CONVEGNO INTERNAZIONALE VIVA V.E.R.D.I. La musica dal Risorgimento all’unità d’Italia Pistoia - Biblioteca San Giorgio (Auditorium Terzani) 15-17 settembre 2011 organizzato da Comune di Pistoia Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini PROGRAMMA 1 ORGANIZZATO DA Comune di Pistoia IN COLLABORAZIONE CON Amici di Groppoli CON IL PATROCINIO DI Provincia di Pistoia CON IL CONTRIBUTO DI Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini www.luigiboccherini.org VIVA V.E.R.D.I La musica dal Risorgimento all’unità d’Italia Convegno internazionale 15-17 settembre 2011, Biblioteca San Giorgio (Auditorium Terzani) via Sandro Pertini snc - Pistoia organizzato da Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini Comune di Pistoia in collaborazione con Amici di Groppoli con il patrocinio della Provincia di Pistoia e il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia So.Crem Pistoia Cassa di Risparmio di Orvieto Comitato Scientifico Lorenzo Frassà, Lucca Roberto Illiano, Lucca Fulvia Morabito, Lucca Luca Sala, Paris/Poitiers Massimiliano Sala, Pistoia Keynote Speakers Philip Gossett, Roma/Chicago Fiamma Nicolodi, Firenze GIOVEDÌ 15 SETTEMBRE ore 10.00-10.30: Registrazione e accoglienza 10.30-11.30: Apertura dei lavori • Massimiliano Sala (Presidente Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini) • Mirco Vannucchi (Assessore alla cultura del Comune di Pistoia) • Chiara Innocenti (Assessore alla cultura della Provincia di Pistoia) • Vannino Chiti (Vice Presidente del Senato della Repubblica) • Gian Piero Ballotti (Presidente Amici di Groppoli) 11.45-12.45: Session 1: Musica e identità nazionale: aspetti sociologici ed estetici (Chair: Massimiliano Sala) • Giovanni Guanti (Università di Roma Tre): Männerchöre, Satyrchöre e cori operistici patriottici: Nietzsche e Mazzini compagni di viaggio sul Gottardo nel febbraio 1871 • Giuseppe Tumminello (Università di Parma): La patria come nostalgia di una moderna cittadinanza comune. Musica come religione popolare unitaria 13.00 Pranzo 15.00-16.00: Keynote Speaker 1 • Philip Gossett (Università di Roma “La Sapienza” / University of Chicago): The Effect of the Censors on Verdi’s Operas between 1848 and 1861 Pausa caffè 16.30-18.30 Session 2: Il melodramma italiano e la politica (Chair: Philip Gossett) • Francesca Vella (King’s College, London): Verdi and Politics: The Case of 1859 • Anna Cicatiello (Università di Roma “La Sapienza”): La censura borbonica dei libretti di Verdi: alcuni casi di revisione • Maria Birbili (Maison des Sciences de l’Homme, Paris): Il conflitto fra Stato e Chiesa nelle opere risorgimentali di Verdi. Modelli francesi politicizzanti nell’opera italiana • Chloe Valenti (University of Cambridge): Adulation and Appropriation: Verdi’s Political Image in 1860s England 20.30 Cena VENERDÌ 16 SETTEMBRE 9.30-11.00: Session 3: Nazionalismo e patriottismo nell’opera dell’Ottocento (Chair: Fiamma Nicolodi) • Víctor Sánchez Sánchez (Universidad Complutense de Madrid): «Nabucco» senza Risorgimento. Il furore verdiano in Spagna • Cristina Aguilar Hernández (Universidad Complutense de Madrid): Il «Don Carlo» e la leggenda nera: un’immagine negativa della Spagna. Patriottismo e politica delle prime rappresentazioni nei teatri spagnoli • Federico Gon (Università di Padova): Gli ‘eroi dei due mondi’: Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi *** 11.30-13.00: Session 3: Nazionalismo e patriottismo nell’opera dell’Ottocento (Chair: Philip Gossett) • Basil Considine (Boston University): «La Fille du Régiment» and the Construction of French Patriotism and Identity in the Inter-Empire Period • Joseph E. Morgan (New England Conservatory): Nationalism and the Italian Style in Nineteenth-Century German Opera • Gregor Kokorz (Kommission für Musikforschung Österreichische Akademie der Wissenschaften, Vienna): Verdi contra Lickl – Opera and National Identity in Trieste 1848 13.30 Pranzo 15.00-16.00: Keynote Speaker 2 • Fiamma Nicolodi (Università di Firenze): La produzione operistica dell’Italia post-unitaria Pausa caffè 16.30-18.30: Session 4: Sentimenti risorgimentali: un approccio interdisciplinare (Chair: Luca Sala) • Angela Bellia (Università di Bologna): Simboli musicali nell’iconografia del Risorgimento • Renato Ricco (Università di Salerno): «La musica è la fede d’un mondo di cui la poesia non è che l’alta filosofia»: presupposti storici e finalità sociali de «La filosofia della musica» di Giuseppe Mazzini (1836) • Olga Jesurum (Università di Roma “La Sapienza”): «O tu Palermo o cara». L’iconografia della guerra del Vespro da Hayez a Verdi • Marina Mayrhofer (Università di Napoli “Federico ii”): Citazioni verdiane e coscienza storica del Risorgimento in due film di Luchino Visconti: «Senso» e «Il Gattopardo» 20.30 Cena SABATO 17 SETTEMBRE 9.30-11.00: Session 5: L’identità italiana e le istituzioni musicali (Chair: Roberto Illiano) • Giuseppe Montemagno (Catania): «Gridando: lealtà!» Una stagione risorgimentale al Teatro Comunale di Catania • Raffaella Bianchi (Zirve University, Turkey): The Cultural Struggle of the Risorgimento at La Scala (1814-1848) • Carmela Bongiovanni (Conservatorio “N. Paganini” di Genova): Impegno civile e scelte musicali nelle istituzioni della Genova di età risorgimentale 11.30-13.00 Session 5: L’identità italiana e le istituzioni musicali (Chair: Fulvia Morabito) • Enrica Donisi (Napoli): Il Risorgimento, le bande militari e un capitano d’eccezione: Raffele Trabucco • Antonio Caroccia (Università di Perugia): L’istruzione musicale pre e post-unitaria, tra regolamenti e riforme degli studi • Annamaria Bonsante (Conservatorio “N. Sala” di Benevento): Addio del passato. Musica e clausura nel Regno delle Due Sicilie 13.30 Pranzo 15.30-16.30 Session 6: Musicisti e contesto socio-politico dal Risorgimento all’Unificazione (Chair: Fulvia Morabito) • Jehoash Hirshberg (Hebrew University, Jerusalem): The Private and the Collective in Patriotic and in Socially Reprimanding Italian Operas in the 1860s • Mariateresa Dellaborra (Conservatorio “G. Verdi” di Torino): «Sia grande l’Italia, sia libera ed una»: il contributo di Saverio Mercadante alla ‘causa’ risorgimentale Pausa caffè 15.30-16.30 Session 6: Musicisti e contesto socio-politico dal Risorgimento all’Unificazione (Chair: Massimiliano Sala) • Pinuccia Carrer (Conservatorio “G. Verdi” di Milano): Per Cristina Trivulzio Belgiojoso: canti di guerra e canti d’elogio • Marcelo Campos Hazan (Columbia University): «Nabucco»’s Band 20.00 Cena Abstracts Keynote Speakers • Philip Gossett (Università di Roma “La Sapienza” / University of Chicago) The Effect of the Censors on Verdi’s Operas between 1848 and 1861 After the return of the Austrians, once the season of the ‘Cinque giornate’ was over in Milan, censorship in Italy became ever more difficult. Afterwards, Verdi sought to find a difficult path within a highly perilous political world. So, it was not possible to present his operas La battaglia di Legnano (1848) and Stiffelio (1850) as he had conceived them. The censors suggested disastrous modifications in his Rigoletto (1851) and would have done worse, if possible. Verdi also was not able to present his Les Vêpres siciliennes (1855) in the form originally planned for France. But the worst was the situation with Un ballo in maschera (1859), originally conceived for Naples (1858), first as Gustavo iii, then as Una vendetta in domino, as the Swiss-American scholar Andreas Giger has demonstrated. It should not come as a surprise that after Ballo Verdi refused to write a new opera for Italy until his Otello of 1887. My talk (in English) will speak mostly of the period from 1848 through 1861, when censorship had its heaviest effect on the operas of Verdi. [ Dopo il ritono degli austriaci, passata la stagione delle ‘Cinque giornate’ milanesi, la censura in Italia divenne sempre più difficile. Opera dopo opera, Verdi faticò a trovare la sua strada all’interno di un mondo politico pericolosissimo. Pertanto, non fu possibile rappresentare le sue opere «La battaglia di Legnano» (1848) e «Stiffelio» (1850) nel modo in cui egli le aveva concepite. La censura fece delle modifiche disastrose al suo «Rigoletto» (1851), e avrebbe voluto fare modifiche peggiori; allo stesso modo, non fu possibile rappresentare «Les Vêpres siciliennes» (1855) come Verdi li aveva