fin dalla nascita l`islam fu un impero mondiale

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CRISTIANESIMO E ISLAM RELIGIONI UNIVERSALI
L’idea che esista un’unica verità per tutto il genere umano, e che il dovere di quanti la possiedono
sia di trasmetterla agli altri, ha inizio con l’avvento del cristianesimo e ricompare poi con la
nascita dell’Islam. Entrambe le religioni sorgono in Medio Oriente ed attingono ad un vastissimo
retaggio comune, che comprende le idee degli ebrei circa il monoteismo, la profezia, la rivelazione
e le scritture: la filosofia e la scienza della Grecia; il diritto e le istituzioni di governo dei Romani e,
risalendo ancora più indietro nel tempo, tradizioni supersiti della civiltà ancor più antiche di quella
regione. Cristianesimo e Islam avevano in comune un’idea nuova, anzi quasi inaudita: quella di
essere gli unici possessori della verità divina nella sua interezza. Inoltre si dividevano, o meglio si
contendevano, un territorio comune: la religione sudoccidentale dell’Asia, il Nordafrica e l’Europa
mediterranea.
Per molti versi, l’Islam medievale e il cristianesimo medievale parlavano la stessa lingua. In una
certa misura ed in alcuni luoghi ciò era vero anche in senso letterale. In molti paesi del
Mediterraneo, infatti, musulmani e cristiani avevano in comune la conoscenza non soltanto delle
lingue volgari locali, ma anche dell’arabo. Condividendo sia i concetti che il vocabolario che ad
esprimerli, erano in grado non soltanto di discutere, ma anche di tradurre i testi religiosi. I monaci
medievali che tradussero il Corano in latino per confutarlo poterono farlo perché il latino, a quel
tempo divenuto ormai una lingua cristiana, possedeva i termini necessari. Per contro, quando i
convertiti tentavano di tradurre il Corano dall’arabo in persiano, in turco e nelle lingue dell’India,
dovevano portarsi dietro il vocabolario arabo, perché quelle lingue, e le culture di cui erano
espressione, non possedevano né i concetti né i termini corrispondenti.
Parlando la stessa lingua, almeno in senso figurato, usando gli stessi metodi di argomentazione e
gli stessi tipi di ragionamento e abbracciando concetti più o meno identici o simili su cos’è la
religione, Islam e cristianesimo riuscivano a capirsi anche sulle loro divergenze. Le dispute fra
cristiani e musulmani, come fra gli uni e gli altri e gli ebrei, erano possibili in una misura che
sarebbe stata inconcepibile fra teologi musulmani o cristiani da una parte e esponenti delle religioni
dell’Estremo Oriente dall’altra. Quando cristiani e musulmani si davano dell’infedele a vicenda,
ciascuno capiva che cosa l’altro intendesse ed entrambi intendevano più o meno la stessa cosa. In
questo si rivela la loro sostanziale affinità.
Cristianesimo e Islam sono dottrine consecutive, non contemporanee: fra le due vi è stato un
intervallo si sei secoli. Per profeti e predicatori, per giuristi e teologi vi era ovviamente una
differenza cruciale fra una religione precedente e una successiva. Questa distinzione serve forse a
spiegare gli atteggiamenti reciproci, a volte aspramente contrastanti, dei cristiani e dei musulmani.
Per i musulmani il cristianesimo era una religione abrogata che i suoi seguaci insistevano
assurdamente a osservare, anziché accettare la parola definitiva di Dio. Potevano essere
tollerati purché si sottomettessero. In caso contrario, andavano combattuti fino a quando,
vinti, avessero accettato la verità della fede musulmana oppure si fossero assoggettati
all’autorità dello stato musulmano. Per i cristiani l’Islam era nel migliore dei casi un’eresia, più
spesso una falsa dottrina, fondata da un uomo che, a seconda delle diverse fasi dell’evoluzione
della coscienza europea, è stato variamente descritto come un eretico o un impostore e in seguito,
nell’età dell’Illuminismo, un Entusiasta.
