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Collana diretta da F. Izzo
(magistrato) e G. Abbate (avvocato)
L’ESAME
di
AVVOCATO
2012
SINTESI MIRATA
di
DIRITTO AMMINISTRATIVO
®
Gruppo Editoriale Simone
Estratto della pubblicazione
20
12
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
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NozJPOFFGPOUJt4JUuazioni giuridiche soggettive t
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tBFOJtEspropriazJPOFtObblighi e responsabilità
tGiustizia amministrativa
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Via F. Russo, 33/D
80123 Napoli
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È vietata la riproduzione anche parziale
e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione
scritta dell’editore.
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Ideazione, progettazione, direzione: Federico del Giudice
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Per conoscere le nostre novità editoriali consulta il sito internet: www.simone.it
Estratto della pubblicazione
PREMESSA
Questo volume — aggiornato al maggio 2012 — nato dalla quarantennale esperienza delle Edizioni Simone, consente al lettore informatizzato di avere sul
proprio tablet, i-phone, lettore e-book, pc e altri strumenti informatici una comoda sintesi della materia d’esame.
La scelta degli argomenti e il loro approfondimento sono stati calibrati sulle principali domande d’esame che abitualmente vengono proposte agli aspiranti avvocati e che sono oggetto di vivaci discussioni e confronti sui forum specialistici.
Un ricco elenco di tali domande è riportato in calce a questo volume.
La stesura di questa sintesi mirata tiene conto che il lettore è già in possesso di
pregresse conoscenze di base che è chiamato — per sostenere il coloquio — a
“rinfrescare”; pertanto vengono presentati alcuni argomenti ritenuti importanti sotto forma di trattazione organica, altri sotto forma di schede riassuntive
sulle quali è facile orientarsi.
Opportuni approfondimenti giurisprudenziali sono stati sapientemente inseriti per consentire all’ esaminando di dimostrare durante il colloquio padronanza e dimestichezza anche con l’applicazione pratica delle norme.
Si consiglia di affiancare ed integrare questo e-book con lo studio dei compendi e manuali Simone nonché con i volumi della collana “I quaderni per l’esame di avvocato”, di cui questo lavoro non rappresenta una duplicato, ma solo
una utile e ragionata sintesi panoramica del programma d’esame.
Estratto della pubblicazione
DIRITTO AMMINISTRATIVO
CAPITOLO 1: Il diritto amministrativo: nozione e fonti
Pag.
5
CAPITOLO 2: Le situazioni giuridiche soggettive
del diritto amministrativo
Pag.
14
CAPITOLO 3: I soggetti del diritto amministrativo.
Gli enti pubblici
Pag.
20
CAPITOLO 4: Il ubblico impiego
Pag.
37
CAPITOLO 5: Gli atti ed i provvedimenti amministrativi.
Il procedimento amministrativo
Pag.
52
CAPITOLO 6: La patologia dell’atto amministrativo
Pag.
86
CAPITOLO 7: L’attività negoziale e consensuale
della Pubblica Amministrazione
Pag.
97
CAPITOLO 8: I beni della Pubblica Amministrazione
Pag.
110
CAPITOLO 9: La proprietà privata e le espropriazioni
per pubblica utilità
Pag.
115
CAPITOLO 10: Gli obblighi della Pubblica Amministrazione:
la responsabilità
Pag.
120
CAPITOLO 11: La giustizia amministrativa
Pag.
126
Questionario
Pag.
148
CAPITOLO 1
Il diritto amministrativo: nozione e fonti
Sommario: 1. Definizione e caratteri del diritto amministrativo. - 2. Classificazione delle fonti. - 3. I regolamenti. - 4. Le ordinanze. - 5. Gli Statuti degli enti pubblici. - 6. Testi unici e codici. - 7. Le norme interne della P.A. - 8. La consuetudine. - 9. La prassi amministrativa.
1. DEFINIZIONE E CARATTERI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Il diritto amministrativo è la disciplina giuridica che concerne l’organizzazione, i mezzi e
le forme delle attività della P.A., nonché i rapporti tra la P.A. e gli altri soggetti dell’ordinamento, sia quando agisce con poteri autoritativi sia quando usa strumenti e forme del diritto privato (BARILE, CASETTA).
La migliore dottrina ha abbandonato il criterio di definizione del diritto amministrativo basato sull’oggetto (la cura di interessi pubblici) ed ha ricostruito tale definizione riferendosi al soggetto: la pubblica amministrazione.
Per pubblica amministrazione si intende:
— in senso oggettivo, la funzione amministrativa, quale cura concreta degli interessi pubblici;
— in senso soggettivo, la sede dell’attività amministrativa, ovvero il soggetto che quell’attività
svolge.
Il diritto amministrativo presenta i seguenti caratteri:
a) è diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui
uno dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (cioè la P.A.) nell’esercizio di potestà amministrative;
b) autonomo: in quanto, si giova di propri principi e proprie regole, diversi da quelli delle altre
branche del diritto;
c) comune: in quanto si riferisce a tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento e non soltanto a determinate categorie (ciò ha rilievo ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione del
diritto);
d) ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti, inglobando o escludendo alcuni settori dalla propria gestione.
2. CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI
Si qualificano fonti del diritto tutti «gli atti e/o i fatti produttivi di diritto, ovvero gli atti che
contengono norme giuridiche e i mezzi attraverso i quali il diritto viene portato a conoscenza
dei cittadini appartenenti ad uno stesso ordinamento» (BELLOMO).
Sono fonti del diritto italiano:
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—
—
—
la Costituzione;
le leggi ordinarie dello Stato e le norme dell’Unione europea;
le leggi regionali;
i regolamenti;
gli usi.
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Diritto amministrativo
Nella Costituzione, posta al primo gradino della gerarchia delle fonti, sono contenuti i principi ai quali si ispira il nostro ordinamento sociale ed è definita la struttura organizzativa dello
Stato italiano; essa non può essere modificata da una legge ordinaria e tutte le norme di diritto
devono conformarsi ai principi ivi contenuti.
Nel secondo gradino delle fonti si collocano le cd. fonti primarie, sottoposte esclusivamente alla Costituzione, costituite:
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—
—
dalle leggi ordinarie;
dai decreti legislativi;
dai decreti legge, emanati dal Governo in casi di necessità e di urgenza;
dalle leggi regionali, emanate dalle Regioni in materie non specificamente assegnate dalla Costituzione alla potestà legislativa statale.
Per un’analisi approfondita delle fonti si veda il Libro VI.
Infine, nel terzo gradino della scala gerarchica sono, poi, collocate le cd. fonti secondarie.
Rientrano in questa categoria i regolamenti, le ordinanze, le circolari.
Le fonti secondarie sono atti o fatti normativi subordinati alle norme di grado primario; esse,
pertanto:
— non possono derogare né contrastare con le norme costituzionali;
— non possono derogare né contrastare con tutti gli atti legislativi ordinari (fonti primarie); perciò si dice che non hanno forza né valore di legge, ma solo forza normativa: cioè, non possono equipararsi alle leggi ma, nei limiti di esse, hanno una loro forza giuridica quali fonti di
diritto;
— possono modificare le leggi (ordinarie), solo se una legge ordinaria abbia delegificato una materia, autorizzando atti del potere esecutivo (di solito regolamenti) a disporre norme (in quella materia) che hanno la stessa forza di quelle emanate con la legge.
Si tratta di atti (soggettivamente amministrativi) che, rappresentando lo strumento normativo tipico per orientare l’azione della P.A., costituiscono le fonti specifiche del diritto amministrativo.
Vanno, infine, menzionati i testi unici, che non rappresentano, tuttavia, vere e proprie fonti del diritto: si tratta di testi normativi finalizzati a raccogliere ed ordinare preesistenti norme
giuridiche disciplinanti una determinata materia, emanate in tempi successivi, al fine di semplificare il relativo quadro normativo (v. infra §6).
3. I REGOLAMENTI
A) Nozione e fondamento
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da organi del potere
esecutivo (cioè Governo, enti locali territoriali, enti autarchici, ed in certi casi anche da organi
della P.A.), ed aventi forza normativa, in quanto contenenti norme idonee ad innovare l’ordinamento giuridico, con i caratteri di generalità ed astrattezza, quindi classificabili come fonti di
produzione del diritto; in questo risiede la differenza tra tali regolamenti e quelli adottabili dagli enti di diritto privato, assimilabili ai regolamenti cd. interni (v. infra).
Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi amministrativi
possono emanare regolamenti solo quando una legge attribuisca loro tale potere.
Principale norma attributiva del potere regolamentare è data dall’art. 17 L. 400/1988 che,
per l’appunto, funge da clausola generale.
B) Limiti alla potestà regolamentare
I regolamenti non possono:
—
—
derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti;
derogare né contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere, in un determinato settore e per un determinato caso, di innovare anche nell’ordine legislativo (delegificando la materia);
Capitolo 1: Il diritto amministrativo: nozione e fonti
—
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7
regolamentare le materie riservate dalla Costituzione alla legge ordinaria o costituzionale (riserva assoluta di legge);
derogare al principio di irretroattività della legge (la legge, invece, può derogarvi, in quanto tale principio è sancito dall’art.
11 disp. prel. al codice civile e, dunque, da una fonte di pari efficacia);
contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.);
i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i regolamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori;
regolamentare istituti fondamentali dell’ordinamento.