originariamente pensati per la Francia. Ma il colmo fu la situazione di «Un ballo in maschera» (1859), originariamente concepito come «Gustavo iii» e successivamene, per Napoli (1858), intitolato «Una vendetta in domino», come ha dimostrato lo studioso svizzero-americano, Andreas Giger. Non sorprende dunque che dopo il «Ballo» Verdi abbia sempre rifiutato di scrivere nuove opere per l’Italia, fino all’«Otello» del 1887. La presente relazione (in inglese) avrà come argomento principalmente il periodo dal 1848 al 1861, quando le opere di Verdi subirono gli effetti più profondi da parte della censura. ] • Fiamma Nicolodi (Università di Firenze) La produzione operistica dell’Italia post-unitaria Sistema produttivo: La relazione inizia prendendo in rassegna la situazione parlamentare negli anni 1860-1867, quando il governo decide la ‘facoltà’ e non più l’‘obbligo’ di provvedere ai finanziamenti dei teatri ‘demaniali’ e di quelli di corte, per avviare le pratiche di cessioni ai rispettivi municipi. Ciò che comporterà accese discussioni politiche, notevoli decurtazioni economiche e anche la forzata chiusura di alcune istitituzioni che erano state di primaria importanza, aggravate adesso dalle lotte interne fra ‘palchettisti’ e comuni. Prospettiva geografica ed economica dei teatri nell’Italia unita: Verrà considerata la differenza esistente fra i teatri del Nord e quelli del Sud Italia, i processi di ristrutturazione che porteranno a includere il pubblico più ‘allargato’ dei ceti medi (in virtù dell’esproprio dei palchi di prima fila, la soppressione di quello ‘reale’, la trasformazione dei palchi degli ultimi ordini in ‘lubbioni’ e una diversa politica dei prezzi ). Si terrà conto anche dei provvedimenti legislativi sul diritto d’autore (1865, 1875, 1882, alla cui prima stesura parteciparono attivamente Verdi e l’editore Ricordi). Il repertorio: Si affronterà quindi il problema del repertorio, che se prosegue nell’offerta del patrimonio ‘serio’ dell’Italia pre-unitaria (Rossini, Bellini, Donizetti Verdi), assiste in pari tempo alle riprese dell’opera comica settecentesca (fra i titoli più fortunati del Settecento e della prima metà dell’Ottocento: Il matrimonio segreto e Giannina e Bernardone di Cimarosa, Crispino e la comare di Federico Ricci, ecc. ). Riprese e novità: Mentre proseguono i grands opéras (già sulle scene italiane fin dagli anni ’40: Meyerbeer, Halévy, Auber), a essi si affiancano i maggiori successi degli operisti italiani andati in scena a Parigi (I puritani di Bellini, La favorita di Donizetti, I vespri siciliani e Aida di Verdi, ecc.), ripresi nel nostro paese. Se c’è un genere che connota la novità produttiva nell’Italia post-unitaria questo è proprio quello indigeno della grande opera (verranno esaminate Mefistofele (1868) di Boito, Ruy Blas (1869) di Marchetti, Il Guarany di Gomes (1870), e La Gioconda (1876) di Ponchielli, che diventa lo status symbol dell’epoca, ansiosa di una promozione sociale, di una chiara affermazione cosmopolitica, esperita dagli ascoltatori della piccola e media borghesia nei suoi aspetti più edonistici e appariscenti (colpi di scena, sontuosità degli apparati scenici, orecchiabilità delle melodie, gradevole miscela degli ingredienti: cori, balli, arie, duetti, concertati, intermezzi orchestrali, pezzi caratteristici). Il grand opéra si afferma capillarmente dai capoluoghi fino alle città di provincia, trovando rispondenza al suo carattere grandioso anche nell’architettura monumentale del tempo, incline all’ampliamento di piazze e di edifici pubblici, alla costruzione di spaziose gallerie, mentre nell’arredo urbano (monumenti, statue) vengono glorificati eventi simbolici e personaggi della storia nazionale (a cominciare da Dante). Molti i riscontri ‘realistici’ fra la recitazione del teatro di prosa e l’interpretazione scenico-vocale. Più in ombra, ma non assente (semmai confinata a circuiti lirici minori o a località specifiche: Napoli), l’opera buffa (ricordiamo almeno, i successi dei fratelli Ricci – per tutti, Crispino e la comare –, Cagnoni, ecc.). Grande diffusione è assicurata all’opera anche dal genere della parodia e dall’adattamento dei testi al repertorio per marionette. Partecipanti • Cristina Aguilar Hernández (Universidad Complutense de Madrid) Il Don Carlo e la leggenda nera: un’immagine negativa della Spagna. Patriottismo e politica delle prime rappresentazioni nei teatri spagnoli Nell’Ottocento la Spagna fu il paradigma che stimolò con più successo l’immaginazione romantica europea. Al di là della tipica concezione esotica della Spagna, il Don Carlo vuole mettere in risalto, come scrisse lo stesso Verdi in una sua lettera, l’esacerbata religiosità e tirannia dell’epoca di Filippo ii, la cosiddetta ‘leggenda nera’. Il seguente studio, oltre ad approffondire il fenomeno della leggenda nera nell’Ottocento europeo e la sua presenza nel Don Carlo, ha come obiettivo l’analisi della ricezione di quest’opera in Spagna, non solo dalla sua prima rappresentazione a Madrid (1872), ma già dal momento in cui i giornalisti spagnoli ne vennero a conoscenza, nel 1867. Si cercheranno di evidenziare le connessioni col romanticismo e il patriottismo spagnolo presenti nelle critiche all’opera, ancora piú contrarie e mordaci in un’epoca nella quale la figura del re era ancora rispettata, come accadeva negli anni della prima rappresentazione dell’opera a Parigi – durante i quali il governo spagnolo era retto dalla regina Elisabetta ii (1867) –, critiche diverse da quelle che appaiono a partire della rivoluzione liberale del ’68. • Angela Bellia (Università di Bologna) Simboli musicali nell’iconografia del Risorgimento L’iconografia musicale costituisce un campo privilegiato di indagine per comprendere il ruolo della musica nell’ambito del suo contesto di produzione e fruizione, documentandoci aspetti e ambientazioni delle pratiche musicali che ci permettono di definire cosa la musica e il far musica rappresentino all’interno di un preciso contesto storico e culturale. Lo studio delle immagini ci consente di comprendere il ruolo di uno strumento musicale o di un personaggio impegnato a suonarlo e dunque di cogliere il «messaggio» musicale delle scene. Un esempio di questo approccio allo studio delle immagini è offerto dalla lettura di una serie di opere di artisti definiti ‘pittori soldati’ che parteciparono da protagonisti alle vicende storiche comprese nell’arco di tempo che va dal 1848/1849 al 1878. Sono quadri, alcuni dei quali realizzati su commissione regia, che oggi hanno assunto la dignità della grande ‘pittura di storia’ e che documentano, in maniera quanto mai eloquente, la specificità degli avvenimenti del nostro Risorgimento. Le opere dei ‘pittori soldati’ sono documenti vivi di una creatività messa al servizio dell’impegno morale e civile. Nei loro dipinti gli strumenti musicali suonati dai protagonisti delle scene non svolgono una funzione subalterna o decorativa ma sono emblemi degli intimi affetti e delle passioni di popolo, della commozione e dell’emozione verso il riscatto e la liberazione. • Raffaella Bianchi (Zirve University, Turkey) The Cultural Struggle of the Risorgimento at La Scala (1814-1848) This paper focuses on the confrontational events taking place at La Scala during Restoration up to the Battle of the Five Days. Milan was the main centre of development of the Romantic movement, which was the milieu of the intellectuals of the Risorgimento. La Scala as a meeting place for civil society in Milan, provided an ideal terrain for the struggle to emerge. The intellectual struggle developed into open political conflicts when the editors of Il Conciliatore engaged in a political conspiracy in 1821 which was discovered by the secret police at La Scala, and when performances become overtly political demonstrations. It was the season of arie da Belisario. By the 1830s and 1840s, conflicts had become more explicit and divided the audiences into two fronts, those who either supported or opposed particular performers who held specific political positions. This is particularly evident in the confrontation between the two performers of Norma, Giuditta Pasta and Maria Malibran. Indeed, also became part of the cultural struggle between two camps, the Austrophiles and the patriots. The famous Austrian dancer Fanny Ellser had to leave Milanese