CRISTIANESIMO E ISLAM RELIGIONI UNIVERSALI L’idea che esista un’unica verità per tutto il genere umano, e che il dovere di quanti la possiedono sia di trasmetterla agli altri, ha inizio con l’avvento del cristianesimo e ricompare poi con la nascita dell’Islam. Entrambe le religioni sorgono in Medio Oriente ed attingono ad un vastissimo retaggio comune, che comprende le idee degli ebrei circa il monoteismo, la profezia, la rivelazione e le scritture: la filosofia e la scienza della Grecia; il diritto e le istituzioni di governo dei Romani e, risalendo ancora più indietro nel tempo, tradizioni supersiti della civiltà ancor più antiche di quella regione. Cristianesimo e Islam avevano in comune un’idea nuova, anzi quasi inaudita: quella di essere gli unici possessori della verità divina nella sua interezza. Inoltre si dividevano, o meglio si contendevano, un territorio comune: la religione sudoccidentale dell’Asia, il Nordafrica e l’Europa mediterranea. Per molti versi, l’Islam medievale e il cristianesimo medievale parlavano la stessa lingua. In una certa misura ed in alcuni luoghi ciò era vero anche in senso letterale. In molti paesi del Mediterraneo, infatti, musulmani e cristiani avevano in comune la conoscenza non soltanto delle lingue volgari locali, ma anche dell’arabo. Condividendo sia i concetti che il vocabolario che ad esprimerli, erano in grado non soltanto di discutere, ma anche di tradurre i testi religiosi. I monaci medievali che tradussero il Corano in latino per confutarlo poterono farlo perché il latino, a quel tempo divenuto ormai una lingua cristiana, possedeva i termini necessari. Per contro, quando i convertiti tentavano di tradurre il Corano dall’arabo in persiano, in turco e nelle lingue dell’India, dovevano portarsi dietro il vocabolario arabo, perché quelle lingue, e le culture di cui erano espressione, non possedevano né i concetti né i termini corrispondenti. Parlando la stessa lingua, almeno in senso figurato, usando gli stessi metodi di argomentazione e gli stessi tipi di ragionamento e abbracciando concetti più o meno identici o simili su cos’è la religione, Islam e cristianesimo riuscivano a capirsi anche sulle loro divergenze. Le dispute fra cristiani e musulmani, come fra gli uni e gli altri e gli ebrei, erano possibili in una misura che sarebbe stata inconcepibile fra teologi musulmani o cristiani da una parte e esponenti delle religioni dell’Estremo Oriente dall’altra. Quando cristiani e musulmani si davano dell’infedele a vicenda, ciascuno capiva che cosa l’altro intendesse ed entrambi intendevano più o meno la stessa cosa. In questo si rivela la loro sostanziale affinità. Cristianesimo e Islam sono dottrine consecutive, non contemporanee: fra le due vi è stato un intervallo si sei secoli. Per profeti e predicatori, per giuristi e teologi vi era ovviamente una differenza cruciale fra una religione precedente e una successiva. Questa distinzione serve forse a spiegare gli atteggiamenti reciproci, a volte aspramente contrastanti, dei cristiani e dei musulmani. Per i musulmani il cristianesimo era una religione abrogata che i suoi seguaci insistevano assurdamente a osservare, anziché accettare la parola definitiva di Dio. Potevano essere tollerati purché si sottomettessero. In caso contrario, andavano combattuti fino a quando, vinti, avessero accettato la verità della fede musulmana oppure si fossero assoggettati all’autorità dello stato musulmano. Per i cristiani l’Islam era nel migliore dei casi un’eresia, più spesso una falsa dottrina, fondata da un uomo che, a seconda delle diverse fasi dell’evoluzione della coscienza europea, è stato variamente descritto come un eretico o un impostore e in seguito, nell’età dell’Illuminismo, un Entusiasta. Sebbene cristianesimo e Islam fossero rivali, anzi si disputassero il ruolo di religione mondiale, e, nonostante condividessero tante tradizioni e credenze, tante finalità e tante aspirazioni, nessuno dei due era disposto a riconoscere l’altro come alternativa valida. Tale indisponibilità si espresse in molti modi diversi, e persino questi illustravano