Laboratorio Montessori ISSN 1974-8787 Sabrina Scarpetta UN ESEMPIO DI SINCRETISMO…ARTISTICO: LA CATTEDRALE DI SAN CATALDO Palazzo dell’Arcivecovado a Taranto Edificio di antica origine, la residenza dei vescovi di Taranto è stata oggetto nell'ultimo decennio di un complesso programma di restauri sistematici, che hanno interessato tanto i prospetti interni ed esterni quanto gli ambienti di rappresentanza ai piani superiori. La fabbrica ben esprime con la sua monumentalità l'importanza della diocesi tarantina, che era di nomina regia e vantava una delle mense vescovili più ingenti del Regno di Napoli. Non esistono fonti documentarie certe in merito alla data di fondazione del palazzo; tuttavia gli storici concordano nel far risalire la sua edificazione alla seconda metà del XI sec., per volontà dell'arcivescovo Drogone, il promotore della ricostruzione della Cattedrale. Superato il portale d'ingresso, dominato dalla figura in marmo di San Cataldo benedicente, si entra nel cortile, dove si apre l'elegante accesso alla scalinata principale, dalle linee tipicamente settecentesche. L'intervento di restauro dell'atrio, condotto nel 2001, ha consentito di mettere in luce ciò che resta delle volte di un portico cinquecentesco, forse in origine esteso a tutti e quattro i lati della corte. I lavori eseguiti fra la fine del 2006 ed i primi mesi del 2007 hanno interessato gli ambienti del piano nobile che si sviluppano lungo Mar Grande e Piazza Arcivescovado, ai quali si accede dopo aver superato l'austero "salone dei Vescovi" e la "sala del trono". I risultati del restauro sono eccezionali. Rimossi vecchi strati di intonaco sono infatti venuti alla luce interi brani affrescati, che rimandano ad età e tematiche differenti. Le figure di santi, di notevole qualità pittorica, che decorano la sala che dà accesso alla cappella si datano alla prima metà del '600; al centro della composizione, due angeli reggono lo stemma dell'arcivescovo Caetani. Il corridoio in affaccio su Mar Grande è affrescato con un finto pergolato, a dare l'illusione di trovarsi in uno spazio aperto. Di particolare rilevanza le acquisizioni scaturite dall'intervento conservativo effettuato nella grande sala successiva, detta "del camino" appunto perché vi fu realizzato negli anni '60 un camino. Questa in origine si affacciava direttamente sul mare tramite tre arcate aperte lungo la parete meridionale. Per dare l'illusione di trovarsi ancora di fronte ad uno spazio vuoto, i restauratori hanno deciso di collocarvi all'interno tre grandi specchi. Una iscrizione dipinta ricorda che questi appartamenti ospitarono Re Ferdinando IV e sua moglie Carolina d'Austria, in visita a Taranto nella primavera del 1797. Per quell'occasione l'arcivescovo Giuseppe Capecelatro (1778-1818) fece completamente riaffrescare il lato meridionale della sala, con due angeli musicanti che reggono il mantello moscato dell'ermellino, segno distintivo della casa reale. I disegni che ornano le altre pareti sono riconducibili ad un periodo di pochi anni precedente, e furono probabilmente commissionati dallo stesso Capecelatro. Si tratta di una serie di delicati paesaggi entro cornici dipinte e di decorazioni chinoiserie negli ovali sopra le porte, che seguono le mode bucoliche ed "orientali" del periodo. Superati altri ambienti dalle volte affrescate si giunge in una graziosa saletta. Anche qui due strati di affreschi: per quello inferiore, di soggetto sacro, ci resta solo la rappresentazione del Monte Calvario. Di tematica completamente differente è lo strato superiore, caratterizzato da una elegante decorazione architettonica: sullo sfondo celeste di pareti e volta sono affrescati finti specchi, alcuni volatili ed una straordinaria porta dipinta, aperta verso una balaustra su cui è poggiato un vaso di fiori. Questa balaustra in particolare riproduce il modello