stages because of her political connotations. Rather than focusing on operatic performances of the time, the paper analyses original archival sources regarding the organisation of the opera house, the management of the impresarios and of the theatre direction, rules of attendance, and matters like doors, keys and curtains. New rules for the attendance of performances had been implemented, and the Habsburg authorities enforced new changes to improve the effectiveness of police control at La Scala: improving lighting and strictly supervising the regulation of access to the opera house. This reflects the highly politicised atmosphere at La Scala on the brink of the uprising of 1848. The battle of the Five days of Milan was the first important military event of the Risorgimento. Visual sources of the barricades of 1848 next to the opera house will conclude the analysis. • Maria Birbili (Maison des Sciences de l’Homme, Paris) Il conflitto fra Stato e Chiesa nelle opere risorgimentali di Verdi. Modelli francesi politicizzanti nell’opera italiana La presente relazione vuole esaminare la retorica politicizzante propria della rivoluzione francese che Verdi ha attinto dal modello rossiniano del Guillaume Tell nella sua Battaglia di Legnano, la trasformazione di I Lombardi alla prima Crociata in Jérusalem sotto l’influenza del grand opéra francese, il messaggio ambiguo della cabaletta di Giselda nel ii atto di quest’opera, il sogno profetico dell’incontro di Attila con il pontefice – che appare come situazione drammatica analoga anche nel Prophète di Giacomo Meyerbeer – e, in conclusione, il conflitto fra stato e chiesa inserito nel Don Carlos, che conobbe diversi cambiamenti e modifiche a partire dal concepimento sino a giungere alle diverse versioni finali. • Carmela Bongiovanni (Conservatorio “N. Paganini” di Genova) Impegno civile e scelte musicali nelle istituzioni della Genova di età risorgimentale È possibile seguire – tramite le carte, le memorie, i registri, i documenti diversi conservati presso l’Archivio Storico del Comune di Genova – i diversi momenti del fare musica in pubblico e l’evoluzione prudente nelle scelte delle massime istituzioni teatrali musicali della prima metà dell’Ottocento a Genova, vale a dire il Teatro Carlo Felice e il teatro di Sant’Agostino, in un periodo di grande sommovimento politico. La programmazione non riguarda solo spettacoli melodrammatici, s’intende, ma anche cantate, accademie, feste diversificate e inoltre eventi non musicali. Dai registri della commissione dei teatri, tra le discussioni in merito a richieste e proposte differenti, si evince il nome del compositore al quale in origine si era pensato di commissionare il melodramma di inaugurazione del neo-erigendo Teatro Carlo Felice, vale a dire Meyerbeer. Tra le altre iniziative pervenute al Teatro c’è la richiesta, all’inizio degli anni ’40 dell’Ottocento, da parte degli stessi musicisti componenti l’orchestra del teatro, di istituire un’orchestra civica: tale richiesta – più tardi divenuta realtà – venne inizialmente respinta dalla Commissione dei Teatri per mancanza di finanziamento. Dai registri manoscritti c’è insomma uno spaccato della vita dei teatri non solo musicale: nella seduta del 9 settembre 1848 della direzione dei Teatri di Genova, per esempio, viene data lettura di una lettera dell’impresario dei teatri Sanguineti «colla quale fa presente come il Sig.r Avv.to Ottavio Lazotti Vice presidente del Circolo Italiano viene chiedendogli la concessione del Teatro da S.t Agostino per sito di riunione del circolo suddetto». La commissione dei teatri accetta ma a patto che «il Sig.r Sanguineti si renda garante di tutti i danni e conseguenze che potessero derivare da questa concessione medesima». Anche il ridotto del Carlo Felice è teatro di riunioni del Circolo Nazionale, come risulta dai registri dell’amministrazione. A fianco delle istituzioni civili, si muovono quelle religiose; tra le principali abbiamo la chiesa di Sant’Ambrogio, con orchestra e cantanti propri gestiti e finanziati dalla famiglia dei nobili Pallavino di Genova: qui si continua a proporre musica secondo una immutata organizzazione secolare, apparentemente impermeabile ai rivolgimenti in atto. • Annamaria Bonsante (Conservatorio “N. Sala” di Benevento) Addio del passato. Musica e clausura nel Regno delle Due Sicilie La relazione sintetizza ricerche in corso sul rapporto tra musica e clausura nel Mezzogiorno ancien régime, presentando documenti relativi ad alcune prestigiose comunità regolari femminili del Regno delle Due Sicilie, nel periodo che va dal Decennio francese all’unificazione d’Italia. Le raffinate monache-gentildonne vivono in magnifiche dimore, e, da ricche art-matrons, promuovono sapere, arte, musica, secondo i codici e gli stili alla moda. Nel xix secolo s’innova la vita artistico-musicale delle istituzioni e si evidenzia un atteggiamento nostalgico che protegge il ‘repertorio’ e i fasti del Settecento napoletano. Nel contempo le religiose coltivano l’opera, spesso grazie a trascrizioni per tastiera. In tal modo molte pagine teatrali si suonano anche in chiesa, e i pot-pourri ricavati dai melodrammi contemporanei si gustano, fuori dalla liturgia, nel privato e consueto ‘salotto’ musicale delle reverende monache. Non mancano ‘scritture’ di maestri di banda, né marce, inni, canzoni napoletane, monferrine, polke, che oltrepassano le grate insieme a libri di Guicciardini e Colletta, e, dal 1848, ai giornali. Il legame delle comunità con il Re è tenace, non solo per ragioni familiari, ma anche per i risentimenti originati dalle varie cacciate e spoliazioni subite per mano di francesi e ‘liberali’. Nondimeno, tra queste donne così colte (si negava alle figlie la libertà ma non l’istruzione, in particolare musicale) troviamo esempi di patriote, come la nobile Enrichetta Caracciolo (sua l’autobiografia bestseller del 1864), che dopo vent’anni di monacazione diventa cospiratrice e dopo l’unità d’Italia un personaggio politico. • Antonio Caroccia (Università degli Studi di Perugia) L’istruzione musicale pre e post-unitaria, tra regolarmenti e riforme degli studi Il contributo intende fornire spunti e riflessioni sull’istruzione musicale italiana dell’Ottocento, attraverso lo studio e l’esame dei molteplici regolamenti dei Conservatori di Milano e Napoli alla luce, anche, dei progetti di riforma compiuti dai vari governi pre e post-unitari, in cui l’ordinamento di studio e i programmi di esame con il loro processo di elaborazione, rimangono il momento centrale delle varie riforme. Si esaminerà poi dettagliatamente l’attività legislativa legata all’istruzione musicale, all’interno del panorama nazionale, con ampi riferimenti alle differenziazioni scolastiche e didattiche. In modo particolare si approfondiranno le analogie, le differenze e le scelte didattiche compiute a Milano e a Napoli in epoca pre-unitaria e i lavori di riorganizzazione dell’istruzione musicale attuati su scala nazionale dopo l’unificazione d’Italia. Soprattutto si analizzerà la bozza del ‘Regolamento scolastico’ elaborato dalla commissione nominata dal Ministro Correnti sotto la presidenza di Giuseppe Verdi. • Pinuccia Carrer (Conservatorio “G. Verdi” di Milano) Per Cristina Trivulzio Belgiojoso: canti di guerra e canti d’elogio «Le donne occuperanno molte belle pagine nella storia della patria rigenerata, il dì che si potrà squarciare senza alcun ritegno il velo che cela quanto hanno fatto per noi […] Persone salve, secreti rimasti inviolabili, favori ottenuti per loro indefessa insistenza. […] Nobili amiche noi vi conosciamo: vergini, vedove, spose! […] I vostri cuori palpitando di carità di patria, rendono più celere il vostro respiro, ed un amabile velo di rose tinge subitamente il vostro viso […] Persone che si esposero per noi […] La modestia continui ma non ascondete il vostro cittadinismo: è finito il tempo in cui mostrare animo cittadino era delitto». (Pietro Maroncelli, Parigi, 1831). Una donna che ben risponde al profilo di Maroncelli, anche se non precisamente ascrivibile alla categoria ‘vergini, vedove, spose’, è Cristina di Belgiojoso, principessa alla conquista del suo essere cittadina: più di tante italiane benemerite, essa ha carpito l’attenzione dei contemporanei e dei posteri per i suoi gesti, estrosi e spesso provocatori, sempre coraggiosi. Cristina