è lasciata la fiscalità più semplice da
gestire
• Con il D.lgs. 15/XII/1997 n. 446
• È stata istituita l’IRAP
• Sono state previste addizionali regionali e comunali all’IRPEF
• È stato previsto il riordino della disciplina dei tributi locali
IL REDDITO: PROFILI GENERALI
PUNTI FERMI E ASPETTI CONTROVERSI DEL CONCETTO DI
REDDITO
• Il patrimonio è un concetto statico che esprime l’insieme delle attività e
delle passività di un soggetto
• Il reddito è invece un concetto dinamico che esprime un aumento della
ricchezza del soggetto, cioè del suo patrimonio
• Importante è il riferimento ad un periodo di tempo, infatti le imposte
sul reddito sono applicate per periodo di imposta
• Il reddito si intende al netto dei costi di produzione, che a volte non
sono considerati dal legislatore (redditi di capitale), a volte sono
forfettizzati, a volte sono considerati
• Reddito prodotto: Esclude gli incrementi patrimoniali di carattere
straordinario e non preordinato
• Reddito entrata: comprende gli incrementi patrimoniali di carattere
straordinario e non preordinato
• Non sono compresi nel concetto di reddito gli incrementi patrimoniali
gratuiti (successioni e donazioni)
LA TENDENZIALE CONSIDERAZIONE AUTONOMA DEI
FENOMENI PRODUTTIVI DI REDDITO: RINVIO ALLE
IMPOSTE PERSONALI E REALI
• In Italia i regimi ordinari di tassazione del reddito si basano su:
• IRPEF
• IRPEG
• La regola generale per imputare gli elementi reddituali ai vari periodi di
imposta è rappresentata dal principio di cassa, che guarda al momento
in cui i redditi vengono percepiti p pagati
• Nel caso in cui elementi di reddito vengano prima incassati (e dichiarati
fiscalmente) e poi restituiti per errori nel pagamento entra in gioco
l’istituto della deducibilità delle sopravvenienze passive, che serve ad
evitare un’imposizione su reddito non percepito effettivamente
IL
CRITERIO
DI
INDIVIDUAZIONE
DEI
REDDITI
NELL’ATTUALE LEGISLAZIONE ED ASPETTI CONTROVERSI
DEL CONCETTO DI REDDITO (REDDITI IN NATURA, REDDITI
ILLECITI, REDDITUALITÀ DEI RISARCIMENTI)
• L’individuazione del reddito imponibile avviene in base al T.U. n.
917/1986, utilizzando le categorie di reddito:
• Redditi fondiari
• Redditi di capitale
• Redditi di lavoro dipendente e autonomo
• Redditi d’impresa
• Redditi diversi
• Ogni categoria reddituale contiene proprie regole di determinazione del
reddito di categoria
• La classificazione dei redditi tra le varie categorie avviene in genere in
base alla natura oggettiva del provento, tuttavia si deve tener conto del
principio di attrazione del reddito d’impresa
• Il reddito può essere anche in natura. in questo caso i beni vanno
valutati in base al valore normale nel tempo e nel luogo più prossimi a
quello in cui la prestazione è avvenuta
• La base imponibile è comunque espressa in denaro, quindi si rischia
l’iscrizione di redditi meramente monetari cui non corrisponde alcun
reale arricchimento
• Sono in linea di principio imponibili anche i redditi derivanti da
attività illecite, sia pur tenendo conto di eventuali obblighi di
restituzione
I RISCHI DI DOPPIA IMPOSIZIONE SUI REDDITI SOCIETARI.
ASPETTI GENERALI DEL PROBLEMA
• Nel caso in cui una società produca un reddito, questo può essere
tassato due volte: una in capo alla società e una in capo ai soci
• Nel caso delle società di persone si segue il principio dell’imputazione
diretta del reddito in capo ai soci
• Nel caso delle altre società si usa il criterio del credito d’imposta
LA
TERRITORIALITÀ
NELLE
IMPOSTE
DIRETTE.
GENERALITÀ E RINVII ALLE SINGOLE CATEGORIE DI
REDDITO
• Nel caso in cui soggetti residenti in Italia traggano proventi da fonti
estere costoro vengono assoggettati al prelievo anche per i redditi
prodotti all’estero
• Nel caso in cui soggetti non residenti conseguano redditi in Italia
sono tassati per questi redditi.
• Questo sistema crea il rischio di doppie imposizioni, evitabili con:
• Accordi bilaterali
• In base alla norma interna che concede ai residenti lo scomputo
(totale o parziale) delle imposte già pagate all’estero
• Per il concetto di residenza vedi pp. 46 – 47
LE CATEGORIE DI REDDITO
REDDITI FONDIARI. GENERALITÀ
• Derivano da terreni e fabbricati esistenti nel territorio dello stato
(Catasto)
• Si distinguono in:
• Redditi dei terreni
• Redditi dei fabbricati
• Il reddito catastale è un reddito medio – ordinario che si sovrappone a
quello effettivo rendendolo irrilevante
• L’imputazione del reddito catastale al periodo d’imposta avviene in
proporzione alla durata del possesso del bene e la mancata riscossione
rileva solo in ipotesi straordinarie
IL REDDITO DEI TERRENI. INDIVIDUAZIONE DEI TERRENI
PRODUTTIVI DI REDDITO FONDIARIO
• I redditi catastali dei terreni si dividono in:
• Reddito dominicale (attribuito al proprietario)
• Reddito agrario (attribuito a chi coltiva il terreno)
IMPOSIZIONE CATASTALE DELL’IMPRESA AGRICOLA, I
CONFINI TRA REDDITO AGRARIO E REDDITO D’IMPRESA
• Occorre tracciare un confine tra reddito agrario e reddito d’impresa
• La trasformazione e la commercializzazione danno luogo a reddito
fondiario solo se hanno ad oggetto beni ottenuti per almeno la metà dal
terreno e se rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura
• L’allevamento dà luogo a reddito agrario solo se i mangimi utilizzati
per alimentare i capi derivano per almeno un quarto dal terreno
• Nei casi in cui l’attività eccede i limiti del redito agrario l’imprenditore
avrà, accanto al reddito agrario medesimo, anche u reddito d’impresa
IL REDDITO DEI FABBRICATI. LA DEDUZIONE PER I
FABBRICATI UTILIZZATI COME ABITAZIONE DAL TITOLARE
• I redditi dei fabbricati sono attribuiti soltanto a chi possiede il bene a
titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale di godimento
• Il sistema di calcolo della rendita si basa sul numero di vani catastali
dell’appartamento
• Costituisce reddito fondiario anche il reddito figurato dei fabbricati
utilizzati direttamente dal titolare, anche se entrano in gioco le
detrazioni
GLI IMMOBILI DELLE IMPRESE COMMERCIALI: IMMOBILI
“STRUMENTALI” E “NON STRUMENTALI”
• Gli immobili posseduti da imprese commerciali costituiscono sempre
reddito d’impresa, anche se non sono strumentali all’esercizio
dell’impresa stessa
• Gli immobili non strumentali concorrono a formarne il reddito
nella misura stabilita per i rediti fondiari
• Gli immobili strumentali concorrono a formarne il reddito in base
ai costi e ai ricavi effettivi
• Strumentalità:
• Per natura: immobili che non possono avere altra destinazione che
quella industriale o commerciale
• Per destinazione: altri immobili utilizzati esclusivamente per attività
d’impresa
REDDITI DI CAPITALE: CRITERI DI INDIVIDUAZIONE. I
RAPPORTI CON I “REDDITI DIVERSI” DI CARATTERE
FINANZIARIO
• Per i redditi di capitale non c’è un criterio definitorio omogeneo ma un
elenco contenuto nell’art. 41 TUIR da cui si possono enucleare le
categorie:
• Interessi e altri proventi derivanti in senso lato da prestiti
• Proventi derivanti dalla partecipazione in società o enti
I REDDITI DI CAPITALE DERIVANTI DA PARTECIPAZIONE IN
SOCIETÀ (DIVIDENDI)
• I redditi derivanti da partecipazione in società ed enti concorrono a
formare il reddito accompagnati dal credito d’imposta per le tasse già
versate dalla società
• I titolari di modeste partecipazioni (partecipazioni non qualificate)
possono usufruire di un’imposta sostitutiva
• Costituiscono reddito tassabile sono i dividendi erogati dalla società a