di quella realmente realizzata a protezione della balconata in affaccio sul cortile interno, alla quale si accede dalla medesima sala. Di grande leggiadria, gli uccelli che si posano sulla cornice all'imposta della volta. Il cartiglio posto sull'architrave della porta dipinta indica la data del 1778; da fonti documentarie sappiamo che in quell'anno, più precisamente da maggio a novembre, il palazzo arcivescovile fu interessato da complessi lavori di ristrutturazione e decorazione, commissionati da monsignor Capecelatro. Fra le ricevute di pagamento, quella del pittore Michele Lenti, artista gallipolino piuttosto noto nell'ambito locale, e che aveva già lavorato a Taranto nel 1773 quando realizzò una tela per il Duomo (San Cataldo resuscita un morto). Di particolare interesse documentario gli affreschi scoperti alcuni anni fa in occasione dei lavori di restauro della biblioteca al piano terra, inaugurata nel 1797 sempre per volontà dell'arcivescovo Capecelatro. Nell'ampio salone, un ex magazzino successivamente occupato dalla congregazione di S.Gaetano e quindi dalla biblioteca, sono venuti alla luce dipinti raffiguranti busti di filosofi, reperti archeologici e monete, alcune delle quali realmente esistenti nella collezione di archeologia che il colto presule raccolse durante la sua permanenza a Taranto. Tale raccolta, successivamente smembrata, confluì in parte nel Gabinetto Nazionale di Copenaghen, dove si trova tuttora. Forse i locali in questione ebbero la funzione di una vera e propria wunderkammer, cioè di una "stanza delle meraviglie" in cui si raccoglievano curiosità naturalistiche o frutto dell'ingegno umano, secondo una moda tipica del gusto antiquario dell'epoca. La cattedrale di Taranto è la chiesa che sicuramente rappresenta il simbolo della nostra città, crocevia imprescindibile tra passato e futuro di Taranto: dal fascino che promana dalle sue mura si avverte la sensazione di trovarsi di fronte ad un edificio ricco di fascino, carico di storia, di leggenda, e gonfio di preghiere, di silenzi e di suppliche che per tanti secoli sono state rivolte al santo che ivi viene venerato, e che rappresenta anche il santo patrono della città di Taranto: è san Cataldo. Arriviamo davanti alla facciata dell’imponente cattedrale attraversando l’arteria principale del nucleo medievale di Taranto, via Duomo, detta anche strada maggiore poiché era già in età greca un asse longitudinale che tagliava l’acropoli tarantina e perveniva al punto più alto della città, l’area dove sorge la cattedrale, per poi declinare fino al mare, prendendo il nome di via cava. Senza dubbio la cattedrale, fin dal momento in cui fu eretta, insieme con la cinta muraria costruita e rinforzata da Giovanni d’Otranto, con i monasteri di San Pietro Imperiale (l’odierna San Domenico) e di San Giovanni, ambedue sul lato occidentale, e le chiese dei Quaranta martiri, San Teodoro e San Giorgio sul lato orientale, rappresentò da subito uno dei nuclei nevralgici della Taranto alto-medievale. La Cattedrale di San Cataldo (o Duomo di San Cataldo) di Taranto, inizialmente dedicata a Santa Maria Maddalena, fu costruita ad opera dei Bizantini nella seconda metà del X secolo, durante i lavori di ricostruzione della città voluti dall'imperatore Niceforo II Foca, a seguito della terribile incursione saracena del 15 agosto del 928, oppure, secondo altre versioni, in un momento di poco successivo al 967, quando la diocesi tarantina fu elevata al rango di arcivescovado autocefalo di rito latino. Sul vecchio impianto bizantino, negli ultimi anni del XI secolo, tra gli episcopati di Drogone e Alberto, si costruì l'attuale cattedrale a pianta basilicale. Tuttavia la vecchia costruzione non fu sostituita del tutto; il braccio longitudinale, ampliato e ribassato, incorporò la navata centrale e la profonda abside bizantina rimase inalterata. L'altare