Sebbene cristianesimo e Islam fossero rivali, anzi si disputassero il ruolo di religione mondiale, e,
nonostante condividessero tante tradizioni e credenze, tante finalità e tante aspirazioni, nessuno dei
due era disposto a riconoscere l’altro come alternativa valida. Tale indisponibilità si espresse in
molti modi diversi, e persino questi illustravano chiaramente l’essenziale affinità fra le due
religioni. Gli abitanti di varie regioni europee mostravano una curiosa riluttanza a definire i
musulmani con qualsiasi appellativo dotato di connotazione religiosa e preferivano attribuire loro
denominazioni etniche, allo scopo evidente di sminuire la statura e l’importanza e ridurli a un fatto
locale o addirittura tribale. In diversi tempi e luogo gli europei chiamarono i musulmani saraceni,
mori, turchi, o tàtari, a seconda di quale dei popoli musulmani avessero incontrato. La parola
“turco”, cioè il nome di quello che era di gran lunga il più potente e importante fra gli stati
musulmani, giunse persino a diventare sinonimo di “musulmano”, tanto che di quanti si
convertivano all’Islam si usava dire che fossero “diventati turchi”, indipendentemente dal luogo
dove era avvenuta la conversione. Analoga, anzi identica riluttanza mostrano gli scrittori musulmani
del Medioevo, che definiscono i romani, slavi o franchi i propri rivali e nemici cristiani, a seconda
di dove e quando li hanno incontrati. Nei casi in cui si usavano appellativi religiosi, questi erano
radicalmente negativi – come paynim, kafir, cioè genericamente “miscredenti” – oppure inesatti e
spregiativi. Esempi paralleli di questo si osservano nella diffusa usanza cristiana di definire i
musulmani “maomettani”, e nella diffusa abitudine musulmana di definire i cristiani “nazareni”, in
arabo Nasara, “di Nazareth”. Il termine religioso più comunemente usato da ciascuno per riferirsi
all’altro era comunque “infedele”, e proprio scambiandosi questo insulto realizzavano la più piena e
perfetta comprensione reciproca.
FIN DALLA NASCITA L’ISLAM FU UN IMPERO MONDIALE
Queste concezioni e gli atteggiamenti che ne derivavano determinarono i primi incontri fra le due
religioni. Naturalmente, per certi versi esse furono confermate, per altri modificate, dallo sviluppo
successivo dei rapporti fra di esse. Dapprima sembrò che l’Islam avesse ogni motivo di trionfare e
l’Europa di soccombere.
Quasi fin dalla
nascita, l’Islam
fu un impero
mondiale e una
civiltà
mondiale, che si
estendeva su tre
continenti
abitati da molte
razze diverse e
abbracciava le
sedi
delle
antiche civiltà
dell’Egitto
e
della
Mezzaluna
Fertile, cui si
aggiunsero ben
presto l’Iran e
il
nord
dell’India.
I
musulmani
avevano ereditato la filosofia e la scienza della Grecia, che l’Europa avrebbe impiegato a secoli a
scoprire, la saggezza e l’arte del governo dell’Iran, e persino gran parte del retaggio del
cristianesimo orientale e bizantino. Mentre l’Europa era chiusa tra l’Islam a sud, la steppa a est,
l’oceano a ovest e le distese gelate a nord, il mondo dell’Islam era in contatto – a volte per fare la
guerra, ma spesso pacificamente – con le ricche e antiche civiltà dell’India e della Cina. Dall’uno
importarono la notazione posizionale, decimale dei numeri; dall’altra la carta, con effetti di
vastissima portata sia sulle scienze sia sulle discipline umanistiche, oltre che sull’amministrazione
pubblica e sugli affari. Il mondo islamico possedeva una cultura ricca e diversificata, territori
estesi e risorse abbondanti, e un’economia complessa e florida. Aveva inoltre una società urbana
sofisticata e rispettosa delle leggi, e sotto questo aspetto il contrasto con l’Europa era tale che
ancora in epoca ottomana
i viaggiatori restavano stupefatti dalla città di Istanbul, dove
i gentiluomini e persino i soldati giravano disarmati.
L’ecumene islamica era una società unica e, per un certo
tempo, un’unica comunità politica, unita dalla fede e
dall’appartenenza e collegata da una rete di rotte marittime e
terrestri creata per un duplice scopo: i commerci e i
pellegrinaggi. Inoltre, era unita da un’unica lingua e dalla
cultura che essa esprimeva. La lingua araba costituiva per il
mondo islamico un mezzo di comunicazione senza pari nella
cristianità premoderna: una lingua di governo e di commercio,
di scienza e di filosofia, di religione e di diritto, con una letteratura ricca e multiforme, che non
aveva equivalenti né precedenti per vastità, varietà e raffinatezza. Né il greco, completamente
fossilizzato, né il latino, del tutto svilito, né le primitive lingue volgari dell’Europa dei primi secoli
del medioevo avevano da offrire qualcosa che fosse anche lontanamente paragonabile.