fronte di utili effettivi
• Gli utili delle società di persone sono imputati direttamente ai soci
LA DETERMINAZIONE “AL LORDO” DEI REDDITI DI
CAPITALE, IMPUTAZIONE AL PERIODO D’IMPOSTA, CRITERI
DI TERRITORIALITÀ E RAPPORTO COI REDDITI D’IMPRESA
• Il reddito di capitale è calcolato senza considerare gli eventuali costi per
la sua produzione
• Il reddito di capitale è imputato al periodo d’imposta in base al
principio di cassa
• È prevista una presunzione relativa di percezione degli interessi alle
scadenze stabilite per iscritto
• Nei mutui se gli interessi non sono fissati per iscritto si presumono pari
al saggio legale
• I proventi in esame sono redditi di capitale ma concorrono a formare
reddito d’impresa se percepiti da società commerciali o nell’esercizio di
attività imprenditoriale da parte di persone fisiche
L’IMPOSIZIONE SOSTITUTIVA DEI REDDITI FINANZIARI TRA
REDDITI DI CAPITALE E REDDITI DIVERSI DI NATURA
FINANZIARIA (C.D. “GUADAGNI DI CAPITALE” O “CAPITAL
GAINS”)
• La categoria più importante di redditi di capitale è quella dei redditi
finanziari, soggetti in genere ad altre imposte sostitutive
• Sono da considerare attentamente i redditi di capitale (o capital gains),
realizzati come differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita
di titoli azionari
• Sono inseriti tra i redditi diversi (redditi diversi di natura finanziaria)
• Sono soggetti ad imposizione sostitutiva (dal 12,5% al 27%)
• Il contribuente può scegliere tra:
• Risparmio amministrato: l’applicazione delle imposte sostitutive
compete all’intermediario
• Risparmio gestito: ha carattere globale e l’imposta sostitutiva ha
ad oggetto il risultato netto della gestione. Interessi attivi e
plusvalenze vengono compensati con le eventuali minusvalenze
• L’imposizione sostitutiva sugli interessi bancari e obbligazionari
segue il tradizionale strumento della ritenuta a titolo d’imposta (12,5% o
27%)
• Un regime fiscale sostitutivo riguarda anche i fondi comuni di
investimento (12,5%)
INDIVIDUAZIONE DEI REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE (E
LORO CRITERI DI TERRITORIALITÀ)
• Alla categoria dei redditi di lavoro dipendente appartengono i redditi
derivanti dal lavoro prestato alle dipendenze e sotto la direzione di altri,
le pensioni (anche se percepite in relazione ad attività diverse dal lavoro
dipendente) e i trattamenti di fine rapporto
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI LAVORO DIPENDENTE
• Il reddito di lavoro dipendente comprende tutti gli emolumenti
percepiti in relazione al rapporto di lavoro come le erogazioni a titolo di
sussidio o liberalità
• Non vi sono comprese erogazioni estranee al concetto di reddito
(risarcimenti o contributi previdenziali obbligatori – vedi comunque
art. 48 TUIR)
• Anche i compensi in natura costituiscono reddito, determinati in
base al loro valore normale
• L’imputazione dei redditi al periodo d’imposta segue il principio di
cassa
LE SPESE DI PRODUZIONE DEL REDDITO ED I RIMBORSI DI
SPESE DI TRASFERTA
• I costi e le spese sostenuti per la produzione del reddito sono dedotti in
misura forfetaria, decrescente all’aumentare del reddito
• Quando il dipendente è inviato in trasferta in un comune diverso da
quello dove si trova la sede abituale di lavoro deve sostenere spese
aggiuntive da rimborsare a parte con somme che non costituiscono
reddito, con le seguenti modalità:
• In base alla documentazione presentata dai dipendenti
• Indennità forfetarie di trasferta
• Rimborso analitico dell’alloggio
OSSERVAZIONI IN TEMA DI REDDITI ASSIMILATI A QUELLI
DI
LAVORO
DIPENDENTE
(PARAGRAFO
DI
COMPLETAMENTO)
• Vedi pp. 78 – 79
IDENTIFICAZIONE DELLA CATEGORIA DEI REDDITI
D’IMPRESA (DISTINZIONI RISPETTO AD ALTRE CATEGORIE
DI REDDITO NONCHÉ RISPETTO AD ATTIVITÀ NON
PRODUTTIVE DI REDDITO FISCALE)
• Stabilire quali attività danno luogo a reddito d’impresa rileva sotto due
profili:
• Discriminare i fenomeni che danno luogo a reddito d’impresa da
quelli che non rilevano ai fini fiscali
• Discriminare il redito d’impresa da quello delle altre categorie
L’ATTRIBUZIONE DI REDDITO D’IMPRESA IN BASE A
CRITERI FORMALI (SOCIETÀ COMMERCIALI) ED ASSENZA
DELL’EFFETTIVO ESERCIZIO DI UN’IMPRESA (SOCIETÀ “DI
COMODO”)
• L’attribuzione del reddito d’impresa può dipendere:
• Dalle caratteristiche dell’attività svolta
• Dalla qualificazione formale del soggetto
• La l. 23/XII/1994 ha introdotto una serie di penalizzazioni per le società
utilizzate come meri contenitori patrimoniali
L’ATTRIBUZIONE DEL REDDITO D’IMPRESA IN BASE A
CRITERI SOSTANZIALI. LE “PICCOLE IMPRESE” E LA
DISTINZIONE RISPETTO AL LAVORO AUTONOMO
• Per stabilire la titolarità di reddito d’impresa si può avere:
• Criterio formale (società commerciali)
• Criterio sostanziale (enti diversi dalle società, società di fatto,
persone fisiche). In questo caso deve trattarsi di attività abituale,
rientrante tra quelle elencate nell’art. 2195
• In questi casi c’è tutta una serie di regimi speciali di
determinazione del reddito delle imprese minori
• Le professioni intellettuali sono estranee all’art. 2195 c.c. e sono
escluse dal reddito d’impresa dall’art. 51 TUIR
L’ATTRIBUZIONE DI REDDITO D’IMPRESA AI SOGGETTI
“DIVERSI DALLE PERSONE FISICHE” (ENTI COMMERCIALI E
NON COMMERCIALI)
• Nel caso di enti diversi dalle società commerciali
• Se l’attività risultante dallo statuto è commerciale, l’ente sarà
considerato integralmente commerciale
• Se l’attività commerciale manca o non è prevalente gli eventuali
redditi seguiranno le disposizioni delle rispettive categorie
• In linea di principio il fine di lucro è irrilevante nello stabilire la
commercialità dell’ente o la titolarità del reddito d’impresa
• La mancanza dello scopo di lucro è rilevante solo per le
organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)
disciplinati dall’art. 10 del d. lgs. 460/1997
• Per gli enti associativi le quote versate dagli associati o partecipanti
non costituiscono comunque reddito
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO D’IMPRESA
LE COMPLESSITÀ DEL REDDITO D’IMPRESA E IL RUOLO DELLE
NORME FISCALI
• Le disposizioni sul reddito d’impresa, contenute nell’IRPEF, si
applicano anche ai soggetti IRPEG, in virtù di rinvii espressi
• Le disposizioni sul reddito d’impresa hanno la funzione di:
• Individuare i beni facenti parte, a fini fiscali, del patrimonio
d’impresa
• Individuare costi non deducibili o proventi non imponibili
• Imputare al periodo corrispondente gli elementi reddituali e i costi
riguardanti una pluralità di periodi d’imposta
“BENI RELATIVI ALL’IMPRESA”, CONTINUITÀ DEI “VALORI
FISCALMENTE RICONOSCIUTI” E VALORI EFFETTIVI
• Tutti i proventi e i costi riconducibili all’impresa concorrono a formarne
il reddito, anche se diversi da quelli cui è diretta l’ordinaria attività
• Tuttavia ci sono componenti reddituali non menzionate, il cui
trattamento dovrà essere ricondotto, anche per quel che riguarda le
esenzioni, alle componenti reddituali espressamente nominate
• È importante l’attribuzione di un valore fiscale agli elementi
patrimoniali dell’impresa, poiché le differenza tra valore di cessione del
bene e valore fiscale di riferimento concorre a formare il reddito
d’impresa
• I beni relativi all’impresa sono identificati come segue:
• Sono automaticamente relativi all’impresa tutti i beni appartenenti a
società commerciali
• Per le imprese individuali si distingue tra beni appartenenti