è posto sotto la cupola e la vecchia navata divenne il transetto, tagliato poi dalle navate laterali, lasciando in vista una serie di colonnine che decoravano l'antica costruzione. I muri esterni, di stile semplice, sono decorati da una serie di archetti a specchiature, all'interno dei quali di disponevano conci bicolori simili a figure geometriche. La facciata antica, non più esistente, doveva presentare simili forme. Qui si dovevano aprire probabilmente tre portali, come in perfetto stile romanico. Altri due portali si aprivano lungo le pareti laterali. Nel XII secolo fu innalzato il campanile normanno distrutto in seguito dal terremoto del 1456 e sostituito durante i lavori di restauro dello Schettini nel 1952 con l'attuale, simboleggiante il vecchio. Di questa prima fase di fabbricazione è tuttora chiaramente riconoscibile il capocroce dell’attuale edificio ed il relativo sottocorpo. Viene ipotizzata la preesistenza di un edificio a pianta cruciforme, con tre bracci voltati a botte e cupola all’intersezione, reimpiegato come capocroce della cattedrale. Il quarto braccio, quello occupato poi dalla navata centrale, nella fase di committenza normanna doveva forse essere simile agli altri tre, o di poco più esteso, e faceva assumere alla struttura una pianta più propriamente a croce latina. Sulle pareti interne ed esterne sono visibili delle archeggiature cieche, sulle quali sono poste una serie di piccole colonne con relativi capitelli, decorati da motivi vegetali fortemente arcaizzanti, e collegate ad archetti. La facciata che vediamo è settecentesca, ed è tagliata orizzontalmente dall'architrave spezzato tipico barocco. Sui tronconi sono adagiati due angeli che guardano il rettangolo del finestrone centrale sul quale campeggia la statua in pietra di San Cataldo. In basso si apre l'ampio portale sulla cui trabeazione è incastonato lo stemma dell'arcivescovo Stella. Sulle due fasce laterali suddivise in campi rettangolari si trovano quattro nicchie contenenti le statue di San Pietro e San Marco poste in basso ai lati del portale, e di San Rocco e Sant'Irene in quelle superiori. Le nicchie sono sormontate da medaglioni culminanti a conchiglia. Il finestrone è contornato da ornamentazioni floreali ed affiancato da due colonne tortili. Due angioletti adoranti fiancheggiano la statua di San Cataldo che sormonta il finestrone. Sull'architrave del grande portale è scolpito lo stemma dell'arcivescovo Stella che nel 1713 promosse la realizzazione dell'opera affidandola all'architetto leccese Mauro Manieri. La cattedrale misura 84 metri di lunghezza e 24 larghezza, ha una navata centrale, due laterali ed una trasversale. Le tre navate sono divise da una duplice serie di otto colonne sormontate da capitelli di diversa fattura; alcuni di essi vennero prelevati da edifici classici all'epoca abbandonati, e quindi reimpiegati nella cattedrale. Le pareti interne, sia quelle della cripta che quelle della chiesa, furono arricchite di stucchi e affreschi, ormai dei quali resta molto poco. Nel XIII secolo, lungo le navate laterali, si aprivano altari e cappelle gentilizie, abbattute e ricostruite più volte. La più antica era certamente quella dedicata a Sant'Agnese, che sorgeva attigua al braccio sud del transetto, successivamente divenuta l'attuale cappella del Sacramento. Alla sinistra dell'ingresso è ancora integra la cappella dedicata a San Giacomo, costruita ad opera di Giacomo Protontino nel 1568 ove sorgeva l'altare di San Lorenzo, successivamente dedicata alle Anime del Purgatorio. Il vano attiguo fu destinato nel 1600 al battistero dove ancora oggi si può ammirare il fonte battesimale della più antica chiesa bizantina; un unico blocco di marmo rotondo e concavo, sormontato da un baldacchino retto da quattro colonne poligonali su cui poggiano le travi che reggono il cupolino centrale. Sul