La Biennale di Venezia
53. Festival Internazionale di Musica Contemporanea
Il Corpo del Suono
Direttore Luca Francesconi
Venezia, 25 settembre > 3 ottobre 2009
in collaborazione con
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Venerdì 25 settembre > 3 ottobre
Foyer del Teatro alle Tese
performance
SUGURU GOTO
RoboticMusic
per 5 percussionisti robot
in collaborazione con IRCAM Parigi
Un viaggio ai confini del suono con un’intera orchestra di musicisti androidi che rispondono a un
direttore virtuale con sensibilità umana. E’ il futuro prossimo, tra fantascienza e realtà, verso cui si
indirizza la ricerca musicale di Suguru Goto (1966), esponente di punta della nuova generazione
giapponese di artisti sperimentali e di una cultura che ha dato un contributo importante al mondo della
robotica, forgiato nell’area colta della musica contemporanea, tra Stati Uniti, Giappone e Germania,
attualmente residente a Parigi e membro di un gruppo di ricerca dell’Ircam.
Se l’idea di ensemble automatizzati, azionabili semplicemente premendo un bottone, ha sempre
affascinato la mente umana - si pensi agli intonarumori del futurista Luigi Russolo o al Man and
Machine Ensemble del compositore belga Goldfried-Willem Raes - con l’avvento dell’elettronica prima
e della cibernetica oggi, tutto quello che era invenzione immaginata dalla fantascienza diventa realtà
concreta. Un nuovo universo si dischiude rivoluzionando il rapporto uomo macchina, spostando
costantemente il limite tra umano e non umano. E’ l’universo prodigioso e tecnologico di Suguru Goto,
inventore di dispositivi che trasformano ogni impulso in azione sonora, musicale e visiva: come gli
strumenti virtuali, con interfacce che determinano il rapporto tra gesto umano e computer, generando e
trasformando suoni e immagini in tempo reale; o come il Bodysuite, tuta per musicisti-danzatori che
attraverso un sistema di sensori interagisce tra movimento del corpo, audio generato e immagini; o
come i musicisti robot che suonano strumenti acustici con gestualità umana con l’ausilio di un
computer.
RoboticMusic, la performance proposta in apertura di Festival, coinvolge 5 percussionisti robot capaci
di “ampliare - dice Suguru Goto - le possibilità di una intera orchestra di percussioni”. Più veloci,
precisi, resistenti, capaci di ripetere lo stesso gesto con la stessa forza per un tempo infinito, i musicisti
robot superano il limite fisico e le possibilità esecutive dell’uomo: possono suonare ritmi complessi,
affrontare partiture “impossibili”, allargare le possibilità compositive con gli strumenti acustici, in una
parola farci conoscere musica che non avevamo mai sentito prima.
Anche sul piano della ricerca la roboticmusic offre possibilità diverse, per esempio di studiare e
conoscere i movimenti complessi di un gesto umano: “il musicista sa come suonare uno strumento spiega Suguru Goto - ma trova maggior difficoltà a spiegare esattamente come controlla ogni parte dei
suoi muscoli e in che misura aumenta o riduce istintivamente la velocità e l’intensità in un solo istante”.
E se in futuro, oltre a controllare i movimenti del corpo, si tratterà di costruire un computer che abbia
le capacità emozionali e intuitive dell’uomo, si potrà cominciare a capire anche la complessità del
cervello umano.
Suguru Goto (Tokio, 1966) - Dopo aver studiato composizione e pianoforte in Giappone, si è trasferito negli Stati Uniti
per continuare i suoi studi al New England Conservatory di Boston. Ha studiato composizione con Lukas Foss e Earle
Brown negli Stati Uniti; con Robert Cogan al New England Conservatory e con Tristan Murail all’Ircam di Parigi. Noto a
livello internazionale, ha ricevuto numerosi premi e borse di studio, fra cui: Koussevitzky Prize, Boston Symphony
Orchestra Fellowship, First Prize - Marzena International Competition (Seattle. Usa), IMC International Rostrum of
Composers dell’UNESCO (Parigi). I suoi lavori sono stati presentati nei maggiori festival, come Resonaces/IRCAM, Sonar,
CICV-Les Nuits Savoureuses, ICC, Electrofolie, Haus der Kultures der Welt – Haimat Kunst, ISEA 2002, NIME 20042005-2006, Olhares-Outono, Ressonancias, Audiovisionen, Utopiales Festival, AV Festival, Mixed Media Festival. Nel 1995
la sua prima opera NADA (Media Opera) è stata messa in scena allo Shaauspielhaus di Berlino. Nello stesso anno, si è
trasferito a Parigi per realizzare un progetto all’IRCAM. Nel 1996, il suo VirtualAERI ha debuttato in prima assoluta
all’Espace de projection dell’IRCAM. Nel 2003 un suo concerto è stato presentato al Centre Pompidou a Parigi. Tre anni
dopo RoboticMusic è stato commissionato dal Festival AV di Newcastle (Gran Bretagna), dedicato all’arte elettronica,
immagini in movimento e musica. Svolge la sua attività di ricerca nel gruppo “Gestural Controller” dell’IRCAM di Parigi dal
1995; recentemente sta lavorando sugli strumenti a fiato robotizzati con Artificial Mouth sempre all’IRCAM. Fra i suoi primi
lavori, ricordiamo: Gen-Ei per flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba, trombone, tuba, percussioni, arpa, pianoforte,
violino, viola, violoncello, contrabbasso (1989, Tanglewood Music Center, Lenox); Kinesta per flauto, clarinetto, percussioni,
pianoforte, violino, violoncello (1990, Jordan Hall, Boston); Trio per flauto, violino, pianoforte (1993, Hokutopia, Tokyo);
Five Subjects for Time per tromba e pianoforte (1994, BKA, Berlino); Rime Resonance per arpa, percussioni, pianoforte, celesta,
violini, viola, violoncello, contrabbasso (1989-1990, Aspen Music Festival, Colorado).
Venerdì 25 settembre ore 17.00
Teatro alle Tese
BESTE / VARÈSE / ANTHEIL / KOURLIANDSKI
orchestra
Ansgar Beste Danse canonique 2 per 15 archi preparati (ver. 2009, 10’) prima es. ass. (commissione La
Biennale di Venezia)
Edgar Varèse Integrales per percussioni e piccola orchestra (1925, 10')
Edgar Varèse Hyperprism per percussioni e piccola orchestra (1923, 3')
Georges Antheil Ballet mécanique per 4 pianoforti mezza coda amplificati, 4 xilofoni, 2 campane
elettriche, timpani, glockenspiel, 2 motori aerei, 10 percussioni (ver. 1953, 16’)
Dmitri Kourliandski Emergency Survival Guide per automobile e orchestra (2009, 10-15’) prima es. ass.
(commissione La Biennale di Venezia)
direttore Maurizio Dini Ciacci
in collaborazione con Porsche Italia
con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento
Orchestra J Futura
Edgard Varèse e Georges Antheil, Dmitri Kourliandski e Ansgar Beste: dai pionieri della più radicale
liberazione del suono, quelli che negli anni venti del ‘900 hanno abbattuto tutte le barriere percorrendo
territori totalmente inesplorati, alle propaggini contemporanee in cui queste premesse sono germinate.
Il panorama sonoro inizia ad allargarsi nei primi anni del “secolo breve”, quando con un gesto eclatante
e provocatorio l’americano di origini tedesche Georges Antheil (1900-1959) compose Ballet
mécanique - era il 1924 – per 16 tastiere meccaniche sincronizzate, 2 pianoforti con pianisti dal vivo,
percussioni (3 xilofoni, 4 grancasse, 1 gong, incudini), 3 eliche d’aeroplano di dimensione e materiali
diversi, 7 campane elettriche, clacson. La prima esecuzione, avvenuta a Parigi nel 1926 e passata agli
annali della cronaca, fu accolta fra ondate di entusiasmo e di aperto dissenso, con uno spettatore che –
leggenda vuole - aprì l’ombrello fingendo di proteggersi dal diluvio di suoni; alla Carnegie Hall di New
York, l’anno successivo, l’esecuzione registrò un clamoroso insuccesso.
Nato in pieno clima dadaista come colonna sonora dell’omonimo film del pittore Fernand Léger e del
cineasta Dudley Murphy, le due opere ebbero destini separati almeno fino ai nostri giorni. D’altronde la
musica di Ballet mécanique fu eseguita nella sua concezione originaria soltanto alle soglie del 2000 e
grazie alle nuove tecnologie. Accanto a questa versione, Antheil fece infatti una revisione per la prima
esecuzione parigina, cui seguì un’altra revisione nel ’53, ancora oggi la più conosciuta ed eseguita.
Se le incomprensioni e le difficoltà di esecuzione di un pezzo che proietta la musica nel futuro
porteranno Antheil a rinunciare alla ricerca, Edgard Varèse (1885-1965), a chi gli rimproverava di
comporre musica troppo in anticipo sui tempi, rispondeva: “Non è troppo presto, ma forse troppo
tardi”. E con passione ostinata il compositore franco-americano, abbandonata l’Europa per l’America,
non cesserà di sperimentare, influenzando negli anni a venire schiere di autori proprio nel vecchio
continente, trovando incondizionati ammiratori fino ai nostri giorni, dai darmstadtiani a Frank Zappa,
tutti appassionati che nel suo pensiero e nella sua opera riconoscono l’esperienza più avanzata sul
suono.
Quasi tutti i caposaldi del conciso catalogo di Varèse percorrono il Festival come un filo sotterraneo,
innescando connessioni, sollecitando confronti che moltiplicano i significati delle opere presentate in
programma. Hyperprism e Integrales, i primi titoli proposti in concerto, sono brani in cui si precisa
l’estetica di Varèse: il compositore azzera tutti i parametri e gli elementi organizzativi della costruzione
musicale occidentale, inizia a capovolgere i rapporti tra gli strumenti nell’orchestra privilegiando fiati e
percussioni, dando vita a una inedita coloritura orchestrale. La prima esecuzione di Hyperprism, basata
sull’idea di scomporre i suoni come il prisma con i colori, isolandone i singoli componenti come
frequenze, durate, intensità, fu un grandissimo scandalo, ma segnò anche l’ingresso in un universo
musicale totalmente nuovo.
A incorniciare i brani storici di Antheil e Varèse, di cui rappresentano la radicalizzazione estrema, sono
Danse canonique 2 dello svedese Ansgar Beste (1981), presentato in prima italiana con l’inconsueto
organico di 15 archi preparati, e Emergency Survival Guide del russo Dmitri Kourliandski (1976),
composto su commissione della Biennale di Venezia, con un effettivo altrettanto insolito, costituito da
automobile e orchestra.
Esponente di una generazione considerata erede del costruttivismo russo degli anni ’20 e caratterizzata
da una vena di “catastrofismo tecnologico”, Kourliandski pensa i musicisti e i loro strumenti come parti
di un oggetto monolitico, e spesso suonano “tutti” dall’inizio alla fine, come un unico meccanismo.
Nella “musica oggettiva” di Kourliandski non c’è evoluzione o azione, ma la creazione di un
meccanismo azionato premendo un pulsante. E gli ascoltatori sono invitati a osservare il
funzionamento del pezzo. “Quando mettiamo un oggetto in una situazione insolita, perde la sua
funzione usuale e ne acquisisce una nuova – la situazione lo annulla, l’oggetto non è più lo stesso –
scrive Kourliandski nelle note di presentazione di Emergency Survival Guide. Un oggetto trasferito dal
mondo materiale allo spazio artistico diventa un’immagine, da vedere o da ascoltare: esattamente come
la pipa di Magritte non è assolutamente una pipa. E’ impossibile oltrepassare i confini dell’arte. Anche
in automobile… Seguendo l’esempio della pipa di Magritte, la composizione potrebbe intitolarsi anche
“Non è un’automobile”.
L’idea principale che sottende invece Danse canonique 2 - scrive Beste - “è uno sviluppo timbrico in sei
‘movimenti’ che vanno dalla preparazione di un suono secco e percussivo a quella di un suono
rafforzato e distorto. Questo effetto è ottenuto con sei diverse tecniche strumentali: pizzicando gli
oggetti utilizzati per la preparazione oppure le corde, percuotendo le corde con il crine oppure con il
legno dell’archetto, strisciando le corde con un pettine di plastica oppure con l’archetto normale. Il
pezzo è ritmicamente strutturato secondo un modo contrappuntistico canonico. Il primo canone
(movimenti 1 e 2) appare come una danza moderatamente tesa di attacchi pizzicati e tintinnanti, il
secondo (movimenti 3 e 4) conduce ad un misterioso anticlimax (nel mezzo) e il terzo e ultimo canone
(movimenti 5 e 6) crea un lungo crescendo fino ad un estatico culmine finale”.
Interprete di questo concerto è la giovanissima e dinamica Orchestra J Futura. Fondata nell’agosto
2006 per volontà dell’imprenditrice trentina Paola Stelzer e di Maurizio Dini Ciacci che ne diviene il
Direttore Artistico, l’Orchestra, formata da giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, si configura
come un complesso dotato di grande versatilità stilistica ed esecutiva, testimoniata da un’attività fra cui
spiccano: i “Concerti sacri” nel Duomo di Verona, l’Opera di F. Poulenc La voix humaine presso il
Teatro Donizetti di Bergamo e il Teatro Malibran di Venezia in collaborazione con la Fondazione
Teatro la Fenice, una serie di concerti in Austria, la partecipazione ai Festival di Barga e della Wallonie
(Belgio). Tutti i progetti che l’orchestra realizza sono preceduti da una fase preparatoria svolta da
qualificati docenti di sezione. Maurizio Dini Ciacci, in veste di Direttore Artistico dell’Orchestra,
trasferisce al complesso l’esperienza di musicista acquisita lungo una carriera che si svolge fra l’Italia e
l’estero.
Ansgar Beste (Malmö, 1981) - Nato in Svezia, Ansgar Beste ha vissuto in Germania dal 1990 al 2007, dove ha studiato
all’Accademia musicale di Weimar dal 2002 al 2007, seguendo cinque corsi diversi: “kappellmeister”, composizione con
Michael Obst, pianoforte, teoria musicale e management delle arti. Tra il 2007 e il 2009 ha frequentato il master in
composizione all’Accademia di musica di Malmö, in Svezia, con Luca Francesconi. Grazie alla sua formazione
internazionale, Ansgar Beste ha potuto seguire l’insegnamento di direttori come Jorma Panula, Howard Arman, Sylvain
Cambreling e di compositori come Helmut Lachenmann, Brian Ferneyhough e Wolfgang Rihm. La sua musica è stata
eseguita, tra gli altri, da Garth Knox, Shizuyo Oka/Asa Akenberg (Ensemble Recherche), Musica Vitae e Swedish Wind
Ensemble.
Dmitri Kourliandski (Mosca, 1976) - Diplomatosi al Conservatorio di Mosca, ha completato i suoi studi sotto la guida di
Leonid Bobylev. Ha frequentato masterclass di molti compositori, sia russi che stranieri. Nel 2003 ha vinto il Gran Prix
dell’International Gaudeamus Competition nei Paesi Bassi. Sono numerose le occasioni in cui sono state eseguite sue opere:
dai Festival di Berlino e Dresda a quelli di Schleswig-Holstein e Varsavia, da Musica Nova in Finlandia a Aspekte Festival in
Austria. Ha lavorato con direttori quali Vladimir Fedoseev, Vladimir Ziva, Teodor Currentzis, Reinbert de Leeuw, Zsolt
Nagy. Le sue composizioni sono state interpretate da orchestre ed ensemble di musica contemporanea come KlangForum
Wien, Asko e Schoenberg ensemble, Aleph, Slagwerkgroep den Haag, Champ d'action. Fondatore e direttore della rivista
“Tribuna Sovremennoi Muzyki”, prima pubblicazione in Russia dedicata alla musica contemporanea, è cofondatore
dell’associazione di compositori Structural Resistance (StRes) nonché membro dell’Unione Russa dei Compositori.
Venerdì 25 settembre ore 20.00
Teatro La Fenice
RIHM / REHNQVIST / LIGETI / VARÈSE
orchestra
Wolfgang Rihm Formen / Zwei formen (hommage à Edgar Varèse) per ensemble (1993–1994, 9’)
Karin Rehnqvist Solsången (Sun Song) per voce femminile, 2 voci recitanti e orchestra (1994, 29’) prima
es. it.
György Ligeti Lontano per grande orchestra (1967, 10’)
Edgard Varèse Arcana per orchestra (1927, 18’)
voce Lena Willemark
direttore Joana Carneiro
Orchestra Sinfonica del Teatro La Fenice
E’ la trentaduenne portoghese Joana Carneiro, una delle più brillanti direttrici d’orchestra attualmente
sulle scene, a dirigere la prestigiosa Orchestra del Teatro La Fenice nel concerto inaugurale del 53.
Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Fresca di nomina alla direzione musicale della
Berkeley Symphony Orchestra dove è succeduta a Kent Nagano, già direttore assistente con Esa-Pekka
Salonen alla Los Angeles Philarmonic e direttore ospite principale della Gulbenkian Orchestra, Joana
Carneiro impagina un programma che spazia da Wolfgang Rihm e Karin Rehnqvist, rispettivamente
presenti con Form/Zwei Formen e Solsången, quest’ultimo in prima italiana, a Ligeti e Varèse, con brani
celebri come Arcana e Lontano, che illuminano la loro tecnica e il loro pensiero musicale.
Se i concerti del pomeriggio affiancano compositori che, con diverse sfumature linguistiche, operano
sul suono inteso come materia, il concerto inaugurale, attraverso la figura di una delle massime
compositrici scandinave, Karin Rehnqvist (1957), mette in luce un’altra prospettiva del Festival: la
forza primordiale della musica, che nasce con il corpo e nel legame con la terra. Esplorando con
assoluta originalità l’area tra musica d’arte e musica etnica, Karin Rehnqvist ha soprattutto approfondito
la straordinaria tecnica vocale del kulning, legata al mondo femminile, al modo delle donne di riunire le
greggi sparse con richiami acutissimi: “una tecnica che possiede una potenza drammatica assolutamente
fisica, che chiama in causa tutto il corpo, espressa con una qualità di voce e una forza dirette,
paragonabili a quelle di una tromba” (K. Rehnqvist). Il brano in concerto, Solsången, ovvero Sun Song,
costruito attorno a testi poetici e scientifici antichi e recenti, anche di tradizione orale, è stato composto
per la cantante folk-jazz, Lena Willemark, nota in tutta Europa per i suoi dischi, e che qui presta la sua
prodigiosa voce. Con Sun Song la Rehnqvist crea la magia di una musica, come ha scritto Guy Rickards
su “Gramophone”, insieme “radicalmente nuova e antichssima”.
Form/Zwei Formen di Wolfgang Rihm (1952), autore tra i più eseguiti e richiesti in patria e
all’estero, riallaccia sottili intrecci con l’universo varèsiano. “Scritta per due flauti, due clarinetti bassi,
due corni, due trombe, tre tromboni, basso tuba, tuba contrabbasso, cinque percussioni e contrabbasso
solista, Form/Zwei Formen riprende, solo con qualche piccola modifica, - scrive Andrea Zietzschmann l’effettivo di Déserts di Edgard Varèse. Wolfgang Rihm ha rinunciato al pianoforte e al nastro magnetico
che sostituisce con un contrabbasso a cinque corde e ha ridotto la percussione alla famiglia dei metalli
di grandi dimensioni. In questo ‘flusso scultoreo’, immagine che Morton Feldman usava per qualificare
la musica di Varèse, tutto è contrasto dinamico e ritmico, sovrapposizione di timbri in stratificazioni
sonore accentuate dagli ottoni. A qualche battuta dalla fine, quest’opera essenzialmente potente
modifica bruscamente il suo discorso per concludersi in pianissimo nel registro più grave del
contrabbasso, dei timpani e della grancassa”.
Dopo Hyperprism e Integrales, per Varèse (1885-1965) è la volta di Arcana, eseguito per la prima volta
nel 1926 da Leopold Stokowski all’Accademia musicale di Filadelfia. Sul frontespizio della partitura
Varèse riportava una citazione tratta dall’Astronomia Ermetica di Paracelso: “… una Stella esiste, più in
alto delle altre. E’ la Stella Apocalittica. La seconda Stella è quella dell’Ascendente. La terza è quella
degli Elementi che si presenta in numero di quattro, cosicché le sei Stelle sono stabilite. Oltre ad esse
c’è ancora un’altra Stella, l’Immaginazione, che fa nascere una nuova Stella e un nuovo Cielo”.
Malgrado i dissensi causati dalle esecuzioni delle sue opere, alcuni critici attenti avevano riconosciuto il
valore di Varèse e in una recensione dell’epoca apparsa sul Christian Science Monitor si legge: “Si può
dire che quest’opera segna una data importante nella storia dell’arte…e probabilmente è la prima vera
partitura originale per grande orchestra che sia stata composta in America dall’inizio del secolo”.
Fra i brani più noti di Ligeti (1923-2006), che diedero fama internazionale al compositore ungherese, è
sicuramente da porre Lontano. Composto nel ’67, il brano offre un esempio del suo concetto di
immobilità e di quell’effetto che il compositore stesso definiva di “coltre sonora”. Come per Atmosphères
e i brani coevi, che propongono lo stesso discorso musicale, siamo di fronte ad una grande orchestra
senza percussioni. Eseguito per la prima volta a Donaueschingen, in quello stesso ’67, dall’Orchestra di
Baden cui era dedicata insieme al direttore Ernest Bour, è Ligeti, nelle note di programma, ad esprimere
l’idea che effonde da questa scrittura musicale così particolare: “dietro la musica c’è un’altra musica, e
un’altra dietro ancora, in una prospettiva infinita, come quando ci si riflette in uno specchio doppio”.