all’impresa e beni appartenenti all’imprenditore
• Il valore fiscalmente riconosciuto è determinato dal costo di acquisto
maggiorato della successive rivalutazioni fiscalmente rilevanti (EG
patrimonializzazione di spese e manutenzione)
• Il valore dell’impresa in funzionamento è in genere superiore alla
somma del valore di mercato dei beni che la comprendono
(avviamento)
L’INERENZA
ALL’ATTIVITÀ
DELL’IMPRESA
REQUISITO PER LA DEDUCIBILITÀ DEI COSTI
QUALE
• La determinazione del reddito d’impresa tiene conto in genere dei costi
sostenuti per la sua produzione: è quindi consentita la deduzione delle
sole spese inerenti l’attività d’impresa
• Il controllo sull’inerenza non può interferire con il merito delle
scelte imprenditoriali
• I beni utilizzati promiscuamente sono deducibili nella misura del
50%
“DETERMINAZIONE ANALITICA” DEL REDDITO D’IMPRESA E
RUOLO DEL BILANCIO
• La determinazione analitica del reddito d’impresa è strettamente
connessa alla contabilità
• Una contabilità che segua i singoli elementi reddituali e patrimoniali è
prevista solo per le imprese in regime contabile ordinario
• Società di capitali ed enti commerciali
• Società di persone e persone fisiche con ricavi superiori a 360
milioni annui (se l’attività è la prestazione di servizi) o a un miliardo
• Chi abbia optato per tale regime
SEGUE: LA PIANIFICAZIONE FISCALE DEI REDDITI
D’ESERCIZIO E I CONDIZIONAMENTI TRIBUTARI NELLA
REDAZIONE DEL BILANCIO CIVILISTICO
• Criteri civilistici sulla valutazione di bilancio:
• Principio di verità
• Principio di chiarezza
• Principio di prudenza
• Interessi tutelati dalla normativa civilistica
• Trasparenza nei rapporti tra soci
• Salvaguardia dei creditori
• Interesse del pubblico e dei mercati
• La tecnica legislativa è quella di fissare dei margini all’interno dei quali
il contribuente possa muoversi liberamente, facendo le scelte più
convenienti (vedi pp. 104 – 107)
VALORI CIVILI E VALORI FISCALMENTE RICONOSCIBILI
NEL BILANCIO D’ESERCIZIO (“RISERVE IN SOSPENSIONE
D’IMPOSTA” E “FONDI TASSATI”)
• È importante tener conto che non sempre valori iscrivibili nel bilancio
civilistico sono riconosciuti dal diritto tributario
• Talvolta l’elemento patrimoniale fatto oggetto di una svalutazione o di
un ammortamento non riconosciuto fiscalmente viene mantenuto in
bilancio ma a fronte di esso viene istituito un fondo che prende il nome
di fondo tassato: costituito con somme assoggettate ad imposte e ormai
pienamente disponibili per la società. Tali fondi potranno quindi essere
successivamente distribuiti come utili senza essere tassati, perché la
tassazione è già avvenuta nell’esercizio in cui tali fondi sono stati
costituiti
• Un fenomeno opposto si verifica quando la legge consente di escludere
da imposizione elementi positivi di reddito accantonandoli in un
apposito fondo contabile: si tratta di riserve in sospensione d’imposta
L’ATTRIBUZIONE DEGLI ELEMENTI REDDITUALI
PERIODO D’IMPOSTA (PRINCIPIO DI COMPETENZA)
AL
• L’imputazione al periodo d’imposta delle componenti reddituali
dell’impresa avviene in base al criterio della competenza (riferimento
al momento di maturazione delle componenti reddituali)
• Per le cessioni di beni i momenti di competenza sono:
• Per i beni mobili quello della consegna o spedizione
• Per gli immobili quello della stipula dell’atto
• Per le prestazioni di servizi quello in cui la prestazione è stata
ultimata. Se il corrispettivo della prestazione decorre
proporzionalmente al passare del tempo occorre imputare al periodo
d’imposta la quota in esso maturata
• Nei casi in cui manchino cessioni o prestazioni si tratta di situazioni
da risolvere caso per caso
L’IRREGOLARITÀ NELL’IMPUTAZIONE TEMPORALE DEGLI
ELEMENTI REDDITUALI: POSSIBILI CORREZIONI DA PARTE
DEL CONTRIBUENTE E CONSEGUENZE IN CASO DI
RETTIFICA
• Gran parte delle norme sul reddito d’impresa riguardano la
distribuzione nel tempo degli elementi reddituali
• Se anche il contribuente si accorge di aver errato nell’attribuzione di un
cespite ad un esercizio piuttosto che ad un altro, non sempre potrà
inserire il cespite in questione in un momento successivo, perché la
legge prevede momenti inderogabili di competenza. Quindi potrà solo
cercare di modificare la dichiarazione dell’esercizio in cui il cespite
andava iscritto ma non lo fu per errore
• Se si tratta invece di mancato rispetto delle norme sulla valutazione del
patrimonio in fine esercizio si potrà in genere rinviare ad un successivo
esercizio la deduzione non effettuata
I BENI CHE GENERANO RICAVI E QUELLI CHE GENERANO
PLUSVALENZE. L’IMPORTANZA DELLA DISTINZIONE
• Danno luogo a ricavi i beni merce
• Vanno contabilizzati col criterio denominato a costi ricavi e
rimanenze
• Danno luogo a plusvalenze o minusvalenze gli altri beni
• Vanno esposti in bilancio con un criterio patrimoniale
(ammortamento)
INDIVIDUAZIONE DEI BENI CHE GENERANO RICAVI
• I beni la cui cessione genera ricavi sono quelli oggetto dell’attività
propria dell’impresa, nonché le materie prime e sussidiarie
• Azioni, obbligazioni e titoli similari rientrano nella categoria in
questione salvo siano iscritti in bilancio come immobilizzazioni
finanziarie, nel qual caso rientrano nei beni che danno luogo a
plusvalenze
• Nella stessa categoria rientra la prestazione di servizi oggetto
dell’attività propria dell’impresa
• Idem per i contributi di fonte privatistica, spettanti cioè in base a
contratto
• Tra i contributi di fonte pubblicistica, dovuti dal settore pubblico,
costituiscono ricavi quelli concessi in conto esercizio e relativi alla
copertura di squilibri gestionali e non all’effettuazione di nuovi
investimenti
L’IDENTIFICAZIONE RESIDUALE DEL BENI CHE GENERANO
PLUSVALENZE; LORO IMPOSIZIONE “RATEIZZATA” E
IRRILEVANZA DELLE “PLUSVALENZE ISCRITTE”
• Le plusvalenze sono identificate con un criterio puramente residuale
rispetto a quello utilizzato per i ricavi
• I titoli azionari e obbligazionari generano plusvalenze se iscritti a
bilancio come immobilizzazioni finanziarie
• Le prestazioni di servizi non danno luogo a plusvalenze, quindi se
non rientranti nei ricavi saranno imponibili come componente
reddituale atipica e non come plusvalenza
• La plusvalenza emerge se il corrispettivo della cessione del bene è
maggiore del valore fiscalmente riconosciuto
• Le plusvalenze possono essere escluse dal reddito dell’anno di
competenza e imputate in uno o più (fino a 5) esercizi successivi
• Le plusvalenze iscritte a bilancio sono irrilevanti fiscalmente, non
comportando alcuna componente positiva del reddito fiscale né alcun
aumento dei valori fiscalmente riconosciuti dei beni rivalutati
INTERESSI, DIVIDENDI E ALTRE COMPONENTI FINANZIARIE
POSITIVE DEL REDDITO D’IMPRESA: NOZIONI DI BASE
• Quando sono percepiti da un’impresa i redditi di capitale perdono la
loro natura oggettiva e concorrono a formare il reddito d’impresa
• L’imputazione degli interessi attivi al periodo d’imposta avviene
proporzionalmente alla quota di essi maturata nell’esercizio
• I dividendi e gli altri utili da partecipazione in società concorrono a
formare il reddito d’impresa seguendo il principio di cassa
• I dividendi di società estere controllate o collegate concorrono a
formare il reddito nella misura del 40% (se si tratta di paesi UE
l’aliquota è del 5%)
FISCALITÀ
FINANZIARIA
D’IMPRESA:
QUESTIONI
PARTICOLARI (CENNI AI NUOVI STRUMENTI FINANZIARI
NEL REDDITO D’IMPRESA, ALLE OPERAZIONI FUORI
BILANCIO, AI PRONTI CONTRO TERMINE ETC.)