lato sud sorgeva la cappella di Santa Marta eretta nel 1432 da Angelo de Budaliciis, poi destinato a battistero. La tradizione vuole che qui era la cappella di San Giovanni in Galilea, nella quale sarebbero state rinvenute le spoglie di San Cataldo. Nella zona antistante la facciata, corrispondente all'attuale pronao, furono accolte le tombe dei personaggi più illustri della città. La struttura è pianta rettangolare, coperta da una volta piana, successivamente inglobata nella cattedrale ed all'esterno della quale si erge l'attuale facciata barocca, opera dell'architetto leccese Mauro Manieri. Sulla parete sinistra del pronao vi è una tela raffigurante l'ingresso di San Cataldo nella città di Taranto. L'opera fu realizzata da Giovanni Caramia su commissione di Monsignor Sarria, nel 1675. Sulla parte destra, invece, si presenta un'altra tela, dipinta da Michele Lenti da Gallipoli e risalente al 1773. È rappresentato il Santo Patrono nell'atto di resuscitare un morto. Le navate laterali sono ricoperte da un soffitto a capriate , mentre la navata centrale è adornata da un pregevole soffitto a cassettoni detto il Cielo d'oro della Cattedrale. Il soffitto originario venne distrutto da un incendio nella notte di natale del 1635. Quello odierno in noce, venne iniziato dall’ Arcivescovo cardinale Egidio Albornoz e completato dall'Arcivescovo Caracciolo. Nel 1713, l'Arcivescovo Giovanni Battista Stella lo fece indorare a fuoco. È composto da quarantotto riquadri tra i quali vi sono incastonate due statue lignee raffiguranti San Cataldo e l'Immacolata. L'altare maggiore è sormontato da un ciborio del 1652 sorretto da quattro colonnine cilindriche di porfido d'origine greca dell'era pre-cristiana, al di sopra del quale si apre la cupola centrale con affreschi del pittore Domenico Torti da Roma. All'interno dell'abside vi è il coro quattrocentesco, nel quale si possono ammirare tre pregevoli tele: l' Adorazione dei Magi, risalente ai primi decenni del '700, l' Assunta, del XVIII secolo, e il Riposo in Egitto, datato nella seconda metà del XVII secolo. Tutte le tre tele sono di artisti ignoti. Sul pavimento si possono notare frammenti di un mosaico realizzato nel 1160 dal mosaicista Petroius su commissione dell'arcivescovo Giraldo. Un disegno eseguito nel 1844 mostra come questo prezioso tappeto in pietra, così simile ai tappeti persiani, fosse composto di tre parti: una mediana, sviluppata lungo la navata centrale, due laterali nelle navate minori. La parte mediana cominciava con la rappresentazione della leggenda aviatoria di Alessandro Magno, simbolo della superbia punita. A questo seguivano dieci tondi con figure. Le due navate laterali invece comprendevano ciascuna una fascia di nove tondi con figure situate nel verso contrario rispetto a quelle della parte mediana, affinché il visitatore, dopo aver percorso la navata centrale, tornando da quella laterale, potesse osservarle nel giusto verso. Iscrizioni varie inserite nel mosaico ci danno le informazioni circa la data di realizzazione, il committente e l'esecutore. Per quel che riguarda le raffigurazioni dei vari animali, certamente possono rinvenirsi significati simbolici, sia positivi che negativi, onde esaltare rispettivamente le virtù o i vizi degli uomini, ma per lo più si tende a ritenere che fossero delle imitazioni di quegli esseri mostruosi o fiabeschi, tipici dei tessuti orientali. In tal caso la loro presenza nei mosaici pavimentali delle cattedrali doveva avere una funzione puramente decorativa. Il Cappellone consta di due ambienti: un vestibolo quadrangolare e la cappella di forma ellittica. Il vestibolo corrisponde all'antica cappella fatta costruire nel 1151 dall'arcivescovo Giraldo per porvi le reliquie di San Cataldo. Il vestibolo è arricchito di marmi policromi, di cui è anche composto il pavimento. Le opere di maggiore