Karin Rehnqvist (Svezia, 1957) Autrice di musica da camera, d’orchestra e vocale, Karin Rehnqvist è eseguita in tutta
Europa, negli Stati Uniti e in Scandinavia. Tra il 1976 e il 1991 è stata direttrice artistica del coro Stans Kör. Tra il 2000 e il
2004 è stata compositrice in residenza per la Scottish Chamber Orchestra e ha collaborato con la Svenska
Kammarorkestern. Per i due ensemble ha composto una serie di opere, fra cui un concerto per il giovane clarinettista Martin
Fröst, e Arktis Arktis!, il suo pezzo più eseguito, ispirato a una spedizione polare a cui partecipò la stessa Rehnqvist
nell’estate del 1999. Più recentemente la sua sinfonia corale Light of Light, che ha come protagonisti un coro di bambini e
un’orchestra sinfonica, è stata particolarmente segnalata dalla critica alla prima parigina nel 2004, ed è stata eseguita
successivamente in Gran Bretagna e in Svezia. Fra i premi ricevuti: Läkerol Arts Award “per la capacità di rinnovare la
relazione tra musica folk e musica d’arte” (1996); Spelmannen Award del quotidiano Expressen (1996); Christ Johnson Prize
per Solsången (1997); Kurt Atterberg Prize (2001) e Rosenberg Award (2006). Nell’aprile 2006, la Royal Stockholm
Philarmonic Orchestra ha presentato una grande retrospettiva della sua musica. Oltre all’esecuzione dei lavori chiave di tutta
la sua carriera, l’orchestra le ha commissionato un nuovo brano, Préludes per grande orchestra, salutato dall’unanime
consenso della critica. Recentemente le è stata commissionata un’opera dalla Royal Swedish Opera.
Wolfang Rihm (Karlsruhe, Germania 1952) Allievo di composizione alla Musikhochschule di Karlsruhe con Eugen Werner
Velte (1968-72), perfezionatosi a Colonia con Karlheinz Stockhausen (1972–73) e a Friburgo con Klaus Huber (1973–76), si
laurea anche in musicologia all’Università di Friburgo con Hans Heinrich Eggebrecht. La sua prima visita a Darmstadt, per
gli Internationalen Ferienkurse Für Neue Musik, è del 1970 e dal 1978 ne è docente. Dopo essere stato artista ospite
dell’Accademia Tedesca a Villa Massimo – Roma, nel 1981 insegna per un breve periodo a Monaco per poi assumere
l’incarico di professore di composizione alla Musikhochschule di Karlsruhe. Vincitore dei premi Fondazione Prince Pierre di
Monaco, Bach-Preis di Amburgo, Royal Philharmonic Society, Ernst von Siemens, Rihm è stato compositore residente dei
Festival di Salisburgo, Strasburgo e Lucerna. Talento precoce - le sue prime composizioni risalgono all’infanzia (1963) - e
prolifico – con un catalogo vastissimo, dato eccezionale nella nuova musica - nel corso della sua carriera ha composto opere
di teatro musicale, pezzi orchestrali, vocali e corali, da camera e per pianoforte. Tra le opere di teatro musicale che lo hanno
imposto tra le personalità di rilievo assoluto in questo campo figurano Jakob Lenz (1977-78), la Kammeroper; Hamletmaschine
(1983-86) su testi di Heiner Müller; Die Eroberung von Mexico (1987-1991) da Antonin Artaud, Séraphin (1994). Tra le
composizioni vocali e strumentali, la serie degli Chiffre per ensemble e quella delle Klangbeschreibung per orchestra; il ricco
catalogo per quartetto d’archi; il concerto per violino Gesungene Zeit, registrato da Anne-Sophie Mutter con la Chicago
Simphony Orchestra diretta da James Levine; Frau/Stimme (1988-89) per voci e orchestra; Jagden und Formen (2000).
Sabato 26 settembre ore 11.00
Sale Apollinee – Teatro La Fenice
INCONTRO CON GYORGY KURTÁG
Leone d’oro alla carriera per la musica
Leone d’oro alla carriera del 53. Festival di Musica Contemporanea, il compositore ungherese
György Kurtág (1926), “colui che ha saputo mettere il mondo in un suono”, sarà protagonista di un
incontro con il pubblico e la critica nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice.
Secondo la motivazione del premio, “L'antinomia poetica di Kurtág riassume bene il carattere
struggente della sensibilità ungherese, la profonda malinconia di un essere sempre ‘altrove’, eppure così
radicati nel gesto espressivo. L'utopia di Kurtág è esprimere tutto il mondo in un solo gesto. Ma quel
gesto, quel suono è un concentrato di poesia, di saggezza, di dolore e di tenerezza. Questo sogno di
totalità è continuamente spezzato con cambi di umore e di temperie, di colore e scrittura. Il tutto in
poche battute, spesso in pochi secondi. Un'espressività densa e leggera a un tempo, che chiede
attenzione, silenzio, sensibilità: attitudini rarissime, oggi. Come Bartók, e più tardi Ligeti, anche Kurtág
esplora con grande libertà il pensiero e il colore delle avanguardie del '900, cercando una via
profondamente indipendente dalle maggiori correnti linguistiche del suo tempo e inaugurando un
rapporto con il mondo che è visionario e rigoroso, libero e critico”.
Sabato 26 settembre ore 15.00
Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
COMPOLAB
laboratorio di invenzione musicale
nuove creazioni di Letizia Michielon, Francesco Pavan, Marino Baldissera, Andrea Toffolini, Nicola
Buso, Roberto Girolin
in collaborazione con le classi di composizione di Riccardo Vaglini, Corrado Pasquotti, Alvise Vidolin
Ensemble L’Arsenale e allievi del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
Dalla collaborazione tra la Biennale di Venezia e il Conservatorio Benedetto Marcello, naturale
terreno di coltura di nuove energie creative, nasce questo laboratorio dedicato all’invenzione
musicale per valorizzare le potenzialità artistiche dei più giovani, far crescere il loro talento, stimolare
la voglia di saper fare: alcuni fra i diplomati di questi ultimi anni – Letizia Michielon, Francesco
Pavan, Marino Baldissera, Andrea Toffolini, Nicola Buso, Roberto Girolin – avranno la
possibilità di misurarsi sulla scena professionale forgiando la loro scrittura direttamente sull’organico
dell’Ensemble L’Arsenale, proprio per questa occasione allargato ad altri strumentisti
provenienti, anch’essi, dalle file del Conservatorio di Venezia.
Fondato nel 2005 a Treviso e composto da giovanissimi musicisti e compositori compresi tra i 20 e i 23
anni, uniti dall’idea di superare la distinzione tra lo scrivere musica e il fare musica, l’ensemble
L’Arsenale, diretto da Filippo Perocco, si presenta con un organico flessibile, che permette variegate
combinazioni musicali. Per il laboratorio veneziano e il concerto finale saranno in scena Francesca
Cescon al flauto, Francesco Socal al clarinetto basso, Ilario Morciano al sax, Luca Piovesan alla
fisarmonica e la voce di soprano di Livia Rado. Dal Conservatorio provengono invece Valeria Zane
all’arpa, Carlo Mattiuzzo alla chitarra, Carlo Gatto e Ugljesa Majdevac al clarinetto, Sofia Brunello e
Antonio Giuffrida al pianoforte.
Sabato 26 settembre ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
KURTÁG / GARUTI / LIGETI
quartetto d’archi
György Kurtág Quartetto op. 1 (1959, 14’)
György Kurtág Six Moments Musicaux op. 44 per quartetto d’archi (2005, 17’)
Mario Garuti Cielo perso / Anima tersa (2009, 10’) prima es. ass.
György Ligeti Quartetto per archi n. 2 (1968, 21’)
Quartetto Arditti
Si dice che da quando il violinista Irvine Arditti ha fondato il suo quartetto, nel 1974, la storia
dell'interpretazione della musica contemporanea per archi è cambiata: le riletture dell'Arditti hanno
lasciato un segno nel repertorio del XX secolo, e ogni nuovo concerto è un evento. Nell’albo d'oro
dell’Arditti sono scritte le prime esecuzioni mondiali di quartetti di Cage, Carter, Gubajdulina, Ligeti,
Stockhausen e molti altri. La qualità alta e incisiva delle esecuzioni è valsa al quartetto il premio “Ernst
von Siemens”, in passato attribuito a Karajan e Abbado.
I due grandi ungheresi, Kurtág (1926) e Ligeti (1923-2006), con le loro composizioni più celebri
dedicate a questa formazione, sono i protagonisti del concerto dell’Arditti; a loro si affianca la voce di
Mario Garuti, con un pezzo nuovo composto per l’occasione.
L’omaggio a Kurtág, Leone d’oro alla carriera, inizia con l’esecuzione dell’opera considerata l’atto di
nascita della sua attività compositiva. E’ infatti noto che soltanto dopo la permanenza a Parigi, tra il
1957 e ‘58, dove Kurtág è allievo di Darius Milhaud e Olivier Messiaen e conosce la psicologa Marianne
Stein, ma soprattutto dopo l’incontro con la musica di Stockhausen e dell’amico di sempre, Ligeti, a
Colonia – dove si ferma sulla via del ritorno a Budapest e ha occasione di ascoltare Gruppen e
Artikulation – Kurtág supera un lungo silenzio creativo e porta a maturazione il proprio pensiero
musicale componendo nel 1959, il Quartetto op.1. “Sembrava che tutto ciò che avevo appreso a Parigi
a proposito di forme concentrate e ricche di tensione fosse stato realizzato a Colonia … Dopo il mio
ritorno in Ungheria … con l’op. 1 cominciai una nuova vita. Da quel momento il mio ideale, la mia
aspirazione fu di riuscire a formulare nel mio linguaggio qualcosa di simile all’esperienza che aveva
rappresentato per me Artikulation a Colonia” (Laudatio a Ligeti).
Accanto all’opera prima, di Kurtág verrà eseguito un lavoro recente, Six Moments musicaux, che
raccoglie, alla maniera di tanti artisti come Schubert, sei frammenti realizzati tra il 1999 e il 2005 in
occasione del Concorso internazionale di quartetto d’archi di Bordeaux e dedicati al figlio. L’opera è
considerata un esempio di quell’effetto d’eco che tanto spesso si riscontra nella musica di Kurtág e su
cui sono state scritte pagine di critica come quelle di Marco Mazzolini: “Due pareti e il vuoto: questo è
necessario all’eco. E qui l’‘avventarsi’ – slancio e ripetizione – è l’espressione di umanissima pietà per la
nostra condizione di ‘risonanze erranti’, che perdutamente, urtando, si disperdono”.
Dedicato al Quartetto LaSalle, che lo eseguì per la prima volta a Baden Baden, il Quartetto n. 2 di
Ligeti segue di quindici anni la sua prima composizione quartettistica, ancora fortemente influenzata
dalla lezione bartókiana. In mezzo c’è stato l’abbandono dell’Ungheria - dove la musica occidentale non
circolava – e il trasferimento in Germania prima e in Austria poi. L’opera riflette e compendia
inevitabilmente le esperienze di un quindicennio, in cui Ligeti conosce le maggiori correnti
avanguardistiche musicali e aggiorna il suo linguaggio trovando la propria voce indipendente. Come
tanti critici hanno notato, in questo quartetto si sentono risuonare le ricerche avviate da Apparitions nel
’60 e continuate con Requiem, Atmosphères, Aventures, Nouvelles Aventures, Lux aeterna.
A Mario Garuti (1957) è affidata infine la novità del concerto del Quartetto Arditti: Cielo
perso/Anima tersa, ispirato alle “righe illuminanti” del sonetto n. 19 di Shakespeare (Devouring Time,
blunt the lion’s paw). “Parafrasando il commento di Alessandro Serpieri a questo sonetto è evidente lo
scontro tra il Tempo, con i suoi tratti distintivi della violenza e della fuggevolezza, e l’archetipo (pattern)
della giovinezza, della bellezza, dell’amore. Il Tempo ha le ali e il suo aspetto più violento è proprio la
sua fuggevolezza (fleet’st…carve …hours). Questo quartetto è una consequentia atletica di pattern di forte
impatto, ma cangianti. Modelli che tendono ad imporsi all’inevitabile flusso metamorfico del Tempo,
ma invitabilmente fuggevoli. Scrittura atletica. Agone tra due scrittori: il Tempo e il Compositore. Il
primo scrive dell’ineluttabile decadenza e morte, l’altro cerca di sottrarre al flusso temporale la sua
poesia, la sua ispirazione. Un escamotage per circuire il Tempo. Una irresistibile illusione.
L’insopportabile ispirazione… un pendolo... un’oscillazione continua tra euforia e malinconia. Quando
scrivo non penso alla Fine” (M. Garuti).
Mario Garuti (Modena, 1957) Dopo avere studiato violino con A. Maci alla Civica Scuola di Musica G. Donizetti di Sesto
S.Giovanni, intraprende anche lo studio della composizione con U. Rotondi, con cui si diploma con il massimo dei voti
presso il Conservatorio di Milano, dove attualmente insegna. Nel 1982 e 1983 frequenta i corsi di perfezionamento
all’Accademia Chigiana (Siena) con F. Donatoni e i seminari di B. Ferneyhough. Dal 1984 al 1994 è regolarmente invitato ai
corsi estivi di Darmstadt, dove ha ottenuto nel 1984 lo Stipendienpreis e nel 1986 il prestigioso Kranichsteiner Musikpreis.
I suoi lavori sono commissionati ed eseguiti nei più importanti festival internazionali da interpreti prestigiosi quali:
Quartetto Arditti, Icarus Ensemble, Het Trio, Trio Accanto, Farben Ensemble, Orchestra Sinfonica di Baden Baden,
Orchestra di Saarbrücken, Orchestra della Rai di Milano, Orchestra dei Pomeriggi Musicali, Alter Ego, Antidogma
Ensemble, Divertimento Ensemble, Ensemble Novecento. Fra i premi ricevuti: Concorso Nazionale RAI (Milano, 1982),
Concorso Internazionale A. Berg (Vienna, 1985), Concorso Internazionale di Hambach (1985), Concorso Internazionale G.
Petrassi (Parma, 1986). Ha inciso per varie case discografiche, tra cui Fonit-Cetra (Geometriche amnesie), Edipan (Dove l'argine va
in delirio), Col Legno (…e l'altro) e Sony (Tao). Di prossima pubblicazione il pezzo L’automate purifié registrato da Alfonso
Alberti per la Concerto Naxos. Con Stefano Carrara ha fondato il gruppo multimediale U.R.T.O., con cui ha realizzato nel
2000 l’opera-clip Moondata (video e testi di Armando Lazzaroni) per il Festival "Di nuovo musica" di Reggio Emilia.
Sabato 26 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
GUARNIERI / SCHAATHUN / WALLIN / EGGEN
orchestra da camera
Adriano Guarnieri Lo spirito del vento per ensemble di 11 esecutori (2009, 13’) prima es. ass. (commissione
La Biennale di Venezia)
Asbjorn Schaathun Requies (2006, 14') prima es. it.
Rolf Wallin Boyl per ensemble (1995, 15’-17’) prima es. it.
Christian Eggen Eine Bitte (1996-98, 20’)
direttore Christian Eggen
Oslo Sinfonietta
Nei primi anni ottanta in Norvegia si affaccia una nuova generazione di compositori che scuote la scena
musicale. Asbjørn Schaathun, Cecilie Ore, Ase Hedstrøm, Christian Eggen, Rolf Wallin, alcuni dei
protagonisti di questa ondata di rinnovamento, sono decisi a far eseguire le loro opere, puntano alla
collaborazione programmatica fra compositori e musicisti, infondono nuova linfa al mondo musicale.
Compongono nuova musica, ma fondano anche gruppi musicali, promuovono concerti e festival,
scrivono sui giornali o ne creano di nuovi, come il periodico “Ballade”, dando un impulso alla vita
musicale e facendo della Norvegia, insieme agli altri Paesi scandinavi, una delle aree più fertili della
musica contemporranea.
Nata in maniera quasi spontaneistica sull’onda della passione e dell’idealismo dei circoli di musica
contemporanea che ruotavano intorno all’Accademia di Stato musicale norvegese nel clima degli anni
ottanta, la Oslo Sinfonietta si costituisce col tempo, precisamente nel ’93, come associazione stabile di
compositori e musicisti – fra cui gli originari fondatori Asbjørn Schaathun e Christian Eggen – e si dota
di una struttura permanente.
Dall’organico flessibile, aperto alle più diverse combinazioni strumentali e scelte di repertorio, la Oslo
Sinfonietta si è imposta nel panorama attuale come ensemble di eccellenza. Attiva nel promuovere la
musica contemporanea, con particolare riguardo ai giovani compositori norvegesi, la Oslo Sinfonietta
figura tra i fondatori di Ultima, il festival dedicato al contemporaneo di Oslo.
Il concerto proposto presenta gli esponenti di punta di questa generazione di compositori - Asbjørn
Schaathun, Rolf Wallin, entrambi con due novità per l’Italia, e Christian Eggen – accanto ad uno dei più
apprezzati compositori italiani, Adriano Guarnieri, autore dalla scrittura irta e mai pacificata. che apre la
serata con una novità assoluta per il 53. Festival, Lo spirito del vento, commissionata dalla Biennale di
Venezia.
Per Lo spirito del vento, Adriano Guarnieri (1947) si è ispirato ad una poesia anonima africana
contemporanea, alla quale ha sentito la necessità di aggiungere un sottotitolo emblematico “Blues in
memoria - Milano 2008". "L'ho composto di getto, in un mese e mezzo, motivato da un tema disperato
dei nostri giorni: la violenza sulle vittime dell'immigrazione, narrata da tragici fatti di cronaca. Per
questo ho cercato una musicalità forte, lacerante, in cui fossero riconoscibili il ritmo e la tribalità - certo
non in maniera veristica - e la sonorità della nostra, della mia cultura musicale" (A. Guarnieri).
Commissionato dall’Ensemble Intercontemporain, Boyl, forma dell’inglese medievale per “boil”, si rifà
alla tradizione alchemica che trasforma in oro, dopo lunghi processi di bollitura e coagulazione, la
originariamente caotica “massa confusa”. Nella musica di Rolf Wallin (1957), la ‘massa confusa’ è data
da “una quantità di materiale che deriva dalla funzione matematica detta frattale. La funzione è
relativamente semplice, ma genera motivi ‘organici’ affascinanti e sorprendenti quando è ripetuta un
gran numero di volte. Il punto principale di Boyl è l’interazione tra il principio del mercurio liquido,
freddo e mobile, e il principio solido, bruciante, e dominante dello zolfo. Nel pezzo, il mercurio è da
solo in scena per tanto tempo prima che intervenga lo zolfo. Durante il brano, i due principi si
scambiano le loro qualità e, alla fine, si fondono insieme” (R. Wallin).
Conclude la serata Eine Bitte, composto da Christian Eggen nel 1996, un brano che nasce
dall’ispirazione per Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, con cui condivide la drammatica
vicenda di due persone, un uomo e una donna, che si cercano senza trovarsi.
Adriano Guarnieri (Sustinente – Mantova, 1947) Ha compiuto gli studi presso il Conservatorio di Bologna, diplomandosi
in composizione con Giacomo Manzoni e in musica corale con Tito Gotti. I suoi primi lavori, da Musica per un’azione
immaginaria a L’art pour l’art?, mantengono un forte legame con l’impronta strutturalista, di cui si libera in nome di un
materismo irrequieto e lirico insieme, nella definizione del quale l’importanza del suono è preponderante. Con Nafshi, Recit e
altre composizioni si profila una svolta con maggior attenzione alla forma, come sintesi di una molteplicità episodica in
divenire. Con la serie dei Pierrot va delineandosi un risultato “melodico”, che si dilata nell’opera Trionfo della notte (stagione
’86-87 al Teatro Comunale di Bologna e Premio Abbiati) su testi di Pasolini, alla cui produzione poetica più volte Guarnieri
fa riferimento. Negli anni novanta si interessa in modo sempre più vivo ai problemi di spazializzazione del suono mediante
live electronics, pur mantenendo una cifra sonora particolarmente originale. L’autore ha anche manifestato un vivo interesse
per il tema del sacro, riletto in un’ottica profondamente laica e ha composto una trilogia di grandi Cantate, scritte in
collaborazione con il poeta Giovanni Raboni: Quare tristis per soli, coro, 2 gruppi strumentali, 2 tube e live electronics
(Biennale di Venezia, 1995), Pensieri canuti cantata per soli, coro, 2 ensemble a doppio coro e live electronics (Strasburgo,
1999), Passione secondo Matteo (Milano, Basilica di San Marco, 2000), che rivelano la profonda inquietudine dell’uomo
contemporaneo di fronte alle più laceranti domande esistenziali. Fra i lavori più recenti: l’opera-video Medea per soli, coro e
orchestra (Teatro La Fenice di Venezia, 2002), “Premio Abbiati” nella categoria novità assoluta; La terra del tramonto
(Orchestra Nazionale della RAI, Torino 2004); l’opera-video Pietra di Diaspro, commissionata dal Teatro dell’Opera di Roma
e Ravenna Festival (2007); il melologo Rasoio di guerra, su testi tratti dal racconto di Vincenzo Pardini (Fucecchio, 2007);
Nell’alba dell’umano – Processo a Costanza per l’Accademia Filarmonica di Bologna, opera melologo (maggio 2009, in ottobre al
Teatro Rossini di Pesaro). Guarnieri ha insegnato per molti anni composizione, dapprima presso il Conservatorio di Milano
e in seguito presso quello di Bologna.
Asbjørn Schaathun (Norvegia, 1961) Ha studiato alla all’Accademia di Stato musicale norvegese e al Royal College of
Music di Londra. Studi successivi l’hanno condotto all’IRCAM di Parigi, che nel 1992 gli commissiona Double Portrait per
violino, ensemble e live electronics. In Norvegia Schaathun è considerato un pioniere nelle composizioni realizzate con
l’ausilio del computer. Oltre all’attività di compositore, Schaathun ha esercitato la critica musicale, ed è il fondatore della
Norwegian Academy of Music’s Contemporary Ensemble e della Oslo Sinfonietta. Fra i premi ricevuti: Louis Vuitton Prize
dalla Gaudeamus Foundation per Actions, Interpolations and Analyses, concerto per clarinetto basso; Critics Prize e Bang &
Olufsen Music Prize. Dal 2006 è direttore della Norwegian Society of Composers.