• Vedi pp. 124 – 126
I PROVENTI IMMOBILIARI
STRUMENTALI)
(RINVIO
AGLI
IMMOBILI
• I redditi degli immobili non strumentali concorrono a formare il reddito
d’impresa nella misura risultante dal catasto o dal canone di locazione
forfetariamente abbattuto, secondo i criteri dei redditi fondiari
SOPRAVVENIENZE ATTIVE
• La sopravvenienza è un elemento reddituale che modifica operazioni
già contabilizzate in precedenti periodi d’imposta. Possono essere attive
o passive – vedi art. 55 TUIR
RIMANENZE DI MERCI E MATERIE PRIME
• L’acquisto o la cessione di merci e materie prime o merci e prodotti
finiti vengono registrati esclusivamente come costi o come ricavi, senza
tener conto dell’acquisto o della perdita della titolarità dei beni
• È pertanto necessario tener conto del valore dei beni in giacenza nel
magazzino, attraverso l’inventario fisico
• La valorizzazione di tali beni non può superare la cifra minore tra il
costo di acquisto e il valore di mercato alla fine dell’esercizio
• Vanno incluse nel costo anche le materie prime, la manodopera
diretta e le quote di ammortamento industriale
• Se le rimanenze sono composte da pochi beni di rilevante valore
unitario è possibile una valutazione a costi specifici
• Il criterio di valutazione dei beni in magazzino è denominato lifo a
scatti annuali (132 – 135)
• I criteri fiscali di valutazione delle rimanenze danno luogo a valori
minimi, da adeguare tramite una variazione in aumento se la
valutazione adottata in bilancio sia inferiore, mentre invece se la
valutazione del bilancio è superiore a tali valori minimi, essa va adottata
tout court
RIMANENZE DI SERVIZI E VALUTAZIONE IN BASE AL
CORRISPETTIVO: LE OPERE IN CORSO D’ESECUZIONE A
FINE ESERCIZIO
• Il servizio in corso d’esecuzione va valutato in base ai costi sostenuti
fino alla fine del periodo d’imposta
• Se il servizio ha un tempo di esecuzione ultrannuale i lavori vanno
valutati con tempo di esecuzione non superiore all’anno, sulla base dei
corrispettivi pattuiti e non dei costi sostenuti
VALUTAZIONE DEI TITOLI E DELLE PARTECIPAZIONI NON
AZIONARIE
• I titoli come azioni, obbligazioni et similia rientrano nella categoria dei
beni generatori di ricavi e quindi sono trattati come le merci (esposti in
bilancio “a costi ricavi e rimanenze”)
• I titoli iscritti nel bilancio civilistico come immobilizzazioni finanziarie,
cioè con criterio patrimoniale, sono trattati come gli altri titoli in virtù
del rinvio dall’art. 66 all’art. 61
• Al costo delle partecipazioni sociali devono essere aggiunti i
versamenti a fondo perduto effettuati dai soci
• Le svalutazioni al valore normale sono consentite:
• Valorizzando i titoli quotati in borsa in base alla media aritmetica
dei prezzi dell’ultimo mese
• Effettuando, per i titoli di società non quotate, diminuzioni del
valore proporzionali alle riduzioni di capitali della società in
questione
ELEMENTI NEGATIVI DEL REDDITO D’IMPRESA: I COSTI
PER PRESTAZIONI DI LAVORO
• La deducibilità delle spese per retribuire il personale dell’impresa
discende dalla nozione generale di reddito
• La classificazione dei costi come lavoro dipendente o altro è rilevante
anche a fini IRAP
ONERI FISCALI E RELATIVI ACCANTONAMENTI. CONTRIBUTI
AD ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA
• Non tutte le imposte e tasse corrisposte dall’impresa sono deducibili
nella determinazione del reddito: non lo sono le imposte sui redditi
• Vedi pp. 144 – 145
MINUSVALENZE, PERDITE E SOPRAVVENIENZE PASSOVE
• Le componenti negative di reddito (minusvalenze) emergono quando la
cessione di un bene conduce adun risultato negativo
• Sono irrilevanti le minusvalenze iscritte, cioè derivanti da una mera
svalutazione del cespite derivante dal diminuito valore di mercato
• Le sopravvenienze passive (o perdite) si distinguono dalle
minusvalenze perché non derivano dalla cessione del bene ma dalla sua
distruzione fisica o dalla perdita del diritto reale
• In questo quadro sono importanti le perdite su crediti, deducibili se
risultanti da elementi certi e precisi, non da atti di disposizione
AMMORTAMENTI
• Sono deducibili anche gli ammortamenti dei beni strumentali, che
ripartiscono il costo dei beni ad utilità pluriennale fra i veri esercizi in
cui i beni sono utilizzabili
• Gli ammortamenti sono effettuati in base ad aliquote, che possono
essere aumentate o diminuite a seconda dell’utilizzo più o meno intenso
del bene
• Le spese per acquistare beni di costo unitario non superiore ad un
milione sono immediatamente deducibili
• L’ammortamento dei beni immateriali è stabilito in un minimo di tre
anni
SPESE DI MANUTENZIONE ED INCREMENTATIVE TRA
DEDUCIBILITÀ “CORRENTE” E “PATRIMONIALIZZAZIONI”
• L’art. 67 TUIR regola anche i tempi e i modi di deduzione delle spese
di manutenzione, riparazione, trasformazione e ammodernamento (vedi
pp. 151 – 152)
L’ACQUISIZIONE DI BENI ATTRAVERSO LA LOCAZIONE
FINANZIARIA: FINALITÀ ECONOMICA E DISCIPLINA
GIURIDICA
• L’utilizzatore del bene in leasing ne acquista la materiale disponibilità
con un impegno finanziario per certi versi analogo a quello di un
acquisto a rate, mentre il cedente mantiene la proprietà del bene. Al
termine del periodo di leasing il bene può essere riscattato dal locatario.
• I canoni di leasing sono deducibili solo se il contratto ha una durata
superiore alla metà del periodo di ammortamento
I COSTI PLURIENNALI
• I costi pluriennali si distinguono dai beni immateriali perché a fronte di
essi non esiste alcun bene o diritto provvisto di un proprio valore di
mercato
• Vengono dedotti in un arco pluriennale
• Anche l’avviamento costituisce un costo pluriennale, deducibile in
misura non superiore ad un decimo del costo (quindi in dieci anni)
ACCANTONAMENTI ED AMMORTAMENTO FINANZIARIO
• La quota di accantonamento costituisce una componente negativa del
reddito e il fondo di accantonamento viene costituito nella contabilità:
gli accantonamento fiscalmente deducibili sono indicati in modo
tassativo
• Gli accantonamenti per rischi su crediti sono deducibili nei ristretti
limiti dell’art. 71 TUIR
• L’accantonamento per indennità di fine rapporto del personale è
regolato dall’art. 70 TUIR
LIMITAZIONI ALLA DEDUCIBILITÀ DI TALUNI COSTI IN
PRESENZA DI ELEMENTI POSITIVI DI REDDITO ESENTI
• La deducibilità di interessi passivi viene limitata dove esistano
componenti positive di reddito esenti da imposta. Gli interessi passivi
sono indeducibili per la quota corrispondente al rapporto tra gli
elementi positivi di reddito esenti e il totale di tali elementi positivi
LE IMPRESE MINORI
• È prevista una disciplina apposita per l’impresa minore, consistente in
scritture contabili semplificate (vedi art. 79 TUIR e pp. 161 – 162)
DETERMINAZIONE FORFETARIE DEL REDDITO D’IMPRESA:
IMPRESE DI ALLEVAMENTO
• Le imprese di allevamento che traggano dal fondo meno di un quarto
dei mangimi utilizzati per l’alimentazione del bestiame producono
reddito d’impresa per la parte di bestiame eccedente il limite di cui
sopra, ma il reddito è forfettizzato in base ad un coefficiente di
redditività per capo di bestiame
REDDITO D’IMPRESA E RAPPORTI CON L’ESTERO: 1)
PROVENTI CONSEGUITI IN ITALIA DA IMPRESE NON
RESIDENTI
• I redditi d’impresa sono tassabili in Italia solo se derivanti da attività
esercitate nel territorio dello stato mediante stabili organizzazioni, cioè
strutture di fatto la cui configurabilità va accertata caso per caso
• La stabile organizzazione si distingue dalla società controllata perché
non è un quid aliud rispetto alla casa madre
• I redditi conseguiti da non residenti all’esterno delle stabili
organizzazioni sono considerati nelle varie categorie di reddito
REDDITO D’IMPRESA E RAPPORTI CON L’ESTERO: 2)
COMPONENTI REDDITUALI ESPRESSE IN VALUTA O
PRODOTTE ALL’ESTERO (PERDITE SU CAMBI, CONTABILITÀ
IN VALUTA ESTERA E IMPOSTE ESTERE)
• I rapporti economici regolati in valute estere rendono necessaria una
conversione in lire, da effettuarsi al cambio vigente al momento di
competenza dell’operazione (vedi pp. 165 – 166)
VALORI
NORMALI
E
CORRISPETTIVI
NELLA
DETERMINAZIONE DEL REDDITO D’IMPRESA (IL “TRANSFER
PRICING”)
• Il reddito d’impresa è determinato in base ai corrispettivi determinati
dalle parti, quindi il valore corrente non ha rilevanza, tranne quando si
tratta di corrispettivi nei confronti di imprese estere facenti capo allo
stesso gruppo di società (art. 76 TUIR – vedi pp. 167 – 170)
LE COMPENSAZIONI INDIRETTE DI SOCI, AMMINISTRATORI
ETC.