C) Classificazione
1) A seconda dei soggetti pubblici che li emanano, i regolamenti si distinguono in:
— regolamenti statali, se vengono emanati da organi dello Stato; i regolamenti statali, a
loro volta si distinguono in:
— governativi, se deliberati dal Governo ai sensi della L. 400/1988;
— ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo o dal suo Presidente;
— non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori (Prefetto, comandante di porto etc.). Tali regolamenti, a differenza di quelli governativi, hanno portata settoriale e la loro efficacia è limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l’autorità
che li ha emanati;
— regolamenti non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Possono anche essere emanati da altri enti, quali Ordini e Collegi professionali, Camere di commercio, industria e artigianato. La potestà regolamentare è attribuita anche alle Autorità amministrative indipendenti, che sono enti
od organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal Governo e caratterizzati da autonomia organizzativa, finanziaria e contabile.
2) A seconda che siano destinati ad operare nell’ordinamento generale o in un ambito ristretto, i regolamenti si distinguono in:
— regolamenti esterni: sono espressione del potere di supremazia di cui l’esecutivo dispone verso tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel territorio dello Stato. Sono fonti del
diritto, e la loro violazione costituisce violazione di legge;
— regolamenti interni: regolano l’organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo coloro che fanno parte dell’ufficio, organo, od ente. Sono espressioni del potere di
autorganizzazione dell’ente o dell’organo stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro
violazione non costituisce vizio dell’atto emanato dall’organo o ente, salvo casi eccezionali.
3) A seconda del contenuto, i regolamenti si distinguono in (art. 17 L. 400/1988):
— regolamenti di esecuzione (art. 17, comma 1, lett. a), destinati a specificare una disciplina di rango legislativo con norme di dettaglio. Sono gli unici ammessi ad operare nell’ambito di una riserva assoluta di legge;
— regolamenti di attuazione e di integrazione (art. 17, comma 1, lett. b), volti a completare la trama di principi fissati da leggi e decreti legislativi. Tali regolamenti non possono, tuttavia, regolare materie riservate alla competenza regionale (per le quali il compito di
specificare la legislazione statale di principio spetta, ex art. 117 Cost., alle leggi regionali);
— regolamenti indipendenti: la lett. c), comma 1, dell’art. 17 della L. 400/1988 autorizza
il Governo a disciplinare materie in cui l’intervento di norme primarie non si sia ancora
configurato, purché non si tratti di materie soggette a riserva assoluta o relativa di legge;
— regolamenti di organizzazione (art. 17, comma 1, lett. d), che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni secondo disposizioni dettate da legge, cui l’art. 97 Cost. riserva la disciplina di queste materie. Tale tipologia di regolamenti non
gode di autonomia, in quanto può avere natura esecutiva o attuativo-integrativa a seconda
che la disciplina di rango legislativo abbia maggiore o minore estensione;
— regolamenti delegati o autorizzati, detti anche regolamenti di delegificazione (art. 17,
comma 2), che sono emanati in base ad apposite leggi che autorizzano i regolamenti ad in-
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Diritto amministrativo
trodurre una determinata disciplina di una specifica materia che andrà a sostituire quella di
rango legislativo che, pertanto, si ha per abrogata dal momento dell’entrata in vigore di quella regolamentare.
Tale procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie coperte da riserva assoluta di legge.
Un caso importante di delegificazione riguarda l’organizzazione e la disciplina dei pubblici uffici. La L. 59/1997 (cd. legge Bassanini), infatti, ha introdotto all’art. 17 L. 400/1988, il comma 4bis, prevedendo che l’organizzazione dei ministeri è disciplinata da regolamenti governativi che devono conformarsi ai principi sull’organizzazione della P.A. di cui al
T.U. pubblico impiego;
— regolamenti di riordino (art. 17, comma 4ter, introdotto dall’art. 5 L. 69/2009), con i quali
si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione
di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle
che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete. Ciò ai fini di una migliore conoscenza delle fonti normative secondarie.
L’art. 11 L. 11/2005 (legge comunitaria annuale) prevede i regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie. In
base a tale disposizione, la legge comunitaria annuale (con la quale si realizza il periodico adeguamento dell’ordinamento
nazionale a quello comunitario) può autorizzare il Governo ad attuare le direttive comunitarie mediante regolamento, purché si versi in materie già disciplinate ma non riservate alla legge.
La potestà regolamentare degli enti locali
Tale potestà è stata definitivamente costituzionalizzata dalla L. cost. 3/2001. La legge ha, infatti, novellato l’art. 117 Cost., il quale al comma 6 prevede che «I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite».
La potestà regolamentare di Comuni e Province è regolata anche dall’art. 7 D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L.), ai
sensi del quale tali enti locali, nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto, adottano regolamenti nelle materie di propria competenza.
La novità più importante è rappresentata dall’affermazione del principio per cui la potestà regolamentare può esercitarsi su tutta l’attività tipica degli enti locali.
Il legislatore del T.U.E.L., infatti, affermando che «il Comune e la Provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza» evidenzia un margine di operatività dei regolamenti più ampio che in
passato, potendo essi disciplinare materie diverse da quelle tradizionali, oggetto di specifica elencazione
nello stesso art. 7, e materie del tutto innovative sprovviste di altra fonte disciplinare, purché specificamente individuate e contenute nei rispettivi Statuti.
D) Impugnabilità dei regolamenti
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi e come tali possono essere impugnati innanzi al T.A.R.
Ciò che, in concreto, ostacola la loro impugnabilità è il fatto che non ledono in via immediata la sfera giuridica di un soggetto e, quindi, non sussiste (di solito) un concreto interesse a ricorrere da parte del privato.
Pertanto, colui che ha interesse alla eliminazione di un regolamento o di una norma in esso
contenuto, non può impugnare di per sé il regolamento, ma l’atto emanato dalla P.A. in esecuzione del regolamento, allorché tale atto venga a ledere direttamente la sua sfera giuridica. In occasione di tale impugnazione, potrà impugnare congiuntamente anche il regolamento di cui l’atto
lesivo è applicazione (cd. doppia impugnativa).
In quei casi, invece, in cui il regolamento disponga anche in concreto e sia pertanto immediatamente lesivo di una posizione soggettiva, la giurisprudenza amministrativa ha sempre ritenuto ammissibile l’impugnativa diretta ed immediata del
regolamento (SANDULLI).
Estratto della pubblicazione
Capitolo 1: Il diritto amministrativo: nozione e fonti
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4. LE ORDINANZE
A) Concetto
Per ordinanze si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza, quindi, impongono ordini.
Le ordinanze, per essere fonti del diritto, devono avere carattere normativo, e cioè creare
delle statuizioni precettive generali ed astratte.
Esse non possono contrastare con la Costituzione e leggi ordinarie e non possono mai contenere norme penali.
B) Classificazione
La dottrina prospetta la seguente classificazione:
1) ordinanze previste dalla legge per casi ordinari;
2) ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare gravità, in cui sarebbe
impossibile l’utilizzazione e l’osservanza delle norme ordinarie (bandi militari, ordinanze del
Prefetto, ordinanze eccezionali in caso di calamità pubbliche e catastrofi nazionali);
3) ordinanze di necessità o libere emanate per far fronte a situazioni di urgente necessità. La
legge attribuisce solo il potere, ma non prevede i casi concreti in cui esercitarlo né pone limiti
precisi (salvo quelli risultanti dalle leggi costituzionali e dai principi generali dell’ordinamento) al contenuto di tali ordinanze.
Le ordinanze di necessità presentano i seguenti caratteri:
—
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—
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—
—
sono atipiche, nel senso che per la loro emanazione la legge, che ne attribuisce il potere, fissa solo i presupposti, mentre lascia all’autorità amministrativa un’ampia sfera di discrezionalità circa il loro contenuto;
presuppongono una necessità ed urgenza d’intervenire che costituisce presupposto di legittimità dell’ordinanza;
sono straordinarie, nel senso che il ricorso ad esse è possibile solo ove la situazione di pericolo non possa essere fronteggiata con atti tipici;
la loro efficacia nel tempo è limitata, in quanto esse possono avere efficacia solo fin quando perdura la necessità che ne
ha legittimato l’emanazione;
trovano fondamento esclusivamente nella legge;
non possono, in nessun caso, derogare a norme costituzionali o ai principi generali dell’ordinamento e disciplinare materie coperte da riserva assoluta di legge;
debbono essere adeguatamente motivate (Corte cost., 14-4-1995, n. 127) e vanno pubblicizzate con mezzi idonei laddove siano destinate ad avere efficacia nei confronti della generalità dei soggetti o di più soggetti determinati.
C) Natura giuridica
In dottrina e giurisprudenza si è molto discusso in proposito. Da un lato c’è chi propende per
la natura normativa delle ordinanze, sottolineando il fatto che possono talvolta avere contenuto generale ed astratto e che possono derogare a norme di legge sia pure per periodi circoscritti nel tempo.
Altri, invece (tesi oggi dominante), optano per la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa delle ordinanze, proprio in virtù del fatto che essi presentano spesso il carattere della concretezza e per lo più disciplinano situazioni particolari, perdendo così il carattere della generalità.