Rolf Wallin (Oslo, 1957) Ha studiato all’Accademia di Stato musicale norvegese con Finn Mortensen e Olav Anton
Thommessen. A metà degli anni ’80, studia un anno alla University of California (San Diego) con Yoji Yuasa, Roger
Reynolds e Vinko Globokar. La sua carriera di compositore inizia quando ancora si esibisce sui palcoscenici del jazz e del
rock sperimentale, tutte esperienze che integrano la sua formazione accademica e ne influenzano gli sviluppi. A questa
curiosità musicale si deve infatti la diversificazione nei generi di scrittura: Wallin riceve commissioni non solo dalla Oslo
Philarmonic e dalla Trondheim Symphony Orchestra, ma anche da gruppi di teatro e danza, sviluppando un proficuo
dialogo con le altre arti. Fra i suoi lavori Chi per orchestra (1991), Ning per oboe, violino, viola e violoncello (1991), Solve et
Coagula per ensemble (1992), Too Much of a Good Thing per sei chitarre elettriche e percussioni (1993), Four Etudes for Piano
(1993).
Christian Eggen Direttore d’orchestra e pianista, Eggen è uno dei direttori più richiesti nei Paesi nordici, in particolare per
la musica contemporanea. Nel 1993 è diventato direttore artistico della Oslo Sinfonietta e dal 1988 è direttore del Cikada
ensemble. Sempre in qualità di direttore ha collaborato con importanti ensemble di musica contemporanea, come
musikFabrik, l’Ensemble Intercontemporain, e con altre importanti orchestre sinfoniche. Nel 2008 ha debuttato con
l’Orchestra Filarmonica della Scala al Teatro alla Scala. Sul fronte della composizione, Eggen ha scritto musica da camera e
per orchestra, oltre che per il cinema e il teatro; ha ideato anche installazioni elettroacustiche. Artista protagonista al Bergen
International Festival nel 1999, ha ricevuto il Norwegian Music Critics Prize, lo Spellemann Prize, il Lindeman Prize e l’Oslo
Bys Kunstnerpris per il contributo dato allo sviluppo delle attività musicali nella città di Oslo.
Domenica 27 settembre ore 17.00
Sale Apollinee – Teatro La Fenice
CLEMENTI / MANCUSO / FELDMAN / XENAKIS / STRAVINSKIJ
ensemble
Aldo Clementi Concertino per flauto, clarinetto, pianoforte, due violini, viola e violoncello (1999, 10')
Giovanni Mancuso July 19th or How to establish a second Republic founded on the blood of a State Massacre per
voce solista, sax concertante, pianoforte, minimoog, electronium e ensemble (2009, 25’) prima es. ass.
(commissione La Biennale di Venezia), testo di Salvatore Borsellino Lampi nel buio, traduzione di
Christina Pacella
Morton Feldman The Viola in My Life 1 per viola e 5 strumenti (1970, 9’)
Iannis Xenakis Plekto per ensemble (1993, 14')
Igor Stravinskij Berceuse du chat per voce e pianoforte (1915, 5')
basso, baritono Romain Bischoff
sassofoni Pietro Tonolo
pianoforte, minimoog, electronium Giovanni Mancuso
direttore Pietro Mianiti
Sinopoli Chamber Orchestra di Taormina Arte
La giovane orchestra da camera - nata nel 2005 in occasione della prima edizione del Festival Sinopoli
di Taormina, con il quale collabora stabilmente - è formata da docenti e allievi del Conservatorio
Arcangelo Corelli di Messina e testimonia l’attenzione didattica ed esecutiva rivolta in modo
continuativo al repertorio contemporaneo.
Il concerto della Sinopoli Chamber Orchestra affronta brani del 900 storico, alcuni di rara
esecuzione, come Plekto di Xenakis o Berceuse du chat di Stravinskij, altri più frequentati, come The Viola
in My Life 1 di Morton Feldman; accanto a questi brani, Concertino di Aldo Clementi, protagonista
dell’avanguardia italiana e internazionale degli anni Cinquanta, e July 19th or how to establish a second
Republic founded on the blood of a State Massacre del compositore veneziano Giovanni Mancuso, dedicato
alla tragica vicenda del giudice Borsellino.
Apre il concerto un raffinato esempio di scrittura per canoni coltivata da Clementi (1925),
Concertino, composto ed eseguito in prima assoluta nello stesso anno, il 1999, al Festival di Asiago.
Commissionato dagli Amici della musica e dedicato alla città di Asiago, questo pezzo, per flauto,
clarinetto, pianoforte, due violini, viola e violoncello, è definito laconicamente dallo stesso Clementi
“canonico a otto voci su un tema diatonico proprio”.
A Clementi segue il trentanovenne Giovanni Mancuso (1970), autore di un pezzo di “teatro civile”
ispirato al testo di Salvatore Borselllino, Lampi nel buio, che pone inquietanti interrogativi rievocando gli
ultimi attimi di vita del fratello, il magistrato Paolo Borsellino ucciso nella strage di Via D’Amelio il 19
luglio 1992 insieme ai cinque membri della sua scorta. “La musica che si incarna ed esplode tra le
pieghe del testo di Salvatore Borsellino (nella appassionata traduzione inglese di Christina Pacella) –
scrive Giovanni Mancuso - vuole essere un mezzo per diffondere il peso insostenibile che questa data
porta con sé: una serie di ‘lampi’, proprio come compaiono nel testo, saranno le tappe di un furioso
cammino sostenuto dal filo teso e allucinato della voce solista inseguita dalle immagini, dagli incubi e
dai volti di quel 19 luglio di diciassette anni fa”.
Tra il ’70 e il ’71 Morton Feldman (1926-1987) compone un ciclo di brani, The Viola in My Life, di cui
è dedicataria la violista Karen Phillips e in cui la viola interagisce con combinazioni strumentali ogni
volta differenti, di piccole e grandi dimensioni: con 5 strumenti, con 6, con il pianoforte, con
l’orchestra. The Viola in My Life 1 è anche uno dei pochi pezzi in cui Feldman torna ad adottare una
notazione convenzionale per le altezze e i tempi: “Avevo bisogno di un'esatta proporzione temporale
per sottolineare il graduale e leggero crescendo caratteristico di tutti i suoni in sordina che la viola
emette, e questo è l'aspetto che ha determinato la sequenza ritmica degli eventi”. Musicista
dell’espressionismo astratto, collaboratore di Philip Guston e amico di tanti artisti – da Jackson Pollock
a Mark Rothko – Feldman afferma: “la mia intenzione era di pensare alla melodia e a frammenti
melodici un po’ come Robert Rauschenberg usa la fotografia nella sua pittura, e sovrapporre questa
riflessione al mondo di suoni statici, più caratteristico della mia musica”.
A Feldman segue un altro Maestro del secolo scorso, Iannis Xenakis (1922-2001), fra i pochi ad
indicare una strada svincolata dalle tendenze musicali europee del suo tempo e riassunta nell’intreccio
tra musica e matematica. Un percorso di formalizzazione totalmente antisentimentalistico - come
scriveva un suo celebre ammiratore, Milan Kundera, definendolo “profeta dell’insensibilità” - ma che
pure produce una musica fatta di uno straordinario vitalismo e di una potenza drammatica in cui
sembrano agitarsi le forze naturali che animano e sconvolgono il mondo. Architetto (ha collaborato con
Le Corbusier), matematico, Xenakis era anche appassionato di filosofia, dei classici greci antichi, di
fisica atomica, elettronica, tutti studi che convergono nella sua opera di compositore. Di Xenakis, la
Sinopoli Chamber Orchestra propone, con intelligente curiosità, uno dei brani meno noti, appartenenti
all’ultimo periodo: Plekto. Il titolo fa riferimento al verbo greco “pleko” (intrecciare) e allude
all’intrecciarsi di tessiture diverse, in un gioco di variazioni, esempio della sottile arte combinatoria di
Xenakis.
Testimonianza della costante sensibilità di Igor Stravinskij (1882-1971) per il patrimonio folcloristico
russo, che affonda le radici nell’anima di un popolo e ne rappresenta la tradizione spirituale più pura,
Berceuse du chat conclude il concerto della Sinopoli Chamber Orchestra. Come Pribautki, Renard, Trois
histoire pour enfants, Four Russian Peasant Songs, tutte opere composte tra il 1914 e il 1917, Berceuse du chat –
presentata nella versione per voce e pianoforte - evidenzia come Stravinskij riesca a traformare il
materiale popolare cui attinge in una cifra originale.
Giovanni Mancuso (Venezia, 1970) Si diploma con il massimo dei voti in pianoforte sotto la guida di Wally Rizzardo al
Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia (1992) e ai Corsi di perfezionamento in musica da camera dell'Accademia
"Incontri col Maestro" di Imola con Dario De Rosa, Maureen Jones e Pier Narciso Masi. Ha studiato alla Scuola Civica di
Milano, perfezionandosi nel repertorio cameristico contemporaneo con Renato Rivolta e ha approfondito lo studio del
linguaggio jazzistico con Umberto de Nigris. Ha inoltre seguito Corsi Internazionali di Composizione di Città di Castello
(1990 e 1991) e dell'Accademia Filarmonica di Bologna (1991/92) con Salvatore Sciarrino. Fra i premi ricevuti: 1° premio al
Concorso G.Briccialdi (Terni 1992), al Concorso Città di Rende (1995), al Concorso Musica Nova (Bergamo 1995); 1°
premio e segnalazione alla Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa Mediterranea 1994. E' finalista al Concorso Orpheus di
Spoleto con l’opera Obra Maestra, ispirata a Frank Zappa. Ha ricevuto numerose commissioni da importanti istituzioni come
la Fondazione Teatro La Fenice (Recitativo Cantilena per ensemble, 1997), la Biennale di Venezia Tzimtzum per ensembl e Qual
è la parola per quartetto d’archi, 2000 e 2001), l’Orchestra Giovanile Italiana (Anni 13 di reclusione, 2002), European
Association for Jewish Culture (Alphabet Music, 2003). Nel 1991 ha fondato l'ensemble e gruppo di studio Laboratorio
Novamusica, con il quale svolge un’intensa attività concertistica come pianista e direttore in Italia, Francia, Germania,
Portogallo, Spagna, Libano, Norvegia. Nel 2002 ha fondato l'etichetta discografica Galatina Records (distribuita da Free
Music productions di Berlino), pubblicando quattro cd con suoi progetti musicali realizzati con il Laboratorio Novamusica.
Domenica 27 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
Leone d’oro per la musica
consegna del Leone d’oro alla carriera a György Kurtág
OMAGGIO A GYORGY KURTÁG
orchestra
György Kurtág Grabstein für Stephan op. 15c per chitarra e gruppi di strumenti disposti nello spazio (197879, rev. 1989, 8’)
György Kurtág Concertante op. 42 per violino, viola e orchestra ( 2002-2003 rev. 2007, 23’)
consegna del Leone d’oro alla carriera
a seguire
György Kurtág Stele op. 33 per grande orchestra (1994 rev. 2003, 2006, 14’)
chitarra Elena Casoli
violino Hiromi Kikuchi
viola Ken Hakii
direttore Zoltán Peskó
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
L’omaggio a György Kurtág, preceduto dall’incontro con l’autore ottantatreenne e dall’esecuzione di
Quartetto n.1 e Six Moments Musicaux, culmina nella serata di domenica 27 settembre con la cerimonia
di consegna del Leone d’oro alla carriera al Maestro ungherese e con l’esecuzione dei suoi pezzi di
maggior respiro, aperti alle grandi forme fino ad abbracciare la grande orchestra, ma in modo mai
convenzionale e sempre rispettando la “poetica del frammento” a lui tanto cara. Grabstein für Stephan,
Concertante, Stele – caposaldi della biografia artistica di Kurtág – vengono eseguiti dall’Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Zoltán Peskó, compatriota e allievo dello stesso Kurtág,
oltre che grande direttore.
Autore schivo e appartato, Kurtág dissemina le sue opere - attraverso omaggi, titoli e dediche - di tracce
e appunti sulla propria biografia umana, ma è soprattutto alle scarne note delle sue opere che affida “le
sue pagine di diario”, come ha scritto András Wilheim, “un messaggio personale che tutti potranno
capire”.
Dedicato alla memoria dell’amico scomparso Stephan Stein, cantante e marito della psicologa Marianne
Stein a cui Kurtág attribuisce un ruolo importante nella soluzione della sua crisi compositiva alla fine
degli anni Cinquanta, Grabstein für Stephan è iniziato tra il 1978 e il 79 e concluso dieci anni dopo.
Come scrive il critico Paolo Petazzi il pezzo si svolge “in una sola sezione di ampio respiro (come una
lapide tagliata in un solo blocco); il tempo è quasi sempre ‘larghissimo’, la dinamica prevalentemente
‘pianissimo’ (con quattro p), con effetto ‘lontano’… finché il pianissimo prevalente e la quasi immobilità
si lacerano con la più dolorosa violenza, come in un grido, che cede poi il posto al ritorno della funebre
calma, e ai suoni ‘lontani’”.
Il momento centrale del concerto è costituito dall’interpretazione di Concertante, in cui l’Orchestra è
affiancata dai solisti per i quali Kurtág ha concepito questa ampia e complessa partitura: la violinista
Hiromi Kikuchi e il violista Ken Hakii, che devono la grande sintonia alla lunga consuetudine di vita e
di lavoro con il compositore ungherese. Commissionato dalla Leonie Sonning Foundation di
Copenaghen ed eseguito per la prima volta dall’Orchestra della Radio Danese, Concertante – per “l’ampia
gamma di mutamenti che attraversa nel tono, nel tempo e nella tessitura” – ha vinto la ventesima
edizione del Grawemeyer Music Prize 2006.
Conclude la serata Stele, la prima vera opera per grande orchestra di Kurtág, composta per Claudio
Abbado e la Filarmonica di Berlino e dedicata ad un altro grande amico di Kurtág, il compositore e
direttore d’orchestra ungherese András Mihály.
Lunedì 28 settembre ore 10.00 - 16.00
Auditorium S. Margherita – Ca’ Foscari
Luogo, corpo, suono
composAzione
convegno
presentazione e relazioni di:
Luca Francesconi, Donella Del Monaco, Giovanni Guanti, Anna Maria Morazzoni, Daniele Goldoni,
Gaetano Santangelo, Nicola Campogrande
schemi d’improvvisazione dei compositori:
Michele Tadini (commissione La Biennale di Venezia)
Luca Mosca (commissione La Biennale di Venezia)
Vittorio Montalti (commissione La Biennale di Venezia)
Arrigo Cappelletti
esecuzione e improvvisazione dei musicisti:
Donella del Monaco (voce), Angelica Faccani (violino), Laura Gentili (violino), Gabriele Mancuso
(viola), Elena Vianello (violoncello), Daniele Goldoni (tromba, flicorno), Andrea Bressan (fagotto),
Alberto Collodel (clarinetto e clarinetto basso), Arrigo Cappelletti (pianoforte), Giovanni Mancuso
(pianoforte, moog), Alex Poletto (percussioni), Stefano Del Sole (percussioni), Dario Pisasale (chitarra
elettrica)
a cura del Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Associazione Opus
Avantra
in collaborazione con il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
La grande musica classica dell'Ottocento e della prima metà del Novecento ha diviso i ruoli del
compositore e dell'esecutore e prodotto una distanza fra la scrittura e il corpo sonoro pubblico. Questa
distanza è stata straordinariamente feconda per l'elaborazione individuale e il filtraggio della memoria
musicale, ma ha prodotto anche l'effetto di suggerire un'attitudine passiva e ripetitiva verso feticci di
autorità, svalutativa delle potenzialità del suono, sottraendo al momento dell'ascolto pubblico la
partecipazione all'azione creativa nel corpo del suono.
Siamo convinti che, invece, la partecipazione a questa azione creativa aiuti efficacemente a costituire un
luogo interattivo di ascolto, capace di restituire alla musica il suo luogo in modo convincente. Il corpo
del suono non vive senza un luogo di condivisione.
Nella giornata si succederanno quattro pezzi costituiti da schemi scritti da compositori – Luca Mosca,
Arrigo Cappelletti, Vittorio Montalti e Michele Tadini – e da improvvisazioni sugli schemi da parte di
un ensemble composto da: Donella del Monaco, Davide Amodio e Laura Gentili, Gabriele Mancuso,
Elena Vianello, Daniele Goldoni, Andrea Bressan, Francesco Socal, Arrigo Cappelletti, Giovanni
Mancuso, Alex Poletto, Stefano Del Sole. Un esperimento certamente difficile e rischioso, poiché
intende mettere alla prova del dialogo la tradizione della composizione scritta con la capacità degli
improvvisatori di sviluppare le potenzialità sonore degli schemi, cercando di evitare i pattern
dell'improvvisazione 'colta' o del jazz.
L'esecuzione dei pezzi sarà intervallata da relazioni di musicologi e filosofi di livello nazionale e
internazionale sui temi del corpo, della voce, del suono, con una riflessione trasversale consapevole
degli sviluppi della filosofia dopo McLuhan, Deleuze, Foucault, Derrida.
Daniele Goldoni
Lunedì 28 settembre ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
FURLANI / GERVASONI / BREWAEYS / VARÈSE
ensemble
Paolo Furlani Suite da concerto da “Singin’ in the Brain” (2000, ver. 2009, 10’) prima es. ass.
Stefano Gervasoni Nuova creazione per cimbalom e ensemble (2009) prima es. ass.
Luc Brewaeys Cardhu per flauto, clarinetto, trombone basso, percussioni, pianoforte, violino, viola e
violoncello (2008, 13’) prima es. it.
Edgard Varèse Octandre per sette strumenti a fiato e contrabbasso (1923, 8’)
cimbalom Luigi Gaggero
direttore Filip Rathé
Ensemble Spectra
Da oltre quindici anni lo Spectra Ensemble – fondato nel 1993 – è attento a creare un rapporto di
dialogo e scambio tra la nuova produzione musicale belga e la scena internazionale. Forte di questa idea
e di un nucleo stabile di otto strumentisti di altissima qualità, lo Spectra Ensemble commissiona
regolarmente nuovi lavori, contribuendo alla formazione di un repertorio contemporaneo in un Paese
che, soprattutto grazie a Lucien Goethals e Karel Goeyvaerts, ha dato il suo contributo all’evoluzione
della musica dei nostri giorni. Sono oltre 70 le opere di autori principalmente belgi commissionate ed
eseguite dallo Spectra Ensemble, fra cui quelle di Pierre Bartholomée, Joachim Brackx, Boudewijn
Buckinx, Frits Celis, Claude Coppens, Raoul Desmet, Alvaro Guimaraes, Filip Rathé, Hans Roels,
André Laporte, Geert Logghe, Frank Nuyts, Lucien Posman, Jan Rispens, Lucien Goethals, Violeta
Dinescu (Germania), Niki Kemp (Inghilterra) e Gilberto Mendes (Brasile).
Il concerto della formazione belga intreccia musiche di Paolo Furlani, Stefano Gervasoni e Luc
Brewaeys, musicisti appartenenti alla stessa generazione anche se di diversa formazione, per concludersi
con Octandre, un altro dei punti cardini dell’estetica di Varèse, dopo Integrales, Hyperprism e Arcana, in un
ideale omaggio al compositore che percorre l’intero arco del Festival.
All’origine della Suite da concerto di Paolo Furlani (1964), presentata in prima esecuzione assoluta, è
l’opera Singin’ in the Brain, nata su sollecitazione di Salvatore Sciarrino. Della vicenda dell’opera
originaria, liberamente ispirata a Reminiscenza di Oliver Sacks, un reale caso clinico di epilessia musicale,
la Suite ripercorre i momenti salienti attraverso quattro movimenti musicali. Scrive l’autore: “La musica
di tutta l’opera è costruita quasi come… una sonata bitematica: da una parte la canzone irlandese Plúirín
na mBan Donn Óg cantata in lingua gaelica, che ossessivamente perseguita la protagonista; dall’altra il
neurologo, caratterizzato musicalmente dall’uso grottesco, un po’ sadico, del clarinetto piccolo. La sua
musica è ‘spettrale’, basata sugli armonici naturali del suono Do# (un omaggio a Gérard Grisey, la cui
prematura scomparsa mi colpì fortemente, all’epoca della composizione dell’opera). La canzone
irlandese parla di un sogno d’amore, e forse per questo è stata rimossa dalla protagonista. Nella Suite da
concerto il riaffiorare della canzone originale nella purezza del ricordo è affidato ad uno strumento ‘da
lontano’, ma le note della sua melodia – con la presenza forte del tritono Mi Sib – saranno… sempre
presenti, essendo state ripetutamente moltiplicate ed esplose all’interno della partitura, creando quindi
un percorso inverso, dalle Variazioni al Tema. Nella scena finale il Tema, assente, sarà solo evocato, in
negativo: il …sordo calco vagheggiato da Nise”.
Figura appartata rispetto al panorama musicale attuale, ma apprezzatissimo e fra i nomi italiani più noti
ed eseguiti all’estero, soprattutto in Francia, dove viene scoperto nei primi anni ’90, Stefano Gervasoni
(1962) sarà alla Biennale Musica con una nuova creazione per il Festival. La sua musica, scrive un
finissimo studioso come Philippe Albèra, “è scossa da spasmi e singulti, slanci ed estasi fuggitive,
umore e candore, illuminazioni. Non deriva da un soggetto definito e volontario, ma registra le proprie
molteplicità devianti, il suo carattere inafferrabile. Dietro al nitore delle sonorità, la dissoluzione delle
figure è all’opera: le composizioni giocano su pulsioni contrarie, essendo la scrittura quella di un
soggetto frammentato alla ricerca di una configurazione introvabile. Ciò che essa fissa è condotto in
modo spietato a una forma di decomposizione che ne rivela precisamente la fragilità e, al tempo stesso,
una bellezza fugace”. Ad accompagnare l’ensemble Spectra nella nuova creazione di Gervasoni sarà un
virtuoso del cimbalom, noto a livello mondiale: Luigi Gaggero.
