EDIFICI MEDIEVALI NEL CENTRO STORICO DI TARANTO

Laboratorio Montessori
ISSN 1974-8787
Sabrina Scarpetta
EDIFICI MEDIEVALI
NEL CENTRO STORICO DI TARANTO
Il nostro itinerario prende il via con una chiesa che sicuramente rappresenta il simbolo della
nostra città, crocevia imprescindibile tra passato e futuro di Taranto: dal fascino che promana dalle
sue mura si avverte la sensazione di trovarsi di fronte ad un edificio ricco di fascino, carico di storia,
di leggenda, e gonfio di preghiere, di silenzi e di suppliche che per tanti secoli sono state rivolte al
santo che ivi viene venerato, e che rappresenta anche il santo patrono della città di Taranto: è san
Cataldo.
Arriviamo davanti alla facciata dell’imponente cattedrale attraversando l’arteria principale
del nucleo medievale di Taranto, via Duomo, detta anche strada maggiore poiché era già in età
greca un asse longitudinale che tagliava l’acropoli tarantina e perveniva al punto più alto della città,
l’area dove sorge la cattedrale, per poi declinare fino al mare, prendendo il nome di via cava.
Senza dubbio la cattedrale, fin dal momento in cui fu eretta, insieme con la cinta muraria
costruita e rinforzata da Giovanni d’Otranto, con i monasteri di San Pietro Imperiale (l’odierna San
Domenico) e di San Giovanni, ambedue sul lato occidentale, e le chiese dei Quaranta martiri, San
Teodoro e San Giorgio sul lato orientale, rappresentò da subito uno dei nuclei nevralgici della
Taranto alto-medievale.
La Cattedrale di San Cataldo (o Duomo di San Cataldo) di Taranto, inizialmente
dedicata a Santa Maria Maddalena, fu costruita ad opera dei Bizantini nella seconda metà del X
secolo, durante i lavori di ricostruzione della città voluti dall'imperatore Niceforo II Foca, a seguito
della terribile incursione saracena del 15 agosto del 928, oppure, secondo altre versioni, in un
momento di poco successivo al 967, quando la diocesi tarantina fu elevata al rango di arcivescovado
autocefalo di rito latino.
Sul vecchio impianto bizantino, negli ultimi anni del XI secolo, tra gli episcopati di Drogone
e Alberto, si costruì l'attuale cattedrale a pianta basilicale. Tuttavia la vecchia costruzione non fu
sostituita del tutto; il braccio longitudinale, ampliato e ribassato, incorporò la navata centrale e la
profonda abside bizantina rimase inalterata. L'altare è posto sotto la cupola e la vecchia navata
divenne il transetto, tagliato poi dalle navate laterali, lasciando in vista una serie di colonnine che
decoravano l'antica costruzione.
I muri esterni, di stile semplice, sono decorati da una serie di archetti a specchiature,
all'interno dei quali di disponevano conci bicolori simili a figure geometriche. La facciata antica,
non più esistente, doveva presentare simili forme. Qui si dovevano aprire probabilmente tre portali,
come in perfetto stile romanico. Altri due portali si aprivano lungo le pareti laterali. Nel XII secolo
fu innalzato il campanile normanno distrutto in seguito dal terremoto del 1456 e sostituito durante i
lavori di restauro dello Schettini nel 1952 con l'attuale.
Di questa prima fase di fabbricazione è tuttora chiaramente riconoscibile il capocroce
dell’attuale edificio ed il relativo sottocorpo. Viene ipotizzata la preesistenza di un edificio a pianta
cruciforme, con tre bracci voltati a botte e cupola all’intersezione, reimpiegato come capocroce
della cattedrale. Il quarto braccio, quello occupato poi dalla navata centrale, nella fase di
committenza normanna doveva forse essere simile agli altri tre, o di poco più esteso, e faceva
assumere alla struttura una pianta più propriamente a croce latina.
