27 GIUGNO 2016 DEL PARTITO DEMOCRATICO PROVINCIA DI

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CONFERENZA PROGRAMMATICA 25 – 27 GIUGNO 2016
DEL PARTITO DEMOCRATICO PROVINCIA DI LECCO
Documento del gruppo di lavoro “Politiche Economiche e Sociali”
Parlare oggi di politiche economico sociali significa interrogarci su quali politiche adottare per
contrastare l’attuale crisi che coinvolge l’Europa ed in particolare il nostro Paese.
La profondità, la durata, la pervasività di questa crisi ha superato di gran lunga quella degli anni
trenta. Vale la pena ricordare che i lunghi anni di depressione del primo dopoguerra hanno
generato una crisi drammatica della struttura sociale e democratica di molti paesi industrializzati e
in Europa tutto ciò è sfociato poi nel fascismo, nel nazismo e nella devastante seconda guerra
mondiale.
Come allora la crisi economica genera crisi sociale. La crisi sociale scuote come un terremoto il
sistema democratico minandone i valori fondanti ed i meccanismi di consenso. Entrambe le crisi si
autoalimentano generando un circuito vizioso da cui è difficile uscire. E’ fin troppo ovvio che in
tale situazione le politiche congiunturali non servono a nulla, anzi sprecano risorse tempo e
fiducia. Oggi più che mai risorse, tempo e fiducia sono beni preziosi da usare con estrema cautela
avendo cura che il loro impiego produca il massimo risultato possibile.
Per cominciare è necessario capire come il nostro Paese si inserisce in questa crisi mondiale.
In base ad alcuni parametri di vulnerabilità macroeconomica, l’Italia era messa meglio di altri Paesi
europei, con un indebitamento privato delle famiglie meno pronunciato, un sistema bancario
meno esposto, una bolla immobiliare meno ampia. Tuttavia, il fardello determinato da un elevato
debito pubblico, che ha ridotto fortemente i margini di manovra della politica economica
nazionale e l’inadeguatezza del nostro sistema produttivo non ci ha permesso di reagire
adeguatamente agli shock esterni.
E’ vero quindi che la crisi economica, esplosa nel 2008, è stata determinata da fattori esterni che,
tuttavia, non vanno inquadrati come vere cause della crisi ma come eventi economici che hanno
fatto da detonatore di un sistema economico già squilibrato e traballante.
Infatti, già prima del 2008 l'economia italiana era gravata da problemi strutturali che ne frenavano
la crescita e che hanno impedito al sistema economico produttivo di reagire adeguatamente alla
crisi economica dei paesi che costituivano i mercati di sbocco delle nostre esportazioni.
Tutto ciò fa si che oggi, mentre l’Europa sta lentamente uscendo dalla crisi, l’Italia è ancora
attardata a causa della natura strutturale della sua economia. La perdita di PIL in termini reali
rispetto al picco pre-crisi è di circa 9 punti percentuali e la contrazione della produzione
industriale è del 25 % contro una media dell’area euro di – 10% di produzione industriale e di un
Prodotto Interno Lordo ormai uguale a quello del 2007.
E’ un dato di fatto che la crisi italiana è prioritariamente una crisi di competitività, che nasce ben
prima della crisi finanziaria, e che, pertanto, non può essere combattuta esclusivamente con
strumenti di breve periodo ma richiede investimenti di lungo termine capaci di accrescere
l’innovazione e la produttività delle imprese a livello microeconomico.
Quali interventi
A ricordo della grande depressione del 1929 un coro unanime chiede l’adozione di misure
Keynesiane:
-
Intervento pubblico a sostegno del reddito da una parte e regolamentazione finanziaria
dall’altra.
-
Riduzione delle tasse e della burocrazia
-
Liberare l’economia da rendite e da vincoli
-
Incentivazioni statali a determinati settori economici e produttivi.
Tutto ciò dovrà essere fatto senza interrompere il risanamento delle finanze pubbliche perché una
finanza pubblica responsabile che privilegi una spesa per investimenti anziché alimentare le spese
correnti è una precondizione necessaria per incanalare fruttuosamente una dinamica di sviluppo
oltre che un risparmio netto di costi che si traduce immediatamente in fonte di finanziamento .
In questo senso si inquadra la volontà di rispettare l’impegno che l'Italia ha preso nei confronti
delle istituzioni europee di contenimento del deficit pubblico.