Della musica “spettralmente sinfonica” di Luc Brewaeys (1959), punteggiata da accenti lirici,
soprattutto nei suoi ultimi lavori, è un esempio il brano presentato in prima italiana in concerto,
Cardhu, originariamente commissionato dal Transit Festival di Leuven (Belgio) e dall’Ensemble
Spectra. “Il pezzo è un’ulteriore indagine dei problemi spettrali/armonici che ho, in un certo senso,
scoperto con la mia opera L’uomo dal fiore in bocca. La musica è ancora sostanzialmente spettrale, ma
estendo le armonie con l’uso frequente di quarti di tono aggiuntivi che non fanno necessariamente
parte della serie principale di armonici. Ho scoperto che, nonostante queste aggiunte, la musica è
rimasta sorprendentemente consonante, e allora ho voluto proseguire su questa strada, utilizzando
anche molti (la maggior parte abbastanza lenti) glissandi. D’altra parte, recentemente mi sono
abbastanza occupato del concetto di movimento nella musica spettrale e ho provato ad estendere
questa idea in Cardhu. I tempi sono fluttuanti: è la prima volta dopo secoli che scrivo accelerandi e
ritardandi, e immagino che avranno sicuramente una certa influenza sulla percezione della musica.
Infine, si palesano anche alcuni aspetti melodici, anche se in modo meno preminente. I passaggi veloci
sono inizialmente molto brevi, quasi dei segnali per la musica più lenta che segue, ma nel corso del
pezzo questi passaggi guadagnano importanza e gradualmente diventano più lunghi, per culminare nella
Sezione Aurea del pezzo. Verso la fine, la differenza tra questa musica ‘veloce’ e ‘(più) lenta’ è quasi del
tutto abolita e il pezzo finisce – per così dire – in “totale armonia” con sé stesso” (Luc Brewaeys).
Eseguito in prima mondiale a New York nel 1924, Octandre è un ulteriore esempio della tecnica
compositiva maturata da Varèse (1883-1965), che rifiuta qualsiasi “discorso” e procede per frammenti
o agglomerati sonori. Assolutamente insolito per l’autore franco-americano è invece la totale assenza di
percussioni nell’organico, che affida pertanto il pulsare nervoso e barbarico del brano agli ottoni.
Octandre si divide nei seguenti tempi, ognuno introdotto da uno strumento diverso: Assez lent, Très vif
et nerveux, Grave-Animé et jubilatoire.
Paolo Furlani (Verona, 1964) Si diploma in clarinetto, musica corale, composizione al Conservatorio di Venezia e in
strumentazione per banda al Conservatorio di Parma. Si diploma anche in pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. È
autore di otto opere: El roverso mondo, da Ruzante (1° premio al concorso per nuove opere di teatro musicale da camera Città
di Udine 1995); Il teatrino delle maraviglie, da Cervantes (Lugo 1995) e Le parole al buio, da Paolo Puppa (1° premio nel concorso
internazionale Orpheus 1998 del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto); Incanto di Natale, opera per ragazzi su libretto di
Riccardo Diana (Teatro Sociale di Rovigo e Mestre, 2000); Singin’ in the Brain, opera-flash su libretto di Elena Barbalich
(Europa Festival di Ferentino, 2000); La casa dei mostri, dal racconto omonimo di Maria Vago (premiato alla 3a edizione del
concorso Quarant’anni nel 2000 - Federazione Cemat) e allestito nel 2003 come spettacolo per ragazzi da La Fenice di
Venezia; l’opera da camera per bambini Albero dei violini accesi, su testo di Giuliano Scabia (1° premio al Wiener
Internationaler Kompositionswettbewerb 2000 di Vienna); la farsa ilaro-tragichissima in due atti Il birraio di Preston, dal
romanzo di Andrea Camilleri (2° premio al Concorso internazionale G. Verdi per la composizione di un’opera lirica). La
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia e il Teatro Stabile del Veneto gli hanno commissionato il melologo L’Angelo e il
fuoco, lettura musicale del poemetto Giovanna d’Arco di Maria Luisa Spaziani (2000); gli stessi enti, in collaborazione con il
Teatro Stabile d’Abruzzo e la Fondazione Arena di Verona gli hanno commissionato le musiche di scena de Il viaggio a
Venezia, regia di Luca De Fusco. La Biennale di Venezia gli ha commissionato il brano sinfonico Mare monstrum, eseguito nel
2004 dall’Orchestra dell’Arena di Verona.
Stefano Gervasoni (Bergamo, 1962) Studia con Luca Lombardi, Niccolò Castiglioni e Azio Corghi al Conservatorio
Giuseppe Verdi di Milano. Dopo aver frequentato la classe di György Ligeti, completa la propria formazione all’IRCAM di
Parigi (1992). Gli incontri con Luigi Nono, Brian Ferneyhough, Peter Eötvös e Helmut Lachenmann sono cruciali per lo
sviluppo della sua vocazione e del suo talento. Si afferma sulla scena internazionale durante il soggiorno a Parigi (1992–
1995), dove riceve numerose commissioni dalle principali istituzioni francesi e viene nominato membro dell’Académie de
France à Rome. Compositore residente a Villa Medici a Roma (1995-96), Gervasoni ha ricevuto numerosi riconoscimenti
internazionali, tra cui: il 2° premio al concorso G.B. Viotti a Vercelli (1985), il 3° premio e successivamente il 2° premio al
concorso G. Petrassi a Parma (1987 e 1989), il 1° premio al Premio Lario Musica a Como (1988), il 1° premio all’11°
Internationalen Kompositionswettbewerb Kompositionsseminar Boswil (1995). Nel 1989, 1990 e 1991 viene selezionato per
l’International Gaudeamus Music Week. L’anno seguente, viene chiamato a partecipare al Forum Junger Komponisten
(Colonia) e nel 1994 al Klangforum Wien per l’Internationales Komponistenseminar. Dal 1992, ha ricevuto regolari
commissioni da tutte le maggiori istituzioni, orchestre e ensemble d’Europa: Ensemble Intercontemporain, Ministero della
Cultura di Francia, WDR-Köln, SWF-Baden-Baden, Orchestra Nazionale della RAI, Festival Archipel (Ginevra), Festival
d’Automne di Parigi, Berliner Biennale, Ars Musica (Bruxelles), Schleswig-Holstein Musik Festival, Ensemble
Contrechamps, ProQuartet Foundation, Royaumont Foundation, Radio France, Deutschland Radio-Berlin, Internationale
Stiftung Preis E. Balzan-Fonds, Busoni International Piano Competition Foundation, IRCAM (Parigi), Suntory Hall
(Tokio).
Luc Brewaeys (Mortsel – Belgio, 1959) Compositore, pianista e direttore d’orchestra, Luc Brewaeys ha studiato con André
Laporte a Bruxelles, con Franco Donatoni a Siena e con Brian Ferneyhough a Damstadt. Dal 1980 all’84 ha avuto contatti
regolari con Iannis Xenakis a Parigi. Fra i premi ricevuti: 3° premio dell’European Competition for Young Composers e 1°
premio nella categoria dei giovani compositori dell’International Rostrum of Composers dell’UNESCO per … e poi c’era…
Sinfonia n. 1 (Amsterdam, 1985 e Parigi, 1986); Prix de la Musique Contemporaine du Québec per l’opera completa
(Montréal, 1988); 1° premio al Premio musicale Città di Trieste per la composizione sinfonica Hommage (1991). E’ stato
compositore in residenza presso vari ensemble e istituzioni; recentemente è stato nominato compositore in residenza al
BOZAR (il Palais des Beaux Arts) a Bruxelles (2003-04). Dal 2002 al 2005 ha trascritto una sua versione per orchestra dai
due libri completi dei Préludes pour piano di Claude Debussy, su commissione della Royal Flanders Philarmonic che ne ha
inciso un disco con la direzione di Daniele Calligari. Nel febbraio 2007 la sua prima opera, tratta dall’atto unico di
Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca, commissionato dal Teatro La Monnaie, ha debuttato con successo a Bruxelles. Altre due
opere sono previste per il 2011, entrambe commissionate dall’Opera Fiamminga (Antwerp/Gent): una tratta da Maeterlinck,
che andrà in scena nella primavera 2011, la seconda da Il grande ritratto di Buzzati.
Lunedì 28 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
VERRANDO / JARRELL / NIEDER / DONATONI
orchestra
Giovanni Verrando Tryptich per grande orchestra (2005-2006, 15’)
Michael Jarrell Instantanés per grande orchestra (1985, 16’)
Fabio Nieder Lieder von der Liebe zur Erde per soprano e due orchestre (1996-2006, rev. 2009, 10’) prima
es. ass.
Franco Donatoni Duo pour Bruno per orchestra (1974-75, 18’)
soprano Barbara Hannigan
direttore Zoltán Peskó
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Il secondo concerto che ha per protagonista l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, diretta
nuovamente da uno dei suoi artefici principali, Zoltán Peskó, presenta nomi affermati della scena
musicale contemporanea – Giovanni Verrando, Michael Jarrell, Fabio Nieder – affiancati
dall’indimenticato Donatoni, uno degli autori più radicali, animato da una tensione etica e da un rigore
ideologico rimasti ineguagliati.
Apre la serata Triptych, di Giovanni Verrando (1965), che appartiene ad un ciclo di opere dedicate
all’esplorazione del rapporto con la musica elettronica e si costituisce di tre movimenti: Filtering,
Heterophonic #3, Filtering #3. La genesi del brano si rintraccia in uno studio elettronico, originariamente
da trascrivere per un organico strumentale acustico, da cui sono nati Filtering e Filtering #3. Nella
trascrizione per orchestra “ho utilizzato – spiega Verrando - tutte le tecniche presenti nello studio
elettronico originario (rumori bianchi, filtraggi, spettri a sviluppo periodico, etc.), e la trascrizione di
questi fenomeni mi ha spinto a sviluppare un'orchestrazione specifica ed adeguata, facendo anche uso
di strumenti non propriamente tradizionali (percussioni che producono rumori bianchi di altezza
diversa, campionatore, basso e chitarra elettrica, etc.)”.
Heterophonic #3 è, invece, descritta da Verrando come “un'allucinazione prodotta dalla memoria;
l'eterofonia in esso contenuta consiste nella contemporanea presenza di gesti generati da una sola
sorgente (la memoria, appunto), i quali non producono necessariamente un insieme sonoro omogeneo.
Ognuno di questi gesti fa riferimento a tecniche orchestrali e stili che si sono sedimentati nel mio
immaginario, che hanno influenzato il mio modo di scrivere, e che ora trascrivo senza mediazioni. Ho
riportato questi frammenti mnemonici (tecniche spettrali, parallelismi, canoni, suoni elettronici, etc.)
senza produrre citazioni specifiche, poiché mi interessava trasmettere l'interpretazione un poco
allucinata che la mia memoria mi offriva di quelle stesse tecniche. I frammenti, i gesti, non seguono una
successione logica, ma sono sovrapposti e disposti formalmente come fossero il frutto di una libera, un
po' violenta espressione di mondi musicali più o meno eterogenei, ingabbiati e messi a confronto nello
spazio dell'orchestra”.
Instantanés, con cui Michael Jarrell (1958) ha vinto il premio Gaudeamus, è stato eseguito la prima
volta nell’86 a Ginevra dall’Orchestre de la Suisse Romande diretta da David Shallon. Un brano sul
concetto di tempo, che si può compendiare, come ha scritto il musicologo Peter Szendy, nella frase di
S. Agostino: “Il tempo presente reclama che non può essere lungo”. “Neanche l’istante è mai semplice,
non si lascia trattenere. Ora, gli istanti e le istantanee si confondono, rinviano gli uni alle altre, le linee
dell’orizzonte e i poli rispuntano dove non ce li aspettavamo più, già nella terza istantanea, poi nella
quarta, la quinta, la sesta. Anche nella settima, che, per il momento, sarà l’ultima. E ancora conto. Ma
contare non serve a niente quando si incontra un paesaggio segnato dallo sdoppiamento” (P. Szendy).
E’ la passione per il canto di tradizione tedesca, che il compositore italo-tedesco Fabio Nieder (1957)
eredita da una formazione in ambienti culturali mitteleuropei, ad ispirare Lieder von der Liebe zur
Erde (Canti d´amore alla terra), dedicati ad una delle voci più incisive di questi anni, Barbara
Hannigan, e trascritti per orchestra in occasione della Biennale Musica.
“Il primo Lied, O Erd, su testo di Hölderlin è luminoso e sospeso, implacabilmente oscillante fra le
altezze si bemolle e si naturale (in tedesco e in lingue slave: B & H). Dopo che l´invocazione della voce
O Erd (O Terra) risuona ancora nel moto pendolare del pianoforte, dal silenzio della sua solitudine la
voce intona pianissimo la parola Erde (Terra), questa volta nel testo della nona elegia di Duino di R. M.
Rilke. Il secondo Lied si intitola Verwandlungslied (Canto di trasformazione). La voce si inarca purissima
mentre il pianoforte smuove correnti sottomarine scure e indecifrabili. La voce si specchia nelle
profondità del suono del pianoforte e (si) interroga senza ottenere risposta. I due mondi sono
complementari ma non si toccano. Solo alla fine si riconosce nel Verwandlungslied la parte oscura del
primo Lied O Erd, ma la apparente risposta risuona nella domanda e il pezzo non ha fine...!” (F.
Nieder).
Dedicato a Bruno Maderna poco dopo la sua scomparsa, Duo pour Bruno non è semplicemente un
gesto commemorativo verso un amico compianto, ma anche l’impulso – per Franco Donatoni (19272000) – a cercare nuovi nessi con l’opera del Maestro veneziano. “In un passo del Venetian Journal,
ascoltato due anni or sono al Festival di Royan, - racconta Donatoni - Maderna citava la notissima
canzone veneziana La biondina in gondoleta e fu proprio a quella breve citazione melodica che la mia
memoria ritornò quando pensai di dedicare un lavoro a Bruno e alla sua ‘venezianità’. D’altra parte, già
da alcuni anni praticavo un metodo compositivo fondato sulla trasformazione di materiali musicali già
esistenti. L’assunzione di un frammento esiguo di carattere ‘popolare’ e, pertanto, assai estraneo alle mie
consuetudini di pensiero, poneva tuttavia difficoltà del tutto nuove…”.
Giovanni Verrando (Sanremo, 1965) Ha studiato in Francia, giovanissimo, pianoforte e chitarra classica presso il
Conservatorio di Menton, quindi composizione al Conservatorio G. Verdi di Milano con G. Manzoni, N. Castiglioni e G.
Zosi, e parallelamente filosofia all’Università Statale di Milano. Ha quindi proseguito la propria formazione nella
composizione all’Accademia Chigiana di Siena con F. Donatoni, ricevendo nel 1990 il premio Siae e il Diploma di Merito.
Dal ‘93 al ‘97 è a Parigi, dove frequenta l’IRCAM e i corsi di T. Murail e svolge attività come autore ed esecutore nell’ambito
della musica rock di ricerca. Ha vinto ed ottenuto premi in numerosi concorsi internazionali di composizione:
IRCAM/Ensemble Intercontemporain Comité de Lecture, Vienna Modern Masters, Camillo Togni (Brescia), 11.
Kompositionswettbewerb Boswil, Gaudeamus Music Week (Amsterdam), Cemat (Roma), Festival International d’art lyrique
(Aix-en-Provence). Sue opere sono state commissionate da festival ed istituzioni internazionali (Ircam di Parigi, Biennale di
Venezia, Ministero della Cultura Francese, etc.) ed eseguite da note orchestre e solisti (tra cui Ensemble Intercontemporain,
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Orchestra della Toscana, Arditti String Quartet, Les Percussions de Strasbourg) nei
principali festival e stagioni internazionali (Wien Modern, Centre Ircam - Centre G. Pompidou, Musica a Strasburgo, OperaBastille, Milano Musica, MaerzMusik a Berlino, Musik der Zeit a Colonia, RomaEuropa Festival, Biennale di Venezia,
Archipel a Ginevra, Huddersfield Contemporary Music Festival, Stockholm New Music, Helsinki, NewYork, Tokio).
Michael Jarrell (Ginevra, 1958) Dopo essersi dedicato alternativamente alle arti visive e alla musica (allievo di Eric
Gaudibert alla Scuola Popolare della sua città), Jarrell studia con Klaus Huber a Friburgo (Germania). Parallelamente a
importanti riconoscimenti (Prix Acanthes 1983, Beethovenpreis Bonn 1986, Gaudeamus 1988, Fondazione Siemens 1990)
segue gli stage dell’IRCAM a Parigi ed è borsista a Villa Medici di Roma. Compositore residente prima dell’Orchestre de
Lyon (1991-93) poi del Festival di Lucerna, è stato oggetto di una monografia a Musica Nova di Helsinki e di una
commissione (un Concerto per pianoforte e orchestra) dal Festival di Salisburgo. Ha insegnato alla Hochschule für Musik di
Vienna e, attualmente, al Conservatoire Supérieur di Ginevra. Nel 2006 il Grand Théatre de Genève gli ha commissionato
un’opera da La vita di Galileo di Brecht.
Fabio Nieder (Trieste, 1957) Talento precocissimo, ha compiuto la propria formazione musicale presso il Conservatorio di
Trieste, dove ha studiato composizione, pianoforte e musica da camera rispettivamente con Giulio Viozzi, Roberto Repini,
Dario De Rosa e Libero Lana, perfezionandosi poi in composizione con Witold Lutoslawski. Compositore, pianista,
direttore d’orchestra, Fabio Nieder ha sviluppato un rapporto privilegiato con il Lied tedesco. Compone per importanti
ensembles e orchestre tra cui Klangforum Wien, Ensemble Recherche, Nieuw Ensemble, Atlas Ensemble, Ives Ensemble,
ÖENM, Orchestra Nazionale della RAI, WDR, SWR, SR (Germania). Le sue opere sono presenti nei principali festival e
istituzioni musicali: Berliner Festwochen, Wittener Tage für neue Kammermusik, Musik der Jahrhunderte (Stuttgart), Musik
im 21.Jahrhundert (Saarbrücken), Wien Modern, Musikprotokoll (Graz), Holland Festival, Output Festival (Amsterdam),
Huddersfield Festival (UK), La Biennale di Venezia, Milano Musica, Nuova Consonanza (Roma), Festival Présences (Parigi),
Berliner Philharmonie, Theaterhaus Stuttgart, Tonhalle Zürich, Wiener Konzerthaus, Concertgebouw Amsterdam,
Muziekgebouw (Amsterdam), Teatro alla Scala, Teatro La Fenice. Fabio Nieder è docente di composizione presso i
Conservatori di Amsterdam e Trieste e presso numerose altre Accademie europee (Stuttgart, Tallin, Graz, Ljubljana).
Martedì 29 settembre ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
LUTOSLAWSKY / BERIO / MAGNANENSI / SOKOLOVIC / XENAKIS
violino, pianoforte
Witold Lutoslawski Partita per violino e pianoforte (1984, 16’)
Luciano Berio Sequenza VIII per violino solo (1976, 13’)
Giorgio Magnanensi ...per essere fresco... per violino e pianoforte preparato (2004, 8’)
Ana Sokolovic Danses et interludes per pianoforte (2003, 15’)
Iannis Xenakis Dikhthas per violino e pianoforte (1979, 12’)
violino Silvia Mandolini
pianoforte Brigitte Poulin
Sia il violino che il pianoforte sono stati terreno di sperimentazione ed elaborazione di idee per
moltissima musica contemporanea, partecipando appieno all’evoluzione del linguaggio musicale; e per
quanto il loro accostamento susciti memorie squisitamente romantiche, i due strumenti hanno saputo
ispirare alcune delle più belle pagine della musica del nostro tempo.
Brigitte Poulin al pianoforte e Silvia Mandolini al violino, due artiste quebecchesi di nascita (ma la
Mandolini è di genitori italiani e in Italia è tornata ad operare), sono le protagoniste di un duplice
concerto nella stessa serata. Il primo impagina brani di compositori che hanno trovato spazio e voce
nell’America del Nord, pur essendo di provenienza europea, come l’italiano Giorgio Magnanensi e la
serba Ana Sokolovic, accanto ai suoni inconfondibili dei Maestri Lutoslawski, Xenakis, Berio. Il
secondo concerto accosta invece pagine di Franco Donatoni a quelle del veneziano Marino Baratello.
Con una carriera divisa tra Europa, Canada e Stati Uniti, Brigitte Poulin ha al suo attivo l’incisione
delle opere per pianoforte di Satie (Amberola), di R. Murray Schafer (Centrediques), di Cherney con la
violista Laura Wilcox (SNE) e l’integrale delle melodie di Jean Langlais con il soprano Louise Marcotte
(Fonovox). E’ fra i fondatori del Trio Phoenix (flauto, violoncello, pianoforte) e, lo scorso anno, del
sestetto Transmission. Il suo repertorio, come recita la biografia, “spazia dall’invenzione del pianoforte
alla sua decostruzione”. Con studi all’Accademia di musica di Vienna e al Conservatorio di Montréal,
fra i suoi insegnanti vi sono: Lorraine Vaillancourt, Krassimira Jordan, Hans Graf, David Lutz ed il
quartetto Alban Berg. Nei corsi di perfezionamento ha ricevuto i preziosi consigli di Gyorgy Sebok,
Menahem Pressler, Leon Fleisher, John Perry, Lorand Fenyves, Martin Isepp e Janos Starker.
Violinista per le più grandi orchestre – dall’Orchestre Baroque de Montréal a Santa Cecilia, dalla
Victoria Symphony Orchestra del Canada, dove è stata solista, all’Orchestra della Rai, Silvia Mandolini
è dal 2008 violinista stabile dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Dopo gli studi al
Conservatorio di Montréal con Raymond Dessaints, e dopo il perfezionamento all’Università McGill
con Mauricio Fuks, Silvia Mandolini ha proseguito i suoi studi al Conservatorio di Milano con Daniele
Gay e, sempre in Italia, ha frequentato i corsi di Maya Jokanovic e Carlo Feige.
Originariamente concepito per violino e pianoforte su commissione di Pinchas Zuckerman e Mark
Neikrug che lo eseguirono per primi nel 1985, Partita, del Maestro polacco Witold Lutowslaski
(1913-1994), ebbe anche una successiva versione per violino e orchestra dedicata ad Anne-Sophie
Mutter. Come la maggior parte degli autori dell’Europa orientale, anche Lutoslawski fa tesoro
dell’esperienza bartókiana, per concentrarsi successivamente, via via che entra nell’orbita
dell’evoluzione musicale occidentale – attraverso Cage e Boulez, sugli aspetti formali dell’opera, che
crea in maniera totalmente originale.