Sulle pareti interne ed esterne sono visibili delle archeggiature cieche, sulle quali sono poste
una serie di piccole colonne con relativi capitelli, decorati da motivi vegetali fortemente arcaizzanti,
e collegate ad archetti.
La facciata che vediamo è settecentesca, ed è tagliata orizzontalmente dall'architrave
spezzato tipico barocco, e purtroppo esula dal nostro campo d’indagine.
La cattedrale misura 84 metri di lunghezza e 24 larghezza, ha una navata centrale, due
laterali ed una trasversale. Le tre navate sono divise da una duplice serie di otto colonne sormontate
da capitelli di diversa fattura; alcuni di essi vennero prelevati da edifici classici all'epoca
abbandonati, e quindi reimpiegati nella cattedrale. Le pareti interne, sia quelle della cripta che
quelle della chiesa, furono arricchite di stucchi e affreschi, ormai dei quali resta molto poco.
Nel XIII secolo, lungo le navate laterali, si aprivano altari e cappelle gentilizie, abbattute e
ricostruite più volte. La più antica era certamente quella dedicata a Sant'Agnese, che sorgeva attigua
al braccio sud del transetto, successivamente divenuta l'attuale cappella del Sacramento. Il vano
attiguo fu destinato nel 1600 al battistero dove ancora oggi si può ammirare il fonte battesimale
della più antica chiesa bizantina; un unico blocco di marmo rotondo e concavo, sormontato da un
baldacchino retto da quattro colonne poligonali su cui poggiano le travi che reggono il cupolino
centrale. Sul lato sud sorgeva la cappella di Santa Marta eretta nel 1432 da Angelo de Budaliciis,
poi destinato a battistero. La tradizione vuole che qui era la cappella di San Giovanni in Galilea,
nella quale sarebbero state rinvenute le spoglie di San Cataldo.
Nella zona antistante la facciata, corrispondente all'attuale pronao, furono accolte le tombe
dei personaggi più illustri della città. La struttura è pianta rettangolare, coperta da una volta piana,
successivamente inglobata nella cattedrale ed all'esterno della quale si erge l'attuale facciata
barocca, opera dell'architetto leccese Mauro Manieri. Sulla parete sinistra del pronao vi è una tela
raffigurante l'ingresso di San Cataldo nella città di Taranto.
Le navate laterali sono ricoperte da un soffitto a capriate , mentre la navata centrale è
adornata da un pregevole soffitto a cassettoni detto il Cielo d'oro della Cattedrale. Il soffitto
originario venne distrutto da un incendio nella notte di natale del 1635. Quello odierno in noce,
venne iniziato dall’ Arcivescovo cardinale Egidio Albornoz e completato dall'Arcivescovo
Caracciolo.
Sul pavimento si possono notare frammenti di un mosaico realizzato nel 1160 dal mosaicista
Petroius su commissione dell'arcivescovo Giraldo. Un disegno eseguito nel 1844 mostra come
questo prezioso tappeto in pietra, così simile ai tappeti persiani, fosse composto di tre parti: una
mediana, sviluppata lungo la navata centrale, due laterali nelle navate minori.
La parte mediana cominciava con la rappresentazione della leggenda aviatoria di Alessandro
Magno, simbolo della superbia punita. A questo seguivano dieci tondi con figure. Le due navate
laterali invece comprendevano ciascuna una fascia di nove tondi con figure situate nel verso
contrario rispetto a quelle della parte mediana, affinché il visitatore, dopo aver percorso la navata
centrale, tornando da quella laterale, potesse osservarle nel giusto verso.
Iscrizioni varie inserite nel mosaico ci danno le informazioni circa la data di realizzazione, il
committente e l'esecutore. Per quel che riguarda le raffigurazioni dei vari animali, certamente
possono rinvenirsi significati simbolici, sia positivi che negativi, onde esaltare rispettivamente le
virtù o i vizi degli uomini, ma per lo più si tende a ritenere che fossero delle imitazioni di quegli
esseri mostruosi o fiabeschi, tipici dei tessuti orientali. In tal caso la loro presenza nei mosaici
pavimentali delle cattedrali doveva avere una funzione puramente decorativa.