• Vedi pp. 170 – 171
LE ALTRE CATEGORIE DI REDDITO
REDDITI DI LAVORO AUTONOMO: DELIMITAZIONE DELLA
CATEGORIA (RINVII AL REDDITO D’IMPRESA PER LA
DISTINZIONE
TRA
REDDITI
PROFESSIONALI
E
COMMERCIALI
• La categoria dei redditi di lavoro autonomo viene identificata in
maniera residuale: tutte le attività autonome abituali, ancorché non
esclusive, non rientranti nel reddito agrario o nel reddito d’impresa
• Sono redditi di lavoro autonomo anche quelli prodotti da
associazioni tra professionisti
I REDDITI “ASSIMILATI A QUELLI DI LAVORO AUTONOMO”
E I CRITERI DI TERRITORIALITÀ DELLA CATEGORIA
• Esistono redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo che si
distinguono perché non comportano la tenuta di scritture contabili e non
sono soggetti ad IVA
• Rapporti di collaborazione continuata e continuativa
• Compenso spettanti ad autori ed inventori
• Utili attribuiti all’associato in partecipazione
LA DETERMINAZIONE DEI REDDITI DI LAVORO AUTONOMO
• L’imputazione degli elementi reddituali al periodo d’imposta avviene
secondo il principio di cassa, con alcune deroghe
• La nozione di compenso include anche i rimborsi di spese inerenti alla
produzione del reddito di lavoro autonomo
• Per i redditi in questione sono perciò irrilevanti le plusvalenze e gli altri
elementi positivi di reddito diversi dai compensi
• Non si crea un regime particolare dei beni relativi all’esercizio dell’arte
o della professione
• Qualsiasi spesa inerente l’attività professionale è ammessa in deduzione
• Per i beni strumentali è previsto l’ammortamento
RINVII ALLE NORME PROCEDURALI SULLA CONTABILITÀ
DEI PROFESSIONISTI E DETERMINAZIONE DEI REDDITI DI
LAVORO AUTONOMO “ASSIMILATI”
• Nel calcolo del calcolo della differenza tra compensi e spese del
professionista è obbligatoria una contabilità
• I redditi da lavoro autonomo “assimilati” non sono invece determinati
contabilmente ma attraverso deduzioni percentuali ai compensi, senza
obblighi contabili
REDDITI DIVERSI. 1) I PROVENTI RESIDUALI RISPETTO AD
ALTRE CATEGORIE (PRESTAZIONI COMMERCIALI O
PROFESSIONALI DI CARATTERE OCCASIONALE)
• Danno luogo a redditi diversi alcuni proventi concettualmente
omogenei ad un’altra categoria di reddito, ma sprovvisti di una qualche
particolare caratteristica per essere inclusi in essa:
• Redditi di immobili situati all’estero
• Attività occasionali d’impresa e di lavoro autonomo
I REDDITI DIVERSI DERIVATI DA OBBLIGHI DI “FARE” E DA
PREMI E VINCITE
• Rientrano in generale nella categoria dei redditi diversi i proventi
derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere
I REDDITI DIVERSI DERIVANTI DA PLUSVALENZE ISOLATE
• Le plusvalenze sono costituite dalla differenza positiva tra il prezzo di
cessione di un bene e il suo costo di acquisto
• L’imponibilità delle plusvalenze è limitata ai casi specificamente
previsti dalla legge
SEGUE: I REDDITI DIVERSI DA NATURA FINANZIARIA
NELL’AMBITO
DELL’IMPOSIZIONE
SOSTITUTIVA
DESCRITTA NELLA SEZIONE B
• Ai fini dell’imposta sostitutiva sui redditi finanziari sono rilevanti anche
e plusvalenze e le minusvalenze su titoli azionari ed obbligazionari
• Queste vicende sono inserite nei redditi diversi (e non in quelli da
capitale) perché non hanno carattere predeterminato e dipendono dalle
oscillazioni di valore tipiche dei mercati finanziari
INTERCONNESSIONI TRA NORME SOSTANZIALI E ASPETTI
PROCEDURALI DELL’IMPOSIZIONE SUI REDDITI
CATEGORIE DI REDDITO E ADEMPIMENTI PROCEDURALI:
INDIVIDUAZIONE DEI SOSTITUTI D’IMPOSTA E RELATIVI
ADEMPIMENTI
• Sono sostituti d’imposta:
• Tutti i soggetti IRPEG, società di capitali, enti commerciali o non
commerciali
• Le società di persone di cui all’art. 5 TUIR
• Gli imprenditori individuali, ivi compresi gli imprenditori agricoli
• Gli esercenti arti e professioni
• Il condominio degli edifici
• Le ritenute seguono il criterio di cassa
• È importante distinguere tra ritenute a titolo d’acconto (EG sui redditi
di lavoro dipendente) dalle ritenute a titolo d’imposta (EG sugli
interessi bancari ed obbligazionari percepiti da persone fisiche). Mentre
le ritenute a titolo d’imposta costituiscono un prelievo a sé stante, di
carattere definitivo, le ritenute d’acconto impongono un qualche
adempimento aggiuntivo a chi le subisce.
CATEGORIE DI REDDITO E OBBLIGHI CONTABILI: IMPRESE
IN CONTABILITÀ ORDINARIA (LIBRO GIORNALE, LIBRO
DEGLI INVENTARI E CONTI DI CONTABILITÀ GENERALE)
• Le imprese in contabilità ordinaria devono tenere le scritture previste
dagli artt. 14,15, 16 D.P.R. 600, parzialmente coincidenti con quelle
previste dal c.c.. Il contenuto di tali registri deve essere desunto dal c.c.
ove la normativa tributaria non intervenga.
SEGUE. REGISTRI IVA E CONTABILITÀ SEMPLIFICATA PER LE
IMPRESE MINORI
• Alle scritture contabili si aggiunge la contabilità IVA, creando quindi
una duplicità di registri IVA/imposte sui redditi
• Le imprese in contabilità semplificata devono tenere essenzialmente i
registri IVA, integrati dall’annotazione delle operazioni non soggette a
registrazione ai fini di tale tributo
• La contabilità semplificata è una forma di partita semplice che non
registra la composizione del patrimonio aziendale e le sue variazioni
• Esiste una contabilità ulteriormente semplificata basata
essenzialmente sull’annotazione cumulativa mensile o trimestrale degli
incassi e delle spese, applicabile solo in alcuni casi (vedi pg. 262)
ALTRE SCRITTURE DELLE IMPRESE, RILEVANTI AI SOLI
FINI FISCALI, E SCRITTURE DEI DATORI DI LAVORO NELLA
QUALITÀ DI SOSTITUTI D’IMPOSTA
• Il libro dei cespiti ammortizzabili serve a riepilogare le vicende di tali
beni
• Le scritture contabili dei sostituti d’imposta consistono nei libri paga
e matricola per i dipendenti
• Le imprese in regime ordinario al di sopra di certi limiti sono tengono
anche le scritture di magazzino
CONTABILITÀ DEI PROFESSIONISTI
• I professionisti non sono obbligati alla tenuta di scritture contabili dal
c.c. e la loro contabilità fiscale è disciplinata dall’art. 19 D.P.R. 600
(registri bollati)
REQUISITI FORMALI DELLE SCRITTURE SUDDETTE (RUOLO
DELLA VIDIMAZIONE): MODALITÀ PER LA LORO TENUTA E
CONSERVAZIONE
• La legislazione prevede un certo formalismo (vedi pp. 264 – 265)
FUNZIONE PROBATORIA DELLE SCRITTURE ED EFFETTI
DELLE MANCATE REGISTRAZIONI CONTABILI
• In diritto civile le scritture contabili non fanno prova a favore
dell’imprenditore salvo che nelle controversie tra imprenditori
• Neppure in diritto tributario le scritture contabili fanno prova a favore
dell’imprenditore, ma il fisco deve adottare argomentazioni
particolarmente rigorose per disattenderne le risultanze
LA STRUTTURA DEL MODELLO DI DICHIARAZIONE DEI
REDDITI IN RELAZIONE ALLE CATEGORIE DI REDDITO
• I modelli di dichiarazione dei redditi sono divisi in base ai vari redditi
di categoria: sistema dei singoli prospetti (quadri) ciascuno destinato
ad essere utilizzato per un determinato tipo di reddito (vedi pp. 269 –
270)
CENNI AI RAPPORTI TRA DETERMINAZIONE DELLE
IMPOSTE DIRETTE E SANZIONI PER OMESSA O INFEDELE
DICHIARAZIONE
• Le pene pecuniarie relative ad un’evasione d’imposta di solito
proporzionali al tributo, cono stabilite dall’art. 1 del d.lgs. 471 del
18/XII/1997. Sono punite:
• L’omessa dichiarazione
• L’infedele dichiarazione
L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
L’IVA NEL SISTEMA E IL SISTEMA DELL’IVA
• L’IVA è considerata imposta sul consumo ma è applicabile ai beni
anche quando questi sono lontanissimi dal momento del consumo finale
• È un’imposta molto articolata e complessa
• È particolarmente influenzata dalla normativa comunitaria
CONCETTI DI BASE SUL FUNZIONAMENTO DEL TRIBUTO
• L’IVA riguarda tre soggetti: un fornitore, un cliente e lo stato: il
fornitore deve versare il tributo, proporzionale al corrispettivo
contrattuale, allo stato (IVA sulle vendite), dopo averne detratto il
tributo che ha già pagato ai propri fornitori (IVA sugli acquisti), poi
addebita al cliente l’IVA sulle vendite quando gli vende il prodotto o il
servizio.