chiaramente l’essenziale affinità fra le due religioni. Gli abitanti di varie regioni europee mostravano una curiosa riluttanza a definire i musulmani con qualsiasi appellativo dotato di connotazione religiosa e preferivano attribuire loro denominazioni etniche, allo scopo evidente di sminuire la statura e l’importanza e ridurli a un fatto locale o addirittura tribale. In diversi tempi e luogo gli europei chiamarono i musulmani saraceni, mori, turchi, o tàtari, a seconda di quale dei popoli musulmani avessero incontrato. La parola “turco”, cioè il nome di quello che era di gran lunga il più potente e importante fra gli stati musulmani, giunse persino a diventare sinonimo di “musulmano”, tanto che di quanti si convertivano all’Islam si usava dire che fossero “diventati turchi”, indipendentemente dal luogo dove era avvenuta la conversione. Analoga, anzi identica riluttanza mostrano gli scrittori musulmani del Medioevo, che definiscono i romani, slavi o franchi i propri rivali e nemici cristiani, a seconda di dove e quando li hanno incontrati. Nei casi in cui si usavano appellativi religiosi, questi erano radicalmente negativi – come paynim, kafir, cioè genericamente “miscredenti” – oppure inesatti e spregiativi. Esempi paralleli di questo si osservano nella diffusa usanza cristiana di definire i musulmani “maomettani”, e nella diffusa abitudine musulmana di definire i cristiani “nazareni”, in arabo Nasara, “di Nazareth”. Il termine religioso più comunemente usato da ciascuno per riferirsi all’altro era comunque “infedele”, e proprio scambiandosi questo insulto realizzavano la più piena e perfetta comprensione reciproca. FIN DALLA NASCITA L’ISLAM FU UN IMPERO MONDIALE Queste concezioni e gli atteggiamenti che ne derivavano determinarono i primi incontri fra le due religioni. Naturalmente, per certi versi esse furono confermate, per altri modificate, dallo sviluppo successivo dei rapporti fra di esse. Dapprima sembrò che l’Islam avesse ogni motivo di trionfare e l’Europa di soccombere. Quasi fin dalla nascita, l’Islam fu un impero mondiale e una civiltà mondiale, che si estendeva su tre continenti abitati da molte razze diverse e abbracciava le sedi delle antiche civiltà dell’Egitto e della Mezzaluna Fertile, cui si aggiunsero ben presto l’Iran e il nord dell’India. I musulmani avevano ereditato la filosofia e la scienza della Grecia, che l’Europa avrebbe impiegato a secoli a scoprire, la saggezza e l’arte del governo dell’Iran, e persino gran parte del retaggio del cristianesimo orientale e bizantino. Mentre l’Europa era chiusa tra l’Islam a sud, la steppa a est, l’oceano a ovest e le distese gelate a nord, il mondo dell’Islam era in contatto – a volte per fare la guerra, ma spesso pacificamente – con le ricche e antiche civiltà dell’India e della Cina. Dall’uno importarono la notazione posizionale, decimale dei numeri; dall’altra la carta, con effetti di vastissima portata sia sulle scienze sia sulle discipline umanistiche, oltre che sull’amministrazione pubblica e sugli affari. Il mondo islamico possedeva una cultura ricca e diversificata, territori estesi e risorse abbondanti, e un’economia complessa e florida. Aveva inoltre una società urbana sofisticata e rispettosa delle leggi, e sotto questo aspetto il contrasto con l’Europa era tale che ancora in epoca ottomana i viaggiatori restavano stupefatti dalla città di Istanbul, dove i gentiluomini e persino i soldati giravano disarmati. L’ecumene islamica era una società unica e, per un certo tempo, un’unica comunità politica, unita dalla fede e dall’appartenenza e collegata da una rete di rotte marittime e terrestri creata per un duplice scopo: i commerci e i pellegrinaggi. Inoltre, era unita da un’unica lingua e dalla cultura che essa esprimeva. La lingua araba costituiva per il mondo islamico un mezzo di comunicazione senza pari nella cristianità premoderna: una lingua di governo e di commercio, di scienza e di filosofia, di religione e di diritto, con una letteratura ricca e multiforme, che non aveva equivalenti né precedenti per vastità, varietà e raffinatezza. Né