I CONFINI DEL CRISTIANESIMO COINCIDEVANO CON QUELLI DELL’EUROPA
Fra le civiltà confinanti con l’Islam, in linea di principio quella cristiana era l’unica universale, per
fede, concezione di se stessa e intenti. A differenza delle religioni dell’India e della Cina, non aveva
portata soltanto regionale, bensì mirava a convertire l’umanità intera. In ogni caso i confini del
cristianesimo, prima della sua grande espansione, coincidevano con quelli dell’Europa.
Naturalmente vi fu qualche eccezione, ma priva di rilievo. Le popolazioni cristiane poste sotto il
dominio musulmano non godevano del diritto di sovranità e in ogni caso appartenevano a Chiese e
culture diverse. Il regno d’Etiopia, unico Stato cristiano al di fuori dell’Europa, era lontanissimo e
poco conosciuto. Come civiltà, il cristianesimo era europeo quanto il confucianesimo era cinese.
Era la religione di una regione geografica, e neppure tanto estesa. I suoi popoli erano tutti di
un’unica razza e appartenevano a un numero ristretto di gruppi etnici legati fra loro, con una forte
cultura comune. In altre parole, era un po’ come l’India indù, ma più piccola e più povera. A
paragone dell’Islam, la cristianità era dunque povera, limitata, arretrata e monocromatica.
Frammentata in piccoli regni litigiosi, con Chiese divise da scismi ed eresie e dispute incessanti fra
la Chiesa di Roma e quella orientale, era contesa fra due imperatori e per un certo periodo persino
fra due papi. Perdute le coste cristiane del Mediterraneo orientale e meridionale sotto l’incalzare
dell’avanzata musulmana, il cristianesimo apparve una realtà ancor più locale, circoscritta a quella
piccola penisola situata ai margini occidentali dell’Asia che divenne – e in base a tale esclusione fu
definita – l’Europa. Per un certo periodo, anzi, per un tempo assai lungo, sembrò che nulla potesse
impedire il trionfo definitivo dell’Islam e la trasmissione all’Europa della fede islamica e del potere
musulmano.
Secondo la tradizione musulmana il Profeta Maometto, nel corso della sua vita, aveva inviato
missive a <<tutti i re degli infedeli>>- al persiano Còsroe, al bizantino Cesare, al Negus etiopico –
ingiungendo loro di abbracciare la nuova fede e sottomettersi al suo dominio e alla sua legge. Sono
giunti fino a noi dei documenti che pretendono di riportare il testo di quelle lettere. Essi però non
sono accettati come autentici della critica moderna, compresi molti studiosi musulmani, e invero la
storia dell’avvento e della diffusione iniziale della nuova fede è circondata da un’incertezza
notevole e sempre crescente. Con poche eccezioni, le informazioni in nostro possesso provengono
esclusivamente da fonti musulmane arabe trasmesse oralmente di generazione in generazione prima
di venire affidate alla scrittura, e quindi inevitabilmente ispirate, forse distorte, dalle aspre lotte che
contrapposero frazioni, sette, tribù e gruppi etnici agli albori dello Stato islamico. La critica
moderna, ponendo in discussione dapprima l’esattezza e successivamente l’autenticità di gran parte
delle nostre fonti, lungi dal disperderla ha reso più fitta quell’oscurità.
GIHAD ED ESPANSIONISMO DELL’ISLAM
L’unica cosa che si può affermare con certezza è che mezzo secolo dopo la morte del Profeta
l’Islam era diventato una nuova religione mondiale che pretendeva di soppiantare il cristianesimo e
tutte le altre fedi e faceva appello all’umanità intera, e che il sistema politico e la comunità
musulmani, fondati dal Profeta a Medina, erano diventati un nuovo e vasto impero, che avanzava –
con ragionevoli probabilità di successo immediato, come sembrava a quel tempo – verso la
conquista del mondo.
Fin dai tempi antichi il diritto musulmano prescriveva, fra i principali doveri del capo della Stato e
della comunità musulmani, quello di condurre il gihàd, termine comunemente, anche se
impropriamente, tradotto con <<guerra santa>>. La parola araba gihàd letteralmente significa
<<sforzo>> ed è spesso seguita dalle parole fi sabil Allah, <<lungo il sentiero di Dio>>. Fino a
tempi relativamente recenti era generalmente, anche se non universalmente, intesa in senso militare.