Deve essere sottolineato ed evidenziato con forza che rispettare i parametri europei in una fase di
recessione economica è molto più difficile perchè viene di fatto inibita la possibilità di ricorrere a
politiche fiscali di espansione della spesa pubblica o di diminuzione della tassazione restringendo i
margini di manovra che un paese membro ha per uscire dal tunnel della crisi.
Nonostante queste limitazioni oggettive il Governo ha adottato una serie di misure contro la crisi e
per la crescita economica che vanno nella giusta direzione e che cominciano a dare i primi frutti.
Alcuni interventi di chiara matrice Keynesiana a sostegno del reddito e di incentivazione ai
consumi sono per esempio:
-
Alleggerimento del carico fiscale sulle persone fisiche: il cd. bonus 80 euro (decreto-legge
n. 66 del 2014), reso permanente con la legge di stabilità 2015.
-
Continuano ad applicarsi le detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione degli
edifici e riqualificazione energetica, prorogate dalla legge di stabilità 2016.
-
La legge di stabilità 2016 (comma 290) modifica la misura delle detrazioni dall'imposta
lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione (cosiddetta no tax area per i
pensionati). In sostanza, la no tax area sale a 7.750 euro per i soggetti di età inferiore a 75
anni e a 8.000 euro per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni.
La legge di stabilità 2016 modifica il complessivo assetto della fiscalità immobiliare, con interventi
tra l’altro volti a:
-
eliminare la TASI sulla prima casa del contribuente, dopo l’eliminazione dell’IMU sui
medesimi immobili già dal 2014;
-
ampliare le agevolazioni IMU sui terreni agricoli;
-
alleggerire il prelievo fiscale sulle case concesse in comodato d’uso a figli e genitori;
-
esentare da prelievo fiscale immobiliare i cd. “macchinari imbullonati”;
-
alleggerire il prelievo sui trasferimenti immobiliari;
-
dettare una nuova disciplina civilistica e di fiscale del leasing immobiliare.
Una serie molto fitta di provvedimenti di marcata detassazione a favore delle imprese è stata
varata dal Governo e da Parlamento al fine di consentire agli imprenditori di liberare risorse per
incrementare la redditività, la patrimonialità e la competitività sul mercato internazionale.
Al fine di incentivare la capitalizzazione delle imprese italiane, il decreto-legge n. 91 del 2014 ha
rafforzato le disposizioni in materia di Aiuto alla crescita economica – ACE, che consente alle
imprese di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di
nuovo capitale proprio. La legge di stabilità 2015 ha reso integralmente deducibile dall’IRAP il
costo per lavoro dipendente a tempo indeterminato; tale deduzione è stata poi estesa anche
all’impiego stagionale (legge di stabilità 2016).
Inoltre, è stato introdotto e poi ampliato un regime fiscale agevolato per marchi e brevetti (patent
box), che detassa i proventi derivanti dai predetti beni immateriali, a specifiche condizioni; con la
legge di stabilità 2016 è stato precisato che detto regime riguarda – tra l’altro – il software
protetto da copyright.
Il decreto legge n. 83 del 2015 ha rivisto la disciplina fiscale per la deducibilità ai fini IRES e IRAP
delle svalutazioni e delle perdite su crediti degli enti creditizi e finanziari e delle imprese di
assicurazione.
Dal 2017 verrà ridotta di tre punti e mezzo l’aliquota IRES, passando dal 27,5 al 24 % (legge di
stabilità 2016). Di contro, è stata introdotta un’addizionale IRES del 3,5 per cento per gli enti
creditizi e finanziari.
Tra le ulteriori misure incentivanti per le imprese introdotte dalla legge di stabilità 2016 si ricorda
il bonus del 140% sugli ammortamenti fiscali connessi agli investimenti in macchinari ed
attrezzature effettuati nel 2016 e la proroga del regime agevolato per cessioni e assegnazioni di
beni ai soci.
Il decreto-legge n. 133 del 2014 ha ampliato e reso strutturale la tassazione agevolata dei cd.
project bond, con l'applicazione di un'imposta sostitutiva con aliquota al 12,5% sulle emissioni
obbligazionarie effettuate da parte delle società di progetto per finanziare gli investimenti in
infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità.
Tra le misure a sostegno dell'imprenditorialità è opportuno ricordare anche il decreto-legge n. 91
del 2014 che ha introdotto agevolazioni fiscali volte al rafforzamento di numerosi settori
produttivi, a partire dall'agroalimentare (sotto forma di crediti di imposta per sostenere
l'innovazione nel settore e la qualità del made in Italy) e, più in generale, ha inteso sostenere le
piccole e medie imprese ampliando le agevolazioni fiscali per obbligazioni, titoli similari e cambiali
finanziarie.