• L’IVA colpisce solo il passaggio finale del cammino commerciale dei
beni, rimanendo neutrale nei passaggi intermedi
Fornitore Tizio
Valore del bene: 80£
Prezzo di vendita: 80£ + 20£ IVA
IVA versata: 20£ (addebitata al cliente Caio)
Cliente Caio
Prezzo di acquisto: 80£ + 20£ IVA = 100£
Prezzo di vendita:120£ + 30£ IVA = 150£
IVA versata: 30£ (addebitata al cliente Sempronio) – 20£ (detrazione dell’IVA sugli acquisti, addebitatagli
dal fornitore Tizio) = 10£
Cliente Sempronio
Prezzo di acquisto:120£ + 30£ IVA = 150£
IVA pagata: nel prezzo di acquisto paga le 20£ versate allo stato dal fornitore Tizio, da questi addebitate al
cliente Caio, e dal cliente Caio addebitate al cliente Sempronio, e le 10£ che il cliente Caio ha comunque
dovuto versare allo stato anche dopo aver detratto le 20£ di IVA già pagate dal fornitore Tizio: quindi in
totale si vede addebitate nel prezzo tutte le 30£ di IVA, 20 versate allo stato dal fornitore Tizio e 10 dal
cliente Caio
• Le differenze tra IVA sulle operazioni attive (vendite) e IVA sugli
acquisti non vengono calcolate operazione per operazione ma per
masse
• Nel caso in cui l’IVA sulle vendite è inferiore all’IVA versata sugli
acquisti, quindi il cliente Tizio non può scaricare del tutto sul cliente
Caio l’IVA che gli ha scaricato il fornitore, il cliente Tizio ha diritto al
rimborso
LA GIUSTIFICAZIONE DELL’IVA IN TERMINI DI CAPACITÀ
CONTRIBUTIVA: INTERROGATIVI TEORICI
• Solo i soggetti IVA hanno rapporti con la PA
• Il consumatore finale (cliente Sempronio) non ha rapporti diretti con la
PA ma solo con il proprio fornitore (cliente Caio)
• L’imposta si applica anche quando l’acquirente è un soggetto IVA, che
però la potrà portare in detrazione ed ottenere il rimborso delle
eventuali eccedenze a credito
• Problema di definire il soggetto passivo:
• Definizioni legislative (si ricava la definizione di soggetto passivo
partendo da quelle operazioni che la legge considera imponibili
IVA)
• Altri considerano soggetto passivo l’imprenditore o il professionista,
assumendo come presupposto la differenza tra imposta sulle vendite
e imposta sugli acquisti (l’individuazione del soggetto passivo
prescinde dalle operazioni indicate dalla legge come imponibili
IVA)
• Si assume a presupposto del tributo la fornitura di beni e servizi al
consumatore finale (Sempronio), considerato quindi il portatore
della capacità contributiva: è la tesi più corretta
DISTINZIONE TRA OPERAZIONI RIENTRANTI NEL CAMPO DI
APPLICAZIONE
DELL’IMPOSTA
(IMPONIBILI,
NON
IMPONIBILI E ESENTI) E OPERAZIONI ESCLUSE
• Perché un’operazione rilevi ai fini del tributo deve trattarsi di cessioni
di beni o prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello stato
nell’esercizio di impresa o di arti e professioni
• Nell’ambito delle operazioni IVA, aventi i requisiti di cui sopra,
esistono le:
• Operazioni imponibili alle quali l’imposta si applica e che quindi
devono essere formalizzate ai fini IVA
• Operazioni esenti che, pur non dando luogo all’addebito del
tributo, devono essere formalizzate ai fini IVA
• Operazioni non imponibili, alle quali l’imposta non si applica ma
che devono essere formalizzate (cessioni all’esportazione)
• Al di fuori dell’ambito delle operazioni IVA si situano le operazioni
escluse, che non rientrano nei requisiti di cui sopra
PRESUPPOSTO OGGETTIVO: CESSIONI DI BENI E PRESTAZIONI
DI SERVIZI
• Cessione di beni: trasferimento a titolo oneroso della proprietà o di
altro diritto reale di godimento su beni di ogni genere
• Rientrano nell’ambito delle operazioni imponibili anche cessioni a
titolo gratuito, per esempio di beni la cui produzione o scambio è
oggetto dell’attività d’impresa, o per consumo privato del soggetto
IVA o per cessione gratuita a meno che non sia di campioni di
modico valore contrassegnati dalla dicitura “Omaggio gratuito”
• L’imponibilità serve ad evitare che il bene giunga al consumo
detassato
• Se il bene ceduto gratuitamente viene poi acquistato a titolo
oneroso, l’IVA sull’acquisto è deducibile, per evitare che il bene
venga colpito due volte, una al momento della cessione a titolo
gratuito, una al momento della successiva cessione a titolo oneroso
• Prestazioni di servizi: sono imponibili le prestazioni effettuate verso
corrispettivo in dipendenza di una serie di contratti in genere aventi ad
oggetto un facere
• Sono imponibili anche numerose prestazioni a titolo gratuito
destinate al consumo personale o familiare dell’imprenditore
LE CESSIONI DI BENI ATTRAVERSO COMMISSIONARI E LE
“TRIANGOLAZIONI” (PARAGRAFO DI COMPLETAMENTO)
• Nel caso delle triangolazioni un soggetto (Caio) acquista un bene da un
altro (Tizio) chiedendogli di consegnare il bene direttamente ad un
terzo (Sempronio). Tizio fatturerà a Caio che a sua volta fatturerà a
Sempronio.
• La stessa regola opera per le cessioni in base a contratti di commissione
IL PROFILO SOGGETTIVO DELL’IVA: ATTIVITÀ D’IMPRESA E DI
LAVORO AUTONOMO
• In lineari principio, salvo eccezioni, l’IVA dovuta viene determinata in
modo unitario, anche quando il soggetto IVA esercita attività
economicamente differenti
• Soggetti IVA esercenti attività d’impresa (deve trattarsi di attività
abituali
• Società commerciali di qualsiasi tipo
• Imprenditori individuali che esercitano attività commerciali
• Enti non commerciali che esercitano attività commerciali
• Soggetti IVA esercenti arti e professioni svolte in modo abituale:
qualsiasi attività abituale non rientrante tra quelle d’impresa e non
svolta con un vincolo di subordinazione
• Anche le attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. danno luogo ad
esercizio d’impresa ai fini IVA
IL MOMENTO DI EFFETTUAZIONE DELLE OPERAZIONI, LA
SUA IMPORTANZA NEL SISTEMA DELL’IVA E IL CONCETTO
DI “ESIGIBILITÀ” DELL’IMPOSTA
• Le operazioni con cessione di beni immobili si considerano effettuate
al momento della stipula dell’atto traslativo
• Per le cessioni di mobili l’operazione si considera effettuata quando il
bene viene consegnato o spedito (nel caso in cui non venga consegnato
direttamente)
• Le prestazioni di servizi si considerano effettuate al momento del
pagamento del corrispettivo
• L’esigibilità dell’imposta da parte dell’erario di solito coincide con i
momenti di cui sopra, che non sempre coincidono con il momento in cui
il soggetto IVA percepisce la materiale disponibilità del denaro
• L’esigibilità viene però svincolata dal momento di effettuazione
dell’operazione nel caso di rapporti con enti pubblici, noti ritardatari
nei pagamenti
TERRITORIALITÀ DELL’IMPOSTA
• Il principio generale è quello della tassazione nel paese di
destinazione, dove avviene il consumo finale
• Le cessioni di beni si considerano effettuate in Italia quando:
• I beni si trovano nel territorio dello stato nella condizione di beni
nazionali
• I beni si trovano nel territorio dello stato nella condizione di beni
nazionalizzati
• I beni si trovano nel territorio dello stato nella condizione di beni in
temporanea importazione
• Nel caso in cui il cedente (straniero) non è residente non è residente
e non ha stabile organizzazione né rappresentanza in Italia e
l’acquirente (italiano) è soggetto IVA, quest’ultimo dovrà emettere
un’autofatturazione, cioè dovrà registrare l’imposta sia tra le
vendite che tra gli acquisti (quindi l’autofatturazione sarà neutrale)
• Nel caso in cui il cedente (straniero) non è residente e non ha stabile
organizzazione né rappresentanza in Italia e l’acquirente (italiano)
non è soggetto IVA, l’operazione dovrà essere considerata
implicitamente esclusa da IVA, perché né il cedente (straniero) né
l’acquirente (italiano) sono soggetti IVA
• Nel caso in cui il cedente sia italiano (soggetto IVA) e l’acquirente
sia straniero non residente e senza stabile organizzazione né
rappresentanza in Italia, se costui è agisce nell’esercizio di impresa,
arte o professione, e nomina un rappresentante, potrà chiedere la
detrazione dell’imposta assolta sull’acquisto (in pratica il più delle
volte chiederà un rimborso)
• Le prestazioni di servizi si collegano ad un territorio in base ai criteri
(applicati a seconda del servizio di cui si tratta):
• Residenza del prestatore del servizio
• Residenza del cliente
• Luogo di ubicazione del bene oggetto della prestazione
LE
OPERAZIONI
“NON
“INTRACOMUNITARIE”
IMPONIBILI”
E
QUELLE
• Le esportazioni in paesi extracomunitari sono considerate operazioni
non imponibili, mentre tutte le importazioni da paesi extracomunitari
sono assoggettate ad IVA in dogana: le esportazioni extracomunitarie
devono essere annotate ma non comportano alcun aggravio d’imposta
• Le operazioni non imponibili consentono l’integrale detrazione
dell’IVA sugli acquisti (differenza con le operazioni esenti), che però
non sarà accompagnata da una corrispondente IVA sulle vendite:
l’esportatore tenderà perciò ad essere in credito verso l’erario.