Era dunque dovere del
musulmano
–
collettivo
nell’attacco, individuale nella
difesa – combattere in guerra
contro gli infedeli. In via di
principio, questa guerra doveva
continuare fino a quando tutta
l’umanità
non
avesse
abbracciato l’Islam o non si
fosse sottomessa all’autorità
dello Stato islamico.
Teoricamente non poteva
esservi pace finché tale
obiettivo non fosse stato
raggiunto, ma erano ammesse
tregue le quali non differivano
di molto, per effetto e durata,
dai trattati di pace di cui era
punteggiata la guerra quasi ininterrotta che i principali d’Europa si facevano fra loro.
L’obbligo del gihàd era in vigore lungo tutti i confini dell’Islam, oltre i quali si trovavano le terre
degli infedeli. Tale obbligo era unico, ma fra i vari gruppi di infedeli vi era un’importante
distinzione. A est e a sud del mondo islamico, in Asia e in Africa, vi erano pagani e idolatri, barbari
dirozzabili che, non avevano di per sé una religione degna di questo nome, erano considerati come
naturale oggetto di conversazione alla fede e al regno dell’Islam. Soltanto in una regione, quella del
cristianesimo, l’Islam incontrò una resistenza sostenuta da parte di un’autentica fede rivale,
incarnata per qualche tempo in un sistema politico rivale. Ciò impresse al gihàd contro il
cristianesimo un carattere particolare, perché fu in quelle terre che i musulmani scorsero, a seconda
delle epoche, i pericoli maggiori e le più allettanti opportunità. Dopo la conquista dell’Iran e
dell’Asia centrale e le spedizioni inconcludenti negli estremi lembi della Cina e dell’India, per gli
arabi l’Europa era di gran lunga il più importante dei nemici infedeli. Qualche secolo dopo, per i
turchi ottomani, divennero l’unico. Re e capi locali mossero gihàd contro gli infedeli dei vari paesi
dell’Asia meridionale e sudorientale e dell’Africa sud-sahariana, ma il grande gihàd per
antonomasia, il principale campo di battaglia della Casa dell’Islam e della Casa della Guerra, fu in
Europa.
GLI ARABI conquistano l’impero persiano e quello bizantino…
Le prime barriere a venire travolte dall’Islam nella sua avanzata della penisola arabica, che ne era
stata la culla, verso i paesi vicini furono i due imperi rivali, quello persiano e quello bizantino, che
controllavano la regione attualmente chiamata Medio Oriente. La barriera persiana fu travolta e
l’Impero persiano venne incorporato con tutti i suoi possedimenti nel nuovo Stato islamico,
compresa la sua capitale e la sua èlite dominante, la cui soggezione e successiva adesione all’Islam
ebbero conseguenze incalcolabili. La barriera bizantina fu indebolita e spostata indietro, ma rimase
in piedi lungo una nuova linea di confine che coincideva all’incirca con le frontiere meridionale e
orientale dell’Anatolia.
…conquistano il Nordafrica,…
Questa divenne dunque la nuova frontiera orientale della cristianità. Altrove le terre cristiane della
Mezzaluna fertile, dell’Egitto e del Nordafrica furono incorporate ad una ad una nel regno islamico
e funsero da rampa di lancio per nuove aggressioni contro l’Europa stessa. A est l’avanzata
musulmana fu arginata e i bizantini riuscirono a conservare i monti del Tauro e a salvare la città di
Costantinopoli dai ripetuti assedi e attacchi delle forze arabe.
…conquistano la Spagna AD OCCIDENTE.
A occidente il rapido incalzare degli eserciti musulmani arabi raggiunse le isole del Mediterraneo e,
cosa più importante di tutte, la penisola iberica. Nel 710 i primi corsari musulmani passarono dal
Marocco
alla
Spagna, su invito,
si dice, di un
sovrano
locale
spagnolo che aveva
qualche torto da
riparare. Nel 718 i
musulmani
avevano
ormai
occupato
la
maggior parte della
penisola e, varcati i
Pirenei,
erano
passati in Francia,
dove
nel
732
incontrarono
e
furono sconfitti da
Carlo
Martello,
signore dei franchi,
nella
celebre
battaglia di Tours e
Poitiers.