Misure finanziarie a sostegno della crescita:
-
Il decreto-legge n. 3 del 2015 (in materia di banche e investimenti) ha rafforzato le
agevolazioni per le startup innovative, introducendo la categoria delle PMI innovative,
destinatarie anch'esse di misure fiscali e finanziarie di favore.
-
Il decreto-legge "sviluppo" dl 83/2012 ed il decreto “sviluppo-bis" 179/2012 hanno
progressivamente consentito anche alle società non quotate di accedere alla raccolta del
capitale di debito, in particolare alle piccole e medie imprese, che sono incentivate a
ricorrere ai canali extrabancari di finanziamento (mediante emissione di cd. minibond,
ovvero bond di PMI).
-
All'interno degli interventi complessivamente dedicati al sistema produttivo, il D.L. n. 91
del 2014 contiene una specifica disciplina finalizzata a favorire la concessione di credito alle
imprese. In particolare, il provvedimento ha autorizzato determinati fondi di investimento
ad erogare finanziamenti (c.d. "fondi di credito diretto"). La disciplina è stata specificata
con un regolamento ministeriale (D.M. n. 30 del 2015) e con il regolamento della Banca
d'Italia del 19 gennaio 2015.
Fondo di garanzia PMI
Per favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, nel corso della legislatura è stato
progressivamente potenziato il Fondo di garanzia per le PMI, la cui finalità è quella di favorire
l'accesso alle fonti finanziarie delle piccole e medie imprese mediante la concessione di una
garanzia pubblica che si affianca e spesso si sostituisce alle garanzie reali portate dalle imprese.
Un intervento significativo nella direzione del potenziamento del Fondo è stato realizzato con il
D.L. 69/2913 per consentire l'accesso a una platea molto più ampia di piccole e medie imprese,
tramite in particolare la revisione dei criteri di accesso per il rilascio della garanzia. Il predetto
decreto ha inoltre consentito il versamento volontario al Fondo di garanzia per le PMI da destinare
alla microimprenditorialità.
Con la stessa legge di stabilità per il 2014 è stata istituita, nell'ambito del Fondo di garanzia per le
PMI, una sezione speciale denominata "progetti di Ricerca e innovazione" con una disponibilità di
100.000.000 euro a valere sulle disponibilità del Fondo stesso. Oggetto della Sezione è la
concessione di garanzie per i finanziamenti concessi dalla BEI (Banca europea per gli investimenti)
direttamente o indirettamente per la realizzazione di grandi progetti per la ricerca e l'innovazione
industriale.
Politiche per il sostegno del made in Italy.
Nel decreto legge Destinazione Italia dl 145/2013 sono stati attribuiti all'ICE contributi pari a circa
22 milioni di euro per potenziare l'azione in favore dell'internazionalizzazione delle imprese
italiane, soprattutto piccole e medie, e la promozione dell'immagine del prodotto italiano nel
mondo.
Con il Piano straordinario per il rilancio del made in Italy e l'attrazione degli investimenti :
per la realizzazione del Piano sono stati assegnati all'ICE 130 milioni di euro per l'anno 2015, 50
milioni di euro per l'anno 2016 e 40 milioni di euro per l'anno 2017;
è stato istituito, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Fondo per le
politiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei
prodotti agricoli e agroalimentari, con una dotazione di 6 milioni di euro per ciascuno degli anni
2015 e 2016.
Inoltre, parte delle risorse assegnate all'ICE è stata destinata:
all'Associazione delle camere di commercio italiane all'estero, 2,5 milioni di euro per il triennio
2015-2017;
ai consorzi per l'internazionalizzazione per il sostegno delle PMI nei mercati esteri e la diffusione
internazionale dei loro prodotti e servizi nonché al fine di contrastare il fenomeno dell'Italian
sounding e della contraffazione dei prodotti agroalimentari, 3 milioni di euro per ciascuno degli
anni del triennio 2015-2017;
al MISE per il sostegno all'internazionalizzazione delle imprese e la promozione del made in Italy, 1
milione di euro per il triennio 2015-2017.