Trivulzio di Belgiojoso è dedicataria e promoter, a differenza di altre patriote musiciste e compositrici (Elisa Barozzi, Clara Carpani o Carlotta Ferrari, per esempio): noti i suoi rapporti con Bellini e Liszt (vedi Hexaméron) e l’attività svolta a Parigi. A lei si collega un interessante esempio di musica risorgimentale: La crociata italiana: canto di guerra / di Luigi Carrer; musica di Giuseppe Winter, Milano, F. Lucca, ca. 1848, dedicato «Alla generosa donna Cristina Trivulzio Belgiojoso». Nelle composizioni di seguito citate, ancora legate alle forme dell’inno e della cantata d’occasione, più che dedicataria, Cristina è onorata. I brani mettono a fuoco il rapporto con le classi sociali ‘inferiori’. Emerge un aspetto assai sentito nella storia italiana al femminile e non: la beneficenza. Le idee della Belgiojoso sono particolarmente apprezzate per la loro lungimiranza ed efficacia dal pedagogista Ferrante Aporti. Inno di sole voci di soprani e contralti: Op. 85 / musica espressamente composta da Luigi Truzzi, Milano, Giovanni Ricordi, [1846], «dedicata alla nobile dama D.a Cristina principessa di Belgiojoso nata Marchesa Trivulzio»; Cantata, eseguita da contadini e contadine, Op. 86. Musica espressamente composta da Luigi Truzzi, Milano, Giovanni Ricordi, [1846], «dedicata alla Nobile Dama D.a Rosina Poldi nata marchesa Trivulzio». La musica ancora una volta riflette azioni individuali e storia collettiva. • Anna Cicatiello (Università di Roma “La Sapienza”) La censura borbonica dei libretti di Verdi: alcuni casi di revisione La frammentazione in stati, più o meno grandi, del territorio italiano alla metà del secolo xix ebbe riflessi nella politica culturale dei principali teatri. Di conseguenza, le commissioni di censura ebbero ruolo determinante nella prospettiva di eventuali allestimenti di molte opere. La censura scaturiva da provvedimenti che venivano emessi nel nome di un’autorità politica spesso influenzata dagli enti ecclesiastici. Per questo motivo, l’adattamento di un libretto poteva approdare a stesure spesso tra loro differenti. Il Regno delle Due Sicilie si distinse per l’atteggiamento severo e rigido dei suoi organismi di revisione teatrale, imposto anche a libretti il cui potenziale sovversivo era effettivamente minimo. Altro caso è quello della censura europea, che interveniva sostanzialmente sulla traduzione del libretto falsando i contenuti espressi nei versi italiani, nella consapevolezza che ben pochi avrebbero compreso l’originale. Quattro sono le opere su cui verte l’indagine. 1) Attila. Si propone una sinossi tra diverse versioni dello stesso libretto: il libretto della prima rappresentazione veneziana sarà confrontato con altri due documenti, la versione tagliata dai censori ecclesiastici e politici (Cavaliere Ruffa e Cavaliere Royer) per la rappresentazione di Napoli del 1848 e il libretto Gli Unni e i Romani, rielaborazione palermitana del melodramma del 1854/1855. Si individueranno i motivi (storici, politici e sociali) per cui, ben sette anni dopo la rappresentazione nella capitale del regno, si rese necessario epurare ulteriormente il libretto sottolineando, soprattutto, come le autorità palermitane abbiano modificato la trama per ridimensionare il ruolo della protagonista femminile, che appare così sottomessa ai comprimari maschili. 2) I Masnadieri. Si espone una sorta di analisi comparata di determinate parti del libretto tra la traduzione inglese della prima, per la quale punto di riferimento sono gli studi di R. Montemorra Marvin e il libretto edito per la rappresentazione del 1849 al San Carlo. In tal caso si indicheranno le similitudini o le differenze tra gli atteggiamenti dell’autorità censoria in due contesti diversi: la Londra vittoriana e il Regno delle Due Sicilie. 3) Luisa Miller. Il libretto del melodramma scritto espressamente per Napoli nel 1849 presenta notevoli discrepanze lessicali rispetto alle successive versioni stampate da Ricordi per il Nord Italia (ben nove databili tra il 1850 per il Teatro Carcano e il 1851). La fantasiosa e sistematica epurazione terminologica, tutta partenopea, evidenzia l’ossessione dei borbonici per singole parole che potessero lontanamente turbare i rapporti con lo Stato Pontificio e con Pio ix, che dopo i moti del 1848 si rifugiò a Gaeta, parte del territorio borbonico. 4) Stiffelio Un ultima riflessione scaturisce dal confronto tra Guglielmo Wellingrode, adattamento circolato nel Regno borbonico (Palermo, Teatro Carolino stagione 1854/1855; Napoli, Teatro San Carlo, stagione 1855) e un libretto di Stiffelio destinato a una rappresentazione di Barcellona del 1856. Quest’ultimo presenta la versione italiana con traduzione a fronte in castigliano, piuttosto congruente con l’originale triestino, la cui proibizione a Napoli è motivata da alcune testimonianze dell’epoca. • Basil Considine (Boston University) «La Fille du Régiment» and the Construction of French Patriotism and Identity in the Inter-Empire Period The world premiere of Gaetano Donizetti’s opera La Fille du Régiment (1840) captivated Parisian audiences. The opera’s rich score and vibrant melodies quickly conquered a place in theatres and concert halls across the world, but its military and patriotic themes gave it particular resonance and life in France. Set against the backdrop of Napoleon’s great victory at the Battle of Marengo, it recalled to audiences a lost age of military glory, fraternity, and patriotism – an aura that the ‘Citizen King’ of France, Louis-Philippe, sought earnestly to revive. The Bourbon restoration in France recreated the monarchy on the ashes of the French Republic and Empire. The suppression of Republican ideas and loss of imperial glory left a population bereft of the identity it had worn for a whole generation. This disestablishment and disenfranchisement fed a bitter divide between monarchists and royalists, a feud that erupted in the 1830 revolution that overthrew Charles x. His successor, Louis-Philippe, sought to bridge this divide by creating a new ‘French’ identity that embraced, rather than rejected, its Napoleonic past. At the same time, however, the Citizen King’s international ambitions required rapprochement with the traditional enemies of France, a policy furthered by the censor. The glorification of Napoleonic history in La Fille du Régiment is a revisionist one, idealized and carefully crafted for political and practical expediency. The success of its 1840 premiere in Paris (a success downplayed by critics, notably Hector Berlioz) was a validation of the propaganda policies of Louis-Philippe and his government. This paper examines the military, nationalistic, and patriotic content of La Fille du Régiment in the context of 1840 France. It discusses the opera’s reception domestically and abroad, including the nationalistic criticisms leveled against the work by Hector Berlioz – and how elements inspired by La Fille du Régiment nevertheless appeared in some of Berlioz’s own later work. The paper explores the development of French identity in the inter-Empire period, particularly how the work of Donizetti, an Italian composer, became an integral and influential part of French national identity. Alterations made to opera for its Italian audiences are also discussed. The paper concludes with a brief summary of the opera score’s association with the French military for more than a century. • Mariateresa Dellaborra (Conservatorio “G. Verdi” di Torino) «Sia grande l’Italia, sia libera ed una»: il contributo di Saverio Mercadante alla ‘causa’ risorgimentale Attiva fu la partecipazione di Saverio Mercadante alla causa risorgimentale e attestato il suo coinvolgimento a fianco dei protagonisti di quell’ora. Per il tramite di diverse composizioni espressamente concepite – melodrammi, inni per coro (Inno guerriero, Inno popolare, Inno a Vittorio Emanuele ii re d’Italia), sinfonie e marce per orchestra e per banda dai titoli allusivi o dichiaratamente inneggianti a personaggi, a luoghi o a episodi significativi – diede il suo significativo contributo arricchendo nel contempo il repertorio musicale. Molti di questi brani, oltre a godere di una popolarità propria, furono trascritti e adattati per organici differenti da diversi musicisti del tempo (Ponchielli in primis). Oltre a focalizzare l’attenzione sul catalogo