Il Cappellone consta di due ambienti: un vestibolo quadrangolare e la cappella di forma
ellittica. Il vestibolo corrisponde all'antica cappella fatta costruire nel 1151 dall'arcivescovo Giraldo
per porvi le reliquie di San Cataldo.
Il vestibolo è arricchito di marmi policromi, di cui è anche composto il pavimento. Le opere
di maggiore interesse di questo vestibolo sono le due statue di San Giovanni Gualberto a destra e S.
Giuseppe a sinistra. La prima è stata recentemente attribuita da uno studioso locale, Alberto
Carducci, allo scultore napoletano Giuseppe Sanmartino.
Sulla vecchia cappella, ne fu costruita un'altra dalle dimensioni più ridotte, in cui si
trovavano le tombe dei Principi di Taranto.
La cripta, risalente con molta probabilità alla fase bizantina, presenta un impianto
cruciforme. Il braccio rivolto ad est sarebbe scomparso per far posto all'attuale scalinata, che
immette nella piccola cappella della Candelora, dove sull'altare si può ammirare un bassorilievo di
in stucco di scuola fiorentina della seconda metà del '400, raffigurante la Madonna in trono che
regge sulle ginocchia il Bambino.
È divisa da due navate, con colonne basse sormontate da lastre che fungono da capitelli,
sulle quali poggiano le volte a crociera a sesto rialzato di epoca tarda. Intorno si aprono delle
finestrelle, oggi ostruite dalle costruzione esterne.
Sulle pareti si notano dei frammenti di affreschi del duecento e del trecento, che un tempo
decoravano l'intero ambiente. Particolarmente significativo è il trittico raffigurante San Cataldo,
Santa Maria Maddalena e Santa Egiziaca, dove si può notare la sovrapposizione di immagini
risalenti ad epoche diverse.
Addossato alla parete orientale è visibile un sarcofago della fine del XIII secolo, sul quale un
bassorilievo raffigura un defunto (probabilmente una fanciulla) in ascesa, sorretto da due angeli.
Nel vano della cripta vi sono le tombe di alcuni Arcivescovi di Taranto.
Uscendo dalla cattedrale e proseguendo su via Duomo si può visitare il convento di San
Domenico.
Il convento di S. Domenico, nella sistemazione attuale,
risale alla metà del XIV secolo. Fu edificato, quindi, un
cinquantennio dopo l’omonima chiesa. Nello stesso
luogo, a partire almeno dall’ultimo ventennio del IX
secolo, è attestata già la fondazione del monastero di S.
Pietro Imperiale e le fonti documentarie riportano
inoltre che, qualche tempo dopo, nel 1080, il duca
Roberto il Guiscardo concedeva ai Benedettini di
Montecassino la prepositura (la sede del preposto, o
parroco) tarantina. La configurazione originaria del
complesso monastico è stata completamente modificata
da frequenti ristrutturazioni, di cui la più evidente,
collocabile fra il XVII e il XVIII secolo, si riconosce
nelle forme attuali del chiostro. Forti trasformazioni,
inoltre, ha subito il monumento a seguito di alcuni
cambi di destinazione d’uso, come l’ubicazione di una
caserma di cavalleria, con la soppressione murattiana
degli Ordini Monastici fra il 1806 e il 1809, o
l’assegnazione a sede del Comando della Regia Guardia
di Finanza successiva all’unità d’Italia. I lavori di
ristrutturazione del complesso monumentale hanno
consentito il recupero della facciata gotica, con portale
fiancheggiato da bifore, che prospetta attualmente sul
chiostro
settecentesco,
ma
che
immetteva
originariamente nel giardino, adibito anche a funzioni
funerarie, come è emerso dalle indagini stratigrafiche
eseguite durante i lavori di restauro e come
documentano attualmente i due sarcofagi in carparo
conservati nello spazio a verde. Il chiostro, a pianta