Sequenza VIII, scritta nel ’76 per Carlo Chiarappa, e parte del ciclo compositivo a cui Luciano Berio
(1925-2003) si dedicò a partire dal 1958 per più di 30 anni, consegnando alla letteratura musicale uno
dei suoi capolavori, è destinata al violino solo. Costantemente appoggiata “su due note (la e si) che,
come in una ciaccona, costituiscono la bussola nel percorso abbastanza differenziato del pezzo…
Sequenza VIII diventa, inevitabilmente, un omaggio a quel culmine musicale che è la Ciaccona della
Partita in re minore di Johann Sebastian Bach in cui - storicamente - coesistono tecniche violinistiche
passate, presenti e future” (L. Berio).
Collocati al centro della serata, sono i due brani di Giorgio Magnanensi e Ana Sokolovic. Del
compositore bolognese residente in Canada viene eseguito … per essere fresco…, un pezzo per
violino e pianoforte preparato scritto nel 2004 e dedicato alle due interpreti. Scrive l’autore: “La
comunicazione musicale esiste ad un livello puramente emozionale. L'emozionalitá è immanente,
l'espressione è definitivamente legata all'istante, l'istante è imprescindibilmente trascendente”. Della
belgradese Ana Sokolovic (1968) si presenta Danses et interludes, un brano del 2003 costituito da sei
danze e tre interludi ispirati ai ritmi delle musiche e delle danze tradizionali balcaniche, ma anche alle
cadenze della lingua serba. Sono le donne “che ballano silenziose (senza musica) e il tintinnare delle
loro collane fatte di numerose minuscole medagliette di metallo” a rimanere ricordo vivido nella mente
dell’autrice.
Il brano di Iannis Xenakis (1922-2001), Dikhthas, commissionatogli dalla città di Bonn per il 30°
Festival Beethoven del 1980, conclude la serata. Nelle note di programma Xenakis presenta l’opera
come “un personaggio con due nature; è ‘duale’ (dikhthas), poiché le nature si contraddicono, pur
fondendosi a volte nel ritmo e nell’armonia. Questo confronto è realizzato in un flusso dinamico
variabile che sfrutta i tratti specifici dei due strumenti”.
Giorgio Magnanensi (Bologna, 1960) Ha studiato composizione e direzione al Conservatorio G. B. Martini di Bologna,
all’Accademia Santa Cecilia di Roma, all’Accademia Chigiana di Siena e al Mozarteum di Salisburgo. Ha conseguito il
diploma in musica corale, in direzione (Bologna, 1982) e in composizione (Bologna, 1986 e Roma, 1989), così come il
Diploma di Merito (Siena, 1987). Ha vinto numerosi premi e borse di studio, fra cui: il concorso Gino Contilli, il concorso
Alfredo Casella, la Japan Foundation Fellowship, il Government of Canada Award. I suoi lavori sono eseguiti in tutta
Europa, Canada, Giappone e Stati Uniti. In qualità di direttore ha lavorato, fra gli altri, con l’Ensemble NYM (1988 -’95) e
l’Ensemble Octandre (1990-’95). Dal 2000 è direttore principale del Vancouver New Music Ensemble. Ha lavorato anche a
progetti multimediali con numerosi artisti: Kees Boeke, Nanni Canale, François Houle, David Moss, Ron Samworth,
Douglas Schmidt e Walter Zanetti. E’ tra i fondatori dello studio elettroacustico Musica Musicisti e Tecnologie di Milano
(1992). Ha insegnato contrappunto e armonia ai conservatori di Ferrara (1985-’86), Rovigo (1987-’90) e Parma (1990-’99); è
stato assistente di Franco Donatoni all’Accademia Chigiana di Siena (1991-’98) e ha insegnato al College of Music di Tokio
(1996 e 1998). Dal 2000 insegna alla University of British Columbia. Dal 1999 vive in Canada.
Ana Sokolovic (Belgrado, 1968) Ha studiato composizione con Dusan Radic e Zoran Erica all’Università di Belgrado; ha
frequentato un master all’Université di Montréal sotto la direzione di José Evangelista e un workshop di composizione con
Tristan Murail e Denys Boulianne nell’estate del 1997. Ha ricevuto commissioni dalla Esprit Orchestra, dalla Société de
Musique Contemporaine du Québec, dalle compagnie di danza Brune e Cas Public, dal Molinari String Quartet,
dall’Orchestre Baroque de Montréal, dall’Ensemble Contemporain de Montréal, dall’Orchestre Symphonique di Montréal,
dal Queen of Puddings Music Theater Co., dai Sundstreams, dalla Manitoba Chamber Orchestra, dal trio Fibonacci, dal trio
Phoenix, dall’Arraymusic, dall’Evergreen Gamelan e da molti solisti. Nel 1995 e nel 1998 ha vinto la Competition for Young
Composers del SOCAN con Ambient V per due violini, Secret de polichinelle per 4 strumenti e Pesma per mezzosoprano e 7
strumenti. Nel 1996 Ambient V è stato scelto per rappresentare il Canada all’UNESCO International Rostrum of Composers
a Parigi. Nel 1999 Géométrie sentimentale ha ottenuto il 1° premio nella categoria di musica da camera alla 13a edizione del
CBC Radio National Competition for Young Composers; nel 2005 ha ricevuto il Joseph S. Stauffer Prize dal Canada
Council for the Arts per il suo talento e successo di compositrice. Sempre nel 2005 ha scritto la sua prima opera, The
Midnight Court, per il Queen of Puddings Music Theater Co., poi eseguita alla Royal Opera House di Londra nel giugno del
2006. Ana Sokolovic vive a Montréal ed è un Associate Composer del Canadian Music Centre.
Martedì 29 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese
PEREZ-RAMIREZ / ANDRIESSEN / BARTÓK / HUREL
orchestra
Marco-Antonio Perez-Ramirez Du corps… per orchestra (2003, 14’) prima es. it.
Louis Andriessen Racconto dall'inferno per voce femminile jazz e piccola orchestra (2004, 20’), testi di
Dante Alighieri
Béla Bartók Suite dal Mandarino meraviglioso (1919–1927, 21’)
Philippe Hurel Tour à tour per orchestra (2008, 21’) prima es. it.
voce Cristina Zavalloni
direttore Tito Ceccherini
Orchestra Sinfonica del Teatro La Fenice
E’ Tito Ceccherini, fra i più giovani e affermati direttori d’orchestra a livello internazionale, sensibile
interprete di tanti autori contemporanei con cui ha a lungo collaborato - come Solbiati, Gervasoni,
Sciarrino, di cui eseguirà in prima mondiale Super flumina al National Theater di Mannheim - a dirigere il
secondo appuntamento con l’Orchestra del Teatro La Fenice. Questa volta ospite al Teatro alle Tese
dell’Arsenale, la prestigiosa orchestra veneziana sfoglia alcune fra le più belle pagine di musica
contemporanea: dalla Suite dal Mandarino meraviglioso di Béla Bartók al Racconto dall’inferno di Louis
Andriessen, fino a Du corps… e Tour à tour, presentati in prima esecuzione italiana, rispettivamente di
Marco-Antonio Perez Ramirez e Philippe Hurel, compositori più giovani ma già consolidati nel
panorama della musica colta.
Come dice il titolo, Du corps… nasce dalla suggestione di una frase di Antonin Artaud: “Dal corpo,
attraverso il corpo, dal corpo, e fino al corpo”. Ed è scrivendo questo pezzo per orchestra che Antonio
Perez-Ramirez (1964) si accorge di cercare “volumi contrastanti, suoni aspri, rauchi, una forma senza
concessioni, accelerazioni e rallentamenti del materiale…” e di provare “sensazioni tattili molto forti,
sensazioni di contatto diretto, immediato, fisico. … Oggi, più procedo nel mio lavoro, più questa idea
del corpo diventa presente nella mia musica. Scrivere musica è diventata un’esperienza di tutto il corpo.
Un corpo che è pensiero, conoscenza e sensazioni. Tutto quello che scrivo passa attraverso il mio
corpo. Mimo, canticchio la mia musica. Mi alzo, mi risiedo, giro intorno al tavolo per calmare mani e
testa, che a volte vanno troppo rapidamente. Con questo contatto diretto, fisico, anche la mia musica
conserva il ricordo del gesto che la fa nascere”.
Nato per la maestria di Cristina Zavalloni, capace di cimentarsi in tutti gli stili, dal barocco allo
sperimentale, dalla canzone al jazz, Racconto dall’inferno di Andriessen (1939), forse la figura più
anarchica e creativa della scena contemporanea, attinge al Canto XXI dell’Inferno dantesco. E’ la quinta
bolgia, quella dei fraudolenti – concussori, imbroglioni, falsari, malversatori – immersi per contrappasso
in una pece densa e oscura, che Dante, in un celebre passo, paragona a quella che d’inverno è fatta
ribollire all’Arsenale di Venezia. Al centro del brano è la scena sarcastica in cui Malacoda sceglie i dieci
diavoli, chiamandoli all’appello a uno a uno, perchè formino l’insolito drappello che dovrà “scortare”
Dante e Virgilio al girone successivo. Scrive Andriessen nelle note di programma in occasione del
debutto mondiale a Colonia nel 2004: “Dopo il famoso strombettare di Malacoda, Dante e Virgilio
proseguono il loro cammino con questa ‘feroce scorta’, musicalmente accompagnati da una strana sorta
di Marcia medievale fra suggestivi silenzi. Cosa significa suggestivo? Sono perfettamente consapevole
del fatto che qualsiasi musica può accompagnare qualsiasi immagine, ma è anche ovvio che differenti
tipi di musica possono dare significati diversi alla stessa immagine. Immaginate una ragazza giovane che
cammina lungo un campo di grano maturo. Accompagnata da un’orchestra d’archi che suona una
musica sentimentale e romantica, la ragazza si innamorerà. Accompagnata da una musica da film
d’azione, probabilmente andrà ad uccidere suo padre. Per spingersi ancora oltre: qualsiasi musica può
esprimere qualsiasi testo. Nessuno può dire come ‘suona’ la gelosia o il desiderio. Comunque, è
sicuramente possibile scrivere musica che evoca emozione, dramma, bellezza, o semplicemente una
storia. Non ci sono regole definite che possano indicarci quale musica appartiene ad una determinata
emozione. Interessarmi a certe convenzioni su ciò che potremmo chiamare musica ‘narrativa’ (e nel
frattempo criticarle) è una sfida a cui non voglio sottrarmi. L’eclettismo di Cristina Zavalloni mi è
molto utile per realizzare le mie idee musicali”. Nato autonomamente, Racconto dall’inferno è diventato
poi il secondo dei cinque quadri che costituiscono la Commedia, l’opera di Andriessen ispirata al poema
dantesco, andato in scena per la prima volta lo scorso anno all’Holland Festival.
Eseguita per la prima volta a Budapest nel 1928, la Suite dal Mandarino meraviglioso è un pezzo
straordinario, che deve la sua genesi alle ostilità che Bartók (1881-1945) incontrò nell’allestimento di un
pezzo caratterizzato dalla violenza espressionistica della partitura e dalla scabrosità dell’argomento. La
ricerca da parte di un Mandarino cinese dell’amore che, trovato tra le braccia di una giovane donna
(costretta da malviventi a donarsi sessualmente), insieme all’estasi parossistica dell’attimo erotico lo
porterà alla morte, all’epoca viene considerata particolarmente conturbante. Scritta da Lengyel (autore
di Ninotchka, che Lubitsch portò sullo schermo con Greta Garbo, e di Angel, che lo stesso Lubitsch fece
interpretare a Marlene Dietrich), Béla Bartók musica la storia tra il 1918 e il 1919. Al suo debutto a
Colonia in forma di pantomima, nel ’24, il sindaco della città (l’allora giovanissimo Konrad Adenauer)
chiese fosse tolto dal cartellone del teatro perché l’azione scenica appariva “scandalosamente
immorale”. Nel 1931 e nel 1941 altri due tentativi di metterlo in scena furono bloccati per “oscenità”
dalle autorità prima ancora del debutto. Nel ’42 un grande coreografo, Aurel Milloss, anch’egli
ungherese, lo eseguì per la prima volta in forma di balletto alla Scala di Milano, e lo spettacolo fu un
successo.
Parte di un ciclo compositivo che indaga sul timbro, Tour à tour di Philippe Hurel (1955) “è un
gioco di apparizioni e sparizioni, di alternanza e variazione di situazioni musicali molto caratterizzate e
riconoscibili. Così, la prima parte del pezzo, viva, energica, colorata è interrotta da tre grandi sezioni
lente ed espressive, i cui protagonisti sono gli strumenti a corda. I motivi melodici che si sentono, come
onde che si trasformano lentamente in gamme ascendenti o discendenti, sono presenti anche in altre
sezioni di questa prima parte e sono suonate alternativamente da diversi gruppi strumentali. Le altre
parti del pezzo obbediscono a questo desiderio di alternare combinazioni sonore di diversa natura.
Così, nella seconda parte, altri materiali appaiono alternativamente e sono progressivamente erosi per
lasciare via via spazio a semplici impatti verticali separati da lunghi silenzi. La lunga coda che conclude il
pezzo appare come una liberazione dall’energia sonora per una ritrovata stabilità. L’orchestra fa sentire
masse sonore fuse e nessun gruppo si distingue dall’altro. Il gioco dell’alternanza, del ‘tour à tour’
finisce qui” (P. Hurel).
Marco-Antonio Perez-Ramirez (Santiago del Cile, 1964) Ha acquisito molto presto le basi della musica folcloristica del
suo paese d’origine, ma è in Francia che, dopo essere stato allievo di Alberto Ponce in chitarra classica, si dedica alla
composizione con Sergio Ortega e agli studi di matematica. Con un percorso inverso, Perez-Ramirez affronta direttamente
la musica del ventesimo secolo prima di conoscere quella romantica, classica o barocca, saltando completamente la
progressione storicistica tipica di questi studi. “La sua esperienza - scrive Tristan Murail - è diversa da quella di molti suoi
colleghi. Il suo percorso non ortodosso conferisce alla sua musica una forza ancora più personale”. Dopo aver ricevuto
premi e menzioni dalle Fondazioni Khatcatourian, Boucourechliev e UNESCO, nel 1996-97 segue il corso di composizione
e di informatica musicale dell’IRCAM. Da allora il suo percorso è influenzato dagli incontri con Tristan Murail, Marco
Stroppa, René Koering, Brian Ferneyhough, Luca Francesconi. Nel 1998, è compositore in residenza all’Abaye de
Royaumont sotto la direzione di Brian Ferneyhough; nel 1999 al GRAME. Ha ricevuto commissioni dall’Orchestre et Opèra
National de Montpellier, Les Percussion de Strasbourg, Orchestre national de France, Ensemble Intercontemporain, Musica
Festival di Strasburgo.
Philippe Hurel (Francia, 1955) Ha studiato musicologia all’Université de Toulouse (1974-’79) e composizione con Betsy
Jolas e Ivo Malec al Conservatoire National Supérieur de Musique de Paris (1980-83). Ha anche preso lezioni private di
informatica musicale con Tristan Murail a Parigi nel 1983. Fra le onoreficenze ricevute: “pensionnaire” a Villa Medici di
Roma (1986-88), Förderpreis der Siemens-Stiftung di Monaco (1995, Six miniatures en trompe l’oeil), Prix de Compositeurs del
SACEM (2002) e Prix de la Meilleure Création de l’Année al SACEM (2003, Aura). E’ stato ricercatore dell’IRCAM nel
1985-86 e nel 1988-89, dove ha poi insegnato composizione dal 1997 al 2001; compositore in residenza all’Arsenal de Metz
e alla Philarmonie de Lorraine dal 2000 al 2002. Con Pierre André Valade ha fondato l’ensemble Court-circuit nel 1990, di
cui è direttore artistico. Eseguita in tutto il mondo, la sua musica è stata diretta da Pierre Boulez, David Robertson, Jonathan
Nott, Esa Pekka Salonen, Reinbert de Leeuw, Bernard Kontarsky, Stefan Asbury, Ken Nagano, Peter Eötvös, Markus
Stenz, Ed Spanjaard, Pierre-André Valade, fra gli altri.
L’ICE Ensemble diretto da Christian Knapp presenterà un suo ritratto al Gardner Museum (Boston); Phonus per flauto e
orchestra sarà eseguito dalla Orchestra della Gulbenkian Fundation di Lisbona (Festival Musica Viva) e da Les Siècles a
Royaumont con la flautista Marion Ralincourt. Ha in programma nuove opere commissionate dall’Abbaye de Royaumont,
dall’International Piano Competition di Orléans, dal coro Les Éléments (Toulouse), dall’ensemble 2E2m (Parigi), dal Cirm
(Nizza), dall’ensemble Nikel (Tel Aviv).
Martedì 29 settembre ore 22.00
Teatro Piccolo Arsenale
DONATONI / BARATELLO
violino, pianoforte
Franco Donatoni Argot per violino solo (1979, 5’)
Marino Baratello Divina Commedia – VIII Cerchio: Malebolge per pianoforte (2004-2007, 42’) prima es. ass.
violino Silvia Mandolini
pianoforte Brigitte Poulin
Il pianoforte di Brigitte Poulin e il violino di Silvia Mandolini, dopo il concerto che ha aperto la
serata, sono di nuovo protagoniste, ma in separata sede: la Mandolini affronta l’ardua scrittura di
Franco Donatoni di cui esegue Argot per violino solo, mentre Brigitte Poulin presenta la versione
integrale per pianoforte di Divina Commedia-VIII Cerchio: Malebolge del compositore veneziano Marino
Baratello (1951).
Argot è costituito da due pezzi per violino ed è uno di quei rari esempi in cui Franco Donatoni (19272000) non attinge a materiali preesistenti, bensì a “gesti: nel primo caso un arpeggio, nel secondo dei
modelli ritmici molto difettivi come articolazioni di altezze”. Donatoni è lontano anche da concessioni
ad acrobatismi virtuosistici e, semmai, come afferma nella sua presentazione, i due pezzi “intendono
seguire le tracce di un pensiero che si svolge linearmente, pur sottintendendo soluzioni che possono dar
luogo a condensazioni quali, per esempio, il trio About che modula i singoli pezzi per chitarra, violino e
viola in un’unica composizione che assume un aspetto formalmente differente”.
Divina Commedia-VIII Cerchio: Malebolge è un ciclo pianistico - che viene eseguito per la prima
volta a Venezia nella sua interezza - ispirato alle 10 Malebolge dantesche. E’ suddiviso in 9 pezzi,
ognuno dedicato a una bolgia, considerando che il primo ne descrive due, e basato su un sostanziale
polistilismo, come dichiara lo stesso autore, che precisa: “la scrittura, brillante, virtuosistica, è
improntata ad un uso decisamente ritmico-percussivo del pianoforte, lontano quindi dalla tradizione
romantica che ne costituisce il carattere più tipico. Il clima generale è tendente al tragi-comico e
implicitamente drammaturgico”.
Marino Baratello (Venezia, 1951) Agli studi artistici ha affiancato quelli musicali frequentando le classi di Giuseppe
Sinopoli ed Ernesto Rubin de Cervin presso il Conservatorio di Venezia. Ha debuttato alla Biennale di Venezia nel 1979
partecipando da allora a molte delle principali manifestazioni svoltesi in Italia e all’estero. Recentemente è stato invitato due
volte in Giappone nel 2005, dove ha diretto un concerto monografico di sue musiche presso il Teatro Denki Bunka Kaikan
nell’ambito dell’Expo Aichi di Nagoia, e un secondo concerto presso il Teatro Oji Hall a Ginza, Tokio; nell’autunno 2006 è
stato compositore residente presso il Montalvo Arts Center a S. Francisco, in California; nel 2007 ha diretto altri due
concerti in Giappone alla Suntory Hall a Tokio e alla Munetsugu Hall di Nagoia in un programma di musiche sue e di altri
autori. Fra le sue ultime opere: Sogno del Cavallo Marino per soprano e 8 strumentisti (2001); Gloria per soprano, contralto,
coro, 2 chitarre elettriche, contrabbasso e organo (2002); Divina Commedia: VIII Cerchio: Malebolge per pianoforte (2004-07);
Allologie per 2 arpe e voci recitanti (2005), Viaggio solitario nella città dell’acqua per flauto e archi (2007); Uomo, vita e passione di
Maiakowski secondo Maiakowski, radio-video-monodramma per attore, voce di donna, suoni sintetici e percussioni
(dall’omonimo poema, 1997-2008); Frammenti da frammenti per quintetto (2008); Strings per quartetto d’archi (2009). Affianca
all'attività di compositore quella di docente di conservatorio ed è attivo come direttore d’orchestra.
Mercoledì 30 settembre ore 10.00 – 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali
Comparati e con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di
Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici
Omaggio a Ernesto de Martino
interventi di Luca Francesconi, Maurizio Agamennone, Paolo Apolito, Franco Fabbri
concerti di Anna Cinzia Villani e Suoni Rurali, Mascarimirì
Conservare e alimentare la memoria (individuale, di coppia, di piccolo gruppo, comunitaria,
regionale, macro-regionale) costituisce una pista su cui marciare per agire nel presente e, soprattutto,
per costruire un futuro vivibile, partecipato e condiviso, per essere individui liberi e sentirsi parte di
un gruppo.
Con questa persuasione il segmento Il Paese senza memoria del 53. Festival Internazionale di Musica
Contemporanera della Biennale propone alcuni contributi di riflessione, offerti in forma di Lectio
magistralis, su temi diversi affidati a specialisti di rilievo internazionale, seguiti da momenti di
spettacolo dal vivo coerenti e integrati con i motivi della riflessione.