mercadantiano legato alla tematica in oggetto, arricchitosi da poco tempo di nuovi rinvenimenti presso il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli, la relazione intende soffermare l’attenzione sulle opere strumentali per rimarcarne la tipologia e confrontare la versione originale con le trasformazioni subite, investigare i motivi dell’adattamento e testimoniarne la fortuna. • Enrica Donisi (Napoli) Il Risorgimento, le bande militari e un capitano d’eccezione: Raffaele Trabucco La musica ha dato un notevole contributo all’unità d’Italia durante il Risorgimento: ha unito gli italiani in una lotta comune; è stata di conforto ai militari in battaglia. I compositori militari hanno scritto musiche di notevole qualità. La presente ricerca mette in luce alcune caratteristiche delle bande militari, attraverso cenni sulla loro formazione e sulla loro storia dagli anni Venti agli anni Settanta, con particolare riguardo alle bande dell’esercito borbonico. Sarà proposta, in particolare, una ricostruzione biografica e professionale di Raffaele Trabucco, studente di corno nell’Orfanotrofio di S. Lorenzo di Aversa, durante gli anni in cui il S. Lorenzo vantava ottime scuole di musica. Dopo gli studi, Trabucco entra nelle fila del Reggimento Ussari dell’esercito borbonico. Nel 1848, spinto dai fervori rivoluzionari, diserta e aderisce ai combattenti volontari. La sua vita è interamente dedicata alla musica e alla patria. • Federico Gon (Università di Padova) Gli ‘eroi dei due mondi’: Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi La miccia insurrezionale e indipendentista innescata dalla Rivoluzione francese ebbe l’effetto domino di ispirare in pochi anni le rivolte libertarie ed egualitaristiche in gran parte del globo, Italia compresa. E così come alla presa della Bastiglia seguì la produzione di canti patriottici ad hoc («La Marsigliese», «La Carmagnòle», «Ça Ira», per citarne alcuni), ogni moto rivoluzionario nazionale ebbe la propria colonna sonora: a noi italiani sono ben noti, ad esempio, il nostro inno nazionale, «Il canto degli Italiani», ma anche «L’inno di Garibaldi» o «Addio mia bella addio», etc… Una situazione particolarmente interessante è rappresentata dai paesi dall’America del Sud che, a partire dai primi anni dell’Ottocento, ottennero uno dopo l’altro la completa emancipazione dalla monarchia spagnola e portoghese, producendo una serie di canti d’ispirazione patriottica che divennero di lì a poco – e fino ai nostri giorni – gli inni ufficiali delle neonate nazioni. Caratteristica peculiare di questi inni (composti per la maggior parte tra il 1813 e il 1866 sia da autori locali che da emigranti) è la medesima che denota i canti del Risorgimento, ossia l’essere strutturati nella metrica del testo ma soprattutto nella forma musicale come veri e propri brani d’opera, sullo stile di Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi (l’opera italiana era presente nei teatri sudamericani sin dai tempi di Paisiello e Cimarosa), quasi fossero stati questi ultimi, ben prima di Garibaldi, i veri “eroi dei due mondi”, contribuendo in maniera determinante tanto in ambito latinoamericano quanto sulle scene italiane. La ricerca spiega come gli inni sudamericani subirono la chiara influenza del melodramma italiano allora in auge e circolante in quelle zone (in particolare a Buenos Aires, Rio de Janeiro, Santiago del Cile), focalizzando la ricerca su due distinti poli, quello analitico dei brani in questione e quello storiografico sulla diffusione del repertorio operistico. Se il Risorgimento e le rivolte indipendentiste dell’America Latina hanno avuto la loro inconfondibile musica, lo si deve principalmente all’opera italiana. • Giovanni Guanti (Università di Roma Tre) Männerchöre, Satyrchöre e cori operistici patriottici: Nietzsche e Mazzini compagni di viaggio sul Gottardo nel febbraio 1871 Nietzsche conobbe Mazzini durante un viaggio in diligenza da Basilea a Lugano, e l’incontro lasciò in lui una profonda impressione, come testimoniano i suoi scritti. Nietzsche – il quale nei primi mesi del 1871 era impegnato nella redazione della Nascita della tragedia, e quindi anche nella ridefinizione concettuale del ‘coro satiresco’ – aveva inoltre molta familiarità coi Männerchöre, in cui spesso e volentieri fu attivo sia come corista e organizzatore sia come compositore di partiture ad hoc. Alcune insospettate analogie tra le corali virili, tipiche della cultura germanica ottocentesca, e il grido degli arcaici seguaci di Dioniso saranno illustrate usando come tertium comparationis le riflessioni sul coro melodrammatico contenute nella Filosofia della musica (1836) di Mazzini: uno scritto che – ci piace pensarlo – il vecchio apostolo del Risorgimento raccomandò al giovane filologo nella loro comune Winterreise. • Marcelo Campos Hazan (Columbia University) Nabucco’s Band On and offstage bands are routinely featured in the operas of Giuseppe Verdi. Scholars allege two particular motivations for Verdi’s adherence to the stage band tradition. The first is his provincial background directing and composing for bands, which supposedly carried over to his operatic career. The funereal march in Nabucco (1842), most tellingly, is said to derive from his bandmaster years. The second alleged motivation is the militaristic character of his early-period operas, for which the performance of brassy marches by parading bands was particularly suited. To the extent that these early operas, notably Nabucco, have been interpreted by musicologists as covertly patriotic, stage bands have been accordingly viewed as symptomatic of Verdi’s commitment to the Risorgimento. Taking Nabucco as a paradigmatic case, I argue that Verdi’s motivations are more adequately understood when connected to wider sociopolitical circumstances. I begin by examining a neglected autobiographical anecdote describing Nabucco’s La Scala premiere. Based on this examination, I identify the Austrian First Infantry Regiment band as the one hired for Nabucco’s premiere. Next, following band historian Antonio Carlini, I discuss the general role of municipal and military bands in Ottocento society, highlighting the importance of the Austrian regimental bands stationed in Lombardy-Venetia at the time. Finally, drawing on Italian- and Germanlanguage scholarship, I discuss both the make up of First Infantry Regiment band and its role in disseminating Nabucco beyond the theatrical sphere, thus illuminating the opera respectively from a performance practice and a transmission history perspective. I conclude that Nabucco’s band does not foreground Verdi as a composer attached to his bandmaster background or interested in channeling Risorgimento patriotism, but rather as one who was finely attuned to local aesthetics and performance circumstances. • Jehoash Hirshberg (Hebrew University, Jerusalem) The Private and the Collective in Patriotic and in Socially Reprimanding Italian Operas in the 1860s My research concerns Italian operas in the seria genre by Verdi’s contemporaries composed and produced in the 1860s, that is, during the arduous process of national unification. I will focus on two of the categories which I have discerned in the new operas: 1) The achievement of liberation from foreign rule notwithstanding, patriotic operas with lieto fine continued to be composed, although more infrequently, such as Achille Peri’s Giuditta (1860), Paolo Giorza’s Corrado, Console di Milano and Agostino Mercuri’s Adello (both 1861). This included patriotic operas with tragic ending such as Franco Faccio’s I profughi fiamminghi (1863). 