il greco, completamente fossilizzato, né il latino, del tutto svilito, né le primitive lingue volgari dell’Europa dei primi secoli del medioevo avevano da offrire qualcosa che fosse anche lontanamente paragonabile. I CONFINI DEL CRISTIANESIMO COINCIDEVANO CON QUELLI DELL’EUROPA Fra le civiltà confinanti con l’Islam, in linea di principio quella cristiana era l’unica universale, per fede, concezione di se stessa e intenti. A differenza delle religioni dell’India e della Cina, non aveva portata soltanto regionale, bensì mirava a convertire l’umanità intera. In ogni caso i confini del cristianesimo, prima della sua grande espansione, coincidevano con quelli dell’Europa. Naturalmente vi fu qualche eccezione, ma priva di rilievo. Le popolazioni cristiane poste sotto il dominio musulmano non godevano del diritto di sovranità e in ogni caso appartenevano a Chiese e culture diverse. Il regno d’Etiopia, unico Stato cristiano al di fuori dell’Europa, era lontanissimo e poco conosciuto. Come civiltà, il cristianesimo era europeo quanto il confucianesimo era cinese. Era la religione di una regione geografica, e neppure tanto estesa. I suoi popoli erano tutti di un’unica razza e appartenevano a un numero ristretto di gruppi etnici legati fra loro, con una forte cultura comune. In altre parole, era un po’ come l’India indù, ma più piccola e più povera. A paragone dell’Islam, la cristianità era dunque povera, limitata, arretrata e monocromatica. Frammentata in piccoli regni litigiosi, con Chiese divise da scismi ed eresie e dispute incessanti fra la Chiesa di Roma e quella orientale, era contesa fra due imperatori e per un certo periodo persino fra due papi. Perdute le coste cristiane del Mediterraneo orientale e meridionale sotto l’incalzare dell’avanzata musulmana, il cristianesimo apparve una realtà ancor più locale, circoscritta a quella piccola penisola situata ai margini occidentali dell’Asia che divenne – e in base a tale esclusione fu definita – l’Europa. Per un certo periodo, anzi, per un tempo assai lungo, sembrò che nulla potesse impedire il trionfo definitivo dell’Islam e la trasmissione all’Europa della fede islamica e del potere musulmano. Secondo la tradizione musulmana il Profeta Maometto, nel corso della sua vita, aveva inviato missive a <<tutti i re degli infedeli>>- al persiano Còsroe, al bizantino Cesare, al Negus etiopico – ingiungendo loro di abbracciare la nuova fede e sottomettersi al suo dominio e alla sua legge. Sono giunti fino a noi dei documenti che pretendono di riportare il testo di quelle lettere. Essi però non sono accettati come autentici della critica moderna, compresi molti studiosi musulmani, e invero la storia dell’avvento e della diffusione iniziale della nuova fede è circondata da un’incertezza notevole e sempre crescente. Con poche eccezioni, le informazioni in nostro possesso provengono esclusivamente da fonti musulmane arabe trasmesse oralmente di generazione in generazione prima di venire affidate alla scrittura, e quindi inevitabilmente ispirate, forse distorte, dalle aspre lotte che contrapposero frazioni, sette, tribù e gruppi etnici agli albori dello Stato islamico. La critica moderna, ponendo in discussione dapprima l’esattezza e successivamente l’autenticità di gran parte delle nostre fonti, lungi dal disperderla ha reso più fitta quell’oscurità. GIHAD ED ESPANSIONISMO DELL’ISLAM L’unica cosa che si può affermare con certezza è che mezzo secolo dopo la morte del Profeta l’Islam era diventato una nuova religione mondiale che pretendeva di soppiantare il cristianesimo e tutte le altre fedi e faceva appello all’umanità intera, e che il sistema politico e la comunità musulmani, fondati dal Profeta a Medina, erano diventati un nuovo e vasto impero, che avanzava – con ragionevoli probabilità di successo immediato, come sembrava a quel tempo – verso la conquista del mondo. Fin dai tempi antichi il diritto musulmano prescriveva, fra i principali doveri del capo della Stato e della comunità musulmani, quello di condurre il gihàd, termine comunemente, anche se impropriamente, tradotto con <<guerra santa>>. La parola araba gihàd letteralmente significa <<sforzo>> ed è spesso seguita dalle parole fi sabil Allah, <<lungo il sentiero di Dio>>. Fino a tempi relativamente recenti era generalmente, anche se non universalmente, intesa in senso militare. Era dunque dovere del musulmano – collettivo nell’attacco, individuale nella difesa – combattere in guerra contro gli infedeli. In via di principio, questa guerra doveva continuare fino a quando tutta l’umanità non avesse abbracciato l’Islam o non si fosse sottomessa all’autorità dello Stato islamico. Teoricamente non poteva esservi pace finché tale obiettivo non fosse stato raggiunto, ma erano ammesse tregue le quali non differivano di molto, per effetto e durata, dai trattati di pace di cui era punteggiata la guerra quasi ininterrotta che i principali d’Europa si facevano fra loro. L’obbligo del gihàd era in vigore lungo tutti i confini dell’Islam, oltre i quali si trovavano le terre degli infedeli. Tale obbligo era unico, ma fra i vari gruppi di infedeli vi era un’importante distinzione. A est e a sud del mondo islamico, in Asia e in Africa, vi erano pagani e idolatri, barbari dirozzabili che, non avevano di per sé una religione degna di questo nome, erano considerati come naturale oggetto di conversazione alla fede e al regno dell’Islam. Soltanto in una regione, quella del cristianesimo, l’Islam incontrò una resistenza sostenuta da parte di un’autentica fede rivale, incarnata per qualche tempo in un sistema politico rivale. Ciò impresse al gihàd contro il cristianesimo un carattere particolare, perché fu in quelle terre che i musulmani scorsero, a seconda delle epoche, i pericoli maggiori e le più allettanti opportunità. Dopo la conquista dell’Iran e dell’Asia centrale e le spedizioni inconcludenti negli estremi lembi della Cina e dell’India, per gli arabi l’Europa era di gran lunga il più importante dei nemici infedeli. Qualche secolo dopo, per i turchi ottomani, divennero l’unico. Re e capi locali mossero gihàd contro gli infedeli dei vari paesi dell’Asia meridionale e sudorientale e dell’Africa sud-sahariana, ma il grande gihàd per antonomasia, il principale campo di battaglia della Casa dell’Islam e della Casa della Guerra, fu in Europa. GLI ARABI conquistano l’impero persiano e quello bizantino… Le prime barriere a venire travolte dall’Islam nella sua avanzata della penisola arabica, che ne era stata la culla, verso i paesi vicini furono i due imperi rivali, quello persiano e quello bizantino, che controllavano la regione attualmente chiamata Medio Oriente. La barriera persiana fu travolta e l’Impero persiano venne incorporato con tutti i suoi possedimenti nel nuovo Stato islamico, compresa la sua capitale e la sua èlite dominante, la cui soggezione e successiva adesione all’Islam ebbero conseguenze incalcolabili. La barriera bizantina fu indebolita e spostata indietro, ma rimase in piedi lungo una nuova linea di confine che coincideva all’incirca con le frontiere meridionale e orientale dell’Anatolia. …conquistano il Nordafrica,… Questa divenne dunque la nuova frontiera orientale della cristianità. Altrove le terre cristiane della Mezzaluna fertile, dell’Egitto e del Nordafrica furono incorporate ad una ad una nel regno islamico e funsero da rampa di lancio per nuove aggressioni contro l’Europa stessa. A est l’avanzata musulmana fu arginata e i bizantini riuscirono a conservare i monti del Tauro e a salvare la città di Costantinopoli dai ripetuti assedi e attacchi delle forze arabe. …conquistano la Spagna AD OCCIDENTE. A occidente il rapido incalzare degli eserciti musulmani arabi raggiunse le isole del Mediterraneo e, cosa più importante di tutte, la penisola iberica. Nel 710 i primi corsari musulmani passarono dal Marocco alla Spagna, su invito, si dice, di un sovrano locale spagnolo che aveva qualche torto da riparare. Nel 718 i musulmani avevano ormai occupato la maggior parte della penisola e, varcati i Pirenei, erano passati in Francia, dove nel 732 incontrarono e furono sconfitti da Carlo Martello, signore dei franchi, nella celebre battaglia