Misure pattizie in favore delle imprese
Il 31 marzo 2015 è stata raggiunta l'intesa sull’accordo per il Credito 2015 tra l'Associazione
bancaria italiana e le associazioni d'impresa, volta a sostenere le piccole e medie imprese (Pmi) e
che si inserisce sulla traccia dei precedenti accordi. Sul punto, la legge di stabilità 2015 (articolo 1,
comma 246 della legge n. 190 del 2014) ha previsto che, al fine di consentire l'allungamento del
piano di ammortamento dei mutui e dei finanziamenti per le famiglie e le micro, piccole e medie
imprese, il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dello sviluppo economico, previo
accordo con l'Associazione bancaria italiana e con le associazioni dei rappresentanti delle imprese
e dei consumatori, concordino le misure necessarie per sospendere il pagamento della quota
capitale delle rate per gli anni dal 2015 al 2017.
L'Accordo per il Credito 2015, che resterà in vigore fino al 31 dicembre 2017, prevede tre
iniziative:
Imprese in ripresa, che prevede la possibilità per tutte le Pmi "in bonis" di sospendere la quota
capitale delle rate di mutui e leasing, anche agevolati o perfezionati con cambiali e allungare il
piano di ammortamento dei mutui e le scadenze del credito a breve termine e del credito agrario;
Imprese in sviluppo, ai sensi del quale le banche aderenti possono costituire dei plafond
individuali - con un obiettivo di dotazione complessiva pari a 10 miliardi di euro - destinati al
finanziamento dei progetti imprenditoriali delle Pmi. La nuova misura si estende anche al
finanziamento dell'incremento del capitale circolante necessario a rendere operativi investimenti
realizzati o in corso, come anche della capacità operativa necessaria a far fronte a nuovi ordinativi;
Imprese e PA, che riprende lo schema precedente per lo smobilizzo dei crediti delle imprese verso
la Pa, aggiornandone i contenuti alle recenti disposizioni legislative, ed in particolare al
rafforzamento dell'istituto della certificazione; viene a tal fine istituito il Plafond "Imprese e PA"
con un obiettivo di dotazione pari a 10 miliardi di euro, risultante di plafond individuali, attivati
dalle singole banche aderenti all'iniziativa.
Cassa depositi e prestiti
Nel corso della legislatura si è assistito a un progressivo ampliamento del ruolo di Cassa Depositi e
Prestiti nel fornire impulso alla crescita del Paese, grazie soprattutto al supporto finanziario a
soggetti pubblici e privati.
ll decreto-legge 69 del 2013 ha previsto finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti
e attrezzature (ivi inclusi hardware, in software e in tecnologie digitali) da parte delle piccole e
medie imprese, attraverso l'istituzione presso Cassa depositi e prestiti di un plafond da utilizzare
per fornire provvista alle banche per la concessione dei finanziamenti.
Il D. L. n. 3 del 2015 consente a Cassa depositi e prestiti, con lo scopo di supportare le esportazioni,
l'internazionalizzazione dell'economia italiana e la sua competitività, di esercitare il credito diretto,
tramite la società SACE Spa o attraverso una diversa società controllata, previa autorizzazione
della Banca d'Italia.
La legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 822 a 829 della legge n. 208 del 2015) individua
Cassa depositi e prestiti S.p.A. come istituto nazionale di promozione ai sensi della normativa
europea sugli investimenti strategici e come possibile esecutore degli strumenti finanziari
destinatari dei fondi strutturali, abilitandola a svolgere le attività previste da tale normativa anche
utilizzando le risorse della gestione separata. Tali attività possono essere condotte anche con
apporto finanziario da parte di amministrazioni ed enti pubblici o privati anche a valere su risorse
comunitarie.
Provvedimenti relativi al JOBS ACT:
il D.Lgs. 22/2015 relativo all'introduzione di nuovi ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione
involontaria;
il D.Lgs. 23/2015, sul contratto a tutele crescenti;
il D.Lgs. 80/2015, sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro;
il D.Lgs. 81/2015 relativo al riordino dei contratti di lavoro e alla disciplina delle mansioni;
il D.Lgs. 151/2015 sulle semplificazioni in materia di lavoro e pari opportunità;
il D.Lgs. 150/2015 in materia di politiche attive;
il D.Lgs. 149/2015 relativo all'attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale;
il D.Lgs. 148/2015 sulla riorganizzazione della disciplina degli ammortizzatori sociali in costanza di
rapporto di lavoro.
Legge stabilità 2016
Sgravio contributivo
L’articolo 1, commi 178-181, della L. 208/2015 (Stabilità 2016) ripropone un analogo sgravio
contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato relativi ad assunzioni
decorrenti dal 1° gennaio 2016 e stipulati entro il 31 dicembre 2016. Tale sgravio consiste
nell’esonero dal versamento del 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di
lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL per l’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua e
per un periodo massimo di ventiquattro mesi. Anche in questo caso sono previste specifiche cause
di esclusione che impediscono l’applicazione dello sgravio.