2) At the same time, operas turned to critical issues, most importantly the threat of corrupt or dictatorial rule, which was hinted at through historical plots such as Carlo Pedrotti’s Isabella d’Aragona (1859) and Mazeppa (1861), Achille Montuoro’s Fieschi (1869), and Flippo Marchetti’s Ruys Blas (1869). When asked whether opera should prefer public or private topics, composer Costantino Parravano replied that «io credo doversi allontanare i primi, perché, essendo conosciutti da tutti, se ne prevedono le circostanze e riescono di minore effetto. Si cerchino sempre fatti privati, e dove c’entra l’immaginazione e l’invenzione ci si metta, poiché la musica non rifugge da esse. Lasciamo la politica e la filosofia al gabinetti ed alle scuole» (Gazzetta musicale di Napoli, 10 October, 1865). Parravano’s approach has been my point of departure in the study of the musical aspects of the two categories mentioned, in which the correct balance between collective and private issues was of prime importance. In Giuditta the collective aspect is presented through the contrasting choruses of the besieged residents of Betulia and the drunk Babylonian soldiers. Yet, the brutal Oloferne falls in love with Giuditta, who wakens in him true emotions for the first time in his life. The music of Giuditta features a combination of the two contemporary compositional styles: lo stilo fiorito e lo stilo enfatico (review of Ponchielli’s Lina. La Perseveranza, 18 November1877). For example, in the grand duet of Giuditta and Oloferne their simulaneous fiorito singing suggests that Giuditta cannot resist her attraction to the wild fighter. Yet, when he asks her repeatedly m’ami? Di! The duet halts with a four chord chromatic progression in the orchestra and Giuditta whispers, unaccompanied, si in the manner of the stilo enfatico (in the manner of Luisa in the Quartetto). The much discussed issue of the modification of the solita forma for dramatic purposes will be illustrated by Pedrotti’s Mazeppa. The opera depicts the overambitious ruler, who bring disaster on his beloved adopted daughter Natalia and finally on himself (in the manner of Verdi’s Macbeth). In the extended final scene Mazeppa’s demented state is presented by an arioso yet with no cantabile, and after a short cabaletta the scene closes with a brief cantabile (in the manner of Nabucco-Abigail duet). The paper will be illustrated by two or three brief recorded examples. • Olga Jesurum (Università di Roma “La Sapienza”) «O tu Palermo o casa». L’iconografia della guerra del Vespro da Hayez a Verdi Quando Les Vêpres Siciliennes giunse sui palcoscenici italiani (1856), l’argomento della guerra del Vespro era stata già oggetto di varie forme d’arte, dalla pittura, alla letteratura al teatro. Nel 1822 apparve il primo quadro di Francesco Hayez dedicato all’argomento, nel 1830 Niccolini pubblicò la tragedia Giovanni da Procida, rappresentata a Firenze nel Teatro di Via del Cocomero, seguito dall’omonimo dramma di Poniatowski, rappresentato al Teatro del Giglio di Lucca nel 1840; nel 1842 Michele Amari pubblicò a Palermo Un periodo delle istorie siciliane del secolo xiii; infine nel 1846 Hayez completa la seconda tela sullo stesso soggetto. L’insieme tali interpretazioni contribuì alla definizione di una chiave di lettura del fatto storico, che sottintendeva l’identificazione del popolo siciliano oppresso di allora con gli italiani dell’epoca di Verdi e la comune ricerca di una identità nazionale. Verdi stesso ne era consapevole, tanto da opporsi, già nel corso della stesura della versione francese, a qualsiasi accenno che potesse offendere il popolo italiano. A questo stato di cose la censura tentò di opporsi e modificare la ricezione dei contenuti dell’opera trasformandola in Giovanna de Guzman e trasferendo l’azione dalla Sicilia del 1282 al Portogallo del 1640, versione circolata in Italia dal 1856 sino all’unificazione della penisola del 1861, anno in cui l’opera potè essere finalmente rappresentata nella sua versione originale tradotta. La relazione intende illustrare le diverse interpretazioni della guerra del Vespro in Italia che concorsero alla definizione di un’unica chiave di lettura del fatto storico in chiave risorgimentale, punto di partenza per gli scenografi dell’Ottocento. Da qui il percorso proseguirà illustrando più da vicino l’iconografia dell’opera, dalla Giovanna de Guzman a I Vespri Siciliani: dalle scene e costumi di Filippo Peroni per il Teatro alla Scala di Milano, a Giuseppe Bertoja per il Teatro alla Fenice di Venezia, a Romolo Liverani per i Teatri delle Marche, per approdare agli allestimenti della versione originale di Carlo Ferrario per La Scala nel 1876 e di Ferdinando Manzini per il Teatro Comunale di Modena nel 1880. • Gregor Kokorz (Kommission für Musikforschung Österreichische Akademie der Wissenschaften, Vienna) Verdi contra Lickl – Opera and National Identity in Trieste 1848 The paper will address the question of music and Italian national identity in the context of the 1848 revolution in Trieste, focusing on two main operatic productions which were premiered in the city’s Teatro Grande that very year: Ägidius Lickl’s La disfida di Barletta and Giuseppe Verdi’s Il Corsaro. A keen look at these two operas – taking into consideration both production and reception – will serve as prism to focus on the contribution of opera to the political discourse and to the formation of national identity in a culturally pluralistic environment at the periphery characterized by the ‘convivenza’ of several ethnic groups. The 1848 revolution can be interpreted as the first important rupture of the multicultural identity of the Hapsburg Empire, which was brought to a crisis by the new and fast rising paradigm of ‘nation’. Even though it has never being considered a hot spot of the revolution, Trieste’s identity was at stake precisely because of its ethnically and culturally diverse population and the growing internal necessity of reshaping its identity in the light of the new paradigm. Whereas other cities were dominated by insurgency and military reaction, culture (particularly represented by language and music) became the major battleground for the formation of Trieste’s new national identity/identities. In this specific context, the theatre as one of the major public places of Trieste´s Italian speaking bourgeoisie enters the political sphere and becomes part of expressing and constructing the city’s ‘italianità’. How this politicization of culture takes place against a predominant purely aesthetic understanding of music will be one of the major topics analysized. Both operas indeed have a strong connection to the political events of 1848. Even though it was premiered in February, Lickl’s La disfida di Barletta played an important role during the days of the March revolution in Trieste, while the premiere of Verdi’s Il Corsaro on the 25th of October fell on the eve of the military occupation of Vienna, where political authorities had lost control over the capital since the revolution restarted at the beginning of the month. By introducing a comparison between these two operatic productions, the paper hopes to broaden the discourse on the opera in the Risorgimento, which in the past has been limited to the big names. Shading light on operas such as Lickl’s Disfida di Barletta, based on Massimo d’Azeglio popular novel of the 1830s, can help to come to a more detailed understanding of the relation between politics and music in this crucial period. Moreover, framing Verdi’s 1848 production in the musical and political context of Trieste adds indeed a new facet to the controversial discourse about Verdi’s political role. Finally, as it focuses on Trieste, the paper offers the opportunity to discuss the importance of the periphery for the 19th century production of national identity. • Marina Mayrhofer (Università di Napoli “Federico ii”) Citazioni verdiane e coscienza storica del Risorgimento in due film di Luchino Visconti: «Senso» e «Il Gattopardo» La misura in cui le melodie verdiane seppero emotivamente suscitare il senso d’identità nazionale in coloro che vissero di persona gli anni della più forte esaltazione patriottica risorgimentale è stata ed è argomento di discussioni critiche (ad es., in Verdi 2001, i contributi di M. Sawall, G. Procacci. L. Bianconi, S. Castelvecchi, J. Rosselli). Un retaggio di questa recezione, maturata in una fase storica in corso di svolgimento fino al fatidico 1861, è tuttavia riconoscibile, nel secolo successivo, in alcuni prodotti dell’arte nuova che in Italia, tra le due guerre e negli anni critici che seguirono a esse, andò affermandosi, in modo esemplare e secondo specifiche modalità stilistiche, nei contributi di alcuni registi. Nel cinema di Luchino Visconti la musica ha ruolo determinante, perché arriva a incidere sulla stessa struttura e sul ritmo narrativo delle pellicole. Ne fanno fede, oltre la diretta testimonianza del maestro, alcuni saggi (G. Poggi, F. Korte, N. Premuda) dedicati a un tema che merita d’esser esplorato in molteplici