di Tours e Poitiers. Nelle leggende e nella storiografia occidentali, quest’ultima è considerata la vittoria decisiva che impresse una svolta e salvò l’Europa, e la cristianità, dal pericolo saraceno. Gli storici arabi, seppure menzionando quello scontro, lo descrivono come una scaramuccia senza importanza. Per loro la fine dell’avventura musulmana in Francia fu dovuta all’impossibilità di tenere la città di Narbona, catturata per la prima volta nel 715 e persa definitivamente nel 759. Nel 793 e ancora nell’840, eserciti musulmani provenienti dalla Spagna assalirono senza successo la città e i suoi dintorni ma senza riuscire a catturarla, e dopo qualche tempo le forze musulmane si ritirarono a sud dei Pirenei. La battaglia per la Spagna proseguì, e quasi otto secoli trascorsero dal primo sbarco musulmano alla sconfitta e alla distruzione dell’emirato di Granata, ultimo Stato musulmano d’Europa, nel 1492. Essa fu seguita, a dieci anni di distanza, dal primo di una serie di editti che lasciavano ai sudditi musulmani della Corona di Spagna la scelta fra il battesimo, l’esilio e la morte. La lunga lotta per la Spagna e il Portogallo e, in precedenza, la battaglia per l’Italia meridionale erano terminate con la vittoria dei cristiani e la cacciata dei musulmani. I TURCHI conquistano l’Anatolia, AD ORIENTE… Nel frattempo si preparava una nuova e travolgente controffensiva musulmana, stavolta non a occidente, ma a oriente, e non da parte degli arabi ma di una nuova potenza islamica: i turchi. Già nell’XI secolo, armate e tribù nomadi turche avevano strappato la maggior parte dell’Anatolia ai bizantini, trasformando la terra che un tempo era stata greca e cristiana in un paese turco e musulmano. Il bastione orientale della cristianità, che per tanti secoli aveva tenuto testa agli arabi, subì allora la prima di una serie di sconfitte. Con il passar del tempo queste ridisegnarono il confine tra l’Europa, cioè il mondo cristiano, e l’Islam. …e l’intera penisola balcanica, creando uno degli imperi islamici più grandi e duraturi della storia. Prima sotto i sultani selgiuchidi e poi sotto quelli ottomani, i turchi crearono uno degli imperi islamici più grandi e più duraturi della storia. Nel 1352 una forza turca, chiamata – come era accaduto per i primi arabi in Spagna – per dare manforte a una potenza cristiana impegnata in una contesa, occupò la fortezza di Tzympe, a nord di Gallipoli, sul versante europeo dei Dardanelli. Un secolo dopo, ormai padroni dell’intera penisola balcanica, i turchi erano pronti a scatenare l’offensiva finale grazie alla quale Costantinopoli fu conquistata e andò a coronare la nuova struttura imperiale, che abbracciava l’Europa e l’Asia. Dalla nuova capitale, chiamata Istanbul, i sultani ottomani lanciarono un’altra serie di spedizioni che li condussero fin nelle pianure dell’Ungheria e per ben due volte – nel 1529 e ancora nel 1683 – sotto le mura di Vienna. Per un secolo e mezzo le armate turche, muovendo dalle basi di Buda e di Belgrado, posero al cuore dell’Europa cristiana una minaccia più vicina e più grave di quella mai rappresentata dai saraceni in Spagna. Quella minaccia non era circoscritta all’Europa centrale e orientale. La flotta turca dalle sue basi nordafricane mosse un gihàd navale agli stati dell’Europa occidentale, nel Mediterraneo e persino in mare aperto, attaccando città e villaggi marinari e costieri. Ai primi del XVII secolo corsari provenienti dall’Algeria, ora posta sotto la sovranità ottomana, e dal Marocco, infestavano le coste meridionali dell’Inghilterra e dell’Irlanda e una volta, nel 1627, giunsero fino in Islanda, dove il ricordo della loro incursione fu tramandato nelle cronache, nelle saghe e nelle preghiere. Terza avanzata mussulmana: I MONGOLI In Europa, oltre a quella dei mori e dei turchi, vi fu una Terza avanzata musulmana che gli storici occidentali spesso trascurano, ma è rimasta impressa a fondo nella coscienza dell’Oriente. Durante il XIII secolo invasori mongoli provenienti dall’Asia orientale conquistarono gran parte della Russia e dell’Europa dell’est e