Welfare aziendale
L’articolo 1, commi 182-189, della L. 208/2015 ha reintrodotto, in via permanente, una tassazione
sostitutiva per i premi di produttività e per le somme erogate a titolo di partecipazione agli utili
dell’azienda consistente in un'imposta sostitutiva dell'IRPEF con aliquota al 10%, fino ad un valore
massimo di 2.000 euro (2.500 euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori
nell'organizzazione del lavoro).
Il nuovo regime tributario si applica:
•
alle somme ed ai valori corrisposti in esecuzione di contratti collettivi territoriali o
aziendali;
•
ai titolari di reddito da lavoro dipendente privato di importo non superiore, nell’anno
precedente quello di percezione, a 50.000 euro (salva rinuncia espressa).
Interventi a sostegno dell’occupazione femminile
Il Governo ha adottato una chiave di lettura corretta degli ostacoli al lavoro femminile e di come
superarli intervenendo con gli incentivi sul lato delle imprese e con l’estensione del congedo
parentale su quello delle famiglie. Anche per gli incentivi al femminile vale quanto verificatosi con
gli interventi macroeconomici più in generale e cioè: gli interventi sono corretti ma le risorse sono
limitate. Il pesante fardello del debito pubblico ed i conseguenti impegni presi con l’Europa e con
noi stessi per il suo contenimento, limitano pesantemente la capacità di manovra.
L’estensione del congedo parentale, prevista dai decreti collegati al Jobs Act dovrebbe garantire
una maggiore flessibilità nel suo utilizzo, ma incide poco sul periodo più critico per la
partecipazione femminile al mercato del lavoro, che è quello in cui i bambini sono piccoli.
La decontribuzione aiuta la domanda di lavoro ma è a termine.
Gli incentivi per le imprese che ricorrono al telelavoro e la legislazione sullo smart working
rafforzano gli interventi sul lato della domanda, riducendo per le imprese i costi di organizzare il
lavoro in maniera più aderente ai ritmi richiesti dalla combinazione lavoro – famiglia.
Il rifinanziamento e l’estensione a due giorni del congedo di paternità nel 2016 segnalano
l’attenzione per il tema della genitorialità e della condivisione.
Il rifinanziamento del contributo economico di 600 euro al mese per sei mesi da impiegare per il
servizio di baby-sitting o per i servizi per l’infanzia (erogati da soggetti pubblici o da soggetti
privati accreditati) da usufruirsi negli undici mesi successivi al rientro dalla maternità, aiuta le
mamme a ridurre il periodo di congedo parentale e le uscite lunghe che le penalizzano sul mercato
del lavoro e favoriscono spesso l’abbandono definitivo. Dal 2016, il beneficio è stato esteso anche
alle lavoratrici autonome non parasubordinate e alle imprenditrici. Sebbene l’estensione della
platea di beneficiari sia senz’altro positiva, rimane ancora da chiarire se il voucher sia efficace
quanto l’offerta di servizi pubblici per sostenere l’occupazione femminile.
Nel Jobs act era stato previsto un intervento sul fronte fiscale per sostenere il lavoro femminile,
ma la previsione non ha avuto seguito. L’Italia disincentiva fiscalmente, più di molti altri paesi
europei, la partecipazione e l’aumento del numero di ore lavorate dei secondi percettori di
reddito. Il disincentivo deriva sia dalla maggior tassazione del lavoro che dai minori benefici a cui la
famiglia ha diritto quando un nuovo reddito entra nelle sue casse. Il disincentivo sarebbe ancora
maggiore se si considerassero i costi diretti che la famiglia è costretta a sostenere per la cura dei
figli, quando non è più garantita al suo interno. Il tema del fisco e del work-life balance è
sicuramente un capitolo da riprendere.
Per far si che tutto il potenziale di risorse femminili che il nostro territorio possiede trovi una
giusta ed adeguata collocazione, è indispensabile che ogni intervento a sostegno dell’occupazione
femminile varato dal Governo nazionale sia sostenuto, monitorato e concretamente sperimentato
attraverso una strategia territoriale.
Il Forum Lavoro del PD di Lecco ha proposto una metodologia di sicuro interesse che se attuata
potrà portare concreti vantaggi in favore di una più larga e duratura occupazione femminile.