• Per evitare la trafila dei rimborsi l’esportatore ha diritto ad
acquistare beni e servizi senza applicazione dell’imposta fino a
concorrenza delle imposte dirette
• Per le operazioni intracomunitarie è nato invece il regime IVA
intracomunitario
• Se l’acquirente è consumatore finale l’operazione è imponibile con
l’aliquota IVA del paese comunitario in cui risiede il fornitore
• Se l’acquirente è un soggetto IVA il venditore dell’altro stato UE
non applica l’imposta, purchè gli venga comunicato che l’acquisto è
effettuato da un soggetto IVA, allegando un “codice di
identificazione”: l’operazione sarà non imponibile per il fornitore ed
il cliente dovrà emettere, con l’aliquota IVA del proprio paese,
un’autofattura.
OPERAZIONI ESENTI
• Si tratta di una serie di operazioni rientranti nel campo di applicazione
dell’IVA ma che non comportano l’addebito dell’imposta (art. 10)
• EG: esenzioni per le operazioni mediche, per le spese didattiche, per
le locazioni di immobili ad uso abitativo ...
• Il regime IVA in assoluto più favorevole è però l’esclusione con diritto
alla detrazione. Qui l’IVA sugli acquisti era recuperata integralmente
• Che effettua operazioni esenti resta invece soggetto IVA
BASE IMPONIBILE (CENNI ALLE “OPERAZIONI ACCESSORIE”
E A QUELLE “ESCLUSE DALLA BASE IMPONIBILE”) E
SCELTA DELL’ALIQUOTA
• L’IVA è in genere commisurata ai corrispettivi contrattuali
• Le prestazioni accessorie sono assoggettate all’aliquota della
prestazione principale
• L’aliquota generale è del 20%, aliquote speciali sono previste per
alcune particolari categorie merceologiche
LA RIVALSA E LE CONTROVERSIE TRA CEDENTE E
CESSIONARIO
• L’obbligato ne confronti dello stato è il solo cedente, che dovrà
rivalersi sul cessionario per l’imposto dell’imposta
• L’espressione “obbligo di rivalsa”, curiosa trattandosi di un
comportamento favorevole all’obbligato, si spiega con l’indisponibilità
di tale obbligo
• Le controversie tra cedente e cessionario sul regime IVA applicabile
all’operazione sono devolute alla magistratura ordinaria
• Negli acquisti da dettaglianti il prezzo è comprensivo di IVA
• Negli acquisti da altri soggetti IVA il corrispettivo deve essere
maggiorato dell’imposta
DETRAZIONE DELL’IVA SUGLI ACQUISTI: LIMITAZIONI AL
RIMBORSO E OPERAZIONI CON IVA INDETRAIBILE
• Per la detraibilità dell’IVA sugli acquisti è necessaria una generica
inerenza dell’acquisto all’attività professionale
• La detrazione è però esclusa per gli acquisti afferenti in modo specifico
operazioni esenti o non soggette ad imposta. L’afferenza va valutata al
momento dell’acquisto del bene
• È detraibile anche l’IVA erroneamente addebitata in eccesso rispetto a
quella applicabile? Si, perché il cedente dovrà comunque corrispondere
all’erario l’imposta addebitata al proprio cliente
SEGUE: LIMITI ALLA DETRAZIONE IN PRESENZA DI
OPERAZIONI ATTIVE ESENTI: LA “RETTIFICA DELLA
DETRAZIONE” PER L’IVA SUI BENI AMMORTIZZABILI
• L’effettuazione di operazioni esenti limita la detrazione dell’imposta
sugli acquisti. La detrazione è proporzionale al rapporto tra operazioni
attive che danno diritto a detrazione e lo stesso importo aumentato delle
operazioni esenti (pro rata)
• Ove esistano solo operazioni esenti la percentuale di IVA detraibile sarà
pari a zero e l’imposta pagata sugli acquisti sarà completamente
indetraibile (le esenzioni possono essere penalizzanti)
• La detrazione deve essere rettificata:
• Peri beni non ammortizzabili ed i servizi ove la “prima
utilizzazione” dei medesimi avvenga in un’attività che dà diritto alla
detrazione in misura diversa da quella inizialmente operata
• Per i beni ammortizzabili utilizzati specificamente in operazioni che
non danno diritto a detrazione
REGIMI SPECIALI E FORFETARI DI DETERMINAZIONE
DELL’IVA (PARAGRAFO DI COMPLETAMENTO)
• La detrazione sugli acquisti è stata spesso sostituita per le imprese di
minori dimensioni da detrazioni forfetarie commisurate all’IVA sulle
vendite
• Regime speciale per l’agricoltura
• Spettacoli e trattenimenti pubblici
• Regime della stampa e dei libri
IMPORTAZIONI E ACQUISTI DAI PAESI CEE (RINVII)
• Le importazioni di beni provenienti da paesi estranei alla CEE
costituiscono operazioni imponibili da chiunque siano effettuate, quindi
anche se poste in essere da privati
• Le importazioni di beni provenienti da paesi comunitari sono
soggette al regime dell’IVA comunitaria
DICHIARAZIONI DI INIZIO ATTIVITÀ E OBBLIGHI DI
FATTURAZIONE
• Gli obblighi strumentali all’applicazione dell’IVA iniziano prima della
prima operazione imponibile in quanto l’inizio dell’impresa o della
professione deve essere previamente comunicato alla PA. Verrà quindi
attribuita la partita IVA
• Le operazioni attive vengono documentate attraverso l’emissione di
fatture, con l’eccezione dei commercianti al minuto
• È possibile una fatturazione differita ove la consegna o spedizione
risultino da un documento di trasporto che identifichi le parti
DEROGHE
ALL’OBBLIGO
DI
FATTURAZIONE
COMMERCIANTI AL MINIMO E ASSIMILATI
PER
• Il commercio al minuto e i servizi d’impresa resi al pubblico sono
esonerati dall’emissione di fattura
OBBLIGHI FORMALI CONTRO L’OCCULTAMENTO DEI
CORRISPETTIVI DA PARTE DEI COMMERCIANTI AL MINUTO
(RICEVUTA FISCALE E SCONTRINO FISCALE)
• La ricevuta e lo scontrino si fondano sull’emissione di un documento e
sulla permanenza presso l’emittente di una copia di cui determinate
cautele formali impediscono la distruzione
LE VARIAZIONI ALLE OPERAZIONI IMPONIBILI
• Ove l’ammontare imponibile o l’imposta per qualsiasi motivo
aumentino la legge impone l’emissione di ulteriori fatture denominate
nella pratica note di addebito
• Per le variazioni in diminuzione l’emissione di una nota di accredito
(documento esattamente opposto alla fattura) è meramente eventuale
REGISTRAZIONE CONTABILE OPERAZIONI ATTIVE E DEGLI
ACQUISTI. LE LIQUIDAZIONI E I VERSAMENTI INFRANNUALI
• Ai fini del rapporto con la PA l’IVA è considerata per masse. Sono
quindi previste scritture contabili, delle vendite e degli acquisti
• Il confronti tra registrazioni di operazioni attive - vendite (e relativo
debito d’imposta) e registrazioni di operazioni passive - acquisti (e
relativo credito d’imposta) si chiama liquidazione
DICHIARAZIONE ANNUALE
• Le principali informazioni sull’attività del soggetto d’imposta
pervengono agli uffici IVA attraverso la dichiarazione annuale
ASPETTI PECULIARI DELL’ACCERTAMENTO DELL’IVA (LE
PRESUNZIONI DI CESSIONE ED ACQUISTO)
• Si presume, salvo prova contraria, la cessione dei beni di cui risulti
l’acquisto ma che non siano reperito presso il soggetti IVA;
simmetricamente, sempre salvo prova contraria, si presume l’acquisto
dei beni rinvenuti presso il soggetto ma non risultanti dalle scritture
passive
LE
SANZIONI
AMMINISTRATIVE.