fondarono uno stato noto negli annali russi come il khanato dell’Orda d’Oro. Nell’ultima parte del secolo Berke Khan, nipote di Ghenghiz Khan e signore dell’Orda d’Oro, si convertì all’Islam. Strinse rapporti con il sultano mamelucco d’Egitto e avviò il processo che trasformò in una nazione musulmana la popolazione mista, mongola e turca, del suo reame. Nell’Europa orientale quel popolo è noto come i tàtari, dal nome di una delle tribù mongole, e il periodo della loro dominazione, dal XIII al XV secolo, è definito negli annali russi <<il giogo tàtaro>>. Anche dopo la disgregazione del khanato dell’Orda d’Oro, i khanati sorti in seguito a Kazan, ad Astrakan e in Crimea continuarono a dominare –e quando non vi riuscivano, a razziare- alcune regioni dell’Europa orientale fino al 1783, anno in cui si estinse l’ultimo khanato quello di Crimea. A partire dal 1475, i khan di Crimea divennero vassalli degli ottomani. Forze tàtare combatterono frequentemente,sotto il comando degli ottomani, contro nemici europei, mentre le incursioni dei tatari contro i villaggi russi, ucraini, polacchi e lituani rifornirono per secoli i mercati degli schiavi di Istanbul. GLI EUROPEI PASSANO AL CONTRATTACCO: LE CROCIATE Naturalmente, vi furono periodi in cui gli Europei passarono al contrattacco, in particolare con quella serie di guerre che nella storiografia europea vanno sotto il nome di crociate. In anni recenti si è affermata, sia nell’Europa occidentale che nel Medio Oriente, la consuetudine di considerare e presentare le crociate come una manifestazione precoce dell’imperialismo occidentale, un’aggressione indiscriminata e predatoria da parte delle potenze europee dell’epoca contro i paesi mussulmani o, come diremmo oggi, arabi. A quel tempo le crociate non erano viste sotto questa luce né dai cristiani né dagli stessi mussulmani. Per i contemporanei cristiani, erano guerre religiose il cui fine era recuperare le terre perdute dalla cristianità e in particolare recuperare la Terra Santa, dove Gesù era vissuto, aveva insegnato e era morto. A questo proposito possiamo ricordare che quando i crociati raggiunsero il Levante, erano trascorsi poco più di quattro secoli da che i conquistatori mussulmani arabi avevano strappato quelle terre alla cristianità e che una porzione sostanziale della popolazione di quelle terre, forse addirittura la maggioranza, era ancora cristiana. Nella storiografia araba dell’epoca, incomparabilmente più ricca di quella dei crociati, i termini “crociata” e “crociato” non compaiono affatto e anche i concetti che indicano sembrano assenti. Le battaglie contro quegli invasori sono descritte con dovizia di particolari, ma essi sono generalmente definiti con un appellativo etnico, quello di franchi, spesso semplicemente con quello di infedeli, accompagnato da opportune imprecazioni, di rado con quello di cristiani. Con poche eccezioni gli storici musulmani mostrano scarso interesse per la provenienza dei franchi o l’epoca della loro venuta, e riferiscono del loro arrivo e della loro partenza con altrettanto scarsa curiosità. A quell’epoca i musulmani erano deboli e divisi e il mondo islamico, a oriente come a occidente, era ovunque in balìa di invasori barbari, sia esterni che interni: nomadi provenienti dalle steppe del nord e dai deserti del sud, georgiani dal Caucaso, galiziani e normanni dall’Europa. Gli invasori franchi, che dapprima si presentarono come ausiliari del ben noto nemico bizantino per poi passare ad agire indipendentemente, non dovettero apparire diversi dal resto. Nel suo aspetto verbale, la “grande disputa” fra cristianesimo e Islam, descritta tanto eloquentemente da Edward Gibbon, fu un monologo, dal quale l’interlocutore mussulmano era assente e del quale sembra essere stato del tutto inconsapevole. Nella prospettiva più ampia dei rapporti fra Europa e Islam, l’avventura delle crociate non fu che un episodio; le sue uniche conseguenze misurabili, in seno al mondo islamico, furono un miglioramento e un’espansione degli scambi commerciali con l’Europa e un peggioramento dei rapporti con i cristiani di