Di recente si è affermato un terzo orientamento secondo cui la natura delle ordinanze di necessità ed urgenza va desunta volta per volta dalle caratteristiche concrete dell’atto.
D) Regime di impugnazione
I provvedimenti contingibili ed urgenti sono atti discrezionali della P.A.
In virtù dell’affievolimento del diritto soggettivo ad interesse legittimo, che si verifica in presenza dell’esercizio di tale potere ampiamente discrezionale dell’autorità amministrativa, la giurisdizione in materia di ordinanze extra-ordinem è, salva l’ipotesi eccezionale della carenza di potere (in astratto o in concreto), demandata al G.A.
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Diritto amministrativo
5. GLI STATUTI DEGLI ENTI PUBBLICI
A) Nozione di Statuto
Per Statuto si intende un atto normativo avente come oggetto l’organizzazione dell’ente e le linee fondamentali della sua attività. Lo Statuto è, quindi, espressione di una potestà
organizzatoria a carattere normativo, che può essere attribuita o allo stesso ente sulla cui organizzazione si statuisce (in questo caso si parla di autonomia statutaria), oppure ad un organo
o ente diverso (cd. etero-Statuti).
B) Statuti regionali (art. 114 Cost.)
In seguito alla riforma dell’art. 123 Cost., introdotta dalla L. cost. 1/1999, gli Statuti delle Regioni ordinarie sono leggi regionali rinforzate, cioè approvate con un procedimento rafforzato
(due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi ed eventuale sottoposizione a referendum popolare), non soggette ad alcun visto. Gli Statuti delle Regioni speciali sono, invece, rivestiti della forma della legge costituzionale, adottata dal Parlamento con la
maggioranza di cui all’art. 138 Cost.
C) Statuti comunali, provinciali e delle Città metropolitane (art. 114 Cost.)
L’art. 6 del D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali) ha riconosciuto espressamente a Province e Comuni la potestà di adottare un proprio Statuto. Tale riconoscimento (avvenuto già con l’art. 4 L. 142/1990) era già in perfetta armonia con i principi sanciti dalla Costituzione in tema di autonomie locali ex artt. 5 e 128, ma risulta ancora più conforme al nuovo art.
114, così come modificato dalla L. cost. 3/2001, che adesso prevede enti autonomi «con propri
statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione».
La legge di attuazione della riforma costituzionale, la L. 131/2003 (cd. legge La Loggia), definisce l’ambito in cui lo Statuto degli enti locali può esplicarsi, precisando che esso stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le
forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica e nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale di definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
La medesima legge, infine, riconosce esplicitamente l’esercizio della potestà statutaria anche alle Unioni di Comuni,
Comunità montane e isolane.
D) Statuti degli altri enti pubblici
Hanno, infine, potestà statutaria molti enti pubblici. Di regola, gli Statuti di tali enti minori
— che possono avere carattere di norme interne — sono adottati dagli enti stessi ed approvati da
un ente superiore (Stato o Regione): tale approvazione ha la funzione di atto di controllo e condiziona l’efficacia dello Statuto stesso.
Per quel che riguarda l’impugnazione degli Statuti, si applica, trattandosi di fonti formalmente amministrative e sostanzialmente normative, il regime della doppia impugnativa (dello Statuto e dell’atto esecutivo), illustrato relativamente ai regolamenti.
Parimenti, come rilevato per i regolamenti, l’atto amministrativo violativo della previsione statutaria, attesa la forza normativa di quest’ultima, andrà considerato viziato per violazione di legge.
Le fonti secondarie dubbie
Principali fonti secondarie sono, come visto, regolamenti, ordinanze e Statuti degli enti pubblici. Non
mancano, tuttavia, provvedimenti la cui rilevanza, quali fonti secondarie, è estremamente discussa. Si tratta, in particolare:
— dei bandi militari, emanati dal Comandante Supremo delle Forze Armate o dai Comandanti di grandi unità terrestri, navali o aeree, che contrastino con le norme giuridiche vigenti in caso di guerra o
di emergenza internazionale, dichiarata ai sensi dell’art. 76 Cost. Tali provvedimenti, provvisti di forza derogatoria, hanno indotto parte della dottrina a qualificarli come atti di normazione primaria; secondo altri autori, invece, essi possono essere ricondotti alle ordinanze di necessità, o, ancora, configurati come categoria autonoma;
Estratto della pubblicazione
Capitolo 1: Il diritto amministrativo: nozione e fonti
11
— dei provvedimenti prezzo e dei tariffari, nei casi in cui sia la pubblica amministrazione a determinare unilateralmente il prezzo o la tariffa di beni e servizi offerti. Secondo un primo orientamento,
ormai risalente, tali provvedimenti sono atti con cui vengono effettuate scelte di carattere politico sulla rilevanza sociale di beni e servizi. Per un’altra opzione, i provvedimenti prezzo e i tariffari sarebbero veri e propri atti normativi, contenenti statuizioni generali ed astratte, applicabili, cioè, ad un numero indeterminato di casi e di destinatari. Tuttavia, poiché non è sufficiente parlare di generalità e
di astrattezza per qualificare un atto come normativo, soprattutto alla luce della considerazione che
tali provvedimenti sono connotati dalla concretezza e dalla attualità dell’interesse pubblico sotteso
ad una certa determinazione di prezzi e tariffe da parte del competente organo, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie considerano i provvedimenti in esame come atti amministrativi generali;
— dei piani regolatori generali, che sono gli strumenti di organizzazione e pianificazione del territorio
dei Comuni. Secondo un primo orientamento, essi sarebbero regolamenti, sulla base della considerazione della generalità e della astrattezza delle previsioni in essi contenute, che si svilupperanno solo
in seguito, attraverso i successivi piani attuativi. Per una seconda tesi, il piano avrebbe invece natura
di atto amministrativo generale perché esso contiene norme concrete e subito efficaci e anche perché
i destinatari sono individuabili solo a posteriori. Una tesi intermedia, infine, accolta anche dal Consiglio di Stato, ricostruisce tali provvedimenti come figure miste, contenenti sia prescrizioni generali
che concrete;
— della Carta dei Servizi Pubblici, strumento preventivo che tutela gli utenti e che deve obbligatoriamente essere redatta dai gestori di servizi pubblici, contenente una serie di prescrizioni dirette a misurare la qualità della prestazione erogata agli utenti. Nei casi in cui tale Carta venga redatta da un
ente pubblico, si tratta di un provvedimento amministrativo vero e proprio; viceversa, nel caso la Carta debba essere redatta da un gestore privato, allora si ritiene che essa assuma carattere negoziale.
6. TESTI UNICI E CODICI
I testi unici sono gli atti che raccolgono e coordinano disposizioni originariamente comprese in atti diversi, per semplificare il quadro normativo.
È possibile distinguere fra testi unici:
— normativi (innovativi, delegati o di coordinamento), se modificano o abrogano le disposizioni legislative esistenti;
— compilativi (non innovativi o di mera compilazione), se si limitano al raccoglimento in un
unico atto delle norme già esistenti, lasciando immutata la legislazione vigente.
Esistono, poi, i testi unici misti, aventi cioè ad oggetto non solo il coordinamento di disposizioni di fonte primaria (potestà legislativa delegata) ma anche la raccolta di disposizioni di rango secondario (potestà regolamentare delegificante).
Detti testi erano previsti dall’art. 20 della L. 15 marzo 1997, n. 59 (Legge Bassanini) e dall’art. 7 della L. 8 marzo 1999,
n. 50 (Legge di semplificazione del 1998) con l’obiettivo di ridimensionare il corpus legislativo e regolamentare e procedere
quindi a una semplificazione dell’organizzazione e dell’attività amministrativa.
Tali forme di testi unici suscitavano in dottrina molte perplessità dal momento che conferivano poteri molto ampi al Governo e inoltre perché, nonostante l’intento di razionalizzare il sistema, la natura mista di tali testi generava in realtà confusione (CICCONETTI).
Quindi, al fine di superare i dubbi che i testi unici misti generavano in considerazione della
possibilità di esercizio di due poteri differenti (legislativo e regolamentare), la L. 24 novembre
2000, n. 340 ha previsto l’emanazione di un testo unico di cognizione (testo A) che raccoglie le
disposizioni di un decreto legislativo (testo B) e di un regolamento (testo C).
Inoltre, nell’intento di fornire un riassetto di interi settori legislativi, è stata emanata la L. 29
luglio 2003, n. 229 che all’art. 1 ha sostituito l’art. 20 della legge 59/1997 prevedendo la figura dei
codici di settore, con i quali si intende dar luogo in singole materie ad un complesso di norme
stabili e armonizzate che garantiscono certezze di regole. In attuazione di tale disposizione, sono
stati emanati diversi provvedimenti fra cui il Codice dei contratti pubblici, il Codice in materia di
protezione dei dati personali, il Codice delle comunicazioni elettroniche etc.
12
Diritto amministrativo
Se l’emanazione della L. 229/2003 poteva far pensare a un abbandono del testo unico in favore del codice, con l’adozione di due recenti disposizioni è stato, di fatto, riportato in uso la forma di raccolta e coordinamento del testo unico.
In particolare, l’art. 5 della L. 18 giugno 2009, n. 69 (Collegato alla manovra finanziaria
2009) ha introdotto l’art. 17bis alla L. 23 agosto 1988 n. 400, stabilendo che il Governo, mediante i testi unici compilativi, può raccogliere le disposizioni aventi forza di legge regolanti materie e settori omogenei.