Nelle
leggende e nella storiografia occidentali, quest’ultima è considerata la vittoria decisiva che impresse
una svolta e salvò l’Europa, e la cristianità, dal pericolo saraceno. Gli storici arabi, seppure
menzionando quello scontro, lo descrivono come una scaramuccia senza importanza. Per loro la
fine dell’avventura musulmana in Francia fu dovuta all’impossibilità di tenere la città di Narbona,
catturata per la prima volta nel 715 e persa definitivamente nel 759. Nel 793 e ancora nell’840,
eserciti musulmani provenienti dalla Spagna assalirono senza successo la città e i suoi dintorni ma
senza riuscire a catturarla, e dopo qualche tempo le forze musulmane si ritirarono a sud dei Pirenei.
La battaglia per la Spagna proseguì, e quasi otto secoli trascorsero dal primo sbarco musulmano alla
sconfitta e alla distruzione dell’emirato di Granata, ultimo Stato musulmano d’Europa, nel 1492.
Essa fu seguita, a dieci anni di distanza, dal primo di una serie di editti che lasciavano ai sudditi
musulmani della Corona di Spagna la scelta fra il battesimo, l’esilio e la morte.
La lunga lotta per la Spagna e il Portogallo e, in precedenza, la battaglia per l’Italia meridionale
erano terminate con la vittoria dei cristiani e la cacciata dei musulmani.
I TURCHI conquistano l’Anatolia, AD ORIENTE…
Nel frattempo si preparava una nuova e travolgente controffensiva musulmana, stavolta non a
occidente, ma a oriente, e non da parte degli arabi ma di una nuova potenza islamica: i turchi. Già
nell’XI secolo, armate e tribù nomadi turche avevano strappato la maggior parte dell’Anatolia ai
bizantini, trasformando la terra che un tempo era stata greca e cristiana in un paese turco e
musulmano. Il bastione orientale della cristianità, che per tanti secoli aveva tenuto testa agli arabi,
subì allora la prima di una serie di sconfitte. Con il passar del tempo queste ridisegnarono il confine
tra l’Europa, cioè il mondo cristiano, e l’Islam.
…e l’intera penisola balcanica, creando uno degli imperi islamici più grandi e duraturi della storia.
Prima sotto i sultani
selgiuchidi e poi sotto
quelli ottomani, i turchi
crearono uno degli imperi
islamici più grandi e più
duraturi della storia. Nel
1352 una forza turca,
chiamata – come era
accaduto per i primi arabi
in Spagna – per dare
manforte a una potenza
cristiana impegnata in una
contesa, occupò la fortezza
di Tzympe, a nord di
Gallipoli, sul versante
europeo dei Dardanelli. Un
secolo dopo, ormai padroni
dell’intera penisola balcanica, i turchi erano pronti a scatenare l’offensiva finale grazie alla quale
Costantinopoli fu conquistata e andò a coronare la nuova struttura imperiale, che abbracciava
l’Europa e l’Asia. Dalla nuova capitale, chiamata Istanbul, i sultani ottomani lanciarono un’altra
serie di spedizioni che li condussero fin nelle pianure dell’Ungheria e per ben due volte – nel 1529 e
ancora nel 1683 – sotto le mura di Vienna. Per un secolo e mezzo le armate turche, muovendo dalle
basi di Buda e di Belgrado, posero al cuore dell’Europa cristiana una minaccia più vicina e più
grave di quella mai rappresentata dai saraceni in Spagna.
Quella minaccia non era circoscritta all’Europa centrale e orientale. La flotta turca dalle sue basi
nordafricane mosse un gihàd navale agli stati dell’Europa occidentale, nel Mediterraneo e persino in
mare aperto, attaccando città e villaggi marinari e costieri. Ai primi del XVII secolo corsari
provenienti dall’Algeria, ora posta sotto la sovranità ottomana, e dal Marocco, infestavano le coste
meridionali dell’Inghilterra e dell’Irlanda e una volta, nel 1627, giunsero fino in Islanda, dove il
ricordo della loro incursione fu tramandato nelle cronache, nelle saghe e nelle preghiere.
Terza avanzata mussulmana: I
MONGOLI
In Europa, oltre a quella
dei mori e dei turchi, vi
fu una Terza avanzata
musulmana
che
gli
storici occidentali spesso
trascurano, ma è rimasta
impressa a fondo nella
coscienza dell’Oriente.