direzioni. La rivisitazione del Risorgimento, come tesi da sviluppare sugli scenari del periodo appena precedente il conseguimento dell’unità, trova spazio in due film che il regista realizzò, traendone i soggetti da altrettante opere letterarie, una novella di Boito e il romanzo di Tomasi di Lampedusa. In Senso (1954) e Il Gattopardo (1963), le colonne sonore presentano, in alcuni luoghi, citazioni desunte da opere di Verdi. Sono scelte funzionali all’articolazione di drammaturgie che, attraverso quelle musiche, ripropongono un’epoca in cui il sentire collettivo si rispecchiò nel melodramma e, attraverso esso, coltivò passioni e adottò comportamenti. Visconti inquadra la prima sequenza di Senso nel Teatro La Fenice di Venezia in cui si sta rappresentando Il Trovatore. Queste immagini iniziali offrono la chiave di lettura di tutto il film: sentimenti d’amore e slanci eroici si producono conflittualmente in palcoscenico, così come nella vita della protagonista passioni e ideali patriottici naufragheranno in un tragico destino. A scandire le fasi della rovina morale di Livia Serpieri, le note della Sinfonia n. 7 di Bruckner segneranno un netto contrasto con il clima sonoro iniziale. Per Il Gattopardo è ancora la musica di Verdi – un valzer inedito – a far da sfondo alla scena più importante del film: il principe danza con Angelica e il ritmo travolgente della melodia diventa metafora di un divenire inarrestabile, memoria storica di un’epoca in cui ai nobili non resta che cedere il passo ai nuovi ricchi. Ma due altre citazioni, da La Traviata, sono inserite in scene precedenti. L’impressione che producono, nel contesto in cui sono immesse, segnala un’alterazione dei significati più autentici dell’opera, unitamente al tempo trascorso dalla sua prima esecuzione. L’indagine che s’intende proporre si baserà, principalmente, sul raffronto tra scrittura musicale e immagini, per analizzare, attraverso l’interrelazione di questi due parametri, il ‘discorso sul Risorgimento’ che il grande regista modula con il supporto della musica di Verdi. • Giuseppe Montemagno (Catania) «Gridando: lealtà!» Una stagione risorgimentale al Teatro Comunale di Catania La sera del 17 febbraio 1848, al termine di una giornata storica per la città di Catania, quella della liberazione dalle truppe borboniche, «piantato lo stendardo tricolore sulle mura formidabili del Castello Ursino», la cittadinanza, dopo aver reso «grazie all’Altissimo», si recò al Teatro Comunale. Ad accogliere Ernani di Verdi fu tutto «un agitar di fazzoletti, uno sventolar di bandiere, un luccicar di brandi», finché il Finale iii, trasformato in un inno in onore di Pio ix, venne eseguito da tutto il pubblico, desideroso di esprimere «la gioja di un popolo che rompe le sue catene». Esito trionfale riscossero pure I Puritani, eseguiti la sera del 25 marzo per celebrare l’insediamento, a Palermo, del General Parlamento di Sicilia, con carattere costituente, nato per dare un nuovo assetto politico-amministrativo all’isola. Nei «fervidi petti dei Catanesi», l’esecuzione dell’opera belliniana venne accolta «con grandissimo entusiasmo», e il duetto dei due bassi, «Suoni la tromba e intrepido», fu ripetuto tre volte «fra il cozzare di mille e mille acciari». Inaugurata il 18 novembre 1847 con Il proscritto ossia Il corsaro di Venezia, la stagione lirica promossa dall’impresario Cesare Tornambene contribuì a fare del Teatro Comunale di Catania, inaugurato nel 1821, un tassello centrale nello strutturarsi ottocentesco dello spazio urbano, moderna agorà di un idem sentire dove manifestare nuove prospettive di partecipazione politica. Il precipitare degli eventi, sin dagli inizi del 1848, aveva fatto del teatro lirico etneo il contraltare laico di celebrazioni intensamente vissute, che la stampa coeva – soprattutto quella democratica, a cominciare da L’amico del popolo – registrava con interesse ed entusiasmo. Dal racconto delle serate, in filigrana, è possibile scorgere i nuovi – precari – equilibri che i moti del Quarantotto instaurano in Sicilia, a cominciare dalla singolare intesa con la rappresentanza diplomatica e militare britannica, venuta a sostenere la rivolta contro Napoli. Vedette incontrastata della stagione, il soprano Elisabetta Parepa Archibugi, «nata inglese ma educata al bel sole italiano», diventerà simbolo della amicizia anglo-siciliana. Lo studio della stagione 1847-1848 del Comunale di Catania, eco puntuale e fedele degli accadimenti storici dell’epoca, è interessante anche sotto il profilo musicologico, perché consente di approfondire la storia della ricezione di Ernani e I Puritani alla luce di quei falsi – per usare la definizione di Fabrizio Della Seta – imposti dalla censura borbonica. L’opera verdiana, infatti, era stata presentata al pubblico etneo dapprima come Elvira d’Aragona, nel 1845, ma in questa veste era subito entrata nel novero delle Opere teatrali proibite, il cui elenco si conserva nei fondi dell’Archivio di Stato di Catania. Solo a seguito del debutto parigino dell’opera, Ernani era stato autorizzato nel Regno delle Due Sicilie nel 1847 come Il proscritto ossia Il corsaro di Venezia, versione che proprio nella stagione 1847-1848 aveva debuttato a Catania. Sorte non dissimile era toccata ai Puritani, che Palermo aveva visto sin dal 1835 come Elvira ed Arturo, ma che a Catania sarebbe approdata quattro anni più tardi, in una versione emendata che avrebbe restituito al pubblico quel «soffio di cielo» spirato in terra grazie alla «celeste» melodia belliniana. • Joseph E. Morgan (New England Conservatory) Nationalism and the Italian Style in Nineteenth-Century German Opera In 1817, Carl Maria von Weber set French and Italian operatic music apart from that of Germany through both a cosmopolitan ideal and an effort towards autonomy: «Both the Italians and French have evolved a form of opera in which they move freely and naturally. This is not true of the Germans, whose peculiarity it has been to adopt what seems best in other schools, after much study and steady development: but the matter goes deeper with them. Whereas other nations concern themselves chiefly with the sensuous satisfaction of isolated moments, the German demands a self-sufficient work of art, in which all the parts make up a beautiful and unified whole» (Carl Maria von Weber, Writings on Music, New York, Cambridge University Press, 1981, pp. 206-207). In his unfinished autobiography, Weber also ascribed the autonomous ‘self-sufficient’ work to the French, leaving Germany with one idiosyncratic characteristic – the cosmopolitan ideal. During the next three decades, this ideal evolved into the insularist myth of German Universalism. By tracing the appearance and reception of the Italian style in works by German composers; my paper reveals the process by which this evolution from a cosmopolitan ideal to universalist myth was achieved. Through a close reading of Weber’s writings and an analysis of his music, the discussion begins by demonstrating Weber’s cosmopolitan ideal and his references to the Italian style in his music. This is followed by a discussion of the controversy in Dresden’s popular press concerning Giacomo Meyerbeer’s Italian opera Emma di Resburgo, and his German opera Wirth und Gast which were both produced there in the same week in 1820. This discussion demonstrates that Weber’s criticism of Meyerbeer’s Italian operas was based not on the apparent influence of an Italian style in his work, but because of his perception that Emma di Resburgo lacked any other influence. This is to be contrasted with the ‘pro-Italian’ German critics who argued that Meyerbeer’s Italian works lacked originality, stating that Meyerbeer has «…stolen Rossini’s happiest ideas». This part of the discussion is supported by a brief comparative analysis of Meyerbeer’s Cavatina «Nur in der Dämmerung Stille» from Wirth und Gast and his Cavatina from Emma di Resburgo titled «Di gioja, di pace». Finally my paper turns to the speech that Richard Wagner gave at his celebration of the return of Weber’s remains from their original resting place in London to their final destination in Dresden in 1844. In this speech Wagner, despite the overt foreign influence in his own compositional style, shifted the construction of German identity to an insular conception and positioned Weber a