L’emanazione di tali testi da parte del Governo deve avvenire attenendosi ad alcuni criteri direttivi:
—
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—
l’individuazione del testo vigente delle norme;
l’individuazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;
il coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa;
l’individuazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore.
Inoltre, l’art. 5 della L. 7 luglio 2009, n. 88 (comunitaria 2008), dispone che il Governo è
delegato ad adottare, secondo le modalità, i principi e i criteri direttivi dell’art. 20 della L. 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate
in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie.
7. LE NORME INTERNE DELLA P.A.
A) Concetto
Tutte le pubbliche amministrazioni emanano norme relative al funzionamento dei loro uffici o alle modalità di svolgimento della loro attività. Queste norme hanno come destinatari soltanto coloro che fanno parte di una determinata amministrazione e sono qualificate dalla dottrina norme interne.
Esse trovano il loro fondamento:
—
—
nel potere di autorganizzazione proprio di ogni P.A. (es.: i regolamenti interni);
nel potere di supremazia speciale dell’organo o ufficio, nei confronti di altri organi o uffici inferiori (es.: gli ordini interni).
Le norme interne:
— non sono fonti del diritto;
— non possono essere in contrasto con norme di legge, né con regolamenti o ordinanze;
— la loro violazione da parte di un organo amministrativo può dar luogo al vizio di «eccesso di
potere»: in tal caso le «norme interne» violate assumono indirettamente rilevanza esterna (per
i terzi);
— la loro inosservanza da parte di funzionari o impiegati della P.A. può dar luogo a seconda dei
casi, a responsabilità civile, amministrativa (disciplinare), contabile, o anche penale, nonché
a forme di controllo repressivo-sostitutivo.
B) Le fonti delle norme interne
Le norme interne delle P.A. possono essere emanate attraverso diversi atti amministrativi:
— regolamenti: molte norme interne consistono in regolamenti interni, disciplinanti il funzionamento interno dell’ufficio;
— ordini: si tratta di atti amministrativi emanati da una autorità gerarchicamente superiore, nei
confronti di una inferiore, e contenenti un comando ad agire in un dato modo;
— istruzioni: sono atti contenenti regole di comportamento di carattere tecnico, a chiarimento
di altre norme (di legge) generali o (amministrative) particolari, ed inviati da uffici superiori
ad uffici inferiori, o talvolta da uffici tecnici ad uffici amministrativi;
— circolari: secondo parte della dottrina (GIANNINI) la circolare non è una figura autonoma
di atto amministrativo, bensì un mezzo di notificazione o di comunicazione di un atto amministrativo avente la più disparata natura e contenuto.
Estratto della pubblicazione
Capitolo 1: Il diritto amministrativo: nozione e fonti
13
La dottrina ha individuato i seguenti tipi di circolare:
1)
2)
3)
4)
5)
circolare organizzativa, contenente disposizioni sull’organizzazione degli uffici;
circolare interpretativa, recante l’interpretazione di leggi e regolamenti al fine di assicurarne l’uniforme interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo;
circolare normativa, recante precetti (norme di azione) vincolanti per le azioni successive dell’amministrazione.
Si tratta di norme interne, come tali non vincolanti all’esterno e quindi prive di efficacia lesiva all’esterno;
circolare di cortesia, contenente voti augurali, saluti, attestati di stima;
circolare informativa, tesa a informare su determinati atti o problemi, come la situazione normativa o l’orientamento della giurisprudenza.
L’efficacia delle circolari
La giurisprudenza amministrativa ha più volte avuto modo di evidenziare che le circolari amministrative
non possono essere ascritte alla categoria delle fonti normative (in tal senso, cfr. C.d.S., sez. VI, 13-12011, n. 177). Esse infatti, sono atti diretti ad organi ed uffici periferici, ovvero sottordinati, privi di valenza normativa o provvedimentale, nonché privi di efficacia vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione (per i destinatari, invece, le circolari sono vincolanti ma solo se legittime, potendo essere disapplicate nel caso siano (contra legem) (C.d.S., sez. V, 15-10-2010, n. 7521).
8. LA CONSUETUDINE
La consuetudine è la tipica fonte del diritto non scritta: consiste nella ripetizione di un
comportamento da parte di una generalità di persone, con la convinzione della giuridica necessità di esso.
Essa consta di due elementi essenziali:
— un elemento oggettivo, consistente nel ripetersi di un comportamento costante ed uniforme
per un certo periodo di tempo;
— un elemento soggettivo, consistente nella convinzione della giuridica necessità del comportamento.
9. LA PRASSI AMMINISTRATIVA
La prassi amministrativa si concreta in un comportamento costantemente tenuto da un’amministrazione nell’esercizio di un potere, ma in difetto della convinzione della sua obbligatorietà. Non è fonte del diritto, ma viene utilizzata per l’interpretazione dell’atto amministrativo al
fine di chiarire l’effettivo contenuto di una regola ambigua.
L’inosservanza della prassi non dà luogo a violazione di legge, ma può essere sintomo, se non
sorretta da adeguata motivazione, di eccesso di potere (CASETTA).
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO 2
Le situazioni giuridiche soggettive
del diritto amministrativo
Sommario: 1. Definizione di situazione giuridica soggettiva. - 2. Il diritto soggettivo. - 3. Gli interessi legittimi. - 4. Gli interessi semplici e gli interessi di fatto. - 5. Gli interessi collettivi.
1. DEFINIZIONE DI SITUAZIONE GIURIDICA SOGGETTIVA
Si definisce situazione giuridica soggettiva una situazione sostanziale di interesse, che
fa capo ad un soggetto o a un ente, tutelata dall’ordinamento giuridico.
Le situazioni soggettive vengono, infatti, attribuite da norme giuridiche e costituiscono il
contenuto dei rapporti giuridici. In tali rapporti i soggetti sono portatori di posizioni soggettive che possono essere:
— attive, o di vantaggio (diritto, interesse legittimo, potere, potestà, aspettativa), quando attribuiscono una posizione favorevole al titolare attribuendo all’interesse di quest’ultimo una
prevalenza rispetto a quello di altri soggetti;
— passive, o di svantaggio (obbligazione, dovere, onere, soggezione), quando attribuiscono
una posizione sfavorevole al titolare, prevedendo la subordinazione dell’interesse di quest’ultimo a quello di altri soggetti.
Il concetto di situazione giuridica va tenuto distinto da quello di status. La situazione giuridica attiene a specifici rapporti mentre lo status si riferisce ad una condizione da cui derivano un complesso di situazioni giuridiche, attive
e passive. Per status si intende la posizione di un soggetto rispetto ad un determinato gruppo (così, ad esempio, l’appartenenza ad una famiglia conferisce al soggetto uno status, ossia un complesso di diritti ed obblighi riconducibili a
tale condizione).
2. IL DIRITTO SOGGETTIVO
Il diritto soggettivo è la posizione giuridica di vantaggio che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela
degli interessi afferenti al bene stesso in modo pieno ed immediato.
La figura del diritto soggettivo è oggetto di particolare attenzione, al fine di distinguerla da quella dell’interesse legittimo, in quanto la ripartizione della giurisdizione fra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, nelle controversie
coinvolgenti la Pubblica Amministrazione, è stabilita dalla legge (L. 2248/1865), in base alla natura della posizione giuridica soggettiva lesa; infatti:
—
—
se chi agisce è titolare di un diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione, è tenuto ad adire il giudice ordinario, salvi i casi in cui il diritto soggettivo si è costituito in una materia devoluta dalla legge alla competenza giurisdizionale esclusiva del G.A.;
se chi agisce, invece, è titolare di un interesse legittimo nei confronti della P.A., può ricorrere soltanto innanzi al giudice amministrativo.
Tipica del diritto amministrativo è la distinzione tra:
— diritti soggettivi perfetti: sono quelli attribuiti in maniera diretta ed incondizionata al soggetto; il loro esercizio è libero, non condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della P.A.
la quale non può neppure incidere sfavorevolmente su di essi, comprimendoli o estinguendoli
con un proprio provvedimento;
Estratto della pubblicazione
Capitolo 2: Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo
15
— diritti soggettivi condizionati: sono quelli il cui esercizio è subordinato ad un provvedimento amministrativo permissivo (o autorizzatorio) ovvero sui quali la P.A. può incidere sfavorevolmente comprimendoli o estinguendoli con un proprio provvedimento. In relazione a tali
due ipotesi avremo dunque, rispettivamente, diritti in attesa di espansione e diritti suscettibili di affievolimento.
3. GLI INTERESSI LEGITTIMI
A) Nozione
L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva di vantaggio, conferente la pretesa alla legittimità dell’attività amministrativa, riconosciuta a quel soggetto che, rispetto ad
un dato potere della P.A., si trovi in una particolare posizione differenziata rispetto agli altri soggetti (cd. posizione legittimante).
I parametri che caratterizzano la figura dell’interesse legittimo sono:
— la differenziazione, cioè è titolare di un interesse legittimo colui che, rispetto all’esercizio
di un potere pubblico, si trovi in una posizione differenziata rispetto a quella della generalità degli altri soggetti;
— la qualificazione, nel senso che la norma preordinata a disciplinare l’esercizio del potere della P.A. per il perseguimento dell’interesse pubblico primario ha indirettamente preso in considerazione, e quindi protetto, un interesse sostanziale individuale connesso o coincidente con
l’interesse pubblico.