Durante il XIII secolo
invasori
mongoli
provenienti
dall’Asia
orientale
conquistarono
gran parte della Russia e
dell’Europa dell’est e
fondarono uno stato noto
negli annali russi come il
khanato dell’Orda d’Oro. Nell’ultima parte del secolo Berke Khan, nipote di Ghenghiz Khan e
signore dell’Orda d’Oro, si convertì all’Islam. Strinse rapporti con il sultano mamelucco d’Egitto e
avviò il processo che trasformò in una nazione musulmana la popolazione mista, mongola e
turca, del suo reame. Nell’Europa orientale quel popolo è noto come i tàtari, dal nome di una
delle tribù mongole, e il periodo della loro dominazione, dal XIII al XV secolo, è definito negli
annali russi <<il giogo tàtaro>>. Anche dopo la disgregazione del khanato dell’Orda d’Oro, i
khanati sorti in seguito a Kazan, ad Astrakan e in Crimea continuarono a dominare –e quando non
vi riuscivano, a razziare- alcune regioni dell’Europa orientale fino al 1783, anno in cui si estinse
l’ultimo khanato quello di Crimea. A partire dal 1475, i khan di Crimea divennero vassalli degli
ottomani. Forze tàtare combatterono frequentemente,sotto il comando degli ottomani, contro nemici
europei, mentre le incursioni dei tatari contro i villaggi russi, ucraini, polacchi e lituani rifornirono
per secoli i mercati degli schiavi di Istanbul.
GLI EUROPEI PASSANO AL CONTRATTACCO: LE CROCIATE
Naturalmente, vi furono periodi in cui gli Europei passarono al contrattacco, in particolare con
quella serie di guerre che nella storiografia europea vanno sotto il nome di crociate. In anni recenti
si è affermata, sia nell’Europa occidentale che nel Medio Oriente, la consuetudine di considerare e
presentare le crociate come una manifestazione precoce dell’imperialismo occidentale,
un’aggressione indiscriminata e predatoria da parte delle potenze europee dell’epoca contro i paesi
mussulmani o, come diremmo oggi, arabi.
A quel tempo le crociate non erano viste sotto questa luce né dai cristiani né dagli stessi
mussulmani. Per i contemporanei cristiani, erano guerre religiose il cui fine era recuperare le terre
perdute dalla cristianità e in particolare recuperare la Terra Santa, dove Gesù era vissuto, aveva
insegnato e era morto. A questo proposito possiamo ricordare che quando i crociati raggiunsero il
Levante, erano trascorsi poco più di quattro secoli da che i conquistatori mussulmani arabi
avevano strappato quelle terre alla cristianità e che una porzione sostanziale della popolazione di
quelle terre, forse addirittura la maggioranza, era ancora cristiana. Nella storiografia araba
dell’epoca, incomparabilmente più ricca di quella dei crociati, i termini “crociata” e
“crociato” non compaiono affatto e anche i concetti che indicano sembrano assenti. Le
battaglie contro quegli invasori sono descritte con dovizia di particolari, ma essi sono
generalmente definiti con un appellativo etnico, quello di franchi, spesso semplicemente con
quello di infedeli, accompagnato da opportune imprecazioni, di rado con quello di cristiani.
Con poche eccezioni gli storici musulmani mostrano scarso interesse per la provenienza dei
franchi o l’epoca della loro venuta, e riferiscono del loro arrivo e della loro partenza con altrettanto
scarsa curiosità. A quell’epoca i musulmani erano deboli e divisi e il mondo islamico, a oriente
come a occidente, era ovunque in balìa di invasori barbari, sia esterni che interni: nomadi
provenienti dalle steppe del nord e dai deserti del sud, georgiani dal Caucaso, galiziani e normanni
dall’Europa.
Gli invasori franchi, che dapprima si presentarono come ausiliari del ben noto nemico bizantino per
poi passare ad agire indipendentemente, non dovettero apparire diversi dal resto. Nel suo aspetto
verbale, la “grande disputa” fra cristianesimo e Islam, descritta tanto eloquentemente da Edward
Gibbon, fu un monologo, dal quale l’interlocutore mussulmano era assente e del quale sembra
essere stato del tutto inconsapevole.