champion of this conception, contrasted with Meyerbeer, who Wagner described as «…one of those chill seekers after fame, who own no fatherland, to whom that plot of earth is dearest where ambition finds the rankest soil in which to thrive». Thus, my paper is a study of Nineteenth-Century Opera and Patriotism as revealed by the reception of the Italian style within early Romantic German works. • Renato Ricco (Università di Salerno) «La musica è la fede d’un mondo di cui la poesia non è che l’alta filosofia»: presupposti storici e finalità sociali de La filosofia della musica di Giuseppe Mazzini (1836) La relazione mira sia a fornire un’adeguata contestualizzazione storico-artistica del saggio mazziniano sia a sviscerarne le principali finalità sociali. Per il primo aspetto saranno analizzate le relazioni vigenti con altri scritti dello stesso autore (Fede e avvenire, scritto un anno prima de La filosofia della musica, Byron e Goethe [1840], ma anche alcuni passaggi de I protocolli de La Giovine Italia e di diverse missive): particolare attenzione verrà data ai rapporti di analogia e/o differenza con una serie di trattati, relativi a problematiche drammaturgiche e musicali, scritti da Jacopo Martello, Gian Rinaldo Carli, Andrea Mayer, Saverio Mattei, Antonio Planelli, Pietro Verri e Pietro Metastasio. Per il secondo aspetto, dopo aver messo in luce interessanti elementi in comune con alcuni scritti di Liszt (De la situation des artistes, et de leur condition dans la société [1833], Lettre d’un bachelier ès musique [1837]) specie in riferimento alle teorie sansimoniste, si cercheranno di comprendere le regioni delle aspre critiche mazziniane nei confronti della categoria degli ‘improvvisatori’, unitamente ai pareri espressi su vari protagonisti del melodramma italiano e europeo. • Victor Sánchez Sánchez (Universidad Complutense de Madrid) Nabucco senza Risorgimento. Il furore verdiano in Spagna Nel 1844 la musica di Verdi irrompe con forza nei teatri operistici spagnoli, causando un autentico furore tra il pubblico. A Madrid, Barcellona, Cadice o Valencia si eseguono, in pochi mesi, Nabucco, I Lombardi ed Ernani, ai quali seguiranno con regolarità altri successi. Verdi si configura così come la grande figura del panorama operistico in Spagna. Nonostante la storiografia verdiana abbia associato queste prime opere con il Risorgimento, fuori dall’Italia il contesto era molto differente. Il successo delle opere di Verdi risiedeva nella forza musicale mentre gli elementi patriottici passavano inosservati. A tale proposito risulta significativa l’assenza di qualsiasi riferimento al famoso coro «Va pensiero». Attraverso l’analisi delle cronache coeve pubblicate nei periodici spagnoli, si intende riflettere sul contesto storicomusicale spagnolo nel quale si innestarono i primi successi di Verdi tra il 1844 e il 1850. Gli spettacoli operistici in Spagna, che godevano di una grande tradizione, erano promossi dall’aristocrazia che poteva vantare figure quali il Marchese di Salamanca o la stessa famiglia reale. L’assenza di un sentimento nazionalista indirizzò l’interesse del pubblico sugli aspetti formali e sociali dell’opera, non lasciando spazio agli elementi ideologici. • Giuseppe Tumminello (Università di Parma) La patria come nostalgia di una moderna cittadinanza comune. Musica come religione popolare unitaria Come noto, la musica è uno straordinario medium comunicativo di emozioni e sentimenti, personali e collettivi. Essa è stata, pertanto, una protagonista della formazione della nostra coscienza risorgimentale. Proprio per questo, alla luce del secolo e mezzo di storia patria che il nostro paese ha attraversato, dall’Ottocento al Novecento, sino alla svolta dell’anno 2000, il nuovo processo di globalizzazione sembra imporci di tornare a chiarire la natura profonda del legame patrio originario, fra atavismo e patriottismo civile. Il genio verdiano può aiutarci in questo compito odierno. • Chloe Valenti (University of Cambridge) Adulation and Appropriation: Verdi’s Political Image in 1860s England The popular portrayal of Verdi as a political composer has been much debated in Verdi scholarship, yet little work has been focused on the role of critics from outside Italy in the creation and dissemination of Verdi’s image as the ‘bard of the Risorgimento’. This paper seeks to address this by exploring changing perceptions of Verdi in England in the late 1850s and 1860s, focusing on how a number of factors in this period came together to create a politicised understanding of Verdi in the minds of English critics, an image they then helped to propagate further. While news of Verdi’s election to the Italian senate formed the foundations of his new, ‘political’ image, one factor unique to England notably affected the English understanding of Verdi: the visit of Garibaldi in 1864. Not only was this a climactic point in England’s longstanding fascination (and involvement) with Italian politics and culture, it was a moment when politics and theatre mixed on a level not previously seen in England, particularly during Garibaldi’s visits to the London opera houses. These events created a shift in the minds of English critics who, just twenty years earlier, had been deeply sceptical of any association between politics and opera. The increasing receptiveness of English critics to the association encouraged them further in their depiction of Verdi as a political composer. They referred to the ‘Viva V.E.R.D.I.’ acrostic repeatedly during the 1860s, augmenting its significance far beyond its original, short-lived appearance in late 1850s Italy. Furthermore, while Verdi was still a controversial figure in the English press, English critics responded to his position as the foremost Italian composer of his day by looking back on his early works and rewriting his career from their new political perspective, thus further encouraging the formation and dissemination of Verdi’s nowfamiliar political image. • Francesca Vella (King’s College, London) Verdi and Politics: The Case of 1859 My paper examines the historical-cultural context in which the acrostic ‘Viva VERDI’ first became popular, albeit for a brief period of time, in the months preceding Italy’s second war of independence, in 1859. It does so with the aim of understanding further the resonances on Verdi’s political persona of the slogan and its dissemination. Drawing on accounts from both the foreign and domestic press, as well as on previous research by Michael Sawall, I address the subtle changes in meaning that the acrostic, first reported in newspapers in December 1858, underwent during subsequent months in northern Italy. My principal argument is that the slogan started life as little more than a fortuitous correspondence (‘V.E.R.D.I.’ standing for ‘Vittorio Emanuele Re D’Italia’), and was by no means intended or received as an indication that Verdi’s operas were particularly relevant politically. Rather, the cry expressed the increased popularity achieved by the Piedmontese monarch in the northern part of the peninsula, and served as a tool for enhancing a sense of community among the Italian population in the flow of events that led to war. However, a further important factor is that the period of the acrostic’s greatest popularity was immediately followed by a phase in Verdi’s life which saw his increasing commitment to philanthropic work and engagement in politics. This combination of circumstances, as well as the changing needs of the Italian population as the war broke out, may be responsible for subtle changes in the way the cry started to be understood from late 1859 onwards. Verdi’s early works were not, during this period, taken as any more deeply ‘patriotic’ than those of other Italian composers (the vogue for Bellini’s Norma, particularly the chorus «Guerra, guerra!», was much greater than for any Verdi opera). However, the gradual emergence of a political aura around ‘the man’ Verdi might be what ultimately led to the elevation of his early operas as symbols of Italy’s patriotic activity and to his construction as a ‘political composer’. ORGANIZZATO DA Comune di Pistoia IN COLLABORAZIONE CON Amici di Groppoli CON IL PATROCINIO DI Provincia di Pistoia CON IL CONTRIBUTO DI Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini www.luigiboccherini.org