L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva individuale che ha trovato riconoscimento nel nostro ordinamento con la L. 5992/1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, quale giudice di quegli interessi sostanziali diversi dai diritti soggettivi che fino ad allora erano rimasti del tutto sforniti di tutela.
Di interesse legittimo si occupano espressamente anche tre norme della Costituzione, gli artt. 24, 103 e 113, tese appunto a riconoscere a tali interessi piena dignità e tutela, ma in realtà nessuna di esse, né altra norma positiva, si occupa di
fornire una definizione di interesse legittimo.
Tale espressione si deve alla dottrina, la quale si è subito preoccupata di individuarne la portata, al fine di riconoscere
agli interessi legittimi piena autonomia rispetto ai diritti soggettivi.
In particolare, l’interesse legittimo viene definito come la posizione giuridica soggettiva riconosciuta ai privati grazie alle quale essi incidono sull’attività amministrativa condizionandola, anche attraverso la partecipazione al procedimento per tutelare un bene pertinente alla loro sfera di interessi (NIGRO).
Mentre il diritto soggettivo è una posizione autonoma, perché compiutamente configurata dalla stessa previsione di legge, e dunque spettante ad una persona sulla base di un titolo che può avere la natura più varia, ma che non dipende da una
pubblica amministrazione (sono proprietario di una casa perché l’ho comprata o ereditata), l’interesse legittimo si esprime
in termini di posizione inautonoma in quanto l’utilità sperata cui tende l’interesse del privato dipende dalla intermediazione provvedimentale dell’amministrazione pubblica (PALMA). L’interesse legittimo è necessariamente correlato all’esercizio del potere amministrativo, come disciplinato dalla norma cd. di azione (v. infra): il provvedimento amministrativo subentra comunque, o come oggetto di un’aspirazione (domanda di concessione di suolo pubblico per installarvi
un’edicola) o come oggetto di una ripulsa (impugnazione del decreto di espropriazione).
L’interesse legittimo concreta, in quanto tale (v. art. 113, comma 1, Cost.) una posizione:
—
—
—
—
giuridica in quanto si sostanzia in un potere giuridico avente la struttura della pretesa;
soggettiva, in quanto riconosciuta al singolo soggetto a tutela di un suo interesse materiale;
sostanziale, in quanto preesiste alla eventuale lesione di essa;
autonoma rispetto all’azione giurisdizionale derivante dall’eventuale lesione.
Alla luce della riforma introdotta dalla L. 15/2005 e, in particolare, con l’inserimento dell’art. 21octies nella L. 241/1990,
è stata ulteriormente riconfermata la natura sostanziale dell’interesse legittimo, nel senso che esso si correla ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita. Dalla lettura del precitato articolo si evince, infatti, che la lesione dell’interesse legittimo intanto può dirsi esistente, in quanto la violazione delle regole, nella quale la P.A. è incorsa, abbia pregiudicato
la possibilità di realizzazione dell’interesse materiale.
Tale concezione sostanzialistica dell’interesse legittimo, collegata alla conservazione o acquisizione di un bene della vita
e che va oltre la mera pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa, ha ricevuto definitiva consacrazione anche nella legislazione successiva, soprattutto in ordine alle sue modalità di tutela.
L’effetto più importante prodotto dalla nuova impostazione dell’interesse legittimo si è avuto, infatti, proprio con riferimento alla tutela processualistica: il giudizio amministrativo è gradualmente divenuto sempre più un giudizio sul rapporto più che sull’atto in sé, nel senso che la sua finalità è quella di fornire una tutela adeguata alla pretesa fatta valere, andando oltre il solo sindacato sulla legittimità dell’atto. Questa trasformazione è oggi tangibile nel Codice del processo ammiEstratto della pubblicazione
16
Diritto amministrativo
nistrativo, approvato con il D.Lgs. 2-7-2010, n. 104 come modificato dal D.Lgs. 15-11-2011, n. 195, che sancisce il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
B) Distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi
Dottrina e giurisprudenza hanno proposto vari criteri distintivi fra diritti soggettivi ed interessi legittimi.
La differenza tra le due posizioni, secondo GUICCIARDI, va riferita alla natura della norma; l’Autore, infatti, divide le norme in due categorie:
a) norme giuridiche di relazione: regolano i rapporti tra la P.A. ed i cittadini, attribuendo diritti ed obblighi reciproci; esse tracciano la linea di demarcazione tra la sfera della P.A. e quella
del cittadino e la loro violazione da parte della P.A. comporta la lesione di un diritto soggettivo del cittadino;
b) norme di azione: regolano l’esercizio dei poteri della P.A., imponendole un determinato comportamento. Se la P.A. viene meno a tale comportamento essa lede un interesse (legittimo o
semplice) del cittadino.
Un altro criterio di distinzione si fonda sulla natura vincolata o discrezionale dell’attività
esercitata: nei confronti di un atto vincolato il privato può vantare un diritto soggettivo perfetto;
nei confronti di un atto discrezionale può vantare solo un interesse legittimo.
Un terzo criterio, largamente utilizzato in giurisprudenza, si fonda sulla distinzione tra carenza assoluta e cattivo esercizio del potere; in particolare:
— nel caso di cattivo uso, da parte della P.A., del proprio potere discrezionale, sussistendo
una norma di legge che attribuisce alla P.A. il potere di emanare l’atto, si avrà solo la lesione
di un interesse legittimo, rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’emanare l’atto, osservi i limiti, le forme ed il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere (interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa);
— nell’ipotesi di carenza assoluta di potere, quando cioè manchi in radice il potere discrezionale della P.A. di interferire nella sfera giuridica del privato, ovvero non sussistano i presupposti di fatto che consentano l’esercizio di tale potere, l’atto amministrativo è considerato inidoneo ad incidere legittimamente sul diritto soggettivo del privato, che quindi sussiste
nella sua integrità e può essere fatto valere davanti al giudice ordinario.
Pertanto, tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e la giurisdizione è del G.O. quando si contesta la stessa esistenza del potere. In tal modo
si è posto il collegamento seguente: carenza di potere-diritto soggettivo, cattivo uso del potere-interesse legittimo.
C) Tipologia
Nell’ambito della categoria degli interessi legittimi, in base al tipo di interesse materiale protetto (NIGRO), si distingue tra:
— interessi legittimi pretensivi: si sostanziano in una pretesa del privato a che l’amministrazione adotti un determinato provvedimento o ponga in essere un dato comportamento;
— interessi legittimi oppositivi: legittimano il privato ad opporsi all’adozione di atti e comportamenti da parte della pubblica amministrazione, che sarebbero pregiudizievoli per la propria sfera giuridica.
Una diversa dottrina (GIANNINI) seguita dalla giurisprudenza distingue tra:
— interesse sostanziale: considera il momento in cui l’interesse del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita, viene a confronto con il potere della P.A. di soddisfare l’interesse
o di sacrificarlo.
Estratto della pubblicazione
Capitolo 2: Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo
17
— interesse procedimentale: è l’interesse del privato che emerge nel corso di un procedimento
amministrativo. Tali interessi possono essere fatti valere in giudizio al fine di eliminare quegli atti e quei comportamenti preclusivi della prosecuzione del procedimento.
Interesse procedimentale e sostanziale rappresentano due aspetti dell’interesse legittimo, in quanto il primo è strumentale alla tutela degli interessi sostanziali, rappresentandone la proiezione
in giudizio.
Vanno, poi, menzionati gli interessi discrezionalmente protetti, ossia quegli interessi protetti non a livello di ordinamento generale, bensì al livello di ordinamento particolare dell’amministrazione. Questi interessi non sono tutelabili davanti al giudice, ma esclusivamente davanti all’amministrazione (ad esempio, tramite i ricorsi amministrativi). Tra essi è possibile inserire
quelli relativi al merito dell’azione amministrativa, cioè al merito della scelta operata dall’amministrazione. Scelta che, di regola, non è direttamente sindacabile o sostituibile dal giudice, ma
che può trovare riesame nell’ambito dell’amministrazione e con una revisione della scelta da parte
della stessa autorità o di altra in genere gerarchicamente sopraordinata (così MALINCONICO).
Tutela dell’interesse legittimo alla luce del diritto dell’Unione europea
L’avvento del diritto dell’UE e la sua sempre più profonda penetrazione nel tessuto normativo nazionale
pongono delicati problemi sia in relazione ai confini che alla stessa sopravvivenza della nozione, tipicamente nazionale, di interesse legittimo.
Segnatamente, occorre, nell’indagine in esame, prendere le mosse da due presupposti:
1) il diritto dell’UE non conosce la categoria, prettamente nostrana, di interesse legittimo;
2) il principio di supremazia e di effettività del diritto dell’UE impongono che le situazioni soggettive di
rilievo europeo, ossia le posizioni create e protette dalle fonti europee, non possano subire un vuoto
o una minorazione di tutela sotto il profilo qualitativo una volta immesse nell’ordinamento giuridico
nazionale.
Il punto 1) riporta ad una sentenza della Corte di Giustizia (sentenza 5-3-1980, in causa n. 265/78) che
esclude per il diritto europeo la possibilità di spingersi fino al punto di sindacare la scelta nazionale in
punto di qualificazione della posizione soggettiva e di designazione del giudice naturale.