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della indagine etnografica condotta da Ernesto
de Martino sul tarantismo (Salento, giugno-luglio 1959): nessuno, o quasi, se ne è ricordato, perciò lo
facciamo noi. Quella fu l’occasione in cui un’Italia lanciata verso un “luminoso” sviluppo industriale,
che stava bruscamente voltando le spalle al suo passato, prese drammaticamente atto di conservare
ancora sacche di ruralità e alterità estreme, ma, anche, scoprì come le culture locali avessero, nella
storia, elaborato procedure diverse per trattare e curare il “male di vivere”, qualsiasi ne fossero le
motivazioni, con la musica, il ballo, il tempo, la tenacia e la solidarietà di gruppo. Ernesto de Martino ci
ha insegnato come l’assenza, o l’ignoranza, di queste e altre memorie possa disarmare la ragione e
offuscare qualsiasi strategia di progresso. La ricerca dello studioso napoletano, il suo approccio
interdisciplinare alle pratiche culturali, la documentazione prodotta, saranno valutate dall’antropologo
Paolo Apolito (Università di Roma III), profondo conoscitore oltre che di quella vicenda, anche dei
tratti storico-culturali dell’esperienza religiosa nella Penisola, nella prima Lectio proposta: Ernesto de
Martino: tarantismo, religione e storia culturale a cinquanta anni dalla “mitica” estate del 1959.
Lo spettacolo è affidato a due gruppi che rappresentano gli esiti più interessanti e i poli opposti di
quella “nuova onda salentina” che da oltre un decennio è al centro dell’interesse di musicisti,
antropologi, sociologi, operatori turistico-culturali, amministratori locali, manager politici e dei
programmi europei di sviluppo e cooperazione: il quartetto Suoni rurali, l’istanza più vicina alla
memoria del mondo rurale, e il quartetto Mascarimirì, di matrice rom-salentina, singolare ibridazione
di materiali locali con mezzi e pratiche derivati da elettronica, dub, hip-hop.
Maurizio Agamennone
Mercoledì 30 settembre ore 18.00
Teatro alle Tese
VENTURINI / SARTO / EVANGELISTI / LA LICATA / ARALLA / KAGEL
ensemble
Franco Venturini Erodìa per due viole ed elettronica (2009, 9')
Andrea Sarto Tau per contrabbasso e percussioni (2008, 6') prima es. ass.
Nicola Evangelisti Croon II per flauto e violoncello (2009, 9') prima es. ass.
Francesco La Licata Okeanos per pianoforte e percussione (2009, 7') prima es. ass.
Paolo Aralla Analogie: secondo quaderno per violino e clarinetto basso ed elettronica (2009, 11') prima es. it.
Mauricio Kagel Die Stücke der Windrose per Salonorchester
Osten (1988-89, 6')
Norden (1993-94, 20'30")
Westen (1993-94, 20')
violoncello Francesco Dillon
pianoforte Stefano Malferrari
regia del suono Paolo Aralla
direttore Francesco La Licata
FontanaMIXensemble
Un ensemble italiano di recentissima formazione, il FontanaMIXensemble di Bologna, impagina un
concerto altrettanto “made in Italy” con tre prime esecuzioni assolute e una novità per l’Italia: sono i
trentenni Franco Venturini e Andrea Sarto, Francesco La Licata, Nicola Evangelisti e Paolo Aralla. Alle
loro musiche fa da contraltare, nella seconda parte del concerto, Die Stücke der Windrose, un capolavoro
di Mauricio Kagel, recentemente scomparso.
Nella sua storia recente l’ensemble ha collaborato con autori come Kaija Saariaho, Fausto Romitelli,
Jonathan Harvey, Sylvano Bussotti, Toshio Hosokawa, Gilberto Cappelli, Francesco Carluccio, Giorgio
Magnanensi, Paolo Aralla, Atli Ingolfsson, Paolo Perezzani, Giulio Castagnoli, Maurizio Pisati.
Oltre a Francesco La Licata, che dirige l’ensemble dalla sua fondazione, hanno collaborato i direttori
Yoichi Suiyama e Giorgio Magnanensi, il mezzosoprano Monica Bacelli, il basso Nicholas Isherwood, il
pianista Mauro Castellano, i violoncellisti Frances-Marie Uitti e Francesco Dillon, la flautista Thuridur
Jónsdóttir, il violinista Paolo Chiavacci, il fisarmonicista Corrado Rojac, il contrabbassista Stefano
Scodanibbio e il coreografo Luca Veggetti.
Erodìa, primo brano in programma composto nel 2009 da Franco Venturini (1977), si potrebbe
tradurre, come suggerisce l’autore, con “canto d’amore”. La natura di stato psicologico-percettivo che
ispira il brano e il desiderio di manifestare l’evoluzione di questa dimensione soggettiva e interiore ha
portato alla scelta di un unico strumento, la viola, amplificato attraverso il suo raddoppiamento (sono
due le viole utilizzate) e dall’impiego dell’elettronica. “La forma si potrebbe semplificare con una
spirale: essa si organizza in cicli che tornano su se stessi come l’antica forma della ‘passacaglia’ ma che
vanno espandendosi nella duplice dimensione temporale orizzontale della durata e verticale della
densità degli eventi. La fine non è la conclusione del processo, ma la proiezione dello stesso in
un’ulteriore dimensione psicologica” (Franco Venturini).
In prima esecuzione assoluta, Tau di Andrea Sarto (1979), impiega contrabbasso e percussioni.
“Un’arcata lentissima e un ricochet molto rapido producono due diverse qualità sonore dell’immobilità. Il
pezzo traccia un possibile percorso dall’una all’altra”, spiega l’autore, che era stato un’interressante
scoperta della scorsa Biennale Musica con Hével (Threads).
Una cantilena, un canto sommesso, una canzone sussurrata: è Croon II, terzo brano in programma,
una novità assoluta di Nicola Evangelisti (1964). “Il suono da cui trae origine Croon II è
un’oscillazione lenta e ciclica attorno a pochissimi intervalli, una cantilena, una melopea affidata in
particolare alla trasparenza dei timbri del flauto cui corrisponde un’idea sospesa del tempo, un incedere
lento ed incerto, un respiro ampio e continuo. Ad essa si oppone un andamento mobile, fremente, una
rapida ed incessante successione di linee melodiche che da brevi ed isolati frammenti del violoncello si
trasformano progressivamente in flussi di linee che disegnano una complessa rete di geometrie variabili,
mutevoli, polimorfe. Croon II vive sulla prospettiva generata dall’alternanza, dall’accostamento,
dall’avvicendarsi dei due elementi contrastanti” (N. Evangelisti).
Alla cosmogonia dell’antica Grecia si ispira Francesco La Licata (1957) per Okeanos, “il fiume da cui
tutti discendono”, che circonda il mondo e cinge l’universo in forma di serpente. “In fondo a queste
immagini arcaiche in cui domina il Caos (nel senso antico del termine), nella forza circolare dell’onda
infinita di Okeanos, a tratti anche nelle sue maestose caratteristiche di lontananza e silenzio, nasce
un’idea musicale profonda e fluente che si autogenera, dando vita a diversi accadimenti sonori. Un
universo sonoro dinamico in cui spazio e tempo, timbro e armonia, micro-fonico e macro-fonico sono
integrati in un’unica entità multivalente. Se la scrittura pianistica è il motore di questa circolarità del
tempo che fa fluire una serie di fenomeni acustici, le risonanze della percussione hanno il ruolo di
amplificarli in una ciclicità dello spazio” (F. La Licata).
Conclude la prima parte della serata Analogie: secondo quaderno di Paolo Aralla (1960). Scritto per
violino e clarinetto, è dal fitto intreccio dei due strumenti, quasi un corpo a corpo o un “passo a due”
come scrive Aralla, che si genera il pezzo: i due strumenti “si cercano, si toccano, si respingono,
dialogano analogamente a quanto avviene in un passo a due. Da questa coreografia immaginaria prende
vita una forma musicale che, in un movimento a spirale, torna sempre, ostinatamente, al punto di
partenza. Un processo di lenta trasformazione nel quale il continuo legarsi e separarsi dei suoni crea il
respiro, il movimento; in una sola parola: il tempo”.
Scomparso repentinamente meno di un anno fa lasciando un vuoto incolmabile, Mauricio Kagel
(1931-2008) non cessa di appassionare con la sua musica, di cui colpisce il carattere provocatorio e
profetico insieme. Come Die Stücke der Windrose, in cui Kagel si fa paladino del multiculturalismo –
realtà tangibile dei nostri giorni – per stigmatizzare il fatto che “non siamo più inclini a recepire culture
straniere con la necessaria sensibilità e comprensione” (M. Kagel) e per invitarci a non restare vittime
del “vizio eurocentrico”. Partendo da un elemento squisitamente geografico - i punti cardinali della
Rosa dei venti - Kagel ci accompagna in un viaggio musicale intorno al mondo, facendoci attraversare
le culture più diverse - klezmer, musica indios, danze popolari italiane, sonorità polinesiane, jazz e
ragtime - e obbligandoci a cambiare ogni volta punto di vista. Protagonista del viaggio è una
Salonorchester, ovvero un ensemble originariamente destinato alle musiche da ballo nei salotti e nei
caffè, che Kagel sceglie sfidando le convenzioni, giustificato dalla forte componente folclorica e
popolare presente nell’opera. “Se si condanna la Salonorchester, si rifiuta anche il grande valore della
musica folclorica. Io non sono un sostenitore a priori della Salonorchester ma amo l’ambiguità. E’ per
questo che il termine Salonorchester nel titolo della composizione è così importante. Avrei potuto
scrivere facilmente ‘per 9 strumentisti’. Ma ho optato per ‘Salonorchester’ e questo è qualcosa di strano
in Europa, dove Salonorchester si riferisce a qualcosa di ‘basso’”.
Degli otto capitoli di cui si compone il ciclo, vengono presentati il primo – Osten (1988-89) – e quelli
conclusivi – Norden e Westen (1993-99).
Franco Venturini (Forlimpopoli, 1977) Pianista e compositore studia musica elettronica con L. Camilleri e composizione
con G. Cappelli e P. Aralla. Integra la sua formazione musicale seguendo classi pianistiche di P. N. Masi, S. Perticaroli, O.
Yablonskaja e corsi di M. Campanella presso l’Accademia Chigiana a Siena conseguendo il Diploma di Merito. Si perfeziona
nell’ambito cameristico con il “Trio di Trieste” alla Scuola Superiore Internazionale del Trio di Trieste (Duino).
Approfondisce gli studi compositivi attraverso seminari di L. Berio, G. Manzoni, H. Pousseur e masterclass di M. Jarrell, M.
Stroppa, B. Ferneyhough, I. Mundry, W. Rihm presso il Centre Acanthes a Metz e all’Istituto musicale di Darmstadt, dove
vince The modern recorder project – International Composition Competition 2008. Sue composizioni sono state eseguite
nel 44° Internationale Ferienkurse für Neue Musik a Darmstadt, alla Radio Suisse Romande, all’Angelica Festival. Partecipa
al PRIME project: Paetzold Recorder Investigation for Music with Electronics promosso dal Conservatorio di Lausanne
con A. Politano, con esecuzioni nelle Hochschule für Musik di Weimar, Lipsia, Berlino, L’Aia ed a un progetto dedicato al
violoncello ed elettronica con F. Dillon e l’Accademia Musicale di Fiesole. All’attività di compositore affianca quella di
pianista collaborando, oltre che con il FontanaMIX, con l’Accademia Filarmonica di Bologna, Bologna Festival, Teatro
Comunale di Bologna; Festival REC; Festival Internazionale Da Bach a Bartòk, Nuova Consonanza, Ravello Concert
Society. Ha suonato anche in Francia (Salle Cortot – Parigi, Matinées du Piano - Orléans), Croazia, Svizzera, Olanda.
Andrea Sarto (Bologna, 1979) Ha studiato composizione con P. Aralla e musica elettronica con L. Camilleri al
Conservatorio di musica G. B. Martini di Bologna, e Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna, laureandosi nel
2004. Nel 2005 è stato Guest Student presso la Kungliga Musikhögskolan di Stoccolma (Royal College of Music) dove ha
studiato con Lars Ekström, Pär Lindgren e Bill Brunson. E' stato selezionato in numerose competizioni nazionali ed
internazionali fra cui l’International Gaudeamus Composer Competition (Amsterdam, 2007 e 2009), Iceberg (Bologna,
2007), Festival Nazionale Giovani Compositori (Lecco, 2001). Ha seguito diversi workshop e corsi di perfezionamento,
quali Orchestra! (a Malmö, 2006), agli atelier di composizione di Acanthes, (Metz, 2006), allo Stresa EAR-Lab, alI’ISCSM
2005 – International Summer Course for Composers and Stringplayers (Mirecourt, 2005) e agli atéliers Voix Nouvelles
dell’abbazia di Royaumont, con Brian Ferneyough. Le sue composizioni sono state eseguite alla Biennale di Venezia (2008),
a Royaumont (2008), al Festival di Tempo Reale di Firenze (2008), ai Festival Exitime di Bologna (2008 e 2009), ad
Amsterdam, Ginevra, Metz, Helsingborg, Gävle, Stresa, Mirecourt, Losanna, Weimar, Lipsia, Berlino, L’Aja, Bologna,
Reggio Emilia, Bergamo e Roma (festival What’s Next, 2003). Ha collaborato con il FontanaMIXensemble, con le classi di
flauto dolce del conservatorio di Losanna (con Antonio Politano) e con le classi di violoncello della Scuola di Musica di
Fiesole (con Francesco Dillon); ha pubblicato e collabora con l’etichetta indipendente Miraloop, e attualmente frequenta il
Corso di Perfezionamento in Composizione presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma, sotto la guida di Ivan
Fedele.
Nicola Evangelisti (Bologna, 1964) Si è diplomato a Bologna in composizione e in strumentazione per banda. In seguito
ha seguito i corsi di Franco Donatoni all’Accademia Musicale Chigiana di Siena e i Corsi di Perfezionamento presso
l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Ha ricevuto numerosi premi e segnalazioni in concorsi internazionali di
composizione: il Concorso di Belveglio, la Biennale ’88 per l’Europa Mediterranea, il Concorso Alfredo Casella a Siena,
Nuove Sincronie a Milano, il III Concurso Internacional de Composición Pianística Manuel Valcárcel a Santander (Spagna),
ICOMS 2001 di Torino, il Concorso G. Contilli per orchestra sinfonica, il Concorso Togni di Brescia. Sue composizioni
sono state presentate in importanti centri di produzione musicale - Teatro Comunale, DMS, Accademia Filarmonica,
Festival Internazionale di Santander, Tokyo, Santa Barbara University (USA), Drammen (Oslo-Norvegia), Gent (Belgio),
Amsterdam (Gaudeamus), Lausanne - ed eseguite da Österreichisches Ensemble für Neue Musik, Octandre, Nuove
Sincronie, Theater Winter Ensemble, Orchestra Sinfonica Siciliana, FontanaMixensemble, ECQuartett, Dedalo Ensemble.
Interessato agli aspetti della composizione assistita dal calcolatore e all’utilizzo dell’elettronica live, ha collaborato con istituti
di ricerca e produzione quali l’IRCAM di Parigi e TempoReale di Firenze e ha attivamente partecipato a progetti
internazionali come il Progetto Prisma. E’ titolare di cattedra di Fuga e Composizione presso il Conservatorio Niccolò
Piccinni di Bari.
Francesco La Licata (Palermo, 1957) Dedica la sua attività alla composizione e all'interpretazione della musica moderna e
contemporanea. Importante per la sua formazione è stato l’incontro con Aldo Clementi, che ha fortemente influenzato il
linguaggio delle sue prime opere. Come compositore esordisce nel 1981 nell’ambito della rassegna Opera Prima del Teatro
La Fenice di Venezia. Conseguito il diploma di composizione al Conservatorio di Roma, si dedica anche allo studio della
direzione d’orchestra a Londra (Ernst Read Music Association) e Ginevra (Conservatoire Supérieur de Musique), e inizia a
praticare l’attività esecutiva insieme con quella strettamente creativa. In entrambi i ruoli si fa conoscere presso numerose
istituzioni e Festival di musica contemporanea, in Italia come all’estero: Teatro La Fenice, Orchestra Regionale Toscana,
Teatro Comunale di Bologna, Milano Musica, Festival Nuova Consonanza e Roma Europa Festival, Ravenna Musica,
Accademia Chigiana, Cantiere Internazionale d'arte, Teatro Colon di Buenos Aires, Orchesterhaus di Salisburgo,
Musikhochschule di Zurigo, Orff Zentrum di Monaco di Baviera, Warsaw Autumn. Nell’ambito del Festival di Gibellina,
nel 1987, è stato assistente musicale di Iannis Xenakis per la rappresentazione scenica della sua opera Oresteia. Nel 2000
esordisce come autore di teatro musicale con L’Angelo e il Golem, rappresentata in prima esecuzione nell’ambito del Festival
di Palermo sul Novecento e poi ripresa al Festival REC del Teatro Valli di Reggio Emilia (2003). Insegna lettura della
partitura al Conservatorio, ed è direttore musicale del FontanaMIXensemble.
Paolo Aralla (Lecce, 1960) Determinanti per la sua formazione artistica gli incontri con Franco Donatoni, con il quale
studia presso l'Accademia Chigiana di Siena e l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, e Marcel Couraud con il
quale approfondisce il repertorio sinfonico-corale sia classico che del '900 storico. Ottiene riconoscimenti in importanti
concorsi di composizione fra i quali il Gaudeamus di Amsterdam, il Togni di Brescia e il Contilli di Messina; nel 1997 il
Comitato di Lettura dell'Ensemble Intercontemporain gli commissiona un lavoro per orchestra, Maree: primo quaderno,
eseguito in prima assoluta alla Cité de la Musique sotto la direzione di Jonathan Nott. Ha inoltre ricevuto commissioni dalla
Fondazione Arturo Toscanini, dal Miller Theatre (Columbia University) di New York, dal Teatro Comunale di Bologna, dal
Cedar Lake di New York, dalla Fondazione Gaudeamus di Amsterdam, dalla Biennale di Venezia, dal Joyce Theatre di New
York. La sua musica è affidata ad interpreti quali Günter Neuhold, Eva-Maria Kurhau, Maurizio Ben Omar, Antonio
Politano, Francesco Dillon, Michael Nicolas, Erin Lesser, Yoichi Sugiyama, ed eseguita da Österreichisches ensemble für
Neue Musik, Either/Or ensemble, Zephir ensemble, Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, Orchestra Toscanini. Da
diversi anni è impegnato nel campo dell'informatica musicale (collaborazioni con MM&T, TempoReale e IRCAM) e dal
2001 partecipa attivamente al progetto PRISMA (Pedagogia e Ricerca Internazionale sui Sistemi Musicali Assistiti da
computer). Insegna composizione presso il Conservatorio G.B. Martini di Bologna.
Mercoledì 30 settembre ore 21.00
Teatro alle Tese – Arsenale
NILSSON / KYBURZ / WEBERN / STRAVINSKIJ / ZAPPA
orchestra
Ivo Nilsson More objects with destinations (2009, 8’) prima es. ass.
Hanspeter Kyburz Parts per ensemble (1994-1995, 23’)
Anton Webern Variazioni op. 30 per orchestra (1940, 8’)
Igor Stravinskij Concertino (1952, 6’)
Frank Zappa The perfect stranger (1984, 13’)
direttore Renato Rivolta
Orchestra di Padova e del Veneto
Una compagine orchestrale che da più di quarant’anni dà impulso alla vita musicale dell’area veneta,
con oltre 120 concerti l’anno e una propria stagione a Padova, attività in tutta Italia e tournée all’estero,
l’Orchestra di Padova e del Veneto sarà a Venezia e alla Biennale con un concerto che avvicina
maestri del passato, Webern e Stravinskij, ad autori delle nuove generazioni, Hanspeter Kyburz e Ivo
Nilsson, per concludersi con la figura atipica di Frank Zappa, autore che si muove in una zona liminare
tra rock sperimentale e musica colta, amato da Boulez e dal suo ensemble.
A creare legami e risonanze fra le musiche in programma è la bacchetta di Renato Rivolta, flautista e
compositore prima di divenire, nel 1989, quando è chiamato come assistente e collaboratore da Peter
Eötvös, direttore d’orchestra alla testa delle più prestigiose formazioni europee del repertorio moderno.
Del quarantenne norvegese Ivo Nilsson (1966), invitato alla Biennale la prima volta nel 2004, verrà
presentato in prima esecuzione assoluta More objects with destinations, versione ampliata di un
pezzo nato come colonna sonora del video di Gary Hill Objects with destinations, a sua volta originato da
una commissione per il cinquantesimo anniversario del Museum of Modern Art di Stoccolma. “L’idea
complessiva del video mostrava quanto fosse facile manipolare visivamente oggetti di uso quotidiano martelli, raschietti, pinze - muovendoli in diverse direzioni, fino a farli sovrapporre l’uno all’altro. La
musica è costruita in modo simile, intorno a tre oggetti musicali che si muovono a diverse velocità (33,
45 e 78 rpm, come su un giradischi) e a volte si arrampicano uno sull’altro” (I. Nilsson).
Autore di una “interpretazione” musicale del misterioso manoscritto Voynich - The Voynich Cipher
Manuscript (1995) – con cui si afferma fra i più brillanti compositori della sua generazione, Hanspeter
Kyburz (1960), svizzero nato a Lagos e residente in Germania, torna alla Biennale con Parts,
composto nel 1994-’95. L’opera è un chiaro esempio di scrittura, caratteristica di Kyburz, integrata al
computer, dove il mezzo informatico non diventa strumento di controllo assoluto e l’autore non
rinuncia alla propria espressività originale. Parts esprime un vortice di linee che si rincorrono e si
sovrappongono l’una all’altra, lontano da ogni deriva sterile, governate dalla sensibilità di Kyburz.
Al centro del concerto dell’Orchestra di Padova e del Veneto, due autori che hanno influenzato
un’intera generazione: Anton Webern (1883-1945) con Variazioni per orchestra op. 30 e Igor
Stravinskij (1882-1971) con Concertino. Non a caso accostati, dal momento che nel suo ultimo periodo
compositivo Stravinskij, abbracciando il linguaggio della scuola di Vienna inizialmente osteggiata, si
esprime con parole di profonda ammirazione proprio per Webern.