Il Forum propone di istituire una cabina di regia costituita dalle forze datoriali e sindacali, dalle
istituzioni amministrative e scolastiche e dalle agenzie che gestiscono per la Regione risorse
economiche per la conciliazione tra lavoro e cura per:
-
Definire con le istituzioni scolastiche competenze e conoscenze utili allo sviluppo
territoriale unitamente alla promozione di una reale pari opportunità tra i generi
rompendo gli stereotipi che ne impediscono la sua realizzazione;
-
Analizzare sia dal punto di vista maschile che femminile i dati del mercato del lavoro, anche
alla luce dei nuovi disposti governativi, al fine di evidenziare le varianze relative alla
conciliazione dei tempi di lavoro e di cura;
-
Monitorare ed interagire con quelle aziende che propongono un’organizzazione aziendale
che favorisca una migliore conciliazione dei tempi di lavoro e di cura e che incoraggi una
valorizzazione del lavoro femminile, affinché una simile nuova cultura aziendale diventi un
benchmark di riferimento per il territorio.
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Economia locale
In provincia di Lecco il mercato del lavoro segna un trend positivo dal 2014. Il timido risveglio del
termometro occupazionale registrato nel 2014 si è consolidato e migliorato nel 2015, portando in
positivo tutti gli indici macroeconomici a disposizione degli osservatori economici del territorio.
Il tasso di disoccupazione scende decisamente dal 8,3% del 2013 al 6,2 del 2015.
Il numero di persone in cerca di occupazione è diminuito di 1900 unità.
Il numero degli occupati è in crescita, dal 2014 al 2015 hanno trovato occupazione 4.300 persone
in più. In soli due anni si è recuperato quasi tutto il gap disoccupazionale dalla crisi del 2008 in poi,
posizionandoci appena sotto il 2009.
Il processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro che angustiava le parti sociali e che
rappresentava, per la stragrande maggioranza degli osservatori economici e dei media, la sciagura
principale del nostro mercato, ha interrotto l’espansione aumentando significativamente la quota
di lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Questo per effetto principalmente della
riforma del mercato del lavoro e dei vantaggi economici contenuti all’interno del Jobs Act.
Significativo è il dato che assegna ai servizi, cresciuti di quasi 6.000 unità dal 2008, il compito di
assorbire la defaillance degli altri settori dove spicca un – 8.800 unità dell’industria.
Rispetto alle altre provincie della Lombardia il nostro trend è decisamente più positivo rispetto a
quanto hanno fatto registrare le altre provincie: il tasso di disoccupazione scende molto al di sotto
della media lombarda posizionandoci al penultimo posto. Solo Bergamo fa meglio di noi.
Superiamo agilmente anche la media del tasso di occupazione posizionandoci al secondo posto,
dietro solo a Milano. Anche rispetto al tasso di variazione degli avviamenti sul 2014, Lecco è tra i
primi tre posti.
Si può quindi parlare di possibile ripresa economica ???
Non ancora !! Anzi se guardiamo ai rapporto tra crescita della popolazione occupata e nuovi posti
di lavoro creati nel territorio, notiamo una certa discrepanza. I posti di lavoro creati dalle aziende
lecchesi assorbono solo in parte la nuova occupazione. Ciò sta a significare che un folto gruppo di
lecchesi ha trovato occupazione fuori dalla nostra provincia e che l’economia del nostro territorio,
rispetto alla media lombarda, presenta ancora delle difficoltà di ripresa.
La difficoltà di dinamicità del tessuto produttivo della nostra provincia è da addebitarsi
principalmente alla permanente crisi del settore manifatturiero. La perdita occupazionale
nell’artigianato produttivo non riguarda solamente l’occupazione dipendente , ma si estende
anche alla componente del lavoro autonomo.
La diminuzione dei lavoratori autonomi (titolari di impresa e collaboratori) nell’artigianato è in atto
da oltre cinque anni e complessivamente si registra una riduzione di oltre 1.000 unità. Il bilancio
occupazionale – quanto a posti di lavoro presenti sul territorio – nell’insieme del settore
manifatturiero e delle costruzioni oscilla intorno a -500 unità nel corso del 2015 (da 54.000 nel
2014 a 53.500 nel 2015, un insieme che rappresenta poco meno del 41% dei posti di lavoro
complessivamente presenti.
Invece il settore dei servizi nel suo complesso registra un incremento dei posti di lavoro presenti
nelle imprese lecchesi nell’ordine delle 1.500 unità (da 46.500 a 48.000, con un’incidenza sul totale
intorno al 36,5%).