La scelta del giudice naturale è pertanto rimessa all’ordinamento interno — ossia alla Costituzione attraverso l’interpretazione delle fonti primarie — che può insindacabilmente sancire la giurisdizione del giudice amministrativo.
Circa il punto 2), si è osservato che il giudice nazionale deve disapplicare tutte le norme processuali che
possano recare pregiudizio all’obiettivo dell’effettività della tutela del diritto dell’UE.
D) La risarcibilità degli interessi legittimi
In materia di lesione di interessi legittimi e risarcibilità di questi ultimi si veda il Cap. 10, par. 8.
4. GLI INTERESSI SEMPLICI E GLI INTERESSI DI FATTO
A) Interessi semplici
Sono quegli interessi, detti anche amministrativamente protetti, vantati dal cittadino nei confronti della P.A. a che questa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, osservi le regole di buona amministrazione, di opportunità e convenienza (cd. merito amministrativo). Essi sono
tutelabili solo amministrativamente attraverso lo strumento del ricorso gerarchico, salvo i casi
tassativamente indicati dalla legge in cui il privato può adire il G.A. per vizi di merito.
B) Interessi di fatto
Gli interessi di fatto possono essere definiti come quelle situazioni giuridiche soggettive
non protette, cui, cioè, l’ordinamento non accorda alcuna tutela.
Tipici interessi di fatto sono quelli vantati da tutti all’osservanza da parte dell’amministrazione dei doveri pubblici posti a vantaggio della collettività indifferenziata (es.: illuminazione, manutenzione delle strade).
Estratto della pubblicazione
18
Diritto amministrativo
Sono interessi, dunque, che, essendo privi del carattere della differenziazione, tipico dell’interesse legittimo, non ricevono alcun tipo di tutela.
5. GLI INTERESSI COLLETTIVI
A) Nozione
Sono quegli interessi (es. interesse alla salute, alla tutela dell’ambiente) che fanno capo ad
una ben determinata collettività di individui quali associazioni culturali, partiti, comitati di
cittadini etc.
Si distingue tra interesse collettivo e interesse diffuso:
a) interessi diffusi (o adespoti) sono quelli comuni a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente;
b) interessi collettivi (o di categoria) sono, invece, quelli che hanno come portatore un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (es. ordini professionali, associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile.
B) Caratteristiche e figure principali
L’interesse collettivo è:
— differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè ad una organizzazione di
tipo associativo che si distingue tanto dalla collettività che dai singoli partecipanti; da ciò consegue che la lesione dell’interesse collettivo legittima al ricorso solo l’organizzazione e non i
singoli che di essa fanno parte;
— qualificato: nel senso che è previsto e considerato sia pure indirettamente, dal diritto oggettivo.
La proliferazione sempre maggiore di nuovi gruppi organizzati e di associazioni di tipo internazionale ha notevolmente
contribuito alla graduale trasformazione in interessi collettivi di alcuni diritti. Tra di essi si annoverano:
a)
b)
c)
l’interesse alla tutela dell’ambiente (art. 2 Cost.);
il cd. diritto alla salute (art. 32 Cost.);
l’interesse del consumatore alla genuinità dei prodotti ed a un equo costo degli stessi.
C) Tutela degli interessi collettivi
Discusso è il problema della tutelabilità davanti al giudice degli interessi collettivi.
Dottrina e giurisprudenza, pur se con periodici tentennamenti, sono pervenute al riconoscimento della tutelabilità giurisdizionale degli interessi diffusi, purché siano imputabili a gruppi sociali determinati. A quest’ultima categoria soltanto viene dato il nome di «interessi collettivi».
Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, in tema di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, ha
elaborato il criterio procedimentale. Trattasi di un criterio in forza del quale la legittimazione processuale va ricollegata
alla partecipazione procedimentale: quando, per legge, l’organizzazione è ammessa a partecipare alla fase della formazione del provvedimento amministrativo, si deve ritenere configurabile in capo alla medesima un interesse differenziato e qualificato, con conseguente sua legittimazione ad impugnare il provvedimento, ove questo si riveli lesivo di un suo interesse.
Il suddetto criterio assume un particolare rilievo pratico alla luce dell’intervento della L. 241/1990, la quale, all’art. 9, ha
sancito la legittimazione procedimentale dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati. Si può, quindi,
ritenere che tale norma costituisca una fonte normativa generale della legittimazione processuale dei portatori di interessi
diffusi, con la conseguenza che la legittimazione processuale stessa va ascritta a tutte quelle organizzazioni che siano abilitate a partecipare al procedimento amministrativo successivamente sfociato nell’atto da impugnare.
D) Le azioni collettive di risarcimento (class action)
La L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), attraverso l’inserimento dell’art. 140bis nel D.Lgs.
206/2005, come successivamente sostituito dall’art. 49 L. 99/2009, e da ultimo modificato dal
D.L. 24-1-2012, n. 1, conv. in L. 24-3-2012, n. 27, ha introdotto nel nostro ordinamento l’azione di classe (cd. class action). Si tratta di un’azione collettiva condotta, a tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori e degli interessi collettivi, da uno o più soggetti che richieEstratto della pubblicazione
Capitolo 2: Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo
19
dono il risarcimento del danno non solo a loro nome, ma per tutta la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subito il medesimo illecito.
L’attuale disciplina, in vigore dal 1° gennaio 2010 (ex D.L. 78/2009, conv. in L. 102/2009),
dispone che attraverso la class action sono tutelabili:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una
stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi
degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei
confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
Nelle ipotesi sopra delineate, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni
cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per
la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
In materia occorre anche ricordare quanto previsto dal D.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198,
che ha disciplinato la class action nei confronti della P.A.
Secondo l’impostazione del D.Lgs. 198/2009, l’azione de qua è esperibile, dinanzi al G.A. — in
sede di giurisdizione esclusiva — sia da singoli cittadini, che da associazioni, in caso di lesione
di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti (interessi omogenei), derivante da
inefficienze del servizio pubblico, come il mancato rispetto dei tempi previsti o degli standard di
qualità o la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori non aventi contenuto normativo. Sotto il profilo soggettivo, la class action è esercitabile nei confronti sia delle P.A.
(eccetto Autorità amministrative indipendenti, Presidenza del Consiglio, organi costituzionali)
che dei concessionari dei servizi pubblici (ad es., Trenitalia, Autostrade, Rai).
La più importante differenza tra l’azione contro la P.A. e quella civilistica è data dalla impossibilità, in merito alla prima, di avanzare pretese risarcitorie, essendo lo strumento volto esclusivamente ad ottenere il ripristino del «corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio».
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO 3
I soggetti del diritto amministrativo.
Gli enti pubblici
Sommario: Sezione Prima: Gli enti pubblici: inquadramento e struttura. - 1. Lo Stato quale ente pubblico. - 2. Gli enti pubblici diversi dallo Stato: concetto e caratteri. - 3. Gli enti pubblici autarchici: caratteri
e disciplina. - 4. Distinzioni tra enti pubblici. - 5. Gli enti pubblici economici. - 6. I soggetti pubblici nel
diritto dell’Unione europea: l’organismo di diritto pubblico. - 7. La struttura degli enti pubblici: organi e
uffici. - 8. Rapporto organico e rapporto di servizio. - 9. La prorogatio degli organi. - 10. Rapporti interorganici. - 11. L’esercizio privato di pubbliche funzioni. - 12. La competenza. - 13. Trasferimento dell’esercizio della competenza. - Sezione Seconda: L’amministrazione statale. - 1. Il modello organizzativo della
pubblica amministrazione. - 2. L’organizzazione per Ministeri. - 3. Le agenzie e le aziende autonome. - 4.
Il Consiglio di Stato. - 5. La Corte dei Conti. - 6. Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
- 7. Le autorità amministrative indipendenti.
Sezione Prima
Gli enti pubblici: inquadramento e struttura
1. LO STATO QUALE ENTE PUBBLICO
Il primo, e più importante, degli enti pubblici è lo Stato, in veste di Stato-Amministrazione.
La personalità giuridica dello Stato, anche se non espressamente affermata, è tuttavia enucleabile dal nostro ordinamento giuridico, che afferma tra l’altro che lo Stato:
— è civilmente responsabile dell’operato dei suoi organi (art. 28 Cost.);
— è proprietario di beni (art. 42 Cost. ed artt. 822 e ss. c.c.);
— può agire ed essere citato in giudizio (T.U. 30-10-1933, n. 1611 sulla rappresentanza e difesa
in giudizio dello Stato ed art. 25 c.p.c.);
— ha diritto ad ottenere il risarcimento dei danni arrecati all’ambiente (art. 311 D.Lgs. 3-4-2006,
n. 152).
2. GLI ENTI PUBBLICI DIVERSI DALLO STATO: CONCETTO E CARATTERI
Gli enti pubblici, o persone giuridiche pubbliche, sono quei soggetti, diversi dallo Stato, che
esercitano funzioni amministrative e che costituiscono, nel loro complesso, la cd. Pubblica Amministrazione indiretta.
Tutti gli enti pubblici sono persone giuridiche: questa qualità è loro riconosciuta o dalla Costituzione o dalle leggi.