E’ lo stesso Webern a definire la novità del suo stile in Variazioni, “che nel materiale segue esattamente
le leggi della natura come le forme del passato seguivano la tonalità, dunque uno stile che forma una
tonalità che sfrutta in maniera ancora diversa le possibilità offerte dalla natura del suono”.
Del Concertino (1952) di Stravinskij esiste un’edizione originaria che risale a più di 30 anni prima, al 1920.
Questo lasso di tempo testimonia il percorso di un artista eclettico come Stravinskij che, nelle note di
presentazione alla prima esecuzione della versione del ’52, scriveva: “Oggi, l’idea che avevo di
quest’opera mi spinge ad amputarla assai considerevolmente per chiarire alcune delle armonie e per
rendere più trasparente il fraseggio del pezzo”. Se il primo violino conserva un ruolo di primo piano
come solista, gli strumenti dell’orchestra si suddividono in gruppi di due o di tre.
Compositore autodidatta e onnivoro, anarchico e provocatore, Frank Zappa (1940-1993) sfida ogni
definizione con il suo irripetibile sincretismo musicale. L’amore per Varèse e Stravinskij, l’attrazione per
la composizione a tutto tondo, l’idea di vedere le sue musiche realizzate da organici sempre più allargati
fino alla grande orchestra sono tutti elementi che indirizzano la ricerca musicale di Frank Zappa. Lumpy
Gravy (1967) è presentato anche alla Royal Albert Hall di Londra; Uncle Meat, dello stesso anno, è un
collage sonoro in cui riecheggiano motivi stravinskiani e varèsiani; 200 Motels (1970) è un film musicale
che avrà anche una versione live all’Ucla con la Los Angeles Philarmonic diretta da Zubin Metha; il
percorso di Zappa procede fino alle grandi partiture per orchestra sinfonica, registrate dalla London
Symphony Orchestra che le eseguì sotto la direzione di Kent Nagano (pubblicate nel 1983 e nel 1987).
Sarà Pierre Boulez, poi, a commissionargli un brano per il suo ensemble, l’Intercontemporain. Nasce
così The Perfect Stranger, che verrà pubblicato in un album omonimo, con la direzione dello stesso
Boulez (1984). E sarà per l’Ensemble Modern che Zappa creerà il suo ultimo lavoro, The Yellow Shark,
eseguito anche alla Scala di Milano dal Divertimento Ensemble. Come ha detto Boulez: “per Frank
Zappa verrà il tempo in cui gli verrà riconosciuto il giusto merito, ossia di essere uno dei più grandi
compositori del ‘900”.
Ivo Nilsson (Svezia, 1966) Compositore e trombonista, Ivo Nilsson è considerato uno dei massimi interpreti del suo
strumento, di cui è anche energico e straordinario innovatore nella pratica esecutiva. Ivo Nilsson debutta come solista con
l´Orchestra Radiosinfonica Svedese nel 1989, dopo gli studi all´Accademia di Musica di Stoccolma e all´IRCAM di Parigi.
Lo stesso anno fa anche il suo debutto come compositore con una prima eseguita dall’ensemble l’Itinéraire a Radio France.
La sua musica è stata eseguita da interpreti internazionali - Ensemble Son, Ensemble Recherche, Kammarensemble, Nouvel
Ensemble Moderne, Orchestre des Flûtes Français – e in molti festival - Beyond 440 Hz (Los Angeles), Gaudeamus
(Amsterdam), Huddersfield Contemporary Music Festival (Gran Bretagna), Ilhom (Tashkent, Uzbekistan), Musica
(Strasburgo), Roaring Hoofs (Mongolia), 2 Days and 2 Nights (Odessa), Sonorities (Belfast), Spazio Musica (Cagliari),
Spectra (Tirana), Time of music (Viitasaari, Finlandia), Ultima (Oslo), Autunno di Varsavia e World Music Days (HongKong). La sua musica è stata registrata dalle radio BBC, DR, RNE, SR, YLE, e dalle etichette Adriadne, Phono Suecia e
SFZ Records. Ivo Nilsson è direttore artistico del festival di Nuova Musica di Stoccolma nel 2003 e nel 2005.
Hanspeter Kyburz (Lagos, 1960) Nato in Nigeria da genitori svizzeri, nel 1980 Kyburz comincia a studiare composizione a
Graz con A. Dobrowolsky, Gösta Neuwirth e Franc Michael Beyer. Successivamente studia alla Univesität der Künste a
Berlino e con Hans Zender a Francoforte. Nel 1990 riceve il Boris Blacher Prize e vince la borsa della Cité Internationale
des Arts per il 1990-‘91 a Parigi. Nel 1991 collabora con Insel-Musik-Konzerte group a Berlino. Fra i premi ricevuti:
Schneider-Schott Prize nel 1996 e Förderpreis Prize dalla Berlin Akademie der Künste nel 1994. La sua musica è stata
eseguita alla Berlin Biennale, alle Wiener Festwochen, al Wittener Tagen für Neue Kammermusik e a Donaueschingen.
Hanspeter Kyburz ha scritto per l’Ensemble Intercontemporain, Südwestfunk Radio, Konservatorium di Basilea, Steirischen
Herbst, Schleswig-Holstein festival, Sender Freies a Berlino e Süddeutschen Rundfunk. Il primo settembre del 2006, Simon
Rattle e la Berlin Philarmonic hanno eseguito la prima londinese di Noesis, inserito nella Promenade Concert Season della
London’s Royal Albert Hall. Dal 1997, Kyburz è professore di composizione alla Hanns Eisler University di Berlino.
Giovedì 1 ottobre ore 10.00 - 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali
Comparati e con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di
Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici
Migranti, corpi, storie e memorie
interventi di Cecilia Pennacini, Umberto Fiori, Vincenzo Caporaletti
sequenze filmiche tratte dalle opere di Jean Rouch, Diego Carpitella e Cecilia Pennacini.
La memoria costituisce frequentemente un filtro, che mette da parte e dimentica fatti e accadimenti
poco graditi o cui si attribuisce scarso rilievo: la memoria prende le distanze dalla storia. Le vicende
della migrazione italiana nel mondo sono significative in questa direzione e hanno lasciato tracce
interessanti intorno all’azione musicale dei migranti italiani: basta cercarle e interpretarle.
Vincenzo Caporaletti (Università di Macerata), uno dei massimi esperti europei di storia e analisi del
jazz, proporrà una riflessione sulle Radici italiane nel jazz delle origini mostrando come gli italiani
in America, di recente insediamento, condividessero strettamente ambienti, residenze, esperienze di
lavoro e musicali con gli americani di origine africana, contribuendo non poco ad alimentare le nuove
pratiche musicali che emergevano “alle origini del jazz”, in uno scenario di contiguità e prossimità in
gran parte sconosciuto e sorprendente.
La conservazione della memoria si esercita altresì nella documentazione delle pratiche culturali e
l’antropologia visuale è una delle prospettive più efficaci: Cecilia Pennacini (Università di Torino),
cineasta e antropologa, proporrà una rassegna delle immagini più celebri nella ripresa di
possessione, trance e linguaggi specifici del corpo, utilizzando materiali visuali di maestri (Jean
Rouch e Diego Carpitella) e materiali propri, raccolti nell’Africa sub-sahariana.
Maurizio Agamennone
Giovedì 1 ottobre ore 18.00
Sale Apollinee – Teatro La Fenice
LIGETI / KURTÁG / BARTÓK
quartetto d’archi
György Ligeti Quartetto d’archi n. 1 ‘Metamorphoses nocturnes’ (1953-54, 20’)
György Kurtág Hommage à Mihály András op. 13 – 12 Microludi per quartetto d’archi (1977, 10’)
Béla Bartók Quartetto n. 4 (1928, 23’)
Quartetto d’archi del Teatro La Fenice
Bartók, Ligeti, Kurtág: significativamente il trittico di autori ungheresi, tutti ugualmente lontani dal
mainstream del loro tempo e tutti uniti da una totale autonomia di ricerca, svincolata da teorie e mode, è
protagonista del concerto del Quartetto d’archi del Teatro La Fenice.
Soffermarsi su questa unicità, che suggestivamente sembra riflettere la peculiarità della lingua ungherese
– dalle origini oscure e totalmente estranea al resto d’Europa – serve a tracciare, nel dialogo tra i tre
quartetti presentati, non solo la genesi di una parte della musica contemporanea, ma anche il sottile
gioco di relazioni, prestiti e omaggi che si innesca tra il maestro e i suoi “allievi”.
E’ per seguire le lezioni di Bartók, atteso da New York perché riprenda il suo posto al Conservatorio di
Budapest, che sia Ligeti che Kurtág passano clandestinamentte il confine (erano infatti ungheresi nati
nei territori ceduti alla Romania dopo la prima guerra mondiale) e raggiungono la capitale, ma qui
vengono raggiunti dalla notizia della morte improvvisa del Maestro.
Inaugurato nella scorsa edizione del Festival, il Quartetto d’archi del Teatro La Fenice è di nuovo ospite
della Biennale Musica con i suoi validi strumentisti: Roberto Baraldi e Gianaldo Tatone al violino,
Daniel Formentelli alla viola ed Emanuele Silvestri al violoncello.
Nel perimetro tracciato da Bartók con la sua ultima, più sperimentale, produzione quartettistica, si
colloca il primo Quartetto di Ligeti (1923-2006), intitolato Metamorphoses Nocturnes, dove le
metamorfosi alludono alla forma della variazione - una sequenza di variazioni che si succedono
all’interno di un unico movimento - e l’aggettivo indica invece il tono generale del brano. “Le
metamorfosi del nucleo tematico producono una successione di sezioni contrastanti, brevi semimovimenti che si susseguono senza soluzione di continuità. (C’è solo un’unica piccola pausa al centro
del brano, tra una lieve e lenta sezione simile ad un corale ed una variazione valzeristica molto
contrastante.) La successione di sezioni contrastanti diventa sempre meno chiara verso la fine, e si
trasforma gradualmente in una forma simile al rondo con un ritornello irregolare costituito dalla
trasformazione subita dal nucleo tematico originario” (G. Ligeti, 1977). Affettuosamente considerato
“preistorico” dallo stesso Ligeti, il Quartetto testimonia la ricchezza linguistica raggiunta nel periodo
immediatamente antecedente al suo espatrio per stabilirsi in Europa occidentale.
Concepito come omaggio all’amico András Mihály, violoncellista e direttore d’orchestra, in occasione
del suo sessantesimo compleanno, il secondo Quartetto per archi di Kurtág (1926) si configura nella
forma, tanto cara all’autore, di 12 Microludi, ovvero di un ciclo di piccole miniature che, nonostante la
brevità, manifestano tutta la gamma espressiva del compositore.
Il cerchio si chiude con il capolavoro di Bartók (1881-1945) e il suo quarto Quartetto, che risale al
1928. E’ il quartetto più sperimentale della sua produzione, quello in cui, accanto alla tecnica
compositiva per espansione di un nucleo originario, fa irruzione in maniera massiccia la materia, intesa
in tutta l’indeterminatezza del rumore. L’evoluzione stilistica che il quartetto rappresenta e le tecniche
strumentali – soprattutto di tipo percussivo – volte ad ampliare ulteriormente la gamma espressiva
avranno un’influenza enorme sulla generazione del dopoguerra.
Giovedì 1 ottobre ore 21.00
Teatro Goldoni
JOSÉ-MARÍA SANCHÉZ-VERDÚ / AURA
opera da camera
musica e libretto Josè Maria Sanchez Verdú
dal romanzo omonimo di Carlos Fuentes
regia Susanne Øglænd
scene Mascha Mazur
luci Andreas Fuchs
video Jan Speckenbach
con Sara Sun (soprano), Consuelo: Truike van der Poel (mezzosoprano), Felipe: Andreas Fischer
(basso)
direzione musicale José-María Sánchez-Verdú
Neue Vocalsolisten Stuttgart, Kammerensemble Neue Musik Berlin
auraphon: SWR Experimentalstudio
produzione Musik der Jahrhunderte Stuttgart, Operadhoy Madrid, La Biennale di Venezia
nell’ambito del progetto ENPARTS – European Network of Performing Arts
con il supporto del Programma Cultura dell’Unione Europea
Nel 2008 la Biennale di Venezia ha avviato il primo progetto pluriennale italiano condiviso e sostenuto
dal Programma Cultura dell’Unione Europea, con l’idea di dare impulso ad una Europa che possa
trovare unità anche nel nome dei linguaggi della cultura. Attraverso i settori Danza Musica e Teatro, la
Biennale ha creato una rete dello spettacolo dal vivo – European Network of Performing Arts
(ENPARTS) – che coinvolge altri sei partner di rilievo internazionale, ugualmente interessati ai nuovi
linguaggi e alla sperimentazione di nuove forme di creatività: Dance Umbrella di Londra, Dansens
Hus di Stoccolma, Berliner Festspiele – Spielzeit Europa, Bitef di Belgrado, Musicadhoy di
Madrid, Musik der Jahrhunderte di Stoccarda.
L’elaborazione e la produzione di nuove scritture sceniche nelle discipline coreografiche, teatrali,
musicali, di opere audiovisive che ne testimonino la genesi e gli esiti, la promozione di laboratori e
campus di ricerca pluridisciplinari sono parte fondante del programma comune che coinvolge tutti i
partner.
L’opera multimediale di José-María Sanchéz-Verdú, Aura, nasce nel contesto della rete europea dello
spettacolo; dopo il debutto in prima assoluta al Teatro de la Zarzuela di Madrid (30-31 maggio), Aura
sarò in scena al Theaterhaus di Stoccarda (17-18 luglio) e al Teatro Goldoni di Venezia l’1 ottobre.
José-María Sanchéz-Verdú (1968), autore del libretto e compositore delle musiche, si è ispirato
all’omonimo romanzo di Carlos Fuentes per la sua opera da camera Aura. Esponente di quel “realismo
magico” che caratterizza tanta letteratura latinoamericana, nei romanzi di Fuentes gli eventi accadono
quasi simultaneamente, il confine tra la vita e la morte viene meno, la realtà e la finzione si confondono.
In Aura, Fuentes descrive in maniera sorprendente le esperienze di un uomo nella casa di una signora
anziana: mentre sta cercando lavoro, il giovane storico Felipe entra in una casa vecchia e oscura di un
quartiere che credeva disabitato. Diventa un impiegato al servizio della vedova Consuelo, che vive in
quella casa con la giovane nipote Aura. Uno dei suoi compiti è quello di restare in casa con le due
donne. Felipe lavora nella tenuta del defunto generale Llorente. In poco tempo i confini tra la realtà e
l’illusione si confondono. Cosa è reale, cosa è immaginato, e le due donne sono davvero due persone
diverse? Felipe diventa anche una specie di reincarnazione del generale morto. Il passato e il presente
sembrano non seguire più una successione cronologica lineare, ma si intersecano e si sovrappongono.
Da questa trama fantastica Sanchéz-Verdú sviluppa una percezione suggestiva della musica e dello
spazio. Pensando all’atmosfera particolare creata dal modello letterario, il compositore ha sviluppato,
insieme al SWR Experimentalstudio, un nuovo strumento: l’Auraphon, che consiste in cinque gong e
tam-tam assegnati in gran parte al personaggio principale. Le voci dei Neue Vocalsolisten e l’elettronica
creano vibrazioni leggere che producono oscillazioni misteriose. Il suono sembra gonfiarsi dal nulla per
rifluire nel nulla.
L’idea del video, che utilizza sia parti pre-registrate che live, solleva il motivo del doppelgaenger, ovvero del
sosia, dell’alter ego, trasferendolo dal testo originario, di cui è tema conduttore, al palcoscenico
dell’opera.
José Maria Sánchez-Verdú (Algeciras - Spagna, 1968) Diplomato in direzione d’orchestra, musicologia e composizione al
Real Conservatorio Superior de Música di Madrid (dove poi insegnerà contrappunto per diversi anni), Verdú ha conseguito
anche una laurea in legge alla Universidad Complutense. Dal 1996 al 1999 si perfeziona in direzione d’orchestra con Arturo
Tamayo e Wojciech Rajski e in composizione con Hans Zender alla Hochschule für Musik und Darstellende Kunst di
Francoforte. Nel 1997 è compositore in residenza presso l’Accademia di Spagna a Roma. Come direttore ha lavorato con
molti ensemble di musica contemporanea tra Spagna, Italia, Germania. Ha ricevuto commissioni dalla Biennale für Neue
Musik di Hannover, dal Padiglione tedesco dell’EXPO 2000, dal Festspiele Mecklenburg-Vorpommern, Schleswig-Holstein
Musik Festival, Orquesta Nacional de España, Orquesta Sinfónica de Madrid, dal Festival Internacional de Música y Danza
di Granada, dal Teatro Münchener Biennale (che gli ha richiesto un’opera da camera per il 2006), dal Teatro Real di Madrid
(che gli ha commissionato un’opera per il 2007). La sua musica è programmata da numerosi festival e istituzioni - Tage für
Neue Musik (Stoccarda), Saarbrücken Festspiele, Alte Oper (Francoforte), Philharmonie (Berlino e Colonia), Konzerthaus
(Berlino), Gawandhaus (Lipsia), Progetto-Musica (Roma), Spring Festival (Praga), Concertgebouw (Amsterdam), Lincoln
Center (New York). Fra i premi per le sue opere: Cristóbal Halffter (1995), due premi SGAE (1996 e 1997), il premio del
Ministero della Cultura spagnolo Colegio de España a Parigi (1998), il primo premio della Junge Deutsche Philharmonie
(1999), Förderpreis in Komposition della Ernst von Siemens Musikstiftung (Monaco, 2000), il premio della Bergische
Biennale (Wuppertal, 2001), il premio nazionale spagnolo per la musica (2003). Dall’ottobre 2001 insegna composizione alla
Robert-Schumann-Musikhochschule di Düsseldorf. Vive a Berlino.
Venerdì 2 ottobre ore 10.00 - 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali
Comparati e con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di
Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici
Corpi, gesti e musiche in area balcanica
interventi di Luca Marconi, Nicola Scaldaferri
concerti di Janus Delaj (lahutar) e del gruppo di polifonia çam albanese
Nella musica la memoria si manifesta altresì come un’arte specifica: il guslar-lahutar della regione
balcanica è un cantore epico che si accompagna con un cordofono ad arco (piccolo violino sostenuto
verticalmente); il guslar-lahutar è una sorta di Omero contemporaneo, capace di ricordare e rianimare,
nella performance, migliaia di versi della poesia epica locale: Janus Delaj, lahutar albanese ne fornirà una
testimonianza di altissimo interesse, opportunità rara e preziosa di ascolto. La musica può conservare e
celebrare altresì la consapevolezza della identità di genere: la polifonia tradizionale çam albanese (due
solisti sostenuti dall’iso, bordone di gruppo), nel grande impegno virtuosistico dei cantori, costituisce
espressione tipica della identità e cerimonialità maschile. Nicola Scaldaferri (Università di Milano
Statale), a commento di questo segmento euro-orientale, proporrà la sua Lectio su Corpi, gesti e
musiche in area balcanica.
Maurizio Agamennone
Venerdì 2 ottobre ore 18.00
Teatro alle Tese – Arsenale
PEROCCO / CENDO / DE PABLO / BERIO
orchestra
Filippo Perocco Altri corti per orchestra (2007, 10’) prima es. it.
Raphaël Cendo Masse-Métal 2 per 25 strumenti (2006, rev. 2009, 23’) prima es. ass.
Luís De Pablo Razón dormida per 14 strumenti (2003, 22’)
Luciano Berio Requies per orchestra da camera (1983-84, 10’)
direttore Fabián Panisello
Mitteleuropa Orchestra
La Mitteleuropa Orchestra amplia l’orizzonte delle collaborazioni che la Biennale di Venezia ha
avviato nel territorio, aggiungendosi al partner storico del Festival di Musica Contemporanea,
l’Orchestra del Teatro La Fenice, e all’Orchestra di Padova e del Veneto. Di recente costituzione, la
Mitteleuropa Orchestra svolge un’intensa attività volta a valorizzare il patrimonio artistico e musicale
della Regione Friuli-Venezia Giulia e delle regioni contermini – come Carinzia, Slovenia, Veneto –
collaborando con istituzioni nel territorio e all’estero. Sul podio di questa orchestra si sono succeduti
direttori come D. Renzetti, G.G. Rath, G. Pehlivanian, M. Hamel, E. Rojatti, G. Schmoehe, B. Kocsár,
R. Gessi, Y. Sugiyama, Lü Jia, P. Rophè, A. Lonquich e P. Guth.
Diretto da Fabián Panisello, argentino di nascita ma europeo di formazione e oggi una delle figure
preminenti della vita musicale iberica, il concerto veneziano offre pagine di nuova musica composte da
Filippo Perocco e Raphaël Cendo accanto a pagine memorabili di Luís De Pablo e Luciano Berio.
Al suo secondo appuntamento con la Biennale, che gli aveva commissionato un pezzo nel 2007,
Filippo Perocco (1972) presenta un ciclo di brani in prima esecuzione italiana dal titolo di ispirazione
cinematografica, Altri corti, con cui allude, appunto, alla brevità delle composizioni. Concepito come
secondo capitolo di Corti e di varia ricreazione del 2005, Altri corti è stato composto ed eseguito per la
prima volta al Festival Acanthes 2007. Scrive l’autore: “Una serie di cinque miniature (corti) per
orchestra. Un unico oggetto-materiale visto da angolazioni diverse e presentato attraverso processi di
erosione distinti”.