interesse di questo vestibolo sono le due statue di San Giovanni Gualberto a destra e S. Giuseppe a sinistra. La prima è stata recentemente attribuita da uno studioso locale, Alberto Carducci, allo scultore napoletano Giuseppe Sanmartino. Sulla vecchia cappella, ne fu costruita un'altra dalle dimensioni più ridotte, in cui si trovavano le tombe dei Principi di Taranto. I lavori furono avviati nel 1657 dall'arcivescovo Caracciolo, e conclusi dopo circa cinquant'anni dall'arcivescovo Pignatelli. I coloratissimi marmi intarsiati che rivestono le pareti furono ricavati dalle rovine degli edifici classici, sparse in gran quantità nel sottosuolo dell'acropoli e non solo. La tomba del Santo è posta all'interno dell'altare in marmo, ed è visibile attraverso una grata marmorea e finestrelle laterali. L'altare è opera del Lombardelli, marmoraro di Massa Carrara, ed è impreziosito da madreperle e lapislazzuli. Al di sopra di esso si apre una nicchia nella quale è conservata la statua argentea del Santo Patrono. La splendida cupola è stata affrescata da Paolo De Matteis nel 1713, con scene della vita e dai miracoli del Santo. L'intera opera costò 4.500 ducati. Al centro è rappresenata la Gloria di San Cataldo, con la figura del Santo che troneggia, inginocchiato di fronte alla Vergine che lo invita ad accostarsi al trono di Dio. In alto la SS. Trinità, in basso i Santi. Il tamburo che sorregge la cupola è affrescato con sette rappresentazioni dei miracoli del Santo; sul lato sinistro il Santo resuscita un operaio, un bambino portato in braccio dalla madre, un cieco che riacquista la vista durante il battezzo. A destra San Cataldo prega sul sepolcro e riceve l'ordine di recarsi a Taranto, una pastorella gli indica la via e riacquista la voce, una fanciulla indemoniata si libera dal demonio baciando il sepolcro del Santo. Tutt'intorno una corona di nicchie adorna il cappellone, nelle quali vi sono dieci splendide statue in marmo di Carrara raffiguranti: San Marco, Santa Teresa, San Domenico, San Filippo Neri, San Pietro a destra, a sinistra San Sebastiano, Sant'Irene, San Francesco d'Assisi, San Francesco da Paola, San Giovanni Battista. Il cappellone di San Cataldo è oggi il vanto più grande della città, considerato massima espressione del barocco pugliese, ammirato da grandi ed importanti critici d'arte, tra i quali Vittorio Sgarbi, molti dei quali lo hanno definito "la Cappella Sistina del sud". La cripta, risalente con molta probabilità alla fase bizantina, presenta un impianto cruciforme. Il braccio rivolto ad est sarebbe scomparso per far posto all'attuale scalinata, che immette nella piccola cappella della Candelora, dove sull'altare si può ammirare un bassorilievo di in stucco di scuola fiorentina della seconda metà del '400, raffigurante la Madonna in trono che regge sulle ginocchia il Bambino. È divisa da due navate, con colonne basse sormontate da lastre che fungono da capitelli, sulle quali poggiano le volte a crociera a sesto rialzato di epoca tarda. Intorno si aprono delle finestrelle, oggi ostruite dalle costruzione esterne. Sulle pareti si notano dei frammenti di affreschi del duecento e del trecento, che un tempo decoravano l'intero ambiente. Particolarmente significativo è il trittico raffigurante San Cataldo, Santa Maria Maddalena e Santa Egiziaca, dove si può notare la sovrapposizione di immagini risalenti ad epoche diverse. Addossato alla parete orientale è visibile un sarcofago della fine del XIII secolo, sul quale un bassorilievo raffigura un defunto (probabilmente una fanciulla) in ascesa, sorretto da due angeli. Nel vano della cripta vi sono le tombe di alcuni Arcivescovi di Taranto. Bibliografia • Patizia De Luca - La Cattedrale di San Cataldo - Editrice Scorpione - Taranto, 1997 • Cosimo Damiano Fonseca - Taranto: la Chiesa, le Chiese - Mandese Editore - Taranto, 1992