laggiù. Nell’altalena di attacchi e contrattacchi fra Cristianesimo e Islam, quell’avventura incominciò con una vittoria tutt’altro che determinante dei cristiani e si concluse con una loro disfatta, stavolta definitiva. Per quasi mille anni, dal primo sbarco dei mori in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa rimase sotto la costante minaccia dell’IslaM. Nei primi secoli, la minaccia era duplice: non soltanto quella dell’invasione e della conquista, ma anche quella della conversione e dell’assimilazione. Tutte le province del regno islamico, all’infuori delle più orientali, erano state strappate a sovrani cristiani e la stragrande maggioranza dei primi musulmani che si incontravano a occidente dell’Iran e dell’Arabia erano cristiani convertiti. Il Nordafrica, l’Egitto, la Siria e persino l’Iraq, soggetto alla dominazione persiana, erano stati paesi cristiani, in cui il cristianesimo era più antico e aveva radici più profonde che in gran parte dell’Europa. La loro perdita fu un duro colpo e accrebbe il timore che un’analoga sorte attendesse l’Europa. In Spagna e in Sicilia la fede musulmana e la cultura araba esercitavano un’attrazione potente, e persino quanti restavano fedeli alla religione cristiana adottavano spesso la lingua araba. Fu quel timore, più do ogni altro fattore, a determinare la nascita degli studi arabi in Europa, cioè della disciplina cui secoli dopo venne dato il nome di orientalistica. Nei monasteri dell’Europa occidentale, dotti monaci apprendevano l’arabo, traducevano il Corano e studiavano altri testi musulmani con un duplice intento: primo, quello immediato di salvare anime cristiane dalla conversione all’Islam; secondo, la speranza meno immediate di convertire musulmani al cristianesimo. Ci vollero diversi secoli perché giungessero alla conclusione che la prima cosa non era più necessaria e la seconda era impossibile. L’EUROPA VISTA DAI MUSSULMANI Se tale appariva il mondo islamico visto dall’Europa, come appariva l’Europa agli occhi del mondo islamico? Molto simile, si potrebbe dire, a come l’Africa centrale appariva all’Inghilterra vittoriana. Gli scritti arabi rispecchiano l’immagine di una landa selvaggia,remota e inesplorata, abitata da genti esotiche, pittoresche e alquanto primitive delle quali non vi era nulla da temere e, meno ancor da imparare. Pochi, intrepidi esploratori provenienti dalla Spagna musulmana e dal Nordafrica si avventurarono negli angoli più sperduti dell’Europa e lasciarono ai posteri il resoconto dei loro viaggi; nei loro scritti avvertiamo la stessa nota di disprezzo lievemente divertito che troviamo a volte nei resoconti dei viaggiatori europei recatosi in Africa e in Asia molti secoli dopo. Naturalmente gli Arabi erano consapevoli dell’esistenza di Bisanzio. Conoscevano e rispettavano la civiltà degli antichi greci dell’Ellade e anche, quantunque in misura molto minore, dei greci cristiani di Costantinopoli. Ma non nutrivano alcun rispetto – e per la verità non si vede perché dovessero nutrirne – per l’Europa centrale e occidentale, la cui civiltà in epoca medievale era di un livello notevolmente inferiore, sia sul piano morale che su quello materiale, rispetto alle terre che formavano il nucleo centrale dell’Islam. Tuttavia, malgrado questa visione dell’Europa non bizantina come remota e selvaggia propaggine delle barbarie e della miscredenza, al tempo stesso vi era la consapevolezza che gli europei, persino quelli dell’Europa occidentale, non erano dei semplici barbari come gli altri popoli che confinavano con il mondo islamico a oriente e a meridione. Dopotutto erano seguaci di una religione vera, superata ma pur sempre fondata su un’autentica rivelazione, quindi di gran lunga superiore ai politeisti e agli idolatri che i musulmani incontravano in altre regioni. Al tempo stesso, a differenza di quei politeisti e di quelli idolatri, gli europei non erano disposti a farsi convertire all’Islam né si mostravano facilmente assimilabili, ma anzi restavano ostinatamente attaccati alla propria fede superata con l’ambizione di farla prevalere sull’Islam.