irregolare con bracci caratterizzati da volte a crociera,
presenta colonne con capitelli a foglie angolari realizzati
nel carparo locale. Si conservano, inoltre, alcuni settori
della tarda pavimentazione del percorso coperto, in
blocchetti di cotto sistemati a spina di pesce o a filari
lineari. Della decorazione pittorica delle superfici
murarie, in origine intonacate, sono ancora visibili, sulla
parete orientale del portico, deboli tracce relative a
soggetti di carattere religioso. Le ricerche archeologiche
condotte tra il 1989 e il 1994 hanno interessato alcuni
ambienti del convento a piano terra prospicenti via
Duomo, il giardino del chiostro e l’ala settentrionale
dello stesso a ridosso della parete e della fondazione
meridionale della chiesa di S. Domenico, consentendo
di analizzare le complesse e continuative fasi di
occupazione del sito, dall’età preistorica fino alle
vicende connesse con l’abbandono e il definitivo
degrado dell’edificio monastico in età moderna. La
presenza urbana più antica risale al neolitico, a partire
dal VI e fino al IV millennio a.C.. L’abitato del II
millennio (età del Bronzo) si pone in stretta relazione
con quelli del vicino Scoglio del Tonno (nella zona ora
occupata dalla ferrovia) e di Porto Perone – Saturo,
interessati da frequentazione micenea. Tracce
successive si riferiscono a strutture dell’insediamento
iapigio dell’età del Ferro (X -VIII secolo a.C.), su cui si
impostò la colonia spartana. Lungo l’ala settentrionale
del chiostro, è ancora possibile osservare dall’alto i resti
delle costruzioni (poderose opere di fondazione, alte più
di cinque metri, in blocchi di carparo messi in opera a
secco) della peristasi (camminamento perimetrale,
originariamente scandito da colonne) di un tempio,
costruito sull’acropoli della colonia greca di Taranto già
nel VI secolo a.C. e ristrutturato nel corso del secolo
successivo. Sono visibili anche le fondazioni del muro
perimetrale della cella (luogo destinato al culto)
dell’edificio templare, occupata successivamente, con
opportune modifiche anche di orientamento interno,
dalla chiesa cristiana. Di tale struttura sono riconoscibili
verso sinistra, sull’attuale parete meridionale della
chiesa confinante col chiostro, anche due ortostati
(blocchi di notevoli dimensioni posti di taglio), relativi
appunto al filare inferiore dell’elevato della cella del
tempio greco e ancora, quindi, nella collocazione
originaria. La frequentazione romana è attestata quasi
esclusivamente da due frammenti di architrave iscritti,
riutilizzati nella facciata trecentesca del convento, lungo
l’ala est del chiostro. L’iscrizione conservata nella
bifora più settentrionale riporta il testo: .CORMUS. II
[vir] (...Cormus duoviro...). L’altro frammento iscritto si
sviluppa su di un segmento dello stesso architrave
reimpiegato nello stipite di uno dei portali gotici del
convento, utilizzato per l’accesso allo spazio
originariamente destinato a giardino. Le lettere sono
incise sul margine superiore della fronte del blocco e
presentano le caratteristiche epigrafiche dell’altro
frammento. Dall’alto verso il basso si legge: . CN .
POMPEIUS . (...Cneo Pompeo…). Il carattere delle
iscrizioni proverebbe una fase di ristrutturazione verso
la metà del I secolo a.C., con relativa dedica nell’area
del santuario. Tali lavori potrebbero aver interessato
proprio lo stesso edificio templare.
Bibliografia:
•
•
Patizia De Luca - La Cattedrale di San Cataldo Editrice Scorpione - Taranto, 1997
Cosimo Damiano Fonseca - Taranto: la Chiesa,
le Chiese - Mandese Editore - Taranto, 1992