Alla luce dei dati forniti dall’Osservatorio Provinciale del Mercato del Lavoro è più che evidente
che nella nostra provincia la crisi economica ed industriale è stata una crisi di prodotto, di
processo e di mercato. La crisi ha modificato nel profondo la struttura produttiva a cui eravamo
abituati ed è meglio che ci convinciamo fin da subito che nulla tornerà come prima. Possiamo
uscire dalla crisi solo se comprendiamo che esistono anche altri settori produttivi oltre il
manifatturiero da sviluppare.
Ciò non esclude affatto che il settore manifatturiero del nostro territorio debba avere tutta
l’attenzione che merita affinché possa adeguatamente sviluppare la propria produttività e
competitività. A tale proposito sarà sempre più strategico accompagnare quelle aziende che
crescono nell’innovazione industriale facendo colloquiare in modo sempre più proficuo università
– ricerca – industria.
Occorre però anche sbarazzarci di un tabù concettuale che ci accompagna da tempo secondo il
quale solo l’industria produce vera ricchezza mentre il commercio ed i servizi spostano ricchezza
già esistente. Anzi nei riguardi dei servizi in genere e di quelli finanziari in particolare, si ha il
sospetto ed il pregiudizio che si tratti più di “valore sottratto” che di “valore aggiunto”.
Questo è un gradino culturale che non abbiamo ancora superato. Insistiamo, infatti, a chiamare
“più industrializzati” i paesi più avanzati, dove il prodotto nazionale per più di tre quarti non viene
dall’industria ma dai servizi. E’ difficile per molti, anche culturalmente preparati, digerire il fatto
che i servizi facciano parte del flusso di ricchezza che alimenta la crescita Se ne dovranno fare una
ragione perché i nei prossimi anni sarà ancor più accentuato il divario tra industria e servizi.
Ci si dovrà convincere che un milione di euro di consulenza strategica entra nel Pil come un
milione di euro di tondino di ferro.
Anche quando ci approcciamo a parlare del futuro del nostro territorio noto la presenza di questo
forte pregiudizio. Le nostre attenzioni maggiori, sono ancora oggi, rivolte quasi esclusivamente
alla manifattura lecchese. Si parla di terziario e di servizi solo come momentaneo ripiego o al
massimo ci si spinge a considerarlo come una ricchezza accessoria.
E’ invece un dato di fatto che la New Economy si sviluppa principalmente nei servizi.
Il fenomeno delle Start-up
La novità economica di quest’ultimo periodo riguarda il mondo delle Start-up. La turbolente
crescita di nuove aziende innovative è ormai un business mondiale.
Negli Stati Uniti dove questo fenomeno è partito già diversi anni fa, le grandi aziende americane
hanno tratto consistenti benefici di business nel promuovere e finanziare le start-up nascenti al
punto che ormai l’incidenza del capitale di rischio in startup supera di gran lunga il 20% degli
investimenti complessivi.
L’investimento in capitale di rischio nelle start-up da parte di grandi aziende rappresenta una delle
leve più significative e promettenti per innovare il mercato e favorire nelle aziende la benefica
propensione all’ “open innovation”.
Nel campo assicurativo si sta verificando un vero boom con una crescita degli investimenti in startup nel 2015 di 2 miliardi di dollari.
Il fattore principale che ha permesso di cambiare le regole del gioco a favore delle startup è stata
la volontà di cavalcare la parabola ascendente di questo fenomeno da parte dei colossi aziendali.
Molte startup sono presenti nel mercato innovativo delle “App.” Il mercato delle applicazioni
informatiche presenta oggi un giro d’affari di oltre 30 miliardi con un margine di crescita
impressionante.
Un giovane italiano, un certo Zacconi, ha inventato un giochino dal nome “ Candy Crush Saga”.
Oggi la sua azienda vale oltre 7 miliardi di dollari. Si è dovuto trasferire in Inghilterra perché in
Italia la sua start-up non trovava finanziatori “venture capital” o “business angel”.
Si stima che entro il 2018 il mondo delle “App” impiegherà più di 5 milioni di persone. Oggi il giro
di affari del “mobile commerce” è pari al 6% ed il “mobile payment” è pari al 1%, nel giro di 3 anni
si stima che questi due mercati saranno rispettivamente del 21% e del 18%. La percentuale di
sviluppo è molto elevata con marginalità altissime.
In economia oggi ci si salva se si inseguono aziende con forte marginalità indipendentemente se
producono fil di ferro o servizi.