Gli enti pubblici sono dotati di pubblici poteri (anche se limitati ad un minimum, come ad
esempio la sola potestà certificativa) e tutti si pongono accanto allo Stato per cooperare al raggiungimento dei molteplici fini pubblici che questo si propone.
Con la L. 20-3-1975, n. 70 (cd. legge sul parastato recante disposizioni sul riordino degli enti
pubblici) il problema è stato superato: l’art. 4, infatti, ha espressamente sancito che «nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge»: dunque, sono oggi pubblici solo quegli enti a cui la legge istitutiva riconosce espressamente tale natura (cd. «criterio nominalistico»).
Estratto della pubblicazione
Capitolo 3: I soggetti del diritto amministrativo. Gli enti pubblici
21
3. GLI ENTI PUBBLICI AUTARCHICI: CARATTERI E DISCIPLINA
Gli enti pubblici cd. funzionali, che agiscono in regime di diritto amministrativo, e che possono, pertanto, qualificarsi Pubbliche Amministrazioni, sono gli enti autarchici. Essi godono di un
particolare regime giuridico, che si può riassumere descrivendone le seguenti caratteristiche:
autarchia, autogoverno, autonomia, autotutela.
³ Autarchia: in base alla dottrina più moderna consiste nella capacità degli enti pubblici di amministrare i propri interessi svolgendo un’attività avente gli stessi caratteri e la stessa efficacia
dell’attività amministrativa dello Stato. Per Sandulli essa è la caratteristica degli enti diversi dallo Stato di disporre di potestà pubbliche
Regime giuridico
— diretta, quando la P.A. esercita tali
poteri spontaneamente o nell’adempimento di un dovere
— indiretta, nei casi in cui la P.A. agisca a seguito di un ricorso
³ Autotutela: complesso di attività amministrative con cui
ogni P.A. risolve i conflitti, potenziali od attuali, relativi ai
suoi provvedimenti o alle sue
pretese (Benvenuti)
• decisoria, attuata
con l’emanazione di una decisione amministrativa
³ Autonomia: capacità della P.A. di darsi da sé le proprie regole
• politica: libertà nell’individuazione dei fini da perseguire
• giuridica: capacità di agire nel campo giuridico per il raggiungimento dei propri fini
• esecutiva, consistente nel complesso di attività volte ad attuare decisioni già adottate dalla P.A.
³ Autogoverno: facoltà di alcuni enti pubblici di amministrarsi per mezzo di organi i cui membri
sono eletti da coloro che ne fanno parte
4. DISTINZIONI TRA ENTI PUBBLICI
La dottrina opera alcune distinzioni tra i diversi enti pubblici.
a)
Corporazioni e istituzioni
Le corporazioni sono persone giuridiche in cui prevale l’elemento personale (cioè si basano sull’associazione di più persone), mentre le istituzioni sono persone giuridiche nelle quali prevale l’elemento patrimoniale (ad es. gli istituti previdenziali). Esse sono caratterizzate dal fatto che i beneficiari dei loro servizi sono di solito soggetti diversi da quelli che
formano l’amministrazione dell’ente (si pensi agli assistiti di un ente previdenziale).
b)
Enti territoriali ed enti istituzionali
Sono enti territoriali, oltre allo Stato, anche le Regioni, le Province, i Comuni, le Aree metropolitane e le Comunità
montane (cd. enti territoriali minori).
Gli enti territoriali sono quelli in cui il territorio è uno degli elementi costitutivi strutturalmente indefettibile per l’esistenza dell’ente, e non si configura, semplicemente, come ambito spaziale che delimita la sua sfera d’azione.
Enti non territoriali sono tutti gli altri denominati anche enti istituzionali, nell’ambito dei quali alcuni hanno carattere nazionale, altri locale.
c)
Enti nazionali ed enti locali
Si dicono locali (o anche circoscrizionali) quegli enti che operano nell’ambito di un territorio circoscritto, per perseguire fini istituzionali che rientrano in tale circoscrizione. La categoria degli enti locali non coincide con quella degli enti
territoriali: gli enti territoriali sono enti locali, ma non tutti gli enti locali sono anche enti territoriali. Infatti, gli enti
territoriali si distinguono in quanto il territorio ne costituisce un elemento costitutivo ed inoltre perché essi rappresentano gli interessi generali delle collettività stanziate nel loro territorio. Negli altri enti locali, invece, il territorio non è un
elemento costitutivo, ma delimita solo l’ambito della loro sfera d’azione e d’interessi. Inoltre essi attendono alla cura di
interessi settoriali (si pensi agli ordini professionali, ai consorzi di bonifica etc.). Gli enti nazionali, invece, esercitano
la loro sfera d’azione su tutto il territorio nazionale ovvero su un ambito territoriale limitato, ma per perseguire un interesse nazionale e non solo locale (si pensi ad es. agli enti portuali).
d)
Enti strumentali
Essi perseguono fini propri ed esclusivi di altro ente (in genere fini dello Stato) da cui ricevono ordini, direttive, talché
il loro margine di autonomia (amministrativa) è minimo. Tra essi, si ricordano l’ISTAT (Istituto Centrale di Statistica),
l’INAIL (Istituto Nazione dell’Assistenza per gli Infortuni sul Lavoro), il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), la
CRI (Croce Rossa Italiana).
e)
Enti autarchici propriamente detti ed enti pubblici economici
I primi operano in regime di diritto amministrativo, mentre i secondi agiscono in veste imprenditoriale, attraverso strumenti privatistici (vedi infra).
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Diritto amministrativo
f)
Enti ausiliari
Completano, integrano, aiutano l’azione statale perseguendo fini che pur non essendo propri ed esclusivi dello Stato,
vengono da quest’ ultimo considerati con intenso interesse. Si ricordano il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), la LUISS (Libera Università Internazionale Studi Sociali), l’Accademia dei Lincei.
g)
Enti necessari
Sono necessari quegli enti che, secondo il sistema organizzatorio predisposto dall’ordinamento, debbono esistere necessariamente. Ne sono esempi gli enti territoriali, le Camere di Commercio e gli Ordini e Collegi professionali.
5. GLI ENTI PUBBLICI ECONOMICI
Sono denominati enti pubblici economici quegli enti che operano nel campo della produzione e dello scambio di beni e servizi svolgendo attività prevalentemente o esclusivamente economiche (SANDULLI).
Lo scopo di lucro non è un elemento essenziale dell’attività dell’ente pubblico economico; tuttavia è necessario che l’ente operi secondo il criterio della obiettiva economicità, cioè di correlazione di costi e ricavi, nel senso che l’impresa venga esercitata in modo tale che dall’attività si ricavi almeno quanto occorra per coprire i costi dei fattori di produzione impiegati (GALGANO). L’ente
pubblico economico deve perciò tendenzialmente mirare alla copertura dei propri costi di produzione e gestione attraverso le tariffe delle prestazioni erogate.
Quanto al regime giuridico degli E.P.E., occorre rilevare che:
— sono soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese;
— non sono assoggettabili al fallimento;
— a seconda dell’oggetto sociale dell’impresa stipulano con l’utenza contratti disciplinati dal codice civile;
— operano in regime di concorrenza con gli altri imprenditori privati.
Il fatto che operino come soggetti privati non esclude che alcuni atti dell’E.P.E. siano disciplinati dal diritto amministrativo; basti pensare all’autonomia statutaria e regolamentare nonché
al potere di autorganizzazione riconosciuto a tali enti (LANDI-POTENZA).
Nel quadro di un generale programma di privatizzazione di vasti settori della pubblica economia, si è disposto con L.
29-1-1992, n. 35 che gli enti pubblici economici possono essere trasformati in società per azioni (S.p.A.) conformemente agli
indirizzi di politica economica ed industriale e nel rispetto dei criteri di economicità ed efficienza deliberati dal CIPE, su
proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con i Ministri di volta in volta competenti. Con la successiva L.
8-8-1992, n. 359 si è disposto, congiuntamente alla soppressione del Ministero delle partecipazioni statali, la trasformazione di IRI, ENI, ENEL ed INA in società per azioni.
Una decisiva accelerazione al processo di privatizzazione è stata impressa, inoltre, dalla legge 14 novembre 1995, n.
481 — Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità per la regolazione dei
servizi di pubblica utilità — la quale ha istituito le authorities per i servizi pubblici, così ponendo le premesse per la privatizzazione e la concorrenza nei grandi monopoli pubblici come l’elettricità, il gas e le telecomunicazioni in genere. Sono state, così, istituite l’Autorità per l’energia elettrica e il gas e l’Autorità nelle garanzie per le comunicazioni (L. 249/1997).
La costituzione di tali authorities rende possibile il collocamento delle azioni detenute dallo Stato nelle società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici.
Il processo di privatizzazione è stato anche influenzato dall’Unione europea, la quale impone il divieto di discriminazione tra gli operatori economici e tende a ridurre gli ambiti nei quali i soggetti pubblici agiscono in posizione di monopolio o comunque dispongono di particolari privilegi: ciò determina la limitazione dell’area del diritto derogatorio a vantaggio delle regole comuni applicabili ai soggetti che gestiscono attività di impresa (CASETTA).
Il riordino e la riduzione degli enti pubblici
Anche gli enti pubblici non economici, al pari degli enti pubblici economici e delle aziende statali, sono
stati oggetto di una politica di dismissione posta in essere dallo Stato, che ha condotto ad una revisione dell’intero sistema di enti, ancora oggi non ultimata.