DALL’OMESSA
FATTURAZIONE ALL’INFEDELE DICHIARAZIONE
• Per l’omessa o insufficiente fatturazione la pena pecuniaria è dal 10al
15% dell’imponibile non fatturato o non registrato
• La violazione dei divieti di detrazione dell’IVA è punita con una
sanzione uguale all’ammontare dell’imposta indebitamente detratta
• L’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alle
liquidazioni periodiche comporta una sanzione amministrativa del 30%
dell’ammontare non versato
VIOLAZIONI “A CASCATA” E VIOLAZIONI RIPETUTE
• Il sistema sanzionatorio, configurando una sanzione per ciascuno degli
stadi in cui si articola la fase applicativa del tributo, comporta il rischio
di sanzioni a cascata, però:
• La violazione di più obblighi inerenti alla documentazione ed alla
registrazione di una medesima operazione attiva è sanzionata una sola
volta
• Al di là di questa previsione scattano gli istituti sul concorso di
violazioni e sulle violazioni continuate 8vedi pg. 328)
LE IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI
L’IMPOSTA DI REGISTRO. ORIGINI STORICHE E STRUTTURA
DELLA NORMATIVA. REGISTRAZIONE IN TERMINE FISSO E
IN CASO D’USO
• È giustificata, sotto il profilo della capacità contributiva, dal contenuto
patrimoniale degli atti soggetti a registrazione (imposta sui
trasferimenti di ricchezza)
• L’imposta si propone di colpire tutti gli atti scritti a contenuto
patrimoniale formati nel territorio dello stato
• I veri articoli del TU 131/86 rinviano alla tariffa per la classificazione
degli atti soggetti a registrazione e per la misura dell’imposta, che può
essere applicata:
• Proporzionalmente: al valore dei beni o dei diritti trasferiti
• In misura fissa: di lire 250.000
• In caso d’uso. Cioè se quando l’atto viene usato in procedimenti
amministrativi o di volontaria giurisdizione
• In termine fisso: a prescindere dall’utilizzo dell’atto
LA SFERA APPLICATIVA DELL’IMPOSTA DI REGISTRO E LE
RAGIONI DEL SUO SVUOTAMENTO
• L’imposta sembra di ampia applicazione ma bisogna tener conto che:
• Sono esclusi dall’imposta proporzionale di registro tutti gli atti
aventi ad oggetto operazioni assoggettate ad IVA (principio di
alternatività tra registro e IVA)
• Sono assoggettati all’imposta gli atti solo in caso d’uso per
corrispondenza
MECCANISMO IMPOSITIVO;SOGGETTI
PAGAMENTO DELL’IMPOSTA
OBBLIGATI
AL
• Quando l’imposta è proporzionale serve una base imponibile, di solito
data dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto
• L’obbligo di presentare l’atto alla registrazione grava sui pubblici
ufficiali ma anche sui contraenti
SEGUE:
LA
RICHIESTA
DI
REGISTRAZIONE
E
L’APPLICAZIONE
DELL’IMPOSTA
A
VICENDE
CONTRATTUALI COMPLESSE
• L’atto deve essere presentato all’ufficio competente per la registrazione
che determinerà la base imponibile
• L’imposta richiesta dall’ufficio prende il nome di imposta principale
• Nel caso l’ufficio commetta errori per difetto può chiedere un’imposta
sostitutiva
• Al di fuori dell’imposta sostitutiva, l’imposta richiesta dall’ufficio dopo
quella principale prende il nome di imposta complementare
• Il trattamento fiscale dipende anche dall’interpretazione degli atti stessi
• Casi particolari (vedi p. 336 – 337)
• Contratti preliminari
• Permute
• Cessione di contratto
• Contratto per persona da nominare
• La nullità o l’annullabilità dell’atto non esime della registrazione e dal
pagamento dell’imposta
PRINCIPALI
CATEGORIE
REGISTRAZIONE
•
•
•
•
•
Trasferimenti immobiliari
Sentenze
Cessioni di autoveicoli
Locazioni immobiliari
Atti meramente dichiarativi
DI
ATTI
SOGGETTI
A
L’ACCERTAMENTO DI VALORE E LE ALTRE VICENDE
APPLICATIVE DELL’IMPOSTA
• Per gli immobili e le aziende il valore determinato dalle parti è soggetto
ad accertamento da parte dell’ufficio, tendente a determinare il valore
venale in comune commercio
• Le rettifiche di valore sono portate a conoscenza del contribuente
attraverso l’avviso di accertamento, che nell’imposta di registro ha
solo questa limitata funzione
L’IMPOSTA DI REGISTRO E LE IMPRESE. CONFERIMENTI,
FUSIONI, SCISSIONI E CESSIONI D’AZIENDE
• Per i conferimenti in denaro l’imposta si applica in misura fissa
(250.000£),
• Il conferimento d’azienda è assoggettato ad imposta in misura fissa
• L’imposta proporzionale resta pertanto applicabile solo sui conferimenti
d’immobili o di beni mobili diversi da denaro o aziende
• Anche le fusioni e le scissioni sono assoggettate ad imposta in misura
fissa
• Gli atti che non comportano variazioni nell’ammontare complessivo dei
conferimenti sono assoggettati ad imposta in misura fissa
• Resta imponibile la cessione d’azienda
I “TRIBUTI MINORI” E L’IRAP
L’IRAP: IMPOSTA REGIONALE SUL VALORE AGGIUNTO
DELLA PRODUZIONE
• Il tributo assoggetta a tassazione la differenza tra i ricavi o i compenso
tipici dell’attività imprenditoriale o professionale ed i costi per
l’acquisto di materie prime, beni strumentali e servizi professionali e
d’impresa.
• Sono irrilevanti ai fini del tributo:
• I proventi finanziari
• Le operazioni straordinarie
• Sono indetraibili dalla base imponibile:
• Retribuzioni ai dipendenti
• Interessi ed altri oneri finanziari
• La tassazione in capo al soggetto erogante dei salari e degli interessi
passivi avviene perché questi sono comunque parte del valore aggiunto
creato dall’impresa, anche se non se li è tenuti l’imprenditore ma sono
andati a finire nelle tasche dei dipendenti e dei finanziatori
• Alla base imponibile si applica un’aliquota dipendente dalle scelte di
ogni singola regione
• Stato, enti pubblici e non commerciali sono obbligati a versare
l’imposta proporzionalmente alle retribuzioni
• Per banche ed enti equiparati è prevista una speciale disciplina per la
determinazione della base imponibile, dato che le attività finanziarie
sono oggetto dell’attività d’impresa
CARATTERISTICHE DELL’IRAP E CAPACITÀ CONTRIBUTIVA
• L’IRAP ha posto dei problemi a proposito del principio di capacità
contributiva. Per superarli si è proposto di:
• Considerare come capacità contributiva l’oggettiva attitudine di
una organizzazione a produrre reddito, a prescindere
dall’effettiva produzione
• Considerare come capacità contributiva il principio del beneficio,
cioè l’utilizzo di servizi pubblici da parte dei soggetti produttori
• Considerare come capacità contributiva il valore aggiunto prodotto
presso l’impresa, anche se poi questo valore non rimane tutto in
capo all’imprenditore ma va spartito con finanziatori e dipendenti
• Per questo motivo si capisce come non ci sia diritto di rivalsa
giuridica in favore del soggetto passivo a carico dei dipendenti e
dei finanziatori