Finalmente anche in Italia si stanno notando degli interessantissimi sviluppi. Alle iniziative storiche
dei settori media & tecnology (Tim Venture, RCS Nest, AD4 Venture), Lifesciences (ZCube, Chiesi
Venture) ed energia (Enel Lab), recentemente se ne sono aggiunte di nuove in ambito Fintech
(Unicredit, IntesaSanPaolo) e Smart City (CNLGroup, Italeaf, GalaLab) con una dotazione
complessiva di oltre 400 milioni di euro. Molto interessante è la nascita di Equity Startup che si
pone l’obiettivo di essere da ponte tra startup, Pmi innovative e investitori ma che si propone
anche come incubatore offrendo servizi di consulenza che spaziano dalla redazione di business
plan, al supporto amministrativo e legale che risulteranno di fondamentale importanza per le
neonate aziende. La particolarità di Equity Startup è quella di essere la prima in Italia a nascere per
iniziativa di un’associazione di categoria ( l’Associazione commercio, turismo, servizi e trasporti
della Provincia di Torino).
Perché non imitarla anche nel nostro territorio???
Quello delle startup è un fenomeno che sprigiona positività non solo di business ma anche e
soprattutto di mentalità e di approccio positivo al futuro. Poco piagnoni, poco rancorosi, non
aspettano la sovvenzione statale o la protezione sindacale ma hanno tanta voglia di mettersi in
gioco e di rischiare.
Marco Bicocchi Pichi, presidente di “Italia startup” ha detto: “…Ho percorso migliaia di kilometri
e incontrato decine di persone, giovani e meno giovani. In questi giorni ho avuto modo di vedere in
ogni luogo d’Italia i segni di quella crisi di trasformazione in atto nel nostro sistema economico.
Capannoni, fabbriche e superfici commerciali abbandonate, chiuse, non mancano da Nord a Sud.
Non si possono non notare i segni di una guerra che ha avuto e ha i suoi morti tra imprenditori
suicidi e capi famiglia disperati. Ma ho visto, soprattutto, la voglia di tornare a combattere e
ripartire e di imitare l’Italia del dopoguerra, ho visto negli occhi di tanti la scintilla della volontà.
Queste persone invitano “ ..a sconfiggere il pessimismo, a darsi da fare a trasformare le sfide in
opportunità e a fare sistema aprendosi con generosità alla collaborazione con gli altri.”
Circolo virtuoso e circolo vizioso
Benjamin Freedman nel libro “ il valore etico della crescita economica” basandosi sull’esperienza
storica di diversi paesi, documenta come nei periodi in cui le prospettive per il futuro sono
incoraggianti, le persone sono più propense a lavorare insieme costruttivamente , sostenendo i
principi democratici e l’evoluzione sociale. Quando invece si ha la percezione che le prospettive
future non sono positive, si verificano sempre grandi regressi sul piano sociale e democratico.
La depressione economica diventa spesso anche depressione psicologica complessiva.
In questa situazione vanno a nozze i politici in cerca di consenso di breve periodo suscitando paura
e rabbia per meglio vendere future speranze.
La crisi del ’29 è diventata materia di studio per molti economisti e sociologi perché di fronte ad
una crisi economico-finanziaria mondiale ci sono state risposte diverse che hanno generato
condizioni sociali ed economiche agli antipodi.
Negli Stati Uniti prendeva vita il New Deal con l’amministrazione Roosevelt che da un lato
incoraggiava pubblicamente le imprese ad assecondare le richieste sindacali per depotenziare le
controversie sul lavoro che si erano trasformate in aperta ostilità e dall’altra si è però
regolamentato il quadro istituzionale dell’economia americana.
In Europa invece l’incertezza dei governi nel prendere misure congrue e corrette ha lasciato che la
rabbia e la paura la facessero da padrona. Anziché trovare rimedi sistemici e una
regolamentazione dei mercati, lasciandoli però aperti e competitivi, si è preferito agitare la paura
della peste speculativa inseguendo di volta in volta presunti colpevoli, ogni volta diversi, con il
risultato di chiudere,con una voglia protezionistica i mercati e le economie.
Questo atteggiamento ha alimentato ancor di più la depressione e di conseguenza i vari populismi
e fanatismi, il tutto in un circolo vizioso che sfociò nel fascismo, nel nazismo e che ci portò alla
seconda guerra mondiale.
Questo per sottolineare che a parità di condizioni conta molto la capacità di innescare un processo
di fiducia anziché di rassegnazione e rabbia.
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