Dopo la famosa L. 70/1975, con la quale il legislatore ha proceduto ad un’ampia opera di classificazione e riduzione degli enti pubblici, sono intervenute numerose disposizioni legislative (fra le quali, L.
59/1997, D.Lgs. 419/1999, L. 448/2001) che hanno attuato un vero e proprio processo di razionalizzazione del sistema.
Capitolo 3: I soggetti del diritto amministrativo. Gli enti pubblici
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Più recentemente, con riferimento agli enti pubblici non economici statali, l’art. 26 D.L. 112/2008, conv.
in L. 133/2008, modificato ad opera del D.L. 78/2009, conv. in L. 3-8-2009, n. 102 e del D.L. 194/2009,
conv. in L. 26-2-2010, n. 25, si pone come una vera e propria norma taglia-enti che detta una articolata e dettagliata disciplina della materia.
Il D.L. 78/2010, conv. in L. 30-7-2010, n. 122 , al fine di ottimizzare le risorse ed evitare duplicazioni
di attività, ha disposto la soppressione ed incorporazione di enti ed organismi pubblici, direttamente individuati dal legislatore, così come il D.L. 201/2011, conv. in L. 22-12-2011, n. 214, che, tra l’altro, ha
disposto la soppressione dell’INPDAP e dell’ENPALS, con attribuzione delle relative funzioni all’INPS.
6. I SOGGETTI PUBBLICI NEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA: L’ORGANISMO DI
DIRITTO PUBBLICO
A) L’organismo di diritto pubblico
La penetrante incidenza del diritto dell’Unione europea in settori sempre più ampi dell’ordinamento nazionale impone di individuare i criteri in base ai quali procedere, in ambito europeo,
alla identificazione delle persone giuridiche pubbliche (l’organismo di diritto pubblico e l’impresa pubblica), per poi esaminare le principali implicazioni di diritto interno connesse all’elaborazione e all’affermazione delle nuove figure giuridiche soggettive.
Preliminarmente, è necessario sottolineare che manca, a livello europeo, una nozione organica ed unitaria di soggetto pubblico.
D’altra parte, ciò che accomuna le diverse nozioni di soggetto pubblico elaborate in ambito europeo è la spiccata connotazione sostanziale: alla individuazione dei soggetti pubblici, infatti, si procede sulla base di parametri di tipo sostanziale, tra cui, in particolare, quello della sottoposizione dell’ente a dominanza pubblica di carattere funzionale o strutturale.
L’art. 1, par. 9, della direttiva 2004/18 del 31 marzo 2004 (nella formulazione recepita dal
D.Lgs. 163/2006 contenente il Codice dei contratti pubblici), stabilisce che si considerano amministrazioni aggiudicatrici, oltre lo Stato e gli enti pubblici territoriali, gli «organismi di diritto pubblico», ossia quei soggetti giuridici «istituiti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, dotati di personalità giuridica
e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o
da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia sottoposta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da
membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri
organismi di diritto pubblico» (art. 3 co. 26).
La normativa europea, quindi, individua la nozione di organismo di diritto pubblico alla stregua di tre parametri, tutti necessari, ossia il possesso della personalità giuridica, il fine perseguito, costituito dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, e la sottoposizione ad una influenza pubblica.
Quanto all’ultima delle tre condizioni richieste, le direttive dell’UE prevedono che l’«influenza dominante» dell’ente politico non è tuttavia sufficiente perché il soggetto possa qualificarsi come organismo di diritto pubblico: accanto ai requisiti costituiti dal possesso della personalità giuridica e dalle situazioni strutturali o funzionali (finanziamento o controllo
pubblico o composizione degli organi direttivi o di vigilanza) attestanti l’esistenza di uno stretto collegamento con l’organizzazione amministrativa pubblica, le direttive europee richiedono, infatti, un elemento di tipo negativo, prescrivendo che
la persona giuridica sia istituita «per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale».
È in relazione a tale ultimo criterio di delimitazione della nozione in questione che sono sorte le maggiori difficoltà di
carattere esegetico, tanto a livello dottrinale quanto sul piano giurisprudenziale.
Ed invero, tra le due peculiarità che devono contrassegnare i bisogni da soddisfare, ossia il carattere generale e quello
non industriale o commerciale, quest’ultimo assume senza dubbio una maggiore importanza e pregnanza qualificatoria, se
solo si considera che la necessità che gli organismi in questione siano finalizzati al soddisfacimento di interessi di rilievo collettivo può normalmente ricavarsi già dall’altro indice definitorio costituito dalla sottoposizione dell’ente all’influenza dell’autorità pubblica: in assenza di tale finalizzazione dell’ente al perseguimento di un tal genere di interessi, infatti, non si comprenderebbero le ragioni dell’ingerenza dei pubblici poteri nella vita dell’organismo, sotto forma di finanziamento, controllo o composizione dei suoi organi di vertice.
Numerosa è, al riguardo, la giurisprudenza: in particolare, con riferimento ai requisiti necessari, è stato affermato che
«un ente è da qualificare quale organismo di diritto pubblico anche laddove la soddisfazione di bisogni di interesse generaEstratto della pubblicazione
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Diritto amministrativo
le costituisca solo una parte relativamente poco rilevante delle attività da esso effettivamente svolte; la qualità di organismo
di diritto pubblico, infatti, non dipende in alcun modo dall’importanza relativa che, nell’attività dell’organismo medesimo,
è rivestita dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale di carattere non industriale o commerciale, risultando piuttosto sufficiente a tal fine che il perseguimento di tale tipologia di bisogno rientri fra i compiti istituzionale dell’organismo
di cui si discute, anche senza carattere di preminenza» — C.d.S., sez. VI, 19-5-2008, n. 2280.
B) L’impresa pubblica
Alla figura soggettiva dell’organismo di diritto pubblico si affianca quella dell’impresa pubblica, nei confronti della quale i poteri pubblici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne sono proprietari, vi hanno partecipazione
finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione (cfr. Dir. 2006/111/
CE; D.Lgs. 163/2006, art. 3, comma 28). Per poteri pubblici la direttiva comunitaria chiarisce
che s’intendono tutte le autorità pubbliche, compresi lo Stato, le amministrazioni regionali e locali e tutti gli altri enti territoriali.
Ci si è molto interrogati sulle reciproche interferenze fra le due figure soggettive — organismo di diritto pubblico ed impresa pubblica — e sull’ambito di applicazione ora dell’una ora dell’altra disciplina. Secondo autorevole opinione (PATRONI
GRIFFI), in primo luogo, le figure dell’organismo di diritto pubblico e quella di impresa pubblica sono tra loro non compatibili, essendo l’uno caratterizzato dal soddisfacimento di bisogni generali a carattere non industriale o commerciale, l’altra dallo
svolgimento di attività economica a carattere, per definizione, imprenditoriale e, quindi, qualificata dalla presenza sintomatica dei seguenti indici (che rivelano la qualità di impresa e, al contempo, escludono il carattere non industriale o commerciale dei bisogni): l’agire in normali condizioni di mercato, il perseguimento di uno scopo di lucro e l’assunzione del rischio.
7. LA STRUTTURA DEGLI ENTI PUBBLICI: ORGANI E UFFICI
A) Concetto di organo
Come tutte le persone giuridiche, anche lo Stato e gli enti pubblici hanno una propria organizzazione interna, composta di beni e di persone fisiche che agiscono per conto dell’ente.
Nell’organizzazione di ogni ente pubblico possiamo distinguere gli organi e gli uffici.
L’organo rappresenta il principale strumento di imputazione attraverso il quale l’amministrazione agisce. L’imputazione organica consiste nell’imputazione alla persona giuridica sia
degli enti che degli effetti.
Elementi essenziali dell’organo sono dunque:
1) il titolare dell’organo stesso (cd. funzionario), il quale è, di regola, una persona fisica, legata di norma all’ente da un particolare rapporto giuridico, che è il cd. rapporto di servizio; titolare dell’organo può anche essere, eccezionalmente, una persona giuridica, nel qual caso ricorre la figura delle organizzazioni-persone giuridiche;
2) l’esercizio di una pubblica potestà da parte del titolare stesso: organo in senso tecnico è,
dunque, solo colui che esercita una pubblica funzione (Prefetto, Direttore generale, Ministro),
non anche il dipendente il quale svolga attività meramente esecutiva o materiale (GIANNINI).
Il quantum, cioè la misura, dei poteri e delle funzioni che ciascun organo può esercitare si
definisce competenza.
B) Concetto di ufficio
Secondo la dottrina dominante (SANDULLI), l’ufficio (es. Ministero-Prefettura) è il complesso organizzato di sfere di competenze, persone fisiche, beni materiali e mezzi rivolto all’espletamento di un’attività strumentale — conoscitiva, preparatoria, esecutiva — tale da
consentire all’organo (Ministro-Prefetto) di porre in essere i provvedimenti per la realizzazione dei fini istituzionali dell’ente.
Gli uffici (che possono servire anche più di un organo) si caratterizzano per la presenza di
due elementi:
— un elemento funzionale: ad essi sono attribuite funzioni proprie della persona giuridica di
cui fanno parte;
Estratto della pubblicazione