A seguire un pezzo di Raphaël Cendo (1975), per la prima volta alla Biennale, con una novità assoluta,
Masse-Métal 2. Sulla falsariga dell’originario Masse-Métal per 25 strumenti, un’esplorazione sonora
compiuta “per ondate regolari e progressive originate da blocchi sonori metallici, compatti e densi”,
Masse-Métal 2 approfondisce la personale riflessione dell’autore sulla saturazione strumentale, ma anche
sullo sforzo di avvicinarsi “il più possibile al suono del mio tempo, di afferrarne la violenza per capirla
meglio” (R. Cendo)
Come era già avvenuto per Desastres de la guerra, anche per Razón dormida De Pablo (1930) si ispira
ad un famoso quadro di Goya, di cui esistono diverse versioni e che riecheggia fin dal titolo: El sueño de
la razón produce monstruos. Nella versione preferita da De Pablo, “uno dei gufi – o forse pipistrelli –, che
girano attorno al dormiente, tiene la fronte del pittore e la contempla con aria di commiserazione. La
sagoma del dormiente ricorda, a sua volta, quella di Goya. Si tratta di uno sdoppiamento. … Non credo
sia necessario conoscere i disegni per ascoltare la composizione. Inoltre l’opera di Goya fa parte della
nostra cultura, anche se, come in tutta la sua poetica, il suo significato profondo (almeno parzialmente)
continua a essere un enigma (non parliamo delle interpretazioni storiche o dell’epoca: sono troppo
facili. Goya va al di là). Questa è la vertigine di fronte al pozzo nero e senza fondo della nostra
coscienza (che Goya osa mostrare senza paura) e lo stimolo che ha fatto nascere Razón Dormida” (L. De
Pablo)
Composto per l’Orchestre de chambre de Lausanne, ma presentato in versione integrale al Festival di
Aspen nel 1985 con la direzione dello stesso Berio (1925-2003), Requies è dedicato alla memoria di
Cathy Berberian: “Un’orchestra suona una melodia. Piuttosto, descrive una melodia: ma solo come
un’ombra può descrivere un oggetto e un’eco può descrivere un suono. La melodia si svolge incessante
ma discontinua, attraverso ritorni e digressioni, attorno a un centro mobile, lontano, forse indecifrabile
a chi ascolta” (L. Berio). Un afflato onirico aleggia su queso brano che, come ha colto il critico Giorgio
Pestelli, appare conservare e restituire la memoria della famosa cantatrice, “separata dai suoni del
mondo, come un sogno o un incantesimo”.
Filippo Perocco (Treviso, 1972) Diplomato in organo presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, dove ha poi
conseguito il diploma in composizione sotto la guida di Riccardo Vaglini, ha studiato anche direzione d’orchestra con
Emilio Pomarico a Milano e con Sylvain Cambreling a Mainz. Premiato al Concorso di Composizione A.GI.MUS. (1998),
ha partecipato al 40° e 41° Ferienkurse von neue Musik Darmstadt (2000-2002) e a Compositori a confronto 2002 e 2003
(Reggio Emilia), seguendo i diversi workshop di composizione (Salvatore Sciarrino, Toshio Hosokawa, Olga Neuwirth,
Michaël Lévinas, Tristan Murail, Wolfgang Rihm, Sylvano Bussotti, Giacomo Manzoni, Alessandro Solbiati etc.).
Selezionato dal Gaudeamus Music Weeks e dal Festival Manca, sue opere sono state commissionate ed eseguite da Holland
Symphonia, Dresdner Sinfonikern, Young Janáček Philharmonic Orchestra (Cantiere Internazionale d’Arte,
Montepulciano), Sinfonia Varsovia (Autunno di Varsavia ‘06), Orchestre National de Lorraine, Filarmonica Veneta, IXION
Ensemble (Londra), Ensemble Aleph (Parigi), Vokalensemble Neue Musik Berlin, Trio KAIDA (Amsterdam), ASTRA
Chamber Choir (Melbourne). Compositore in residenza al KunstForum Hellerau di Dresda (luglio ’06), coautore delle
musiche del monologo di Dino Villatico Voi che ascoltate (Venezia, Ateneo Veneto e Teatro La Fenice, febbraio ‘05), è
fondatore e direttore de L’Arsenale e del Teclas, gruppo/laboratorio finalizzato alla composizione, elaborazione ed
esecuzione di nuove musiche.
Raphaël Cendo (Francia, 1975) Ha studiato pianoforte e composizione all’École Normale de Musique di Parigi, dove
ottiene il diploma nel 2000. Si inscrive al corso di composizione del Conservatoire National Supérieur di Parigi nel 2003 e
poi segue il corso annuale di composizione e informatica musicale all’IRCAM, che conclude nel 2006. Ha seguito gli
insegnamenti di Alain Gaussin, Brian Ferneyhough, Fausto Romitelli e Philippe Manoury. Scrive opere per ensemble
internazionalmente noti, come L’Itinéraire, l’Ensemble Intercontemporain, l’Orchestre Nationale de l’Ile-de-France, Ictus, il
Nouvel Ensemble Moderne, l’Orchestre Symphonique di Montréal. Nelle sue opere suonano e dirigono, tra gli altri, Miquel
Bernat, Alain Billard, Daniel Kawka, Jean Deroyer, Pascal Rophé, Peter Rundel e Lorraine Vaillancourt. Parecchi di questi
pezzi sono eseguiti nell’ambito di importanti manifestazioni come Lille, Capitale Européenne de la culture all’Opéra di Lille,
Centre Georges Pompidou, Mito a Milano, Radio France a Montpellier, Ars Musica a Bruxelles, Voix Nouvelles
Royaumont, Présences di Radio France e Musica a Strasburgo. Nel 2007, Raphaël Cendo ha ricevuto il premio Espoir,
conferito dalla fondazione Francis e Mica Salabert, per il concorso internazionale di composizione dell’Orchestre
Symphonique de Montréal. Dal 2008, insegna composizione al conservatorio di Nanterre.
Venerdì 2 ottobre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
CARMEN LINARES
Antologia
Carmen Linares voce
Salvador Gutierrez chitarra
Ana Maria González voce e palmas
Javier González voce e palmas
Al flamenco, una straordinaria forma d’arte in cui confluiscono musica canto e danza, artisti e
intellettuali spagnoli hanno dedicato la loro passione, il loro impegno e la loro creatività considerandolo
una delle espressioni più alte della tradizione e della natura di un popolo. Basti pensare alla “poesia dei
suoni” di García Lorca, che culmina nel Poema del Cante Jondo e che in questa musica ancestrale affonda
le radici. Ed è sempre Lorca, che al flamenco dedicherà anche conferenze e saggi, a farsi promotore insieme a Manuel de Falla, compositore per il balletto Amor Brujo, altro grande omaggio alla cultura
gitana, e al pittore Ignacio Zuloaga - della prima Fiesta del Cante jondo nel 1922 a Granada. A questa
tradizione alta si riallaccia la “cantaora” Carmen Linares, che con la sua voce ineguagliabile incarna il
fascino di una memoria arcaica: interprete del più autentico canto flamenco, quello che esprime le
emozioni più profonde e intime, il “cante jondo”, Carmen Linares è oggi un’artista internazionalmente
nota.
Dall’Andalusia, dove è nata, Carmen Linares si è trasferita a Madrid nel 1965, dove ha incontrato gli
artisti più noti del tempo – Pepe Matrona, Juan Varea, Rafael Romero o Fosforito. Alla fine degli anni
’60 ha cominciato la sua carriera professionale nelle compagnie di danza di Carmen Mora e Paco
Romero, pubblicando il suo primo album nel 1970 accompagnata da Juan “Habichuela”. Seguirà
Chinitas, che riunisce talenti come Camarón, Enrique Morente, Perla de Cadíz, Serranito, gli
“Hablachuelas”.
La voce di Carmen Linares è stata scelta per interpretare Amor Brujo di Manuel de Falla in occasione
dell’inaugurazione della VI Biennale dell’arte flamenca a Siviglia. Ma Carmen Linares è stata anche
capace di coniugare il ‘cante jondo’ con orchestre da camera e sinfoniche: è stata una delle prime artiste
di flamenco ad esibirsi al Lincoln Center, invitata dalla New York Philarmonic Orchestra. Il New York
Times ha parlato di lei come di “una cantante dall’incredibile forza espressiva”. Ha eseguito Amor Brujo
accanto a direttori della statura di Frühbech de Burgos, Josep Ponse, Leo Brouwer e La vida breve –
sempre di de Falla - al Colon Theatre di Buenos Aires, alla Sidney Opera House e al Teatro Grande di
Cordoba in Spagna.
Nella sua Antología de la mujer en el cante (1996), considerato un album chiave nella musica flamenca,
Carmen Linares recupera documenti preziosi del passato che interpreta con la modernità della sua voce
e della sua sensibilità musicale. La sua produzione discografica e la sua attività di artista sono state
ampiamente riconosciute: fra i premi ricevuti ricordiamo l’ICARUS (1988), la Medaglia d’argento del
Governo dell’Andalusia (1998), il Premio nazionale spagnolo di musica (2001), la Medaglia d’oro in
Belle Arti (2006).
Antología flamenca, Canciones populares de Lorca, El amor Brujo, Popular y Jondo rappresentano i caposaldi della
carriera artistica della Linares, a cui si aggiungono, nel 2007, Falla, Lorca y Cante Jondo e De aire y madera.
Il suo “cante” potente e genuino è arricchito dalla conoscenza profonda della musica flamenca e riesce
a commuovere spontaneamente il pubblico. Il flamenco – hanno scritto – è cresciuto con lei.
Sul palcoscenico della Biennale Musica, Carmen Linares presenterà un florilegio di brani sulla chitarra
di Salvador Gutierrez e con l’accompagnamento vocale di Ana Maria e Javier González.
Venerdì 2 ottobre ore 22.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il corpo elettrico
presentazione Études Campus Enparts
Accanto alla produzione dell’opera audiovisiva di José Maria Sánchez-Verdú, il progetto europeo
promosso dalla Biennale di Venezia con festival e istituzioni che operano nella ricerca e nel
rinnovamento del linguaggio delle arti performative (ENPARTS) ha in programma anche la
realizzazione di un laboratorio pluridisciplinare che coinvolge le diverse discipline performative.
Intitolato Il corpo elettrico – in omaggio al Futurismo di cui si celebra il centenario e la cui memoria
serpeggia all’interno dell’intero Festival – il laboratorio è dedicato all’esperienza pratica e in tempo reale
della creazione artistica tra musica, teatro, danza, e coinvolgerà 12 giovani artisti europei selezionati
nelle diverse discipline, sulla scorta dei progetti presentati.
L’esito finale, definito propriamente Études per il suo carattere sperimentale, verrà reso pubblico dopo
una sessione di elaborazione artistica – condotta dal 22 settembre al 2 ottobre - con il coordinamento
di Luca Francesconi e il supporto di un gruppo di artisti in residenza.
Sabato 3 ottobre ore 10.00 - 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali
Comparati e con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di
Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici
Corpo e trance
interventi di Michele Lomuto, Suguru Goto, Simha Arom
concerto di Gamako
La memoria è una formidabile piattaforma di acquisizione, “stoccaggio”e richiamo di informazioni,
modelli, schemi, quadri cognitivi che risultano determinanti nell’agire musicale, soprattutto nelle
musiche basate su procedure estemporanee di realizzazione. Simha Arom, massimo musicologo
africanista, proporrà una riflessione su: Modelli mentali, memoria e azione performativa nelle
musiche dell’Africa centrale; a completamento del suo contributo si pone la musica del gruppo
Gamako, musicisti africani residenti in Francia, stretti collaboratori di Arom, rappresentativi di
tradizioni musicali molteplici, dal Gabon, al Madagascar alla Costa d’Avorio.
Maurizio Agamennone
Sabato 3 ottobre ore 18.00
Teatro alle Tese – Arsenale
EXIT_02
Brake Drum Percussion Ensemble
Edgard Varèse Ionisation per 13 percussionisti (1929-31, 7’)
Steve Reich Clapping Music per due performers (1978, 3’)
Lionel Peintre voce
Georges Aperghis 14 Jactations per baritono (2001, 30’)
Elena Casoli chitarra elettrica
Gabriele Manca Luogo dell’incendio (2009) prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia)
Maurizio Pisati ELETTRICO per chitarra elettrica sola (2007, 15’) prima es. it.
Michele Tadini Scenario per chitarra elettrica e traccia audio (2001, 9’)
Elliott Carter Shard per chitarra elettrica sola (1997, 3’)
Concerti per Intonarumori
Mauro Lanza Nuova creazione prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia)
Fabio Cifariello Ciardi Appunti per Amanti Simultanei I per trombone, intonarumori ed elettronica, prima
es. ass. (commissione La Biennale di Venezia)
Suguru Goto
RoboticMusic (performance, 10’)
Roberto Fabbriciani flauto
Alvise Vidolin live electronics
Luigi Nono Das atmende Klarsein, fragment per flauto basso, nastro magnetico e live electronics (1981, 11’)
Mauricio Sotelo A Roberto: la chiarezza deserta per flauto (2008-2009, 9’)
Michele Lo Muto trombone
Luciano Berio Sequenza V per trombone solo (1966, 6’)
Azio Corghi Intermedi e Canzoni dalle musiche di scena scritte per “La Piovana” del Ruzante per
trombone solo (1986, 7’)
David Honeyboy Edwards blues trio
David Honeyboy Edwards chitarra, voce; Michael Frank, armonica; Les Copeland chitarra, voce
Taraf de Haidouks
Ile Iorga voce; Cacurica voce; Posolan voce, violino; Marin P. Manole voce, fisarmonica; Falcaru flauto;
Costica voce, violino; Caliu violino; Marius fisarmonica; Ionitsa fisarmonica; Ionica cymbalon; Vlorel Vlad
contrabasso; Filip Simeonov clarinetto
Anche quest’anno il Festival si conclude con una serata no-stop a partire dalle 18.00 al Teatro alle Tese
dell’Arsenale. Con la regia del direttore Luca Francesconi, i tanti appuntamenti in programma
seguiranno una scansione spazio-temporale variabile. Exit_02 vuole infatti offrire l’esperienza di un
ascolto fuori dall’ordinario anche per avvicinare e stimolare il dialogo fra pubblici di provenienza
diversa. Quanti sono i brani di musica contemporanea scritti per chitarra elettrica che possono
interessare un vasto pubblico? E quanti altri pezzi di musica colta possono rapire e arrivare al cuore dei
più giovani? Ma anche perché non lasciarsi andare alla vibrazione profonda del blues più autentico o
abbandonarsi alla trascinante musica rom?
I due filoni attorno a cui si è dipanato l’intero arco del Festival, la materia del suono e il suono della
tradizione, sono fatti convergere da Francesconi in questa serata finale che vedrà sul palco alcuni
fuoriclasse della musica colta - Roberto Fabbriciani, Elena Casoli, Michele Lomuto, Lionel Peintre
l’ensemble Brake Drum Percussion, cui si aggiungono Ciardi e Lanza con il concerto per intonarumori
e la RoboticMusic di Suguru Goto – con straordinari esponenti delle più autentiche tradizioni popolari di
area balcanica e afroamericana, rappresentate rispettivamente dalla leggenda vivente del blues David
Honeyboy Edwards e dal rutilante gruppo rom Taraf de Haidouks, noto in tutto il mondo.
L’incipit di Exit_02, con il Brake Drum Percussion e i suoi i 12 virtuosi mette in campo due classici,
quasi una “sigla” del Festival. Ionisation di Edgard Varèse (1883-1965), il primo a mettere al centro
della sua idea musicale un organico di sole percussioni – una vera e propria selva di strumenti tra piatti
cinesi, grancassa, tam tam, maracas, wood-blocks, sirene, piatti, incudini, nacchere, sonagli, clave,
bongo, per citarne solo alcuni - rivoluzionando l’idea stessa di orchestra e cambiando la storia di questa
sezione strumentale; e Clapping Music di Steve Reich (1936), un pezzo per due battiti di mano, che
nella apparente semplicità di un ritmo “primitivo” racchiude tutta la tecnica di composizione e
orchestrazione – tra sfasamento e ritorno all’unisono - allora sviluppata dalla ricerca dell’autore
americano.
Alla voce baritonale di Lionel Pientre - che da due anni partecipa stabilmente alle produzioni della
Péniche Opéra di Parigi e ha lavorato con ensemble e orchestre come Les Arts Florissants, l’Orchestre
National d’Ile de France, l’Esemble 2E2M - il compito di interpretare 14 Jactations di Georges
Aperghis (1945), autore franco-greco, punto di riferimento obbligato per il teatro musicale francese,
ma anche autore di numerosi pezzi strumentali e vocali dove l’aspetto teatrale è fortemente presente nel
tessuto del brano.
Al solismo vocale di Peintre corrisponde quello strumentale di Elena Casoli, Roberto Fabbriciani,
Michele Lomuto, impegnati in un “corpo a corpo” con il loro strumento – chitarra, flauto, trombone –
dove il virtuosismo tecnico esplora nuove possibilità creative e dove il gesto si prolunga a volte fino a
diventare azione plastico-visiva.
Passando con maestria dalla chitarra acustica a quella elettrica, Elena Casoli, premio Segovia nel 1989,
restituisce “l’immagine composita e stratificata” di uno strumento rimasto a lungo isolato nell’area
classica, mentre conquistava centralità in territori di ambito popolare, per essere poi “recuperato” dalla
musica colta che in esso vede un elemento di “rottura” proprio con la tradizione. Gabriele Manca
(1957), Mauirizio Pisati (1959), Michele Tadini (1964), sono autori che alla chitarra elettrica
dedicano le loro partiture e che Elena Casoli ha scelto per questo concerto, concluso sulle note di Shard
del compositore americano, ormai centenario, Elliott Carter (1908).
Al flauto di Roberto Fabbriciani, qui accompagnato da un interprete di live electronics come Alvise
Vidolin, è affidata la musica di Nono (1924-1990), di cui entrambi sono stati amici e collaboratori.
Brano anticipatore del Prometeo, Das atmende Klarsein, è “chiarezza che respira e ad ogni istante
determina e suscita nuove possibilità, esaltando il rapporto tra l’esecutore che propone ed il
compositore che sceglie, creando nuove dinamiche eolien, nuovi ascolti, nuove qualità. Un fantastico
possibile fatto di suoni puri, suoni, percussioni digitali, battiti creaturali in una continua ricerca priva di
certezze. Risonanze flebili, figure fluttuanti che offrono idea di una lontananza immensa, avvolgono il
silenzio, forzandoci ad affinare le nostre capacità percettive ed immaginative” (R. Fabbriciani). A
Roberto: la chiarezza deserta è il brano che il compositore spagnolo Mauricio Sotelo (1961),
amatissimo da Nono e autore di un’originale musica spettrale che attinge al patrimonio del “cante
jondo” e per questo definita “flamenco spettrale”, dedica al grande flautista.
Dal flauto di Fabbriciani si passa al trombone di Michele Lomuto, impostosi sulle scene internazionali
con Sequenza V, che Berio aveva composto nel ’66 per le sue fantasmagorie interpretative. “Un
trombone eccelso, che sta fra il delirio jazz e l’austerità della musica d’arte … un trombone che si fa
personaggio shakespeariano”, ha scritto Mya Tannenbaum sul Corriere della Sera. Ed è con questa
innata vocazione spettacolare che Michele Lomuto, oltre a Sequenza V di cui è dedicatario, si fa
interprete di pagine scritte per la scena teatrale, Intermedi e Canzoni di Azio Corghi (1937), calandosi
nell’atmosfera della commedia ruzantiana, La Piovana, con abilità istrionica.
Dal corpo a corpo con lo strumento al rapporto uomo-macchina inaugurato dall’esplosione tecnologica
del Futurismo: è la sequenza musicale che, oltre alle invenzioni avveniristiche della RoboticMusic di
Suguru Goto, comprende il Concerto per intonarumori, con i congegni sonori e meccanici creati da
Luigi Russolo utilizzando scatoloni amplificati da una tromba acustica e azionati da manovelle, alcuni
dei quali ricostruiti ed esposti nella sede della Biennale di Ca’ Giustinian. Sarà curioso ascoltare le
composizioni di Fabio Cifariello Ciardi (1960) e Mauro Lanza (1975), espressamente commissionate
dalla Biennale per l’occasione, concepite per ululatori (acuto, grave, medio), gorgogliatore, crepitatore
(piano e forte), gracidatore, ronzatore-gorgogliatore accoppiati ad altri strumenti acustici ed elettronica.
Ultimi cantastorie, i Taraf de Haidouks sono depositari di una tradizione secolare che racconta fatti e
passioni della vita e che si colloca al crocevia di influenze romene, bulgare, turche e slave. Appartenenti
alla poplazione Rom Lautari, ovvero ai musicisti di professione, impegnati a suonare nelle feste civili e
religiose con un organico di base composto da violini, fisarmoniche, cymbalom e contrabbasso, i Taraf
de Haidouks oggi sono celebrati in tutto il mondo: hanno suonato con il Kronos Quartet e vinto il
BBC Wolrd Music Awards con il loro ultimo album live, Band of Gipsyes, sfilato con Yamamoto e
recitato con Johnny Depp, ma alla fine di ogni loro esibizione i tre ultrasettantenni cantanti e leader del
gruppo – Caucurica, Ilie Iorge, Ilie Posolan – tornano nel loro paesino di Clejani, nel cuore della
Romania. “Non passerà molto tempo per vedere finalmente riconosciuta l’importanza che la cultura
rom ha avuto per quella europea” ha detto Goran Bregovic, e forse questa affermazione non poteva
essere più profetica.
Ha 93 anni David Honeyboy Edwards, un pezzo di storia del blues più autentico, che affonda le
radici nel profondo sud americano del delta del Missisipi, dove è nato lo stesso Honeyboy, che ancora
oggi gira il mondo in concerto con i suoi compagni di una vita. Ha attraversato più di mezzo secolo di
blues, incontrando e collaborando con tutti i suoi più grandi rappresentanti, da Robert Johnson a
Muddy Waters, divenedo stella di prima grandezza e vincendo un Grammy Award. E’ David Honeyboy
Edwards l’autore di Sweet Home Chicago, Just Like Jesse James, Long Tall Woman Blues, successi che molti
ricorderanno. Come scrivono nella sua biografia: “Honeyboy continua a percorrere su e giù la strada del
blues, viaggiando dai saloon ai nightclub ai festival, sempre suonando l’autentico Delta blues per i suoi
fan adoranti”.
LABORATORI
21 settembre > 2 ottobre
Isola di S. Servolo / Teatro Junghans
Il corpo elettrico
Campus Enparts
14 > 24 settembre
Teatro Fondamenta Nuove
Le Baccanti – études
laboratorio musicale di creazione su Le Baccanti di Euripide
a cura di Christian Cassinelli e Giuseppe Emiliani