Nella prospettiva più ampia dei rapporti fra Europa e Islam, l’avventura delle crociate non fu che un
episodio; le sue uniche conseguenze misurabili, in seno al mondo islamico, furono un
miglioramento e un’espansione degli scambi commerciali con l’Europa e un peggioramento dei
rapporti con i cristiani di laggiù. Nell’altalena di attacchi e contrattacchi fra Cristianesimo e Islam,
quell’avventura incominciò con una vittoria tutt’altro che determinante dei cristiani e si concluse
con una loro disfatta, stavolta definitiva.
Per quasi mille anni, dal primo sbarco dei mori in
Spagna al secondo assedio turco di Vienna,
l’Europa rimase sotto la costante minaccia
dell’IslaM. Nei primi secoli, la minaccia era
duplice: non soltanto quella dell’invasione e della
conquista, ma anche quella della conversione e
dell’assimilazione. Tutte le province del regno
islamico, all’infuori delle più orientali, erano state
strappate a sovrani cristiani e la stragrande
maggioranza dei primi musulmani che si
incontravano a occidente dell’Iran e dell’Arabia
erano cristiani convertiti. Il Nordafrica, l’Egitto, la
Siria e persino l’Iraq, soggetto alla dominazione
persiana, erano stati paesi cristiani, in cui il
cristianesimo era più antico e aveva radici più
profonde che in gran parte dell’Europa. La loro perdita fu un duro colpo e accrebbe il timore che
un’analoga sorte attendesse l’Europa. In Spagna e in Sicilia la fede musulmana e la cultura araba
esercitavano un’attrazione potente, e persino quanti restavano fedeli alla religione cristiana
adottavano spesso la lingua araba.
Fu quel timore, più do ogni altro fattore, a determinare la nascita degli studi arabi in Europa, cioè
della disciplina cui secoli dopo venne dato il nome di orientalistica. Nei monasteri dell’Europa
occidentale, dotti monaci apprendevano l’arabo, traducevano il Corano e studiavano altri testi
musulmani con un duplice intento: primo, quello immediato di salvare anime cristiane dalla
conversione all’Islam; secondo, la speranza meno immediate di convertire musulmani al
cristianesimo. Ci vollero diversi secoli perché giungessero alla conclusione che la prima cosa non
era più necessaria e la seconda era impossibile.
L’EUROPA VISTA DAI MUSSULMANI
Se tale appariva il mondo islamico visto dall’Europa, come appariva l’Europa agli occhi del mondo
islamico? Molto simile, si potrebbe dire, a come l’Africa centrale appariva all’Inghilterra vittoriana.
Gli scritti arabi rispecchiano l’immagine di una landa selvaggia,remota e inesplorata, abitata da
genti esotiche, pittoresche e alquanto primitive delle quali non vi era nulla da temere e, meno ancor
da imparare. Pochi, intrepidi esploratori provenienti dalla Spagna musulmana e dal Nordafrica si
avventurarono negli angoli più sperduti dell’Europa e lasciarono ai posteri il resoconto dei loro
viaggi; nei loro scritti avvertiamo la stessa nota di disprezzo lievemente divertito che troviamo a
volte nei resoconti dei viaggiatori europei recatosi in Africa e in Asia molti secoli dopo.
Naturalmente gli Arabi erano consapevoli dell’esistenza di Bisanzio. Conoscevano e rispettavano la
civiltà degli antichi greci dell’Ellade e anche, quantunque in misura molto minore, dei greci cristiani
di Costantinopoli. Ma non nutrivano alcun rispetto – e per la verità non si vede perché dovessero
nutrirne – per l’Europa centrale e occidentale, la cui civiltà in epoca medievale era di un livello
notevolmente inferiore, sia sul piano morale che su quello materiale, rispetto alle terre che
formavano il nucleo centrale dell’Islam.
Tuttavia, malgrado questa visione dell’Europa non bizantina come remota e selvaggia propaggine
delle barbarie e della miscredenza, al tempo stesso vi era la consapevolezza che gli europei, persino
quelli dell’Europa occidentale, non erano dei semplici barbari come gli altri popoli che confinavano
con il mondo islamico a oriente e a meridione. Dopotutto erano seguaci di una religione vera,
superata ma pur sempre fondata su un’autentica rivelazione, quindi di gran lunga superiore ai
politeisti e agli idolatri che i musulmani incontravano in altre regioni. Al tempo stesso, a differenza
di quei politeisti e di quelli idolatri, gli europei non erano disposti a farsi convertire all’Islam né si
mostravano facilmente assimilabili, ma anzi restavano ostinatamente attaccati alla propria fede
superata con l’ambizione di farla prevalere sull’Islam.
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